Giovanni 12
CAPO 12 - ANALISI
1. Il convito in casa di Simone il lebbroso Betania, e ciò che ivi accadde. Non è possibile calcolare esattamente il tempo che trascorse fra la risurrezione di Lazzaro e il ritorno del Signore a Betania, quando egli salì in Gerusalemme per l'ultima Pasqua, imperocché non si può fissare la data di quel miracolo. La festa della Dedicazione ricorreva nel nono mese "dicembre"; quella della Pasqua nel primo "Aprile". Fra queste due feste, il Signore andò a Betabara; di là tornò a Betania, per risuscitarvi Lazzaro, poi si ritirò in Efraim, da dove tornò in Perea; quindi, attraversato il Giordano a Gerico, arrivò in Betania sei giorni prima della Pasqua. Dai molti fatti del ministerio di Gesù in Perea narrati in Matteo 20; Marco 10; Luca 18-19, par probabile che; dopo un breve soggiorno in Efraim, egli passasse il Giordano verso la fine di gennaio, e continuasse l'opera sua in Perea durante i mesi di febbraio e marzo. Al suo arrivo in Betania fu fatto un convito in onor suo nella casa di Simone il Lebbroso. È probabile che avesse luogo dopo il tramonto del sabato che Gesù passò in quel villaggio, nella sera, quando era già cominciato il primo giorno della settimana. Lazzaro Marta e Maria eran tutti presenti, e nel corso della cena, quest'ultima unse la testa ed i piedi del Signore con unguento prezioso. La qual cosa avendo dato luogo ad una ipocrita rimostranza di Giuda Iscariot, il Signore rispose lodando la condotta di Maria, è dichiarando che, senza saperlo, essa lo aveva unto per la sua sepoltura, e che di quell'atto pietoso la memoria non verrebbe mai meno Giovanni 12:1-8.
2. Delle turbe attratte dalla curiosità vengono da Gerusalemme, per vedere non solo Gesù, ma anche Lazzaro. In quest'ultimo, quella gente contemplava la vivente testimonianza del miracolo di cui erasi tanto udito parlare, e ciò indusse molti a credere in Gesù. Saputo il fatto, i sacerdoti risolvono di far morire non solo Gesù, ma ancora Lazzaro Giovanni 12:9-11.
3. Ingresso trionfale di Cristo in Gerusalemme in mezzo agli osanna della moltitudine. Il fatto ricordato nei seguenti versetti accadde il giorno dopo il sabato, quando il Signore entrò in Gerusalemme, e ne parlano con maggiori o minori particolari tutti e quattro gli evangelisti - Vedi riferenze. I punti principali ricordati da Giovanni sono: le acclamazioni giulive della moltitudine che uscì da Gerusalemme incontro a Gesù Giovanni 12:13, e si unì ai suoi compagni di viaggio Giovanni 12:17, per tagliare rami di palme e spargerli sulla via; l'adempimento della profezia di Zaccaria 19:9, relativamente all'ingresso in Gerusalemme del Re di Sion, "montato sopra un asino, anzi sopra un puledro d'infra le asine"; la, dichiarazione dell'evangelista che quando accaddero quelle cose i discepoli non ne intesero il senso, e capirono la profezia solo quando, dopo l'ascensione di Cristo, lo Spirito illuminò le loro tenebre; e finalmente la rabbia dei Farisei per questa nuova prova della popolarità di Gesù Giovanni 12:12-19.
4. Omaggio di alcuni Greci a Gesù, e discorso che egli pronunziò in quella occasione. Di queste persone l'Evangelista poco ci dice; egli non ne parla che a cagione del discorso cui diede luogo la loro domanda di veder Gesù. Che non fossero Giudei nati in terra greca, ma veri Greci, risulta evidente dal fatto che sono chiamati ma è certo pure che erano divenuti proseliti alla fede giudaica, poiché in Giovanni 12:20 leggiamo che "salivano per adorare nella festa". Avendo molto udito parlar di Gesù, era naturale che desiderassero vederlo. Si rivolsero a questo scopo a Filippo, il quale ne parlò ad Andrea, poi tutti e due lo dissero a Gesù. Benché l'Evangelista non ne dica nulla, è probabile che il Signore li accolse come i rappresentanti del Gentilesimo, al quale essi appartenevano, come le primizie di una ricchissima raccolta, che il mondo, in tutte le sue regioni, stava per dargli; ed unendo questo fatto con quello della vicina sua morte, Gesù esclamò: "L'ora è venuta che il Figliuol dell'uomo ha da esser glorificato". In quell'istante di esaltazione sublime, un cambiamento repente si produce nello spirito del Redentore: turbato ed afflitto, egli si volge al suo Padre celeste e questi immediatamente, in modo da essere udito, gli risponde; dopo di che il Signore continua il suo discorso Giovanni 12:20-36.
5. Lamento dell'Evangelista sulla incredulità dei Giudei, e conclusione finale del pubblico insegnamento del Signore. Nella prima parte di questa sezione, è l'Evangelista stesso che piange sulla durezza di cuore del popolo, il quale si rifiutava a credere, quantunque Gesù avesse operato nel mezzo di esso tanti segni e prodigi, che sarebbero bastati a convincere i più ostinati. Quella durezza di cuore e quella cecità erano d'altronde state predette da Isaia, e Dio aveva permesso che vi cadesse il popolo, per castigo della ostinata sua incredulità. Di più l'Evangelista condanna la condotta di non pochi fra i rettori, i quali, benché persuasi nel loro cuore che Gesù era il Messia, però non ardivano confessarlo pubblicamente, per tema di venire scacciati dalla sinagoga, per amore del suo nome. Essi cercavan gloria dai loro simili, non la gloria di Dio. L'ultima parte di questa sezione ci presenta il sunto e la conclusione dell'insegnamento del Signore, perché Giovanni non ci dice nulla di quanto Gesù fece e disse durante la settimana della sua passione Giovanni 12:37-50.

Giovanni 12:1-8. IL CONVITO IN CASA DI SIMONE IL LEBBROSO IN BETANIA. MARIA UNGE GESÙ CON UNGUENTO PREZIOSO, IL CHE VIEN BIASIMATO, COME UNO SPRECO INUTILE, DA GIUDA ISCARIOT, MA LODATO DA CRISTO, COME UNA PREPARAZIONE CHE NON SARÀ MAI DIMENTICATA, PER LA SUA MORTE Matteo 26:6-13; Marco 14:3-9

Per la esposizione, Vedi Marco 14:3-9.

Giovanni 12:9-11. DELLE TURBE ATTRATTE DALLA CURIOSITÀ VENGONO DA GERUSALEMME PER VEDERE, NON SOLO GESÙ MA ANCHE LAZZARO

9. Una gran moltitudine dunque dei Giudei seppe ch'egli era quivi; e vennero, non sol per Gesù, ma ancora per veder Lazzaro, il quale egli avea suscitato dai morti.
Alcuni dei critici più recenti vorrebbero tradurre colle parole: "il comun popolo d'infra i Giudei", distinguendolo dalla classe più aristocratica; ma qui, come sempre in questo Vangelo, i "Giudei" non sono il comun popolo, bensì i rettori e le persone di rango, i quali, fino a quel momento, si erano dimostrati nemici accaniti di Gesù. Dai viaggiatori che erano giunti in Gerusalemme il giorno in i il Signore si fermò in. Betania, e fors'anche dalle spie del Sinedrio presto si venne a sapere che la venuta stia alla festa non era più dubbia poiché egli già era giunto a Betania. Saputo questo, molti dei Giudei di Gerusalemme partirono subito per quel villaggio, per vedervi Gesù e Lazzaro al tempo stesso. A ciò li spingeva la curiosità; ma i loro sentimenti verso Gesù rimasero immutati.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:43-45; Atti 3:10-11; 4:14

10 10. or i principali sacerdoti preser consiglio d'uccidere eziandio Lazzaro;
Eran costoro i capi delle varie mute, che servivano a turno nel tempio, e appartenevano quasi tutti ai Sadducei. La risurrezione di Lazzaro, avendo provato falsa la loro dottrina che negava la risurrezione, essi si irritarono contro a Gesù più ancora dei Farisei, e consigliarono di far morire anche Lazzaro; ma questa loro proposta non sembra essere stata accettata. È difficile concepire una prova più grande della corruzione e della malvagità incorreggibile del cuore umano, di quella che ci vien data in questo versetto. I principali sacerdoti non potevano né negare, né attenuare il fatto della risurrezione di Lazzaro. La sua testimonianza contro la loro incredulità era irresistibile, epperciò vogliono chiudergli la bocca, mettendolo a morte, benché non avesse fatto loro male alcuno, e nemmanco fosse stato fin a quell'ora un seguace molto in vista di Gesù.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:47-53,57; Genesi 4:4-10; Esodo 10:3; Giobbe 15:25-26; 40:8-9; Ecclesiaste 9:3
Daniele 5:21-23; Matteo 2:3-8,16; Luca 16:31

11 11. Perciocché per esso molti dei Giudei andavano, e credevano in Gesù.
Ci vien data qui un'altra ragione della rabbia della gerarchia giudaica. Non solo era stata dimostrata falsa la loro negazione della risurrezione; ma una grande moltitudine degli stessi loro aderenti li abbandonava e credeva in Gesù, a cagione di quel grande suo miracolo, Vedi Giovanni 12:19. Questo versetto rivela l'effetto immenso prodotto dalla risurrezione di Lazzaro. In ogni secolo, quando la verità di Dio viene annunziata in qualche paese, la gente, ad onta di tutti i castighi minacciati per impedirlo, giudicherà sempre colla propria testa. "Quando tiranni ecclesiastici bruciano i martiri, e distruggono le Bibbie, e riducono al silenzio i predicatori, dimenticano che v'ha una cosa che non possono fare: arrestare cioè i pensieri segreti del popolo. Quando ci vien detto qui che 'molti credevano in Gesù', non vuol già dire che fossero giunti alla vera fede del cuore, ma che il loro intelletto era convinto che Gesù doveva essere il Messia. Tale era il pensiero di migliaia di Giudei prima della crocifissione, della risurrezione e della Pentecoste: erano convinti, ma non convertiti" (Ryle).

PASSI PARALLELI
Giovanni 12:18; 11:45,48; 15:18-25; Atti 13:45; Giacomo 3:14-16

12 Giovanni 12:12-19. INGRESSO TRIONFALE DI GESÙ IN GERUSALEMME IL PRIMO GIORNO DELLA SETTIMANA, IN MEZZO AGLI OSANNA DELLA MOLTITUDINE Matteo 21:1-9; Marco 11:1-11; Luca 19:29-40

Per la esposizione Vedi Luca 19:29-40.

20 Giovanni 12:20-36. L'OMAGGIO RESO A GESÙ, DA CERTI GRECI CHE ERANO SALITI ALLA FESTA; IL DISCORSO CHE EGLI PRONUNZIÒ IN TALE OCCASIONE, E LA SCENA MISTERIOSA CHE SEGUÌ

20. Or v'erano certi Greci, di quelli che salivano per adorare nella festa.
I Giudei della che erano nati o aveano stabilita la loro dimora nei paesi gentili, venivan detti "Ellenistai". Quelli di cui vien qui parlato, non appartenevano a quella categoria; erano veri Gentili di nascita, che l'evangelista, seguendo l'uso comune del popolo giudeo, chiama "Ellenes". Ma, benché nati gentili, erano divenuti proseliti alla fede giudaica, poiché il loro scopo, nel salire a Gerusalemme, era di "adorare nella festa". Non sappiamo se provenissero dall'Egitto, dall'Asia Minore, o da Cipro, perché i Giudei chiamavano Greci tutti quelli che non appartenevano al loro proprio popolo, perfino gli abitanti di quella parte della Siria che confinava colla Palestina settentrionale, Vedi Marco 7:24,26.

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:35; Marco 7:26; Atti 14:1; 16:1; 17:4; 20:21; 21:28; Romani 1:16; 10:12
Galati 2:3; 3:28; Colossesi 3:11
1Re 8:41-43; Isaia 11:10; 60:2-14; 66:19-21; Atti 8:27

21 21. Costoro adunque, accostatisi a Filippo, ch'era di Betsaida, città della Galilea, lo pregarono, dicendo: Signore, noi vorremmo veder Gesù.
Che questi Greci fossero dell'ultima delle regioni più sopra ricordate, par molto probabile dal fatto che rivolgono la loro domanda all'apostolo Filippo, la cui dimora era in Betsaida, a breve distanza dalla frontiera siriaca, e che forse già conoscevano alquanto. Come la donna Sirofenice che dimorava poco oltre la frontiera N. E. della Palestina, questi pure dovevano avere udito parlar molto di Gesù durante il suo ministerio in Galilea, e il fermento suscitato dal miracolo di Betania, in tutta la popolazione di Gerusalemme, non poteva che stimolare la loro curiosità, e far loro desiderare di conoscere da vicino un uomo così notevole. Pero, doveva esserci in loro qualcosa di più che una mera curiosità, poiché questa avrebbero potuto soddisfarla ogni giorno nel tempio o nella strada, e ben sappiamo che il Signore non si nascose durante la settimana di Pasqua. Desideravano evidentemente udire la sua dottrina dalle proprie sue labbra. Gli eventi, i discorsi di quei giorni devono aver fatto nascere molti e strani pensieri nella mente di quei proseliti, i quali erano divenuti adoratori del vero Dio in seguito a convenzioni personali, e non a motivo della fede dei loro antenati; e, con cuori pieni di maraviglia per le grandi cose già udite, essi chiedono di poter parlare personalmente con Gesù.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:43-47; 6:5-7; 14:8-9
Giovanni 1:36-39; 6:40; Matteo 2:2; 8:9-12; 12:19-21; 15:22-28; Luca 19:2-4
Romani 15:8-12

22 22. Filippo venne, e lo disse ad Andrea; e di nuovo Andrea e Filippo lo dissero a Gesù.
Andrea era egli pure di Betsaida, conterraneo di Filippo e suo intimo amico, perciò Filippo si volge a lui per averne un consiglio. Di più Andrea apparteneva al cerchio più intimo dei discepoli, e poteva dirgli se una tale domanda riuscirebbe accettevole al Maestro. Dopo averne conferito insieme, entrambi vanno a Gesù. Forse, Giudei quali essi erano, temevano che Gesù non fosse disposto ad accordare un così gran privilegio a dei Gentili, epperciò ebbero un momento di esitazione; ma poi si ricordarono con quanta bontà il signore aveva accolto la donna Sirofenice e il centurione romano, e presero animo a parlarne.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:40-41; 6:8
Matteo 10:5; Marco 10:13-14; Luca 9:49-50

23 23. E Gesù rispose loro, dicendo:
L'evangelista non dice se Gesù accordasse o no a quei Greci la loro domanda di una udienza, e non pochi critici eminenti ne dubitano, considerando la risposta di Gesù come indirizzata ai dodici discepoli solamente. Ma il supporre un rifiuto per parte, di Gesù ad una simile domanda è in contraddizione con il carattere di colui che disse: "Non caccerò fuori colui che viene a me" Giovanni 6:37, e di più toglie a questo racconto tutto il suo significato. È chiaro che Giovanni ci riferisce questo incidente come spiegazione del racconto che segue "Nella storia non è l'esterno che importa a lui, bensì la sostanza morale dei fatti. Quella sostanza è qui l'impressione di Gesù, e il discorso che la rivela" (Luthardt citato da Godet). L'ora è venuta, che il Figliuol dell'uomo ha da esser glorificato. Isaia, 700 anni prima di Cristo, aveva espressamente annunziato che il regno del Messia non si sarebbe limitato al popolo d'Israele, ma si sarebbe esteso pure ai Gentili. Egli doveva "recare fuori giudicio alle genti", ed essere "per luce delle genti" Isaia 42:1,6. La domanda di questi Greci richiama tali profezie ed altre ancora alla mente di Gesù; egli vede giunta l'ora del loro adempimento, e della demolizione della "parete di mezzo, che faceva la chiusura", fra i Gentili e la repubblica d'Israele Efesini 2:14. La glorificazione di cui qui parla il Signore è la sua morte in sulla croce, mediante la quale egli doveva innalzarsi a "quella gloria che Egli aveva avuta appo il Padre, avanti che il mondo fosse" Giovanni 17:5, e giungere al possesso ed all'esercizio di quella potenza di compiere l'opera sua nella sua universalità, che era ora limitata dalla terrestre sua condizione, ed in virtù della quale egli "trarrà tutti gli uomini a sé Giovanni 12:32, ed avrà un giorno "per eredità le genti, e i confini della terra per la sua possessione" Salmi 2:8. Gesù si dà qui il suo titolo favorito di "Figliuol dell'uomo", che indica la sua unione coll'uomo, e l'interesse che porta al nostro bene, anziché quello di Figliuol di Dio. "Fino a quel momento egli era stato umile e sprezzato; ma si avvicinava il tempo in cui sarebbe esaltato come uomo, e riceverebbe la gloria dovuta al divino mediatore. Questa gloria ci vien descritta da Isaia 53:10-12, e da Paolo Filippesi 2:9-11.

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:31-32; 17:1-5,9-10; Isaia 49:5-6; 53:10-12; 55:5; 60:9; Matteo 25:31
1Pietro 2:9-10

24 24. In verità, in verità, io vi dico, che, se il granel del frumento caduto in terra, non muore, riman solo; ma, Se muore, produce molto frutto.
Con la formula di affermazione solenne, mediante la quale soleva chiamar l'attenzione sopra qualche verità di importanza speciale, il Signore entra più appieno nell'argomento della sua glorificazione per la morte. In questo versetto egli lo fa per mezzo dell'analogia fra il mondo fisico ed il mondo morale, in entrambi i quali una vita più rigogliosa scaturisce dalla morte; nel versetto seguente lo farà facendo notare che nella vita dei suoi discepoli la gloria vien sempre dopo il sacrificio. L'illustrazione contenuta in questo versetto si fonda sul fatto naturale ben conosciuto, che il chicco di grano, benché contenga in sé il germe ella vita, riman solo ed affatto sterile se non cade nella terra, vi si dissolve e muore. Solo quando ciò avvenga, il germe vitale si sveglia, si scompongono gli involucri che lo nascondono, e quel mero chicco di grano, colla sua morte, dà vita alla pianticella, allo stelo, alla spiga. La sua morte adunque è vera vita, perché sprigiona la potenza vitale rinchiusa nel suo seno, e questa potenza vitale, moltiplicata in nuove generazioni di piante, coprirà in poco tempo un intero paese di abbondanti raccolte. Godet suggerisce che questa figura era tanto più appropriata alla circostanza che, nei misteri greci, il chicco di grano aveva una parte importante. Però, dobbiamo ricordarci che il grano non muore interamente; muore l'involucro esterno, affinché il germe di vita, sotto di esso nascosto, sorga con nuove bellezze e produca molti grani al posto di un solo. Tale è la legge del mondo naturale, e Cristo c'insegna qui che tale è pure la legge del mondo morale; la stessa sua vita è soggetta a quella. Qui pure la vita procede dalla morte. La morte di Cristo è la vita del mondo. Egli è la vita, e vivifica chi egli vuole. Dalla sua morte espiatoria, come da prolifico seme, sorgerà una messe infinita di benedizioni per le anime degli uomini, e di gloria per il nome di Dio. "Niente", dice Ryle, "può spiegare l'immensa importanza che Cristo dà alla sua morte, se non l'antica e fondamentale dottrina biblica, che il sacrificio di Cristo in sulla croce è la sola soddisfazione, la sola espiazione per il peccato del mondo. Un passo come questo non potrà mai essere spiegato da quelli che considerano la morte di Cristo solo come un martirio, od un esempio di abnegazione".

PASSI PARALLELI
Salmi 72:16; 1Corinzi 15:36-38
Giovanni 12:32-33; Salmi 22:15,22-31; Isaia 53:10-12; Ebrei 2:9-10; Apocalisse 7:9-17

25 25. Chi ama la sua vita la perderà, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà in vita eterna.
In questo versetto, il Signore proclama una legge del mondo morale e spirituale, analoga a quella del mondo fisico, e che egli applica a sé medesimo, non meno che ai suoi discepoli. Questa legge si è che l'abnegazione, il sacrificio, la morte sono la condizione di una vita superiore; chiunque vuole, nel servizio del Maestro, evitare le prove e i dolori, chiunque vuole compiacere a sé stesso, chiunque ama il presente secolo, farà naufragio in quanto all'anima. Quegli invece che non si affeziona alle cose terrene, ed "odia la propria vita", ossia ne fa poca stima, pur di servire al Maestro e di guadagnargli molte anime, preserverà l'anima sua per la vita eterna. Havvi nella natura umana qualcosa che ci spinge a procacciare, come il bene supremo, la vita del corpo, distinta da quella dello spirito, e ci fa indietreggiare dinanzi al sacrificio ed alla morte. "Nella natura umana di Cristo, vi era pure quell'elemento fisico e nervoso che rendevagli ripugnante l'idea del sacrificio e della morte Giovanni 12:27; Matteo 26:39, perciò lungi dal sottrarsi al grande principio che il rinunziamento a noi stessi è la legge della nostra propria conservazione, ed al suo corollario, che la preservazione di noi stessi è legge della nostra propria distruzione, egli divenne uomo, affin di dare il più grande e il più sublime esempio dell'adempimento di questa, legge fondamentale del regno di Dio, e bastò il ricordarla in quel momento per confortare il suo proprio spirito di fronte a quanto egli tosto doveva soffrire" (Brown).

PASSI PARALLELI
Matteo 10:39; 16:25; 19:29; Marco 8:35; Luca 9:23-24; 17:33; Atti 20:24; 21:13
Ebrei 11:35; Apocalisse 12:11
Genesi 29:30-33; Ecclesiaste 2:17; Luca 14:26

26 26. Se alcun mi serve, seguitimi; ed ove io sarò, sarà ancora, il mio servitore; e se alcuno mi serve, il Padre l'onorerà.
Come seguito all'ammonimento contro l'amor di sé stesso dato nel vers. precedente, il Signore dà qui un comandamento relativo al dovere e alla condotta di tutti quelli che vogliono essere i suoi servitori, e lo accompagna con due promesse. Questo comandamento fu promulgato nel cortile del tempio, affinché tutti lo potessero udire; ma crediamo che fosse specialmente rivolto ai Greci che avevano domandato di veder Gesù. Il servizio di cui qui parla il Signore è quello di un servitore personale, poiché egli usa le parole e non già e. Essendo rivolte a forestieri che non potevano probabilmente aggiungersi alla comitiva dei discepoli, e a tutti quelli che nell'avvenire si troverebbe in posizione analoga, queste parole devono significare: Chi mi serve mi seguiti, professando il mio nome, come quello del suo Signore e Maestro; mi seguiti nelle mie prove e nelle mie sofferenze; non si vergogni della mia croce, anzi la tolga in ispalla e mi seguiti. "La prima delle ricompense che Gesù promette ai servitori che lo seguiteranno fedelmente è contenuta nelle parole: "Ove io sarò, ivi ancora sarà il mio servitore". Questo è detto in anticipazione di quella gloria del Figliuol dell'uomo, la cui ora già era venuta. La sua presenza si manifesterà loro del continuo mediante la sua Parola e il suo Spirito, mentre essi rimarranno sulla terra, e alla morte entreranno nella sua gloria celeste "per esser sempre col Signore" Giovanni 17:24. La seconda ricompensa qui promessa da Gesù ai suoi seguaci è: "Il Padre l'onorerà". Già in questa vita Iddio versa i suoi favori e fa alzar lo splendore del suo volto sui fedeli servitori del suo Figliuolo, e spesso adempie, riguardo a loro, in faccia al mondo e in modo rimarchevole la sua promessa: "Io onorerò quelli che mi onorano" 1Samuele 2:30. Però sembra più consentaneo al contesto l'intendere questa promessa dell'onore che ci verrà accordato nella vita avvenire. L'onore del servitore quando l'opera sua è compiuta è in rapporto con quell'opera medesima, come la gloria del Figliuol dell'uomo è in rapporto coll'opera sua propria. Quest'onore consisterà nell'essere dove sarà il Figliuol dell'uomo, nel sedere con lui sul suo trono, nel prender parte alla sua gloria, nel dimorare nella presenza di Dio, dove c'è "sazietà di ogni gioia" Salmi 16:11.

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:16; 14:15; 15:20; Luca 6:46; Romani 1:1; 14:18; 2Corinzi 4:5; Galati 1:10
Colossesi 3:24; 4:12; 2Pietro 1:1; 1Giovanni 5:3; Giuda 1
Giovanni 10:27; 21:22; Numeri 14:24; 32:11; Matteo 16:24; Marco 8:34; Luca 9:23; Efesini 5:1-2
Apocalisse 14:4
Giovanni 14:3; 17:24; Salmi 17:15; Matteo 25:21; 2Corinzi 5:8; Filippesi 1:23; 1Tessalonicesi 4:17-18
Giovanni 14:21-23; 1Samuele 2:30; Proverbi 27:18

27 Giovanni 12:27-37. MISTERIOSO TURBAMENTO DI CRISTO DI FACCIA ALLA MORTE. RISPOSTA DI DIO ALLA SUA PREGHIERA'" E CONVERSAZIONE CHE NE SEGUI FRA GESÙ E IL POPOLO

27. Ora è turbata l'anima mia;
Nella vita di Cristo incontriamo alcune notevoli transizioni dalla gioia al dolore, Confr. Matteo 11:20 con Matteo 11:25; Luca 10:21; 19:35-40 con Luca 10:41-42; e la Preghiera Sacerdotale di Giovanni 17:1-26 col profondo orrore della morte che Gesù manifestò in Ghetsemane Marco 14:33-34. Una di tali transizioni ci si presenta qui. La domanda di quei Greci aveva rivolto la mente di Gesù alla sua glorificazione, mediante la estensione del suo regno su tutta la umanità, e di questo egli si era rallegrato; ma poi gli si affacciò l'idea della morte, attraverso la quale solamente egli poteva raggiungere tal meta, e per un momento "uno spavento ed una grande oscurità" Genesi 15:12, caddero sopra l'anima sua, "la sede degli affetti umani, non lo spirito, la sede degli affetti religiosi, come in Giovanni 11:33, al pensiero dei vituperi, delle torture e dell'agonia senza confronto, che gli si facevano sempre più vicine. "Questo non fu altro che l'angoscia della croce scesa prima del tempo sull'anima del Redentore" (Hanna). Il vocabolo greco è usato qui nel senso stesso che in Giovanni 11:33. Ritroviamo qui le tracce di quell'agonia mentale, della quale i primi indizi ci vengono dati da Marco Marco 10:32, allorquando quell'evangelista nota la febbrile ansietà di Gesù per giungere in Gerusalemme. La vedremo nel suo pieno sviluppo in Ghetsemane, Marco 14:33-34, e più ancora sulla croce Marco 15:34. Si meravigliano alcuni che Giovanni nulla ci dica dell'agonia di Ghetsemane; ma siccome i Sinottici già ne avevano parlato, più non era necessario che egli vi si fermasse. Ci ricorda invece questa scena nel Tempio, che fu come il preludio di quella del Ghetsemane, e nella quale Gesù pronunziò le medesime parole che nel giardino. La rispondenza dei due fatti l'uno coll'altro è troppo chiara per non venir subito osservata. Nell'un caso come nell'altro abbiamo la lotta, la preghiera e il trionfo che si seguono nel medesimo ordine.
e che dirò?
Credono alcuni che tutto questo versetto insieme alla prima clausola del ver. 28, formi una preghiera, composta di frasi staccate, simili a quelle che si ritrovano nei Salmi messianici Salmi 6:4: 25:17; 40:13; 69:1; ma ci sembra piuttosto che la domanda: "Che dirò" Gesù la rivolga a sé medesimo, di fronte alle alternative che si presentano a lui. La sua natura umana, benché perfettamente santa, indietreggia con ribrezzo profondo dinanzi a tutto ciò che è implicato nella morte in sulla croce; dall'altra parte sottrarsi alla sottomissione assoluta a suo Padre, lasciare incompiuta la sua volontà, permettere che perisca quel mondo che egli è venuto a salvare, ecco un'alternativa alla quale non può neppur pensare. Il Salvatore è in distretta dai due lati. Ben dice Bengel: "Concurrebat horror mortis, et ardor obedientiae", "combattevansi in lui l'orrore della morte, e l'ardore dell'ubbidienza". Esprimere entrambe queste cose in linguaggio umano era impossibile; indi la domanda: "Che dirò?" "Si direbbe che Gesù pensi, ad alta voce, e che cerchi la sua via fra due alternative, considerandole coraggiosamente entrambe, affinché la scelta ch'egli farà sia da altri riconosciuta, ed anche da lui medesimo più vivamente sentita, come una profonda, deliberata e spontanea elezione" (Brown). "La mia natura umana, se fosse sola ad agire, mi farebbe dire una cosa; la mia conoscenza dello scopo per il quale son venuto quaggiù, mi obbliga a dirne un'altra; che cosa dunque dirò?" Lo stesso conflitto ritroviamo nel Ghetsemane, ed è la prova più convincente della vera umanità di Cristo.
Padre, salvami da quest'ora; ma per questo son io venuto in quest'ora.
Alcuni critici eminenti uniscono questa frase colla precedente, e le dànno la forma interrogativa: "Dirò io: salvami da quest'ora? Ma riprendendosi, perché per questo" ecc. Ma una tal costruzione è dura, poco naturale, e ci dà un senso pieno di esitanza e di dubbio sentimentale, poco in armonia colla intensità del passo intero. Di più non si accorda colla clausola parallela che segue: "Padre, glorifica il tuo nome", né coi passi paralleli dei Sinottici Matteo 26:39; Marco 14:36; Luca 22:42. Il primo inciso contiene una preghiera della natura umana, dettata dal timore rivolta al Padre sotto la pressione dell'angoscia cui era in preda l'anima sua, in quel momento, al pensiero delle sue sofferenze. Il secondo contiene la repressione immediata di quella debolezza naturale per effetto, della sua divina ragione, della sua ubbidienza ai voleri del Padre, del suo desiderio di dar salvezza agli uomini. Godet crede impossibile un così rapido passaggio tra due sentimenti opposti; ma ne abbiamo un altro esempio in condizioni identiche, nel Ghetsemane: "Padre mio, trapassi da me questo calice"; sol questa volta egli fa precedere la sua preghiera dalla clausola condizionale: "se egli è possibile"; ma le parole che nel nostro versetto seguono la preghiera di Gesù hanno il medesimo valore. La transizione è ugualmente rapida in entrambi i casi. Il senso delle parole "per questo" ha dato origine a molta divergenza di opinioni. Meyer, Lucke e Watkins le riferiscono alla glorificazione del nome del Padre Giovanni 12:28; Olshausen alla redenzione della umanità. Godet le parafrasa così: "Egli è perché di questa morte che devo subire che ho perdurato fino a quest'ora". Luthardt: "Per bere questo calice fino all'ultima stilla, se lo era egli recato alle labbra". Preferiamo, insieme a molti altri critici, intendere "per questo" delle sofferenze, per sopportar le quali il Figliuol di Dio era venuto nel mondo, ed avea perseverato nel suo proponimento, finché fosse quasi giunta l'ora del suo patire. Il senso generale di questo versetto si è che Gesù sentiva così vivamente la grandezza del sacrificio richiesto dalla sua ubbidienza al Padre che l'anima sua umana gridava, anche in presenza della moltitudine, per venirne liberata. Ma non perciò rifiuta egli la croce: anzi, subito dopo dichiara di sapere perfettamente di essere venuto nel mondo per soffrirla. "Che possono fare di una tale scena", dice Brown, "quelli che non vedono nella morte di Cristo niente di superiore alle altre morti? E quando la confrontano coi sentimenti coi quali migliaia dei suoi adoratori hanno accolto la morte per amor suo, come potrebbero additarlo all'ammirazione degli uomini?"

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:33-35; 13:21; Salmi 69:1-3; 88:3; Isaia 53:3; Matteo 26:38-39,42
Marco 14:33-36; Luca 22:44,53; Ebrei 5:7
Isaia 38:15; Luca 12:49-50
Giovanni 11:41; Matteo 26:53-54
Giovanni 18:37; Luca 22:53; 1Timoteo 1:15; Ebrei 2:14; 10:5-9

28 28. Padre, glorifica il tuo nome.
La preghiera di Gesù in Giovanni 12:27-28 consiste di due domande. La prima, per esser liberato dalla sofferenza, vien subito ritirata; l'altra, espressa nelle prime parole di questo versetto, ha per oggetto la glorificazione del Padre, a qualsiasi costo per sé medesimo, poiché il suo volere è in accordo perfetto con quello del Padre. Siccome il nome del Padre non poteva venir glorificato che per la morte del Figlio, l'ubbidienza di questi emerge qui in modo trionfante. Il senso è: "Son pronto ad affrontare qualunque prova; non indietreggio dinanzi a qualsiasi dolore, purché il tuo nome sia onorato Matteo 6:9. Il tuo carattere, la tua sapienza, la tua bontà, i tuoi consigli di misericordia inverso gli uomini peccatori, sieno manifestati al mondo ed eseguiti, a costo di qualunque sofferenza per me". Così Gesù c'insegna che, se pur vogliamo esser suoi seguaci, la gloria di Dio dev'essere lo scopo supremo della nostra vita, e che quella dobbiamo procacciare a costo di qualunque sofferenza per noi. La volontà rinnovata del credente non può alzarsi più in alto che col dire: "Padre, glorifica il tuo nome in me! Fa di me qualunque cosa sia conforme alla tua gloria. È opinione di vari commentatori, e par giustificata da quanto segue, che oltre al domandare al Padre di glorificare il suo nome, per mezzo delle sofferenze del Figlio, Gesù richiedesse pure con queste parole una manifestazione personale e diretta di quella gloria, in presenza di tutta la folla in quell'ora congregata nel tempio, e specialmente in presenza di quei Greci che erano i rappresentanti del mondo pagano. Se tale fu il desiderio di Cristo, esso venne subito esaudito, mediante la voce che si fece udire dal cielo. "Fu", dice Lange, "una forma di rivelazione perfettamente adattata alle necessità di discepoli gentili".
Allora venne una voce dal cielo che disse:
Il racconto dell'evangelista è qui così semplice e così chiaro, ed è siffattamente confermato dall'analogia di altri fatti consimili, che questa "voce" la quale uscì dal cielo, altro non poté essere stata che un suono chiaro, articolato, pronunziato miracolosamente, udito da tutti, ma variamente interpretato una voce forte e tremenda, piena di solenne maestà non già un semplice scoppio di tuono. Così l'intendono tutti gli antichi commentatori, e i migliori fra i moderni. Non v'ha dubbio che Giovanni vuol farci comprendere che in quel momento, nel tempio di Gerusalemme, fu udita una voce che pronunziava suoni articolati; che alcuni capirono perfettamente le parole, altri no, mentre certuni credettero avere udito un tuono. Ma far della supposizione del tuono una realtà, e del suono delle parole una mera immaginazione, è sostituire al senso chiaro e diretto dell'evangelista, una spiegazione affatto arbitraria.
E l'ho glorificato, e lo glorificherò ancora.
È questa la terza volta che una voce fu udita dal cielo a testimoniar che Cristo era mandato da Dio, per procacciarne la gloria. La prima fu al battesimo di Gesù Matteo 3:17; la seconda, alla sua trasfigurazione Matteo 27:5. Secondo Agostino, le parole dell'Onnipotente, in questa occasione, possono venire interpretate in due modi:
1. Si possono intendere di quanto Iddio operò fin dal principio e in questo caso sonerebbero: "Ho continuamente glorificato il mio nome in tutta la dispensazione già trascorsa della storia del mondo, e così continuerò a fare in tutte le mie, future rivelazioni di me stesso all'uomo, nella morte e nella risurrezione del Redentore".
2. Ovvero si possono applicare unicamente al Signor Gesù Cristo medesimo, e vorrebbero dire: "Ho glorificato il mio nome nella tua, incarnazione, nei tuoi miracoli, nei tuoi insegnamenti, in tutte quante le tue opere. Lo glorificherò ancora nelle tue sofferenze volontarie per la umanità, nella tua morte, nella tua risurrezione, nella tua ascensione."
Ciascuna di queste interpretazioni è eccellente; ma preferiamo la seconda come più in armonia col contesto immediato.

PASSI PARALLELI
Giovanni 18:11; Matteo 26:42; Marco 14:36
Matteo 3:17; 17:5; 2Pietro 1:17
Giovanni 9:3; 11:4,40-44
Giovanni 13:31-32; Isaia 49:3-7; Efesini 2:7; 3:10,21; Filippesi 1:6-11; Apocalisse 5:9-14

29 29. Laonde la moltitudine, che era quivi presente ed avea udita la voce, diceva essersi fatto un tuono. Altri dicevano: Un angelo gli ha parlato.
In questo versetto, Giovanni descrive le varie opinioni di quelli che aveano udito quella voce miracolosa, il che mette il fatto stesso fuori di ogni dubbio. Parrebbe che il maggior numero dei presenti che non ascoltavano con molta attenzione, né si aspettavano ad un miracolo, attribuirono quello che avevano udito ad uno scoppio di tuono; mentre altri, più attenti, udirono il suono delle parole, e dichiararono, che un angelo aveva parlato a Cristo. Nessuno però nega il fatto; consentono tutti che qualcosa di straordinario è avvenuto. Le parole di Gesù in Giovanni 12:30 sembrano anelare più in là, ed implicano che in quel suono vi fu una voce riconoscibile, poiché egli afferma che si era fatta udire per essi; da che è naturale inferire che alcuni almeno, non solo udirono la voce, ma capirono quello che essa diceva.

PASSI PARALLELI
Esodo 19:16; 20:18; Giobbe 37:2-5; 40:9; Ezechiele 10:5; Apocalisse 6:1; 8:5; 11:19; 14:2
Atti 23:8-9; Apocalisse 18:1-2

30 30. E Gesù rispose e disse: Questa voce non si è fatta per me, ma per voi.
Gesù non aveva bisogno di udire materialmente egli stesso le parole del Padre, perché ben sapeva di essere uno con lui, e di adempierne il volere; era bensì necessario che le udissero gli astanti, perché non rimanessero sotto la impressione necessariamente sfavorevole del suo turbamento momentaneo, e della misteriosa sua preghiera per venire liberato. Non conoscendo le sofferenze che aspettavano il Cristo fra pochi giorni, non potevano capire l'agonia dell'anima sua; epperciò, affin di mostrare che queste cose non significavano una sua sconfitta, ed altro non eran che l'adempimento dell'eterno volere del Padre, Iddio mandò dall'alto questa testimonianza al suo Figliuolo. Fu questa una nuova, e probabilmente l'ultima testimonianza divina resa alla missione di Cristo. La prima accompagnò il suo battesimo; quest'ultima precedette di pochi giorni la sua crocifissione. Benché non si fosse fatta udire espressamente per lui, la voce di suo Padre infonde nuovo coraggio nel cuore del Cristo. Egli riprende l'argomento che gli era stato suggerito dall'arrivo dei proseliti greci, e descrive il trionfo che seguirà la sua morte, allorquando il mondo dato tutto al peccato verrà sottoposto al giudicio, e l'usurpatore, che per tanto tempo ha regnato su di esso, sarà cacciato fuori.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:34; 11:15,42; 2Corinzi 8:9

31 31. Ora è il giudicio di questo mondo;
La difficoltà in questa clausola consiste nel determinare il vero senso di "questo mondo", e di "giudicio". Colla prima di queste due espressioni, il Signore non parla qui degli eletti di Dio, come in 2Corinzi 5:19, né dei Giudei come nazione, benché ad essi venga talvolta applicato quel termine; bensì del presente mondo malvagio considerato come un vasto e complicato regno di Satana, tutto quanto come penetrato dello spirito di lui, occupato a farne le opere e destinato a condividerne la sorte finale; o ancora di uomini senza carattere spirituale, le cui menti e i cui cuori sono interamente ingolfati nelle cose terrene. Grande poi è la diversità di opinioni relativamente al "giudicio" che quivi il Signore annunzia su questo mondo. Ryle ce ne fa la enumerazione seguente. Teofilatto ed Eutimio: "Ora è la vendetta di questo mondo; ora io caccerò fuori colui che lo ha ridotto in schiavitù"; Zuinglio: "La separazione fra i credenti e gli increduli in questo mondo"; Calvino, Brentius Beza, Bucero, Hutchison, Flacius e Gualter: "La riforma, ossia il ripristinamento del mondo sulle sue vere basi"; Grozio, Gerhard, Toletus e Cornelius a Lapide: "La liberazione di questo mondo"; Pearce: "La condanna del mondo o della nazione giudaica per avermi rigettato"; Bengel: "Il giudicio del mondo, per decidere chi ne debba essere da ora in poi il padrone"; Barnes: "La crisi, ossia il momento decisivo nella storia del mondo"; Ryle medesimo: "Il tempo nel quale una sentenza di condanna verrà, mediante la mia morte, pronunziata su tutto quanto l'ordine di cose che è prevalso nel mondo, dalla creazione in poi"; Godet: "L'ora della più grande rivoluzione che sia mai accaduta nel mondo, ed il giudicio sulla condizione morale di esso". È vero che "giudicio" ha il più delle volte nella Scrittura il senso di "condanna"; spesso però ha pure un senso favorevole, così quando è detto che Dio "giudica", il "far ragione" di Diodati è in questo caso una parafrasi piuttostoché una traduzione letterale, l'orfano, la vedova e l'oppresso Deuteronomio 10:18; Salmi 10:18; 103:6; 146:7. Del Messia poi era espressamente dichiarato che "egli recherà fuori giudicio alle genti"; e "metterà fuori il giudicio in vittoria" Isaia 42:1; Matteo 12:18,20. In questi ed in altri passi consimili, è chiaro che il giudicio non è una condanna; bensì una liberazione, come d'altronde lo prova tutto il contesto. Preferiamo adunque la spiegazione dataci da Poole di queste parole del Signore: "Ora è la liberazione di questo mondo". Satana avea separato il mondo da Dio così completamente che noi non ce ne possiamo fare un'idea. Il mondo viveva senza Dio, immerso nella idolatria, ossia nel culto dei demoni, e in aperta ribellione contro al suo fattore Romani 1:21-22; 1Corinzi 10:20; Efesini 2:12, ma ora, mediante la morte di Cristo, l'antico stato di cose sarà condannato, e verrà bandita libertà a quelli che sono in cattività, ed apertura di carcere ai prigioni" Isaia 61:1.
Ora sarà cacciato fuori il principe di questo mondo.
ora vien ripetuto nella seconda clausola di questo versetto, per mostrare che il giudicio del mondo e il rovesciamento del suo principe avverranno al medesimo momento, e saranno prodotti dalla medesima causa. Solo dobbiamo notare una differenza nei tempi: l'uno è il risultato immediato della morte di Cristo; l'altro è la vittoria graduale della verità, e ne vien parlato al tempo stesso che nel verso seguente viene annunziato che Gesù trarrà tutti gli uomini a sé. L'essere di cui vien qui parlato è evidentemente Satana, poiché il titolo che gli vien dato di "sar aolam", il principe di questo mondo, era il nome che a Satana veniva dato dai rabbini antichi. Il gran nemico delle anime vien pure chiamato "l'iddio di questo secolo" 2Corinzi 4:4, ed "il principe della podestà dell'aria, lo spirito che opera al presente nei figliuoli della disubbidienza" Efesini 2:2. Introducendo il peccato nel mondo, lo aveva ridotto in suo servaggio, e ne aveva interamente usurpato il dominio. Questi nomi gli vengon dati, perché, fino alla venuta di Cristo, il mondo intero era, in un certo senso, sotto la sua dominazione, ed egli tuttora regge e governa la gran maggioranza degli uomini. Le parole "cacciato fuori", si riferiscono alla sfera dell'attività di Satana, al mondo presente, sul quale egli ha esercitato, dalla caduta in poi, il suo dispotico potere per il male. La morte di Cristo, che fu la più odiosa e la più imperdonabile delle colpe di Satana, doveva essere il principio della sua sconfitta. Stava per cominciare la lotta fra il "possente uomo bene armato", ed il "più potente di lui" che "gli toglie le sue armi... e spartisce le sue spoglie" Luca 11:21-22. Gesù raggiunse, sconfisse e detronizzò Satana, ed "avendo spogliate le podestà ed i principati, li ha pubblicamente menati in spettacolo, trionfando d'essi nella sua croce" Colossesi 2:15. Ma questo "cacciato fuori" non significa che Satana debba essere immediatamente rimosso dal mondo, e precipitato fino da ora nel suo stato finale, cioè nello stagno del fuoco e dello zolfo, per essere tormentato giorno e notte nei secoli dei secoli" Apocalisse 20:10, imperocché il Signore non dice ma che significa un cacciar fuori gradatamente. La guerra contro Satana doveva aprirsi colla morte e la risurrezione di Cristo, e continuerà senza tregua, fintantoché "il regno di questo mondo sia venuto ad esser del Signor nostro e del suo Cristo" Apocalisse 11:15. La morte di Cristo è il principio dell'adempimento della promessa che la progenie della donna triterà il capo del serpente Genesi 3:15.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:22-27; 16:8-10
Giovanni 14:30; 16:11; Genesi 3:15; Isaia 49:24; Matteo 12:28; Luca 10:17-19; Atti 26:18
2Corinzi 4:4; Efesini 2:1-2; 6:12; Colossesi 2:15; Ebrei 2:14; 1Giovanni 3:8; Apocalisse 12:9-11
Apocalisse 20:2-3

32 32. Ed io, quando sarò levato in su dalla terra, trarrò tutti a me.
Questo verso è intimamente unito col precedente, poiché dichiara che la croce di Cristo è lo strumento ed al tempo stesso l'irresistibile potenza per cui si effettueranno la liberazione del mondo e la cacciata di Satana. In Giovanni 3:14 e Giovanni 8:28 troviamo la medesima espressione, ed anche in quei passi essa si deve evidentemente intendere dell'innalzamento di Cristo in sulla croce "come già il serpente di rame era stato innalzato nel deserto", per farvi la propiziazione del peccato; e benché alcuni, fra i quali Diodati, vedano in questo innalzamento anche la sua glorificazione, è certo che l'idea principale è qui quella della sua morte, che comprende pure quella del trionfo dell'anima sua, e della sua ricompensa nella salvazione di moltitudini di anime. Una volta aperta, mediante la sua morte espiatoria uomini in sulla croce, la via per attrarre gli uomini a sé, la sua assunzione alla destra del Padre, così ogni podestà in terra ed in cielo, doveva rendere questa attrazione più universale e più efficace; ma non dobbiamo scordarci mai che, senza la crocifissione del Figliuol di Dio, questo trarre i peccatori a Cristo non sarebbe ancora principiato. Il verbo "trarrò" indica un'attrazione dolce, persuasiva ed efficace, per distinguerla dalla forza irresistibile che annienta la volontà, e fa dell'uomo una mera macchina. In Giovanni 6:44 è applicato al Padre, come qui al Figliuolo. La promessa: "trarrò tutti a me" non è limitata agli eletti di Dio, né abbraccia ogni individuo della razza umana il che darebbe appoggio alla dannosa eresia della salvazione universale; ma si deve intendere di tutte le nazioni, lingue e tribù della terra, senza distinzione, dei Gentili, non meno che dei Giudei. Fino a quel momento il mondo aveva ciecamente seguito Satana; ma Cristo dichiara che, dopo la sua crocifissione, egli stesso diverrebbe il centro di attrazione del mondo, libererebbe dal potere usurpato di Satana, e attrarrebbe a sé stesso, immense moltitudini di ogni popolo e di ogni paese, per farne i volonterosi suoi servitori.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:14; 8:28; 19:17; Deuteronomio 21:22-23; 2Samuele 18:9; Salmi 22:16-18; Galati 3:13
1Pietro 2:24; 3:18
Giovanni 6:44; Cantici 1:4; Osea 11:4
Giovanni 1:7; Isaia 49:6; Romani 5:17-19; 1Timoteo 2:6; Ebrei 2:9; 1Giovanni 2:2; Apocalisse 5:9

33 33. or egli diceva questo, significando di qual morte egli morrebbe.
È questo un commento dell'evangelista, a profitto dei Greci, fra cui visse tanto tempo, dopo la morte del Signore, e per i quali l'espressione "esser levato in su" non aveva un senso molto chiaro. L'evangelista dichiara loro che questa espressione, sulle labbra del Redentore, significava che egli doveva morire inchiodato sul legno infame. Alford osserva però, che Giovanni non dice che questo fosse tutto ciò che veniva racchiuso nella parola ma solo che questo ne era il senso primiero e più ovvio. Pare che con queste parole si chiudesse il discorso di Gesù ai proseliti Greci. "Quale impressione abbia fatto sopra di essi il linguaggio solenne di Colui che avean chiesto di vedere, è cosa che cercheremmo invano di conoscere. Ma questo discorso di Gesù è un punto notevole di contatto fra il Giudeo ed il Gentile; l'offerta della salvezza vien passata dall'uno all'altro; Jafet è qui invitato nelle tende di Sem" (Whedon).

PASSI PARALLELI
Giovanni 18:32; 21:19

34 34. La moltitudine gli rispose: Noi abbiamo inteso dalla legge che il Cristo dimora in eterno; come dunque dici tu che convien che il Figliuol dell'uomo sia elevato ad alto? Chi è questo Figliuol dell'uomo?
I Giudei avevano rettamente inteso le parole di Gesù in Giovanni 12:32, e capito che egli parlava della prossima sua morte. D'altra parte avevano perfettamente compreso oramai che egli pretendeva di essere il Messia; ma anziché protestare violentemente contro una tanta pretesa per parte sua, od anche alzar delle pietre per lapidarlo, cercano di provare colle stesse sue parole che egli non può essere il Messia. "Abbiamo inteso dalla legge", cioè dalle scritture dell'Antico Testamento in generale, delle quali la legge di Mosè formava la parte fondamentale e più venerata, "che il Cristo dimora in eterno". Questo loro concetto fondavasi probabilmente sui passi: 2Samuele 7:12-16; Salmi 89:27-29; 110:4; Isaia 9:6-7; Daniele 2:44; 7:13-14; sui quali fondavano la dottrina di un regno glorioso ed eterno del Messia in terra. Ma come poteva questo accordarsi col suo innalzamento? "Vedevano chiaramente che egli si presentava come il Cristo, e come un Cristo che presto morrebbe di, morte violenta, e siccome questo andava incontro a tutte le idee che aveano desunte dalla profezia messianica, furono lieti di afferrare questo vantaggio apparente giustificar la loro attitudine di resistenza" (Brown). Il titolo "Figliuol dell'uomo", è quello che Gesù si dava di preferenza durante il suo pubblico ministerio; alcuni degli astanti lo avevano probabilmente udito dalla sua bocca al principio di questo discorso Giovanni 12:23, e benché egli più non l'avesse ripetuto da quel momento in poi essi cercavano di riconciliare le due proposizioni il Cristo dimora in eterno, e convien che il Figliuol dell'uomo sia elevato in alto", col supporre che il Messia e il Figliuol dell'uomo sieno due persone diverse. Non riuscendo in ciò, domandano: "Chi è questo Figliuol dell'uomo?" e questa lor domanda, benché significhi che lo rigettano in modo definitivo come Messia, sembra fatta con accento di dispiacere, anziché di disprezzo. Ben si conveniva che Gesù fosse rigettato sotto quel nome di "Figliuol dell'uomo", che egli preferiva a tutti gli altri.

PASSI PARALLELI
Giovanni 10:34; 15:25; Romani 3:19; 5:18
2Samuele 7:13; Salmi 72:7,17-19; 89:36,37; 110:4; Isaia 9:7; 53:8
Ezechiele 37:24-25; Daniele 2:44; 7:14,27; Michea 4:7
Giovanni 3:14-16; 5:25-27; 8:53-58; Matteo 16:13; 21:10; 22:42-45

35 35. Gesù adunque disse loro: Ancora un poco di tempo la Luce è con voi; camminate mentre avete la Luce, che le tenebre non vi colgano; perciocché chi cammina nelle tenebre non sa dove si vada.
Gesù non risponde all'ultima domanda dei Giudei. Il vers. comincia con "disse", non con "rispose". Era passato il tempo della discussione e dell'istruzione, e secondo quanto ci vien detto in questo vers. e nel seguente, stava per spirare il tempo di grazia concesso ad Israele. Il Sole di Giustizia, che tuttora risplendeva su di esso, era vicino al tramonto; Gesù esorta perciò i suoi uditori a fare un uso diligente del breve tempo, che rimaneva tuttora alla loro disposizione, per riconoscerlo e crederlo come "Luce del mondo", come "la via, la verità e la vita"; perché senza di lui tosto sarebbero simili al viandante che erra brancolando nelle tenebre.

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:33; 9:4; 16:16; Ebrei 3:7-8
Giovanni 12:36,46; 1:5-9; 8:12; 9:5; Isaia 2:5; 42:6-7; Romani 13:12-14; Efesini 5:8,14-15
1Tessalonicesi 5:5-8; 1Giovanni 1:6-7
Giovanni 12:39-40; Salmi 69:22-28; Geremia 13:16-17; Romani 11:7-10; 2Corinzi 3:14
Giovanni 11:10; Proverbi 4:19; 1Giovanni 2:8-11

36 36. Mentre avete la Luce, credete nella Luce, acciocché siate figliuoli di luce.
È questa la esortazione finale e teneramente affettuosa di Gesù ai suoi uditori. Essa ripete con parole anche più chiare il consiglio di "camminar nella Luce", del vers. precedente. Dalla metafora il Signore passa qui ad un ammonimento diretto di credere in lui, mentre ancora egli è fra di loro. Di più, egli indica l'oggetto o lo scopo per il quale dovevano credere in lui: "acciocché siate figliuoli di luce". Questa espressione è un modo di dire ebraico che significa: "Acciocché diveniate i miei figliuoli, portiate la mia immagine, abbiate luce nei vostri cuori, nelle vostre coscienze, nelle vostre vite; luce sul vostro sentiero quaggiù, luce per il vostro avvenire nei cieli" (Ryle). Tali sono le ultime parole di Gesù, che l'evangelista ci riferisce come chiusa del suo pubblico ministero. Quante altre egli abbia lasciate da parte, che avrebbe potuto aggiungere a quelle, ce lo dice egli medesimo nella chiusa del suo Vangelo Giovanni 21:25.
Queste cose ragionò Gesù; e poi se ne andò e si nascose da loro.
Gesù si ritirò probabilmente a Betania, non già che fosse minacciato da qualche pericolo imminente, bensì perché aveva deliberato di ritirarsi da quel momento in poi dalla vita pubblica. Giovanni non ci enumera per ordine cronologico i fatti dell'ultima settimana della vita terrestre del Signore, forse perché quei fatti già erano noti dai Vangeli Sinottici. Hengstenberg ce ne dà la lista seguente: Domenica, ingresso trionfale in Gerusalemme; Lunedì, maledizione del fico sterile; Martedì, i discepoli, ritornando in Gerusalemme, osservano il fico isterilito, e lo stesso giorno Gesù pronunzia nei cortili del tempio il discorso che abbiamo ora studiato; poi esce dal tempio, per non rientrarvi più. Quindi sul pendio dell'Uliveto, pronunzia dinanzi ai soli discepoli il grande suo sermone profetico sulla distruzione di Gerusalemme e la fine del mondo. Non restavano, prima della Pasqua, che il Mercoledì e il Giovedì e quei due giorni Gesù li passò in privato, coi suoi discepoli, in Betania.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:7; 3:21; Isaia 60:1; Atti 13:47,48
Luca 16:8; Efesini 5:8; 1Tessalonicesi 5:5,8; 1Giovanni 2:9-11
Giovanni 8:59; 10:39-40; 11:54; Matteo 21:17

37 Giovanni 12:37-43. GIUDIZIO DELL'EVANGELISTA SULLA INCREDULITÀ DEI GIUDEI, DURANTE IL MINISTERIO DI GESÙ

37. E benché avesse fatti cotanti segni davanti a loro, non però credettero in lui;
Studiando questo Vangelo, abbiamo spesso notato l'abitudine dello scrittore, di commentare le cose che racconta. Ora, giunto al fine della sua narrazione del ministero terreno del Signore, egli ci dà il proprio parere, più lungamente, ed anche più malinconicamente del solito, sull'insuccesso relativo dei medesimo. Si direbbe che nell'attitudine assunta da quelli che rigettarono la grazia misericordiosa di Gesù, egli veda la realizzazione di quanto egli stesso aveva detto al principio del suo Vangelo, relativamente alla Parola incarnata: "Egli è venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto" Giovanni 1:11. Parlando dei miracoli che Cristo avea compiuti, li chiama "segni", perché erano manifestazioni evidenti della mano divina; di più applica loro l'aggettivo che nell'evangelo significa sempre numero o qualità, anziché grandezza. Giovanni stesso non ci narra che sei miracoli del Signore, ma con questa parola fa comprendere che Egli ne compì un numero molto maggiore. D'altronde ce lo dichiara espressamente altrove, Vedi Giovanni 2:23; 6:2; 7:31; 11:47; 20:30. Le parole "davanti a loro" certificano la completa pubblicità di tutti quei miracoli; essi erano stati compiuti in presenza del popolo; non vi poteva esser dubbio alcuno sulla loro realtà; eppure, ad onta di tutto ciò, e per quanto possa parere inesplicabile, la loro incredulità era stata decisa, perseverante, costante, quanto gli appelli a loro rivolti da Gesù.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:11; 11:42; 15:24; Matteo 11:20; Luca 16:31

38 38. Acciocché la parola che il profeta Isaia ha detta s'adempiesse Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? ed a cui è stato rivelato il braccio dei Signore?
Questa citazione è tolta da Isaia 53:1. In quel capitolo, il profeta parla evidentemente del Messia, e il modo in cui esso doveva venir trattato quaggiù forma la sostanza della sua profezia. Egli si lagna dell'incredulità universale colla quale è stata ricevuta la sua "predicazione", e ne dà per ragione che "il braccio del Signore", ossia la potenza coercitrice dell'Evangelo, è stato rivelato ad un numero relativamente ristretto di persone. Che parlasse dei tempi del Messia, ed avesse precisamente in vista, questa incredulità dei Giudei, risulta chiaramente dall'intero passo, e senza che i contemporanei di Cristo fossero moralmente costretti a rigettarlo ed a disprezzarlo, anzi appunto perché ciò fecero nella piena libertà del loro cuore corrotto, adempirono alla lettera la profezia di Isaia.

PASSI PARALLELI
Giovanni 15:25; 17:12; 19:24,36-37; Matteo 27:35; Atti 13:27-29
2Cronache 32:20
Matteo 15:7; Atti 8:28-30; Romani 10:20
Isaia 53:1; Romani 10:16
Salmi 44:3; Isaia 40:10-11; 51:5,9; 1Corinzi 1:24
Matteo 16:17; 2Corinzi 3:14-18; 4:3-6; Galati 1:16; Efesini 1:17-20

39 39. Per tanto non potevano credere, perciocché Isaia ancora ha detto: 40. Egli ha accecati loro gli occhi ed ha indurito loro il cuore, acciocché non veggano con gli occhi e non intendano col cuore, e non si convertano ed io non li sani.
In questi versetti, l'evangelista, continuando le sue riflessioni sulla incredulità dei Giudei ne trova la ragione non solo nella loro avversione a ricevere l'evangelo, avversione che li privava di quella potenza divina che sola può renderlo efficace Giovanni 12:38, ma ancora nella loro impotenza di credere: "non potevano credere", perché il Signore li aveva abbandonati alla cecità e alla durezza del loro cuore, per castigo della loro ostinata ripulsa di Colui che era venuto nel nome del Signore a salvarli. Lo stesso loro peccato diviene il loro castigo, e così già aveva Iddio punito i loro antenati, Vedi Salmi 81:9-12; Osea 8:2. La citazione di Giovanni 12:40 è tolta da Isaia 6:9, e con poche varianti di nessuna importanza, è spesso applicata ai Giudei del tempo di Gesù Matteo 13:14; Marco 4:12; Luca 8:10; Atti 28:26. In Matteo e Atti l'induramento viene attribuito ai peccatori stessi; in Isaia è il profeta medesimo cui vien dato l'ordine di "ingrassare il cuore" del popolo; in questo passo poi ciò è attribuito a Cristo, del quale, al principio di questo versetto, è parlato alla terza persona, mentre la chiusa ci è data come uscita dalla propria sua bocca. Questi modi diversi di presentare il medesimo fatto si conciliano facilmente, imperocché, quando i peccatori induriscono sé, stessi, il Signore, per castigo, li abbandona al loro indurimento, e, i predicatori dell'evangelo non solo annunziano questa dolorosa sentenza, ma, colla dottrina stessa che predicano, danno luogo agli uomini di indurirsi sempre più. "Tutti i critici sinceri ammettono che queste parole esprimono un atto divino positivo, in virtù del quale, quelli che volontariamente chiudono gli occhi e induriscono il cuore contro alla verità, sono per sentenza divina rinchiusi nella loro incredulità e nella loro impenitenza; molti poi credono necessario di provare che ciò non menoma affatto la libertà dell'umano volere, il che è cosa fuori di ogni contestazione" (Brown).

PASSI PARALLELI
Giovanni 9:39; 1Re 22:20; Isaia 29:10; Ezechiele 14:9; Matteo 13:13-15; 15:14; Marco 4:12
Luca 8:10; Atti 28:26; Romani 11:8-11
Esodo 4:21; 7:3,13; 14:4,8,17; Giosuè 11:20; Romani 9:18; 11:7
Deuteronomio 29:4; Salmi 135:10-18; Isaia 26:11; 42:19-20; Geremia 5:21; Ezechiele 12:2
Marco 8:17-18
Atti 3:19; 15:3; Giacomo 5:19-20
Salmi 6:2; 41:4; 147:3; Isaia 53:5; 57:18-19; Geremia 3:22; Osea 6:1; 14:4
Luca 4:18

41 41. Queste cose disse Isaia, quando vide la gloria d'esso, e d'esso parlò.
L'evangelista ricorda qui che quelle parole furono pronunziate da Isaia per ordine espresso di Jehova, datogli quando contemplò in una sublime visione "il Signore, che sedeva sopra un alto ed elevato trono, e il lembo della sua veste riempiva il tempio" Isaia 6:1, e col suo commento ispirato ci dà la chiave di quella visione e il grande Iddio, il Padre, ha espressamente detto di sé medesimo: "Tu non puoi veder la mia faccia, perciocché l'uomo non mi può vedere e vivere" Esodo 33:20; non poteva dunque esser lui che Isaia vide. L'interpretazione che alcuni vorrebbero dar qui alla parola "gloria", come se essa indicasse la Scechinah, ossia la nuvola di gloria mediante la quale Iddio manifestava la sua presenza nel santuario, deve assolutamente essere rigettata, poiché il profeta vide una persona, non una nuvola. Chi era dunque quell'essere glorioso? Evidentemente il Figliuolo, la seconda persona della gloriosa Trinità, il rivelatore del Padre, "lo splendore della gloria, e il carattere della sussistenza d'esso" Ebrei 1:3. Si confrontino le parole di Giovanni e quelle di Isaia. Il primo dice: "Isaia vide la gloria d'esso, e d'esso parlò"; il secondo avea detto: "Gli occhi miei han veduto il Re, il Signor degli eserciti" Isaia 6:5 e da questo confronto emerge una prova chiarissima della divinità di Gesù Cristo. La lezione Alessandrina "perché", invece di "quando", ha contro di essa, a detta di Godet, la testimonianza delle versioni più antiche, e il senso generale del versetto.

PASSI PARALLELI
Isaia 6:1-5,9-10
Giovanni 1:14,18; 14:9; Esodo 33:18-23; 2Corinzi 4:6; Ebrei 1:3
Giovanni 5:39; Atti 10:43; 1Pietro 1:11; Apocalisse 19:10

42 42. Pur nondimeno molti, eziandio dei principali, credettero in lui; ma per tema dei Farisei, non lo confessavano,
Al vers. 37 Giovanni 12:37, Giovanni aveva parlato in modo generico: come nazione, Israele aveva rigettato Gesù; il partito farisaico nel suo insieme, lo aveva dichiarato impostore; però non mancavano, non solo fra il popolo, ma perfino nel Sinedrio, dove regnavano i più accaniti nemici di Cristo, delle persone che credevano in lui. Giovanni adunque ritorna a quanto diceva Giovanni 12:37 prima di aver riportato la profezia di Isaia, per provare che, ad onta della prevalente incredulità, i miracoli e l'insegnamento di Gesù avevano condotto alcune persone fra le, più istruite e le più altolocate del popolo, a riconoscerlo come Messia, dimodoché l'incredulità generale era fino ad un certo punto controbilanciata dalla posizione influente di alcuni fra quelli che avevano creduto in lui. Ma qui sorge naturalmente la questione: Che voglion dir le parole: "credettero in lui?" La fede vera, quella che salva, perché solo chi la possiede passa da morte a vita, presenta, secondo l'insegnamento degli apostoli, tre segni distintivi ai quali la si riconoscerà sempre ed in ogni luogo:
1. essa "purifica il cuore" Atti 15:9
2. essa "vince il mondo" 1Giovanni 5:4
3. essa "opera per carità" Galati 5:6
ma quanto ci vien detto nella seconda parte del versetto di questi "principali", cioè che "per tema dei Farisei, non lo confessavano", ci conduce alla conclusione che, all'infuori di Nicodemo e di Giovanni di Arimatea, nessuno di essi ci presenta i segni più sopra enumerati di una fede vivente. Non per questo cessa di esser vero quanto asserisce Giovanni, se diamo alle sue parole il senso che, quantunque non lo dichiarassero in pubblico, erano convinti nel segreto del loro pensiero, che Gesù era veramente il Messia. Era fede puramente intellettuale la loro; era un convincimento di testa e non di cuore. Alcuni critici, però, ritengono sincera la loro fede, ma bisognevole di forza e di crescenza; altri dicono che possedevano il potere di riconoscere la verità, non la volontà decisiva ad affrontare le conseguenze delle loro convinzioni; e quel potere, non venendo messo in esercizio, un pò per volta cessò. Può darsi che, dopo l'effusione dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste, questi uomini abbiano saputo vincere il loro egoismo e le loro paure; ma al momento di cui parla Giovanni, cioè due giorni prima della morte di Cristo, essi erano di quelli contro ai quali Gesù pronunzierà la sua più severa sentenza, per aver avuto "vergogna di lui e delle sue parole" Marco 8:38.
acciocché non fossero sbanditi dalla sinagoga.
Risulta chiaramente da queste parole, non solo che i Farisei erano i più decisi avversari di Gesù, ma pure che governavano senza opposizione alcuna nel Sinedrio, e che persino i loro colleghi tremavano dinanzi alla minaccia della scomunica, che quell'assemblea era pronta a pronunziare contro chiunque dichiaravasi fautore di Gesù, in forza del decreto ricordato in Giovanni 9:22. Essi, rettori del popolo, non si sentivano il coraggio di incorrere un tanto disonore.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:2; 7:48-51; 11:45; 19:38
Matteo 10:32; Luca 12:8; Romani 10:10; 1Giovanni 4:2,15
Giovanni 7:13; 9:22,34; 16:2; Proverbi 29:25; Isaia 51:7; 57:11; 66:5; Matteo 26:69-75
Luca 6:22; Atti 5:41; 1Pietro 4:12-16

43 43. Perciocché amarono più la gloria degli uomini, che la gloria di Dio.
Ecco la causa della loro codarda condotta: non potevan sopportar l'idea di venir derisi, messi in ridicolo, od anche perseguitati dai loro concittadini.; e posti nel bivio di scegliere fra l'approvazione di Dio e quella degli uomini, non esitarono a sacrificare le loro proprie convinzioni e ad agire contrariamente alla loro coscienza. Eppure il Signore stesso aveva ammonito i suoi discepoli contro questo pericolo Giovanni 5:44. Webster e Wilkinson dicono con molta verità: "Queste sono parole severe, soprattutto se si considera che alcune almeno di quelle persone dipoi confessarono coraggiosamente il Cristo. Esse provano con qual dispiacere Iddio considerava la loro condotta in quel momento decisivo, e con la medesima severità egli la giudicherà in ogni tempo".

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:41,44; Matteo 6:2; 23:5-7; Luca 16:15; Salmi 22:29; 1Tessalonicesi 2:6
Giovanni 12:26; 8:54; 1Samuele 2:30; Luca 19:17; Romani 2:7; 1Corinzi 4:5; 2Corinzi 10:18
1Pietro 1:7-8; 3:4

44 Giovanni 12:44-50. SOMMARIO FINALE DELL'INSEGNAMENTO DI GESÙ, INSEGNAMENTO AL QUALE ISRAELE AVEVA RICUSATO DI DARE ASCOLTO
44. Or Gesù gridò e disse:
Quest'ultimo paragrafo del capitolo 13 ha dato luogo ad una grande diversità di opinioni, a motivo delle parole colle quali esso principia. Fu esso detto in pubblico o in privato? Lo si deve considerare come un nuovo discorso, o come una ripresa ed una continuazione di quello che finì in Giovanni 12:36. O ancora lo si deve ritenere non già come un discorso vero e proprio del Signore, nella forma almeno in cui ci vien presentato, bensì come un sommario della sua dottrina, sommario dato dall'evangelista con parole pronunziate da Gesù nei suoi discorsi precedenti? Ciascuna di queste teorie ha avuto i suoi sostenitori. Che non sia questa una continuazione del discorso cui diede luogo l'arrivo dei proseliti greci, ci pare evidente dal modo reciso in cui quel discorso vien terminato al ver. 36 Giovanni 12:36 e sembra meno evidente che Gesù non pronunziò le parole di questo versetto in presenza dei soli discepoli, poiché è detto al principio che egli "gridò". Di più la natura e il tuono delle parole medesime ci fanno l'impressione che esse furono rivolte ai Giudei, non ai discepoli. Che questo sia un nuovo discorso, pronunziato l'indomani del giorno in cui fu udita la voce dal cielo, pare anche meno probabile a motivo del modo ex-abrupto col quale principia, senza la minima indicazione di tempo o di luogo. La teoria più probabile, e quella invero che trova il maggior numero di sostenitori, si è che Giovanni, dopo avere esposto il fatto della ostinata incredulità dei Giudei, oppone a quello un sunto della dottrina di Cristo, espresso colle stesse sue parole, ovvero, come dice Brown, "un ricordo supplementare di alcune gravi proclamazioni le quali, benché già ricordate nella loro sostanza, non erano ancora state espresse in altrettante parole; ma ci vengono ora presentate come un sommario o una conclusione dell'intera sua testimonianza". Questa spiegazione è sostanzialmente ammessa da quasi tutti i commentatori moderni, fra i quali notiamo Bengel, Olshausen, Meyer, Stier, Godet, Alford, Westcott, Milligan, Brown ecc. "Se ben ci apponiamo", dice Milligan "le parole sono di Gesù; la scelta delle medesime di Giovanni".
Chi crede in me non crede in me, ma in colui che mi ha mandato.
In nessuno dei discorsi di Gesù giunti fino a noi, si trovano letteralmente queste parole; il pensiero che esse esprimono vi si incontra però ripetutamente, Confr. Giovanni 5:36; 7:16-17; 8:19; 10:38. Gesù sempre insegnò che l'unione fra lui e il Padre suo era così intima, che qualunque fede in lui doveva pur essere fede nel Padre. Egli compiva le opere, parlava le parole, insegnava la dottrina, che aveva ricevuto da Dio Giovanni 9:4; 8:26,28. Qui è ripetuta la medesima verità, che, cioè, sussiste fra lui ed il Padre unità così intima che chiunque crede in lui crede pure di necessità nel Padre che lo ha mandato. Il Figlio non si pretende in verun modo indipendente dal Padre. "Gesù venne quale ambasciatore del Padre, ed un ambasciatore non ha valore alcuno indipendentemente dal sovrano che lo ha mandato. Non solo è impossibile accettar l'uno e rigettar l'altro; ma accettare il rappresentante è un accettare non lui personalmente, bensì il principe ch'egli rappresenta. Zwingli, citato da Ryle, considerando che queste parole sono come una risposta alla incredulità dei Giudei, le intende così "Non crediate che sia cosa di poco momento il non credere in me. Credere in me è lo stesso che credere in Dio Padre; conoscer me equivale a conoscere il Padre".

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:28; 11:43; Proverbi 1:20; 8:1; Isaia 55:1-3
Giovanni 13:20; Matteo 10:40; Marco 9:37; 1Pietro 1:21

45 45. E chi vede me vede colui che mi ha mandato.
Se non abbiamo ancora trovato questo detto, troveremo una parola che molto lo assomiglia in Giovanni 14:9. La parola vuol dire vedere, nel senso di contemplare, guardar fiso ed a lungo, e la traduzione di Diodati è alquanto debole. Il Signore non vuol dire però che chiunque lo contemplava cogli occhi della carne in quel momento stesso contemplava la prima persona della Trinità, imperocché nessuno può vedere Iddio in quel modo Esodo 33:20, e Paolo dice di Dio Padre: il quale niun uomo ha veduto, né può vedere 1Timoteo 6:16. Egli intendeva dire senza dubbio che, contemplandolo, il fedele contempla colui che è uno col Padre, "lo splendore della gloria, e il carattere della sussistenza d'esso" Ebrei 1:3. Questo versetto è una valida conferma della sua uguaglianza con Dio, e, unito al precedente, prova in modo innegabile la divinità del Signor Gesù. Se il Figlio non fosse della essenza medesima del Padre, chi contempla il Figlio non potrebbe in verun modo contemplare il Padre. Ma se credere in Cristo è credere nel Padre, se vedere il Cristo è vedere il Padre, Gesù deve essere uguale al Padre vero ed eterno Dio. Tali cose, dette di Isaia o di Paolo, sarebbero una bestemmia; ma Gesù sempre le dice di sé stesso, come si parla di una cosa naturale e fuori di ogni contestazione.

PASSI PARALLELI
Giovanni 12:41; 14:9-10; 15:24; 2Corinzi 4:6; Colossesi 1:15; Ebrei 1:3; 1Giovanni 5:20

46 46. Io, che son la Luce, son venuto nel mondo, acciocché chiunque crede in me non dimori nelle tenebre.
Che Cristo sia la luce del mondo non è detto solo nel prologo di questo Vangelo Giovanni 1:7-8; è pure spesso ripetuto da Gesù stesso nei suoi discorsi Giovanni 3:19; 8:12; 9:5,39; 12:35-36. Con questa figura, il Signore proclama una volta di più, che lo stato normale in cui trovansi e in cui debbono per sempre rimanere tutti gli increduli è quello delle tenebre della ignoranza naturale dell'errore e del peccato Giovanni 3:19-20, e che lo scopo della sua venuta era di risplendere in mezzo alle tenebre per liberarne tutti quelli che crederanno in lui, e far di essi dei "figliuoli della luce". Credono alcuni, e non senza qualche probabilità, che le parole "non dimori nelle tenebre" contengano un'allusione a quei Giudei che credevano in Gesù come Messia, ma non ardivano confessarlo, ed una esortazione ad essi rivolta a non perseverare in quello stato. Dice Ryle: "Le molte e preziosissime verità contenute in questo versetto meritano tutta la nostra attenzione: Il mondo giace nelle tenebre Cristo ne è la sola luce, la fede è l'unico modo di aver parte con Cristo, chi crede più non abita nelle tenebre spirituali, ma gode la luce dello Spirito, chi non crede continua in uno stato di tenebre, che è il preludio dell'inferno".

PASSI PARALLELI
Giovanni 12:35-36; 1:4-5; 3:19; 8:12; 9:5,39; Salmi 36:9; Isaia 40:1; Malachia 4:2; Matteo 4:16
Luca 1:76-79; 2:32; Atti 26:18; 1Giovanni 1:1-3; 2:8-9
Isaia 42:7,15; Efesini 5:14

47 47. E se alcuno ode le mie parole e non crede,
Dopo aver fatto conoscere i privilegi di quelli che credono in lui, il Signore rivela ora i pericoli e la rovina che minacciano quanti odono la sua dottrina, ma non la vogliono ricevere. Benché il "non crede" di questo versetto corrisponda al "crede" del precedente, il maggior numero degli espositori moderni voglion qui il verbo "osserva", anziché "crede", e questo si può adottare poiché non muta materialmente il senso. Le persone descritte in questo versetto sono simili a quelli che ricevono il seme lungo la strada Matteo 13:19, i quali odono bensì le parole, ma non ne fanno tesoro nel loro cuore, e nemmanco le ricordano nella mente, sicché riescono affatto improduttive ed inutili.
io non lo giudico; perciocché io non son venuto a giudicare il mondo, anzi a salvare il mondo.
A prima vista, sembra esservi contraddizione fra queste parole e quelle di Giovanni 5:27; in realtà non ne esiste alcuna, perché in quel passo Gesù parla della sua seconda venuta per giudicare i vivi ed i morti, mentre qui ragiona dello scopo della prima sua venuta, sotto forma di servitore. L'intento suo attuale non era di condannare gli uomini; in un tempo avvenire egli tornerà per condannare i colpevoli, ma la prima volta egli è venuto per salvare il mondo. Perciò egli non pronunzia una sentenza finale neppur su quelli che lo rigettavano, ma lascia loro ancora l'opportunità di salvarsi.

PASSI PARALLELI
Giovanni 12:48; 5:45; 8:15-16,26
Giovanni 3:17; Matteo 18:11; 20:28; Luca 9:56; 19:10; 1Timoteo 1:15-16; 2Pietro 3:15
1Giovanni 4:14

48 48. Chi mi sprezza, e non riceve le mie parole, ha chi lo giudica; la parola che io ho ragionata sarà quella che lo giudicherà nell'ultimo giorno.
Dall'uditore dimentichevole, la cui leggerezza od indifferenza ha lasciato involarsi dalla sua memoria e dal suo cuore le parole che avrebbe dovuto conservarvi, Gesù passa, in questo versetto, all'uomo che deliberatamente lo disprezza e rigetta la sua dottrina. Non pensi un tale che, così facendo, sfuggirà ad ogni responsabilità. Egli pure ha il suo giudice, che lo segue attraverso la vita, e nel giorno del giudicio finale lo condannerà, e quel giudice sarà per l'appunto quella mia rigettata parola, che offrivagli perdono, santificazione e vita eterna. Cristo siederà all'ultimo momento qual giudice supremo ed universale Atti 17:31, e su ciascun individuo pronunzierà la sua sentenza eterna Matteo 25:31-46. Ma egli ciò farà applicando a ciascuno la regola della sua propria parola, poiché qui ci annunzia che è la "sua parola", pronunziata durante il suo ministero terreno, la quale, come legge, discrimina e giudica. Quel medesimo messaggio di grazia e di salute, che il peccatore avrà respinto, si alzerà nella sua memoria per condannarlo, e dimostrerà all'universo intero la giustizia della sua sentenza.

PASSI PARALLELI
Deuteronomio 18:19; 1Samuele 8:7; 10:19; Isaia 53:3; Matteo 21:42; Marco 8:31; 12:10
Luca 7:30; 9:22,26; 10:16; 17:25; 20:17; Atti 3:23; Ebrei 2:3; 10:29-31
Ebrei 12:25
Giovanni 3:17-20; Marco 16:16; 2Corinzi 2:15-16; 4:3; 2Tessalonicesi 1:8
Giovanni 11:24; Matteo 25:31; Romani 2:16; Ebrei 9:27-28

49 49. Perciocché io non ho parlato da me medesimo; ma il Padre che, mi ha mandato è quello che mi ha ordinato ciò ch'io debbo dire e parlare.
Abbiam già trovato ripetutamente in questo Vangelo la sostanza di questo versetto, Vedi Giovanni 3:34; 5:19,30; 7:16-17,29; 8:26,28,38. Gesù ci dà qui la ragione per la quale quelli che sprezzano e rigettano la sua parola saranno da quella parola medesima giudicati all'ultimo giorno; e questa ragione si è, che quanto egli aveva insegnato non proveniva da lui solo, non era basato sulla sola sua autorità, per quanto grande e indiscutibile essa fosse. Ci dichiara che, allorquando scese in terra, il Padre, che ve lo mandava qual suo ambasciatore, gli diede stretto comando riguardo a tutto ciò che egli doveva parlare; in altre parole, il suo insegnamento è la esposizione degli eterni consigli della santissima Trinità, epperciò fondato su la più alta autorità che si possa immaginare. Per questa ragione, le sue parole, se rigettate, portano seco la condanna eterna del peccatore impenitente. Benché molti, e fra gli altri Burgon, abbiano suggerito una distinzione fra "dico" e, "parlo", dando al primo il senso di conversazione famigliare, e all'ultimo quello di un discorso più solenne, non pare ad Alford che vi sia fra quei due verbi nessuna differenza reale, poiché tutti e due sono riassunti nel del vers. seguente.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:11,32; 5:30; 6:38-40; 8:26,42; 14:10; 15:15; 17:8; Deuteronomio 18:18; Apocalisse 1:1

50 50. E io so che il suo comandamento è vita eterna; le cose adunque ch'io ragiono, così le ragiono come ti Padre mi ha detto.
Per affermazioni consimili, implicanti il diritto di Gesù di dare la personale sua testimonianza relativamente alle cose di Dio Vedi Giovanni 3:11,13; 6:46; 7:29; 8:14,16. Abbiamo qui in conclusione la testimonianza del Figliuolo di Dio relativamente ai comando che il Padre aveagli dato, e che era la missione di predicare il Vangelo, ossia la vita eterna per tutti quelli che crederanno. E quel Vangelo non è solo un mezzo di salute; è pure una potenza dimorante in noi, dimodoché, la rigettino o la ricevano gli uomini, rimane in eterno. Il Signore ci dà pure qui la ragione della sua fedeltà e del suo zelo nel disimpegno del ministero terreno che gli era stato affidato. Egli è perché sapeva che la vita eterna dipende dalla fedele predicazione del messaggio di Dio, che non si ristette mai dal proclamarlo, ad onta di qualsiasi opposizione, e sfidando qualsiasi pericolo. Da questo versetto è lecito inferire, che, siccome la sua dottrina indica l'unica via della vita, devono infallantemente incorrere nella condanna quelli che la rigettano. Di più il santo ardire di quest'ultimo versetto deve essere un esempio per ogni ministro, ed ogni predicatore dell'Evangelo. Ognuno di essi dovrebbe poter dire con piena fiducia: "Io so e son convinto che il messaggio che io reco è vita eterna, per chiunque lo riceve mediante la fede, e che, nel proclamarlo altro non dico se non quanto Iddio mi ha insegnato nella sua Parola". La seguente osservazione di Brown si presenta molto appropriata alla fine di questo versetto: "Il racconto del pubblico ministero del Signore si chiude adunque, nei tre primi Vangeli, mediante un addio solenne dato al tempio, fino a quel momento "casa del Padre", e centro di tutte le solennità della Chiesa, ed in questo quarto Vangelo, con un addio non meno solenne dato al popolo, nel quale fino a quel momento stava rappresentato il regno visibile di Dio in terra".

PASSI PARALLELI
Giovanni 6:63,68; 17:3; 20:31; 1Timoteo 1:16; 1Giovanni 2:25; 3:23-24; 5:11-13,20

RIFLESSIONI
1. Il convito fatto a Betania in onore di Cristo ci presenta delle prove più che sufficienti del maggiore dei miracoli di Gesù. Ivi sedeva quel Lazzaro, il quale, poche settimane prima, era stato dal Signore chiamato ad uscire dal sepolcro, dove giaceva morto da ben quattro giorni. La sua presenza non poteva spiegarsi come una illusione ottica, né poteva alcuno degli astanti figurarsi che vedeva un fantasma; imperocché, sin dal giorno della sua risurrezione, gli abitanti di Betania lo avevano veduto andare e venire fra di loro, e quivi egli sedeva corporalmente mangiando e bevendo cibo materiale. Qual prova più chiara potevasi domandare della sua risurrezione? Chi non vuol lasciarsi convincere da essa dichiari pure che è deciso a non accettar prova alcuna. È consolante il pensare questi giorni di incredulità e di scetticismo, che, della assai più importante risurrezione di Cristo, abbiamo delle prove non meno indubitabili che della risurrezione di Lazzaro. Egli pure fu visto, risuscitato, dai suoi discepoli; mostrò loro le sue mani e i suoi piedi; mangiò in lor presenza "un pezzo di pesce arrostito e di un fiale di mele", e li invitò a toccarlo ed a convincersi che era un corpo reale il suo, "conciossiaché uno spirito non abbia carne, né ossa, come mi vedete avere Luca 24:39,42. Se dunque crediamo che Lazzaro è risorto, non possiamo dubitar neppure della risurrezione di Gesù, e se crediamo alla sua, risurrezione, dobbiamo accettarlo come Messia e la sua risurrezione come un'arra certissima della nostra propria" (Ryle).
2. È chiaro dalle parole di Gesù al ver. 8 Giovanni 12:8 che la povertà esisterà sempre nel mondo; né dobbiamo meravigliarcene. Finché la natura umana continuerà ad esser quello che è, vi saranno sempre dei ricchi e dei poveri, perché gli uni saranno diligenti e gli altri infingardi; gli uni forti e gli altri deboli; gli uni prudenti e regolati e gli altri stolti e dissipatori. Nessun sistema, nessuna legge civile od ecclesiastica potrà mai fare scomparire la povertà. Sappiamo d'altra parte che i poveri e i bisognosi furono mai sempre oggetto della tenera sollecitudine del Signore, e quelle parole di Gesù non ebbero certo per scopo di insegnarci non venire in aiuto ai poveri, bensì di giustificare l'atto di Maria contro le cavillose obbiezioni del traditore Giuda.
3. L'Evangelista ci riferisce in modo molto conciso l'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme senza dubbio perché il fatto era già ben noto dagli altri Vangeli. Importava però che lo accennasse, non solo perché la profezia di Zaccaria 9:9, pronunziata 500 anni prima era in quel fatto perfettamente adempiuta, ma pure per attirare l'attenzione dei suoi lettori sul rango reale di Gesù, qual figliuol di Davide, ed erede legittimo della corona di Israele, "il re che viene nel nome, del Signore", al momento preciso in cui la nazione stava per rigettarlo, e i rettori della medesima per crocifiggerlo. Nel modo stesso in cui un re vien ricevuto nella sua capitale, così fu Gesù accolto in Gerusalemme da moltitudini recanti palme nelle mani, ed acclamanti al suo nome, nel mondo più confacente al suo regno spirituale, e ciò ad onta di tutti gli sforzi in contrario dei suoi nemici Vedi Esposizione e Riflessioni Luca 19:29-Luca 19:40. È interessante ed importante al tempo stesso la confessione dell'evangelista in Giovanni 12:16, perché fa vedere che la piena intelligenza di questa, e probabilmente anche di altre profezie, in circostanze analoghe, fu l'effetto della luce prodotta nella mente degli apostoli dallo Spirito Santo, dopo l'ascensione di Gesù.
4. Gli omaggi resi al loro Maestro nel suo ingresso trionfale in Gerusalemme, e la domanda dei proseliti greci di vederlo, avevano probabilmente eccitato la mente dei discepoli, facendo loro credere vicino lo stabilimento del suo regno temporale, al momento in cui stavano per cominciare le sue sofferenze. Perciò, affinché le loro menti carnali non si scandalizzassero, all'idea della sua morte, Gesù illustra in Giovanni 12:24 quanto sta per accadere, mediante un fatto molto ordinario in natura, il fatto che nei semi e nelle piante la vita scaturisce dalla morte. Il seme deve venir sepolto in terra, deve venir distrutto e morire, se si vuole che porti il suo frutto, e produca una nuova raccolta. Così deve avvenire per il Salvatore medesimo. La morte di Cristo è la vita del mondo. Da essa, come da seme infinitamente prolifico, deve nascere una messe infinita di benedizioni per le anime, e di gloria per Dio. I discepoli non dovevano dunque lasciarsi turbare ed affliggere da quanto stava per accadere al loro Maestro, perché solo attraverso la morte poteva il Figliuol dell'uomo giungere alla gloria.
5. Per quanto concerne il significato dell'agitazione dello spirito del Redentore all'avvicinarsi della sua "ora" Giovanni 12:27, della sua preghiera per venirne liberato, e al tempo stesso della sua sottomissione alla volontà del Padre, nonché per la prova del carattere penale delle sue sofferenze e della sua morte, rimandiamo il lettore alle nostre osservazioni sui medesimi fatti, quali essi si riprodussero nell'agonia di Gesù in Ghetsemane, della quale la scena descritta in questo capitolo fu come una momentanea anticipazione, Vedi Riflessione Marco 14:42.
6. Quando la voce del Padre celeste ebbe rinfrancato il cuore umano di Gesù, Egli proclamò che un dei frutti più gloriosi della sua morte sarebbe il "cacciar fuori il principe di questo mondo", cioè Satana. Questo prova in modo indubbio la realtà e la potenza del diavolo. È strano che si possa negare la sua esistenza, quando Gesù lo chiama "il principe di questo mondo"; ma più strana ancora ci pare la condotta di quelli che, pur credendo che il diavolo esiste ed è potentissimo, ne parlano con leggerezza o se ne fanno beffe. Egli opera tuttora nei "figliuoli della disubbidienza", e i credenti devono star sempre in guardia contro di lui. Il vero cristiano però si conforti col pensiero che Satana è un nemico debellato. La parte migliore della sua potenza gli venne rapita la prima volta che Gesù venne in terra, e benché egli tuttora "vada attorno come un leone ruggente, cercando chi egli possa divorare", egli sarà "gettato nell'abisso", durante il periodo dei millennio, e "nello stagno del fuoco e dello zolfo", "quando Cristo apparirà la seconda volta, senza peccato a salute" Apocalisse 12:9-10; Ebrei 9:28.
7. "Il potere straordinario che l'amore del mondo esercita sul cuore degli uomini, ben si vede nella condotta di quei 'principali' di cui ci vien parlato in Giovanni 12:42. La ragione e la coscienza obbligavano quegli infelici a riconoscere nel segreto del loro cuore che Gesù era il Messia, il Cristo di Dio, e che nessuno poteva fare i miracoli che egli faceva, se Iddio non era con lui. Ma non avevano il coraggio di confessarlo. Non bastava loro l'animo di sfidare il ridicolo, forse la persecuzione, cui una tale confessione li esponeva, e vilmente tacquero, tenendosi per sé le loro convinzioni. V'ha luogo di temere che il loro sia un caso anche troppo comune. Vi sono migliaia di persone, le quali conoscono la religione, ma non vivono conformemente ad essa. Sanno di non vivere secondo la luce che posseggono, sentono che sarebbe stretto loro dovere dichiararsi francamente cristiani; ma li trattiene la paura del mondo. Temono il ridicolo ed il disprezzo; non vorrebbero perdere la buona opinione di quelli che sono simili a loro. E così vanno avanti un anno dopo l'altro, infelici in segreto e scontenti di sé stessi. Conoscono troppo bene la religione per essere felici nel mondo, e son troppo affezionati al mondo per godere la religione. Per tali malattie dell'anima uno solo è il rimedio: la fede. La fede, che è una dimostrazione dell'invisibile, è il gran segreto per sormontare il timore degli uomini" (Ryle). "Questa è la vittoria che ha vinto il mondo, cioè la fede nostra" 1Giovanni 5:4.
8. "La sorte eterna di quelli che avranno udito l'evangelo dipenderà essenzialmente dalle disposizioni del loro cuore e della loro mente riguardo a Cristo, se cioè si saranno sottomessi di cuore a lui, o lo avranno rigettato. 'Chi non è con me è contro di me': tal sarà lo spirito della gran decisione in quel giorno, riguardo a quanti avranno avuto conoscenza dell'Evangelo" (Brown).