Ebrei 7

1 Sezione II. Ebrei 7. CRISTO SACERDOTE SECONDO L'ORDINE DI MELCHISEDEC.

In Salmi 110 il Messia è proclamato «sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec». Chi è Melchisedec e che sorta di ordine sacerdotale è il suo? In che consiste la sua eccellenza? Certo, esso è anteriore al levitico, poiché è il primo di cui ci parli la Scrittura. Esso è di natura più universale, poiché ministra a beneficio, così di una tribù cananea; come del semita Abramo che gli rende omaggio. Esso presenta, in bella ed armonica unione, le funzioni regie e le sacerdotali. Esso si fonda sulla personale grandezza morale di chi lo esercita. Non è dunque una forma, irregolare e rudimentale di sacerdozio, ma n'è piuttosto la forma più alta, quella di cui il Messia sarà un giorno l'incarnazione ideale e perfetta.

In una prima suddivisione Ebrei 7:1-10 l'autore esponendo e commentando il testo Genesi 14:18-20 mostra la grandezza del sacerdote Melchisedec, tipo del Messia. La seconda suddivisione Ebrei 7:11-28 contiene le deduzioni che l'autore trae dalla dichiarazione divina dei Salmi 110 circa la superiorità del sacerdote del Nuovo Patto su quelli levitici.

Ebrei 7:1-10. La tipica grandezza di Melchisedec.

In Ebrei 7:1-3, come nota A. B. Bruce, lo scrittore riassume in un'unica e densa frase, tutti i particolari aventi un valore tipico nel personaggio misterioso che la Scrittura ci presenta come una immagine del Messia.

Perocché, cotesto Melchisedec, re di Salem, sacerdote dell'Iddio altissimo, il quale andò incontro ad Abramo quando se ne tornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse, al quale ancora Abramo diede la decima di ogni cosa, che è anzi tutto, giusta l'interpretazione [del suo nome], re di giustizia, poi anche re di Salem, cioè re di pace, senza padre, senza madre, senza genealogia, non avente né principio di giorni né fine di vita, ma assomigliato al Figlio di Dio, dimora sacerdote in perpetuo.

Il perocchè si connette ad Ebrei 6:20 ove lo scrittore, riferendosi al Salmi 110, ha ricordato che il Cristo fatto sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec, lo è in eterno. E difatti, prosegue, questo Melchisedec, quale ce lo presenta la Genesi 14:18-20, resta, nelle pagine della Scrittura, una figura isolata che grandeggia sull'orizzonte estremo della storia israelitica, un Sacerdote unico della sua specie e che perciò «dimora in perpetuo». Egli era re di Salem che secondo il Talmud, è il nome più antico di Gerusalemme. Nel Salmi 76:2 si legge: «il suo tabernacolo è in Salem, e la sua dimora in Sion». il nome completo Jerû-shalaim (nelle tavole egizie di Tel-el-Amarna: Uru-Salim) significa secondo i più «stanza di pace». La situazione di Gerusalemme risponde bene ai dati della narrazione Genesi 14 ed è inoltre notevole il fatto che ai tempi di Giosuè il re di Gerusalemme, Adoni-zedek (signore di giustizia), porta un nome analogo a quello di Malëki-zedek (re di giustizia). È chiamato nella Genesi sacerdote dell'Iddio altissimo (El-eliôn) a mostrare come in mezzo al dilagare del politeismo egli avesse conservata la fede nell'unico vero Dio. Nel solo fatto che di lui ci sia noto, Melchisedec ci appare come un uomo moralmente superiore che esprime la sua simpatica ammirazione per un altro uomo ugualmente grande. Abramo mosso dal suo cuore generoso, pieno di fede, è andato con poca gente a liberare una moltitudine di prigioni, fra cui trovavasi il suo nipote Lot. Ha sconfitto quattro re ed ha ricuperato una preda considerevole. Saputo quest'atto di nobile eroismo, Melchisedec esce incontro a lui con pane e vino e lo benedice nel nome del Dio altissimo.

2 Abramo, a sua volta, riconoscendo la grandezza morale di questo sacerdote venerando, gli rende omaggio col dargli per sua parte ( εμεπισεν) la decima del bottino fatto. Considerando questa figura straordinaria di sacerdote proclamato tipo del Messia nel Salmi 110 lo scrittore scorge molte cose degne di nota. Il nome stesso che vale «re di giustizia» gli pare bene adatto a prefigurare il carattere del Messia personalmente giusto e seguace di giustizia nel suo regno. il fatto ch'egli è re di Salem ch'è quanto dire «re di pace» gli sembra ugualmente significativo. Il Messia sarà pacifico di natura e principe della pace per stabilirne il regno fra gli uomini. Giustizia e pace sono nell'Ant. Test. i due caratteri principali del regno del Messia. Cfr. Isaia 9:5,7; 11:1-16; 32:1; Michea 4:5; Geremia 23:5; Zaccaria 9:9-10.

3 Perfino in quel che la Scrittura ispirata ha taciuto di Melchisedec l'autore vede l'intenzione divina di darci in questo personaggio un tipo del Messia, una figura che gli rassomigli sia pure molto imperfettamente. Così, non ci è data la sua genealogia e mentre per i sacerdoti levitici era cosa essenziale il sapere se il padre fosse discendente di Aaronne, se la madre oltre a ciò fosse una vergine pura d'Israele (Cfr. Esdra 2:61; Neemia 7:64). Melchisedec appare nella storia senza padre conosciuto, senza madre registrata in una genealogia, senza che si sappia quando ebbe principio e quando ebbe termine la di lui vita, senza che ci sia detto se ebbe dei predecessori e dei successori nel suo sacerdozio. Nella Genesi egli è una apparizione solitaria, e par che debba l'ufficio sacerdotale unicamente alla sua personale elevatezza morale. Per questi diversi aspetti egli è assomigliato al Figliuol di Dio, è descritto cioè in modo che il ritratto di lui nella Scrittura offre una, certa rassomiglianza con la realtà storica quale è apparsa nel Cristo. Il Cristo infatti, re e sacerdote ad un tempo, giusto e pacifico, non è sacerdote in virtù della sua discendenza carnale, bensì per quel ch'egli è in sè stesso. Come Figlio di Dio, egli non deriva la vita da genitori terreni, poichè la sua natura divina è ab eterno ed in eterno. Egli possiede una «vita indissolubile» e resta perciò, non sulle tavole della storia soltanto, ma in realtà, «sacerdote in eterno».

Da quanto dice qui l'autore, alcuni antichi trassero la conclusione che Melchisedec non sia stato un uomo in carne ed ossa, bensì l'incarnazione d'un essere soprannaturale, d'un angelo, dello Spirito Santo, del Figliuol di Dio; ovvero ch'egli sia stato, quanto meno, un essere miracolosamente chiamato all'esistenza e miracolosamente ritirato dalla terra. Altri ancora lo considera come una semplice figura tipica liberamente delineata dall'autore della Genesi per incarnare una idea, ma priva di realtà storica. Però non esiste alcuna ragione seria per negare a Melchisedec il carattere di personaggio storico. Come tale ce lo presenta la Genesi in un capitolo tutto irto di dati geografici e storici confermati da recenti scoperte. Come tale lo ritiene il nostro autore, poichè altrimenti il ragionamento ch'egli fa Ebrei 7:4-10 sulla benedizione data ad Abramo da Melchisedec e sulla decima pagata dal patriarca, poggerebbe sul vuoto.

4 Infatti Ebrei 7:4-10 mettono in risalto un particolare importante contenuto nel quadro di Melchisedec tracciato dalla Scrittura, un altro aspetto della sua grandezza, cioè la posizione sua superiore di fronte al patriarca Abramo.

Or considerate quanto grande sia stato costui al quale Abramo, il patriarca, diede anche la decima [tolta] dal meglio della preda.

Non solo accettò d'esser da lui benedetto, ma col dargli la decima tolta dal meglio del bottino fatto, ne riconobbe spontaneamente l'alta dignità sacerdotale, lui ch'era destinato ad essere il padre del popolo eletto, ed avea da Dio ricevute le splendide promesse riferite in Genesi 12. Il levar le decime era un diritto riconosciuto dalla legge mosaica alla tribù sacerdotale di Levi e, nella tribù, in ispecie ai sacerdoti della famiglia di Aaronne che levavano la decima delle decime ricevute dai Leviti e ciò in virtù dell'ufficio cui erano chiamati. Numeri 18:21-32. Pagando la decima alla tribù sacerdotale, gl'Israeliti, sebbene figli anche loro d'Abramo, riconoscevano la dignità conferita ai Leviti. Ma, nel caso di Melchisedec, non è un discendente d'Abramo che rende omaggio ad un altro discendente d'Abramo; ma è il capo-stipite del popolo di Dio che riconosce come superiore a sè, per l'ufficio che riveste, il sacerdote di Salem.

5 Or quelli d'infra i figli di Levi che ricevono il sacerdozio, cioè gli Aaronidi, hanno bensì, secondo la legge, l'ordine di levar le decime dal popolo, ch'è quanto dire dai lor fratelli, sebbene questi siano usciti dai lombi d'Abramo,

membri anch'essi della nazione santa,

6 ma colui che non trae il suo legnaggio da loro,

che non figura nelle genealogie come discendente di Aaronne perchè estraneo perfino alla famiglia d'Abramo,

levò la decima da Abramo,

non in virtù di una legge, ma per l'atto volontario del patriarca che gli tributò quell'omaggio;

e benedisse colui che avea le promesse,

che avea ricevuto da Dio la promessa d'esser oggetto di benedizione e stromento alla sua volta di benedizione lui e la sua progenie dopo di lui.

7 Ora senza veruna contradizione ciò ch'è inferiore è benedetto da quel ch'è superiore.

Si tratta di inferiorità e di superiorità in fatto di posizione ufficiale. Un padre che benedice i suoi figli, un capo che benedice il suo popolo, un sacerdote che benedice chi ricorre a lui, sono per la loro situazione ufficiale superiori a coloro a cui impartono una benedizione. All'infuori dell'ufficio, chi è inferiore può anche implorare da Dio una benedizione su chi gli è superiore. Coll'impartire ad Abramo la benedizione ricordata Genesi 14:19-20. Melchisedec assumeva una posizione superiore al patriarca ed implicitamente superiore anche a quella dei Leviti suoi discendenti.

8 Per un altro verso ancora Melchisedec appare rivestito di una dignità superiore a quella dei sacerdoti discesi da Abramo. La dignità di costoro posava per poco sul loro capo, poi passava ad un altro. Melchisedec invece resta nelle pagine della Scrittura senza successore.

E qui, nel caso dei sacerdoti israeliti, prendono le decime degli uomini che muoiono dopo pochi anni di ufficio tramandando ad altri il sacerdozio, mentre là (le prende) uno di cui è attestato ch'ei vive.

Chi attesta questo è la Scrittura nei due passi ove si fa menzione di Melchisedec, poiché qui si tratta manifestamente di Melchisedec e non di Cristo. Bisogna quindi interpretare questo vivere di Melchisedec in armonia con quanto la Scrittura ci fa conoscere di lui ed anche in armonia con quanto l'autore della lettera scorge nella Scrittura. Non è questione, quindi, del vivere di Melchisedec nell'altro mondo, poiché anche i sacerdoti levitici vivono nello Scheol. Si tratta semplicemente di un vivere in ufficio, di un vivere nella storia come sacerdote unico della sua specie, la cui dignità non risulta trasmessa ad alcun successore. Come tale Melchisedec è un tipo adatto del Messia il quale solo possiede realmente ed esercita un sacerdozio che non trapassa. cf. Ebrei 7:23-25.

9 E per modo di dire, per mezzo di Abramo, anche Levi il quale prende le decime, è stato sottoposto alla decima; poiché egli era ancora nei lombi del suo padre quando a questi venne incontro Melchisedec.

Il sacerdozio di cui Melchisedec è il rappresentante imperfetto è di natura superiore al levitico. Questa verità che l'autore dimostrerà più ampiamente in seguito, egli la vede adombrata nel fatto dell'omaggio reso da Abramo, il padre (o più precisamente il bisnonno) di Levi capostipite della tribù sacerdotale. In Abramo i sacerdoti levitici hanno virtualmente, se non alla lettera, reso omaggio al sacerdozio superiore di Melchisedec.

11 Ebrei 7:11-28. La superiorità del Sacerdote Messia sugli Aaronidi.

Dopo aver posto in evidenza i caratteri della grandezza di Melchisedec, quali risultano da Genesi 14; l'autore torna ora alla importante, dichiarazione di Salmi 110 ove il Messia è proclamato sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec, e vi torna su per dedurne la conseguenza della superiorità del sacerdozio nuovo su quello stabilito dalla legge levitica. Già il fatto stesso che un oracolo divino, mentre vigevano le istituzioni legali, proclamava il Messia sacerdote di (in ordine diverso da quello di Aaronne costituiva una prova che l'economia legale connessa intimamente col sacerdozio levitico, era destinata, nei consigli di Dio, ad essere meramente transitoria. La parola di Salmi 110 era per essa un decreto anticipato di abolizione Ebrei 7:11-19. Anche il giuramento solenne col quale il Messia è ivi insediato come sacerdote è un indizio ch'egli è Mediatore di un patto migliore Ebrei 7:20-22. Egli poi è sacerdote in perpetuo, e la morte non lo costringe a trasmettere ad un altro mortale l'ufficio suo Ebrei 7:23-25. Insomma egli è, per ogni verso, un sacerdote perfetto che risponde ai nostri bisogni Ebrei 7:26-28.

Ebrei 7:11-19. La proclamazione profetica in Salmi 110 di un sacerdote nuovo, secondo l'ordine di Melchisedec, implica due cose riassunte, in Ebrei 7:18-19; suona imprima abolizione del sacerdozio levitico e dell'economia fondata su quel sacerdozio; suona inoltre introduzione definitiva di una specie di sacerdozio diverso da quello levitico, fondato non su una legge di successione carnale, ma sopra una potenza di vita indistruttibile, apportatore di migliore speranza, perchè capace di effettuare l'ideale del sacerdozio ch'è quello di avvicinar l'uomo a Dio, operando la riconciliazione tra Dio e l'uomo.

Se dunque vi fosse stata perfezione per mezzo del sacerdozio levitico, poiché su quello è basata, la legge data al popolo, che bisogno vi era egli ancora dopo l'istituzione del sacerdozio levitico, che sorgesse un sacerdote diverso «secondo l'ordine di Melchisedec» e che non fosse nominato secondo l'ordine d'Aaronne?

Perfezione o compimento ( τελειωσις) è, come nota A. B. Davidson, parola di senso relativo. Una istituzione reca perfezione quando raggiunge il fine per cui è stata stabilita e produce un risultato che risponde al concetto di essa. Il fine del sacerdozio è di portar gli uomini vicini a Dio col rimuovere l'ostacolo del peccato il quale, gravando sulla coscienza, impedisce il libero accesso a Dio (cf. Ebrei 9:9; 10:1,14). Onde recar teleiosis (perfezione), il sacerdozio levitico avrebbe dovuto provvedere vera ed eterna espiazione dei peccati, aprendo al popolo la via alla presenza di Dio. Ma esso non era capace di tanto e non poteva che preparare l'avvento del sacerdote e del sacrificio perfetto. Come tutta l'economia legale di cui esso era il cardine, non poteva essere che «pedagogo in vista di Cristo» col far sentire il bisogno di Colui che solo poteva recare la perfezione. E cotesto bisogno trova la sua espressione già anticamente nelle parole ispirate dei profeti che salutano da lontano il sorgere di un nuovo patto e di un re-Sacerdote perfetto ed eterno. Ma l'esistenza stessa di questo bisogno e di questa profezia, sta a provare l'imperfezione ed il carattere transitorio del sacerdozio levitico, il quale dovrà essere, a suo tempo, sostituito da ton sacerdozio di genere diverso ( ἑτερος) da quello appartenente al legnaggio degli Aaronidi.

12 Né si può dire che l'annunziato mutamento del sacerdozio sia, casa di secondaria importanza poiché in esso è implicato nientemeno che il mutamento di legge e di economia.

Perciocchè, mutato il sacerdozio, avviene di necessità, anche un mutamento di legge.

Il sacerdozio è il pernio a cui s'incardina la legge. Buona parte delle prescrizioni legali si riferiscono ai sacerdoti, alla loro estrazione e consecrazione, al culto cui essi ministrano ed in genere alle loro funzioni. Non solo, ma il sistema intero, il patto stesso non sussiste senza il sacerdozio che provvede ad una espiazione, sia pure imperfetta, dei peccati. Senza di questa, la «tolleranza» delle trasgressioni non sarebbe possibile (cf. Romani 3:25). Avvenendo un mutamento di sacerdozio, colla sostituzione del sacerdote melchisedekiano a quelli levitici, di necessità restano abolite non solo le disposizioni relative all'antico sacerdozio, ma vengono ad esser mutati sostanzialmente il patto stesso e le condizioni dell'accesso a Dio.

13 Quel che la profezia preannunziava, è quello che si è costatato nel fatto storico.

Infatti, colui riguardo al quale queste cose, quelle del Salmi 110, son dette, ha fatto parte di un'altra tribù, niun discendente della quale [mai] vacò all'altare. Poiché è cosa notoria che il Signor nostro è sorto di Giuda, tribù della quale Mosè non disse nulla che si riferisse a dei sacerdoti.

(testo em.). Per i lettori come per l'autore della lettera, è cosa indubitata che Gesù è il Messia, e che in lui si sono adempiute le profezie antiche, fra cui quella del Salmi 110.

14 La profezia proclamava il Messia sacerdote di un ordine diverso dal legale, e Gesù infatti non è nato dalla tribù di Levi, bensì, come annunziavano i profeti, dalla tribù regale di Giuda; tribù che non fu mai sacerdotale né per alcuna disposizione della legge mosaica, né per pratica del sacerdozio. Nell'avvento storico del Sacerdote-Messia la legge mosaica è stata praticamente messa da parte per non dire addirittura abrogata. Notevole è l'appello che lo scrittore fa qui alla perfetta notorietà dei fatti essenziali della carriera terrestre di Gesù. Il perfetto μετεσχηκεν (ha partecipato) accenna indirettamente alla volontaria entrata del Figlio di Dio nella vita umana mediante l'incarnazione nel seno della vergine di Giuda. Nell'è sorto ( ανατεταλκεν) ritroviamo l'immagine profetica del «germoglio» che dovea spuntar dal ceppo davidico (cfr. Zaccaria 3:1; 6:12; Isaia 11:1). Colui che sorse come «rampollo da terra arida» siede ora qual Signor nostro alla destra di Dio. «Come S. Giovanni, il nostro autore attesta in modo ugualmente esplicito la natura umana e la natura divina del Cristo» (Westcott).

15 E [ciò] è ancora viepiù manifesto se, com'era predetto e com'è infatti avvenuto, sorge alla somiglianza di Melchisedec, un sacerdote diverso, che non lo è divenuto in forza di una legge di carnali prescrizioni, ma in forza di una potenza di vita indissolubile. Poiché vien resa [di lui questa] testimonianza: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec».

L'annunziato sorgere di un sacerdote non Aaronide era già di per se una sentenza di futura abrogazione del sacerdozio levitico e della economia preparatoria; ma se si considera attentamente l'oracolo del Salmo, si vedrà in modo più evidente ancora ch'esso implica la sostituzione al sacerdozio imperfetto di un sacerdozio di natura superiore, capace di rendere il popolo «compiuto».

16 Il Messia e sacerdote in eterno, non avrà successori. Che vuol dir questo? Vuol dire che la morte non ha potestà sopra lui. ch'egli possiede, non una vita passeggiera e breve, come gli altri, ma una vita indissolubile. Innalzato sul trono celeste, il Cristo «non muore più», «vive sempre» per compiere l'opera sua sacerdotale e regia. per «salvare appieno quelli che s'accostano a Dio per mezzo di lui». Tale ha da essere il sacerdote ideale, ed è perchè Cristo possiede questa vita indissolubile ch'egli è da Dio stabilito sacerdote supremo e definitivo del popolo dei redenti. «Questo cuore sacerdotale non cessa mai di battere; questa bocca sacerdotale non diventa muta né ingannatrice; questa mano sacerdotale non resta vuota e senza forza» (Schlatter). Il Messia è costituito sacerdote secondo una potenza di vita indissolubile, in virtù di quel ch'egli è, di quel che possiede in sè stesso, e quel che possiede è una potenza di vita che sfida la morte. E la possiede non solo come Figlio di Dio, ma come uomo perfetto. Unito personalmente alla Divinità, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Quale superiorità sopra i sacerdoti levitici! Essi sono costituiti tali, non in forza di alcuna eccellenza personale, non in forza del loro valore morale e spirituale, ma secondo una legge, in forza di una norma, di una regola esterna, incapace di impartir alcuna energia vitale e una, legge di prescrizioni carnali. L'originale dice letter.: «di una prescrizione carnale». Le disposizioni legali circa la scelta dei sacerdoti hanno carattere carnale, perchè non riguardano se non quello ch'è esterno, corporale: la discendenza, la perfezione fisica, il matrimonio contratto, etc. Non si innalzano al disopra della sfera della carne. Ed è in virtù unicamente di coteste prescrizioni esterne che sono costituiti, nel succedersi delle lor generazioni, i sacerdoti aaronidi.

17 Il sacerdote melchisedekiano del Salmi 110 è dunque non solo diverso per estrazione dai levitici, ma e di natura infinitamente superiore. E in una parola il sacerdote definitivo che abolisce ogni sacerdozio preparatorio ed inadeguato.

18 Perciocchè avviene bensì, nella profezia del Salmi 110, ormai adempiuta, l'abrogazione del precedente comandamento per la sua debolezza ed inutilità (la legge infatti non ha condotto nulla a compimento) ma sopraggiunge altresì d'introduzione di una migliore speranza, mediante la quale ci appressiamo a Dio.

Tale la costruzione più esatta del periodo greco, che non poche versioni hanno reso in modo manchevole. L'autore vi riassume, sotto il suo duplice aspetto, negativo e positivo, la conclusione principale ch'egli trae dalla profezia che gli serve di testo. Certo vi è implicata l'abrogazione del precedente comandamento cioè delle prescrizioni relative al sacerdozio, o meglio della intera legge levitica che ha preceduto di molti secoli la profezia in questione. Essa è abolita per la sua debolezza ed inutilità o propriamente «per quel che vi era in essa di debole e di inutile». L'autore sa di esprimere qui un pensiero poco gradito a degli Ebrei, e perciò lo fa con tutta la delicatezza possibile.

19 Il carattere di debolezza e d'inutilità inerente alla legge dipende dal fatto ch'essa era impotente a render l'uomo compiuto; non potea con i suoi sacrificii purgar la coscienza dal peccato Ebrei 9:9-10; 10:2, né potei coi suoi ordini comunicar vita nuova all'uomo. «Era debole» dice S. Paolo Romani 8:3, «a motivo della carne» e altrove si serve dell'espressione «deboli e, poveri elementi» Galati 4:9. Aveva senza dubbio la legge una utilità relativa inquanto dava la conoscenza del peccato e rendeva l'uomo conscio della sua impotenza, facendolo sospirar dietro! Liberatore; ma era debole ed inutile quando si trattasse di procurar la liberazione. «La legge, nota lo Schlatter, ha un sacerdote che però non rivela Dio effettivamente; un santuario nel quale però Dio non abita; un sacrificio che però non procura perdono; una purità che però cuopre solo d'un velo l'impurità; una santità che però lascia l'uomo separato da Dio». La legge non ha condotto nulla a compimento. Ma se il testo profetico parla di abrogazione di istituzioni venerate dagli Ebrei, parla anche più esplicitamente della introduzione di una migliore speranza. Nello svolgimento del disegno di Dio avviene l'abolizione. di ciò ch'è imperfetto, mediante la sostituzione di ciò ch'è migliore, ch'è perfetto. Non c'è dunque da rimpiangere le istituzioni che cadono quando sorge, in lor vece, splendido l'edificio delle nuove e migliori. Il termine adoperato επεισαγωγη indica che sopra alle istituzioni legali abrogate, così da prenderne il posto, avviene l'introduzione di una migliore speranza, mediante l'opera del Messia, la grande speranza d'Israele. Egli, il sacerdote perfetto, ha compiuto realmente l'espiazione del peccato, egli purifica la coscienza col sangue del suo sacrificio, egli apre veramente la via al trono di Dio, assicurando al popolo degli adoratori il libero accesso a Dio e la filiale comunione con lui. In questo sta il compimento, l'ideale dell'uomo.

20 Ebrei 7:20-22

Anche il modo solenne in cui è stabilito il sacerdote del Nuovo Patto accenna a qualcosa di migliore, di più stabile dell'antico sacerdozio. Il giuramento di Dio per sè stesso non è adoperato per cose passeggere. In Ebrei 4 l'autore ha detto che con esso Dio volea far intendere il carattere immutabile della sua promessa; qui si tratta del carattere permanente del Sacerdote messianico mediante il quale si effettuerà la promessa. «Geova l'ha giurato, dice in Salmi 110:4, e non si pentirà, tu sei sacerdote in eterno...» Nulla di così solenne s'incontra nella storia della istituzione del sacerdozio levitico.

E siccome ciò non è avvenuto senza giuramento, poiché quelli sono divenuti sacerdoti senza giuramento, mentre questi lo è divenuto con giuramento, mediante colui che gli ha detto: «L'ha giurato il Signore, e non si pentirà, tu sei sacerdote in eterno», così Gesù è divenuto mallevadore d'un patto ch'è anche proporzionatamente migliore.

Al modo meno solenne adoperato nella istituzione legale, corrisponde la minore eccellenza e durata del sacerdozio levitico. Parimenti al modo più, solenne con cui è insediato il sacerdote melchisedekiano, corrisponde la superiore eccellenza del patto di cui egli è garante. Cotesta rispondenza lo scrittore l'esprime con una locuzione che non si può facilmente tradurre: καθὁσαν Ebrei 7:20: lett. secondo quanto - καθα τοσουτο Ebrei 7:22: lett. secondo tanto. La seconda metà del v. 20 ed il v. 21 formano, tra i due termini del paragone, una parentesi spiegativa che ricorda il modo in cui fu istituito il sacerdozio levitico (Cfr. Esodo e Levit.) e quello in cui è istituito il sacerdozio definitivo nel Salmi 110. Chi parla in questo oracolo è l'Eterno e le sue parole sono rivolte al re teocratico ideale, cioè al Messia.

22 A. B. Bruce fa notare che lo scrittore prima ragiona della inferiorità del sacerdozio, poi col sacerdozio implica anche la legge Ebrei 7:13 e qui fa un passo di più mentovando addirittura il Patto, il sistema tutto quanto. La parola διαθηκη (patto) che occorre qui per la prima volta, s'incontra 16 volte nel resto del N.T. mentre l'Epistola agli Ebrei l'ha non meno di 17 volte. Corrisponde all'ebraico berîth di cui è la traduzione nella versione dei LXX. Derivato da διατιθημι (dispongo cf. Luca 22:29) significa:

a) una disposizione e specialmente: e ultime disposizioni che si consegnano in un testamento a favore degli eredi Ebrei 9:16-17;

b) un patto o accordo stipulato tra due parti in vista di un dato fine.

Le parti possono essere degli uomini come Abramo ed Abimelec, Giosuè ed i Gabaoniti, Gionatan e Davide, etc. Galati 3:15,17; Genesi 21:32; Giosuè 9; ovvero il patto può esser concluso tra Dio e gli uomini, Egli obbligandosi con date promesse ed essi obbligandosi ad osservar le condizioni poste da Dio sotto pena d'incorrere nelle sanzioni divine preannunziate. Quando si parla di Patto tra Dio e gli uomini, si tratta in fondo di una disposizione misericordiosa di Dio in cui egli offre il suo favore, ma sotto date condizioni morali. Nella nostra Epistola si parla di due cotali patti. Il primo vien concluso al Sinai col popolo d'Israele, per la mediazione di Mosè. È chiamato il primo patto Ebrei 9:15, il patto antiquato (Ebrei 8:13; cf. 2Corinzi 3:15);. e siccome era fondato sull'osservanza della legge conservata nell'arca, si parla delle «tavole del patto», dell'«arca del patto» Ebrei 9:4 ed anche del «sangue del patto» perchè venne inaugurato con uno spruzzamento di sangue Ebrei 9:20. Il secondo patto e chiamato il patto migliore in Ebrei 7:22 perchè procura la realtà dei beni di cui l'antico non conteneva se non l'ombra, perchè mette l'uomo in condizione di, potersi avvicinare a Dio come figlio riconciliato. È chiamato pure il nuovo patto Ebrei 8:8; 9:15, il patto recente Ebrei 12:24, il patto eterno Ebrei 13:20, ch'è «stabilito sopra migliori promesse» da parte di Dio Ebrei 8:6. Di esso Gesù è detto il «Mediatore» ( μεσιτης) Ebrei 9:15; 12:24; e qui anche il mallevadore ( εγγυος) parola che fa parte di una famiglia non rappresentata altrimenti nel N.T. Gesù è divenuto garante o mallevadore del Patto migliore, perchè in lui gli uomini possono avere la certezza dell'adempimento delle misericordiose promesse di Dio. Egli non e soltanto il rivelatore del Nuovo Patto; ma è altresì colui che lo ha suggellato col suo proprio sangue, chiamato perciò «il sangue dello spruzzamento» Ebrei 12:24 «il sangue del patto, versato per molti in remission dei peccati» Matteo 26:28. Il nuovo patto è fondato sul suo sangue Luca 22:20 che ha espiato i peccati. Non solo, ma Gesù entrato nei cieli come capitano della salvazione, come precursore del suo popolo, è sicura garanzia della completa salvazione dei suoi.

23 Ebrei 7:23-25

La natura permanente del sacerdote messianico è ancor essa argomento della sua superiorità, e lo mette in grado di assicurare la completa salvazione del suo popolo.

Inoltre, coloro son divenuti sacerdoti in gran numero, perchè impediti dalla morte di durare; ma questi, perchè dimora in eterno, possiede il sacerdozio che non è trasmissibile, per cui può anche salvare completamente coloro che si accostano a Dio per mezzo di lui, vivendo sempre per intercedere in loro favore.

I sacerdoti levitici che fin dalla loro prima istituzione furono in molti ad essere appartati, si sono poi, nelle loro generazioni, succeduti nel corso dei secoli, così da formare una moltitudine, poiché la loro permanenza in ufficio era ridotta dalla morte a breve tempo ed il loro sacerdozio passava del continuo da un mortale all'altro.

24 Ma «questi», cioè il sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec, per la potenza di vita indistruttibile che gli è propria e lo fa capace di dimorare in eterno nell'ufficio, possiede un sacerdozio permanente. La parola adoperata per designare il sacerdozio di Cristo, è απαραβατος (aparàbatos) intesa da antichi interpreti nel senso che ritroviamo nella diodatina che non trapassa ad un altro». La maggior parte dei moderni l'intende in senso più passivo «non soggetto a trapassi», immutabile, inviolabile, quindi assoluto. Cf. la Vulg. «intransgressibile». La eterna permanenza del sacerdote conferisce immutabilità all'ufficio suo. Vero è che il Cristo morì; ma come fu detto da un espositore, egli «fece entrare la morte come elemento nella sua vita»; morì come uno che aveva il potere di deporre volontariamente la propria vita per riprenderla di poi.

25 In virtù della natura permanente del suo sacerdozio, Cristo può condurre l'opera della salvazione del suo popolo fino al pieno compimento. «Salvare» si applica all'uomo peccatore e perduto; ma contiene in fondo la stessa idea del «rendere compiuto» che applicasi piuttosto all'uomo considerato come manchevole di fronte allo stato ideale di perfezione cui Dio lo destinava. Il salvare appieno o completamente, include non solo il perdono che solleva la coscienza, ma l'introduzione e la conservazione nella piena ed eterna comunione di Dio. La locuzione coloro che si accostano a Dio è adoperata solo nella nostra Epistola per designare il popolo degli adoratori. Dicendo per mezzo di lui, l'autore accenna alla fede nel Cristo Mediatore, quale condizione della salvazione. «Io son la via... niuno viene al Padre se non per mezzo di me». Dopo avere sulla terra offerto un unico sacrificio per il peccato, il Sacerdote immutabile «non muore più» anzi vive sempre per intercedere in favore dei suoi. Il verbo ευτυγχανειν (intercedere) significa propriamente incontrare uno, venirlo a trovare per conversare secolui Atti 25:24. L'atto può essere contro uno ( κατα) Romani 11:2; o a favore ( ὑπερ) di uno ed è allora un intercedere presso altri in suo favore Romani 8:27,34. L'intercedere presso Dio a favor del popolo faceva parte dell'ufficio del sommo sacerdote levitico il quale, entrando nel luogo Santissimo, portava sul pettorale i nomi delle dodici tribù d'Israele Esodo 28:29. Il sommo sacerdote nostro «ora non invoca più Dio come una volta, con gran grido e lagrime... ma gli parla come figlio al Padre nella luce della sua perfetta unione con Lui» (Schlatter). «In questa intercessione per noi, nota il Delitzsch, si riassume tutta l'attività sacerdotale di Gesù nella sua esaltazione. Questa εντευξις (intercessione) durerà finchè non sia compiuta la finale redenzione del popolo di Dio, finchè, cioè, non sia sparito ogni peccato, ogni dolore ed ogni traccia di morte. Il suo fondamento sta nel sacrificio espiatorio compiuto una volta in croce. il suo movente continuo sta nella simpatia ch'egli nutre per coloro di cui l'amor suo lo ha portato a dividere le infermità e le prove. il modo di essa non consiste solo nel presentarsi in silenzio davanti a Dio, ma in una eloquente intercessione a favor di ciascuno dei suoi redenti ed in ogni loro necessità, e finalmente il frutto di essa sta nel mantenersi costantemente in istato di grazia presso a Dio rimovendo ogni impedimento, ogni ombra gettati dal peccato. Quest'opera sacerdotale che Cristo compie ora nel cielo sta all'opera redentrice innanzi compiuta, sulla terra, come l'opera conservatrice della provvidenza di Dio sta all'opera creatrice». La preghiera sacerdotale riferita in Giovanni 17 ci può dare una idea dell'intercessione di Cristo, quantunque non siamo autorizzati a trasferire nel cielo quanto appartiene alla forma terrena.

26 Ebrei 7:26-28

In questi versetti la superiorità del Sacerdote del Nuovo Patto viene riassunta, come in un inno finale, nei tre capi seguenti:

Quanto alla sua persona egli è il Figlio, mentre i sacerdoti levitici sono semplici uomini; egli è moralmente perfetto, mentre essi sono peccatori.

Quanto alla sfera in cui esercita il suo sacerdozio egli è assunto in cielo fuori della sfera delle tentazioni, delle persecuzioni e contaminazioni del mondo malvagio: egli vi è anzi innalzato sul trono della podestà suprema.

Quanto al ministerio suo sacerdotale, egli non è obbligato dalla propria morale infermità ad offrir sacrificii per i propri peccati, né a ripetere di frequente gli stessi inefficaci sacrificii per i peccati del popolo, poich'egli ha offerto sulla croce sè stesso, in sacrificio unico ed eternamente efficace.

Perocché, a noi anche conveniva un siffatto sommo sacerdote, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli (lett. divenuto più alto che i cieli).

Il sacerdote messianico è tale, e tale anche conveniva che fosse, per rispondere ai nostri bisogni. Finchè si trattava soltanto della persona del Sacerdote perpetuo, l'autore adoperava il termine più generico di ἱερευς (sacerdote), ma ora che entrerà a parlare dell'opera sacerdotale del Messia, lo chiamerà di regola αρχιερευς (sommo sacerdote), perchè le funzioni del sommo sacerdote aaronico sono quelle che meglio adombrano l'opera sacerdotale del Cristo.

I tre aggettivi: santo, innocente, immacolato, descrivono ciascuno un lato speciale della perfezione morale del sacerdote ideale. ὁσιος (santo) traduzione ordinaria dell'ebraico chasîd, si applica talvolta a Dio nel N.T. Apocalisse 15:4; 16:5, e quando è applicato agli uomini va congiunto con i qualificativi di giusto, di temperante Tito 1:8; cf. 2Tessalonicesi 2:10. Il Trench osserva che nel greco profano il vocabolo indica uno che osserva le leggi morali eterne, superiori ad ogni umano regolamento. Esprime qui la religiosa consecrazione del Cristo a Dio, includendo la sua pietà, la sua umiltà, la sua ubbidienza, la sua fede e perseveranza, la sua fedeltà. ακακος (innocente o innocuo) si riferisce alle disposizioni verso gli uomini. Esprime l'assenza di ogni malizia, quindi lo spirito di bontà, d'indulgenza, di simpatia. αμιαντος (immacolato, incontaminato) accenna all'assenza d'ogni contaminazione in tutto l'essere suo, alla sua purezza perfetta di spirito, d'anima e di corpo. La legge esigeva che il sommo sacerdote fosse senza difetto corporale e lavato d'acqua pura quando entrava nelle funzioni sacre il Cristo, nonostante il contatto con un mondo contaminato, ha conservato sè stesso puro di ogni macchia morale. Se non fosse stato mondo di peccato, non avrebbe potuto rappresentarci innanzi a Dio.

Le due caratteristiche che seguono si riferiscono alla sfera in cui ministra il sommo sacerdote messianico. Egli è separato dai peccatori, il che non vuol dire solo ch'egli è distinto dai peccatori per la sua santità, ma ch'egli, colla sua risurrezione ed ascensione al cielo è stato da Dio tolto dal mondo dei peccatori ed innalzato là dove non è più esposto alla «contradizione dei peccatori», alle prove ed alle tentazioni. È cessato per lui lo stato terreno in cui sospirava: «Fino a quando sarò io con voi e vi, comporterò io?». Più che questo, egli è elevato al di sopra dei cieli, il che accenna a una suprema esaltazione in gloria ed in potenza. Gesù è stato accolto alla immediata presenza di Dio e siede anzi alla destra di Dio, nei luoghi celesti, non sopra l'universo materiale soltanto ma «sopra ad ogni principato e podestà e potenza e signoria, ed ogni nome che si nomina non solo nel secolo presente, ma anche in quello avvenire» Cf. Filippesi 2:10-11; Efesini 1:20-22.

27 Quanto al ministerio sacerdotale del Messia, Ebrei 7:27-28 notano una duplice superiorità su quello dei sacerdoti levitici.

Il quale non ha ogni giorno bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire dei sacrificii prima per i proprii peccati, poi per quelli del popolo. Perocché questo egli fece una volta sola, offrendo sè stesso. La legge infatti stabilisce quali sommi sacerdoti degli uomini soggetti ad infermità, mentre la parola del giuramento fatto dopo la legge, stabilisce il Figlio reso compiuto in eterno.

Essendo moralmente perfetto, «reso compiuto» per ogni verso quale Figlio di Dio umanato, destinato ad essere il sacerdote unico ed eterno del suo popolo, Cristo non ha bisogno di offerir sacrificii per i proprii peccati; mentre ciò era imposto ai sacerdoti legali perchè soggetti alle stesse morali e fisiche infermità degli altri uomini. Inoltre, il sacerdote perfetto non ha bisogno di ripetere del continuo gli stessi sacrificii per i peccati del popolo, poichè coll'unico sacrificio di sè stesso, egli ha ottenuta eterna redenzione per i suoi. Quest'ultimo pensiero verrà ripreso e svolto in Ebrei 9:10,18. L'espressione «non ha ogni giorno bisogno etc.», offre una difficoltà se la si vuole applicare letteralmente ai sommi sacerdoti levitici, i quali, a quanto pare, non fungevano nel modo qui descritto che una volta all'anno, nel giorno delle espiazioni. Però si può intendere in senso lato come indicante la frequente ripetizione dei sacrificii rituali per opposizione all'unico sacrificio di Cristo. Ogni qualvolta il sommo Sacerdote e questo si doveva ripetere del continuo offriva sacrificii per il popolo, doveva anche offrire per sè stesso. Non così il sommo Sacerdote celeste che ministra ogni giorno nel vero santuario, ma non ha bisogno di ripetere il proprio sacrificio né di fare espiazione per sè. Il verbo tecnico adoperato per offrire ( αναφερειν) significa letteralmente, come l'ebraico di cui è la traduzione, «portare in alto», far salire, s'intende sull'altare. L'altro verbo usuale προσφερειν (portare verso) accenna piuttosto al sacrificio come offerto a Dio.

28 Nel verso 28 la parola del giuramento ch'è quella del Salmi 110 è contrapposta alla legge promulgata secoli prima sul Sinai. Questa stabiliva per sacerdoti dei semplici uomini moralmente infermi ed imperfetti, mentre la parola divina venuta, dopo proclama il Figlio stesso di Dio, che dopo la sua incarnazione, e «reso compiuto» qual sacerdote unico ed eterno del popolo di Dio.

Ammaestramenti

1. Investigare le Scritture è dovere di ogni cristiano e vi si deve con particolare studio applicare chi è chiamato ad insegnare la verità evangelica. Di tale accurata investigazione condotta sotto la guida dello Spirito di verità, ci porge esempio notevole il cap. 7 di questa Epistola. Dal testo centrale del Salmi 110: «Tu sei sacerdote in eterno..», combinato col breve ricordo storico di Melchisedec in Genesi 14. l'autore trae gran copia d'insegnamenti importanti circa la superiorità del Gran Sacerdote del Nuovo Patto su quelli del patto legale. Ogni parola del testo, ogni circostanza di fatto, di tempo, di persona e perfino il silenzio serbato dalla Scrittura gli serve a gettare luce sulla verità ch'egli inculca. Nessun metodo più persuasivo poteva egli adoperare per rinsaldar la fede dei cristiani Ebrei che quello di mostrar loro come le Scritture ispirate rendessero testimonianza alla caducità del sacerdozio legale ed alla superiorità e permanenza perpetua del sacerdozio del Nuovo Patto. La profezia del Salmi 110 non era mai apparsa così luminosa prima che lo Spirito la facesse rifulgere appieno dinanzi agli occhi dell'autore, e, per suo mezzo, dinanzi alle chiese. La Scrittura contiene pur sempre tesori inesplorati rispondenti ai bisogni dei credenti di ogni età, e che vengono alla luce quando sono ricercati con spirito di preghiera e con paziente investigazione. Essa è il documento della progressiva rivelazione del disegno di Dio per la salvazione; da questo le viene quella unità ch'è una delle prove più cospicue della divina ispirazione da cui sono stati mossi tanti autori viventi in tempi e circostanze molto diversi.

2. Melchisedec ed Abramo ci offrono due tipi di fede pura ed eroica in mezzo ad una generazione caduta nell'idolatria; due tipi di credenti dai nobili sensi, dal cuore largo e generoso, dalla vita pia e giusta. Cotali uomini, per quanto diversi di razza e di patria e di posizione sociale, sono fatti per conoscersi, per intendersi, per apprezzarsi ed onorarsi a vicenda. Melchisedec ammira la condotta generosa e valorosa di Abramo e lo manifesta col venirgli incontro è col benedirlo. Abramo dimostra a sua volta la venerazione che gl'ispira il carattere e l'atto di Melchisedec col fargli omaggio della decima delle spoglie. Nessuna meraviglia che l'incontro di quei due caratteri sia stato segnalato dalla storia e che la Scrittura additi Abramo come esempio mirabile di fede e Melchisedec come tipo del Re-Messia.

3. La superiorità anzi la perfezione di Cristo qual Sommo Sacerdote del Nuovo Patto risiede anzitutto nella sua natura superiore. Mentre Aaronne e Melchisedec che ne sono dei tipi sono semplici uomini; egli è l'uomo ideale, il Figliuol dell'uomo ed in pari tempo il Figliuolo di Dio possessore di una vita indissolubile. Risiede poi nella sua perfezione morale. Mentre i sacerdoti levitici sono dei peccatori che hanno bisogno per sè medesimi di espiazione e di perdono, il Cristo è santo, innocente, immacolato, senza infermità, in grado quindi di offrire sè stesso senza macchia a Dio a beneficio dei colpevoli. Risiede in terzo luogo nella sua immortalità. Mentre, gli altri decadono e muoiono e tramandano il loro ufficio a dei successori, il Sacerdote perfetto non decade, non muore e non muta, ma possiede una «vita indissolubile», «dimora in eterno», «vive «sempre» per intercedere a favore del suo popolo e lo salva appieno. Egli è quindi sacerdote unico e perpetuo ne deve avere mai alcun successore. Il modo stesso col quale il Sacerdote del Nuovo Patto è stato stabilito in ufficio attesta la sua superiorità. Egli non è stato costituito in virtù di una legge esterna, relativa a condizioni carnali, ma in virtù della sua personale e reale perfezione. Egli è stato stabilito dal giuramento di Dio cioè nel modo più atto ad indicare il carattere definitivo e perpetuo del suo sacerdozio ed il consiglio di Dio è stato preannunziato secoli innanzi dalla profezia. Tutto nella persona e nell'opera di lui porta il carattere della realtà perfetta. Com'è reale l'unione in lui della natura divina e dell'umana, com'è reale la di lui perfezione morale e non adombrata soltanto da esterna purità o integrità fisica della persona, com'è reale la sua vita indissolubile, così e realmente espiatorio il di lui sacrificio ed il suo ministerio si esercita nel vero santuario cioè alla presenza immediata di Dio, ed il risultato n'è la redenzione, non provvisoria, ma eterna, la salvazione compiuta di coloro che per Cristo si accostano a Dio. Dalla sua croce procede il perdono del peccato: dal suo trono scende la potenza per vincerlo. Chi mai possedendo il sacerdote ideale, perfetto, sempre vivente, vorrebbe rimpiangere i sacerdoti terreni, peccatori, mortali, ministranti, in un santuario simbolico, dei sacrificii che non erano se non l'ombra del vero?

4. Eppure; quando si è venuta oscurando nella Chiesa la conoscenza della perfezione del sacerdozio perpetuo di Cristo, i cristiani hanno ceduto alla tentazione che sollecitava i primi lettori dell'Epistola a lasciare la realtà per ritornare alle ombre, a dimenticare il sacerdozio perfetto di Cristo per crearsi dei sacerdoti imperfetti e mortali che hanno oscurata ed anche profanata l'efficacia perfetta ed eterna del sacrificio del Golgota. Così è venuta formandosi, in tempi d'ignoranza e di poca spiritualità, la dottrina che vede una ripetizione incruenta del sacrificio della croce nella S. Cena istituita da Cristo per tenerne viva la memoria nei fedeli: la dottrina che fa dei ministri altrettanti sacerdoti mediatori. Per quanto il Martini affermi nelle sue Note che non esiste contraddizione tra la dottrina dell'Ep. agli Ebrei e la «quotidiana celebrazione del sacrificio dell'altare, sacrificio che la chiesa ha ricevuto dal Signore e dagli Apostoli e nel quale in una maniera differente da quella con cui si offerse sopra la croce, si offerisce al Padre lo stesso Cristo realmente e sostanzialmente nascosto sotto gli accidenti del pane e del vino» e che «tutta quanta la Chiesa ha offerto in tutti i luoghi e in tutti i tempi lo stesso sacrificio che ora offerisce», sta in fatto:

a) Che la dottrina del preteso sacrificio della messa con la sua sorella la transustanziazione si è venuta formando lentamente attraverso i secoli e non è stata dichiarata ufficialmente che nel 1215;

b) che altra cosa è la commemorazione simbolica istituita da Cristo del suo sacrificio e altra cosa la ripetizione del sacrificio. La commemorazione del corpo rotto e del sangue sparso di Cristo riporta le menti ed i cuori alla grandezza del suo sacrificio, fortifica la fede in esso, e spinge i credenti ad offrir sè stessi «in sacrifizio vivente e santo» a Colui che si offrì per loro: Ma la pretesa di rinchiudere il Cristo vivente in un po' di materia, di riprodurre incessantemente in modo incruento un sacrificio cruento ch'è stato offerto «una volta sola» e la cui efficacia è perfetta, è una diminuzione ed una profanazione dell'«unico sacrificio» del Golgota;

c) L'Epistola agli Ebrei insiste sul duplice fatto che uno solo e perfetto è il Sacerdote del Nuovo Patto ed in lui tutti i fedeli hanno sempre libero accesso a Dio per offerirgli sacrificii di adorazione e riconoscenza, e uno solo e perfetto è il sacrificio espiatorio da lui offerto.

Non si potrebbe escludere in modo più categorico dalla economia evangelica folla di pretesi sacerdoti imperfetti al par degli antichi e che pretendono offrire in mille luoghi e tempi il così detto sacrificio dell'altare. Le chiese cui e diretta la lettera rompevano senza dubbio il pane simbolico, ma neppur l'ombra di un'allusione accenna a quella pia commemorazione come ad una qualsiasi ripetizione o riproduzione o continuazione del perfetto sacrifizio offerto «una sola volta» per i peccati.

5. Parlando della superiorità di Cristo fatto sacerdote perchè spiritualmente atto all'ufficio in virtù della sua vita indissolubile e moralmente perfetta, mentre i sacerdoti levitici lo diventavano in virtù di una legge che non conferiva loro alcuna interna virtù, lo Schlatter osserva: «Dove c'è potenza di vita non c'è più bisogno di legge e di comandamento. La legge fabbrica delle orme ma sono vuote. C'è l'ufficio, l'istituzione, la vocazione, ma la legge non reca seco la vita. Anche nella chiesa sperimentiamo la debolezza e l'impotenza di tutte le nostre istituzioni regolamentari. Possiamo andare al culto all'ora stabilita, ma ciò costituisce egli un culto? Ordiniamo secondo le regole dei pastori, ma sono essi Perciò uomini dello Spirito? In tutte le istituzioni e è una parte rappresentativa che parla ai sensi. Rappresentano qualcosa ma non ne sono la realtà; accennano a quello ch'è interno e celeste, parlan di dovere ma non dànno la capacità di compierlo. Qui invece è apparsa la vita e con essa la potenza...» E noi abbiam bisogno di vita, di vita potente, di vita che non venga mai meno.

6. L'avvento del Cristo segna «l'introduzione di una migliore speranza per la quale ci appressiamo a Dio». Appressarsi a Dio! Niente altro che questo può appagare il cuore di Dio. Egli brama che i suoi figli amorino nel suo amore e trovino il loro diletto nella di lui società. Per ricondurci a sè, per farci vivere presso di sè, Egli mandò il suo Figlio. Dio quale autore dell'essere nostro anela di vedere la sua creatura abbandonarsi a Lui con intera fiducia. Santo e giusto, egli ci vuole consecrati volonterosamente al suo volere santo e savio. L'uomo è stato creato per vivere presso a Dio come nella sua naturale atmosfera. Il peccato ce ne ha allontanati; ma il sacerdozio del Cristo rende possibile per noi l'appressarci a Dio ed il vivere del continuo nella comunione di Dio. L'appressarci a Dio non è cosa esterna, ma consiste in una interna, spirituale armonia delle disposizioni nostre con Dio, in una comunione di voleri il nostro Gran Sacerdote dalla croce proclama il perdono e dal trono dà la forza di vincere il male comunicandoci la potenza della vita che abita in lui. Presso a Dio! È questa la tua vita? E questo il tuo desiderio? È questa la tua speranza? Ad ogni modo è questa la salvazione che Cristo ha preparata per te e brama di darti (Abbr. da Murray).

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