2 Timoteo 2
Sezione C. 2Timoteo 2:1-13. IL FEDELE DISIMPEGNO DELL'UFFICIO.
TIMOTEO DISIMPEGNI FEDELMENTE L'UFFICIO RICEVUTO PERCHÈ TALE È LA CONDIZIONE PER AVER PARTE ALLA GLORIA CHE IL CRISTO RISORTO E REGNANTE TIENE IN SERBO PER I SUOI SERVITORI.


L'esortazione a confessare coraggiosamente l'Evangelo viene, al principio di questa sezione, presentata sotto tre aspetti diversi che si completano a vicenda. Timoteo deve rinnovare del continuo la provvista di forza interna di cui ha bisogno. Lungi dal ripiegare la bandiera del Vangelo, come taluni fanno, egli deve provvedere alla formazione di altri operai che con lui e dopo di lui proclamino la salvazione. Non deve indietreggiare dinanzi alle fatiche, ai sacrifizi, ed alle sofferenze connesse coll'ufficio del banditore del Vangelo.
Così soltanto egli terrà alta la bandiera del Vangelo che gli è stata affidata ed il motivo che, Paolo pone in questa sezione dinanzi a Timoteo per confortarlo, è fra i più elevati e potenti. L'approvazione del suo Capo, Cristo, il ricever da lui la corona, l'aver parte alla gloria ed al regno del Cristo risorto, ecco il premio che aspetta chi ha faticato e combattuto e sofferto coraggiosamente per Cristo; mentre chi lo rinnega sarà da lui rinnegato.
Tu dunque, figlio mio, fortificati nella grazia ch'è in Cristo Gesù.
Timoteo il figlio spirituale prediletto di Paolo, non vorrà certo imitare il male esempio di coloro che si sono ritratti da Paolo; ma per mostrarsi imitatore di Onesiforo e degno figlio dell'apostolo nel servigio del Vangelo, egli ha bisogno di vie maggiore forza interna di fede, di amore e di speranza. Questa forza spirituale ei non la possiede in sè, ma la troverà in abbondanza nella grazia di cui Cristo è la fonte e il dispensatore per tutti quelli che sono a lui uniti (Cfr. 1Corinzi 15:10; 2Corinzi 12:1 e seg.; Efesini 6:10; 2Timoteo 4:17; Filippesi 4:13). La grazia è l'elemento, in cui Timoteo troverà il vigore che gli manca, è l'aria che dovrà respirare a pieni polmoni per esser ripieno di forza. Da ciò l'espressione nella grazia.

E le cose che tu hai udite da me in presenza di molti testimoni, commettile ad uomini fedeli che sieno capaci d'insegnarle alla lor volta ad altri.
Le cose che Timoteo ha udite da Paolo sono le verità del Vangelo, non le sole istruzioni ministeriali. È il buon deposito di cui a 2Timoteo 1:14. I molti testimoni non sono solamente gli anziani ed i fedeli di Listra che hanno assistito alla consacrazione di Timoteo; meno ancora trattasi di uomini che siano stati testimoni dei grandi fatti della salvazione e che abbiano colla loro testimonianza corroborato l'insegnamento di Paolo. Sono semplicemente i numerosi uditori della svariata predicazione di Paolo ch'era stata la Scuola di Teologia di Timoteo per lunghi anni. In 2Timoteo 3:10 dice: "Tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta..." L'Evangelo non è dottrina riservata a una classe d'iniziati ma è destinato a tutti; chi è chiamato a insegnarlo ad altri ha però l'obbligo di addentrarsi più completamente nello studio di esso e Paolo, imitando Gesù, non avrà mancato d'impartire a Timoteo le spiegazioni da lui desiderate.
Come Paolo ha provveduto a formarsi dei collaboratori per allargar l'opera di evangelizzazione e per continuarla dopo di lui, così Timoteo deve provveder del pari alla scelta e preparazione di nuovi operai del Signore. L'opera non ha da cessare colla morte di Paolo; l'Evangelo deve proseguire il suo corso fino alla vittoria finale. Dio che si compiace di valersi, per la proclamazione della salvezza, del lavoro di quelli che l'hanno prima ricevuta, suscita Egli stesso gli operai per mandarli nella sua messe; ma ciò non toglie che i suoi servitori siano strumenti di lui nella istruzione e nella preparazione pratica dei ministri della Parola. Il provvedere all'estensione presente ed avvenire dell'opera di Dio è atto di fede, ed è anch'esso un molo di non vergognarsi del Vangelo eterno. Coloro però a cui Timoteo deve affidare il deposito (παραθου) della verità devono essere fedeli, cioè credenti e credenti fidati, che offrano nella integrità del loro carattere una sufficiente garanzia di fedeltà nel custodire e comunicare ad altri senza adulterarlo il messaggio divino. Devono essere inoltre capaci per la loro conoscenza della verità e per i loro doni di parola d'insegnare agli altri, e questo non è dato a tutti.
L'Epistola ci trasporta nel periodo in cui per il graduale decrescere dei carismi, si sentiva la necessità di un insegnamento regolare affidato ad uomini atti ad un tale ufficio e per esso appartati. Ma il plurale usato da Paolo mostra ch'egli non pensa alla trasmissione della verità ad un unico pastore che sarebbe stato il successore episcopale di Timoteo. A quest'epoca, ogni presbitero è episcopo ed ogni episcopo è presbitero.
Prepararsi dei collaboratori è uno dei doveri che incombono a Timoteo, ma non è questa che una parte del suo ministerio. Egli deve pagar di persona in altri modi, lavorare e soffrire per la diffusione e la difesa del Vangelo. Così soltanto potrà aver parte alla gloria del regno di Cristo. E l'apostolo riprende una seconda volta l'esortazione di 2Timoteo 1:8b: prendi la tua parte di travagli. A vie meglio persuadere Timoteo della necessità di accettare le fatiche e le sofferenze connesse col suo ufficio, Paolo si serve di tre similitudini: quella del soldato, quella dell'atleta e quella dell'agricoltore. Ciascuno di questi per raggiungere il fine cui mira nella sua carriera deve sottoporsi a fatiche e travagli svariati e costanti.

Sopporta la tua parte di sofferenze come un buon soldato di Cristo Gesù.
Il testo ord. tu dunque non si appoggia che a due codici e non antichi. I soldati dell'esercito di Cristo sono molti ed è con tutti loro, non con l'apostolo solamente, che Timoteo deve dividere i travagli. L'immagine della milizia torna di frequente sotto la penna di Paolo. Es.1Corinzi 9:7; 2Corinzi 10:3-4; 1Timoteo 1:18; Efesini 6:11 e segg; Filippesi 2:25. Egli ha avuto che fare fin troppo a lungo coi soldati romani nelle sue varie prigionie ed anche ora è guardato da soldati. Ogni cristiano è soldato di Cristo, ma lo sono in senso più completo coloro che si dànno interamente al ministerio del Vangelo. Il capo che li ha arruolati ed a cui ubbidiscono è Cristo; i nemici da combattere sono tutto ciò che si oppone al regno di Cristo; le armi loro non son carnali ma spirituali, nè mancano per loro i disagii, le fatiche ed i pericoli quando vogliano essere buoni soldati, fedeli al capo ed alla causa. Condizione di un buon servizio militare è il non essere trattenuto o distratto da altri affari.

Nessuno che faccia il soldato si impaccia negli affari della vita, affin di contentare colui che l'ha arruolato.
Gli affari della vita, sono i commerci e le industrie, l'esercizio delle professioni varie cui si dànno gli uomini per guadagnarsi da vivere. Quando uno è sotto le armi l'attendere ai negozi od all'agricoltura gli sarebbe d'impaccio. Chi si arruolava doveva rinunziarvi. E così deve fare chi è stato arruolato da Cristo nel ministerio della Parola ch'è sufficiente ad assorbire tutte le forze è tutto il tempo. La regola va intesa tuttavia cum grano salis poichè Paolo stesso si è trovato nella necessità di provvedere col lavoro manuale al proprio sostentamento ed i missionarii vi sono del pari costretti almeno nei primi tempi dell'opera. Ma ciò non implica divisione dell'animo; il ministerio resta lo scopo e la preoccupazione dominante cui tutto il resto serve. In certe circostanze ritenute minacciose, Paolo ha consigliato perfino il celibato 1Corinzi 7 ai cristiani, mentre in altre circostanze consiglia il matrimonio. Così avrà potuto fare riguardo ai ministri; l'essenziale è che il soldato di Cristo sia dato di cuore all'opera sua, chè così farà contento, il suo capo. La Vulgata ha qui due errori. Nella 1a parte del versetto porta: "nemo militans Deo" che manca nei Codici, e nell'ultima parte: "ut ei placeat cui se probavit" mentre il greco vale: a chi l'arruolò. Nota il Curci: "Se cessassero di essere ecclesiastici tutti i dediti a cure per le quali il sacro carattere o non si richiede o positivamente sconviene, il loro ordine si troverebbe stremato di un terzo e forse di una metà; nè la Chiesa avrebbe a rimpiangere molto quella jattura". Egli allude ai negozii secolari ed alle cure politiche dell'oggi; e che deve dirsi dei tempi in cui dei sedicenti vescovi erano condottieri militari?

E se uno fa l'atleta, non è coronato se non ha osservate le leggi degli atleti.
Il paragone è uno di quelli che Paolo adopera volentieri perchè tratto da usi popolari in Grecia. Si può tradurre: "se uno combatte come atleta"; ma l'uso che fanno gli scrittori greci del verbo αθλεω porta a riferirlo non al solo momento delle gare, ma alla vita che l'atleta dovea condurre anche, prima, vita regolata da norme relative ai cibi, al vestire, alla pratica regolare di taluni esercizi sotto la direzione del maestro. Per arrivare a cinger la corona che il presidente dei giuochi poneva sul capo del vincitore, bisognava che l'atleta avesse osservato le leggi prima e durante le gare. Così l'atleta cristiano che vuole ottenere la corona incorruttibile nella palestra del ministerio evangelico, ha da sottoporsi alla severa disciplina, ai rinunziamenti, alle fatiche, ai mali tutti inerenti all'ufficio che copre.

Al lavoratore che dura fatica spetta di avere per il primo parte ai frutti.
In armonia col contesto, ossia collo scopo delle due altre similitudini, anche questa mira a mettere in rilievo la necessità del faticare per aver parte alle benedizioni di cui Dio corona il lavoro dell'agricoltore. Quindi l'accento sta sul che fatica posto in capo alla frase (τον κοπιωντα γεωργον...) tacitamente opposto a chi non fatica nei lavori dei campi. Gli è all'agricoltore CHE FATICA che spetta... Chi pota e vanga e falcia ha il diritto di godere per il primo, cioè prima di ogni altro, dei frutti del campo bagnato dei suoi sudori. Se non fatica, anche lui non ha nulla e muore di fame. Il goder dei frutti rappresenta l'aver parte alla gioia ed alla gloria di chi avrà raccolti molti covoni nel granaio celeste. Cotesta gioia principia quaggiù ma non è completa che nel cielo. Non è necessario supporre un'alterazione del testo (Reuss) o fare un forzata trasposizione del πρωτον prima (quasi dicesse "che prima fatica") per ottenere un senso adatto al contesto.
A mo' di conclusione delle similitudini usate, Paolo invita Timoteo a ben considerar l'insegnamento che si nasconde per lui sotto il velame delle metafore.

Rifletti a quel che dico, perchè il Signore ti darà intendimento in ogni cosa.
Il verbo che traduciamo riflettere significa afferrare colla mente, intendere, ovvero semplicemente applicare la mente a una cosa, quindi pensare, riflettere. È questo che Timoteo è invitato a fare ed a ciò l'incoraggia la promessa che il Signor Gesù gli darà (il testo em. porta il futuro) intendimento in ogni cosa, col suo Spirito di sapienza, in questa parte dei suoi doveri, come in tutte le altre Giacomo 1:5-6.

Ricordati di Gesù Cristo ch'è risuscitato dai morti, ch'è della progenie di Davide, secondo il mio evangelo.
Non è tanto il fatto della risurrezione di Gesù Cristo che Timoteo deve tener presente alla mente di fronte a chi lo negasse quanto Gesù Cristo stesso vincitore della morte, vivente ora e regnante alla destra di Dio, innalzato nella gloria dopo aver sofferto la croce Filippesi 2. Egli è infatti del seme di David cioè il Messia promesso, il Re ideale che regnerà secondo giustizia, che stabilirà la pace, che signoreggerà sulla casa di Giacobbe e su tutte le genti in eterno. Cfr. 1Samuele 7:16; Isaia 9:5-6; Isaia 11; Luca 1:32-33,69; Apocalisse 22:16. "Io sono la radice e la progenie di Davide". Il re stabilito dall'Eterno ha da regnare finché tutti i nemici siano debellati, anche l'ultimo ch'è la morte Salmi 2; 1Corinzi 15:24-28 finché il regno di Dio sia giunto al suo compimento. Il ricordarsi di Colui ch'è vivente, che regna dal cielo per impartir forza e sapienza e pazienza ai suoi, per condurre al trionfo finale la causa di Dio, il ricordarsi di colui ch'è il prototipo dei redenti i quali sono anch'essi chiamati ad entrare nella gloria dopo aver sofferto, è cosa atta a sollevare in alto il cuore di Timoteo, è un sursum corda che rianima la fede ed il coraggio nella lotta. L'aggiunta secondo il mio evangelo ha da riferirsi al fatto centrale del Cristo risorto e regnante. È questo infatti uno dei capisaldi del Vangelo affidate a Paolo per bandirlo fra le genti. Paolo predica Cristo crocifisso, ma predica pure Cristo Signore e giudice dei vivi e dei morti.

Nell'opera del quale io soffro afflizioni fino, ad essere nei legami come un malfattore; ma la parola di Dio non è legata.
Il greco porta soltanto: Nel quale, per cui alcuni intendono: Nel quale Cristo, ossia nella virtù del quale in soffro... I più riferiscono il pronome all'evangelo e spiegano: nell'opera del quale evangelo, nella proclamazione del quale, io soffro fino al punto d'essere equiparato ad un malfattore. Cfr. Filippesi 4:3: "I quali hanno lottato con me nell'Evangelo". Per tutto ciò Paolo non vien meno nell'animo e non dispera della causa del Cristo. La Parola di Dio ch'è una stessa cosa coll'evangelo 1Tessalonicesi 2:13; 2Corinzi 2:17. non può subir la sorte dei suoi banditori, non è nè può essere legata. Se taluni dei predicatori sono uccisi o incatenati, il Re celeste ne suscita degli altri e le catene stesse ed il martirio degli evangelisti servono a dar maggior voga al loro messaggio Filippesi 1:12-15. "Il maestro era legato, nota Crisostomo, e la parola camminava, egli era chiuso in un carcere e la dottrina, dotata di ali, correva per ogni dove nel mondo".

10 Perciò io sopporto ogni cosa per gli eletti affinchè ancor essi conseguano la salvezza ch'è in Cristo Gesù con gloria eterna.
Il perciò si potrebbe connettere coll'affinchè che segue, quasi ne fosse la spiegazione; ma è meglio connetterlo con quel che precede. Perchè l'evangelo non è legato, perché è potenza di Dio per la salvezza e ha da riportare la vittoria finale, perciò Paolo sopporta con costanza i disagi e le sofferenze connesse collo spargimento della parola della vita nel mondo. Le sopporta a cagione degli eletti cioè per il bene spirituale ed eterno dei credenti che sono eletti da Dio a gloria. La costanza di Paolo serve a confermarli nella fede in Cristo mentre, al contrario, l'infedeltà dei loro conduttori li spingerebbe forse all'apostasia. A Colossesi 1:24 Paolo scrive: "Ora io mi rallegro nelle mie sofferenze per voi e compio per parte mia nella mia carne ciò che manca alle afflizioni di Cristo, per il corpo d'esso ch'è la Chiesa". Perseverando fino alla fine gli eletti conseguono come sorte a loro destinata la salvezza finale, nella sua pienezza, che implica il perfetto affrancamento dalle conseguenze del peccato e la gloria eterna. Dall'alfa all'omega la salvezza è in Cristo Gesù che n'è il dispensatore ed il garante.

11 Certa è questa parola: se infatti siamo morti con [lui], con [lui] altresì viveremo.
Si domanda se la parola, cioè l'assioma cristiano, la sentenza cui Paolo si riferisce dichiarandola assolutamente degna di fede, si ha da cercare in quel che precede o in quel che segue. Le frasi che precedono non hanno forma d'assioma esprimente in modo conciso una verità cristiana importante, mentre quelle che seguono rispondono al concetto del detto denso e breve. Nè è necessario ricorrere all'ipotesi di un inno cristiano citato da Paolo. Basta il costatare che la verità cristiana qui ricordata trovasi espressa di frequente nell'insegnamento cristiano sotto quella forma del morire come condizione del vivere con Cristo, del soffrire come condizione del regnare con lui. Cfr. 1Tessalonicesi 4:14; 2Corinzi 5:14-15; Colossesi 2:20; 3:3; Romani 6. Il γαρ (infatti) si spiega col fatto che di questa verità generale Paolo fa qui un'applicazione speciale alle circostanze sue, di Timoteo e in genere dei banditori del Vangelo. L'aoristo se morimmo o "se siamo morti" con lui, si spiega da alcuni come allusione al battesimo cristiano che raffigura il morire e il rivivere con Cristo, ma l'idea è estranea al contesto. Piuttosto, Paolo adopera il passato ponendosi idealmente al momento in cui si chiude la carriera cristiana quaggiù. Se, durante la vita, siamo morti con Cristo rinunziando al peccato, accettando travagli e patimenti e pericoli e financo il martirio per servire il Vangelo, possiamo esser certi che siccome Cristo risorse dalla sua tomba per vivere presso a Dio, così noi pure viveremo con lui, prima nel nostro spirito e poi nel corpo glorioso ch'egli ci darà nella risurrezione. A spiegare questo morir con Cristo, valgano le espressioni caratteristiche adoperate da Paolo 1Corinzi 15:31: "muoio ogni giorno", Romani 8:36; 2Corinzi 1:9... "avevamo già in noi stessi la sentenza di morte", 1Tessalonicesi 5:10.

12 Se siamo costanti nel soffrire, con, lui altresì regneremo; se lo rinnegheremo, anch'egli ci rinnegherà.
Il greco ha una parola sola per indicare il sopportare con costanza e con pazienza le fatiche, i travagli ed i patimenti connessi colla professione cristiana e in ispecie colla vocazione dell'Evangelista. Alla morte risponde la vita; al soffrir con perduranza e pazienza risponde il regnar col Cristo glorioso. "Regneranno nella vita" Romani 5:17; 8:17; 1Corinzi 4:8. Il futuro se lo rinnegheremo è la lezione più antica ed è preferita dai critici. Suppone un caso non attuale ma sempre possibile nell'avvenire. Ricorda le parole di Cristo Matteo 10:33. Cristo si può rinnegare, nota un interprete, coi fatti, colle parole e perfino col silenzio.

13 Se noi manchiamo di fede egli rimane fedele poichè non può rinnegar sè stesso.
Si traduce generalmente il verbo apistein colla locuzione "se siamo infedeli" cioè se manchiamo agli impegni volontariamente contratti colla nostra professione cristiana. L'essere infedeli risponde così più esattamente al rimaner fedele del Signore. Sussiste però l'obiezione che tanto il verbo come i suoi derivati esprimono sempre nel N. T. il non aver fede, il non esser credente. E siccome il venir meno nella fede è in fondo quel che conduce ad essere infedeli, essendo l'incredulità la radice dell'infedeltà, cotesto senso più conforme all'uso del N. T. è anche confacente al contesto. Se noi cessiam dall'aver fede in lui e nelle sue promesse, egli resta fedele alla sua parola che d'altronde è l'espressione della sua natura perfetta. Egli partecipa all'essenza di Colui che è, dell'Ente assoluto ed immutabile, quindi "è lo stesso ieri, oggi ed in eterno", e non può rinnegar se stesso. È questa la ragione per cui dovrà rinnegare chi, dopo aver creduto in lui ed averlo confessato, lo rinnega.

AMMAESTRAMENTI
1. Per far l'opera di Dio bisogna esser forti di forza interna, spirituale. Più sono grandi le difficoltà, le opposizioni, i pericoli, e maggiore dev'essere nel cuore la forza della fede, della risoluzione di servir Dio, dell'amore per lui e per gli uomini. Una cotal forza non è cosa della carne, non la possediamo in noi; essa ha la sua sorgente nella grazia di cui Cristo è il Mediatore. Quindi convien cercarla nella preghiera, nella comunione col Cristo vivente; ed il far questo dipende da noi, talchè se siam deboli e manchevoli la colpa è nostra e non della grazia di Dio ch'è capace di far di un giovane timido e di salute cagionevole un eroe ed un confessore. "Io sarò teco... sii valente e fortificati". "Ti ho costituito qual città forte, qual colonna di ferro e muro di rame... non ti vinceranno: perchè io sono teco per liberarti, dice l'Eterno" Giosuè 1:5-6; Geremia 1:18-19.
2. È volontà di Dio che l'Evangelo sia predicato ad. ogni creatura sotto il cielo. Gesù lo predicò e si scelse dei collaboratori ed ambasciatori negli apostoli; a loro volta gli apostoli si circondano di collaboratori che istruiscono della verità come avea fatto ad es. Paolo con Timoteo e con tanti altri. Quando gli apostoli spariscono dalla scena, quelli che hanno ricevuto il deposito della verità da loro hanno il dovere di trasmetterlo fedelmente ad altri nuovi e sempre più numerosi banditori del Vangelo. Questa fedele trasmissione della verità evangelica attraverso le successive generazioni dei credenti e in particolare questa trasmissione della verità per parte di coloro che ne sono più completamente istruiti a coloro che Dio chiama alla loro volta all'ufficio dell'insegnamento cristiano, costituisce la vera successione apostolica e la vera tradizione. Tre condizioni prescrive Paolo perchè la trasmissione risponda alla scopo divino:
1°. Quello che dev'esser trasmesso ai nuovi collaboratori e successori è l'insegnamento apostolico genuino. "Le cose che hai udite da me" e che Paolo avea ricevute da Cristo Galati 1. La trasmissione della verità evangelica a Timoteo era avvenuta oralmente sebbene si riannodasse alle Sacre Scritture antiche 2Timoteo 3:14-17. Ma la Provvidenza dispose le circostanze in modo tale che due lettere a Timoteo stesso tramandassero in modo duraturo e inalterabile le istruzioni pastorali di Paolo e che nel giro di poche diecine d'anni, in cinque scritti storici ed in vent'una epistola nonchè in uno scritto profetico, la tradizione apostolica orale fosse fissata e autenticata in iscritto. Altrimenti chi sa che cosa sarebbe divenuta nel volgere di pochi secoli? Gli scritti del Nuovo Testamento sono per la Chiesa d'oggi l'unico documento autentico dell'insegnamento apostolico e quindi la pietra di paragone di tutto ciò che si dà per tradizione e non è per lo più che invenzione umana o alterazione grossolana della verità.
2°. Gli uomini cui ha da essere affidato il deposito della verità devono essere dei credenti che abbiano ricevuto l'evangelo nel cuore ed il cui carattere cristiano sia provato e saldo.
3°. Devono essere capaci per doni di parola, per conoscenza della verità d'insegnare agli altri quello che hanno ricevuto.
All'infuori di queste condizioni non esiste vera successione apostolica. La esterna trasmissione d'un ufficio quando facciano difetto i requisiti spirituali necessari al disimpegno di esso, è una vana forma, molte volte una profanazione.
Alle chiese ed in ispecie ai ministri spetta il dovere di scoprire, d'incoraggiare, di aiutare quei giovani che rispondano alle condizioni poste dall'apostolo. La preparazione normale per il ministerio evangelico esige oggi lunghi studi e le Scuole di Teologia che dipendono dalle chiese devono essere dai fedeli sostenute spiritualmente e materialmente.
3. Ogni cristiano è da Paolo in altri luoghi dei suoi scritti assomigliato ad un soldato, ad un atleta, ad un agricoltore Galati 6:7,9; Efesini 6:12; 1Tessalonicesi 5:8; 1Corinzi 9:25. Qui è il ministro ch'è chiamato a riflettere seriamente su quel che per lui significhi ed implichi l'essere un soldato di Gesù Cristo, l'essere un atleta nella buona gara, l'essere un agricoltore chiamato a coltivare il campo di Dio. Ciò implica per lui:
1°. la necessità di darsi interamente all'opera spirituale dell'insegnamento della verità, della difesa di essa di fronte agli avversarii e ai falsificatori, dell'applicazione della verità alle anime secondo i loro bisogni individuali. Non deve perciò lasciarsi distrarre dalla sua missione dagli affari e dalle preoccupazioni materiali, dalle passioni di parte o politiche o sociali. L'abituarsi ad una vita semplice risparmierà molte sollecitudini; altre gli dovranno esser risparmiate dalla cooperazione degli anziani e dei diaconi nonchè dalla chiesa ch'è in obbligo di provvedere al suo sostentamento.
2°. Implica la necessità di sottomettersi ad una severa disciplina, a lavoro regolare ed assiduo, a fatiche e travagli ed anche a disagi e pericoli per adempiere coscienziosamente il proprio dovere. Chi non è preparato a queste cose non è fatto per esser soldato di Cristo nel ministerio.
3°. Se le tre similitudini parlano di abnegazione, di fatiche, di disagii, parlano pure della gioia di ottenere il "bene sta" del supremo Duce della salvazione, della corona di gloria ch'è riservata a chi ha lottato secondo le leggi e vinto; dell'aver parte ai frutti di cui Dio corona il lavoro dell'agricoltore spirituale: dell'esser cioè noi stessi partecipi non solo della salvazione, ma, dell'allegrezza che inonda il cuore di chi ha contribuito al trionfo del regno di Cristo fra gli uomini.
4. La Risurrezione di Cristo che Paolo non riduce solo ad una sopravvivenza dello spirito ma che considera come la vivificazione e trasformazione gloriosa del di lui corpo e come fatto di somma importanza, costituisce insieme all'Incarnazione ed alla morte espiatoria del Cristo il fondamento del Vangelo predicato da Paolo. Il ricordarsi di Cristo come di uno ch'è risorto dai morti non ci dà soltanto la conferma ch'egli è veramente il Cristo, il Figliuol di Dio come dichiarò di essere, ma è altresì il fondamento della speranza cristiana e una fonte perenne di consolazione e di coraggio. "Cristo non è soltanto colui che soffre innocente, ma è anche colui che trionfa della morte e dell'inferno. Egli ci ha dato un esempio di perduranza eroica nell'ubbidire alla volontà di Dio; ma ci ha del pari acquistata la certezza che la nostra costanza sarà coronata di vittoria...... Egli è il secondo Adamo, egli è il Messia promesso, il gran discendente di Davide, ed è tale la solidarietà fra il Capo e le membra che la vittoria del capo trae seco la vittoria dei suoi. La breccia aperta nelle porte della morte lascerà entrare nella vita eterna l'intero esercito di Cristo, liberato per sempre dalla potenza della morte. Un tal pensiero è pieno di conforti per chi si sente come sopraffatto dalle ansietà, dalle contraddizioni, dai dolori della vita. Le miserie della vita non possono durare a lungo. Il Cristo risorto ci conduce ad una vita esente di turbamenti, eterna; ad una vita in cui trionferà la causa della verità e del bene" (Dal Plummer).
5. Paolo soffre, è incatenato come un malfattore, aspetta il martirio; e certo il pensiero della vittoria finale nella risurrezione e nel regno con Cristo è il suo conforto supremo. Ma lo sostiene pure il pensiero che soffre per la causa del Vangelo, che le sue sofferenze servono a confermare nella fede gli eletti di Dio, a incoraggiarli a perseveranza, servono perfino a far conoscere il Vangelo a persone che altrimenti l'avrebbero ignorato Filippesi 1. Lo sostiene il pensiero che se i nemici riescono ad imprigionare e legare alcuni dei banditori del Vangelo, però "la Parola di Dio non è legata". Altri banditori restan liberi, altri testimoni la propagano, se la parola umana è impedita serviranno gli scritti, servirà il sangue dei martiri a predicarla. Gli uomini possono imprigionar operai, ucciderli, bruciar Bibbie e libri cristiani e templi, anatematizzare chi legge la Parola o l'ascolta o la propaga, possono proclamarla antiquata o morta, possono sfigurarla colle loro contraffazioni... eppur si muove. È più sparsa che mai nel mondo, è tradotta in 400 lingue, è predicata in tutti i paesi; è oggetto di studi come nessun altro libro e nessun'altra dottrina. Perchè? Perchè la Parola di Dio è parola di vita eterna, è verità che si impone alle menti, alle coscienze ed ai cuori di cui appaga i bisogni.
La Parola che affranca non può esser legata come non può essere incatenata l'aria e la luce e l'acqua di cui han bisogno gli uomini.
6. La via del Cristo è la via del cristiano. Attraverso la sofferenza giunge alla gloria, attraverso la morte emerge alla vita.

14 PARTE SECONDA

ESORTAZIONE A PASCER DI VERITÀ LA CHIESA PRESERVANDOLA DAGLI ERRORI CHE LA MINACCIANO


2Timoteo 2:14-4:8.

Di fronte alla crescente ostilità del mondo non cristiano, Timoteo è stato esortato a confessare coraggiosamente l'Evangelo di Cristo, ma non è questo il solo dovere che gl'incombe. Egli è pastore in pari tempo che evangelista ed è a capo di una chiesa che da varii anni è minacciata da errori diversi come risulta dal discorso Atti 20 e da 1Timoteo. Dall'epoca della la Epistola il pericolo non è diminuito e Paolo prevede, per lo Spirito, che i tempi futuri saranno assai più difficili, da questo lato, degli attuali. Il pericolo presente e quello più grave che si annunzia per l'avvenire della Chiesa accrescono per Timoteo il dovere di nutrirla della verità pura e salutare nella quale egli stesso è stato istruito e confermato. Sarà questo il metodo più efficace per preservarla dall'invasione perniciosa dell'errore che le viene fin da ora inoculato dai falsi dottori.
Si possono distinguere tre Sezioni in questa parte.
Sez. A. 2Timoteo 2:14-26. Di fronte a chi con vane ciancie o con errori, sovverte la fede dei credenti, Timoteo deve mostrarsi operaio fedele col pascere la chiesa della verità che edifica. La Chiesa di Dio non può essere rovesciata dagli sforzi avversi; ma nella mescolanza di elementi a cui non isfugge quaggiù, la santità sarà sempre il sicuro distintivo dei veri credenti che Dio ha conosciuto.
Sez. B. 2Timoteo 3. Di fronte alla prospettiva di tempi più difficili ancora dei presenti, Timoteo deve guardarsi da coloro ch'egli vede opporsi alla verità e, senza perdersi d'animo, seguendo le pedate del suo maestro Paolo, perseverare nella verità appresa, e conforme alle Sacre Scritture.
Sez. C. 2Timoteo 4:1-8. In un'ultima solenne ingiunzione Timoteo è esortato a compiere tutti i doveri del sacro ufficio ricevuto, onde premunir la Chiesa contro i pericoli del futuro e continuare degnamente l'opera dell'apostolo che si sente ormai vicino al termine della carriera.

Sezione A. 2Timoteo 2:14-26. LA CONDOTTA DI TIMOTEO DI FRONTE A CHI SOVVERTE LA FEDE CON FUTILI E PROFANI INSEGNAMENTI.

Rammemora queste cose

ossia le verità espresse nei versetti che precedono e che non si applicano solamente ai conduttori bensì a tutti i cristiani. La necessità del perder la vita per ritrovarla, del soffrire per aver parte al regno, essi la conoscono, ma hanno bisogno che la si ricordi loro.
protestando nel cospetto di Dio (o del Signore come legge il testo ordinario coi codd. A D E K L) che non si contenda di parole il che non è utile a nulla, ma tende alla rovina di quelli che ascoltano.
Si ha una formula anche più solenne di scongiuro in 1Timoteo 5:21. L'addurre il pensiero di Dio o del Signore che sarà il nostro giudice serve a dare la massima solennità all'esortazione. Delle logomachie in cui si compiacevano i dottori d'Efeso si parla di già 1Timoteo 6.4 come di dispute che dinotano uno stato religioso non sano, poichè in esse non è in giuoco alcuna verità sostanziale, ma solo l'abilità ed il gusto del cavillare senza fine. I credenti e principalmente coloro che insegnano devono evitare questo contender di parole per due ragioni: esso non è utile a nulla, spiritualmente, non istruisce, non rinsalda la fede, non santifica la vita. Cfr. Tito 3:9. "questioni inutili e vane"; peggio che inutile, è nocivo perchè distraendo l'attenzione dalla dottrina ch'è secondo pietà, invece di servire all'edificazione serve alla ruina spirituale di chi assiste come uditore a quelle vane contese.

15 Fa' di tutto per essere degno dell'approvazione di Dio,
Invece di favorire coll'esempio o colla tolleranza le dispute di parole che hanno per movente la vanità del parere superiori agli altri, Timoteo deve porre ogni zelo nell'ottenere l'approvazione di Dio. Il presentarsi a Dio approvato come porta l'originale, è cosa che Timoteo deve sforzarsi di fare ogni giorno. "Operando secondo questo principio, osserva il Plummer, si avrà diligenza senza furia, entusiasmo senza fanatismo".
un operaio non soggetto ad esser coperto di confusione
che lavora coscienziosamente così da poter a qualunque ora sottoporre al più rigoroso esame l'opera propria senza tema d'esser coperto di vergogna.
che taglia dirittamente la parola della verità.
Trattandosi d'un operaio che ha per còmpito di bandire la verità ossia l'Evangelo di Cristo, la condizione essenziale per essere approvato dal Signore è ch'egli distribuisca come si deve la verità agli uomini in genere per la loro conversione, ai fedeli per la loro edificazione. Il verbo ορθοτομειν tagliar diritto, è stato spiegato in molte guise secondo l'immagine particolare che vi si è scorta. Alcuni antichi vi hanno veduta un'allusione all'amputazione di tutto ciò ch'è spurio, falso, estraneo alla verità. Altri vi scorgono un'allusione al taglio delle pietre nelle cave, al fender la terra come fa l'aratro, al camminar diritto per una via. Altri la spiegano colle parole generiche: trattare, maneggiare rettamente, o ancora: adoprare il filo tagliente della verità. Calvino, Diodati, Huther vi scorgono l'immagine del padre di famiglia o dell'economo che distribuisce con giustizia e saviezza il cibo ai figli od ai conservi suoi. L'idea tolta dagli usi quotidiani conviene perfettamente al contesto. Timoteo è posto in Efeso per nutrire della verità i credenti e per annunziarla agli altri; non deve quindi pascerli di favole, ma deve distribuir loro la verità nella sua purezza e col discernimento che la sa adattare ai bisogni di ciascuno. L'immagine del cibo per rappresentar 1a verità che risponde alle aspirazioni dell'anima è frequente nel N. T. Cfr. 1Pietro 2:1 e segg. Ebrei 5:12-14;1Corinzi 3:1-2.

16 Ma dalle profane ciancie tienti lontano, perchè quelli che si danno ad esse procederanno innanzi a maggior empietà.
Abbiamo qui per indicare le ciancie opposte al cibo sano e nutriente della verità, la stessa parola che in 1Timoteo 6:20. Sono profane perchè estranee, anzi contrarie allo sviluppo della pietà. Perciò Timoteo deve evitarle. L'originale dice lett. "stare attorno" cioè starsene alla larga, tenersene lontano. Il soggetto del verbo procedere innanzi potrebbe essere le "ciancie"; ma siccome nel v. seguente si, tratta delle persone che si dilettano di quelle, va sottinteso anche qui il soggetto personale. Dal vano disputare essi giungeranno ad errori più perniciosi, che avranno per conseguenza pratica un accrescimento di empietà, o d'irreligiosità 2Timoteo 3:13. Lo spirito profano che non si appropria il potere santificante della verità, non solo non può progredire nella verità, ma è incapace di conservare anche quel tanto che ne aveva afferrato. Solo chi vuole onestamente fare la volontà di Dio è atto a conoscere la dottrina di Cristo Giovanni 7:17.

17 E la lor parola a guisa di gangrena andrà rodendo.
La lor parola ossia l'insegnamento pernicioso dei disputatori è paragonato, per l'azione sua deleteria in seno alla chiesa, a quella della gangrena sul corpo. Non è un male che resti stazionario, ma si estende del continuo attaccando, atrofizzando e corrompendo le parti sane del corpo finchè l'abbia tutto avvelenato. Non bisogna quindi favorire lo sviluppo di cotali germi, anzi immunizzare la chiesa contro di essi, saturandola di verità santificante. L'insegnamento che non combatte il peccato, che non spinge a santità trova sempre nella natura carnale dell'uomo un terreno propizio; mentre la verità che risana le fonti della vita deve lottare con la potenza avversa del male. Quando cresce nella chiesa la proporzione dei membri meno sinceri, e si affievolisce la vita spirituale, l'errore trova un terreno propizio per estendersi come gangrena. La storia della graduale corruzione della cristianità diventata praticamente apostata, ha fornito un commento anche troppo eloquente della predizione dell'apostolo.
Del numero di costoro sono Imeneo e Fileto i quali hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta e sovvertono la fede d'alcuni.
Imeneo è mentovato 1Timoteo 1:20 con Alessandro. Paolo l'aveva espulso dalla chiesa colla speranza che si ravvedesse, ma a quanto pare era perseverato nei suoi errori. Di Fileto nulla sappiamo.

18 L'errore loro speciale consisteva nel dire che la risurrezione è già avvenuta e serve a darci una idea della loro tendenza. Tertulliano ed Ireneo ebbero più tardi a combattere degli eretici gnostici i quali consideravano come unica risurrezione quella spirituale, negando la risurrezione del corpo. Essi chiamavano morte l'ignoranza di Dio e risurrezione l'illuminazione della mente mediante la conoscenza di Lui. Ora anche la dottrina di Cristo e degli apostoli afferma la morte e la risurrezione spirituali. Basti ricordare Romani 6; Colossesi 2:12; 3:1; Efesini 2. Ma la tendenza gnostica considerava il corpo come un male in se, stesso e l'esserne liberati come uno stato più perfetto. Essi sovvertono la fede di alcuni membri della chiesa perchè non solo la negazione della risurrezione corporale sopprime il coronamento della speranza cristiana 1Corinzi 15 ma conduce a negare la risurrezione corporale di Cristo, e a ridurre l'opera di lui a quella d'un dottore venuto da Dio.

19 Ma pure ti saldo fondamento di Dio sta fermo avendo questo suggello: "Il Signore conosce quelli che sono suoi", e: "Ritraggasi dall'iniquità chiunque nomina il nome del Signore".
Per quanto possa riescir doloroso a Timoteo il vedere l'errore crescere e portare i suoi funesti frutti in seno alla chiesa, egli non deve disperare della causa di Dio. Gli sforzi di Satana non giungeranno mai a sovvertir la Chiesa di Dio da Lui saldamente stabilita nel mondo per raccogliere i suoi eletti e per esser colonna e saldo sostegno della verità. Parecchie interpretazioni estranee al corso dei pensieri esposti in questa sezione, sono state date del saldo fondamento di Dio. Lo si è fatto significare la dottrina o la religione cristiana, la verità, la risurrezione, l'elezione, la fede, le promesse di Dio, Cristo qual fondamento della Chiesa, gli eletti presi individualmente, ecc. Un esame attento della figura e del contesto ci conduce a vedervi la Chiesa. Essa è chiamata fondamento di Dio perchè da lui fondata nel mondo da poche diecine d'anni ma destinata a diventare un grande edificio col suo estendersi fra i popoli. È fondamento saldo che sta fermo o sussiste, che non può essere smosso dagli sforzi avversi del mondo e di Satana. "Le porte dell'Hades non prevarranno contr'essa". Essa è basata sopra il Cristo che n'è la pietra angolare; essa è parte del piano eterno di Dio per la salvazione degli uomini; perciò ella "sta come torre che non crolla giammai la cima per soffiar dei venti". Tuttavia la Chiesa che sussiste non è la chiesa visibile, la cristianità quale appare agli occhi del mondo, composta di tutti quelli che professano in qualche maniera il cristianesimo; ma è la Chiesa detta invisibile, la Chiesa degli eletti di Dio, ch'è la parte viva dell'albero, la società reale dei credenti quale Dio 1a conosce e la contempla dal cielo. Questa sussiste ad onta del sovvertimento della fede di molti, ad onta delle apostasie, degli errori e degli scandali "Saldamente fondata sopra Cristo, scrive Estius commentatore cattolico, essa non può esser sovvertita... poichè sebbene alcuni defezionino, essa però perdura nei suoi eletti fino alla fine". Tale è pure l'opinione dei migliori interpreti. Il suggello o sigillo s'intende qui di una iscrizione scolpita sul fondamento. Cfr. Apocalisse 21:14. Il sigillo implica una solenne, inviolabile autenticazione. Quello che sta scolpito sul fondamento di Dio contiene due verità essenziali relative alla Chiesa di Dio, due caratteristiche che ne definiscono la natura speciale e contengono una consolazione ed un avvertimento. Dio conosce o lett. "ha conosciuto" quelli che sono suoi. Ab eterno li ha conosciuti e li discerne in mezzo alla folla dei cristiani di nome, nè si lascia ingannare dalle apparenze. "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli... Molti mi diranno in quel giorno: Signore, non abbiamo noi profetizzato nel tuo nome... Allora dirò loro apertamente: Io non vi conobbi giammai" Matteo 7.21-23. Il mondo può disconoscere e perseguitare i credenti, ed anche la Chiesa esterna fatta infedele li può rinnegare; il Signore conosce quelli che sono veramente suoi. Parecchie parabole di G. C. quali ad. es. le zizzanie e la rete gittata in mare, contengono un insegnamento analogo e cioè che la Chiesa, nel suo svolgimento storico, è di necessità composta di elementi eterogenei la cui cernita avverrà nel giorno del giudicio infallibile di Dio.
Il secondo principio scolpito sul fondamento afferma la natura santa della Chiesa di Dio. La santità è il distintivo infallibile dei suoi veri componenti. Sono "santi", santificati in Cristo G. "gente santa". "Siate santi, prescrive Dio al suo popolo, perocchè io sono santo". Quelli che Cristo rigetta sono "operatori d'iniquità". E qui: Ritraggasi dall'iniquità o dal male sotto qualunque forma, chiunque nomina il nome del Signore. Nominare non è invocare, nè servire; ma semplicemente fregiarsi del nome di Cristo, appartenere esternamente alla società che lo proclama Signore.

20 In una gran casa non vi sono soltanto dei vasi d'oro e d'argento, ma ve ne sono pure di legno e di terra e gli uni servono ad usi onorevoli e gli altri ad usi vili.
L'apparizione di falsi dottori nelle chiese apostoliche, il successo che ottenevano distogliendo molti dalla fede, poteva scandalizzare Timoteo. Eppur bisognava aspettarsi a questo. Nella Chiesa visibile, accanto ai credenti genuini che "son di Cristo", che si "ritraggono dall'iniquità", che formano il "saldo fondamento di Dio", ci sono quelli che sono di Cristo soltanto di nome, che restano attaccati al peccato sotto qualche forma prediletta e che sono un pericolo per la Chiesa. La gran casa non è quindi il mondo, come sosteneva Crisostomo, ma è la Chiesa visibile in quella forma concreta che riveste quaggiù. L'immagine (cfr. 1Timoteo 3:15) si riannoda a quella del fondamento, ma è però diversa poichè qui si tratta della casa d'un ricco signore, compiuta ed arredata. I vasi comprendono i mobili, i vasellamenti e gli utensili. Sono di due categorie per la materia più o meno preziosa di cui son fatti e per gli usi diversi cui sono adibiti usi onorevoli od usi vili cioè meno puliti e decenti. Si è veduto nella materia diversa di cui sono fatti i vasi un'allusione ai doni diversi dei membri della Chiesa i quali, purchè purificati, possono servire al Signore. Però, della diversità dei doni non è qui affatto questione, ma piuttosto dell'essere o no santificati per il servizio di Dio. Inoltre va pur notato che i vasi d'oro e d'argento d'una casa signorile sono di solito quelli stessi che servono ad usi onorevoli mentre agli usi vili servono quelli di minor prezzo. Paolo vuol insegnare che, nella mescolanza inevitabile degli elementi in seno alla Chiesa, dipende dalla volontà di ognuno l'appartenere ad una categoria piuttosto che ad un'altra, l'essere un vaso prezioso o spregevole, un vaso ad onore o a disonore. Paolo, nota Crisostomo, era vaso di terra, ma è divenuto d'oro; Giuda era vaso d'oro (almeno per esterna vocazione) ma è divenuto di terra. In questo senso Paolo applica la similitudine.

21 Se dunque alcuno,
ministro o semplice cristiano,
si purifica [separandosi] da costoro, sarà onorevole, santificato, utile al Padrone, preparato per ogni buona opera.
Le versioni italiane portano: "Se alcuno si purifica da queste cose"...e si avrebbe a riferire alle logomachie e ciance di cui in 2Timoteo 2:14,16 ovvero agli atti concreti significati dalla parola "iniquità" 2Timoteo 2:19. Un tal senso è certamente possibile; ma il pronome (τουτων) si può riferire egualmente alle persone figurate dai "vasi a disonore" mentovati nella frase che precede. Il senso sarebbe: Se alcuno purifica sè stesso uscendo moralmente d'infra coloro che vivono nel peccato (εκ) e separandosi da loro (απο) coll'attenersi al Signore, egli, con atto volontario di conversione sincera, di fede, di rinunziamento al male, si colloca nella categoria dei cristiani genuini, diventa uno strumento adatto all'opera onorevole del regno di Dio, è santificato, ritirato dagli usi ordinari e consacrato ad uso santo, è utile al padrone della casa ch'è il Signor Gesù, capo supremo della Chiesa, è preparato ad ogni buona opera cui lo voglia chiamare il Signore. Con queste ultime parole usciamo di figura ed appare chiaro che le opere buone sono l'uso onorevole cui devono servire i vasi cristiani.

22 Ma fuggi gli appetiti giovanili, procaccia invece giustizia, fede, carità, pace con quelli che invocano il Signore di puro cuore.
Per essere atto e preparato ad ogni buona opera, Timoteo deve fuggire le concupiscenze giovanili che non sono soltanto le passioni carnali, ma comprendono una cerchia più larga di brame. "Paolo ha in vista altre disposizioni che sono l'abituale tentazione di uomini giovani ancora e che occupano nella chiesa una posizione elevata: tali il segreto orgoglio, l'ambizione, la sete di dominio, la febbrile ricerca di ogni sorta di mutamenti. L'età apostolica volgeva al tramonto, altri tempi principiavano per la Chiesa, dei novatori vi comparivano con la sicurezza di sè che sempre li distingue e colla pretesa di recare vedute più spirituali, più profonde sul cristianesimo. Era difficile pei successori immediati degli apostoli di conservarsi immuni da cotali tendenze erronee". (L. Bonnet). D'altronde certi difetti caratteristici della gioventù persistono, pur troppo, anche in età più matura. Agli appetiti giovanili è opposta una serie di virtù che Timoteo deve procacciare. La giustizia nel senso morale più largo è la pratica del bene, il "retto tenore di vita" come la definì Calvino. La fede è l'anima della vita cristiana ed è sempre suscettibile di crescere. L'amore o la carità n'è la disposizione fondamentale, l'ispirazione. Se non è possibile a Timoteo di evitare la rottura con certi cristiani di nome che dovrà riprendere anche severamente, egli deve fare ogni sforzo per vivere in pace con quelli che invocano il Signore Gesù di puro cuore. Chi crede veramente nel Figliuol di Dio, l'invoca di cuore. Il cuor puro è il cuor sincero, leale, non contaminato dalla duplicità, nè dai secondi fini 1Timoteo 1:5. Coi cristiani sinceri e genuini Timoteo, lasciando ogni grettezza, e rivestendo uno spirito di vera cattolicità, dovrà vivere in pace. Paolo gliene ha dato l'esempio nella condotta tenuta verso i fratelli deboli 1Corinzi 8-9; Romani 14.

23 Ma le stolte ed insulse questioni, evitale, sapendo che generano contese.
Un'altra volta Paolo torna ad affermare l'incompatibilità tra la mania delle questioni e la sana vita cristiana. Le chiama qui stolte perchè vertono su cose senza importanza reale e sulle quali non è possibile raggiungere alcuna certezza; insulse, lett. ineducate, perchè prive di senno, di sugo di sapienza, incapaci di servire nè all'istruzione né al miglioramento morale di chi vi prende parte. Cfr. Tito 3:9. Generano contese tanto più appassionate quanto più sono inutili alla santificazione le cose cui si riferiscono.

24 Or il servo del Signore non deve contendere,
cioè non deve spender le sue forze in vane contese. Per la verità nelle cose essenziali gli converrà combattere come Paolo in Antiochia, in Gerusalemme, in Galazia ecc., come Lutero per difendere la salvazione per grazia contro gli errori di Roma. Gesù ha fatto della controversia, ma utile e santa. Il battagliar del continuo specie se in seno alla propria chiesa non conviene al servo di Cristo. Quello che si addice all'ufficio suo di fronte a coloro che hanno bisogno d'essere istruiti nella verità e corretti di qualche errore, o ricondotti sulla buona via, è indicato dalle parole che seguono:
ma essere mite inverso tutti,
mite nel sentire improntato a sensi di umiltà, di amore, di compassione per chi è fuorviato o in pericolo di sviarsi, mite nel trattare e nel parlare con esso. La mitezza è l'opposto dell'acredine, dello spirito autoritario di chi vuol signoreggiare sulla fede altrui, di chi mira ad umiliare gli altri piuttostochè a persuaderli. Mite inverso tutti oppositori o no, credeteti e non credenti.
atto ad insegnare,
ad esporre la verità in modo da convincere le menti e le coscienze e da persuadere i cuori. In 2Timoteo 4:2 dirà "Esorta con ogni lunganimità e con dottrina". Cfr. Tito 1:9.
paziente
lett. "sopportatore del male", disposto cioè a sopportare con pazienza, con equanimità, le contradizioni, le obiezioni, le opposizioni, magari le ironie, le caricature che gli avversari fanno della verità e di chi la professa. Siffatta tolleranza è l'opposto della eccessiva suscettibilità, della irritabilità., della violenza nelle polemiche. La verità va spiegata, e difesa con dignità e con calma.

25 Correggendo con mansuetudine gli avversarii, per il caso che Dio conceda loro di ravvedersi per conoscere appieno la verità.
Il rabbuffo iroso od ingiusto od autoritario non persuade, anzi allontana chi non vede le cose come noi; mentre la mansuetudine che non va confusa colla ipocrita melensaggine e meno ancora coll'adulazione, la mansuetudine ch'è figlia della umiltà e dell'amore, predispone alla persuasione quando l'insegnamento sia fondato sulla verità. Gli avversari che si tratta di correggere ammaestrandoli (παιδευειν) sono oppositori in buona fede a qualche verità cristiana da loro fraintesa o respinta, sia perchè sono inceppati da pregiudizii, sia perchè sono stati trascinati da eretici in errori perniciosi. La ragione per cui devesi procedere con mansuetudine sta nella possibilità del loro ravvedimento. Se sono leali, una volta che la verità religiosa sia loro presentata chiaramente l'accetteranno e lasceranno l'errore. Dio si compiace di valersi, dei suoi servi per trarre dall'errore della loro via i suoi figli fuorviati. Quando la grazia che li trae a pentimento incontra il concorso d'un'anima che cede alla verità, ed al bene, avviene la metànoia, il mutamento di pensiero e di disposizione, il; ravvedimento col quale si riconosce di aver sèguito una mala via e la si abbandona. Quando l'anima errante conservi la necessaria sincerità, pur essendo vittima di una seduzione diabolica, è sempre possibile il ravvedimento. Da notare che l'apostolo considera il ravvedimento come la via che mena alla piena conoscenza (epignosis) della verità. Infatti, per lo più, gli errori religiosi hanno la loro cagione morale nelle disposizioni del cuore. Gli uomini preferiscono spesso le tenebre alla luce perchè le loro opere son malvagie. La verità si conosce da chi l'ama e se l'appropria onestamente.

26 e tornino in sè uscendo dal laccio del diavolo, dopo essere stati da lui presi per far la sua volontà.
Il verbo ανανηφω qui usato significa tornare allo stato di sobrietà dopo esser stati nell'ebbrezza, quindi tornare in sè. Lo stato di errore degli oppositori è assomigliato allo stato di semi-incoscienza di chi è ebbro, e non vede e non sente come nello stato normale e dice cose strambe che poi ripudia. In tale stato li ha ridotti Satana pigliandoli nel laccio delle sue astuzie. Cfr. 2Corinzi 2:11; 2Pietro 5:8. Lo svegliarsi fuori (εκ) del laccio è uno svegliarsi per uscire d'esso. Il testo dice "essendo presi vivi da lui in vista della di lui volontà". L'interpretazione più semplice vede Satana raffigurato qui come un cacciatore che prende vivi certi animali per ridurli poi a ubbidirgli. Così Satana quando trascina i cristiani nell'errore mira a pervertirli moralmente allontanandoli dal bene. Altri spiegano: "uscendo dal laccio del diavolo da cui erano stati presi, per far la volontà di Dio"; ovvero: "essendo essi presi dal servo di Cristo qual pescatore d'uomini vivi, per far la volontà di Dio".

AMMAESTRAMENTI
1. Per tre volte, in questa sezione 2Timoteo 2:14,16,22, torna l'apostolo sulle controversie in cui Timoteo, i presbiteri od i cristiani d'Efeso potevano essere trascinati. E s'intende che il cristianesimo penetrando nella società pagana ove le credenze religiose antiche erano in piena dissoluzione e dove pullulavano i sistemi filosofici, dovesse incontrare oppositori e travisatori di molte specie. Paolo vorrebbe che Timoteo evitasse gli scogli che sono sulla sua via e gli da i consigli che la sua esperienza gli detta.
In tutti i tempi è richiesta nel cristiano, specie nel ministro del Vangelo, una grande sapienza in materia di controversie e non sono tempi come i nostri ove sono tante le divisioni della cristianità ed ove tutto è posto in questione, che ne richiedono una misura inferiore.
Abbiamo bisogno di saper distinguere l'importanza sostanziale delle questioni che sorgono. Ce ne sono che si possono definire "dispute di parole" e che l'apostolo dichiara inutili e sovvertitrici della fede degli uditori. Di tal genere sono non poche delle questioni teologiche che hanno fatto spargere tanto inchiostro e talvolta sangue. Questioni relative a materie misteriose in cui la mente può spaziar nelle nuvole, questioni di lana caprina senza importanza pratica, questioni minori di critica, ecc. ecc. Sono inutili a chi vi è impegnato e nocive agli uditori di cui distolgono l'attenzione dalle cose essenziali alla fede ed alla vita.
Abbiamo bisogno di saper discernere lo spirito col quale molti cercano di muovere obiezioni e di suscitare questioni e dispute. In molti c'è uno spirito profano, che non cerca seriamente la verità, ma che prende piacere nel sollevare questioni futili ed anche profane e stolte, o per innata manìa di disputare, o per far pompa di abilità dialettica, o per trovare una scusa ad una vita contraria alla morale cristiana. Gesù non rispose nulla ad Erode che volea divertirsi nell'interrogarlo. Discutere con chi si diverte nel giostrare a parole su questioni insulse non è utile a chi è così disposto e procederà di male in peggio se non è ricondotto a serietà morale. Controversie di tal genere e condotte con tale spirito sono fonte perpetua di contese in cui il ministro sciuperebbe tempo e carattere.
Quando però si tratti di questioni importanti, capitali per i cristiani, il ministro non può esimersi dal combattere per la difesa della verità. Ed in quei casi dovrà cercar di esser giusto verso gli avversari non prestando loro opinioni ch'essi non professano, nè moventi perversi o sleali senza averne le prove. Dovrà esser paziente considerando come infelice chi si dibatte nell'errore e non risentendosi se non è trattato molto bene. Il medico non bada alle parole oltraggiose od agli atti incomposti del povero malato delirante di febbre; non risponde agli insulti nè ai mali trattamenti che gli dimostrano la violenza del male ch'egli deve guarire.
La compassione gl'ispira, mitezza e tolleranza.
Invece di rispondere coll'insulto che ferisce o col rogo che distrugge, deve rispondere con buone ragioni, insegnando, presentando la verità, correggendo e confutando con mansuetudine l'errore e non perdendo mai di vista lo scopo cui deve tendere nel discutere, cioè la conversione degli oppositori alla verità che scioglie i lacci dell'errore, e affranca dai traviamenti morali. "Non impeto d'ira nel difendere la verità, nè acrimonia nel correggere il peccatore. Chi ha capito che la fede ed il ravvedimento sono un dono di Dio e sa quanto sono potenti le illusioni e numerose le arti del diavolo e dura la schiavitù del peccato, lungi dall'insultare al peccatore avrà pietà della di lui miseria. Adoriamo la misericordia di Dio su noi, speriamola per i più grandi peccatori; temiamo per noi, preghiam per essi" (Quesnel).
2. Il migliore, anzi l'unico modo di rendere una chiesa refrattaria agli errori che l'assalgono è di saturarla di verità evangelica. Quando il posto è occupato dalla verità l'errore rimane a terra inefficace. Ma per immunizzare con siffatta cura preventiva le chiese, conviene insegnare la verità con cura assidua e con fedeltà, non solo in pubblico ma in privato, non solo agli adulti ma ai giovanetti ed ai bambini, distribuendo a ciascuno l'insegnamento che si confa al suo stato od alla sua capacità.
3. La risurrezione finale è parte essenziale della speranza cristiana, il coronamento della redenzione. C'è bensì una risurrezione spirituale dalla morte nei falli, ma essa non esclude, anzi prepara la risurrezione del corpo. È accaduto per la risurrezione quello che accade per altre verità: per mettere in luce una patte della dottrina cristiana s'è gettata nell'ombra o negata addirittura l'altra. Ma la Scrittura presenta i due aspetti della verità completa; risurrezione spirituale e risurrezione corporale. Forse la causa della negazione della risurrezione stava nel concetto troppo carnale, troppo materiale che si facevano della risurrezione dei corpi, quasichè la materia stessa del corpo terreno fosse quella che dovrà costituire il corpo celeste. Paolo evita cotesto eccesso in 1Corinzi 15. La tendenza a spiritualizzare i grandi fatti della Redenzione ha per risultato di far sfumare la redenzione stessa. Con siffatto metodo sfuma l'incarnazione, sfumano i miracoli, sfumano la risurrezione, l'ascensione e il ritorno glorioso di Cristo, sfuma la risurrezione del corpo. Il Vangelo apostolico mantiene tutti questi fatti consolanti.
4. Quattro insegnamenti importanti sulla Chiesa di Dio sono contenuti in 2Timoteo 2:19-20.
1°. La chiesa non è istituzione meramente umana; essa è voluta da Dio, fondata da Dio, protetta da Dio.
2°. Essa è indistruttibile. "Il saldo fondamento di Dio sussiste"; sussiste nonostante la violenza del mondo che perseguita. È simile al pruno che pur avvolto da fiamme non si consumava. Le porte della morte non la inghiottiranno. Sussiste contro gli assalti dell'errore che sovverte la fede di molti, talvolta della quasi totalità nel suo stesso seno. Sussiste nonostante la corruzione che l'invade alle volte da tutte le parti.
3°. Nel suo stato esterno, visibile all'occhio umano, essa è in istato imperfetto di mescolanza con elementi eterogenei. Ma Dio conosce quelli che sono suoi. Li ha conosciuti ab eterno e li riconoscerà nel gran giorno del giudicio accogliendoli nel suo regno perfetto. Il mondo non conosce i membri genuini della Chiesa di Dio; la Chiesa visibile li disconosce talvolta e li scomunica ed anatematizza; i loro congiunti li possono rinnegare; i loro fratelli possono giudicarli o troppo favorevolmente o troppo severamente; ma Dio li conosce nel fondo vero dell'essere loro ed è il solo che possa salvare e perdere. Quindi a lui può sempre appellarsi chi è ingiustamente reietto, e dinanzi a Lui deve ciascuno considerare il proprio stato.
4°. Il segno più infallibile della vera Chiesa di Dio è la santità. Chi è realmente cristiano si ritrae dal male. Se n'è ritratto con una seria conversione a Cristo, se ne ritrae collo sforzo costante per la propria santificazione, aspira ad esser perfetto com'è perfetto il suo Padre celeste. È questo il suggello di Dio su di un'anima redenta. Non la professione esterna, non la nascita, non l'opinione degli uomini, ma il ritrarsi dal male che Dio condanna. La intima connessione della pietà con la vita morale, è una delle più notevoli prove della origine divina del cristianesimo.
5. Anche i migliori giovani hanno bisogno di stare in guardia contro le cupidigie giovanili. Il migliore antidoto contro di esse sarà l'amore santo che riempie la vita di sane ed utili occupazioni.