Commentario abbreviato:

Matteo 18

1 Capitolo 18

L'importanza dell'umiltà Mt 18:1-6

Ammonizione contro le offese Mt 18:7-14

L'eliminazione delle offese Mt 18:15-20

Comportamento verso i fratelli, La parabola del servo infedele Mt 18:21-35

Versetti 1-6

Cristo ha detto molte parole sulle sue sofferenze, ma solo una sulla sua gloria; eppure i discepoli si sono fissati su quella e hanno trascurato le altre. Molti amano sentir parlare di privilegi e di gloria, mentre sono disposti a passare sotto silenzio il pensiero del lavoro e dei problemi. Nostro Signore mise davanti a loro un bambino piccolo, assicurando solennemente che, se non si fossero convertiti e non fossero diventati come bambini piccoli, non avrebbero potuto entrare nel suo regno. I bambini, quando sono molto piccoli, non desiderano l'autorità, non badano alle distinzioni esteriori, sono privi di malizia, sono insegnabili e dipendono volentieri dai loro genitori. È vero che presto iniziano a mostrare altre disposizioni e che in età precoce vengono insegnate loro altre idee; ma questi sono segni dell'infanzia e li rendono emblemi appropriati delle menti umili dei veri cristiani. Sicuramente abbiamo bisogno di essere rinnovati ogni giorno nello spirito della nostra mente, per diventare semplici e umili, come piccoli bambini, e disposti a essere gli ultimi di tutti. Studiamo ogni giorno questo argomento ed esaminiamo il nostro spirito.

7 Versetti 7-14

Considerando l'astuzia e la malizia di Satana e la debolezza e la depravazione del cuore degli uomini, non è possibile che ci siano offese. Dio li permette per fini saggi e santi, affinché si conoscano coloro che sono sinceri e coloro che non lo sono. Avendo già detto che ci saranno seduttori, tentatori, persecutori e cattivi esempi, stiamo in guardia. Dobbiamo, per quanto lecito, separarci da ciò che non possiamo conservare senza rimanere invischiati nel peccato. Le occasioni esteriori di peccato devono essere evitate. Se viviamo secondo la carne, dobbiamo morire. Se, per mezzo dello Spirito, mortifichiamo le opere del corpo, vivremo. Cristo è venuto nel mondo per salvare le anime, e farà i conti con coloro che ostacolano il progresso di altri che guardano al cielo. E qualcuno di noi rifiuterà l'attenzione a coloro che il Figlio di Dio è venuto a cercare e a salvare? Un padre si prende cura di tutti i suoi figli, ma è particolarmente tenero con i più piccoli.

15 Versetti 15-20

Se un cristiano professo è vittima di un torto da parte di un altro, non dovrebbe lamentarsene con altri, come spesso si fa solo su segnalazione, ma recarsi dall'offensore in privato, esporre la questione con gentilezza e mostrargli la sua condotta. In genere, questo avrebbe l'effetto desiderato da un vero cristiano e le parti si riconcilierebbero. I principi di queste regole possono essere praticati ovunque e in ogni circostanza, anche se sono troppo trascurati da tutti. Ma quanti pochi provano il metodo che Cristo ha espressamente raccomandato a tutti i suoi discepoli! In tutte le nostre azioni dobbiamo cercare di orientarci nella preghiera; le promesse di Dio non sono mai troppo apprezzate. Ovunque e in qualsiasi momento ci riuniamo nel nome di Cristo, dobbiamo considerarlo presente in mezzo a noi.

21 Versetti 21-35

Sebbene viviamo interamente di misericordia e di perdono, siamo arretrati nel perdonare le offese dei nostri fratelli. Questa parabola mostra quante provocazioni Dio abbia dalla sua famiglia sulla terra e quanto siano sgarbati i suoi servi. Ci sono tre cose nella parabola: 1. La meravigliosa clemenza del padrone. Il debito del peccato è così grande che non siamo in grado di pagarlo. Vedete qui cosa merita ogni peccato; questo è il salario del peccato, essere venduti come schiavi. È una follia di molti, che sono fortemente convinti dei loro peccati, pensare di poter soddisfare Dio per il male che gli hanno fatto. 2. L'irragionevole severità del servo nei confronti del suo compagno, nonostante la clemenza del suo signore nei suoi confronti. Non che si possa fare luce sul torto subito dal prossimo, perché anche questo è un peccato contro Dio; ma non dobbiamo aggravare il torto subito dal nostro prossimo, né cercare di vendicarci. Le nostre lamentele, sia per la malvagità dei malvagi che per le afflizioni degli afflitti, devono essere portate a Dio e lasciate a lui. 3. Il padrone rimproverò la crudeltà del suo servo. La grandezza del peccato ingigantisce le ricchezze della misericordia; e il senso confortevole della misericordia perdonante fa sì che i nostri cuori siano disposti a perdonare i nostri fratelli. Non dobbiamo pensare che Dio perdoni effettivamente gli uomini e che poi faccia il conto delle loro colpe per condannarli; ma quest'ultima parte della parabola mostra le false conclusioni che molti traggono sul fatto che i loro peccati sono stati perdonati, anche se la loro condotta successiva dimostra che non sono mai entrati nello spirito o hanno sperimentato la grazia santificante del Vangelo. Se non perdoniamo di cuore, non perdoniamo bene il fratello che ci ha offeso. Ma questo non basta: dobbiamo cercare il benessere anche di coloro che ci offendono. Come saranno giustamente condannati coloro che, pur portando il nome di cristiani, persistono in un trattamento non misericordioso dei loro fratelli! Il peccatore umiliato si affida solo alla misericordia gratuita e abbondante, attraverso il riscatto della morte di Cristo. Cerchiamo sempre più la grazia rinnovatrice di Dio, che ci insegni a perdonare gli altri come speriamo di essere perdonati da Lui.

Commentario del Nuovo Testamento:

Matteo 18

1 CAPO 18 - ANALISI

1. Il maggiore ed il minimo nel regno di Dio. Traversando la Galilea, dopo la trasfigurazione del Signore, gli apostoli avevano intavolato fra loro una discussione suggerita forse, in parte, dalla gelosia dell'onore conferito ai tre apostoli che furono testimoni di quel fatto, relativamente a quel di loro che avrebbe occupato il posto più insigne nel regno terreno, il quale, secondo loro il Signore doveva tosto fondare. Gesù lesse i loro pensieri, ma per allora non li interruppe. Però, giunti che furono a Capernaum, egli volle dar loro idee sempre più profonde sulla natura del suo regno, per soffocare le loro aspettative meramente carnali. Chiamatili dunque a sé Marco 9:33, domandò loro dell'argomento sul quale camminando, avevano disputato. Dapprincipio, rimasero in silenzio, perché si vergognavano di confessarlo; ma finalmente, facendosi coraggio, lo palesarono, domandando senz'altro: "Chi è il maggiore nel regno dei cieli?". È questa, a parer nostro, la più naturale e facile spiegazione, che dar si possa, della differenza lievissima che si trova fra Matteo e Marco circa il modo con cui questo argomento fu introdotto Matteo 18:1. Il Signore, chiamando a sé un fanciullino e facendolo stare in mezzo a loro, intese esemplificare la risposta che voleva dare. Prima parlò di conversione cioè di un completo cambiamento di mente e di disposizioni, come primo requisito in chi voglia entrare nel regno dei cieli, significando con ciò ch'essi non avevano ancora l'umiltà, la mitezza, la docilità volonterosa che si trova nei piccoli fanciulli; e ch'essi dovevano sbarbicare del tutto dal cuor loro l'orgoglio, la fiducia in sé medesimi ed ogni carnale ambizione, per poter essere considerati veramente come figli del regno Matteo 18:2-3. Procede quindi a rispondere direttamente alla loro domanda, dichiarando che nel regno del Messia, il più grande, nella stima del Monarca, è il più umile, e il più rassomigliante nelle disposizioni del suo spirito a un bambinello, il quale non porta alta opinione di sé, non ha mire ambiziose; e per tutto quello di che abbisogna, ricorre, il suo padre con fiducia e riposa con piena letizia nell'amor suo Matteo 18:4.

2. Onore in mezzo all'umiltà. A ciò il Signore provvede dichiarando ai discepoli che, sebbene non si dovessero presentare al mondo con fasto e possanza umana, coloro i quali scandalizzerebbero questi umili e timidi semi del Re Messia, incorrerebbero in punizioni così tremende, che l'esser gettati nel mare con una macina attaccata al collo sarebbe stato, a petto ad esse, un lieve castigo. Né questa promessa, piena di grazia, si restringeva agli apostoli soli; Gesù la estende ad ognuno di quei piccoli che credono in lui, dovunque si trovino Matteo 18:5-6. Che siffatti scandali verso i discepoli del Signore dovessero sorgere dal mondo, ben lo sapeva il Salvatore, che perciò disse: "Guai" a coloro che ne sarebbero la cagione. Nel tempo stesso, con parole figurate ma energiche, Egli esorta gli uomini a non esporsi alla esecuzione delle sue minacce; e come ragione di ciò egli dice che quei piccoli non debbono essere dispregiati per l'onore che il Padre pone su di loro, e per il valore che Cristo conferisce loro come a persone che, già perdute, furono poi ricercate, ritrovate, e da Lui salvate Matteo 18:7-14.

3. Come dobbiamo contenerci verso i fratelli che ci offendono. Le offese non ci vengono soltanto dal mondo; ci vengono talvolta anche dai fratelli e dai membri del regno del Messia. Gesù c'insegna il contegno che dobbiamo tenere con costoro, e stabilisce la disciplina che devo essere applicata nella Chiesa. Primieramente, l'offeso deve caritatevolmente parlare da solo a solo coll'offensore, mostrandogli il suo torto e invitandolo a ripararvi. Le parole: "Se ti ascolta, avrai guadagnato il tuo fratello", sembrano indicare che in molti casi questi mezzi saranno coronati di felice riuscita. Se l'offensore si ostina sarà bene ripetere la prova in presenza di due o tre testimoni; se questa non produce il suo effetto, si dovrà ricorrere alla disciplina pubblica ecclesiastica la quale, in caso di ostinazione, viene seguita dalla scomunica. Questa decisione solenne, pronunziata dalla Chiesa in nome di Cristo, Gesù promette di confermarla colla sua presenza dove due o tre di loro saranno adunati nel nome suo Matteo 18:15-20.

4. Quante volte si debba perdonare. Questo problema viene posto in forma interrogativa da, Pietro, il quale, senza dubbio, credeva di mostrarsi largo e liberale assai, proponendo come al massimo sette volte. Ma se così la pensava, dovette meravigliarsi moltissimo quando il suo Maestro gli ebbe risposto: "fino a settanta volte sette"; venendo così a dichiarare che all'offensore pentito si vuole accordare un perdono senza confini. La necessità di un siffatto spirito di perdono, il nostro Signore la conforta colla parabola dei due debitori, facendo di questa una solenne applicazione al suo uditorio Matteo 18:21-35.

Matteo 18:1-9. GLI APOSTOLI DISPUTANO FRA LORO INTORNO AL PRIMATO. CRISTO DEFINISCE CHI SIA IL MAGGIORE, E CHI IL MINORE, NEL REGNO DEI CIELI Marco 9:33-50; Luca 9:46-48.

Per l 'esposizione vedi Marco 9:33-50.

3 3. In verità, io vi dico: Se non mutate

Questo verbo significa voltarsi, cambiare di direzione; lasciare un modo di vivere o di pensare per seguirne un altro. La parola viene spesso usata nella Scrittura a significare quel gran cambiamento che chiamasi rigenerazione, o "nuova nascita". Prendendola qui in questo senso, essa chiude in sé una verità grande e solenne, cioè che qualunque cognizione teorica del regno di Cristo abbia un uomo, egli non può entrarvi né partecipare alle benedizioni che trovansi in esso, se non ha sperimentato un tal, cambiamento. Detta qui in senso generico, questa espressione non implica che qualche apostolo fosse ancora inconvertito, come Giuda; ma sembra avere qui il senso medesimo col quale il nostro Signore l'applicò più tardi a Pietro Luca 22:32, per significare non già il primo passaggio "dalle tenebre alla luce", ma quel cambiamento che è necessario in coloro, i quali sebbene già discepoli di Cristo, conservano pur sempre molto orgoglio, egoismo, carnalità e peccati, dei quali debbono pentirsi; e nutrono ancora sulla verità divina idee imperfette e troppo poco spirituali.

e non diventate come i piccoli fanciulli, non entrerete punto nel regno dei cieli. Chi pertanto si abbasserà come questo piccolo fanciullo,

cioè: "diventerà umile come è questo piccolo fanciullo". Qui vediamo sotto quale aspetto il fanciullino viene proposto a modello del cristiano: non già per la innocenza relativa della infanzia, ma perché i bambini sentono d'esser deboli, bisognosi di ammaestramento, e con semplicità di spirito si pongono alla dipendenza di chi può e sa più di loro. Il bambino, insomma, sente di esser bambino, e non altro.

è lui il maggiore nel regno dei cieli.

Tale egli è per due ragioni: 1 perché quella infantile semplicità ed umiltà comprende la vittoria su due capitali peccati: l'orgoglio e l'egoismo; 2 perché la diffidenza di sé medesimi è il terreno dal quale può nascere una alta e stabile fede 2Corinzi 12:9-10; 1Pietro 5:5. Notiamo l'antitesi fra "entrare" ed "essere il maggiore" nel regno dei cieli. La prima domanda che noi dobbiamo farei è questa: "Siamo noi veramente entrati nel regno e divenuti umili come piccoli fanciulli?". Se possiamo rispondere affermativamente, non disputeremo mai per stabilire chi di noi è il maggiore. Quindi, se alcuno volesse assumere tendenze gerarchiche, o dare sfogo a siffatti sentimenti, si avrebbe il diritto di dubitare della sua conversione. Questo versetto dimostra che la gerarchia ecclesiastica è incompatibile col regno dei cieli.

PASSI PARALLELI

Matteo 19:13-14; 1Re 3:7; Geremia 1:7; Marco 9:36-37

10 Matteo 18:10-14. RAGIONI PER LE QUALI I DISCEPOLI DI CRISTO, SEBBENE UMILI DI SPIRITO, NON DEBBONO ESSERE DISPREZZATI Luca 17:1-2

La prima delle ragioni accennate da Gesù si trova nel vers. 5, Matteo 18:5 ed è questa: Che essi sono uniti con lui.

10. Guardatavi dal disprezzare alcuno di questi piccoli perché io vi dico, che gli angeli loro: nei cieli, vedono del continuo la faccia del Padre mio, che è ne' cieli.

Ecco una seconda ragione per cui questi piccoli, siano essi bambini, o principianti nella fede, o umili discepoli di Gesù, non debbono essere disprezzati: Iddio Padre li tiene in particolare onoranza e ha dato ai suoi angeli l'incarico di "guardarli in tutte le loro vie". Coloro che sono da Dio onorati come "suoi ministri, per fare ciò che gli piace" Salmo 103:21, sono parimenti da lui costituiti come "spiriti amministratori mandati a servire a pro di quelli che hanno da ereditare la salvezza" Ebrei 1:14. Alcuni, appoggiandosi sopra Atti 12:15, dove la parola angelo ha il senso di spirito, dànno alla parola "angeli" il senso di spiriti dei trapassati. La ragione per cui il Salvatore proibisce di disprezzarli sarebbe che i loro spiriti, dopo la morte, abitano nella presenza di Dio. Quest'uso della parola angelo non ha esempi né nella Scrittura, né negli autori classici, e deve quindi essere rigettato. Gli Ebrei credevano fermamente negli angeli custodi e supponevano che ogni uomo avesse il suo, destinato a proteggerlo. Questa idea fu adottata dai primi padri della Chiesa nello spiegare questo passo; ed alcuni dei più recenti critici tennero loro dietro. Non conosciamo sufficientemente le funzioni degli angeli e le loro relazioni cogli uomini, e troppo poco ce ne parla la Scrittura, perché possiamo dire che questa dottrina degli angeli custodi è assurda o falsa. Il ministero degli angeli quale ci è rivelato merita di essere studiato assai più di quel che non si faccia oggidì dai credenti Vedi Salmo 24:7; 90:11; Atti 5:19; 12:7; Matteo 4:6. Tuttavia, non si trova né qui, né altrove, una base qualsiasi per il culto che la Chiesa di Roma tributa agli angeli Apocalisse 19:10; 22:8. L'ultima parte del versetto trae la sua significazione dall'uso vigente nelle regie corti della terra, ove l'avere accesso libero, in ogni momento, alla presenza del re, viene considerato come un segno di favore particolare, e come un pegno certo di protezione: or quanto maggior segno di onoranza per quei "piccoli" è questo, che Jehova permetta ai servi, che a loro ministrano, un libero accesso alla sua gloriosa presenza! Uno degli espositori recenti di questo passo, il teologo scozzese D. Brown, scrive: "Fra gli uomini, quelli che sono chiamati ad allevare e educare i figli dei re, per quanto sieno in sé stessi umili, si trovano ad avere, in virtù dell'ufficio, l'accesso libero presso il Sovrano e un grado di familiarità, che non ardiscono assumere neppure i più alti funzionari dello Stato. Ora, il nostro Signore probabilmente vuol significare che, in virtù del loro ministero presso i suoi discepoli, gli angeli devono presentarsi davanti al trono di Dio, dove sono bene accolti, ed usano di una certa familiarità nel trattare col Padre celeste: favori questi ed agevolezze che per sé medesimi non potrebbero godere".

PASSI PARALLELI

Matteo 6:14; 12:20; Salmo 15:4; Zaccaria 4:10; Luca 10:16; Romani 14:1-3,10,13-15,21

Romani 15:1; 1Corinzi 8:8-13; 9:22; 11:22; 16:11; 2Corinzi 10:1,10; Galati 4:13-14; 6:1

1Tessalonicesi 4:8; 1Timoteo 4:12

Matteo 1:20; 2:13,19; 24:31; Genesi 32:1-2; 2Re 6:16-17; Salmo 34:7; 91:11

Zaccaria 13:7; Luca 16:22; Atti 5:19; 10:3; 12:7-11,23; 27:23; Ebrei 1:14

2Samuele 14:28; 1Re 22:19; Ester 1:14; Salmo 17:15; Luca 1:19

11 11. Poiché il Figliuol dell'uomo è venuto a salvare ciò che era perito.

Il vers. 11. e autentico, costituirebbe una terza ragione per non disprezzare i piccoli. Dio li ama e Gesù è venuto a salvarli a prezzo del proprio sangue. Il versetto manca però nei MSC. Vaticano e Sinaitico ed è ritenuto non autentico qui. Lo si legge in Luca 19:10.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:12-13; 10:6; 15:24; Luca 9:56; 15:24,32; 19:10; Giovanni 3:17; 10:10

Giovanni 12:47; 1Timoteo 1:15

12 12. Che vi par egli? Se un uomo ha cento pecore, ed una di queste si smarrisce, non lascerà egli le novantanove sui monti per andare in cerca della smarrita? 13. E se gli riesce di ritrovarla, in verità, vi dico ch'egli si rallegra più di questa, che delle novantanove che non si erano smarrite.

Per la esposizione vedi Luca 15:3. Gesù ha adoprato più volte le stesse similitudini in circostanze diverse. L'amor di Dio si dimostra tanto nel cercare chi si è tenuto finora lontano, come nel ricondurre all'ovile chi se n'è temporaneamente allontanato. L'amor di Dio per queste sue pecore erranti deve indurre i fedeli a guardarsi dallo scandalizzare anche uno dei loro minimi fratelli. È più conforme al greco il tradurre: "lascerà le novantanove sui monti", ove possono trovare pastura.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:28; 22:42; 1Corinzi 10:15

Matteo 12:11; Salmo 119:176; Isaia 53:6; Geremia 50:6; Ezechiele 34:16,28; Luca 15:4-7

Giovanni 10:11-21; 1Pietro 2:25

1Re 21:17; Ezechiele 34:6,12

Salmo 147:11; Isaia 53:11; 62:5; Geremia 32:37-41; Michea 7:18; Sofonia 3:17

Luca 15:5-10,23-24; Giovanni 4:34-36; Giacomo 2:13

15 Matteo 18:15-20. OFFESE RECATE DAI FRATELLI, E DISCIPLINA DELLA CHIESA DI CRISTO

15. Se poi il tuo fratello ha peccato contro di te,

È possibile che il Signore, voglia alludere alla disputa che poco prima si era impegnata fra i discepoli, per sapere chi di loro fosse il maggiore ed accennare al medesimo tempo agli ostacoli e alle offese che questi avrebbero incontrate nel mondo Matteo 18:7-10: da ciò alle offese che i membri della Chiesa avrebbero recate l'uno all'altro, era naturale il passaggio. Pur troppo dovevano intervenire le offese anche fra i cristiani, ed importava quindi stabilire come tali fratelli offensori dovessero essere trattati dalla Chiesa sino alla fine dei secoli, e non solo fra gli apostoli, Abbiamo qui una regola precisa, e la Chiesa di Cristo, in tutti i suoi rami, deve in ogni epoca conformarsi a quella, come a legge disciplinare da Cristo determinata per la sua casa. L'uso del, singolare "il tuo fratello", mostra che il Signore parla di dovere personale, indirizzandosi ai discepoli non come ad apostoli, ma come ad individui cristiani. La parola usata per significare l'offesa è avrà peccato contro, e il precetto si riferisce ai torti o piati di natura privata Levitico 19:17-18.

va', e riprendilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato il tuo fratello;

L'uomo offeso deve adoperare prima un mezzo privato: parlare all'offensore cortesemente e con spirito cristiano, ma direttamente e da solo a solo. Il Signore proibisce del pari di nutrire contro l'offensore un rancore segreto nel cuore, e di scagliare ingiurie contro di lui in presenza di altri fratelli, o innanzi al mondo miscredente. Noi dobbiamo, con urbanità e mitezza, cercare l'offensore, prenderlo a parte e ragionare con lui, mostrandogli il suo errore: se egli confessa il suo torto e lo ripara, noi abbiam reso maggior servizio a lui, che giustizia a noi stessi. Noi l'avremo guadagnato con suo gran profitto, a pensieri più giusti, ed a migliore contegno; lo, avremo condotto a stringere amicizia più affettuosa con noi; lo avremo acquistato per la Chiesa di Cristo, alla quale la sua condotta, se vi persisteva e se fosse stata conosciuta pubblicamente, avrebbe fatto disonore. Se questa regola fosse stata sempre osservata, quante, inimicizie fra persone una volta intimamente legate, e quanti scandali che turbarono la Chiesa di Cristo, si sarebbero potuti prevenire! Talvolta l'orgoglio non permette all'offeso di fare il primo passo; in altri casi l'acerbità dell'animo o delle parole amareggia l'abboccamento, irrita la piaga, ed allarga la scissura; ovvero uno spensierato cicaleccio, o la passione della vendetta, portano di bocca in bocca l'offesa e la esagerano, finché il paese tutto ne è pieno, e l'offensore rifiuta, nel suo puntiglio, di piegarsi a ritrattazione o transazione, alcuna.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:35; Levitico 6:2-7; Luca 17:3-4; 1Corinzi 6:6-8; 8:12; 2Corinzi 7:12; Colossesi 3:13

1Tessalonicesi 4:6

Levitico 19:17; Salmo 141:5; Proverbi 25:9-10

Proverbi 11:30; Romani 12:21; 1Corinzi 9:19-21; Giacomo 5:19-20; 1Pietro 3:1

16 16. ma, se non ti ascolta, prendi teco ancora una o due persone: affinché ogni parola sia confermata per bocca di due, o di tre testimoni.

È questo il secondo passo che colla sua regola, disciplinare, il Signore ci comanda. Se l'abboccamento privato non riesce, noi dobbiamo tornare dall'offensore, accompagnati da due o tre comuni amici, uomini di provata riputazione religiosa, i quali sien testimoni se, e quanto, sia giusta la nostra doglianza, e quanto fraternamente ci siamo comportato verso il nostro offensore; affinché questi, messo e persuaso da loro e da noi, s'induca a riconoscere il proprio fallo. Nel caso poi di non avvenuta riconciliazione il biasimo della prima offesa e della fallita riconciliazione, quando occorra portare la questione davanti alla Chiesa, ricadrà, per la testimonianza di costoro, non sopra di noi, ma sopra di lui. Presso gli Ebrei, per dar forza legale ad un'accusa o dimostrare un reclamo, si richiedevano almeno due testimoni Deuteronomio 19:15; Giovanni 8:17; 2Corinzi 13:1; Ebrei 10:28; e Gesù Cristo, ad evitare che nella sua Chiesa si facessero ingiustizie o si lanciassero false accuse, adotta la medesima regala.

PASSI PARALLELI

Numeri 35:30; Deuteronomio 17:6; 19:15; 1Re 21:13; Giovanni 8:17; 2Corinzi 13:1; 1Timoteo 5:19

Ebrei 10:28; 1Giovanni 5:7-8; Apocalisse 11:3

17 17. E, se rifiuta di ascoltarli, dillo alla chiesa;

Ecco il terzo passo che deve fare l'offeso quando l'offensore non si sia mosso, in forza dei primi due, a pentimento: egli deve citarlo dinanzi alla chiesa, affinché sia giudicato in una maniera più formale, ed al tempo stesso più solenne. Fino a qual punto debba essere esteso o ristretto il vocabolo chiesa, non è qui il luogo di discutere; basti il dire che qui non si parla certo, come alcuni supposero, della Sinagoga ebraica, perché a questa mai potrebbero convenire le parole di Matteo 18:18-20. Né queste parole possono, come gl'interpreti romani vorrebbero, significare: "Ascolta i vescovi", imperocché un'adunanza di ecclesiastici dalla quale vengono esclusi i laici negando loro il voto deliberativo o legale, non corrisponde né all'antico uso classico di questa parola, né a quello del Nuovo Testamento; senza parlare del fatto che in nessun luogo più che qui sarebbe fuor di proposito parlare di gerarchia, mentre poco prima il Redentore aveva fatto un rabbuffo ai suoi discepoli a motivo dei loro sogni di grandezza. Sebbene la parola Chiesa, oltreché alla società locale dei credenti, possa estendersi alle congregazioni federate di una data regione, nel caso in parola qui, la disciplina deve esser applicata dall'assemblea grande o piccola della congregazione stessa alla quale appartiene l'offensore. Siffatto provvedimento disciplinare che non esclude l'appello a tribunali ecclesiastici superiori è certamente il mezzo prescritto dal Signore per ricondurre al bene coloro che si ostinano nei loro errori o peccati; e come è da aspettarsi, quando è fedelmente eseguito, produce sovente gli effetti migliori. L'applicazione della disciplina richiede, però vita spirituale, abnegazione, zelo per la purezza del corpo di Cristo, che è la Chiesa e amore per le anime dei colpevoli. Queste cose, necessarie in tutti i tempi, lo sono più specialmente ai giorni nostri, nei quali il rifiuto della Santa Cena ad un membro scandaloso viene spesso considerato come un attentato alla libertà civile. Le Chiese nazionali protestanti d'Europa non praticano più siffatta disciplina; né quella stessa che vige nelle Chiese libere da ogni ingerenza dello Stato è tale, quale si richiede dalla legge divina: eppure senz'essa non vi potrà esser mai né vita spirituale, né purità di condotta nell'antica Chiesa evangelica d'Italia, né in altra qualsiasi.

e se rifiuta di ascoltare anche la chiesa, stati come il pagano, e il pubblicano.

È questa l'ultima misura disciplinare che Cristo mette in mano alla sua Chiesa. Gli Ebrei riguardavano i pubblicani come scomunicati; parificati ai pagani, non avevano nessun diritto ai privilegi del popolo d'Israele. Il nostro Signore, senza approvare o disapprovare l'applicazione di questa disciplina nella sinagoga, prescrive che se l'offensore ricusa di ascoltare il consiglio e di sottomettersi alla sentenza della Chiesa, egli sia trattato come un pubblicano od un pagano: sia considerato, cioè, come separato dalla Chiesa e non più come fratello. Confronta 2Tessalonicesi 3:14-15; 1Timoteo 1:20. Fu conformemente a quest'ordine che nella Chiesa di Corinto un atto severissimo di disciplina fu esercitato per ordine espresso di Paolo, senza parlare del caso di Anania e Saffira, che fu miracoloso 1Corinzi 5:1-5.

PASSI PARALLELI

Atti 6:1-3; 15:6-7; 1Corinzi 5:4-5; 6:1-4; 2Corinzi 2:6-7; 3Giovanni 9-10

Romani 16:17-18; 1Corinzi 5:3-5,9-13; 2Tessalonicesi 3:6,14-15; 1Timoteo 6:5; 2Giovanni 10-11

Matteo 6:7; Esdra 6:21; Ezechiele 11:12; 2Corinzi 6:14-17; Efesini 4:17-19; 5:11-12

Matteo 5:46; 11:19; 21:31-32; Luca 15:1; 18:11; 19:2-3

18 18. Io vi dico in verità che tutte le cose che avrete legate sulla terra saranno legate nel cielo, e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra saranno sciolte nel cielo.

I versetti antecedenti contengono le regole di disciplina stabilite da Cristo relativamente agli offensori: questo contiene l'autorizzazione data alla Chiesa dal suo Capo, per la loro applicazione. Cotesta facoltà viene data ai membri della Chiesa riuniti in assemblea, colle medesime parole colle quali venne conferito a Pietro ed, ai suoi compagni il potere delle, chiavi, ma si riferisce qui specialmente all'esercizio della disciplina. La sentenza della Chiesa, quando sia presa sotto la guida dello Spirito e in armonia colla legge di Cristo, riceve la sanzione divina che talvolta nei tempi apostolici, è resa manifesta da un qualche flagello corporale 1Corinzi 5:5; 1Timoteo 1:20.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:19; Giovanni 20:23; Atti 15:23-31; 1Corinzi 5:4-5; 2Corinzi 2:10; Apocalisse 3:7-8

19 19. Ed anche, in verità, vi dico: Se due di voi sulla terra, s'accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio, che è ne' cieli.

Questa promessa fu fatta a tutti i credenti sino alla fine dei secoli, e non agli apostoli soltanto, come vogliono alcuni. Dal contesto si vede che Gesù fece questa bella promessa immediatamente dopo aver dato alcune regole di disciplina, indicando così che quelli che hanno l'incombenza di esercitare quella disciplina, devono ricorrere a Dio, il quale darà loro la saviezza di cui hanno bisogno. La promessa però non applicasi esclusivamente alle grandi radunanze della Chiesa, ma eziandio alle piccole, e perfino a quelle nelle quali due fratelli soltanto si riuniscono per offrire preghiere a Dio sopra un soggetto speciale. Applicando questa promessa alle più piccole radunanze possibili, Gesù ha per scopo di togliere ogni scusa a quelli che, perché poco numerosi trascurano di riunirsi per pregare. La parola che ha maggior importanza in questo passo è si accordano, la quale indica quella "sinfonia", quell'intima unione di due cuori nella medesima, fede e nelle stesse aspirazioni, che lo Spirito Santo solo può produrre, e che è, per conseguenza, conforme alla volontà di Dio. Giacomo e Giovanni non l'intesero subito. Vedi Marco 10:35. Ecco alcuni esempi che provano l'efficacia della preghiera fatta in comune Ester 4:16; Daniele 2:17-18; Atti 1:14; 12:5,12.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:24; 21:22; Marco 11:24; Giovanni 15:7,16; Atti 1:14; 2:1-2; 4:24-31; 6:4

Atti 12:5; Efesini 6:18-20; Filippesi 1:19; Giacomo 5:14-16; 1Giovanni 3:22; 5:14-16

Apocalisse 11:4-6

Giovanni 14:13-14; 16:23

20 20. Poiché, dovunque due, o tre, sono radunati nel nome mio,

Questo versetto dimostra, in primo luogo, che l'essenza della Chiesa è indipendente dalle forme ecclesiastiche e dalla varietà dei riti e delle cerimonie, e condanna implicitamente il formalismo. Si osservi, in secondo luogo, quanto la libertà, spirituale, sotto l'economia evangelica, è superiore a quella dell'antica Alleanza. Secondo l'interpretazione rabbinica della legge di Mosè, non poteva aprirsi sinagoga in alcuna città o villaggio, ove si trovassero meno di dieci persone libere di concorrervi in modo che il numero legale fosse sempre assicurato. In forza della qual legge molti villaggi della Giudea e della Galilea venivano ad esser privi dell'opportunità quotidiana di adorare Dio e di sentir leggere la sua legge. "Non sarà però", dice il Signore, "che alcun ostacolo siffatto impedisca i miei dal godere i privilegi spirituali, perché "dovunque due, o tre, son radunati nel nome mio, quivi son io in mezzo a loro"; e tutte le benedizioni che io prometto alla mia Chiesa, essi pure possono chiederle e goderle. Né sarà dimenticato o negletto da Dio quegli che prega in solitudine, poiché la promessa piena di grazia contenuta in Isaia 57:1,5 non può esser mai ritrattata. Questo, viene qui detto a conforto dei credenti, onde si uniscano insieme per invocare il nome di Cristo, sia pur ristretto il loro numero da principio. Egli è in questo modo appunto, che il lievito della dottrina di Cristo può spandersi nel mondo.

quivi son lo in mezzo a loro.

Se Cristo altro non fosse stato che un uomo, un siffatto parlare avrebbe dovuto chiamarsi bestemmia o pazzia. Milioni d'uomini, ad un medesimo tempo, in ogni parte del globo, invocano il suo Nome e sperimentano la verità della promessa ch'egli è con loro. Se Gesù non fosse Dio, egli non potrebbe trovarsi in tutti questi luoghi contemporaneamente. Con queste parole il nostro Signore pone il fondamento sul quale riposa la preziosa promessa dell'antecedente versetto. Da un canto, non c'è intercessore che presenti le preghiere nostre innanzi al trono del Padre, se non Gesù medesimo: ogni preghiera ch'egli presenta, è certo che verrà accettata ed otterrà una benigna risposta, perché santificata dal sangue di colui che il Padre esaudisce sempre; e, dall'altro canto, egli è un mediatore onnipotente, il quale abita sempre col suo popolo per mezzo del suo vivente Spirito, onde rispondere alle loro preghiere. Così egli accompagna le preghiere in cielo e riaccompagna la risposta in terra.

PASSI PARALLELI

Genesi 49:10; Giovanni 20:19,26; 1Corinzi 5:4; 1Tessalonicesi 1:1; Filemone 2

Matteo 28:20; Esodo 20:24; Zaccaria 2:5; Giovanni 8:58; Apocalisse 1:11-13; 2:1; 21:3

21 Matteo 18:21-35. FINO A QUAL PUNTO SI POSSA PERDONARE. PARABOLA DEL SERVO PERDONATO, CHE NON PERDONA

21. Allora Pietro, accostatosi, gli disse: Signore, quante volte peccando il mio fratello contro di me, gli perdonerò io?

Gli ordinamenti disciplinari da Gesù prescritti alla sua Chiesa, suppongono prontezza a perdonare. Se il nostro fratello riceve la nostra ammonizione e fa la pace, dobbiamo perdonargli; non aveva però il Signore specificato quante volte dovesse questo perdono concedersi e Pietro pensava che fosse cosa da avere un limite. Si vede dalla sua domanda ch'egli credeva fosse il perdono una cosa tutta esterna, da valutarsi in quantità, anziché una cosa interiore e spirituale.

fino a sette volte?

Questa proposta del numero sacro, benché respinta da Cristo, oltrepassa le prescrizioni del Talmud, il quale deduce da Amos 1:3; 2:6; Giobbe 33:29-30, che si deve perdonare fino a tre volte, ma non fino a quattro. Certamente Pietro accrebbe quel numero, nel sentimento che la legge d'amore portata da Cristo nel mondo, legge assai più larga e longanime dell'antica, ciò richiedesse.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:15; Luca 17:3-4

22 22. E Gesù a lui: Io non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

In Luca 17:3-4, Gesù rammenta il numero sette in relazione al perdono delle ingiurie, ma non nel senso di Pietro, come un preciso limite; anzi ingiunge di perdonare sette volte nel medesimo giorno, se l'offensore viene a chiedere perdono; il che, nel fatto, equivale alla risposta ch'è nel testo dinanzi a noi. "Lungi dal pensare", dice egli, "che sette volte sia un confine ampio abbastanza io vi dico che, se intendete calcolare questo dovere con numeri, dovete moltiplicare il vostro sette per settanta"; vale a dire che "voi non dovete giammai ricusare il perdono, quando vi sia sinceramente richiesto". Alcuni critici sostituiscono qui l'addizione alla moltiplicazione; così invece di 7 X 70 = 490, dicono 7 + 70 = 77; ma la massima parte degli scrittori ritengono come genuina la moltiplicazione dei numeri: e veramente ella sembra più appropriata assai dell'altra a simboleggiare un perdono senza fine. La parabola che segue, non meno che il ragguaglio della conversazione da cui prese origine, si trovano solamente in Matteo.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:11-12,14-15; Isaia 55:7; Michea 7:19; Marco 11:25-26; Romani 12:21

Efesini 4:26,31-32; 5:1; Colossesi 3:13; 1Timoteo 2:8

23 23. Perciò,

vale a dire: "Per dichiarare ancora meglio quello che ho detto, cioè, che avendo voi medesimi ottenuto di entrare nel mio regno mediante il mio perdono, non avete il diritto di ricusare né di limitare il perdono quando altri sinceramente ve lo chiede, io vi porterò una parabola":

il regno dei cieli è simile ad un re,

Lett. ad un uomo-re, per contrapposto al Re del cielo. È questa la prima parabola nella quale Iddio comparisce nel suo carattere di Re.

Il quale volle fare i conti

Questo rendiconto, fu il re medesimo che lo volle, ed ai sottoposti non fu dato né evitarlo, né opporvisi. Non è questo però il rendiconto finale, di cui parlasi in Matteo 25:19. Iddio fa i conti con noi ogni volta che gli piace di rammentarci i nostri peccati, facendoci sentire che anche i più segreti, egli "li mette alla luce della sua faccia" Salmo 90:8, e dimostrandoci, colla sua Parola, colla sua Provvidenza, col suo Spirito, quanto abbiamo bisogno del suo perdono.

con i suoi servitori.

Non si tratta qui di servitori ordinari, poiché uno era debitore di diecimila talenti. Erano probabilmente ministri di Stato, o esattori d'imposte, sebbene ciò non implicasse di necessità ch'essi fossero nati liberi. Dai monarchi orientali, gli schiavi emancipati venivano spesso elevati a cariche di gran fiducia: così avvenne di Daniele in Babilonia. A ogni modo, che non fossero schiavi è cosa chiara, poiché risulta dalla narrazione, che il Re poteva venderli, non già per il solito diritto, ma perché il loro debito li metteva a sua mercé. Nel linguaggio orientale vedi Erodoto, tutti i sudditi d'un monarca. Inclusi i suoi ministri di Stato, eran chiamati "servi". Coloro che Cristo redense dalla schiavitù del peccato e dai lacci di Satana, sono pur sempre "sotto la legge di Cristo" e sono servi di Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:2; 13:24,31,33,44-45,47,52; 25:1,14

Matteo 25:19-30; Luca 16:1-2; 19:12-27; Romani 14:12; 1Corinzi 4:5; 2Corinzi 5:10-11

24 24. Ed avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno, ch'era debitore di diecimila talenti.

Dal testo risulta che il Re chiamò a rendere conto in primo luogo i più alti funzionari. Per un servo subalterno, sarebbe stato impossibile contrarre un sì grosso debito, senza farsi scoprire. Probabile cosa è che il conto si facesse in talenti attici di argento; giacché, se trattato si fosse di oro, la somma, sarebbe stata enorme. Il valore del talento d'argento viene calcolato diversamente Secondo Calmet Dizionario della Bibbia, il ragguaglio sarebbe questo: 1 Mina = 100 danari = L. It. 71,30; 60 Mine = 6000 danari = 1 Talento L. It. 4278; dunque 10000 talenti sarebbero L. It. 42780000. Secondo il calcolo di Lange Commentario su Matteo: 1 Mina = 100 danari = L. It. 78,12; 60 Mine = 600 danari = 1 Talento = L. It. 4687,20; dunque 10000 talenti equivarrebbero a L. It. 46872000. La grandezza del qual debito risalterà ancora maggiormente, quando si pensi al fatto, ricordato in 2Cronache 25:6, che il re Amasia poté arruolare un esercito di 100000 uomini con 100 talenti d'argento, e che tutto quanto l'oro adoperato nella costruzione del Tabernacolo nel deserto, sebbene profuso, non superò i 29 talenti Esodo 38:24. Il servitore non si sarebbe mai presentato volontariamente, anzi si sarebbe, se fosse stato possibile, sottratto a quel rendiconto; ma troppo assoluto era il comandamento del Re. Iddio scruta il cuore, e, volere o no, s'impadronisce della nostra coscienza.

PASSI PARALLELI

Luca 7:41-42; 13:4

Luca 16:5,7

1Cronache 29:7; Esdra 9:6; Salmo 38:4; 40:12; 130:3-4

25 25. E, non avendo egli di che pagare, il suo signore comandò ch'egli fosse venduto lui con la moglie, e i suoi figliuoli, e tutto quanto avea, e che il debito fosse pagato.

Per la legge giudaica, se un ladro non aveva tanto da restituire il maltolto, poteva il derubato farlo vendere come schiavo Esodo 22:3; un debitore insolvente poteva vendere sé medesimo, od esser venduto dal creditore Levitico 25:39,47; ed i figli d'un debitore defunto si potevano sequestrare 2Re 4:1; onde possiamo dedurne che si potevano anche vendere. Confrontate Deuteronomio 15:12; Geremia 34:14; ed anche Isaia 50:11; 1Re 21:20; 2Re 17:17, ove trovansi allusioni metaforiche a siffatti usi. In questa parabola però la similitudine è tratta dal dispotismo orientale, poiché, sotto la legge mosaica, quella vendita veniva mitigata dalla liberazione obbligatoria all'epoca del giubileo. Anche l'idea della prigione e degli aguzzini Matteo 18:30,34, favorisce questa congettura, essendo cose che non hanno che fare colla legge giudaica. La punizione qui, sebbene rigorosa, concordava colla legge e colle costumanze; il reo non si lagnò della sentenza come ingiusta; egli chiese solamente pietà. Quando un uomo, il quale, per lungo tempo, ha resistito alla propria coscienza ed a Dio, viene finalmente costretto ad aprire il proprio cuore all'Onnisciente, e ad esaminare se stesso, egli scopre che il suo debito è indicibilmente grande. La somma qui nominata non è un'esagerazione; non indica essa tutta quanta la reità che Iddio scopre nel peccatore, la quale gli viene rimproverata dalla sua coscienza? il momento nel quale il peccatore si trova faccia a faccia con DIO, oppresso dal proprio peccato, è tremendo! in quell'istante la legge compie l'opera sua, terribile ma pure misericordiosa, di convincimento.

PASSI PARALLELI

Levitico 25:39; 2Re 4:1; Nehemia 5:5,8; Isaia 50:1

26 26. Onde il servitore, gittatosi a terra, gli si prostrò dinanzi, dicendo: Abbi pazienza con me, e ti pagherò tutto.

La promessa di pagare non indica altro che il suo desiderio di scampare; prometteva, non perché sperasse di poter mantenere, ma perché era questo il miglior mezzo di sfuggire il castigo. Egli pensava di ottenere grazia promettendo di saldare l'intiero debito. Ecco l'immagine d'un peccatore, cui la parola di Dio coi suoi rabbuffi, e la coscienza con i suoi rimorsi convincono di peccato, ma che non si è umiliato davanti a Dio, e non ha ancora ottenuto la sua grazia il primo sentimento che gli nasce in cuore, lo spinge a dire: "Abbi pazienza inverso me, ed io ti pagherò tutto". Ch'egli speri seriamente di adempiere alla promessa, può esser dubbio; ma certamente egli pensa che è impossibile di soddisfare Iddio altrimenti. Infatti, il primo proponimento d'una coscienza conturbata è sempre: "Io pagherò tutto". L'uomo vuol fare ammenda dei peccati passati col pentimento, fidando nella futura obbedienza.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:29; Luca 7:43; Romani 10:3

27 27. E il signor di quel servitore, mosso a compassione, lo lasciò andare, e gli rimise il debito.

Il Re mosso a compassione, non solo aderì alla sua richiesta, ma gli concesse al di là di quello che egli aveva ardito domandare o sperare: "gli rimise il debito!". È questa un'immagine ammirabile, di ciò che "Iddio suole fare col peccatore". Iddio non obbliga il reo a mantenere la promessa temeraria ch'egli fa; egli non lo tratta secondo i suoi meriti, ma secondo i suoi bisogni, concedendogli un perdono immediato, completo e senza condizioni. Questo perdono appartiene a chiunque l'accetta con riconoscenza e senza riserve. Il servo, come il seguito dimostra, non l'aveva accettato con questo sentimento.

PASSI PARALLELI

Giudici 10:16; Nehemia 9:17; Salmo 78:38; 86:5,15; 145:8; Osea 11:8

28 28. Ma quel servitore, uscito, trovò uno dei suoi conservi, che gli dovea cento denari: ed afferratolo lo strangolava, dicendo: Paga quel che devi!

Costui non aveva mai sentito né pentimento profondo né gratitudine vera, altrimenti non avrebbe mostrato una simile spietatezza; riconoscente, avrebbe tosto fatto partecipare alla sua gioia il suo debitore. La somma dovutagli dal suo conservo ammontava a 100 denari romani, cioè a lire 80 circa. Il debitore perdonato che non perdona, rappresenta l'uomo che tremò nel sentimento del suo peccato, e all'idea del giudizio, ed avendo udito e ricevuto il Vangelo per qualche tempo, si sentì liberato dai suoi timori. Passato il momento in cui Dio scosse l'anima sua egli è ricaduto di nuovo nel mondo! Fu impaurito, ma non convertito; non ricevette il perdono, ma solo una sospensione del castigo. Il timore è passato per il momento, ma non è subentrata la fede. Appena gli si presenta la tentazione, la sua non domata carnalità riprende vita e vigore.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:2

Deuteronomio 15:2; Nehemia 5:7,10-11; 10:31; Isaia 58:3; Ezechiele 45:9

29 29. Onde il conservo, gittatosi a terra lo pregava, dicendo: Abbi pazienza con me, e ti pagherò. 30. Ma colui non volle; anzi andò, e lo cacciò in prigione, finché avesse pagato il debito.

Il suo conservo non nega di essere suo debitore, ma si contiene e parla con lui precisamente come egli aveva fatto col Re. Così il rigore che lo spietato usa senza rimorso è in diretta opposizione colla misericordia da esso implorata e ottenuta. Un uomo, che ha ricevuto da Dio il perdono dei suoi peccati, è stato lievemente offeso da un suo simile, e benché questi gli chiegga pietà nel modo stesso col quale egli testè l'aveva chiesta a Dio, non però la ottiene: il che prova ch'egli medesimo non aveva accettato la misericordia offertagli da Dio. Se avesse aperta l'anima sua all'eterna fonte della misericordia, per riceverla, la misericordia medesima ne sarebbe sgorgata a richiesta del suo fratello che la implorava. Ma nessuna compassione scaturì da quel cuore a rinfrancare l'anima del suo prossimo angustiato, perché quel suo cuore non si era veramente aperto a ricevere la misericordia di Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:26; Matteo 6:12; Filemone 18-19

31 31. Or i suoi conservi, veduto il fatto, ne furono grandemente contristati, e andarono a riferire al loro signore, tutto l'accaduto.

L'indignazione provata dai conservi, e che li induce a riportare il fatto al loro padrone, rappresenta ciò che gli uomini sentono contro l'ingratitudine di coloro che sono stati largamente beneficati. Quel re terreno aveva bisogno d'essere informato, ma lo scrutatore dei cuori non ne ha bisogno. Pure, non è improbabile che il nostro Signore, parlando di quel che fecero "i conservi", avesse l'intenzione di alludere alle preghiere di intercessione a favore dei perseguitati contro, i loro oppressori, le quali vengono fatte di continuo da coloro che temono il Signore e odiano l'ingiustizia e l'oppressione. Se l'oppressore potesse udire tutte le voci che gridano vendetta contro di lui, ed "entrano nell'orecchie del Signore degli eserciti" Giacomo 5:4, egli tremerebbe!

PASSI PARALLELI

1Re 21:27-29; 22:27

32 32. Allora il suo signore lo chiamò a se, e gli disse:

Questa intimazione al servo infedele di comparire in presenza del suo Signore indica senza dubbio il rendiconto finale nel giorno del giudizio.

Malvagio servitore, io t'ho rimesso tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti; 33. non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come anch'io ebbi pietà di te?

innanzi di castigarlo, il re gli rinfaccia seriamente la vergognosa ed irragionevole condotta da lui tenuta, dopo essere stato perdonato, e gl'infligge una doppia punizione. Questo è analogo al giudicio di Matteo 25:41.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:26; Luca 19:22; Romani 3:19

Matteo 5:44-45; Luca 6:35-36; Efesini 4:32; 5:1-2; Colossesi 3:13

34 34. E il suo signore, adirato, lo diede in man degli aguzzini,

letter. tormentatori, Noi sappiamo che nell'antica Roma i debitori incarcerati erano consegnati al "tormentatore", affinché egli li costringesse al pagamento. Nell'Oriente, ove spesso accade che le persone, le quali si dichiarano insolvibili, posseggono dei tesori nascosti, la tortura è tuttora applicata ai debitori per costringerli a dichiarare dove trovansi i loro tesori; o, se non ne hanno, per eccitare la compassione dei loro amici, affinché paghino per loro. Se noi consideriamo il senso spirituale della parabola, l'uso della parola "tormentatori" desta in noi idee terribili di castigo.

fino a tanto che avesse pagato tutto ciò che gli doveva.

Cioè fino alla fine della vita, perché costui non avrebbe mai potuto pagare. Quindi, questo rappresenta la sentenza che pronunzierà il giudice all'ultimo giorno Matteo 25:41. È questo uno dei passi che i teologi romani recano con qual ragione, lo lasciamo giudicare al lettore a conforto della dottrina del purgatorio Vedi note Matteo 5:26; e "Il Purgatorio", del dott. Desanctis, cap. 4.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:25-26; Luca 12:58-59; 2Tessalonicesi 1:8-9; Apocalisse 14:10-11

35 35. Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognun di voi non perdonerà di cuore al proprio fratello.

La sorgente del perdono da uomo a uomo, sta nel perdono gratuito dato da Dio. Se, siamo perdonati da Dio, volentieri perdoneremo al fratello. Di cuore, ecco la natura del perdono caratteristico del cristiano, che non è un semplice atto esterno. Gesù c'insegna in questo versetto che Iddio tratterà i cristiani di nome, i quali ricusano il perdono ai loro fratelli offensori, secondo lo stesso principio che animava la condotta del re verso il suo servo ingrato. Il fatto che quei sedicenti cristiani non si mostrano pietosi verso i loro simili, attesta chiaramente che i loro cuori non sono ancora rigenerati, e che perciò il Signore non userà pietà inverso a loro.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:12,14-15; 7:1-2; Proverbi 21:13; Marco 11:26; Luca 6:37-38; Giacomo 2:13

Proverbi 21:2; Geremia 3:10; Zaccaria 7:12; Luca 16:15; Giacomo 3:14; 4:8; Apocalisse 2:23

RIFLESSIONI

1. Imprimiamo profondamente nei nostri cuori le parole: "se non siete mutati", perché, per natura, niuno di noi è degno di vivere al cospetto di Dio, e, per giungere a tale stato, dobbiamo avere "un cuor puro ed uno spirito ben disposto" Salmo 51:11. La prova più sicura della vera conversione è l'umiltà; coloro dunque che hanno ricevuto lo Spirito Santo, lo dimostrano con una disposizione di spirito mite ed infantile.

2. Guardiamoci dal mettere pietre d'intoppo sulla via dei nostri simili. Noi lo facciamo tutte le volte che operiamo in maniera da distogliere gli uomini dalla via della salvazione, o disgustarli della religione. Direttamente, noi possiamo far ciò perseguitando, canzonando, combattendo, o dissuadendo le persone risolute di servire Cristo; indirettamente, menando una vita in Conciliazione colla religione che professiamo, e che rende il cristianesimo deforme e disprezzabile. Tutte le volte che noi ci comportiamo in tal guisa lo dice con chiare parole il Signore commettiamo un peccato grave, che sarà punito in modo terribile.

3. Ciò dovrebbe renderci più coscienziosi nella nostra condotta. Quante divergenze e scissure scandalose verrebbero risparmiate, se noi fossimo più pronti a mettere in pratica la regola che Gesù ci dà qui per sopire le differenze fra un fratello e l'altro: "Và e riprendilo fra te e lui solo!". Felice la Chiesa, felice il mondo tutto, se questa regola fosse più accuratamente studiata e seguita!

4. Considerando quelle parole di Cristo: "Dillo alla Chiesa!", chi vorrà mai negare che la disciplina della Chiesa non sia conforme alla volontà di Dio; e che, saviamente esercitata, non possa concorrere alla salute e alla prosperità della Chiesa medesima? Che un uomo qualunque, anche malvagio ed empio, possa accostarsi alla mensa del Signore, senza che alcuno lo ammetta, o glielo proibisca, è cosa che non può considerarsi giusta. Ogni cristiano è in obbligo di fare il suo possibile per impedire un tale stato di cose. In questo mondo non si può ottenere una comunione perfetta; il nostro scopo dev'essere la purità, ed una Chiesa prospererà, se, per appartenervi, si richiederanno sempre più alti requisiti spirituali.

5. Quelle parole: "Dovunque due o tre son radunati nel Nome mio, quivi son io in mezzo a loro", ci somministrano una prova lampante della divinità di Cristo, poiché solamente Dio può essere in più luoghi al medesimo tempo. Tutti coloro che amano di radunarsi insieme per motivi di religione, trovare debbono in quelle parole un conforto grande; ogni volta che gli uomini si radunano per pubblico culto, per adorazione o preghiera, o per leggere la Bibbia, il Re dei re è presente fra loro, vi assiste Gesù in persona. Non v'è dunque ragione di scoraggiamento se assistiamo a riunioni poco frequentate. E qual solenne rimprovero contengono quelle parole contro coloro che trascurano il culto pubblico, e non intervengono mai alle radunanze religiose!

6. Il nostro Signore, colla sua risposta a Pietro e colla parabola che la segue, c'insegna che noi dobbiamo sempre esser disposti al perdono. Questa regola però vuol essere applicata con senno e discretezza. Certo, il Signor nostro non intende che le offese contro la legge dello Stato, o contro l'ordine sociale debbono rimanere impunite; non vuole che si rubi od uccida a man salva; vuole bensì che noi perdoniamo le offese private fatteci dai nostri fratelli. Di pari passo col perdono deve procedere la fedeltà. Per esempio: se tu permetti ad un fratello di offenderti a, tutto piacere suo, e gli perdoni senza far altro, tu non sei meritevole di approvazione; tu devi fedelmente rimproverargli in segreto il suo peccato, e, se egli non ti ascolta, trattarlo secondo l'ordine datoci da Cristo, esortandolo prima davanti a due o tre testimoni poi riferendone alla chiesa, affinché egli stesso, e tutti con lui, conoscano che tu non gli meni buona la sua colpa.

7. La parabola c'insegna che il perdono dei gran debiti che abbiamo verso Dio precede il perdono dei piccoli debiti che noi dobbiamo rimetterei scambievolmente; e che quello è il principio che in noi genera la disposizione al perdono, ed è il modello che dobbiamo imitare. Quando ci poniamo sotto la potenza dell'amore di Cristo che ci perdona, siamo spinti a perdonarci gli uni gli altri.

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