Romani 101 L'enunziare in modo sommario Romani 9:30-33, il motivo della caduta d'Israele poteva parere crudo e spietato; perciò l'Apostolo protesta nuovamente del suo vivo desiderio di veder salvato un popolo di cui riconosce il grande zelo religioso; ma il fatto della sua ostinata cecità, di fronte al Vangelo, è pure troppo reale. Fratelli, il desiderio del mio cuore, lett. il beneplacito o quello in cui si compiace il mio cuore, e la mia preghiera a Dio per loro è che siano salvati. Il desiderio suo, perchè si effettui, Paolo lo converte in domanda speciale rivolta all'Onnipotente. Questo ei brama, questo prega, sebbene sia tenuto per nemico del suo popolo. Il suo desiderio è alimentato non solo dai legami che lo uniscono ad Israele, non solo dalla considerazione dei privilegi ch'esso ha ricevuti (cfr. Romani 9:1-5), ma altresì dallo zelo ch'essi han dimostrato per il mantenimento del culto del vero Dio in mezzo a crudeli persecuzioni (Esemp. nell'epoca dei Maccabei), e che tuttora dimostrano per Dio, per la sua legge, per il suo culto. Di questo, Paolo ch'è vissuto in mezzo a loro, che li ha visitati dovunque è andato, ch'è stato egli stesso zelante fariseo Atti 22:3, può rendere verace testimonianza. Ma non basta lo zelo religioso. Se non è illuminato dalla esatta conoscenza della verità può condurre ai più tristi risultati. A che serve di correre se si è sopra una falsa strada? (cfr. Giovanni 16:2-3; Luca 23:31; Atti 3:17, e la storia della Chiesa). 2 Poichè io rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non guidato da vera conoscenza. «Paolo non adopera la parola «conoscenza», perchè i Giudei non difettavano di scienza religiosa Romani 2. Il termine composto di cui si serve ( επιγνωσις) è più energico, denota il discernimento, l'intelligenza che mette il dito sulla vera natura del fatto. Essi non hanno saputo discernere il vero senso e la portata delle istituzioni legali; si sono attaccati con ardore a tutti quei riti particolari, ma non ne hanno afferrato lo scopo morale» (Godet). 3 Infatti, ignorando la giustizia di Dio, Si tratta di una ignoranza dovuta a cause morali e perciò colpevole. L'Evangelo è stato loro annunziato, ma sono rimasti, davanti ad esso con un velo sugli occhi 2Corinzi 3:14-16; Giovanni 9:39-41. La giustizia procurata da Dio in Cristo e imputata al credente Romani 1:17; 3:22, non la comprendono, non ne voglion sapere, e cercando di stabilire la loro propria giustizia cioè quella che risiede nelle loro opere considerate come meritorie. Questa cercano di stabilire come valevole e sufficiente innanzi a Dio, sia collo zelo ch'essi spiegano nelle pratiche esterne, sia colle orgogliose illusioni ch'essi nutrono. Se guardassero più addentro nella legge e nella vita loro, arriverebbero al grido di Paolo: Misero me uomo! Romani 7:24. Giungerebbero ad esser «poveri in ispirito», «affamati ed assetati di giustizia» «contriti e rotti», disposti a ricevere il Salvatore; mentre stimando sè stessi «sani» e «giusti», non si sono sottoposti alla giustizia di Dio. hanno ricusato quell'ubbidienza della fede di cui Romani 1:5; 6:17; 10:16; 1Giovanni 3:23. Ricevere una salvazione gratuita era troppo umiliante per il loro orgoglio, non vi si sono piegati; era una porta troppo stretta per il bagaglio delle loro opere meritorie, e non ci sono entrati. Eppure quella è l'unica via stabilita da Dio. 4 Poichè il termine stabilito dalla legge è Cristo, per essere giustizia ad ognuno che crede. τελος (fine) non è il compimento per quanto sia vero che in Cristo le ombre della legge trovano la loro realtà (confronta l'Epistola agli Ebrei). Neppure significa qui scopo Galati 3:24, sebbene anche questo sia vero, giacchè la legge è pedagogo per condurre a Cristo. Fine vale il termine. La venuta di Cristo segna la fine della economia legale, preparatoria. Cristo reca quel che legge Mosaica non poteva mai dare, cioè vera e compiuta giustizia per chiunque crede. «Le due parole ogni credente esprimono le due idee correlative che stanno per essere svolte nei versetti seguenti: quella cioè della gratuità della salvezza racchiusa nella parola «credente» Romani 10:5 -11 e quella della universalità di essa, racchiusa nella parola «ogni»» (Godet). 5 Tra la giustizia procurata da Cristo al credente e quella cercata dai Giudei per la via della legge, non vi è conciliazione possibile, esse escludonsi a vicenda. La legge dice: Se tu fai, avrai la vita per il tuo fare. La grazia dice: Se tu credi in quel ch'è stato fatto da Cristo, tu sarai salvato. Difatti Mosè descrive la giustizia e vien dalla legge, col dire: L'uomo che l'avrà praticata (lett. fatta, s'intende: essa giustizia) viverà per essa. Così il testo più probabile. La citazione è tolta da Levitico 18:5. Una condotta conforme in tutto alla legge, sarà tal giustizia che al popolo assicurerà prosperità, e ad ogni suo membro la vita nel senso più esteso. Dio non condanna chi pratica la giustizia. Ma chi è giusto a questo modo? La legge stessa insegnava la necessità dell'espiazione dei peccati mediante il sacrificio. 6 La giustizia che viene dalla fede in Cristo e non ha per fondamento il nostro fare, tiene un linguaggio più consolante per l'anima conscia della propria colpa ed impotenza. Tale linguaggio Paolo lo toglie ad imprestito da Deuteronomio 30:11-14 ove Mosè, volendo incoraggiare il popolo alla osservanza della legge, gli fa notare che la conoscenza della volontà di Dio è stata posta alla, sua portata. Non ha da salire in cielo, nè da passare i mari per cercar di essa; no, Dio gliel'ha rivelata per mezzo di Mosè, ne ha formulati chiaramente i precetti e li ha fatti scrivere in un libro; quindi l'Israelita li può aver presenti al cuore e ripetere colla bocca per insegnarli ai suoi figli Deuteronomio 6. Ma dal conoscere al fare, corre gran tratto. Chi si è, sul serio, provato a praticar la legge, si è convinto della necessità della grazia. E questa grazia, venuta in Cristo, Dio l'ha messa alla portata dell'uomo, come avea messo la legge data per Mosè Giovanni 1:17. Perciò, Paolo può togliere ad imprestito le parole del Deuteronomio che si riferivano alla legge, per metterle in bocca della giustizia che viene dalla fede. Egli non prende dal libro della legge che una forma atta a vestire il pensiero della grazia. Non si tratta dunque di, trovare nelle parole del Deuteronomio che sono d'altronde usate con grande libertà nè una profezia, nè una allegoria della giustizia di fede. Il modo stesso con cui Paolo adopera quelle parole, indica ch'egli non le considera come profezia. Egli non le reca nè come citazione, nè come prova. Cfr. un uso analogo di una parola biblica a Romani 10:18. A Paolo ed ai suoi lettori, specie se Giudei, sono familiari le parole del libro sacro ed è naturale che si presentino spontanee ad esprimere il suo pensiero. Ma la giustizia che vien dalla fede dice così: "Non dire in cuor tuo: Chi salirà al cielo? (Nel Deuteronomio si aggiunge: «per noi, e ce lo recherà e ce lo farà udire perchè lo mettiamo in pratica».) Non c'è da immaginare nè da tentare l'impossibile per fare la propria salute. Ciò, ch'era impossibile all'uomo Luca 18:27, Cristo è sceso dal cielo a compierlo per noi. Quindi chi si consuma in un vano «correre», dimentica o trascura, come non avvenuta, l'opera di Cristo. (questo affannoso domandare: Chi salirà in cielo? è, dice Paolo, un farne scendere Cristo) quasichè già non fosse disceso. «Certa è questa parola, e degna d'essere pienamente accettata, che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori» 1Timoteo 1:15. Egli si è incarnato ed ha, colla sua morte, dato soddisfazione alla legge di Dio offesa (cfr. Romani 3:21-26). 7 "O: chi scenderà nell'abisso?" Il Deuteronomio dice: «Chi passerà oltre mare per noi e ce lo recherà e ce lo farà udire (il comandamento...)?». Paolo, usando liberamente della forma poetica adoperata da Mosè, l'adatta al suo scopo, e dice: Chi scenderà nell'Hades ossia nel soggiorno dei morti? Anche cotesta forma d'impossibilità non è da tentare, perchè è un voler fare quello ch'è stato già fatto da Cristo. (Questo è un far risalire Cristo d'infra i morti). Egli infatti, «è morto a cagion dei nostri misfatti ed è risuscitato a cagion della nostra giustificazione» Romani 4:25. Talchè, nella sua risurrezione, abbiam il suggello di Dio posto sull'opera espiatoria di lui. Chi vuol salvarsi da sè, nega praticamente ogni valore all'opera del Signor Gesù Galati 5:24. La giustizia evangelica fondata sull'opera compiuta da Cristo non spinge l'uomo a far l'impossibile, ma gli dice: La tua salvazione è stata compiuta dal Figliuol di Dio morto e risorto per te. Questa salvazione tutta preparata Matteo 22:4 ti è offerta; a te resta solo l'accettarla con fede. 8 Ma che dice ella? - "La parola è presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore". Parola nel Deuteronomio si applica al comandamento. Paolo l'applica all'annunzio, anzi, alla sostanza, stessa della giustizia acquistata da Cristo e offerta alla fede. Questa non è da cercar lontano, in luoghi inaccessibili all'uomo; ma è alla sua portata, vicino a lui. Tanto, vicino che la si, può posseder nel cuore e celebrarne l'eccellenza colla bocca. Questa è la parola della fede, che noi predichiamo cioè: di tal fatta è la buona novella che andiamo pubblicando e che altro non richiede se non di esser creduta da chi l'ode. Col dir noi Paolo si associa a tutti i predicatori che, come lui, bandiscono al mondo la salvazione per grazia. 9 perchè, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto col cuore che Dio l'ha risuscitato dai morti, sarai salvato. La confessione di bocca è posta prima della fede del cuore, perchè tale è l'ordine delle parole nel Deuteronomio. In realtà si deve credere prima di poter professar la fede Romani 10:10. Il confessare Gesù come Signore implica fede nel suo innalzamento alla destra del Padre 1Corinzi 12:3: può comprendere la professione decisiva, del battesimo Marco 16:6, il culto cristiano, come pure la confessione quotidiana della propria fede davanti al mondo indifferente o nemico Matteo 10:32-33; 2Timoteo 2:12; 1Pietro 3:15; Romani 1:16; 2Timoteo 1:8. Il credere col cuore che Dio ha risuscitato Gesù implica, non solo un ammettere il fatto storico della risurrezione, ma altresì l'accettare, dal fondo dell'anima, tutta l'opera di salvazione compiuta da Cristo colla sua vita in carne e colla sua morte in croce. 10 Colla fede del cuore in Cristo, si ottiene la giustificazione: Infatti, col cuore si crede per ottener la giustizia. Alla giustificazione terrà dietro la salvazione nel suo senso più completo, cioè l'affrancamento dal peccato e la glorificazione, che finora sono oggetto di speranza Romani 8:18-30. A questa giungerà chi avrà fatto confessione colla bocca, e colla bocca si fa confessione per esser salvati Matteo 10:22. Il confessar Cristo è prova d'una sincerità della fede, poichè la bocca parla di ciò che sovrabbonda nel cuore ed il confessar Cristo nel mondo, di solito, non procaccia onori Giovanni 12:42. È inoltre un omaggio reso a Colui che ci redense ed un mezzo di condurre altri a salvezza o di confermarli in fede. 11 A corroborare l'affermazione che la fede conduce l'uomo a salvazione, Paolo reca una testimonianza biblica già citata Romani 9:33, da Isaia 28:16. Ma, affin di mettere in rilievo il pensiero universalistico contenuto nel chi crede del testo, egli vi aggiunge il chiunque che vi è solo per implicazione. La gratuità della salvazione implica la sua universalità. Una salvazione gratuita non poteva esser patrimonio esclusivo dei Giudei. Difatti, la Scrittura dice: "Chiunque crede in lui non sarà svergognato". Poichè non v'è distinzione fra Giudeo e Greco, perchè lo stesso Signore è Signore di tutti, Si tratta del Signor Gesù Atti 10:36, ricco inverso tutti quelli che lo invocano: perchè possiede tale abbondanza di grazia da soddisfare ai bisogni del mondo intiero, ed è disposto, a comunicarla a tutti coloro che l'invocano. L'invocare è l'atto della fede in chi, sentendosi perduto si rivolge a Cristo, riconoscendolo Salvatore e Signore (Confr. Romani 10:14). 13 L'espressione è frequente nell'Antico Testamento, e l'Apostolo adduce, difatti, un passo di Gioele 2:32, che la contiene. poichè "chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato". Nel profeta si parla della invocazione di Geova negli ultimi giorni. Paolo applica questo alla invocazione e del nome del Messia che è il Rivelatore e l'Agente supremo di Geova Giovanni 12:44-45. RIFLESSIONI 1. Dopo aver rivendicato il diritto di Dio, l'Apostolo si volge ad esaminare la responsabilità degli uomini. Questo è il compito che lasciamo volentieri da parte. Eppure un coscienzioso esame morale di noi stessi, riesce più proficuo delle speculazioni che oltrepassano la, nostra intelligenza. 2. Lo zelo religioso è cosa lodevole, com'è lodevole la sincerità. Tuttavia nè la sincerità nè lo zelo possono far senza della esatta conoscenza della verità. Il detto popolare Tutte le religioni sono buone pur di praticarle è la formula di chi poco ci cura di religione e della propria salvezza. Nessun malato oserebbe dire che tutti i rimedi son, buoni pur di ingoiarli. Nessuna persona di buon senso direbbe che tutte le teorie scientifiche o filosofiche o morali, o sociali son buone, purchè credute sinceramente tali. Se esiste una via di salvezza per l'uomo, ci importa al sommo di conoscerla esattamente per entrarvi. Di qui la necessità di esaminare personalmente, con tutti i mezzi a nostra portata, la questione della nostra salvezza. E dove troveremo maggior luce che nella Sacra Scrittura? Conosciuta la verità, dobbiamo cercar di metter sulla buona via lo zelo, sincero ma fuorviato, di chi, pur professandosi cristiano, non fonda la sua salvezza sopra Cristo, e consuma la vita in penosi ed inutili sforzi. 3. Chi ama veramente i suoi congiunti, i suoi compatriotti, i suoi simili, brama la loro salvezza eterna. E chi brama questo, prega e lavora per raggiungere lo scopo. L'amore, vero non è ingiusto e sa apprezzare i lati belli e buoni anche in coloro che sono suoi avversari o nemici. Ma non si pasce perciò di vane illusioni, nè vuol pascerne gli altri. 4. Il contatto dell'anima con Cristo è la maggior crisi morale nella vita d'un uomo come d'un popolo. Cristo diventa, o pietra di fondamento per la nostra salvezza, o pietra d'intoppo per nostra maggior condannazione. Odor di vita a vita, ovvero odor di morte a morte. Qual'è la nostra posizione di fronte a Cristo? 5. Non ci sono che due vie per arrivare alla vita. Praticare la giustizia in modo assoluto e perfetto, ovvero: ricevere la grazia offerta a chi è peccatore. È facile vedere quale delle due resta aperta a noi. Dobbiamo solo ricordare che esse escludonsi a vicenda e che non è possibile porre il piede in due staffe. Chi vuol salvarsi da sè, respinge Cristo. Chi si affida a Cristo rinnega sè stesso ed ogni merito proprio. 6. Quale grazia che la salvezza in Cristo sia alla nostra portata, alla portata di chiunque! Ma quale responsabilità se «trascuriamo una così grande salvezza!». 7. Si può creder colla mente quel che non interessa noi personalmente. Ma l'affidare a Colui che ci amò fino alla morte, l'anima nostra, non può esser che atto del cuore. E se non è tale, è senza effetto salutare per noi. Se il cuore è preso, verrà spontanea la confessione del nome di Cristo, altrimenti il timor degli uomini ci chiuderà le labbra. 8. Chi crede in Cristo lo riconosce come Signore e Salvatore; egli crede che «Dio lo ha risuscitato dai morti». «Donde risulta che coloro i quali negano la risurrezione di Gesù Cristo o la dichiarano cosa indifferente alla vita della fede, non hanno compreso assolutamente nulla dell'essenza del Cristianesimo (L. Bonnet). 14 SEZIONE B Romani 10:14-21 In armonia col suo carattere gratuito ed universale, l'Evangelo ha da essere, ed è stato, annunziato per tutto il mondo; talchè se Israele non ha creduto, non è perchè abbia ignorato il Vangelo, ma perchè non l'ha voluto accettare Se l'invocare il nome del Signor Gesù è la condizione universale della salvezza, ne segue la necessità di un ministero destinato a recare l'annunzio della salvazione in Cristo fino alle estremità della terra. Come dunque invocherebbero essi (testo emendato) colui nel quale non hanno creduto? L'invocazione del nome di Cristo, se sincera, presuppone la fede in lui qual Salvatore misericordioso e potente Luca 23:42. Ma la fede in Cristo suppone, a sua volta, che si è sentito parlar di lui. Come si può aver fiducia in una persona quando non si sa chi è, nè che cosa ha fatto? E come crederebbero essi in colui di cui non hanno udito [parlare]? La necessità di udir parlare di Gesù, implica quella dell'araldo o predicatore che lo faccia conoscere. E come udirebbero se non vi sia chi predichi? La necessità dell'araldo implica quella d'una missione affidata al Signore a coloro che sono scelti al nobile ufficio di inviati: 15 E come predicherebbero se non siano mandati? Abbiamo tradotto, in Romani 10:14-15, il testo Nestle che segue la maggioranza del MSC. antichi, i quali invece dei verbi al futuro (testo ordin.), li hanno al soggiuntivo ( επικαλεσωνται invece di επικαλεσονται, ecc.). Sì tratta anche qui di o lunghi invece di o brevi, e si sa che, in casi simili lo scambio per parte dei copisti è facile e frequente. Fortunatamente qui il senso resta mutato. Coll'adoperare il verbo (mandare), Paolo ha quasi designato l'apostolato che fu il primo e fondamentale ministerio istituito dal Signor Gesù per condurre le nazioni alla fede Matteo 28; Marco 16. Per opera degli evangelisti o missionari Efesini 4:11, l'opera apostolica deve proseguirsi finchè l'Evangelo sia predicato «in testimonianza a tutte le genti che sono sotto il cielo». La grandezza, la bellezza del ministero evangelico, Paolo l'esprime colle parole d'Isaia che si riferiscono al lieto annunzio recato a Sion che l'Eterno la salva, le riconduce i suoi figli e la ristabilisce Isaia 52:7-12. Siccome è scritto: "Quanto son belli i piedi di quelli che annunziano buone novelle!" Lett. cose buone. Il passo d'Isaia dimostra che Dio si serve di messaggeri per annunziar la sua salvazione. E siccome la liberazione di Gerusalemme è il tipo della redenzione dell'umanità, i messaggeri che il profeta contempla con un fremito di gioia, sono come il tipo di quell'esercito d'evangelizzatori che recheranno dovunque la Buona Novella della salvazione. Quella missione che Paolo stesso ed i suoi compagni compiono fra i pagani è dunque, nonostante l'avversione dei Giudei, voluta da Dio e necessaria. Nella sua citazione Paolo si attiene all'ebraico, la LXX essendo poco esatta. Ad ogni modo, le buone novelle, la pace, la salvezza di cui parla il testo d'Isaia ricevono nel Vangelo il loro pieno senso: Buona Novella per eccellenza, pace dell'anima con Dio per mezzo di Cristo, piena salvezza presente ed eterna. «Se Israele avesse compresa la sua missione, invece di diventare l'avversario di quella misericordiosa dispensazione, avrebbe tenuto ad onore di farsene, lo strumento e si sarebbe trasformato in quell'esercito di messaggeri contemplato dal profeta e incaricato di bandir la salvezza a tutti i popoli. Quel piano divino s'è infranto contro l'ostinata cecità d'Israele riguardo alla ed all'universal destinazione della salvezza» (Godet). 16 Ma non tutti hanno ubbidito alla Buona Novella. Per quanto il messaggio degli araldi apostolici fosse tale da farli accogliere dovunque «come angeli di Dio», pure non tutti hanno ricevuto il buon annunzio della salvezza in Cristo con quell'ubbidienza di fede che si conveniva ad un invito divino Romani 1:5; 6:17; 10:3; Atti 6:7; 2Tessalonicesi 1:8; 3:14. Qui sta la ragione per cui sono esclusi dalla salvazione. Sebbene, l'espressione sia generica, e quindi applicabile a tutti coloro che hanno udito l'Evangelo, pure l'Apostolo, nel contesto, ha in mente particolarmente l'accoglienza fatta al Vangelo dai Giudei, la cui incredulità era annunziata da Isaia nel passo messianico Isaia 53. Il profeta, qual rappresentante dei messaggeri di Geova, è costretto a versare nel cuore di Dio il suo lamento per lo scarso numero di coloro che han ricevuto il messaggio divino con fede. Perchè Isaia dice: "Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?" Sono ben pochi, di fronte alla massa incredula. 17 Così come ha detto in Romani 10:14, e come risulta anche da questo lamento profetico, la fede viene dall'udire e l'udire, ch'è la condizione della fede, si ha per mezzo della parola di Cristo (testo emendato) cioè, secondo alcuni, in virtù dell'ordine dato da Cristo ai suoi inviati: «Andate, predicate...». Ma s'aspetterebbe un'espressione che accennasse più esplicitamente a quell'«ordine». Meglio: si ha mediante la parola di Cristo predicata e di cui Cristo stesso è il centro. 18 All'intento di mostrare come sia inescusabile l'incredulità dei Giudei, Paolo fa a sé stesso due obbiezioni. Non hanno ubbidito: tale il fatto. Ma sarebb'egli forse perchè la condizione necessaria alla fede, cioè l'udire il Vangelo, è mancata nel loro caso? Ma io dico: Non hanno essi udito? Non è questo il caso, che anzi, "la lor voce è andata per tutta la terra e le loro parole fino agli estremi confini del mondo. Il Salmista Salmi 19:4 dice questo della voce maestosa della creazione che parla all'uomo delle perfezioni di Dio su tutta la faccia della terra. Paolo toglie ad imprestito le poetiche espressioni del Salmo per applicarle alla rivelazione cristiana recata dai banditori del Vangelo per tutto il mondo Colossesi 1:23. Quando scriveva, nel 58, o 59, l'Evangelo era infatti stato portato di già in tutte le direzioni del mondo conosciuto; e, ad ogni modo, le colonie giudaiche, anche lontane, aveano udito parlare di Gesù. Quindi il «non aver udito» non era la ragione del loro «non ubbidire». Ove cercarla dunque? 19 Ma io dico: Israele non ha egli compreso? Che cosa? Molti intendono: Israele non ha egli conosciuto... che l'Evangelo doveva essere annunziato per tutto il mondo, anche ai pagani? La, cosa gli è ella capitata come una sorpresa sgradita, tanto da scusare il suo atteggiamento ostile di fronte al Vangelo? L'Apostolo risponderebbe colle citazioni profetiche che seguono, mostrando che l'adozione di genti pagane, era annunziata fin dai tempi di Mosè. Non c'era dunque motivo di scandalizzarsene Questo senso non è contrario al contesto; ma, è forzato quel dover supplire un'idea non mentovata qui come causa dell'incredulità giudaica. È più naturale il sottintendere: la predicazione, la parola, di Cristo di cui in Romani 10:16-17. «Israele non ha egli conosciuto questo messaggio che gli è giunto?». È egli mai possibile che Israele, il popolo della rivelazione, non l'abbia compreso? «Una tal cosa, almeno da Israele non si sarebbe aspettata» (Weiss). Eppure, per quanto anormale, la cosa è così. Israele non ha compreso. Ha udito colle orecchie, ma l'intendimento spirituale gli è mancato (cfr. Romani 10:2-3; 11: 8; e per questo senso più profondo di conoscere: Romani 7:15; 6:6; 1Corinzi 8:2; Atti 8:30); Lett. Conosci tu quel che leggi? - Giovanni 13:7,12,28; 12:6; 10:6; 8:27; Luca 19:42-44, ecc.). Tale mancanza di intendimento spirituale è infatti annunziata fin dal tempo di Mosè, il quale (Deuteronomio 32:4), contemplando l'avvenire del suo popolo, lo vede provocare a gelosia Geova, con l'adorazione d'idoli vani, e vede, Iddio che, a sua volta, minaccia Israele di muoverlo a gelosia verso un popolo di sì poco conto che non merita neppure il titolo di popolo, di eccitar l'ira sua, il parossismo della sua gelosia, verso una nazione stolta. Mosè per il primo dice: (La profezia ripetuta spesso di poi, risale fino ai tempi del legislatore). "Io vi moverò a gelosia di una nazione che non è nazione; un popolo pagano di nessun conto; contro una nazione senza intelletto provocherò il vostro sdegno. S'intende: contro una nazione (i pagani) la cui intelligenza religiosa è un nulla, a confronto di quella d'Israele. 20 Isaia poi si spinge più oltre; E Isaia si fa ardito e dice: parlando dell'avvenire e a nome, di Geova: "Sono stato trovato (conosciuto) da quelli che non mi cercavano; cioè dai pagani. sono stato chiaramente conosciuto lett. veduto, s'intende: di una visione spirituale, da coloro che non chiedevano di me Isaia 65:1,2. «L'ingenua ignoranza e corruzione dei pagani è stata, per la luce divina, un velo meno difficile a squarciare che non la superba ostinazione dei Giudei, di tanto maggiore quanto più erano stati arricchiti di f avori» (Godet). 21 Ma riguardo ad Israele (o: rivolto ad Israele) dice: Tutto il giorno (con instancabile perseveranza) ho steso le, mani, nell'atto di chi supplica e scongiura, verso un popolo disubbidiente nei sentimenti e negli atti e contraddicente, cioè proclive nelle sue parole alla contraddizione, anche a furia di sofismi Atti 6:9-10; 7:51. La parola è della LXX e manca nell'ebraico. Questi passi profetici annunziano dunque positivamente un tempo in cui Israele, il depositario delle rivelazione divine, che avrebbe dovuto esser «guida dei ciechi», ecc. Romani 2, decaderà in modo tale da essere inferiore ai popoli pagani per discernimento spirituale e per conoscenza di Dio; talchè avrà di che esser geloso fino, allo sdegno della superiorità di coloro che prima gli erano di tanto inferiori. «I primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi». «Coloro, che veggono diventeranno ciechi» Giovanni 9:39. Quell'epoca di ottenebramento spirituale Paolo la vede, con dolore, delinearsi, sempre più nettamente, movendo dai giorni dell'apparizione del Messia in Palestina. Sono tenebre d'incredulità, e non hanno scusa. RIFLESSIONI 1. «Leggendo questa sezione, pensiamo alle nazioni che non hanno ancora udito l'Evangelo. Come potrebbero esse invocare il nome di Gesù per esser salvate, se non hanno mai sentito parlar di lui? Nulla possiam dire di positivo su quanto Dio farà riguardo ai pagani che non hanno saputo nulla di un Salvatore, poichè Dio non ha rivelato la sua volontà in proposito. Ma ben sappiamo che è dovere di ogni persona che conosce il prezzo della redenzione eterna dell'anima, sua, di fare quanto è in suo potere per procurare ad altri la conoscenza della salvazione. L'ultimo comandamento di Cristo ai discepoli fu: «Andate per tutto il mondo, predicate l'Evangelo ad ogni creatura» Marco 16:15. Quel compito non è adempiuto se non in piccola parte... Se dunque non possiamo andare noi stessi a portar l'Evangelo ai pagani, facciamo di aiutare col nostro denaro e colle nostre preghiere coloro che si consacrano a quell'opera» (Anon.). «Senza posa dovrebbe risuonare agli orecchi di tutte le chiese la domanda: «Come udiranno se non v'è chi predichi?...». Come dev'esser mancante il loro zelo ed il loro amore se dinanzi a così gran messe, gli operai sono così pochi ed esce così di rado il grido che dovunque dovrebbe venir fuori dalle labbra di uomini perdonati, arricchiti di doni e consecrati: «Eccomi, Signore, mandami» (Brown). 2. Il ministerio evangelico è stato dal Signor Gesù voluto ed istituito per lo stabilimento, del suo regno nel mondo. Grande ne è là bellezza. Come potrebbe una fugace vita d'uomo essere più utilmente spesa che nel proclamare la grazia di Dio ai peccatori? Quale allegrezza nel veder questi convertirsi all'Iddio vivente e fidare nel Signor Gesù! Ma vi sono, accanto a celesti gioie, dei profondi dolori, quando, con un Isaia e con tanti altri, i ministri di Cristo, son costretti ad esclamare chi ha creduto alla nostra predicazione? Devono ricordare allora il detto di Cristo: «L'uno semina e l'altro miete». 3. Chi ha udito l'Evangelo non ha scusa valevole per la sua incredulità. In questo sta la responsabilità dei paesi cristiani ove qualche conoscenza di Cristo giunge agli orecchi di tutti. Non basta però l'udire, si tratta d'intendere col cuore e di credere nel «solo nome dato agli uomini per il quale noi abbiamo ad esser salvati». 4. Anche oggi Dio manda i suoi ambasciatori a supplicare i peccatori di convertirsi e di ricever la grazia 2Corinzi 5:18-21. Qual cuore può rimaner insensibile in presenza di un Dio, da noi offeso, che stende verso di noi le braccia dicendoci: «Sii riconciliato con me per mezzo di Cristo?». E c'è egli da stupire se chi è ribelle e contraddicente si «ammassa un tesoro d'ira pel giorno dell'ira? Dimensione testo: Indirizzo di questa pagina: Indirizzo del testo continuo: |