Commentario abbreviato:

Luca 14

1 Capitolo 14

Cristo guarisce un uomo in giorno di sabato Lc 14:1-6

Insegna l'umiltà Lc 14:7-14

Parabola del gran banchetto Lc 14:15-24

La necessità di considerazione e abnegazione Lc 14:25-35

Versetti 1-6

Questo fariseo, come altri, sembra aver avuto un cattivo disegno nell'intrattenere Gesù a casa sua. Ma il Signore non volle impedirsi di guarire un uomo, pur sapendo che si sarebbe sollevato un clamore per averlo fatto di sabato. È necessario comprendere la giusta connessione tra pietà e carità nell'osservanza del sabato e la distinzione tra le opere di reale necessità e le abitudini di autoindulgenza. La saggezza dall'alto insegna la paziente perseveranza nel bene.

7 Versetti 7-14

Anche nelle azioni comuni della vita, Cristo segna ciò che facciamo, non solo nelle nostre assemblee religiose, ma anche a tavola. In molti casi vediamo che l'orgoglio di un uomo lo porterà in basso, e prima dell'onore c'è l'umiltà. Il nostro Salvatore insegna che le opere di carità sono migliori delle opere di ostentazione. Ma nostro Signore non intendeva dire che una liberalità orgogliosa e incredula dovesse essere premiata, bensì che il suo precetto di fare del bene ai poveri e agli afflitti dovesse essere osservato per amore verso di lui.

15 Versetti 15-24

In questa parabola osservate la grazia gratuita e la misericordia di Dio che risplendono nel Vangelo di Cristo, che sarà cibo e festa per l'anima di un uomo che conosce i propri bisogni e le proprie miserie. Tutti trovavano qualche pretesto per rimandare la loro partecipazione. Questo rimprovera la nazione ebraica per aver trascurato le offerte della grazia di Cristo. Mostra anche l'arretratezza che c'è nel rispondere alla chiamata del Vangelo. La mancanza di gratitudine in coloro che trascurano le offerte del Vangelo e il disprezzo che ne deriva per il Dio del cielo lo provocano giustamente. Gli apostoli si rivolsero ai Gentili, quando i Giudei rifiutarono l'offerta; e la Chiesa ne fu riempita. Le disposizioni prese per le anime preziose nel Vangelo di Cristo non sono state fatte invano, perché se alcuni rifiutano, altri accetteranno con gratitudine l'offerta. I poveri e gli umili del mondo saranno benvenuti a Cristo tanto quanto i ricchi e i grandi; e molte volte il Vangelo ha il massimo successo tra coloro che si affaticano per gli svantaggi del mondo e le infermità fisiche. La casa di Cristo sarà finalmente piena; lo sarà quando il numero degli eletti sarà completato.

25 Versetti 25-35

Anche se i discepoli di Cristo non sono tutti crocifissi, tuttavia tutti portano la loro croce e devono portarla nella via del dovere. Gesù li invita a tenerne conto e poi a considerarla. Il nostro Salvatore lo spiega con due similitudini: la prima mostra che dobbiamo considerare le spese della nostra religione; la seconda, che dobbiamo considerare i pericoli che essa comporta. Sedetevi e contate il costo; considerate che costerà la mortificazione del peccato, anche delle passioni più amate. Il peccatore più orgoglioso e audace non può opporsi a Dio, perché chi conosce la potenza della sua ira? È nostro interesse cercare la pace con Lui, e non abbiamo bisogno di chiedere condizioni di pace: ci vengono offerte e sono di grande vantaggio per noi. In qualche modo un discepolo di Cristo sarà messo alla prova. Cerchiamo di essere davvero discepoli e stiamo attenti a non diventare pigri nella nostra professione o a non temere la croce, in modo da essere il sale buono della terra, per condire coloro che ci circondano con il sapore di Cristo.

Commentario del Nuovo Testamento:

Luca 14

1 CAPO 14 - ANALISI

1. Convito nella casca del Fariseo e guarigione di un idropico in giorno di Sabato. Durante il suo viaggio, Gesù fu nuovamente, invitato da un Fariseo, che forse era il capo della sinagoga di quel paese, a desinare in casa sua, in giorno di Sabato, e i detti di Cristo ricordati in questo capitolo, fino al vers. 24, furono tutti pronunziati in quella casa. Per quanto fosse amaro l'odio che aveano per lui, i Farisei continuarono ad invitare qualche volta Gesù ai loro conviti, e lo stesso amore per le anime, che lo spinse a mangiar coi peccatori e coi pubblicani, lo costrinse ad accettare pure tali inviti, nella speranza di farvi del bene a qualcuno. Dalle spiegazioni già date, Note Luca 7:37; Matteo 9:10, della presenza in tale occasione di persone non invitate, non deve stupirci se un uomo affetto di idropisia si trovasse vicino alla porta del Fariseo, o nel cortile interno della casa. Sia che vi fosse venuto da sé per curiosità o nella speranza di esser guarito, Gesù s'accorse, che la brigata stava spiando se lo guarirebbe o no in giorno di sabato; e senza aspettare che alcuno ne parlasse, domandò egli stesso ai dottori della legge ed ai Farisei presenti se fosse lecito guarire in tal giorno. Nessuno arrischiandosi a rispondere, Gesù guarì subito quell'uomo e lo rimandò a casa sua. Quindi rivoltosi agli astanti, li attaccò coll'argomento stesso di cui già si era servito dopo aver guarito il paralitico. Essi che, senza esitazione e senza credersi trasgressori della legge divina, correvano a ritirare il loro asino o il loro mulo dal fosso se vi fosse caduto in giorno di sabato, potevano essi dire che la miracolosa guarigione da lui operata era un atto meno misericordioso o meno legittimo che il trar dalla fossa un animale domestico? Era un argomento inconfutabile, e tutti tacquero Luca 14:1-6.

2. Una lezione d'umiltà. L'orgoglio dei Farisei manifestavasi segretamente nel rivendicare gelosamente i loro diritti alle distinzioni ed alla precedenza così nelle pubbliche adunanze, come nei convegni privati. Di loro già avea detto Gesù: «Amano i primi luoghi a tavola nei conviti e i primi seggi nelle raunanze» Matteo 23:6, e lo dimostrò in questo caso il correre di ognuno per occupare il più alto triclinio intorno alla tavola del Fariseo. Qui ammiriamo di nuovo il coraggio e la fedeltà di Gesù nel riprendere il peccato favorito degli ostili suoi uditori, benché non ci fosse nessuno per secondarlo. Presenta loro in parabola, una mensa i cui primi posti erano stati presi al assalto dai convitati che si credevano meritevoli delle più alte distinzioni; quando il padrone di casa entra, accompagnato da un invitato cui voleva specialmente onorare, si avanza per farlo sedere nel più alto triclinio e trovatolo occupato da uno che avea di sé migliore opinione che non ne avesse il suo ospite, impone a questi di abbandonare il posto usurpato, e lo manda tutto vergognoso a seder in un posto più umile. Per evitar tale umiliazione, Gesù consiglia loro in tali circostanze di cercar modestamente gli ultimi posti aspettando che il padron di casa, se crede, li faccia salire in luogo più eccelso. Tale umiltà nel giudicar dei proprii meriti, tal prontezza a preferir gli altri a se stessi, col tempo otterranno per chi li pratica, maggiori onori per parte degli uomini e s'accordano col principio del governo morale di Dio «che chiunque s'inalza sarà abbassato, e chiunque s'abbassa sarà inalzato» Luca 14:7-11.

3. I ricchi esortati a convitare i poveri. Osservando Gesù che alla mensa del Fariseo sedevano, secondo l'uso, i suoi congiunti o ricchi vicini che gli renderebbero l'invito, si volge ora a lui, ed esorta così lui come i suoi convitati a non seguir più una regola conducente solo ad uno scambio di consimili cortesie, bensì ad invitare alle loro feste i poveri, i disgraziati, i bisognosi, dai quali non potevano sperar ricompensa terrena; così facendo mostrerebbero un disinteresse ed una prontezza, ad osservar la legge: «Ama il tuo prossimo come te stesso», che verranno certamente ricompensati nel gran giorno in che il Giudice darà a ciascuno secondo le sue opere Luca 14:12-14.

4. La Parabola della Gran Cena. Questa pure fu detta a tavola in casa del Fariseo, e fu suggerita dal detto di uno dei convitati, il quale, udendo parlare delle ricompense dell'ultimo giorno, e adottando la nozione popolare, secondo la quale lo stato celeste dovrà essere un continuo convito, aveva esclamato: "Beato chi mangerà del pane nel regno di Dio!" tenendo per sicuro, che come Israeliti e Farisei, quella beatitudine era loro assicurata. In questa parabola il Signore sviluppa l'idea di una festa, suggerita da colui che avea, parlato, e mostra che il grande convito (cioè il regno di Dio), già era preparato, ma che per la mondanità e l'indifferenza dei primi convitati, i quali si erano scusati sotto varii pretesti, i posti erano vuoti, e il Padrone avea mandati i suoi servi nelle strade e nelle piazze, ad invitar persone di una classe affatto diversa, che sarebbero contentissimo di accettare, dimodoché non rimarrebbe più posto per quelli cui era stato prima riserbato l'onor dell'invito. Il convito rappresenta il regno della grazia quaggiù, e della gloria più tardi: gli sprezzatori dell'invito sono i Giudei, i discendenti dei Patriarchi; i poveri e gli storpi usciti dalle dimore della miseria nelle viuzze della città, o di sotto alle siepi lungo le strade, i pubblicani, le donne di mala vita ed i Gentili i quali, per la penitenza, stavano per entrare nel regno di Cristo Luca 14:15-24.

5. L'esser discepoli involve sacrifizii. Bisogna contare il costo. Avvicinandosi la festa di Pasqua, la comitiva che accompagnava Gesù s'accrebbe di molte persone provenienti da tutti i distretti al N. della Samaria, e dalle parti settentrionali della Perea, per esservi presente, e presto divenne una moltitudine. Molti di questi lo aveano probabilmente seguito quando predicava in Galilea, e gli erano favorevoli; raggiungendolo ora per istrada, si misero della sua compagnia, dichiarandosi discepoli suoi. A prevenire ogni allusione ed ogni sbaglio, il Signore immediatamente dichiara loro quali disposizioni egli richiedesse da quelli che allora o poi gli volevano divenir discepoli. Per esser tale non bastano le rumorose professioni, o il portare in pubblico una divisa od emblemi speciali: occorre una divozione per lui così assorbente ed uno zelo per onorarlo e per fare avanzare il suo regno in sulla terra così grande, da non indietreggiar dinanzi a qualsiasi sacrifizio, e neppur dinanzi al martirio. Una professione che domanda tali sacrifizii ed espone a tanti rischi non deve venir fatta temerariamente e in ignoranza; se ne devon pesare i vantaggi e i pericoli e le prove, prima di farne la scelta, perché è impossibile servire a due signori. Gesù illustra la necessità di pensarci seriamente prima di divenire i suoi discepoli con due esempi tratti dalla vita comune: quello di un costruttore il quale prudentemente si diede a calcolare l'intero costo di una torre che egli vuol costruire, prima di dare un solo colpo di piccone a scavarne le fondamenta, per timor di dovere abbandonare l'impresa a metà, per mancanza di mezzi, colle beffe di tutti; e quello di un re, il quale, in procinto di dichiarare la guerra, esamina la sua situazione, e avvedendosi che l'esercito nemico è più poderoso del suo, intavola subito trattative di pace. Così conviene a chiunque vuol divenir discepolo di Cristo, sedersi e considerare se è pronto, coll'aiuto della grazia che gli viene offerta, a sottomettersi fino all'ultimo rigore alla condizione: «Niuno di voi, il quale non rinunzia a tutto ciò che egli ha, può esser mio discepolo». Il Signore chiude questo discorso, ammonendo i suoi uditori, che come il sale, benché di gran valore, in sé, diviene inutile e atto solo ad esser buttato via, se perde le sue qualità pungenti ed antisettiche, così l'uomo che si è dichiarato suo discepolo, diviene cosa di niun valore, spregevole e nocivo, quando egli «perde il suo sapore», vale a dire quando vien tiepido, timido, formale, e simile «al mondo che giace nel maligno» Luca 14:25-35.

Luca 14:1-24. CONVITO IN CASA DI UN FARISEO, IN GIORNO DI SABATO. INSEGNAMENTI DI CRISTO IN TALE CIRCOSTANZA

Guarigione di un idropico, Luca 14:1-6

1. or avvenne che, essendo egli entrato la casa d'uno de' principali de' Farisei,

Il greco dice: uno dei rettori che erano Farisei, ossia che appartenevano alla setta dei Farisei. La parola rettore, nel Nuovo Testamento indica ugualmente un membro del Sinedrio, il capo di una sinagoga, ed un magistrato civile, e si applica a quest'uomo nell'uno o nell'altro di questi sensi. Come setta, i Farisei non avevan capi uffiziali, e se vien preferita la versione di Diodati, essa può significare unicamente che il suo rango, il suo sapere, e la sua influenza gli davano, come a Gamaliele ed altri, una superiorità morale sul comune dei Farisei.

in giorno di sabato, a mangiare,

a mangiar pane, era la formola solita di un invito ad una festa grande o piccina. Siccome i Farisei proibivano rigorosamente di cucinar qualsiasi cosa in giorno di Sabato, il convito dovette esser molto semplice, benché fossero parecchi i convitati. Secondo il loro codice di morale, il passare dell'ore in vane conversazioni, nella casa gli uni degli altri, non costituiva una violazione, del Sabato; ma far bollire una pignatta, infornar del pane, o arrostir, della carne, avrebbe messo in pericolo le anime loro. Non ci maravigliamo dunque se Gesù li chiama ipocriti!

essi l'osservavano.

Questi «essi» erano evidentemente parenti, amici ed altri membri della sua setta che il Fariseo aveva invitati, ed il loro contegno verso Gesù subito che egli compare, mostra che quell'invito non era stato fatto per un fine amichevole, ma nella speranza che, fra tante spie, qualcuna scoprirebbe in lui qualche parola od atto per cui lo si potesse condannare.

PASSI PARALLELI

Luca 7:34-36; 11:37; 1Corinzi 9:19-22

Giovanni 3:1; Atti 5:34

Luca 6:7; 11:53-54; 20:20; Salmi 37:32; 41:6; 62:4; 64:5-6; Proverbi 23:7; Isaia 29:20

Isaia 29:21; Geremia 20:10-11; Marco 3:2

2 2. Ed ecco, un certo uomo Idropico era quivi davanti a lui.

La curiosità o qualche speranza di guarigione possono aver condotto costui in casa del Fariseo, poiché tutti vi aveano accesso durante i pasti; ma potrebbe anche essere che ve l'avessero fatto venire i nemici di Gesù, nella speranza di trovare, per mezzo di esso, una qualche accusa contro a lui.

3 3. E Gesù prese a dire a' dottori della legge, ed a' Farisei: È egli lecito di guarire alcuno in giorno di sabato? 4. Ed essi tacquero.

Gesù vedendosi spiato e leggendo nei loro cuori la speranza che nutrivano di fargli del male, si rivolse pel primo ai Farisei, e sopratutto ai Dottori, il cui dovere uffiziale era di spiegar la legge, domandando loro di dire chiaramente se, secondo la legge mosaica, era lecito guarire in giorno di Sabato, o di citare un testo che lo proibisse. Sorpresi da questo attacco, né potendo citare un passo della legge che proibisse un'opera di tanta misericordia, rimangono silenziosi, per quanto si rodano di rabbia in cuore.

4 Allora, preso colui per la mano, lo guarì, e lo licenziò 5. Poi fece lor motto, e disse: Chi è colui di voi, che, se il suo asino, o bue, cade in un pozzo, non lo ritragga prontamente fuori nel giorno del sabato? 6. Ed essi non gli potevano rispondere nulla in contrario a queste cose.

Dopo aver miracolosamente guarito l'infermo, ed averlo rimandato tutto giulivo a casa sua, Gesù confonde anche maggiormente i suoi avversari, mostrando loro che, accadendo di Sabato qualche disgrazia ai loro animali domestici, si credevan lecito di liberarli, anche a costo di fatiche cento volte più grandi del semplice toccare col quale egli guariva un ammalato. In molti MSS trovasi figlio, invece di asino, ed Alford, Godet ed altri critici moderni l'adottano come la vera lezione: ma sono contrari ad essa il Codice Sinaitico. ed altri MSS, ed insieme a Stier, Olshausen e Oosterzee, la rigettiamo come quella che introduce un elemento estraneo nel discorso, perché v'ha qui evidentemente una conclusio a minori ad majus che quasi sarebbe distrutta se al «bue» si unisse il «figlio». L'analogia di Matteo 12:11, è pure favorevole al testo ricevuto. «La lezione», dice Oosterzee, «par doverci attribuire ad un copista ignorante desioso di mettere in bocca al Signore una parola più forte di quella che gli attribuiva il testo ricevuto; e volendo in tal guisa rinforzar la parola, egli in realtà l'indebolì». Lo stesso convincentissimo argomento Gesù lo avea già usato nella guarigione dell'uomo dalla mano secca. Per la esposizione vedi note Matteo 12:11-12.

PASSI PARALLELI

Luca 11:44-45

Luca 6:9; 13:14-16; Matteo 12:10; Marco 3:4; Giovanni 7:23

Matteo 21:25-27; 22:46

Luca 13:15; Esodo 23:4-5; Daniele 4:24; Matteo 12:11-12

Luca 13:17; 20:26,40; 21:15; Atti 6:10

7 

Una lezione di umiltà, Luca 14:7-11

7. Ora, considerando come essi eleggevano i primi luoghi a tavola, propone questa parabola agl'invitati, dicendo:

Nei conviti, i commensali giacevano su letti o materassi disposti intorno ad una tavola che trovavasi nel mezzo della stanza. Si chiamavan quei letti triclinii perché ciascuno poteva dar luogo a tre persone, il posto di mezzo in ognuno essendo il più onorevole. Fra i Giudei il primissimo posto era quello di mezzo nel triclinio posto in capo alla mensa, e questo era occupato dal padron di casa, o dal capo della festa. Naturalmente la vicinanza degli altri letti a quello indicava il rango delle persone che occupavano il posto di mezzo in ognuno, Vedi Nota Matteo 23:6. Il veder tutti precipitarsi per occupare quei posti d'onore alla mensa del Fariseo, indusse il Signore a pronunziare l'esortazione che segue. Il nostro evangelista la chiama parabola, non già nel senso ristretto di un paragone di un caso immaginario riferito come accaduto, ma, in quello più generico di una grave istruzione fondata in sul fatto allora occorso, essendo intenzione sua, non di inculcare la cortesia o le buone maniere, bensì la vera umiltà, come appare dal ver. 11. Bengel osserva: «È una lezione presa dai modi esterni, ma si riferisce ai principii interni». Non v'ha luogo di supporre che il Signore abbia qui in vista il convito nel regno di Dio, del quale parla più avanti, ma solo la grazia della vera umiltà, di cui tanto difettavano gli astanti, L'idea che il Signore così parlasse perché si aspettava che a lui, ed ai suoi discepoli verrebbero offerti i primi posti alla mensa, è troppo sconveniente per fermarvisi.

PASSI PARALLELI

Giudici 14:12; Proverbi 8:1; Ezechiele 17:2; Matteo 13:34

Luca 11:43; 20:46; Matteo 23:6; Marco 12:38-39; Atti 8:18-19; Filippesi 2:3; 3Giovanni 9

8 8. Quando tu sarai invitato da alcuno a nozze,

Con molta delicatezza, Gesù evita ogni apparenza di personalità, scegliendo come illustrazione una festa differente da quella cui erano allora invitati, cioè un convito a nozze, nella quale si darebbe molta importanza all'etichetta.

non metterti a tavola nel primo luogo; che talora alcuno più onorato di te non sia stato invitato dal medesimo; 9. E che colui che avrà invitato te e lui, non venga, e ti dica: Fa' luogo a costui e che allora tu venga con vergogna, a tener l'ultimo luogo.

Il verbo qui tradotto venga è differente dal precedente, e significa letteralmente «cominci a prendere», e, come osserva Mayer, esprime un moto esitante di ritirata cagionato da un sentimento di vergogna.

PASSI PARALLELI

Proverbi 25:6-7

Ester 6:6-12; Proverbi 3:35; 11:2; 16:18; Ezechiele 28:2-10; Daniele 4:30-34

10 10. Ma, quando tu sarai invitato, va' mettiti nell'ultimo luogo; acciocché, quando colui che ti avrà invitato verrà, ti dica: Amico, sali più in su. Allora tu ne avrai onore appresso coloro che saran teco a tavola.

La parabola è così vivente che non ha d'uopo di spiegazioni. Ognuno può figurarsi l'umiliazione dell'uomo, il quale avendo stimato sé stesso troppo alto, deve ritirarsi, e il rispetto e l'attenzione accordate dalla brigata all'uomo modesto forse sconosciuto fino allora, che il padrone di casa sceglie per onorarlo in modo così segnalato. La sostanza di questa parabola si trova in Proverbi 25:6-7; ma si apparteneva a «Colui che è maggiore di Salomone», l'applicarla come regola obbligatoria del suo regno ad ognuno qualunque sia il suo rango nel mondo.

PASSI PARALLELI

1Samuele 15:17; Proverbi 15:33; 25:6-7

Isaia 60:14; Apocalisse 3:9

11 11. Perciocché chiunque s'innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato.

V'ha nel cuore umano una tendenza naturale ad umiliar l'uomo arrogante ed imperioso; ma non vi si trova la tendenza corrispondente ad esaltare chi è modesto e meritevole; da questo ci distolgono la gelosia e l'alta stima che abbiamo di noi stessi. Ma Gesù, il quale nel suo ministero terreno, insistette talmente sul dovere dell'umiltà, dichiara che il principio contenuto in questo versetto egli lo impone in tutta la sua estensione a tutti i suoi seguaci, e che egli stesso lo applica nel suo governo morale, confondendo gli orgogliosi, ma «avendo riguardo agli umili». Questo fatto c'insegna che la religione di Gesù deve regolare la nostra condotta esterna, non meno che la nostra vita spirituale. Con tali precetti, il Signore aumenta il numero delle occasioni che abbiamo di ubbidirgli, e rende sempre più necessaria la sua giornaliera presenza al nostro fianco.

PASSI PARALLELI

Luca 1:51; 18:14; 1Samuele 15:17; Giobbe 22:29; 40:10-12; Salmi 18:27; 138:6

Proverbi 15:33; 18:12; 29:23; Isaia 2:11,17; 57:15; Matteo 23:12; Giacomo 4:6

1Pietro 5:5

12 

I ricchi esortati a festeggiare i poveri, Luca 14:12-14

12. Or egli disse a colui che l'avea invitato

L'esortazione precedente, Gesù l'avea rivolta a tutti, questa specialmente al suo ospite, come rappresentante di quelli che avean l'abitudine di far dei conviti in casa loro. Probabilmente questo Fariseo, nel fare i suoi inviti, era mosso dal vano desiderio di avere in casa sua gli uomini più ricchi e più notevoli, anziché da franca e cordiale ospitalità, perciò egli avea particolarmente bisogno di essere ammonito a questo riguardo; il che non toglie che l'ammonizione qui data domandi l'attenzione di tutti.

Quando tu farai un desinare, o una cena, non chiamare i tuoi amici, né i tuoi vicini ricchi; che talora essi a vicenda non t'invitino, e ti sia renduto un contracambio.

Queste parole del Signore non van prese in senso assoluto. A parer nostro, vanno applicate solo a quelle grandi feste in cui si rivaleggia nello scialacquare il denaro, per brillar maggiormente, per eccitare l'ammirazione, per salire nella scala sociale, per essere invitati a cosimili piaceri. Il vocabolo farai, indica un convito in forma, perché tale espressione non si userebbe mai dei pasti ordinarii di famiglia. L'affetto verso i congiunti e gli intimi amici inculcato nel vangelo, l'esempio di Cristo stesso quando Marta e Maria e Simone il lebbroso lo festeggiarono in casa loro, insieme ai suoi discepoli, non ci permettono di credere che egli proibisca quelle cortesie reciproche fra vicini che rendono più piacevole la vita, o le relazioni anche più intime fra prossimi parenti, più che intendere letteralmente l'odiare il padre e la madre Luca 5:26, come una condizione indispensabile per esser veri discepoli di Cristo. Secondo questa spiegazione, le riunioni amichevoli e private di amici e di parenti sono affatto escluse dalla categoria di cui parla qui Gesù, e non c'è contradizione fra questa sua ingiunzione e la regola apostolica: «Siate volonterosi albergatori gli uni degli altri, senza, mormorii» 1Pietro 4:9. Gl'invitati del Fariseo erano probabilmente ricchi suoi congiunti, o vicini, od anche uomini la cui alta posizione sociale faceva onore a chi li riceveva in casa sua. Per vanità, orgoglio ed ambizione, per comparire uguali ai primi nello stato, per essere invitati ad altre consimili feste, i ricchi Giudei usavano far frequenti e costosi festini, scemando così la loro inclinazione ed il loro potere di mostrarsi caritatevoli ai poveri. L'osservanza puntigliosa delle regole dell'etichetta, il ricevere invito per invito, l'esser tenuti pari ai più illustri fra i loro concittadini, ecco tutta la ricompensa che potevano mai aspettare per tante spese; ma nel mondo avvenire ben diversamente staranno i conti, ed essi non devono sperare che l'opere fatte per egoismo e per ostentazione verranno loro calcolate come opere di carità. Le feste date tuttodì dai grandi, hanno per causa gli stessi ambiziosi motivi ed importa ricordarsi, come di un utile ammaestramento, la poca stima che ne fa il Signore.

PASSI PARALLELI

Luca 1:53; Proverbi 14:20; 22:16; Giacomo 2:1-6

Luca 6:32-36; Zaccaria 7:5-7; Matteo 5:46; 6:1-4,16-18

13 13. Anzi, quando fai un convito, chiama i mendici, i monchi, gli zoppi, i ciechi; 14. E sarai beato; perciocché essi non hanno il modo di rendertene il contracambio;

Come la prima, così questa seconda parte della ingiunzione di Gesù va presa in senso ristretto. Egli non voleva punto inculcare doversi invitare ai festini solo i poveri, i monchi ecc., bensì che in regola generale, i Cristiani devono ricordarsi la parola biblica «ricordatevi dei poveri», nella loro miseria, come essendo quelli a pro dei quali essi spenderanno in modo più conveniente quello che ad essi stessi soprabbonda. Il mantenere indiscriminatamente i poveri, come S. Luigi di Francia, che ne nudriva 120 al giorno, o la duchessa Edwige di Polonia che ne manteneva 900, anziché un benefizio fa e sarà sempre un fomite di pigrizia e di vizio. Gesù non poté mai aver nulla di simile in vista. Egli c'ingegna invece a rinunziare ai piaceri egoisti, affin di aver maggiormente da dare a quelli che sono realmente bisognosi e meritevoli di soccorsi. Ogni uomo insegnato dallo Spirito di Dio seguirà questa regola, e la sua ricompensa sarà ben diversa di quella del caso precedente. Essa non procede dall'uomo, perché i poveri non possono rendere i benefizii che ricevono; non è una ricompensa terrena, eccetto in quanto riguarda la testimonianza della coscienza, ma verrà concessa dal Giudice di tutti all'ultimo giorno. «In quanto l'avete fatto ad uno di questi minimi fratelli, voi l'avete fatto a me» Matteo 25:40.

14 ma la retribuzione te ne sarà renduta nella risurrezione de' giusti

Quelli che adottando il senso letterale delle parole: «questa, e la prima risurrezione» Apocalisse 20:5, mantengono la teoria delle due risurrezioni (una prima del millennio per i giusti, l'altra dopo per gli ingiusti), citano questo passo come un argomento senza risposta. Ma noi lo neghiamo, non solo perché questa teoria non ha fondamento solido nella Bibbia, anzi contradice quello che è insegnato in Apocalisse 20:11-15, ma pure perché le parole di Gesù in questo passo dicono solo che questa ricompensa aspetta i giusti nel giorno del giudizio finale, quando «ciascuno sarà giudicato secondo le sue opere» Matteo 25:31-46; 2Corinzi 5:10; Apocalisse 20:11-15.

PASSI PARALLELI

Luca 14:21; 11:41; Deuteronomio 14:29; 16:11,14; 26:12-13; 2Samuele 6:19; 2Cronache 30:24

Nehemia 8:10,12; Giobbe 29:13,15-16; 31:16-20; Proverbi 3:9-10; 14:31; 31:6-7

Isaia 58:7,10; Matteo 14:14-21; 15:32-39; 22:10; Atti 2:44-45; 4:34-35; 9:39

Romani 12:13-16; 1Timoteo 3:2; 5:10; Tito 1:8; Filemone 7; Ebrei 13:2

Proverbi 19:17; Matteo 6:4; 10:41-42; 25:34-40; Filippesi 4:18-19

Luca 20:35-36; Daniele 12:2-3; Giovanni 5:29; Atti 24:15

15 

La Parabola della gran cena, Luca 14:15-24

15. Ora alcun, di coloro ch'erano insieme a tavola, udite queste come, disse: Beato chi mangerà del pane nel regno di Dio.

A prima vista, questa sembra l'esclamazione di uno che godeva delle cose spirituali; ma la parabola colla quale Cristo rispose, distrugge quella impressione. Probabilmente costui, veggendo che l'insegnamento di Cristo diveniva troppo personale e poteva turbare l'armonia della festa, tentò di trar d'imbarazzo il padron di casa e i suoi convitati, mutando il soggetto della conversazione, dando a questa una direzione puramente accademica. Le parole di Cristo sulla risurrezione dei morti gliene fornivano la occasione, e servendosi dell'imagine di una festa (sotto la quale i Giudei generalmente parlavano della felicità futura, e cui erano certi che tutti gl'israeliti che osservavan la legge sarebbero ammessi, in forza del patto fatto con Abrahamo), venne fuori colla esclamazione: «Beato chi mangerà del pane nel regno di Dio». L'errore di questo Fariseo nel supporre il regno di Dio limitato alla felicità dei cieli, è quello di molti ai nostri dì: ma il Signore si affretta a correggerlo, mostrando che quel regno è già stabilito in sulla terra, e che gli uomini ne devono divenir membri, per la fede durante il corso di questa vita, se ne vogliono godere le benedizioni nella eternità. Indica poi nella parabola come fossero poco disposti ad entrarvi quelli che aveano avuto il privilegio di venirvi invitati i primi.

PASSI PARALLELI

Luca 12:37; 13:29; 22:30; Matteo 8:11; 25:10; Giovanni 6:27-59; Apocalisse 19:9

16 16. E Gesù gli disse: Un uomo fece una gran cena, e v'invitò molti.

Gesù prende per questa parabola la immagine suggerita dal Fariseo, benché altrove ne faccia uso di proprio moto, parlando del regno di Dio. Questa figura, invero appartiene all'antico Testamento, ed Isaia 25:6, così predice la dispensazione del vangelo: «E il Signore degli eserciti farà a tutti i popoli, ivi questo monte un convito di vivande grasse, un convito d'ottimi vini; di vivande grasse piene di midolla, d'ottimi e finissimi vini». La parabola delle nozze Matteo 22:1-10, rassomiglia in alcuni punti a questa; però le due sono indipendenti l'una dall'altra. L'uomo che fece la cena rappresenta senza dubbio il Signore dei cieli e della terra, dal quale origina la salvezza dei peccatori, e che ha mandato sin dalla caduta i suoi servi ad invitarli a fuggir dall'ira a venire, benché, al ver. 24, Gesù, identificandosi col Padre, parli della, cena come sua. I «molti», primieramente invitati, non sono solamente, come credono alcuni, quelli che rifiutarono alla fine, ma racchiudono tutta la nazione giudaica; poiché i profeti ed il Battista, i quali fecer nota, attraverso i secoli, la gran festa che si avvicinava, invitandovi la gente, non confinarono i loro inviti a nessuna condizione o rango speciale del popolo. Chiunque udiva «la legge ed i profeti», ricco o povero, dotto od ignorante, giusto o peccatore, rimaneva invitato a prepararsi per il regno di Dio e ad accettarlo, quando verrebbe rivelato. Ma i dottori d'Israele a' dì di Cristo aveano scacciato dalla sinagoga e scomunicato i pubblicani e quanti vivevano sregolatamente e nel vizio, dimodoché dal primo invito costoro restavano esclusi, e vi era compresa solo la chiesa o la comunità d'Israele, i membri della quale erano una classe privilegiata, che, per grazia di Dio, godeva di un invito perpetuo. Consimile privilegio hanno ora quelli che sono esternamente uniti alla Chiesa di Cristo. Ma in quella parabola, il Signore accusa tali privilegiati di contentarsi dell'onore dell'invito, senza aver desiderio alcuno di andare alla cena sicché finiscono col ricusare.

PASSI PARALLELI

Proverbi 9:1-2; Isaia 25:6-7; Geremia 31:12-14; Zaccaria 10:7; Matteo 22:2-14

Cantici 5:1; Isaia 55:1-7; Marco 16:15-16; Apocalisse 3:20; 22:17

17 17. Ed all'ora della cena, mandò Il suo servitore a dire agl'invitati:

La cena era il pasto principale degli Ebrei, preso in qualunque ora del giorno, ma per lo più di sera. In questo caso, l'ora ne doveva essere assai mattutina poiché gli invitati erano sul punto di andare a visitare i loro campi e i loro buoi, quando vennero chiamati a recarsi alla festa. Si dice essere stato uso fra gli Israeliti, dopo fatti gl'inviti ad una festa, di mandare attorno un servo, giunta l'ora di sedere a mensa, per invitar la gente ad affrettarsi. Un tal uso è chiaramente presunto in questa parabola. Il «servitore» è il Signore Gesù Cristo stesso, in adempimento della profezia di Isaia: «Ecco il mio Servitore, io lo sosterrò; il mio Eletto, del quale l'anima mia si è compiaciuta; io ho messo il mio Spirito sopra lui, egli recherà, fuori giudizio alle genti» Isaia 42:1, ed in giustificazione delle parole di Paolo: «Prese la forma d'un servo, ecc.» Filippesi 2:7; e «avendo Iddio variamente e in molte maniere parlato già anticamente ai padri nei profeti: in quest'ultimi giorni ha parlato a noi nel suo Figliuolo» Ebrei 1:1-2. «L'ora della cena» corrisponde al «compimento del tempo, quando Iddio mandò il suo Figliuol, fatto di donna, sottoposto alla legge, ecc.» Galati 4:4.

Venite; perciocché ogni cosa è già apparecchiata.

Nell'«ogni cosa» vengono rinchiuse tutte le grazie abbondanti e le benedizioni dell'evangelo così per questo mondo come per il mondo avvenire. I fini della Divinità, rispetto alla salvazione dell'uomo, gradatamente rivelati attraverso i secoli, sono ora appieno adempiuti, poiché Gesù stava per esser «menato all'uccisione come un agnello», per metter «l'anima sua per la colpa, affin di giustificarne molti, caricandosi delle loro iniquità» Isaia 53:11. L'enfasi di questo messaggio sta sulla parola ora. Siccome tutto è pronto, venite ora, subito, con pentimento e vera fede, perché «ora è il tempo accettevole, ora è il giorno della salute». Se indugiate, anche di poco, potrà esser troppo tardi, perché chi sa che non venga chiusa la porta? Paolo giustifica l'enfasi di Gesù sull'ora, dicendo agli Ateniesi ansiosi di novità: «Avendo Iddio dunque dissimulati i tempi della ignoranza, al presente dinunzia per tutto a tutti gli uomini che si ravveggano» Atti 18:30. Lettore, a te pure lo stesso paziente e misericordioso Iddio rivolge l'invito: «Vieni ora, perciocché ogni cosa è apparecchiata». Quasi l'ultime parole della Santa Scrittura lo ripetono: «E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. Chi ode dica parimente: Vieni. Chi ha sete venga, e chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita» Apocalisse 22:17.

PASSI PARALLELI

Luca 3:4-6; 9:1-5; 10:1-12; Proverbi 9:1-5; Matteo 3:1-12; 10:1-4; Atti 2:38-39

Atti 3:24-26; 13:26,38-39

Matteo 11:27-29; 22:3-4; Giovanni 7:37; 2Corinzi 5:18-21; 6:1

18 18. Ma in quel medesimo punto

Manca qui una parola; altre versioni e i più fra, i critici han riempito il vuoto con o «ma con un sol sentimento, o con una sola voce», ciascuno dei quali pare più giusto della traduzione di Diodati, poiché non erano tutti i convitati riuniti nello stesso luogo, ma tutti furono unanimi nel dare una risposta negativa. Le scuse, benché provenienti da varie persone, ed informate a circostanze differenti, sono però tutte del medesimo tipo.

tutti cominciarono a scusarsi.

In questo versetto e nei due seguenti, il Signore dà tre esempi delle scuse messe avanti dagli nomini per rigettar l'evangelo; due di esse basate sulle ricchezze o sulle occupazioni della vita presente, e la terza sui piaceri. Stier ricordando la distinzione che fa Gesù stesso Matteo 22:5, fra possessione, e mercatanzia, l'applica giustamente qui pure, per segnare la differenza fra quelli che mettono avanti le due prime scuse, cioè fra i possessori di terreni, e i commercianti.

Il primo gli disse: lo ho comperata una possessione, e di necessità mi conviene andar fuori a vederla; io ti prego, abbimi per iscusato.

Pare che costui avesse fatto una compra condizionale, riserbandosi di ratificarla o di annullarla dopo conveniente ispezione. Tal visita poteva farsi ad ogni tempo; ma nel desiderio di sfuggire alla festa poco gradita, egli ne fa un dovere imperioso e pressantissimo. Quanti dànno ad inezie, che in altre occasioni avrebbero lasciato stare, una importanza grandissima, quando desiderano sfuggire ad un dovere religioso, ed agli ammonimenti dello Spirito di Dio, che parla alle loro coscienze.

PASSI PARALLELI

Luca 20:4-5; Isaia 28:12-13; 29:11-12; Geremia 5:4-5; 6:10,16-17; Matteo 22:5-6

Giovanni 1:11; 5:40; Atti 13:45-46; 18:5-6; 28:25-27

Luca 8:14; 17:26-31; 18:24; Matteo 24:38-39; 1Timoteo 6:9-10; 2Timoteo 4:4,10

Ebrei 12:16; 1Giovanni 2:15-16

19 19. Ed un altro disse: lo ho comperate cinque paia di buoi, e vo' a provarli; io ti prego, abbimi per iscusato.

È inutile supporre, come fanno alcuni, che costui dovesse necessariamente possedere dei terreni. Come mercante, o allevator di bestiame, o speculatore, egli poteva anche in quei giorni fare grossi profitti nel comprare e vendere buoi o bestie da soma, senza trascurare altri rami di commercio; sicché avendo comprato dei buoi, era naturale che desiderasse provarli al lavoro, per venderli dopo con profitto. In ambo i casi erano perfettamente legittime le occupazioni allegate, la colpa stava nel dare ad esse soverchia importanza. Né l'uno né l'altro ricusano con rozzezza; anzi, quasi si sentissero nel torto, entrambi domandano al servo di far le scuse, e ciò con parole esprimenti la speranza di qualche futura occasione per mostrarsi più civili. Alcuni rigettano con aperta audacia l'evangelo, senza dare spiegazioni o scuse; ma il maggior numero ricusano l'invito in modo più civile e decoroso. Anziché ricusarlo apertamente, rimandano a più tardi di accettarlo, benché la loro condotta equivalga ad un rifiuto reciso e positivo. Mostrano per l'evangelo un certo tal qual rispetto, si dànno per convinti del suo valore; ma rincresce loro di non poterlo accettare, a motivo di certi impegni che richiedono la prima loro attenzione.

20 20. Ed un altro disse: lo ho sposata moglie, e perciò non posso venire.

Ecco il terzo esempio delle scuse che gli uomini mettono innanzi per ricusare l'evangelo, cioè i piaceri legittimi e la gratificazione dei sensi, in questa vita. Sia che quest'uomo si fondasse sulla legge levitica che esentava ogni Israelita dal servizio militare, durante il primo anno di matrimonio, per riguardo alla sua giovane moglie Deuteronomio 24:5, sia semplicemente che la gioia delle sue nozze avesse talmente ripieno il suo cuore da non lasciar posto ad alcun'altra, fatto sta che la sua risposta è più breve, più decisa, più finale, che quella degli altri due, invece del loro cortese, ma ipocrita: «Ti prego, abbimi per iscusato», egli ricusa con un asciutto: «Non posso» I piaceri, anche più legittimi in sé, di questa vita, sono spesso più potenti ostacoli all'accettazione dell'evangelo, che il lavoro faticoso ed incessante di quelli che devono «mangiare il loro pane col sudor del loro volto». La Chiesa romana com'era da aspettarsi, vede in questo versetto un fortissimo argomento contro il matrimonio, dimenticando che lo stesso ragionamento condannerebbe pure l'agricoltura ed il commercio. Ma, come osserva Stier, «quest'uomo rappresenta gli uomini dati interamente al mondo, dal più alto nella scala sociale, ai più meschini, che impiegano tutta la loro energia per afferrare il piacere del momento». Abbiam notato già in modo generico che questo scuse si riferiscono agli affari ed ai piaceri di questa vita; ma è pure importante osservare come corrispondano alle tre cose di cui Gesù ci dice nella parabola del seminatore che esso «affogano la parola», cioè «le sollecitudini di questo mondo, l'inganno delle ricchezze, ed i piaceri di questa vita», Confr. Matteo 13:22; Luca 8:14. Ognuna differisce dall'altra, ognuna è legittima in sé; ma tutte arrivano al medesimo risultato: "Abbiamo ora cose più importanti da fare". La lezione (spesso dimenticata), da impararsi da questa parte della parabola si è che nella maggioranza dei casi, non è tanto la trasgressione aperta della legge di Dio quella che rovina le anime, quanto l'eccessiva attenzione data a come legittime ed innocenti. Invero perderemmo la metà della lezione dataci qui dal Salvatore, se ci scordassimo che tutte le transazioni avvenute, secondo questa parabola, fra il peccatore ed il suo Salvatore, sono legittime in sé.

PASSI PARALLELI

Luca 14:26-28; 18:29-30; 1Corinzi 7:29-31,33

21 21. E quel servitore venne, e rapportò queste cose al suo signore.

Chi può dubitare che durante le, notti passate da Gesù in preghiera solitaria sul monte o nei luoghi deserti, Jehova ed il suo «Servitore» non parlassero solo di cose che dovevano incoraggiare la santa anima umana di Gesù nell'opera sua, ma pure di quell'opera medesima, e dei rifiuti e degli scoraggiamenti che egli incontrava ogni giorno per parte di quelli che, per le loro posizioni e le loro conoscenze, avrebbero dovuto essere i primi a riceverlo? Così Gesù insegna ad ogni ministro a riferire al celeste suo Padrone i successi o gli scoraggiamenti che incontra nell'opera sua.

Allora il padron di casa, adiratosi,

Fra gli uomini, l'ira spesso prende la forma di vendetta o di rappresaglia contro l'offensore, e ciò perché è stato ferito il nostro orgoglio, o crediamo aver ricevuto qualche torto. In questo senso sarebbe derogare alla natura di Dio ascrivergli dell'ira. Ma la dottrina ora alla moda, secondo la quale Dio non è che carità, sicché tutti gli altri suoi attributi sono assorbiti in questo, non è meno erronea e disonorevole per lui. Viene espressamente dichiarato che Iddio è giusto giudice, e un Dio che si adira ogni giorno Salmi 7:12, e la sua giusta indegnazione si sveglia specialmente contro quelli che rigettano deliberatamente l'offerta dell'evangelo, e perseverano volonterosamente nella incredulità. La grazia, e la pazienza di Dio nel non ritirare le sprezzate benedizioni dell'evangelo, ad onta della giusta sua indegnazione, son distinte in modo molto bella nel contegno e nelle parole, del padrone di casa adirato contro gli sprezzatori della sua grazia, ma perseverante, nei suoi disegni di misericordia e di bontà, egli dimostra, mediante gli ordini che dà al suo servitore, quanto fosse sincero nel fare i suoi inviti Ezechiele 33:11.

disse al suo servitore: Vattene prestamente per le piazze e per le strade della città (strade larghe conducenti a piazze aperte; strade strette e traverse o sentieri), e mena qua i mendici, e i monchi e gli zoppi, e i ciechi.

Il servo vien novamente mandato attorno per invitare ben altre persone a prendere il posto di quelle che aveano ricusato: si noti però che egli non vien mandato fuori delle mura della città in cui dimoravano i primi convitati. I secondi, essi pure, dimorano nella «città del gran Apocalisse», e benché poveri e storpi e sprezzati dagli orgogliosi loro fratelli, hanno in virtù della loro discendenza da Abrahamo, i diritti di cittadinanza. La menzione delle piazze e delle strade della città mette questo fuori di dubbio, e concorda esattamente con quello che Cristo dice della propria missione: «Io non son mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele» Matteo 15:24. I mendici e i monchi, gli zoppi e i ciechi che vivono nelle parti più povere e meno salubri della città rappresentano i pubblicani e i peccatori, Giudei tuttora di nome, ma sprezzati dai Farisei, e scacciati dalle sinagoghe, come non avendo parte alcuna nelle benedizioni di Abrahamo loro padre. A costoro viene ora mandato il servo, ed essi, sentendo quanto son poveri, bisognosi e disprezzati, accettano con giubbilo l'invito. Uno dei più aspri rimproveri che i sacerdoti, gli Scribi ed i Farisei facevano a Gesù era: «Quest'uomo riceve i peccatori e mangia con loro», e la loro malizia raggiungeva il suo colmo nel chiamarlo: «L'amico dei pubblicani e dei peccatori». I «mendici, i monchi ecc.» non rappresentano esclusivamente i pubblicani e i peccatori fra i Giudei, ma come osserva Brown, «le classi consimili in generale, le quali vengono ordinariamente dimenticate in sulle prime da quelli che distribuiscono i mezzi di grazia ad una comunità, semi-pagani in mezzo alla luce rivelata, miserabili in ogni senso».

PASSI PARALLELI

Luca 9:10; 1Samuele 25:12; Matteo 15:12; 18:31; Ebrei 13:17

Luca 14:24; Salmi 2:12; Matteo 22:7-8; Ebrei 2:3; 12:25-26; Apocalisse 15:1-8; 19:15

Luca 24:47; Proverbi 1:20-25; 8:2-4; 9:3-4; Geremia 5:1; Zaccaria 11:7,11; Matteo 21:28-31

Giovanni 4:39-42; 7:47-49; 9:39; Atti 8:4-7; Giacomo 2:5; Apocalisse 22:17

Luca 14:13; 7:22-23; 1Samuele 2:8; Salmi 113:7-8; Matteo 11:5,28

Salmi 38:7; Isaia 33:23; 35:6

22 22. Poi, il servitore gli disse: Signore, egli è stato fatto come tu ordinasti, ed ancora vi è luogo.

Il rapporto del servo implica che questa volta la sua missione era riuscita, che l'invito era stato accolto, Confr. Matteo 21:31-32; Marco 12:37; Giovanni 7:43,48-49, mentre le sue ultime parole indicano che egli capiva perfettamente il desiderio del suo Maestro di vedere ogni posto occupato, nonché il proprio zelo per raggiungere un tal risultato. Sotto le vesti del servo, è Gesù stesso che si presenta a noi nel suo zelo per fare la volontà di suo Padre.

PASSI PARALLELI

Atti 1:1-9:43

Salmi 103:6; 130:7; Giovanni 14:2; Efesini 3:8; Colossesi 2:9; 1Timoteo 2:5-6; 1Giovanni 2:2

Apocalisse 7:4-9

23 23. E il Signore disse al servitore: Va' fuori per le vie, e per le siepi,

Questa volta egli è mandato «fuori» delle mura della città, là dove i mendicanti, i vagabondi, gli «estranei alla repubblica d'Israele» si vedevano camminare faticosamente, sulla strada, o cercare un misero ricovero sotto le siepi, classe questa più misera e disperata ancora di quelli che vivevano nelle squallide viuzze della città. Questi rappresentano il mondo pagano giacente «nelle tenebre e nell'ombra della morte», cui ora deve essere rivolto l'invito della grazia Isaia 42:1; 49:9. Se quei Greci Giovanni 12:20 che vennero in cerca di Gesù alla festa erano dei proseliti pagani (cosa assai probabile), il Signore avrebbe cominciato a riempiere questo nuovo suo mandato, quando proclamò dinanzi a loro: «Ed io, quando sarò levato in su dalla terra, trarrò tutti a me». In procinto di tornar dal suo Padre, egli lo affidò poi solennemente ai suoi apostoli: «Come il Padre mi ha mandato, così vi mando io» Giovanni 20:21. «Andate dunque, o ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli, ecc.» Matteo 28:19. «E che nel suo nome si predicasse penitenza e remissione dei peccati fra tutte le genti, cominciando da Gerusalemme» Luca 24:47. La morte non permise agli apostoli di adempiere il compito loro affidato, perciò quest'ordine del Padre e del Figlio è tuttora imposto a tutti i ministri dell'evangelo, perché «ancora vi è luogo» 2Corinzi 5:20-21.

e costringili ad entrare; acciocché la mia casa sia ripiena.

Chiunque conosce la storia della Inquisizione e delle persecuzioni che per tanti secoli la Chiesa romana ha esercitate, sotto pretesto di zelo per salvar le anime, ben sa qual significato crudele e sanguinario è stato dato a quest'ordine: «Costringili ad entrare». Nessun uomo di buon senso può dubitare che, per far entrare la gente nel regno di Dio, un tal metodo non sia meno pazzo che ingiusto e maledetto. Col fuoco, colla spada, colla prigionia e le catene, i timidi, gli incerti, gli increduli sono stati resi in massa spregevoli ipocriti; ma la vera Chiesa di Dio non ha mai ricevuto incremento alcuno dal costringimento sotto quella o qualsiasi altra forma. Questa ingiunzione non sanziona l'uso di qualsiasi forza e costringimento per condurre gli uomini ad accettare l'evangelo, né nulla che rassomigli ad intolleranza o persecuzione per opinioni religiose. Paolo ci dice espressamente che «l'armi della nostra guerra non sono carnali» 2Corinzi 10:4, ed esorta «ciascuno ad essere appieno accertato nella sua mente» Romani 14:5. La classe di cui è qui parlato, ben lungi dal rifiutare come i primi convitati, vorrebbero entrare, ma son trattenuti da una falsa timidità. Il servo deve costringerli, vincendo i loro scrupoli, e facendoli un popolo volonteroso, mediante tutti quegli argomenti della Sacra Scrittura, i quali, sotto l'influenza dello Spirito Santo, sono atti ad agire sulla mente e sul cuore degli nomini. Dice Brown: «Due sono le difficoltà per questa classe di persone: Primo: "Noi meschini, senza tetto, contenti di accovacciarci sotto qualche siepe, non siamo degni di una tal festa". Secondo: "Noi che abitiamo le strade polverose, non siamo vestiti come si conviene, per una tal circostanza, né possiamo presentarci dinanzi a quel potente signore". Come sono ben rappresentate qui le difficoltà ed i timori del peccatore! Or bene, come vi si risponde? "Non accettate scusa alcuna, ribattete tutte le loro difficoltà e i loro scrupoli, sbandite ogni lor timore. Dite loro che dovete condurli alla festa così quali sono"».

PASSI PARALLELI

Salmi 98:3; Isaia 11:10; 19:24-25; 27:13; 49:5-6; 66:19-20; Zaccaria 14:8-9

Malachia 1:11; Matteo 21:43; 22:9-10; 28:19-20; Atti 9:15; 10:44-48; 11:18-21

Atti 13:47-48; 18:6; 22:21-22; 26:18-20; 28:28; Romani 10:18; 15:9-12

Efesini 2:11-22; Colossesi 1:23

Luca 24:29; Genesi 19:2-3; Salmi 110:3; Atti 16:15; Romani 11:13-14; 1Corinzi 9:19-23

2Corinzi 5:11,20; 6:1; Colossesi 1:28; 2Timoteo 4:2

24 24. Perciocché io vi dico che niuno di quegli uomini ch'erano stati invitati assaggerà della mia cena.

Si disputa fra i critici se queste parole, come parte della parabola, furono rivolte dal padrone al suo servo, o se Gesù avendo terminato la sua parabola al ver. 23, coll'invito rivolto ai Gentili, parla qui in nome proprio per far conoscere ai convitati del Fariseo, che, essendo uguale con Dio, egli è al tempo stesso il padrone ed il servo della parabola, e che suo è il gran convito. La solenne osservazione: «io vi dico», colla quale Gesù tanto spesso introduce i suoi insegnamenti più importanti; la sostituzione del voi, all'unico servo cui parlava il padrone; ed il fatto che il Signore spesso conclude le sue parabole passando alla loro interpretazione, favoriscono quest'ultima ipotesi. Gittando lungi da sé il velo della parabola, egli proclama che la cena è sua; e non lasciando nella mente dei suoi uditori dubbio alcuno su chi erano quegli uomini che erano stati invitati, egli annunzia che il giorno di grazia per tali sprezzatori è oramai passato per sempre, e quando pur desidereranno un giorno sedersi al convito nella sua forma più gloriosa, «non troveranno luogo di pentimento, benché richiedano quello, con lagrime» Ebrei 12:17. «Vedete, o sprezzatori, e maravigliatevi e riguardate e siate smarriti» Atti 13:41. Questo severo ammonimento fu rivolto primieramente agli increduli conduttori della nazione giudaica ai tempi di Cristo, ma né quello, né alcuna delle lezioni di questa parabola è limitata ad essi. Essa illustra una lacrimevole verità relativamente a quelli che fra noi rigettano l'evangelo, perché spesso essi pur vengono abbandonati alla reproba loro mente. Il rigettare deliberatamente la verità attira sull'uomo il più alto dispiacere di Dio.

PASSI PARALLELI

Proverbi 1:24-32; Matteo 21:43; 22:8; 23:38-39; Giovanni 3:19,36; 8:21,24; Atti 13:46

Ebrei 12:25-26

RIFLESSIONI

1. È di grande importanza per Cristo la condotta giornaliera del suo popolo. Il suo vangelo, quando viene sinceramente ricevuto, non solo produce un cambiamento completo delle disposizioni morali, negli intenti e nei sentimenti del credente, ma affina pure ed eleva il suo contegno verso i suoi simili. Non trasmuta in cortigiano l'uomo di bassa estrazione che nacque e venne educato in una capanna, ma eleva i suoi pensieri toglie la natìa sua rozzezza, gl'insegna umiltà senza avvilimento, gentilezza e considerazione per altrui, senza adulazione o ipocrisia, in breve fa di lui in ogni cosa essenziale quello che dovrebbe essere ogni persona educata. Questo effetto il vangelo lo produrrà a fortiori in quelli che nacquero in una condizione sociale più elevata, i quali così per disposizione naturale, come in forza delle loro circostanze, eran fieri, litigiosi, egoisti e pieni dei loro vantaggi esterni, ma dopo aver rivestito Cristo», hanno imparato la mansuetudine, l'umiltà, il preferir gli altri a sé stessi. Osservate l'uomo orgoglioso, insolente nel parlare, arrogante nel contegno, l'egoista che vuol per sé i primi posti dovunque egli va, ed è sempre pronto ai litigii alla più leggiera provocazione, e troverete come regola invariabile, che, egli si conforma in ogni cosa al presente secolo malvagio o se fa professione di religione, egli è unicamente per ipocrisia, e per qualche interesse personale. Il rimprovero di Cristo ai Farisei per il loro egoismo ed il loro orgoglio, nel disputarsi i posti più onorevoli a tavola, ci insegna che egli non è indifferente ai modi ed al contegno esterno dei suoi; ma aspetta che lo glorifichino con questi non meno che colla confessione delle labbra. Negli scritti apostolici troviamo molti precetti relativi al nostro portamento giornaliero, e primo fra quelli è la esortazione di S. Paolo in Romani 12:3,10.

2. L'orgoglio è cosa del tutto disdicevole all'uomo caduto; in sé stesso è odioso e criminale, ma è poi sommamente assurdo, quando se lo permettono degli esseri quali noi siamo. Molte cose concorrono ad insegnarci l'umiltà. Se ci ricordiamo la nostra origine, la nostra dipendenza dalla provvidenza divina, la nostra debolezza, il nostro stato di peccato e di caduta, vi troviamo ampli motivi di umiliazione. Tutto lo spirito del vangelo è mirabilmente calcolato a promuovere tal disposizione; ma la lezione più importante se ne trova nell'esempio del nostro caro Redentore. Si mediti questa breve descrizione della sua umiliazione: «Eppure annichilò sé stesso, prese forma di servo, fatto alla somiglianza degli uomini: e, trovato nell'esteriore simile ad un uomo, abbassò sé stesso, essendosi fatto ubbidiente infino alla morte, e la morte della croce» Filippesi 2:7-8.

3. L'annunzio di Deuteronomio 15:11, che «i bisognosi non verranno giammai meno nel paese», unito al comando: «Ama il tuo prossimo come te stesso», c'insegnano chiaramente, chi il Signore vuole che invitiamo alle nostre feste. È certo da un lato che egli non intende proibire agli uomini di esercitare l'ospitalità verso i loro parenti ed i loro amici influenti; ed è certo dall'altro che non incoraggia lo splendore profusamente e senza criterio a pro' dei poveri. Il Signore vuole che abbiamo cura dei poveri e dei bisognosi, specialmente di quelli che sono doppiamente fratelli nostri, essendo «domestici della fede», e ci comanda di astenerci nei nostri conviti e nel nostro modo di vivere da spese eccessive ed inutili, che potrebbero toglierci il mezzo di venir loro in soccorso, perché questo è un solenne dovere. Se lo adempiamo in uno spirito di fede e di carità «facendolo come al Signore, e non come agli uomini», esso sarà accettevole agli occhi del Signore, e quello che egli ora accetta, certamente lo premierà alla «risurrezione dei giusti» Matteo 25:34-40.

4. Non dimentichiamo mai la risurrezione dei morti, così giusti come ingiusti. La nostra esistenza non è limitata alla vita che viviamo nella carne quaggiù, né, il mondo visibile è il solo col quale abbiamo da fare. Tutto non è finito per noi quando abbiam dato l'ultimo respiro, e i nostri corpi sono stati adagiati nella tomba. Al di là della morte c'è un'altra vita. Gesù stesso ce lo dice: «L'ora viene che tutti coloro che sono nei monumenti udiranno la voce del Figliuol dell'uomo; ed usciranno, coloro che avran fatto bene, in resurrezion di vita; e coloro che avran fatto male, in resurrezion di condannazione» Giovanni 5:28-29. È questa una delle verità fondamentali della nostra santa religione, che non dobbiamo mai dimenticare. Sforziamoci di vivere come quelli che credono nella risurrezione e nella, vita avvenire, e che desiderano di esser sempre pronti per il mondo avvenire, così non temeremo la morte. Ma in che modo possiamo giungere a pensare alla risurrezione ed al giudizio finale, senza timore? PER FEDE IN CRISTO. Se crediamo in lui, non abbiam nulla da temere; egli ha tolto i nostri peccati, ha soddisfatto in vece nostra alle esigenze della legge di Dio, dimodoché nessuno potrà portare accusa alcuna contro di noi; ed ha vinto la morte Romani 8:32-34; 1Corinzi 15:55-57; Colossesi 2:14-15.

5. Nella condotta dei primi invitati alla cena, abbiamo una vivace pittura dell'accoglienza che il vangelo riceve del continuo, dovunque è annunziato; gli uomini sono invitati a venire a Cristo, e non vogliono venire. Non è l'ignoranza della religione (almeno nei paesi protestanti) quella che rovina le anime degli uomini, bensì la mancanza di volontà di servirsi di quella conoscenza che ne hanno, e l'amore del mondo presente. Il libertinaggio aperto fornisce all'inferno meno vittime che una soverchia preoccupazione di cose lecite in sé. Non dobbiam temer tanto l'odio aperto e manifesto per l'evangelo, quanto quella disposizione all'indugio che ci fornisce sempre qualche scusa per non servir Cristo oggi. Lo posson dire le nostre coscienze quanto siamo pronti a rimandare ogni serio pensiero di Cristo, con iscuse tolte dalle nostre occupazioni giornaliere. Vegliamo adunque e preghiamo. «Quando la materia della tentazione è legittima ed onorevole, la tentazione è meno sospettata, e colui che è tentato vien più facilmente sorpreso. Il campo e i buoi vanno comprati, e messi alla prova; gli affetti di famiglia devono essere coltivati; ma guai a noi se permettiamo a quelle belle piante di crescere così rigogliose, da schiacciar sotto il loro peso la vita dell'anima» (Arnot).

6. «Questa parabola contiene importanti istruzioni per tutti i messaggeri dell'evangelo. Essi devono invitare con tutta l'urgenza dell'amore, non escludendo che quelli che escludono sé medesimi. Devono prepararsi ad obbiezioni di ogni sorta: ma si comportino, in ogni caso, secondo le direzioni del loro Signore. Se sono respinti, possono liberamente lagnarcene a lui, né devono mai credere che non vi sia più posto alla mensa. Se solo sentono, che nel loro urgente appello d'amore, non fanno uso di nessun mezzo che non sia legittimo, non temano mai di andar troppo lontano» (Oosterzee).

25 Luca 14:25-35. DISCORSO ALLA FOLLA SUL DOVERE DI CALCOLARE IL COSTO, PRIMA DI DICHIARARSI DISCEPOLI SUOI Matteo 10:37-38; 5:13; Marco 4:9

25. Or molte turbe andavan con lui; ed egli rivoltosi disse loro:

Dopo la sua visita alla casa del Fariseo, Gesù si rimise per via, e se, come lo indica il suo messaggio ad Erode, alla fine del cap. 13. il suo ministero pubblico traeva a suo fine, l'accrescimento della moltitudine che lo seguiva si spiega dal continuo aggiungersi alla sua comitiva di viaggiatori che salivano essi pure a Gerusalemme, per farvi la Pasqua.

PASSI PARALLELI

Luca 12:1; Giovanni 6:24-27

26 26. Se alcuno viene a me, e non odia suo padre, e sua madre, e la moglie e i figliuoli e fratelli, e le sorelle; anzi ancora la sua propria, vita non può esser mio discepolo. 27. E chiunque non porta la sua croce, e non viene dietro a me, non può esser mio discepolo.

Per la esposizione Vedi Matteo 10:37-38. In questi versetti, il Signore dichiara nel modo più esplicito, che la vita di ogni vero discepolo dev'essere dal principio alla fine, una vita di abnegazione e di sofferenze; e perciò non si deve fare temerariamente e senza serie riflessioni professione di Cristianesimo, bensì solo dopo lunghe riflessioni, accompagnate di preghiere, sulle sue prove, ed una risoluta decisione di sopportarle tutte, colla forza di Dio. Il Cercator dei cuori ben vedeva che anche quella moltitudine, che pure era realmente disposta a riconoscerlo per il Messia, lo seguiva solo perché sperava di veder realizzate le sue aspettazioni terrene relative al regno temporale del Messia, e che il maggior numero di quei suoi seguaci non guardavano più in alto che ai godimenti carnali, alla prosperità temporale, al potere ed agli onori mondani. Egli li avverte che sperando queste cose s'ingannano a partito, e che l'abnegazione (indicata dall'«odiar padre e madre... e ancor la sua propria vita») e la sofferenza, così per lotte interne come per persecuzioni dal di fuori (espresse nel «prendere la sua croce»), dovranno esser l'esperienza di tutta quanta la loro vita. L'odiare i genitori in un senso letterale sarebbe una violazione del quinto comandamento, e non meno contrario allo spirito dell'evangelo sarebbe l'odiare, in quel modo, qualsiasi dei congiunti qui mentovati. L'odiare la propria vita sarebbe una sfida al sesto Comandamento; ma questo ci dà la chiave del vero senso del verbo odiare in questo passo. L'amore e la divozione che veri discepoli portano a Cristo sono tali che gli oggetti più vicini ai loro cuori, se si frappongono fra essi ed il loro dovere inverso Cristo, devono venire abbandonati, anzi odiati ove occorra, come pietre d'inciampo, che impediscono la loro via. La vita è preziosa. «L'uomo darà tutto ciò che egli ha per la sua vita», dice Satana di Giobbe 2:4; e quando il servizio di Cristo mette l'anima in pericolo, l'amor di questa è così forte che spesso Cristo vien rinnegato. L'odiar la propria vita è uno stimarla così che il timor di perderla non sia mai un impedimento per noi quando il servire a Cristo ne richiede il sacrifizio. Tale è pure il significato di questa parola relativamente a tutti gli altri oggetti delle nostre affezioni. «Oltre la prova di Matteo 10:37 che la parola odiare significa amar meno, ne abbiamo un'altra in Matteo 6:24, dove quel vocabolo è usato nello stesso senso. Così pure, quando leggiamo in Romani 9:13: "Io ho amato Giacobbe e odiato Esaù", questo vuol dire: Ho amato Giacobbe più di Esaù. Che tale interpretazione della parola "odiare" non sia arbitraria. ma conforme all'indole dell'idioma ebraico, appare da quanto è detto in Genesi 29:30-31, dove l'espressione "Lea era odiata", viene spiegata col dire che Giacobbe "amò Rachele più che Lea"» (Pearson sul Credo).

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 13:6-8; 33:9; Salmi 73:25-26; Matteo 10:37; Filippesi 3:8

Genesi 29:30-31; Deuteronomio 21:15; Giobbe 7:15-16; Ecclesiaste 2:17-19; Malachia 1:2-3

Giovanni 12:25; Romani 9:13

Atti 20:24; Apocalisse 12:11

Luca 9:23-25; Matteo 10:38; 16:24-26; Marco 8:34-37; 10:21; 15:21; Giovanni 19:17

2Timoteo 3:12

Matteo 13:21; Atti 14:22; 2Timoteo 1:12

28 28. perciocché chi è colui d'infra voi, il quale volendo edificare una torre, non si assetti prima, e non faccia ragion della spesa, ne egli ha da poterla finire? 29. Che talora, avendo posto il fondamento, e non potendola finire, tutti coloro che la vedranno non prendano a beffarlo, 30. Dicendo: Quest'uomo cominciò ad edificare, e non ha potuto finire. 31. Ovvero, qual re, andando ad affrontarsi in battaglia con un altro re, non si assetta, prima, e prende consiglio, se può con diecimila incontrarsi con quell'altro che vien contro a lui con ventimila? 32. Se no, mentre quell'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasciata e lo richiede di pace.

La prudenza più volgare impone ad un uomo di mondo la necessità, se non vuole esporsi al ridicolo, di esaminar bene se ha le risorse necessarie per compiere un'opera prima di accingervisi. Un uomo di buon senso non comincierebbe mai a edificare una torre senza prima esser sicuro di aver quanto gli basta per metterci il tetto. Un re prudente, tenendo conto della piccolezza del suo esercito, non entrerà in guerra con un nemico due volte più numeroso, anzi cercherà pace. La stessa previdente prudenza, riguardo alla lunghezza ed alle vicissitudini del servizio che gli sarà imposto, è assolutamente richiesta da chiunque vuol far professione di esser discepolo di Cristo, per timore che, abbandonandolo più tardi, egli non diventi una pietra di scandalo sulla via di altri e un disonore al nome di Cristo, attirando così maggior rovina sull'anima sua Ebrei 6:4-6. Nell'ultima di queste parabole, alcuni considerano il re come l'emblema del credente, e l'altro re che vien contro a lui con ventimila come rappresentante Satana con tutte le sue tentazioni. Non possiamo considerar la cosa da questo punto di vista. A parer nostro, così in questo come nei versetti precedenti, il Signore toglie semplicemente ad imprestito, da soggetti familiari, degli esempi di previdenza, e non dobbiamo guardare più in là.

PASSI PARALLELI

Genesi 11:4-9; Proverbi 24:27

Luca 14:33; Giosuè 24:19-24; Matteo 8:20; 10:22; 20:22-23; Atti 21:13; 1Tessalonicesi 3:4-5

2Pietro 1:13-14

Matteo 7:27; 27:3-8; Atti 1:18-19; 1Corinzi 3:11-14; Ebrei 6:4-8,11; 10:38

2Pietro 2:19-22; 2Giovanni 8

1Re 20:11; 2Re 18:20-22; Proverbi 20:18; 25:8

Luca 12:58; 1Re 20:31-34; 2Re 10:4-5; Giobbe 40:9; Matteo 5:25; Atti 12:20

Giacomo 4:6-10

33 33. Così adunque, niun di voi, il qual non rinunzia a tutto ciò che egli ha, può esser mio discepolo.

È questo il risultato cui deve condurre la solenne deliberazione raccomandata nelle precedenti parabole. Il vocabolo Greco rinunzia è più comunemente tradotto per «dire addio», «prendere congedo», Il senso evidente è che un uomo non può esser discepolo di Cristo, se non è perfettamente deciso ad abbandonare ogni cosa, ove occorra, per amore di lui, ad incontrar qualsiasi nemico, a far quantunque sacrificio.

PASSI PARALLELI

Luca 14:26; 5:11,28; 18:22-23,28-30; Atti 5:1-5; 8:19-22; Filippesi 3:7-8; 2Timoteo 4:10

1Giovanni 2:15-16

34 34. Il sale è buono; ma se il sale diviene insipido, con che sarà egli condito? 35; Egli non è atto né per terra, né per letame; egli è gittato via. Chi ha orecchie da udire, oda.

Per la esposizione vedi Matteo 5:13; Marco 9:50. Il sale corregge l'insipidità e preserva dalla corruzione le sostanze cui viene congiunto. Il vero discepolo di Cristo è qui paragonato al sale, a motivo della sua influenza sulla società, così nel trattenere dal male, come nel condurre al bene quelli coi quali viene in contatto, e questa similitudine forma una conclusione particolarmente appropriata alle esortazioni che precedono. È vero che chi è stato realmente convertito più non può ritornare indietro interamente, poiché Dio stesso preserva quei tali: essi sono «nella virtù di Dio, per la fede, guardati per la salute» 1Pietro 1:5, e se vi è stata una così completa decadenza, è questo prova che vi era originalmente qualche cosa di radicalmente difettoso, che essi «non avevano radice in sé stessi». È purtroppo vero che molti, dopo aver fatto altosonanti professioni di esser discepoli di Gesù Cristo, ricadono indietro, e divengono aperti nemici della religione, e Cristo paragona tali persone al «sale che è divenuto insipido». Siccome, in tal condizione, il sale non solo è incapace di produrre qualsiasi benefico effetto sulle altre sostanze, ma non ha più nessuna virtù in sé e perciò non può che venir buttato via, così questi spostati non solo sono nocivi alla causa della religione nel mondo a motivo delle loro dottrine erronee, della loro profanità, e della loro immoralità; ma la loro condotta è oltre ogni dire dannosa a loro stessi, perché il loro ritorno a qualsiasi buon pensiero, e specialmente la completa loro conversione, sono cose molto difficili, per non dire impossibili. Se la verità non li può cambiare, quale altra cosa lo potrà? Se il vangelo è rimasto inefficace per mantenerli fedeli a Dio, qual altra potenza potrassi mai provare? E v'ha egli da sperare che il vangelo sia più potente alla fine che non al principio? Per tali rimane «una spaventevole aspettazione di giudizio, e un'infocata gelosia, che divorerà gli avversari» Ebrei 10:27. Quanto sarà terribile la sorte di quelli che verranno gettati fuori, come sale insipido! S. Paolo ce lo dichiara in Ebrei 6:4-8. Colle gravi parole: «Chi ha orecchie da udire oda», Gesù chiama tutti quelli che udiranno o leggeranno questo grave ammonimento a riflettere seriamente all'ultimo fine di tutti quelli che, dopo essersi professati suoi discepoli, hanno di poi violato le loro promesse, e sono ritornati al mondo.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:13; Marco 9:49-50; Colossesi 4:6; Ebrei 2:4-8

Giovanni 15:6

Luca 8:8; 9:44; Matteo 11:15; 13:9; Apocalisse 2:7,11,17,29

RIFLESSIONI

1. Val meglio non avviarsi nella carriera cristiana, che mettervi il piede e non percorrerla fino alla fine. La mancanza di fedeltà è cosa che offende anche fra gli uomini, ed in materia di religione attira ridicolo e disprezzo; ma per Colui, i cui occhi sono una fiamma di fuoco, essa è cosa abbominevole. «Oh fossi tu pur freddo o fervente! Così, perciocché tu sei tiepido, e non sei né freddo, né fervente, io ti vomiterò fuori della mia bocca» Apocalisse 3:15-16.

2. L'insegnamento spirituale, che dal sale vien tolto, ed è ripetuto tre volte nei Sinottici, è troppo spesso dimenticato. I predicatori non insistono abbastanza sulla gravità dei peccati commessi contro la luce e contro la conoscenza, e la possibilità di essere abbandonati ad una mente reproba, e gli uditori non lo mettono a cuore. La Bibbia c'insegna che nessun peccatore sarà così difficilmente salvato come l'uomo che dopo aver fatto alte professioni di religione, ritorna al mondo, e che nessun cuore ha minori probabilità di venir mutato di quello che una volta dimostrava di amar l'evangelo, ma poi è divenuto freddo e indifferente ad esso 2Pietro 2:21-22.

3. È però necessaria una parola di avvertimento, affinché queste considerazioni, intese a spingere i lettori nella via della salute, non li scoraggiscano. Perché questa descrizione delle difficoltà della via, se non per eccitarvi a vincerle, e per fare appello a tutto il vostro coraggio per sfidarlo? Non è per trattenervi dal cominciar edifizio che siete qui esortati a calcolarne il costo, bensì per indurvi a edificare in modo da poter finire. Siete chiamati a tener consiglio, non per dissuadervi dall'entrare in campagna, ma piuttosto acciocché possiate condurre la guerra in modo da camminare alla vittoria. È della più alta importanza che siate appieno convinti del potere di Satana, e della completa vostra debolezza, non perché vi caschino le braccia, e ve ne restiate inoperosi, ma perché impariate a fidar nella grazia e nella forza delle braccia eterne che vi sono distese per sostenervi. «Io non ti lascerò, e non ti abbandonerò»; «Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica»; «Io mi rammemorerò le opere del Signore, perciocché io mi riduco a memoria le tue maraviglie antiche» Ebrei 13:5; Filippesi 4:13; Salmi 77:12.

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