2 Timoteo 1
IL PREAMBOLO

2Timoteo 1:1-5.

Il preambolo contiene il saluto apostolico ed il ringraziamento col quale Paolo suole principiar le sue lettere.

Il Saluto. 2Timoteo 1-2.

Paolo apostolo di Cristo Gesù per la volontà di Dio, secondo la promessa della vita ch'è in Cristo Gesù.
Come fu detto al principio della 1a Ep. anche questa lettera è personale; ma siccome non riguarda affari privati bensì gl'interessi del regno di Dio, Paolo la scrive nella sua qualità e coll'autorità sua di apostolo, a Timoteo nella sua qualità di ministro del Vangelo.
L'origine divina del proprio apostolato è qui indicata colla formula usuale: per volontà di Dio. La locuzione κατἑπαγγελιαν ζωης: secondo la promessa della vita è stata parafrasata in varii modi: concernente la... in conseguenza della... in vista della promessa. B. Weiss spiega più esattamente: in conformità con, in armonia colla promessa... poichè Colui che ha fatto la promessa della vita, vuole pure mandare degli apostoli per pubblicarne il contenuto, per mostrar la via da seguire onde aver parte al bene promesso. Teodoreto esprimeva lo stesso concetto quando scriveva: "apostolo... per annunziar la vita promessa". Paolo è invitato non ad annunziar favole o speculazioni, ma per recare agli uomini il messaggio della vita eterna promessa da Dio a chiunque crede nel Cristo Mediatore. La vita nel senso più vero e più profondo, la vita spirituale ed eterna è il grande ed imperituro bisogno degli uomini e quella vita è in Cristo Gesù, fondata su lui, procurata da lui, condizionata dalla fede in lui, realizzata nella comunione con lui. Paolo è alla vigilia della morte, ma, tiene alta la face della vita ch'egli ha fatta risplendere in tanti luoghi.

A Timoteo mio diletto figlio.
In 1Corinzi 4:17 diceva: "il quale è mio figlio diletto e fedele nel Signore" e Filippesi 2:19-23: "Non ho nessuno d'animo pari al suo...; come figlio al padre egli ha servito con me per l'Evangelo..." Paolo ha potuto veder l'affetto di Timoteo per lui in occasione recente 2Timoteo 1:4 e, abbandonato da altri collaboratori, sente crescere l'affetto per quel suo degno figlio spirituale. Il saluto è identico a quello della 1a Epist.:
grazia, misericordia, pace da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore.

Il rendimento di grazie. 2Timoteo 1:3-5.

Io rendo grazie a Dio al quale io servo come già i miei antenati, in pura coscienza.
Il Reuss ha notato come nel principio di questa lettera ritroviamo quanto a sostanza le idee predilette di Paolo e, per la forma, la facilità estrema colla quale suol passare da un'idea all'altra mediante semplici pronomi relativi, participii o parentesi. I sentimenti personali non potevano a meno di prodursi con energia in una lettera come questa rivolta ad un amico in circostanze eccezionali. Ed i legami personali fanno, alla loro volta, vivere dei ricordi di famiglia cari ugualmente al maestro ed al discepolo. Tutto ciò dà subito alla lettera quell'impronta di commovente intimità che ha reso arduo il compito di chi si è provato a negarne l'autenticità. Paolo è riconoscente al Dio ch'egli serve (λατρευω) cioè al quale presta il suo culto, ch'egli confessa, adora e serve come il vero Dio Romani 1:9. Paolo non ha mai conosciuto nè l'idolatria, nè la Mariolatria nè la santo-latria. Al solo Dio rende il culto fin dagli antenati cioè seguendo l'esempio datogli dalle generazioni dei suoi maggiori. E ciò in pura coscienza. cioè con coscienza leale, sincera, monda d'ipocrisia. Anche quando nella sua ignoranza perseguitava i cristiani, credeva servire a Dio 1Timoteo 1:13; Giovanni 10:2. Illuminato poi dalla verità "non fu disubbidiente alla visione celeste" e adorò con ispirito filiale l'Iddio Salvatore, il "Padre del nostro Signore G. C." Questo sguardo al passato sembra occasionato dal fatto che Paolo si sente ormai presso alla fine della carriera e quindi portato a considerarla nel suo insieme, così nei privilegi goduti, come nell'attività ch'egli ha potuto spiegare 1Timoteo 4:7. D'altronde anche Timoteo aveva avuto il privilegio di essere educato da una madre pia nella conoscenza del vero Dio.
mentre mi ricordo del continuo di te nelle mie preghiere, notte e giorno, bramando - memore come sono delle tue lagrime - di vederti ond'essere ricolmo di allegrezza.
Il greco porta lett.: come ho incessante memoria di te. Questo come (ὡς) è stato tirato a varii sensi non legittimi, per es. "che", "poichè", "perchè", "com'è vero che"... Meglio prenderlo in senso temporale come in Galati 6:10: "mentre". Indica le occasioni e le circostanze spirituali, ch'è quarto dire l'ambiente di ricordi, di desideri, di affetti in cui ha luogo il rendimento di grazie. Nelle lunghe ore del carcere il vecchio apostolo corre spesso col pensiero e di notte e di giorno alla chiesa di Efeso, alle sue difficoltà, al suo giovane e caro conduttore ch'egli bramerebbe tanto di rivedere, di cui ricorda con tenerezza le lagrime; ed il ricordo si converte in preghiera incessante per lui. Egli è in occasione di queste preghiere e nell'atmosfera di siffatti sentimenti che, ripensando alla fede sincera del suo figlio spirituale, Paolo rende grazie a Dio. Poichè non v'ha dubbio che la fede di Timoteo è l'oggetto principale del rendimento di grazie. Essa è infatti la condizione essenziale per il compimento della di lui missione evangelica in Efeso. L'inciso notte e giorno va connesso col ricordo incessante che Paolo fa di Timoteo nelle sue preghiere. Così pratica egli stesso il precetto 1Tessalonicesi 5:17: "Non cessate mai d'orare". Da quanto tempo fossero i due amici separati, non sappiamo, come non possiamo con certezza dire in quale occasione Timoteo versasse le lagrime qui ricordate. Probabilmente si tratta dell'ultima dolorosa separazione avvenuta a quanto pare in Asia Minore. In 2Timoteo 4 Paolo mentova alcune località di quella regione come visitate da lui di recente: Così Troas e Mileto 2Timoteo 4:13,20. Paolo era egli di già arrestato quando Timoteo lo salutò piangendo, presago forse di una prossima condanna capitale? Lo ignoriamo; ad ogni modo, poichè l'apostolo non fa menzione in questa lettera del suo arresto ma solo della sua prima difesa davanti all'autorità, è chiaro che Timoteo era informato dell'incarceramento di Paolo.

Le parole: ricordandomi delle tue lagrime vanno considerate come una parentesi che aggiunge alle altre ragioni per cui Paolo bramava rivedere Timoteo, anche questa da cui traspare l'affetto che univa quei due cuori. Sentendo non lontana la fine, l'apostolo desidera aver la suprema consolazione di aver vicino a se Timoteo, tanto più ch'egli è attualmente quasi solo. Chi vede in ciò dell'egoismo, pronunzia un giudizio temerario. Piuttosto vi si scorge il carattere profondamente umano del cristianesimo di Paolo.

poichè serbo memoria della fede non finta ch'è in te, la quale abitò prima nella tua nonna Loide e nella tua madre Eunice, è son persuaso che abita in te pure.
Siccome il greco ha letteralmente: "avendo ricevuto il ricordo della fede..." si è pensato a un inviato, o ad una lettera recente di Timoteo che avesse persuaso Paolo della sincerità della fede di lui. Ma Paolo non avea bisogno di simili mezzi per ritener genuina, senza simulazione o secondi fini, la fede di colui che gli era stato compagno per tanti anni. La locuzione equivale semplicemente al "ricordandoci". Cfr. locuz. analoga 2Pietro 1:9. E mentre rievoca nella sua mente la fede sincera di Timoteo, ricorda con compiacenza che una fede simile era abitata nel cuore di due donne care al giovane evangelista, ed ora morte, la sua nonna materna Loide e la sua madre Eunice. Di quest'ultima sappiamo da Atti 16:1 ch'ella era una pia giudea maritata a un greco. La sincerità della fede giudaica di quelle donne le avea poi condotte a ricevere come loro Salvatore Gesù, il Messia predetto nelle Scritture e annunziato da Paolo in Listra. Dovea esser dolce e in pari tempo incoraggiante per Timoteo d'esser l'erede spirituale di quelle sante donne.

AMMAESTRAMENTI
1. L'apostolato cristiano è fondato sulla promessa della vera vita in Cristo. Qualora Dio nell'amor suo non fosse intervenuto nella storia, non avesse mandato il suo Figlio per dare la vita eterna a quelli che credono in lui; non sarebbe mai nato l'apostolato. Nel corso dei secoli ed anche oggi, quelli che lasciano ogni cosa per recarsi fra popoli selvaggi quali missionari lo fanno per proclamare a coloro che sono morti spiritualmente "la promessa della vita in Cristo Gesù". Chi non avesse che delle speculazioni da recare, o qualche nozione di civiltà, non sarebbe annunziatore della buona novella. Ogni ministerio che non faccia della proclamazione della vita eterna data da Dio in Cristo il suo compito essenziale, non merita il titolo di cristiano. Per Paolo, fino all'ultimo, quando già è in vista la scure del littore, l'Evangelo si riassume nella vita che trionfa del peccato e della morte.
2. Paolo ebbe il privilegio di aver molti figli spirituali. Intere chiese dovettero ai suoi lavori la loro fondazione. Ma fra mezzo a tanti legami nuovi creati dalla fede con persone d'ogni nazione e ceto sociale, uno ve n'è che emerge per speciale forza e soavità ed è quello stabilitosi tra Paolo e Timoteo. Altri saranno stati figli genuini; ma Timoteo lo è in modo indubitato; la sua fede non è finta, egli l'ha vista alla prova per molti anni; altri avranno affetto per lui, ma l'affetto filiale di Timoteo supera ogni altro; la prolungata vita in comune, la collaborazione nell'opera di Dio, i riguardi del giovane evangelista per l'apostolo hanno creato fra le due anime un legame tenero ed indissolubile. Quando hanno dovuto separarsi il giovane ha versato molte lagrime e Paolo le ricorda con commozione e brama a sua volta di riveder presto e di tener presso di sè nel tramonto della vita colui ch'egli suol chiamare il suo "diletto figlio''. L'averlo con sè gli procurerebbe in mezzo a molte amarezze una gran gioia. Il ricordo del figlio è continuo nel cuor del padre, e così quello del padre nel cuor del figlio, ma non è sterile sentimentalismo, chè anzi si traduce in incessante preghiera che sarà ora un rendimento di grazie ed ora un implorar da Dio misericordia e pace e intendimento e forza sopra Timoteo. Più che questo, si traduce in opportune istruzioni ed in consigli che si estendono dal modo di propugnar la causa del Vangelo fino al modo di curar la salute del corpo. Sincerità di fede, comunanza di intenti, affetto profondo e costante, intercessione mutua, interessamento vicendevole nell'opera che ad ognuno è affidata, ecco altrettante condizioni di vera fratellanza e di amicizia in Cristo. Il cristianesimo non distrugge, anzi santifica ed intensifica i sentimenti naturali.
3. L'aver degli antenati e dei genitori che hanno servito o servono Iddio è un privilegio. L'eredità delle disposizioni dell'animo, l'influenza delle tradizioni di famiglia, quella dell'esempio posto dinanzi alle tenere anime, l'istruzione, l'educazione ricevuta da una madre, da un padre o da altri membri della famiglia, le preghiere presentate a Dio, sono altrettanti mezzi di cui Dio suole servirsi per trarre a sè i giovani. Non sono i soli; poichè mentre Paolo ha avuto antenati religiosi e ha da loro imparato a servir Dio con retta e scrupolosa coscienza, egli è poi stato condotto a Cristo dai cristiani che perseguitava, dal Cristo stesso, da Anania di Damasco. Mentre Timoteo ha avuto una madre ed una nonna credenti, egli è stato condotto insiem con loro a Cristo da Paolo. L'eredità e l'esempio dei maggiori vanno ricevuti con beneficio d'inventario e vanno considerati in quello che han di buono come un mezzo di progredire verso la verità ch'è congiunta alla pietà; ma ciò non toglie che noi dobbiamo esser grati a Dio se egli ci ha posti in condizioni favorevoli allo sviluppo della pietà e sentir l'obbligo di raggiungere un più alto grado di vita religiosa. I genitori ed in ispecie le madri fedeli, hanno in Eunice ed in Loide, come in tante altre pie donne di cui parla - o più spesso tace - la storia, un esempio della santa influenza ch'essi possono esercitare sui figli che Dio ha affidati alle loro cure.

PARTE PRIMA

ESORTAZIONE A CONFESSARE CORAGGIOSAMENTE L'EVANGELO


2Timoteo 1:6-2:13.

È questa la parte più generale delle esortazioni rivolte a Timoteo e concerne il suo dovere come Evangelista di bandir la Buona Novella senza lasciarsi spaventare dall'opposizione del mondo. L'esortazione assume diverse forme: ravvivare il dono ricevuto, non vergognarsi del glorioso Evangelo della salvazione, faticare e soffrire come buon soldato di Cristo; ma il pensiero fondamentale è sempre lo stesso.
Trattandosi d'una esortazione, i diversi motivi su cui si fonda costituiranno le successive sezioni di questa parte della Lettera.
Sez. A. 2Timoteo 1:6-7. Timoteo ravvivi il dono ricevuto poichè lo Spirito sospinge ad uno zelo coraggioso ed amorevole.
Sez. B. 2Timoteo 1:8-18. Timoteo non si vergogni dell'Evangelo di Cristo nè di chi è carcerato per esso. Cristo è il Mediatore della grande salvazione di Dio è Paolo è stato costituito apostolo e maestro delle Genti.
Sez. C. 2Timoteo 2:1-13. Timoteo disimpegni fedelmente l'ufficio ricevuto, poichè tale è la condizione per aver parte alla gloria che il Cristo risorto e regnante tiene in serbo per i suoi servitori.

Sezione A. 2Timoteo 1:6-7. IL DONO DA RAVVIVARE. TIMOTEO RAVVIVI IL DONO RICEVUTO PERCHÉ LO SPIRITO SOSPINGE AD UNO ZELO CORAGGIOSO ED AMOREVOLE.

Per la qual cagione io ti rammento che tu ravvivi il dono di Dio ch'è in te per l'imposizione delle mie mani.

La cagione per cui Paolo fa questa esortazione sta nel fatto che Timoteo (Paolo n'è persuaso) possiede una fede sincera. Se non l'avesse mancherebbe la condizione essenziale per essere un banditore dell'Evangelo. Chi non crede non è fatto per propagare la fede che non ha. Ma Timoteo crede di cuore ed inoltre ha ricevuto un dono speciale per evangelizzare. Fede e dono sono egualmente necessarii al ministerio cristiano. Il carisma di Dio non è qui la vita spirituale, poichè questa non era stata comunicata per l'imposizione delle mani di Paolo; ma, nel senso teorico che riveste per es. in 1Corinzi 12-14, designa un dono speciale dello Spirito che accresce e santifica una attitudine naturale del credente. Nel caso di Timoteo si tratta di quei doni spirituali di conoscenza, di parola, di simpatia che l'avevano reso atto al ministerio dell'Evangelista e del Pastore Cf. 2Timoteo 4:5. L'imposizione delle mani è quella che Timoteo avea ricevuta da Paolo e dal collegio degli anziani di Listra 1Timoteo 4:14 allorchè egli era stato appartato per il ministerio e che delle voci profetiche avevano predetto al giovane una feconda carriera. In tale occasione gli era stato conferito un ufficio e in pari tempo riconosciuto ed accresciuto il dono di natura profetica che avea reso il giovane cristiano viepiù atto alla propagazione del Vangelo. Infatti, come osserva v. Soden in alcuni casi l'imposizione delle mani è simbolo del conferimento di un ufficio. I sacerdoti levitici, Giosuè, i diaconi furono così riconosciuti. In altri casi è il mezzo per comunicare una virtù, una forza di cui è sorgente lo Spirito. Così nelle guarigioni. In altri casi ancora, come in quello di Timoteo, le due nozioni sono insieme unite. L'imposizione delle mani è simbolo del conferimento di un ufficio e mezzo esterno per la comunicazione o per l'accrescimento d'un dono. L'una cosa e l'altra impongono degli obblighi corrispondenti, e questi obblighi Paolo, come padre spirituale e stromento nella comunicazione del carisma, li può con autorità ricordare a Timoteo. Questi era giovane, di carattere un po' timido, di salute cagionevole ed essendo cresciute le difficoltà nella chiesa ed aumentati i pericoli esterni, si capisce che potesse aver bisogno di una vigorosa spinta morale per parte dell'apostolo. L'immagine contenuta nel ravvivare (αναζωπυρειν) è quella di un fuoco che arde lentamente ed ha bisogno d'essere attivato dalla ventola onde dare tutto il calore e tutta la luce di cui è capace. Così Timoteo, invece di lasciarsi spaventare o disanimare dalle difficoltà, deve con rinnovato zelo e coraggio, mettere in piena attività i doni ricevuti per l'opera di Dio in Efeso. Così facendo, aprirà la vela al vento dello Spirito che soffia in quella direzione. È questo il primo motivo che Paolo fa valere.

Perocchè Dio non ci ha dato uno Spirito di timidità, ma di forza, di amore e di ammonizione.
La 1a persona del plurale potrebbe intendersi di tutti i cristiani, poichè lo Spirito è dato a tutti sotto al Nuovo Patto e "se uno non ha lo Spirito di Cristo non è di lui". Però, siccome lo Spirito è mentovato qui in connessione coi doni spirituali di cui è la fonte e siccome è un ministro di Cristo che parla ad un altro ministro del modo di far valere i doni ricevuti, è preferibile restringere il ci ha dato agli ambasciatori di Cristo che hanno ricevuto una speciale misura dello Spirito. Le disposizioni ch'esso crea e sviluppa nei ministri del Vangelo e nei cristiani tutti, non sono la timidità ossia la disposizione a lasciarsi intimorire dagli ostacoli, dalle beffe, dalle audaci opposizioni, dalle minaccie, dalle sofferenze. Al contrario è Spirito di forza o di potenza, e s'intende di forza interna, di coraggio morale, che trasforma un giovane come Timoteo in un eroe impavido di fronte al mondo; della forza di uno Stefano, di un Lutero, di tante eroine cristiane. È Spirito di amore, che porta, non all'indifferenza, ma alla pazienza, al perdono, alla compassione, alla mitezza verso i fratelli e verso gli uomini in genere, che spinge a procacciare con perseveranza il loro vero bene seguendo l'esempio di Cristo. "L'amor di Cristo ci possiede" 2Corinzi 5:14. L'ultima parola adoperata per caratterizzare le disposizioni prodotte dallo Spirito non è facile a tradurre. La Vulgata porta "sobrietà", Martini "saggezza", Diodati "correzione", Revel "senno", altri "consiglio" "disciplina" ecc. Certo si è che non va confusa con altra parola analoga (σωφροσυνη) che abbiamo 1Timoteo 2.9,15 e che indica la saggia moderazione, la temperanza. La terminazione ismòs (σωφρονισμος) le dà un senso attivo che ritroviamo nel verbo (σωφρονιζειν) in Tito 2:4: "affinchè ammaestrano (od ammoniscano) le giovani..." Plutarco ha l'espressione "per ammonizione (σωφρονισμω) degli altri". Secondo il Grimm mentre il primo termine vale mentis sanitas, il secondo vale admonitio ad mentem sanam. È l'attitudine e la disposizione per le quali il ministro di Cristo (e nella sua sfera ogni cristiano), animato dall'amor delle anime, forte della forza di Dio e della sua buona coscienza, si sente portato a chiamare i suoi simili o a richiamare i suoi fratelli sulla retta via "ammonendo i disordinati, confortando i pusillamini..." 1Tessalonicesi 5:14-15; Ebrei 3:12-13, chiamando a ravvedimento i peccatori. Come inviato dell'Apostolo, Timoteo aveva il compito di esortare, di correggere, di riprendere, così gli anziani come le varie categorie dei membri della chiesa. Certo che per adempiere quel dovere con saviezza, con coraggio e buona coscienza egli dovea prima esercitare una severa disciplina sopra se stesso; ma non è di quella che qui si tratta.

AMMAESTRAMENTI
1. Timoteo aveva un dono reale e cospicuo di evangelista. I doni naturali di parola e d'intelligenza erano stati in lui santificati dalla fede in Cristo e, di poi, nella memorabile occasione in cui egli era stato appartato per il ministerio, erano stati accresciuti da una effusione speciale dello Spirito implorato su lui dall'Apostolo unitamente al collegio degli anziani. Cfr. 1Timoteo 4:14. Niuno deve entrare in un ufficio se non ha ricevuto i doni necessarii per adempierlo. I suoi doni Dio li conferisce coll'azione della sua Provvidenza e con quella del suo Spirito; ma non ha promesso di conferir doni ordinarii nè straordinarii ogni volta che un collegio di anziani, od un rappresentante della chiesa, impongono le mani ad un candidato. I fatti attestano che, in via normale, la chiesa coll'imporre le mani non fa che riconoscere i doni già conferiti e appartare per un dato ufficio colui che li possiede, implorando su lui l'effusione abbondante dello Spirito. Paolo stesso prescrive a Timoteo di accertarsi della presenza dei doni e requisiti voluti in chi brami l'ufficio di sovraintendente, o di diacono. Non basta parlar di doni conferiti da una ordinazione episcopale o di carattere indelebile; i fatti smentiscono la pretenziosa teoria e provano che senza la pretesa sacramentale trasmissione di doni in virtù di un'asserita successione apostolica, Dio conferisce i doni suoi a coloro ch'Egli chiama e corona della sua benedizione le loro fatiche.
2. Non fu inutile per Timoteo che Paolo gli ricorda se il dovere di ravvivare il dono ricevuto; nè saranno superflue le fraterne esortazioni rivolte ai ministri del Vangelo ed a tutti i cristiani di ravvivare il dono che Dio ha affidato a ciascuno. Tutti hanno ricevuto qualche dono da far valere; si tratta di vedere quale sia questo dono e quindi di metterlo in piena attività per il servizio del Signore. Un dono non adoperato è come una fiamma non alimentata che si spegne a poco a poco, una facoltà che si atrofizza; mentre il dono fatto valere si accresce e si perfeziona. I doni si ravvivano colla preghiera che ci mette in contatto con Dio e ci dà l'ispirazione necessaria; colla meditazione della sua Parola che c'insegna i diversi modi di farli valere; e soprattutto colla pratica attività che li mette quotidianamente in opera. Chi fa falla; ma non c'è, fallo peggiore del lasciar inoperosi i doni di Dio, che potrebbero fare tanto bene agli altri.
3. In tutte l'epoche la causa del Vangelo ha bisogno di operai ripieni dello Spirito di forza, di amore, di sana ammonizione; ma ne hanno speciale bisogno l'epoche in cui la verità è insidiata, combattuta, perseguitata nei suoi aderenti, e spesso tradita da chi ne fa professione. Chi sa di essere nella verità, chi lavora per il regno di Dio, chi ha la missione di annunziare ai peccatori la salvazione di Dio, non deve procedere con fiacchezza e con paurosa timidità quasi facesse opera non buona o di lieve importanza. Fede genera fede e coraggio infonde coraggio. Quando sono ispirate dall'amore, la forza non degenera in tirannica imposizione od in fanatismo e l'ammonizione non è superba nè irosamente amara.

Sezione B. 2Timoteo 1:8-18. NON VERGOGNARSI DEL VANGELO. TIMOTEO NON SI VERGOGNI DELL'EVANGELO DI CRISTO NÈ DELL'APOSTOLO CARCERATO PER ESSO. CRISTO È IL MEDIATORE DELLA GRANDE SALVAZIONE DI DIO E PAOLO SOFFRE COME APOSTOLO DEL VANGELO CH'EGLI DEVE INSEGNARE ALLE GENTI.

Non ti vergognare dunque della testimonianza del nostro Signore nè di me suo prigione.

Il dunque segna il nesso tra il 2Timoteo 1:7 e 2Timoteo 1:8. Per seguire le ispirazioni dello Spirito che deve reggere la sua vita, Timoteo non deve vergognarsi di proclamare il Vangelo anche a costo di patimenti. Prima lo avea esortato in modo generico a ravvivare il dono di Dio affidatogli; ora viene precisando il modo di farlo valere appieno. Ha il dono e l'ufficio di Evangelizzatore; bandisca dunque l'Evangelo apertamente, fedelmente, coraggiosamente, poichè non è quello un messaggio di cui si debba vergognare quasichè dubitasse della sua verità o della sua potenza salutare; anzi è tal Buona Novella che val la pena d'incontrar patimenti per farla conoscere agli uomini. Romani 1:16. L'esortazione a non vergognarsi non implica necessariamente che Timoteo si fosse reso colpevole di qualche debolezza; ma non era superfluo di rinfrancare il suo coraggio di fronte ai nuovi pericoli che minacciavano le chiese. La persecuzione neroniana del 64 e il nuovo imprigionamento di Paolo erano dei preludi minacciosi. Gesù avea posto in guardia i suoi discepoli in Marco 8:38; Luca 9:26. La testimonianza del Signore non è il "martirio" di Cristo per quanto la parola greca sia quella; neppure la testimonianza resa da Gesù; ma è la testimonianza che ha per oggetto il Signor Gesù, quella che il credente e in ispecie l'evangelista deve rendere al Signore qual Figlio di Dio e vero uomo, qual Salvatore "morto per le nostre offese e risuscitato a motivo della nostra giustificazione". Il Signore avea detto: "voi mi sarete testimoni" Atti 1:8. Cfr.1Corinzi 1:6; 2:1; 1Timoteo 2:6; 2Tessalonicesi 1:10; Atti 4:33. L'Evangelo ha per centro e per fondamento il Signor Gesù, la sua persona e l'opera sua.
Essendo Paolo quale apostolo di Cristo strettamente connesso coll'Evangelo, Timoteo non deve vergognarsi neppure di lui. Altri l'avevano abbandonato in quel tempo per timore; Timoteo non li deve imitare perchè sarebbe un modo di vergognarsi del Vangelo. Paolo si chiama il prigione del Signore Efesini 3:1; 4:1; Filemone 9 perchè è carcerato per la causa di Cristo e per permissione di lui. La sofferenza per l'Evangelo portata talvolta fino al martirio è anch'essa una forma di testimonianza Filippesi 1:12-13; Apocalisse 1:9.
anzi partecipa alle sofferenze dell'Evangelo
Lett. soffri dei mali insiem coll'evangelo, cioè prendi la tua parte dei mali, delle sofferenze connesse colla professione e colla predicazione del Vangelo. Altri interpreta: "soffri con me per l'Evangelo" e cita come espressione analoga Filippesi 1:27: "d'un animo lottando insieme per la fede (τη πιστει) dell'Evangelo". Il con me sottinteso si ricaverebbe dalla menzione del carcere fatta prima.
sorretto dalla potenza di Dio.
La forza morale necessaria per sobbarcarsi ai patimenti per il Vangelo non risiede nell'uomo naturale ma gli viene da Dio. Il greco ha secondo cioè: secondo la misura o in ragione, non della tua forza ch'è debolezza, ma della potenza che l'Iddio della sale salvezza è pronto a comunicarti. L'esposizione che segue della gratuita e grande salvazione procurata da Dio in Cristo è intesa a far sentire a Timoteo che non c'è ragione alcuna di vergognarsi di un tal messaggio; tutto anzi è atto ad infonder coraggio e baldanza in chi è chiamato ad esserne il banditore. La salvazione di Dio ha le sue origini nei consigli eterni di Lui, nell'amore suo immeritato per l'uomo di cui Egli vedeva la caduta. Lungamente nascosto nella mente di Dio, lentamente preparato e preannunziato, il piano divino è divenuto un fatto storico in Cristo che lo ha effettuato, che ha abolita la morte e prodotta in luce la vera vita mediante quell'Evangelo di cui Paolo è stato costituito l'apostolo fra le Genti e per il quale è prigione. Quel Vangelo c'è da custodirlo fedelmente come un deposito imitando non chi lo rinnega ma chi lo confessa.

Il quale ci ha salvati
Trattandosi qui della salvazione del mondo, il plurale ci ha da intendersi per lo meno di tutti i credenti. L'espressione generale ci ha salvati che abbraccia, la salvazione nel suo insieme è al passato perchè colla venuta di Cristo l'opera è virtualmente compiuta. Cfr. Efesini 2:1-10.
e ci ha chiamati con santa vocazione,
La salvazione è obiettivamente compiuta da Cristo, ma perchè l'uomo se l'appropri per fede è necessario che venga "chiamato" dalla parola del Vangelo resa efficace nel cuore dallo Spirito. La vocazione è santa perchè ci chiama a santificazione e ci addita come meta ultima la perfezione. Spesso Paolo si serve della locuzione "santi per vocazione" (κλητοι ἁγιοι) parlando dei cristiani, e 1Pietro 1:2 li dice "eletti... in santificazione di Spirito". Cfr. Romani 8.28-30.
non in considerazione delle nostre opere, ma secondo il proprio suo proponimento e secondo la grazia dataci in Cristo Gesù avanti i tempi eterni,
La salvazione con la conseguente vocazione ha, la sua ragione ultima nell'amor di Dio che n'è il movente: "Dio ha tanto amato il mondo ch'Egli ha dato il suo Figlio..." L'iniziativa non ne va cercata nell'uomo ("son cose che non son salite nel cuor dell'uomo" 1Corinzi 2) ma nella sovrana libertà di Dio, nel suo proprio proponimento che risale ai tempi eterni, cioè non alla antichità solamente, ma all'eternità. Non è determinata da alcun merito d'opere umane ma è frutto di grazia immeritata, gratuita, per l'uomo perduto. "Voi siete salvati per grazia, per mezzo della fede e ciò non è da voi, è il dono di Dio" Efesini 2:8. Secondo la grazia dataci torna a dire che Dio non ha agito in questo seguendo la norma, il criterio del merito delle opere; se si fosse regolato a quel modo, non ci sarebbe salvezza per alcun uomo; ma ha seguito gl'impulsi della grazia. E la grazia l'ha data avanti i tempi eterni, cioè destinata a coloro ch'egli ha preconosciuti come credenti ed eletti a salvazione. "A Dio son note ab eterno tutte l'opere sue" Atti 15:18. L'ha data in Cristo Gesù poichè Egli era ab eterno destinato a compiere l'espiazione dei peccati senza la quale non era moralmente possibile la salvazione.
La salvazione procede dunque non da iniziativa umana ma dal libero proponimento divino, non è dovuta a merito di opere umane ma alla grazia divina, non è cosa d'ieri ma risale alla eternità. Soltanto, il proponimento di Dio restava nascosto agli uomini e non entrava nel novero dei fatti concreti della storia. Di conosciuto, non c'era che l'annunzio profetico della venuta del Messia e dei tempi della grazia. Coll'Incarnazione la grazia è divenuta un fatto visibile e concreto.

10 ma ora manifestata mediante l'apparizione del Salvator nostro Cristo Gesù, il quale mentre ha abolita la morte, ha posta in luce la vita e l'incorruttibilità per mezzo dell'Evangelo.
Ora s'intende dell'epoca evangelica chiamata nei profeti "gli ultimi giorni", per opposizione ai tempi passati della lenta preparazione in cui il piano divino era un "misterio" di cui non si poteva avere che una vaga conoscenza. Cfr. Colossesi 1:26; Romani 16:25; Efesini 3:9. L'apparizione o epifania del Salvatore comprende qui la sua incarnazione, il suo ministerio pubblico, la sua morte espiatoria, la sua risurrezione ed ascensione. In 1Timoteo 6:14 si riferiva al suo glorioso ritorno. L'opera compiuta da Cristo colla sua venuta, è descritta come un'abolizione della morte e una chiara manifestazione della vita. Morte e vita sono spesso in Paolo come in Giovanni, come nell'insegnamento stesso del Signore, i due termini che caratterizzano lo stato di perdizione e lo stato di salvezza. La parola che traduciamo abolire (καταργεω) o annullare, vale propriamente: togliere ogni energia, ogni forza, ridurre all'impotenza. Cristo ha abolito la morte in tutti i sensi: la morte spirituale in quanto egli comunica a chi a lui si unisce una vita: nuova Romani 6; 8:2; Giovanni 3:36; 5:24. "Chi crede nel Figliuolo ha vita eterna..." "è passato dalla morte alla vita"; abolisce la morte corporale togliendole fin d'ora, pei redenti, il carattere di salario del peccato, di segno dell'ira di Dio sul peccatore. Per il figlio di Dio riconciliato col Padre la morte del corpo ha perduto i suoi terrori Ebrei 2:14, è un deporre l'abitacolo terreno fatto di carne e sangue e non adatto allo stato celeste, è un tornar a casa, un partir dal corpo per esser col Signore Giovanni 11:25; 2Corinzi 5:1-10. Colla gloriosa risurrezione la morte sarà vinta per sempre e inghiottita dalla vita vittoriosa 1Corinzi 15:26,55; Apocalisse 21:4. Nota Oosterzee: "Alla domanda: Come e per qual mezzo ha Cristo abolita la morte? si può rispondere accennando:
1° alla sua apparizione terrestre in cui ha rivelata la vera vita in tutto il suo splendore;
2° alla sua morte, mediante la quale ha espiato il peccato ch'è il dardo della morte ed ha adempiuta la legge ch'è la forza del peccato;
3° alla sua risurrezione per cui ha rotto i legami della morte e trionfato della potenza dello Scheôl;
4° alla sua mediazione nel cielo da cui manda incessantemente lo Spirito che dona la vera vita e libera dal timor della morte;
5° alla sua ultima venuta per la quale sbandirà, interamente la morte dalla creazione".
Mentre ha abolita la morte, Cristo ha prodotta in luce la vita e l'incorruttibilità. La parola greca che Diodati rende "produrre in luce" (σωτιζω) significa sempre "proiettar luce, illuminare", ma il senso varia alquanto secondo che l'atto porta sugli uomini o sulle cose. Illuminare un uomo vale metterlo in grado di vedere, far penetrar la luce della verità nella sua mente in modo che ella gli appaia evidente Luca 11:36; Giovanni 1:9; Efesini 1:18. "avendo gli occhi del cuore illuminati" Ebrei 6:4. Applicato alle cose, vale: proiettar su di esse una viva luce così da farle apparir quali sono, mettere in evidenza, produrre in luce 1Corinzi 4:5; Apocalisse 18:1; 21:23; 22:5. Cristo ha proiettato una viva luce sulla vita, ha mostrato in che consista la vera vita, la vita spirituale, ove risieda, come ne possiamo esser fatti partecipi. Aggiunge: e l'incorruttibilità ch'è parola diversa da quella che esprime l'immortalità. La vera vita non è disgiunta dalla incorruttibilità, perchè la vera vita non è più soggetta a dissolversi e a cessare. La vita è posta in luce mediante l'evangelo. Cristo è modello e fonte di vita; ma perchè sia conosciuto come tale dev'essere annunziato nel mondo colla predicazione della Buona Novella ch'è la testimonianza resa a Cristo via, verità e vita 1Giovanni 1:1-4. L'Antico Testamento non getta che una scarsa, luce sulla vera vita spirituale, sul mezzo di possederla, e soprattutto sul trionfo finale della vita sulla morte. Lo stato dei morti nell'oltretomba resta coperto di un velo. L'Evangelo addita l'essenza della vita, la via della vita, il trionfo glorioso della vita, prima nello spirito unito a Dio e poi anche nel corpo celeste che sarà l'organo dello spirito fatto perfetto.

11 A spargere l'Evangelo della vita, Paolo è stato dal Cristo glorioso stabilito apostolo. È questa la ragione per cui Timoteo non deve vergognarsi di lui poichè ciò implicherebbe un vergognarsi del messaggio col quale l'apostolo è, in certa guisa, identificato.
Per il quale
evangelo, e s'intende per 1o spargimento del quale nel mondo,
io sono stato stabilito banditore ed apostolo e dottore delle Genti.
La parola banditore designa in modo affatto generale l'ufficio del predicatore; la seconda: apostolo, indica più precisamente a quale categoria di predicatori Paolo fosse stato assegnato, a quella cioè dei testimoni speciali del Cristo risorto, dei fondatori della Chiesa. La terza accenna alla sfera particolare in cui Paolo era stato chiamato a compiere l'ufficio suo; la sfera della Gentilità. Sebbene il Tischendorf ed altri critici cancellino le parole delle genti perchè mancanti nel Sinaitico e nell'Alessandrino, non vediamo a ciò ragione sufficiente. Cfr. 1Timoteo 2:7. Fra le Genti, Paolo ha l'ufficio di proclamare la Buona Novella coll'autorità d'un inviato speciale del Cristo che gli è apparso. Più che questo egli come dottore ha la missione di spiegare il piano della salvazione, ch'è per tutti egualmente, che non è legata a condizioni di nazionalità e di riti, ma dipende dalla fede individuale che unisce tutti i credenti a Cristo e fa di loro un sol corpo, un sol popolo ch'è l'Israele secondo lo spirito. Della sapienza di Paolo dottore fanno fede i suoi scritti e segnatamente le epistole ai Calati, ai Romani, agli Efesini e Colossesi.

12 Per la qual cagione ancora, io soffro queste cose ma non me ne vergogno.
L'essere stato costituito banditore del Vangelo e l'aver cercato di compiere la sua, missione, ha esposto Paolo non solo a grandi fatiche e a disagi, ma ancora a gravi sofferenze. Al momento in cui scrive è incatenato come un malfattore in un carcere, ed il martirio è alle viste. Quasi tutti l'hanno abbandonato per timore o per vergogna; ma delle catene che porta per Cristo egli non arrossisce e com'egli non si vergogna dei mali trattamenti, così confida che Timoteo non si vergognerà del suo maestro maltrattato. La ragione per cui Paolo porta la fronte alta e serena nel carcere è la certezza che la fede da lui posta nel Dio della salvazione non sarà per renderlo confuso mai.
Perchè io so a chi ho creduto e son persuaso ch'egli è potente da custodire il mio deposito per quel giorno.
Stando al contesto, Colui ch'è l'oggetto della fede di Paolo è Dio, l'Iddio che salva per mezzo di Cristo e che adopera la sua potenza per condurre al suo compimento la salvazione degli eletti. cfr. 2Timoteo 1:8; 1Pietro 1:21; Romani 4:24. Credere a Dio (dativo, Atti 27:25) è prestar fede alla sua Parola, ch'è quella del Dio di perfezione, misericordioso e fedele. L'Iddio della salvazione Paolo ha imparato a conoscerlo oltrechè dall'A.T., dalla rivelazione diretta del Cristo confermata dalla sua lunga esperienza religiosa personale. Che cosa intende Paolo colle parole il mio deposito? Accenna egli ad un deposito a lui affidato da Dio, ovvero ad un deposito da lui affidato a Dio? Quelli che si dichiarano per la prima di queste alternative sono mossi dal fatto che in altri passi 2Timoteo 1:14; 1Timoteo 6:20 si tratta di un deposito affidato a Timoteo e vedono in quello affidato a Paolo chi lo Spirito Santo, chi la fede e la sua proclamazione, chi l'ufficio apostolico, chi ancora i convertiti da Paolo ecc. Ma il fatto che si parla altrove di deposito affidato a Timoteo, non toglie che Paolo possa parlare qui di un deposito da lui affidato a Dio. E infatti dice: il mio deposito e considera Dio come il custode di esso. Ora chi custodisce un deposito è colui al quale esso è affidato. Cfr. i due passi citati. Quale sarebbe questo deposito? Chi risponde: è la retribuzione gloriosa ch'egli aspetta da Cristo secondo 2Timoteo 4:8; chi dice: sono i convertiti per mezzo di lui. Curci crede che siano "quei meriti ch'egli, coi travagli dell'apostolato, si andava accumulando per l'altra vita". Altri infine, e con maggior ragione, secondo noi, vede nel deposito di Paolo custodito da Dio per quel giorno, cioè in vista del gran giorno della venuta di Cristo, l'anima stessa di Paolo da lui con fede rimessa nelle mani del Dio salvatore. Gli uomini potranno privarlo della libertà e della vita del corpo; ma non hanno il potere di perdere l'anima ch'è custodita dall'Onnipotente. "Il Signore dice egli più lungi, mi libererà da ogni opera malvagia e mi salverà nel suo regno celeste" 2Timoteo 4:18. "Coloro che soffrono secondo la volontà di Dio, scrive Pietro, affidino al fedel Creatore le loro anime praticando il bene" 1Pietro 4:9. E Gesù: "Non temiate di coloro che uccidono il corpo ma non possono uccider l'anima... Il Padre mio che me le ha date (le mie pecore) è maggior di tutti e niuno le può rapire di man del Padre mio" Matteo 10:28; Giovanni 10:29. È questa la fiducia che rende Paolo forte nei patimenti e tranquillo in faccia al martirio. Nota Calvino: "Se la nostra salvezza fosse unicamente in mano nostra, ella sarebbe del continuo esposta a pericoli. Ma ora è cosa buona ch'ella sia affidata ad un tal custode".

13 Rifiutare di prender la propria parte delle sofferenze connesse colla propagazione del Vangelo 2Timoteo 1:8 è un modo di vergognarsi di esso ma non è il solo. C'è un modo mascherato di vergognarsene, che consiste nell'adulterarlo, spogliandolo di tutto ciò che urta la sapienza umana. Paolo ha custodita fedelmente la verità ricevuta da Cristo, l'ha esposta, l'ha difesa contro gli avversarii, l'ha insegnata a Timoteo. Segua egli ora fedelmente l'insegnamento impartitogli e lo prenda per modello e per norma del proprio.
Ritieni il modello delle sane parole che udisti da me, nella fede e nell'amore ch'è in Cristo Gesù.
Per la sostanza ed anche fino a un certo punto per la forma, l'insegnamento di Paolo, il dottore apostolico delle Genti, ha da servir di norma a Timoteo. Dice lett. abbi, cioè tieni dinanzi a te, per modello e guida, quello che ti ho fornito colle sane parole che hai udite da me durante i lunghi anni in cui sei stato mio discepolo e collaboratore. Chiama sane le parole della dottrina evangelica per la loro efficacia rinnovatrice e santificante. Altrove adopera le. espressioni: "sana dottrina", "sane parole del Signor Gesù", "dottrina o verità ch'è secondo pietà" 2Timoteo 4:3; 1Timoteo 1:10; 6:3; Tito 1:9; 2:1. Che non si tratti qui di un sunto scritto della dottrina di Paolo che Timoteo dovesse tener con se, basta a provarlo la parola: "che udisti da me". Questo non toglie che Timoteo conservasse come tesori preziosi e studiasse le epistole scritte dal suo maestro e che gli ricordavano l'insegnamento orale più ampio da lui udito. L'ambiente morale e spirituale in cui Timoteo potrà conservare fedelmente la dottrina apostolica è indicato dalle parole nella fede e nell'amore ch'è in Cristo Gesù. Una conservazione meramente intellettuale della verità, non produce che una morta ortodossia. Solo i cuori credenti e compenetrati dell'amore che ha la sua sorgente in Cristo e si alimenta dell'amor di Lui per noi, sono atti a conservare e a spandere la verità evangelica. La vita religiosa è l'atmosfera in cui si mantiene inalterata la verità religiosa.

14 Custodisci il buon deposito per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi.
Il buon deposito che Timoteo deve custodire, è quello della verità cristiana affidatogli da Dio per mezzo dell'apostolo Paolo. A ben custodirla Timoteo sarà abilitato dallo Spirito Santo ch'egli ha ricevuto in misura abbondante e che dimora in lui come d'altronde in tutti i credenti che sono templi dello Spirito. Da lui deve lasciarsi guidare e reggere, non contristandolo né spegnendolo. Egli è Spirito di luce e darà piena conoscenza della verità, intendimento per discernerla dall'errore, sapienza nell'applicarla e difenderla. È Spirito di forza e darà il coraggio necessario. È Spirito di vita e ravviverà la fede e l'amore nel cuore del giovane araldo del Vangelo. Scienza, potenza di raziocinio, forza di organizzazione ecclesiastica non valgono, senza lo Spirito, a conservare nei cuori è nelle chiese la Verità divina.

15 Le recenti esperienze fatte da Paolo prestano un carattere speciale di attualità all'esortazione rivolta a Timoteo di non vergognarsi del Vangelo nè dell'apostolo che soffre per esso. Parecchi collaboratori l'hanno abbandonato; il dovere di restar saldi, imitando i fedeli e devoti, è tanto maggiore in quelli che rimangono.
Tu sai questo che si sono ritratti da me tutti quelli che sono in Asia, fra i quali sono Figello ed Ermogene.
L'Asia qui nominata è l'Asia proconsolare, l'Asia cistaurina, cioè la parte occidentale dell'Asia Minore. Il tutti ha senso relativo e si applica non a tutti i cristiani asiatici, ma a un gruppo di cristiani, forse di collaboratori, dai quali Paolo aveva aspettato assistenza nel suo processo, ma che per timore di gravi conseguenze si erano ritratti da lui. Non ci, è detto quando, nè dove il fatto era avvenuto. Weiss ha supposto che quei cristiani fossero stati invitati da Paolo ad accompagnarlo dall'Asia fino in Roma ove si recavano i suoi nemici più accaniti e fra gli altri il fabbro Alessandro 2Timoteo 4:14. Ma si spiega male in questo caso la espressione: tu sai questo che si adopera parlando di cosa probabilmente ma non certamente nota alla persona cui si scrive. Se il fatto fosse succeduto in Asia dove risiedeva Timoteo non era necessario informarnelo. È dunque più probabile che si tratti di cristiani asiatici residenti temporaneamente in Roma, che hanno avuto paura di compromettersi assistendo Paolo carcerato, che l'hanno abbandonato alla sua sorte e si trovano attualmente in Asia; ragione per cui Timoteo ha potuto aver notizia della lor condotta. Cfr. 2Timoteo 4:10-17. Fra questi sono nominati Figello ed Ermogene a noi ignoti, ma che Timoteo conosceva e la cui defezione era riuscita particolarmente dolorosa a Paolo. Forse erano d'Efeso.

16 Faccia il Signore misericordia alla famiglia, di Onesiforo perchè molte volte egli mi ha recato refrigerio e non si è vergognato della mia catena, anzi trovandosi a Roma egli mi ha cercato con ogni premura e mi ha trovato. Gli faccia il Signore trovar misericordia presso al Signore, in quel giorno. Quanti servizii egli abbia reso in Efeso tu lo conosci meglio [di me].
Mentre la condotta di Figello e compagni aveva amareggiato l'animo di Paolo, quella di Onesiforo che Timoteo ben conosceva e la cui famiglia trovavasi in Efeso 2Timoteo 4:19, l'aveva ricreato e consolato. Ne parla perciò con animo commosso e riconoscente ponendone in rilievo l'affettuosa e coraggiosa devozione. Sulla di lui famiglia invoca la misericordia di Dio che risponderà ai loro bisogni spirituali e temporali. Il di lei capo aveva soventi volte confortato l'animo travagliato dell'apostolo, e quel conforto era stato un refrigerio simile a quello che una fresca bevanda reca al corpo in tempi di canicola. Trovandosi per i suoi affari in Roma; Onesiforo sapendo che Paolo vi era carcerato, aveva cercato di lui e senza vergognarsi della catena che lo legava ai suoi due custodi militari - catena che non era quella del malfattore - l'aveva visitato e consolato. La diligenza che Onesiforo avea dovuta spiegare per trovar Paolo sembra indicare che non si era più ai tempi della prima cattività quando Paolo guardato da un soldato poteva ricevere liberamente in una casa da lui tolta a fitto tutti coloro che venivano da lui Atti 28:16,30. La sua casa allora doveva esser ben nota ai cristiani.

18 La ripetizione del nome Signore in 2Timoteo 1:18 sorprende ed è stata variamente interpretata. È più conforme al pensiero del N. T. il parafrasarla così: Onesiforo mi ha trovato; gli conceda il Signor Gesù, per la sua efficace intercessione, di trovar misericordia presso a Dio Padre nel gran giorno delle retribuzioni. Egli ha mostrato la sua fede esercitando la misericordia verso un servitore di Cristo, possa egli ottener da Dio una misericordiosa e larga ricompensa. Il voto di Paolo è conforme alla parola di Giacomo: "Il giudicio è senza misericordia verso chi non ha praticata la misericordia; la misericordia trionfa del giudicio" 2Timoteo 2:13. Si confrontino le parole di Cristo sulla ricompensa del bicchier d'acqua fresca dato a un suo discepolo Matteo 10:42 e quelle di Matteo 25:34-40. Il voto è l'espressione della certezza che così sarà. Per Alessandro Paolo dice: "Gli farà il Signore la retribuzione secondo le sue opere" 2Timoteo 4:14. Si è voluto fondare sul voto di Paolo la legittimità delle preghiere per i morti; ma anzitutto non risulta neanche in modo certo che Onesiforo fosse morto. È vero che Paolo parla di lui al passato, che implora misericordia sulla sua famiglia e fa salutare la famiglia 2Timoteo 4:19 senza far cenno di lui personalmente; ma tutte, ciò non costituisce che una probabilità, non una certezza, e lascia l'adito aperto alla supposizione che Onesiforo fosse compreso nella sua "casa" o carcerato, o assente da Efeso, od anche momentaneamente traviato dalla verità. Per quanto la preghiera per i morti non abbia in sè nulla di idolatrico od anticristiano, sta in fatto ch'essa non trova appoggio positivo nè nell'Antico nè nel Nuovo Testamento.
Dopo aver ricordato i servizii a lui resi da Onesifero in Roma, l'apostolo ricorda anche quelli resi ai cristiani in Efeso e che Timoteo conosce perfettamente. Sebbene sia adoperato il verbo diaconein non se ne deve inferire che Onesiforo rivestisse l'ufficio di diacono. Poteva servire al Signore nella persona dei suoi discepoli, all'infuori di ogni carica ecclesiastica.

AMMAESTRAMENTI
1. Torna spesso nell'insegnamento di Gesù la esortazione a, non vergognarsi di Lui nè delle sue parole dinanzi al mondo. Paolo la rivolge qui a un ministro; il che ci mostra che nessuno per quanto elevata la sua posizione, o grandi i suoi doni e privilegi, può dirsi a riparo della tentazione di vergognarsi in un modo o nell'altro dell'Evangelo. La rivolge ad un giovane e questo può servire a mettere in guardia i giovani contro un pericolo più temibile nell'età in cui, se grande è l'entusiasmo, l'esperienza è debole ancora e si è molto sensibili alle beffe ed all'avversione del mondo. La rivolge a un giovane di carattere un po' timido perchè siffatte nature sono più esposte di altre a lasciarsi scoraggiare e spaventare dalle circostanze o dalle persone contrarie. I modi in cui uno si vergogna dell'Evangelo sono molti. Lo si fa non solo quando come Pietro si rinnega Gesù, ma lo si fa quando si lascia a poco a poco cadere la fiamma dello zelo nel confessare e spargere la Verità perchè l'animo è snervato dal dubbio, od invaso dal pessimismo scoraggiato e langue l'amore per il prossimo. Lo si fa quando si mutila l'Evangelo tacendo o lasciando nell'ombra le dottrine e i precetti che non piacciono al mondo; lo si fa quando si rifiuta di sopportare quelle sofferenze o quelle privazioni che la causa di Cristo richiederebbe da noi; lo si fa quando si abbandonano e si lasciano soli a combattere ed a soffrire i campioni del Vangelo. Da una tale condotta restano amareggiati i banditori del Vangelo, scossi i neofiti nella loro fede, mentre gli estranei non sono guadagnati dall'attitudine incerta, incoerente, paurosa dei timidi, e l'audacia degli avversarii n'è accresciuta. Eppure non mancano le ragioni per non vergognarsi dell'Evangelo di Cristo. Esso procede dall'eterno proposito dell'amor di Dio; esso poggia sull'apparizione storica del Cristo feconda di ineffabili benefizii per l'umanità; esso reca all'anima colpevole e impotente a vincere il male, una salvazione gratuita, che le dà la pace, che l'avvia sui sentieri d'una vita santa, vincitrice della morte ed incorruttibile; esso è stato proclamato da Cristo stesso e dai suoi apostoli che l'hanno suggellato in molti casi col martirio. Chi ha sperimentata la potenza salutare del Vangelo per la propria salvazione, chi ha compreso di quali benedizioni esso è la fonte per l'umanità, come potrebbe vergognarsene?
2. Quando si studiano le idee che il paganesimo aveva della morte e dell'al di là, i sentimenti e le speranze che in faccia all'avvenire albergavano nei cuori pagani così come sono espressi dalla poesia o dalle descrizioni pervenuteci degli ultimi istanti di morti illustri; - quando si studiano le idee e le speranze del Giudaismo sullo stesso argomento, e poi si confrontano le idee e le speranze cristiane relative alla morte e all'aldilà con quelle dei giudei e dei pagani, non si può fare a meno di osservare un gran contrasto. Quello ch'era temuto è or desiderato, quello ch'era tenebroso è ora illuminato. Nei canti dei cristiani, sul loro letto di morte o dovunque muoiano, sui loro epitaffi, nelle loro intime confessioni, la morte è vinta e la vita incorruttibile è posta in luce. Cristo ha abolito la morte e posta in luce la vita e l'incorruttibilità mediante l'evangelo".
3. Per l'Evangelo di cui è banditore al mondo pagano, Paolo soffre fatiche e travagli e pericoli 2Corinzi 11; soffre il carcere per anni come se fosse un malfattore, soffre l'abbandono di molti che gli sono stati collaboratori, si appresta a soffrire il martirio; eppure è sereno e calmo, senz'astio verso i nemici, senza turbamento in faccia alla morte, anzi felice di una gloriosa speranza 2Timoteo 4:8. Qual'è il segreto di una tal vittoria morale? Il segreto sta nella sua fede: "Io so a chi ho creduto". La sua fede gli ha dato la pace con Dio Romani 5:1, gli ha dato l'ispirazione di una vita consacrata attivamente a Dio Galati 2:20 è gli dà ora la serenità nel carcere, mentre aspetta il martirio. Ma quali sono i caratteri di questa fede di Paolo? Essa è fede personale: io so... io ho creduto. Non è fede tradizionale, di famiglia o di tribù, ma fede del cuore, della mente e della coscienza di Paolo. È fede in una persona vivente "io so in chi ho creduto", non in una chiesa, in una formola di dottrina, neppure nella Bibbia ch'è mezzo per creare la fede; ma è fede nel Dio vivente che l'ha salvato per mezzo di Cristo, è fede che consiste nell'affidare al Dio salvatore, al Dio fedele e onnipotente, il tesoro più prezioso che abbiamo, quello dell'anima. È fede confermata dall'esperienza: "Io so..." Paolo sa in chi ha creduto per via di riflessione, sa per mezzo delle Scritture che gli fanno conoscer Dio e le sue perfezioni, sa per mezzo della storia del suo popolo, ma soprattutto sa per esperienza personale, ormai svariata e lunga, qual'è la bontà, la fedeltà, la potenza infinita del suo Dio. E non v'è certezza più invincibile di quella che si fonda sulla esperienza personale. La fede di Paolo è stata quella di milioni di credenti; dev'essere e può esser la nostra.
4. Ogni cristiano ed in ispecie ogni ministro di Cristo ha ricevuto qual deposito ch'egli deve custodire fedelmente la verità evangelica. La norma della verità religiosa è l'insegnamento di Cristo e quello dei suoi apostoli. Per disposizione provvidenziale di Dio quell'insegnamento è stato consegnato in iscritto nei libri del Nuovo Testamento. Ogni dottrina che si allontana da cotesto tipo o modello va tenuta per sospetta e respinta. Ma la storia dimostra che vi può essere una ortodossia formale e questa non custodisce il deposito come vuol l'apostolo. L'abitazione dello Spirito nei cristiani, una fede viva, un amor sincero, sono le condizioni 2Timoteo 1:13-14 per poter custodire il deposito della verità cristiana. Per serbarla pura e trasmetterla inalterata essa ha bisogno di recipienti deboli si ma viventi e santi. È parola di vita che non si conserva in cuori morti. Ella crea la vita ed è la vita che la conserva. Dove langue la vita, la verità si altera, si corrompe, si spegne. Potranno essere mirabili le organizzazioni esterne, grandiose le apparenze, venerabili le tradizioni, ma dove non è lo Spirito creator di fede e di amore, ivi non si conserva il sacro deposito della, verità. E quel ch'è vero delle collettività ecclesiastiche, è vero di ogni singolo ministro o credente.
5. La vita ci pone a contatto con moltissime persone; e queste relazioni creano uno scambio continuo di influenze buone o cattive, di gioie o di dolori. Più è intimo il contatto delle anime e maggiori saranno le influenze e più profonde altresì le ferite recate dagli abbandoni e le consolazioni ministrate dalla devozione. Gesù ebbe a patire l'abbandono non solo delle masse ma dei suoi discepoli, e perfino il tradimento d'un apostolo; ma trovò pur refrigerio nella affettuosa devozione di altri. Così Paolo è abbandonato da Figello, da Ermogene e da tanti altri, ma l'affetto devoto d'un Onesiforo, d'un Luca, d'un Timoteo e di tanti altri lo rinfranca. Se siamo chiamati a soffrire per via degli uni, non dimentichiamo il conforto che riceviamo da altri e cerchiamo di recarne a nostra volta ai nostri simili e in ispecie a chi soffre per Cristo.
6. L'uso che Paolo fa del proprio esempio, di quello d'Onesiforo ed anche della condotta biasimevole di Figello e compagni per incuorare Timoteo a non vergognarsi del Vangelo, ci mostra di quale utilità pratica possano essere per la vita cristiana, i fatti della storia della Chiesa, le biografie dei cristiani fedeli, dei martiri di (Gesù, e perfino le notizie che sull'opera di Dio nel mondo e sugli operai forniscono i giornali cristiani. Dagli uni s'impara il bene e vi si è spronati; dagli altri s'impareranno gli scogli da evitare e la necessità della misericordia di Dio che perdona e rinsalda.
7. Se anche si ammette che Onesiforo fosse morto quando Paolo faceva per lui il voto di 2Timoteo 1:18, è questa una base troppo esigua perchè vi si fondi sopra il dovere di pregare per i trapassati. Il silenzio del N. Testamento e delle Scritture in genere sull'argomento, c'insegna che non abbiamo il diritto di affermare nulla di positivo in proposito. "D'altra parte, nota Oosterzee, si dimentica spesso che il Vangelo non ci proibisce in nessun luogo, se il cuore vi ci sospinge, di accompagnare i nostri dipartiti coi nostri voti e colle nostre preghiere. Ad ogni modo è bene far la distinzione tra l'idea cristiana che sta alla base di cotali intimi bisogni, e la forma che hanno assunto in tempi posteriori i riti e le pratiche ecclesiastiche".