Genesi 25

1 Capitolo 25

La discendenza di Abraamo per mezzo di Chetura, la sua morte e la sua sepoltura Gen 25:1-10

Dio benedice i discendenti di Isacco e quelli di Ismaele Gen 25:11-18

La nascita di Esaù e di Giacobbe Gen 25:19-26

I differenti caratteri di Esaù e Giacobbe Gen 25:27, 28

Esaù disdegna e vende la sua primogenitura Gen 25:29-34

Versetti 1-10

Alcuni giorni, anche quelli dei santi più grandi, non sono degni di nota: alcuni scivolano nel silenzio, come lo furono gli ultimi giorni di Abraamo. C'è qui la storia dei figli di Abraamo da parte di Chetura e la disposizione che diede delle sua proprietà. Dopo la nascita di questi figli, egli stabilì la sua casa con ordine, prudenza e giustizia e lo fece mentre era ancora in vita. È saggezza che gli uomini facciano quello che essi devono fare mentre sono ancora in vita, per quanto possono. Abraamo visse 175 anni: appena dopo i cento anni egli venne a Canaan e così lungamente soggiornò in un paese straniero. Se la nostra permanenza in questa vita è lunga o breve, molto o poco affaccendata, cerchiamo di lasciare una testimonianza della fedeltà e della bontà del Signore e un buon esempio alle nostre famiglie. Sappiamo che i suoi figli, Isacco e Ismaele, lo seppellirono. Sembra che Abraamo stesso li abbia avuti insieme sul letto di morte. Chiudiamo qui la storia di Abraamo e benediciamo Dio per una tale testimonianza così trionfante della fede.

11 Versetti 11-18

Ismaele ebbe dodici figli, le cui famiglie diventarono delle tribù distinte. Esse popolarono un paese molto grande che è compreso tra l'Egitto e l'Assiria, chiamato Arabia. Il numero e la forza di questa famiglia fu il frutto della promessa fatta ad Agar e ad Abraamo riguardo a Ismaele.

19 Versetti 19-26

Sembra che Isacco non sia stato molto provato in vita, tuttavia non trascorse i suoi giorni in pace. Giacobbe ed Esaù erano frutto della preghiera: i loro genitori, dopo essere stati a lungo senza figli, li ottennero, infatti, per mezzo della preghiera. La realizzazione della promessa di Dio è sempre sicura, anche se talvolta spesso tarda a compiersi, ma la fede dei credenti viene così messa alla prova e quanto più a lungo la loro pazienza è esercitata quando attendono delle grazie, tanto più le gradiscono quando si realizzano. Isacco e Rebecca tennero in considerazione la promessa che tutte le nazioni sarebbero state benedette dalla loro posterità, quindi non solo desideravano avere dei figli, ma erano anche ansiosi riguardo a tutto ciò che doveva accadere alla discendenza. In tutti i nostri dubbi dovremmo chiedere consiglio al Signore per mezzo della preghiera. In molti nostri conflitti segnati dal peccato e dalla tentazione possiamo adottare le parole di Rebecca: "Se così è, perché io vivo?", "Se sono figlio di Dio, perché sono così imprudente e carnale? Se non sono figlio di Dio, perché mi sento così timoroso o così carico di peccato?".

27 Versetti 27, 28

Esaù cacciava le bestie del campo con destrezza e con successo, fino a diventare un conquistatore che governava sui suoi vicini. Giacobbe era un uomo semplice, una persona a cui piacevano i veri piaceri del riposo più di tutti i finti piaceri. Egli fu uno straniero e un pellegrino in spirito e un pastore in tutta la sua vita. Isacco e Rebecca ebbero questi due figli, uno prediletto del padre e l'altro della madre: i genitori pii, però, pur amando maggiormente un figlio buono, non devono fare parzialità. Che il loro affetto li porti a fare quello ciò è giusto e uguale ad ogni figlio o ne verranno dei mali.

29 Versetti 29-34

Qui ci troviamo davanti all'accordo fatto tra Giacobbe e Esaù sul diritto di nascita: secondo Esaù frutto di carne ma frutto della promessa secondo Giacobbe. Fu un privilegio spirituale. Qui vediamo il desiderio di Giacobbe per la primogenitura che cercò di ottenere dal fratello maggiore per vie traverse, contravvenendo alla sua natura di persona semplice. Aveva il diritto di pretendere le cose migliori ma sbagliò sfruttando le necessità di suo fratello. L'eredità dei beni terreni del loro padre non si trasmise a Giacobbe e non era nemmeno considerata in questa promessa. Essa però includeva il futuro possesso della terra di Canaan per i figli dei suoi figli essendo il patto fatto con Abraamo in riferimento a Cristo e alla Discendenza promessa. Per fede Giacobbe considerò queste cose mentre Esaù, essendo incredulo, le rifiutò. Tuttavia, benché possiamo evitare di biasimare Giacobbe nella ricerca della primogenitura, dobbiamo assolutamente evitare qualsiasi frode pur di ottenere grandi vantaggi. La minestra di Giacobbe piacque agli occhi di Esaù: "Darmi una parte di quelle lenticchie rosse", per questo Esaù fu chiamato Edom o "il Rosso". L'appagamento dell'appetito sensuale rovina migliaia di anime preziose. Quando il cuore dell'uomo va appresso ai suoi occhi, Giob. 31:7, e quando serve il proprio ventre, esso sicuramente sarà punito. Se ci adoperiamo per evitare di soddisfare noi stessi rompiamo la forza maligna nella maggior parte delle tentazioni. Non si può supporre che Esaù stesse morendo di fame in casa di Isacco. Le parole: "Ecco sto morendo" sembra che indichino che egli non doveva vivere per ereditare Canaan o per una qualsiasi benedizione tra quelle future e che continui dicendo: "Chi le avrà quando sarò morto?". Questa è la lingua dei profani, con il quale l'apostolo lo marchia, Eb 12:16, e questo disprezzo della primogenitura è la sua colpa, ver. 34. È una grande follia rinunciare al nostro interesse per Dio, per Cristo e per il cielo a causa di ricchezze, onori e piaceri di questo mondo: è un pessimo affare come quello di chi ha venduto la sua primogenitura per un piatto di minestra. Esaù mangiò e bevve soddisfacendo il suo palato e il suo appetito e imprudentemente si alzò e andò per la sua strada senza il minimo pensiero o il minimo dispiace per il cattivo affare che fece. Esaù disdegnò così la sua primogenitura. Per la sua trascuratezza e il suo disprezzo e per giustificarsi di quello che egli aveva fatto, si mise a negoziare richiamando il passato. La gente si rovina, non tanto facendo quello che non è ammesso, ma, dopo avere agito, non pentendosi.

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