Giovanni 13
CAPO 13. Fra la fine del cap. 12 e il principio di questo, cioè dalla domenica sera al martedì sera, occorsero i fatti e i discorsi riferiti in Matteo 21:28; 26:5; Marco 11:12; 14:2; Luca 20:1; 22:6.

ANALISI
1. La cena pasquale; Gesù lava i piedi dei suoi discepoli. Benché Giovanni non si occupi nel suo Vangelo della istituzione della Cena del Signore, egli fa chiaramente allusione alla festa di Pasqua, in occasione della quale quella fu istituita. I fatti raccontati in questo capitolo corrispondono esattamente a quelli che i Sinottici riferiscono come occorsi in quella circostanza, sicché non si può dubitare che Giovanni parli della medesima festa. Nelle ore che precedettero la celebrazione dell'ultima pasqua che dovevano mangiare insieme, l'amore di Gesù pei suoi discepoli riempì più che mai il suo cuore, e lo spinse non solo a dire, appena principiata la cena: "Io ho grandemente desiderato di mangiar questa pasqua con voi, innanzi che io soffra" Luca 22:15, ma pure a mostrar la profondità del suo amore, umiliandosi, lui, il Signore della festa, fino a prendere il posto di servo, ed a lavare loro i piedi. L'evangelista che di quell'alto onore fu partecipe, racconta il fatto con molti particolari e fra le altre cose ricorda la condotta di Pietro, il quale, conscio della propria indegnità, ricusò di lasciarsi lavare i piedi da Gesù, finché il Signore non gli ebbe spiegato il senso di quell'atto e l'importante insegnamento che per mezzo di esso voleva dare ai suoi apostoli eletti, nonché a quanti crederebbero in lui nel seguito dei tempi Giovanni 13:1-17.
2. Gesù rivela ai suoi discepoli che uno di loro lo tradirà. Non v'ha dubbio possibile che Gesù lavò i piedi a Giuda come agli altri; ma non lo fece per ignoranza, perché non appena ripreso il vestito di sopra, che si era tolto per esser più libero nei suoi movimenti Giovanni 13:4, e sedutosi di nuovo alla mensa, egli annunziò che non tutti erano netti, ma che in uno di essi si realizzerebbe la descrizione profetica del traditore fatta in Salmi 41:9; e dipoi, "turbato nello spirito", dichiarò esplicitamente che uno di loro lo tradirebbe. L'effetto naturalissimo di una tale dichiarazione di Gesù fu di riempire i discepoli di timore e di renderli sospettosi gli uni degli altri. Finalmente Pietro accennò a Giovanni, il quale trovavasi più vicino al Maestro, di accertarsi di chi egli intendesse parlare. Il nome di Giuda non fu pronunziato; ma Gesù diede a Giovanni un segno al quale non poteva mancare di riconoscerlo. Dopo che Giuda ebbe preso il boccone datogli dal Signore, Satana entrò in lui, ed, egli, licenziato dal Signore con significanti parole, uscì per tradirlo, mentre i più fra i suoi compagni credevano che fosse andato ad adempiere qualche incombenza datagli li dal Maestro, perché portava la borsa comune alla piccola comitiva Giovanni 13:18-30.
3. Gesù riprende il discorso interrotto. Come se si sentisse liberato da un peso intollerabile, Gesù riprende ora il discorso rimasto interrotto in Giovanni 13:17, inculcando, agli apostoli il dovere dell'amor fraterno, secondo l'esempio che egli stesso aveva loro dato, e ciò affinché il mondo li possa conoscere per i suoi discepoli Giovanni 13:31-35.
4. Pietro è avvisato della sua caduta. Gesù avendo detto Giovanni 13:33 ai discepoli che stava per andare laddove non lo potrebbero seguire, Pietro fu condotto dalla sorpresa a domandare: "Signore, dove vai?" Gesù avendo risposto in linguaggio pur sempre enigmatico, l'apostolo, colla solita temeraria fiducia in sé medesimo, si dichiarò pronto a qualunque sacrificio, perfino a quello della vita, per il suo Maestro. In risposta ad un tale vanto, Gesù gli annunziò che quella notte stessa, prima che il gallo avesse cantato, egli lo avrebbe rinnegato tre volte Giovanni 13:36-38.

Giovanni 13:1-20. TERMINATA LA CENA PASQUALE, CESÙ LAVA I PIEDI DEI SUOI DISCEPOLI, QUINDI SPIEGA QUAL LEZIONE INTENDEVA INSEGNARE CON QUESTO ATTO SIMBOLICO

1. Or avanti la festa di Pasqua,
Queste parole di introduzione indicano al tempo stesso il momento e il soggetto cui questo paragrafo si riferisce. Le solennità pasquali avevano principio col pasto nel quale ogni famiglia mangiava l'agnello, con tutti i riti anticamente prescritti da Mosè, colla sola differenza che, invece di mangiare stando in piedi, ognuno reclinava nel modo ordinario, Confr. Esodo 12:8,11 e Maimonides Pesach 10:1, e siccome nei versetti che seguono vien descritto un pasto simile a quello, le parole "avanti la pasqua" hanno dato non poco da fare a certi commentatori. Meyer ed altri sostengono che la cena di cui vien qui parlato non può essere la cena Pasquale, poiché ebbe luogo avanti la Pasqua, e credono che avvenisse in qualcuna delle sere che precedettero il Giovedì 14 Nisan. Secondo questa teoria, la prova del suo affetto da Gesù data ai suoi discepoli col lavare loro i piedi non ebbe nulla che fare colla festa di Pasqua; anzi Gesù non mangiò più quella volta l'agnello pasquale. "Su questa questione e sull'altra, se cioè Cristo e i suoi discepoli mangiarono la Pasqua al tempo stesso che i Giudei in generale, Vedi Note Luca 22:14. Altri ritengono l'opinione anche più stravagante ed insostenibile, che la Pasqua giudaica, era stata trasformata in un'agape cristiana, la quale precedette la istituzione della Santa Cena, e che quella, e non la Pasqua, è precisamente la festa qui descritta da Giovanni. Una tal teoria non crediamo davvero meriti di venir confutata. In quanto alla obbiezione di Meyer più sopra enunciata, di sembra evidente che la cena di cui parla qui Giovanni sia la medesima che quella descritta dai Sinottici sotto il nome di Pasqua, e ciò per le seguenti ragioni:
1. Il modo in cui ci vien presentata da Giovanni prova che non era una cena ordinaria.
2. In Giovanni 21:20 essa vien ricordata come la cena nella quale Giovanni era coricato in sul petto di Gesù.
3. Nel racconto di; Luca dell'ultima cena, leggiamo che Gesù disse ai suoi discepoli: Io sono in mezzo di voi come colui che serve Giovanni 13:22,27, e queste parole sono un'allusione evidente al lavacro dei piedi, ricordato dal solo Giovanni.
4. I Sinottici affermano tutti che i discepoli rimasero sorpresi quando Gesù dichiarò che nel loro numero vi era un traditore Matteo 26:21-25; Marco 14:18-21; Luca 22:21-23; or ciò non sarebbe stato possibile se un giorno o due prima, Gesù avesse loro annunziato la medesima cosa nel loro pasto ordinario della sera.
La difficoltà proveniente dalle parole è creata unicamente dagli oppositori col dare all'avanti la Pasqua un significato troppo retrospettivo. Essa svanisce del tutto coll'applicare avanti, non ai giorni, ma alle ore che precedettero immediatamente la cena pasquale, e durante le quali Gesù ordinò i preparativi per celebrarla degnamente, e per quello che intendeva farvi. Oltre a moltissimi antichi commentatori, i moderni Stier, Alford, Brown, Luthardt e Fairbairn si accordano in sostanza su questa interpretazione. Per questa, e per altre questioni che sorgono meramente da alcune espressioni che troviamo in questo quarto Vangelo, Vedi le note su Luca 22:14.
Gesù, sapendo che la sua ora era venuta, da passar di questo mondo al Padre; avendo amati i suoi ch'erano nel mondo, li amò infino alla fine.
Gli altri Vangeli ci riferiscono quali ordini precisi il Cristo diede ai due discepoli che aveva mandati da Betania, nel giorno 14 di Nisan, per preparare la stanza e tutte le cose necessarie alla celebrazione della Pasqua Matteo 26:17; Marco 14:12; Luca 22:7. Giovanni fa conoscere i pensieri di Gesù quando fu giunto il giorno della sua partenza per tornarsene al Padre, e ce lo mostra occupato a cercar qual prova poteva dare ai suoi discepoli, che l'amore col quale li aveva scelti rimaneva immutato fino alla fine del suo soggiorno terrestre. Questa è la interpretazione più comune delle parole, come si può vedere da Matteo 10:22; 24:13; Luca 18:5; 1Tessalonicesi 2:16; ma esse possono pure significare "in un grado estremo", "ad un punto altissimo". In questo caso i due sensi si completano a vicenda, imperocché, se il lavacro dei piedi degli apostoli, l'istituzione della Santa Cena, e l'inarrivabile discorso che precedette di così poco il suo arresto in Ghetsemane, ci dànno prove indubitabili che l'amore di Gesù per i suoi discepoli rimase fino all'ultimo immutato, il fatto che, al momento in cui stavano per principiare le sue terribili sofferenze, egli poteva dimenticare sé stesso, ed occuparsi solo di quei discepoli che stava per lasciar orfani nel mondo, affine di fortificare la loro fede, e provveder loro delle consolazioni per i giorni del dolore, ci presenta pure la prova di un amore che raggiunge il culmine più alto possibile.

PASSI PARALLELI
Giovanni 6:4; Matteo 26:2-5; Marco 14:1-2; Luca 22:1-2
Giovanni 7:6,30; 8:20; 11:9-10; 12:23; 17:1,11; 18:4; Matteo 26:45; Luca 9:51
Luca 13:32-33; 22:53
Giovanni 13:3 14:28; 16:5-7,28; 17:5,11,13
Giovanni 13:34; 15:9-10,13-14; 17:9-10,14,16,26; Geremia 31:3; Romani 8:37; Efesini 5:25-26
1Giovanni 4:19; Apocalisse 1:5
Matteo 28:20; 1Corinzi 1:8; Ebrei 3:6,14; 6:11; 1Pietro 1:13

2. E finita la cema
questa una traduzione molto imperfetta del verbo poiché Giovanni 13:12,26 ci provano che la cena non era finita, neppure quando Gesù ebbe lavati i piedi ai discepoli, o dato il boccone a Giuda. Quel verbo deve significare: la cena essendo incominciata, e forse anche: la cena essendo pronta, o all'ordine. Quest'ultimo è il senso più appropriato in questo passo, ed è appoggiato da un uso analogo della parola in Giovanni 21:4 in Matteo 26:6; Luca 4:42; Atti 12:18. Dall'intero racconto, non si potrebbe capire perché, se già era principiata la cena, il Signore l'avesse interrotta per lavare i piedi dei discepoli. La contesa che sorse fra di loro per sapere chi sarebbe il primo nel regno del Messia, Vedi Luca 22:24, viene da alcuni commentatori indicata come l'occasione di quella interruzione; ma ciò ci, sembra inammissibile:
1. perché essa occorse dopo la istituzione della Santa Cena Luca 22:19-20;
2. perché il Signore redarguì con un rimprovero speciale quello scoppio di gelosia fra i suoi discepoli.
Dall'altra parte era l'abitudine che un servo lavasse i piedi ai convitati prima che si mettessero a tavola, e v'ha ogni ragione di credere che Gesù volle precisamente compiere un tale ufficio servile verso i suoi discepoli.
avendo già il diavolo messo nel cuor di Giuda Iscariot, figliuol di Simone, di tradirlo
L'ordine delle parole è nel greco: "Giuda di Simone, Iscariot", il che mostra evidentemente che quest'ultimo nome indica il suo luogo di nascita. I critici moderni asseriscono che il testo greco genuino corre così: il diavolo avendo già messo nel cuore che lo tradisse Giuda figliuolo di Simone Iscariota. Una tale costruzione è così intricata e difficile che si asserisce essere il testo ricevuto una ricostruzione della proposizione per toglierne le difficoltà. Già alcuni giorni prima di questa cena, Satana aveva influenzato la mente del traditore al punto che egli aveva pattuito il prezzo del tradimento, e da quell'ora in poi stava spiando il momento di mettere ad esecuzione l'infame progetto. Questo si accorda benissimo colla dichiarazione di Giovanni 13:27, che quando egli ebbe da Gesù ricevuto il boccone, Satana entrò in lui, ossia prese così completo e definitivo possesso del suo cuore, che Giuda fece tacere qualsiasi vestigio di scrupolo, e corse ad avvisare i sommi sacerdoti che quella notte stessa si presenterebbe la tanto sospirata occasione di arrestare Gesù. Il peccato dell'avarizia, da Giuda così lungamente accarezzato in cuore, fu il mezzo di cui Satana si servì per mandarlo in perdizione. Ciononostante alcuni sostengono che il peccato di Giuda non va attribuito ad un motivo così vile, e vogliono vedere in lui un discepolo troppo zelante ed impaziente, che non voleva punto il male del suo Maestro, e solo cercò di effettuare lo stabilimento del regno del Messia, certo che Gesù, anche dopo il suo arresto, avrebbe provveduto con un miracolo alla propria salvezza. Ma una tale teoria è insostenibile di fronte alle parole di Gesù, il quale, leggendo nel suo cuore, lo chiama "diavolo" Giovanni 6:70, mentre il nostro evangelista dichiara che egli era "ladro" Giovanni 12:6. La ragione per la quale ci vien riferito qui questo particolare riguardo a Giuda sarebbe, secondo Crisostomo, Calvino e Luthardt, il desiderio dell'evangelista di mettere in piena luce l'amore e la pazienza di Gesù; secondo Meyer, di mostrar con qual divina elevazione il Signore andava incontro alle sue sofferenze; secondo Luke, di indicare che il tempo premeva, e secondo Godet, di spiegare le frequenti allusioni che Gesù fa al traditore durante, il resto di quella sera memorabile, e di esaltare l'amor suo riferendoci come, quantunque conoscesse i pensieri più segreti di Giuda, ciononostante gli lavò i piedi come agli altri. Non è impossibile che questo particolare ci venga riferito per tutti questi motivi uniti insieme.

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:4,26
Giovanni 13:27; 6:70; Luca 22:3,31; Atti 5:3; Efesini 2:3
Esdra 7:27; Nehemia 2:12; 2Corinzi 8:16; Giacomo 1:13-17; Apocalisse 17:17

3. Gesù, sapendo che il Padre gli avea dato ogni cosa in mano, e ch'egli era proceduto da Dio e se ne andava a Dio
Questo versetto contiene un'altra ragione di quanto Gesù stava per fare nell'umiliare sé stesso, ed adempiere all'ufficio di uno schiavo, e questa è che quanto avvicinavasi per lui non aveva punto scemato la certezza sua di essere uno col Padre, di aver ricevuto da Lui la sua missione, e di dover presto tornare alla sua destra. Né il tradimento di Giuda, né le sofferenze cui quello lo doveano condurre gli fecero dimenticare un momento la propria eccellenza e la propria grandezza, il potere e l'autorità affidatagli da Dio. Sapeva di esser venuto dal Padre mediante la incarnazione, e di dover tornare a lui mediante le sofferenze della croce, e ciò rende tanto più mirabile la sua condiscendenza verso i suoi discepoli.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:35; 5:22-27; 17:2; Matteo 11:27; 28:18; Luca 10:22; Atti 2:36; 1Corinzi 15:27
Efesini 1:21-22; Filippesi 2:9-11; Ebrei 1:2; 2:8-9
Giovanni 13:1; 1:18; 3:13; 7:29,33; 8:42; 16:27-28; 17:5-8,11-13

4. Si levò dalla cena, e pose giù la sua vesta; e preso uno asciugatoio, se ne cinse.
Se non andiamo errati nel credere che Giovanni 13:2 significa che la cena era preparata, ma non principiata, la prima parte di questo versetto significherebbe che quando ciascuno ebbe preso il suo posto, e prima che l'agnello arrostito intero fosse stato portato in tavola, il Signore si alzò dal posto suo, e toltosi il vestimento di sopra, che avrebbe impedito la libertà dei suoi movimenti, si cinse di uno asciugatoio, a modo di un servitore. Così era completa l'umiliazione del Signore nel prendere su di sé "la forma di servo". Però ci ripugna l'idea, di alcuni commentatori che egli si spogliasse interamente per cingersi semplicemente di un pezzo di stoffa, come il più vile degli schiavi.

PASSI PARALLELI
Luca 12:37; 17:7; 22:27; 2Corinzi 8:9; Filippesi 2:6-8

5. Poi mise dell'acqua in un bacino, e prese a lavare i piedi dei discepoli, e ad asciugarli con lo sciugatoio del quale egli era cinto.
Non ci vien detto da quale dei discepoli egli cominciasse; ma con grande precisione Giovanni ci dice che il lavacro era appena cominciato, quando venne interrotto dalle obbiezioni di Pietro. L'opera non fu però lasciata a mezzo, perché il testo ci dice che Gesù non si contentò di lavare i piedi dei discepoli, ma li volle anche asciugare con lo sciugatoio che aveva preparato per questo scopo. Brown, seguendo l'esempio di Trench, nota che in greco vi sono tre parole diverse per indicar l'atto di lavare; tutte e tre si trovano nel Nuovo Testamento ed hanno ciascuna un senso diverso. La prima significa lavare una parte del corpo, come le mani e i piedi Giovanni 13:5; Marco 7:3. La seconda significa bagnare o immergere l'intero corpo Giovanni 13:10; Atti 9:37; Ebrei 10:22; Apocalisse 1:5. La terza s'intende di lavare cose inanimate, e specialmente vestiti Apocalisse 7:14. In Giovanni 13:10 vedremo che è importante non perdere di vista la distinzione fra le due prime.

PASSI PARALLELI
Giovanni 19:34; 2Re 3:11; Ezechiele 36:25; Zaccaria 13:1; Efesini 5:26; 1Giovanni 5:6
Giovanni 13:8; Esodo 29:4; Levitico 14:8; 2Re 5:10-13; Salmi 51:2; Isaia 1:16; Atti 22:16
1Corinzi 6:11; Tito 3:3-5; Ebrei 10:22; 1Giovanni 1:7; Apocalisse 1:5; 7:14
Giovanni 13:10,12-14; Genesi 18:4; 19:2; 1Samuele 25:41; Luca 7:38,44; 1Timoteo 5:10

6. venne adunque a Simon Pietro.
La parola "adunque" sembra indicare che ad alcuni altri discepoli erano stati lavati i piedi, prima che venisse il turno di Pietro. Crisostomo e Teofilatto sostengono che il Signore principiò da Giuda, altri dall'evangelista medesimo; ma queste sono mere congetture, alle quali non si deve dar maggior peso che all'opinione di Agostino, secondo il quale il primo ad aver lavati i piedi sarebbe stato Pietro. Invero è un punto che non potrà mai esser determinato, e che non ha importanza alcuna, ma serve a mostrare a quali inezie Bellarmino ed altre autorità romane si aggrappano per provare che Pietro ebbe sempre il primato fra gli apostoli.
Ed egli gli disse: Signore, mi lavi tu i piedi?
L'enfasi della frase, messa sopra mi e tu, ci mette chiaramente dinanzi agli occhi il contrasto che si affacciò alla mente di Pietro fra la propria indegnità e la condiscendenza del suo Maestro, e lo condusse a fare la sua protesta. Naturalmente egli considerava la cosa da un punto di vista meramente esterno e non capì al primo momento tutto il significato spirituale dell'atto di Cristo. Egli parlò con la prontezza irreflessiva che era nel suo carattere; ma non si può negare che le sue parole erano dettate da una umiltà sincera, e da un profondo, rispetto per il suo divino Maestro.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:27; Matteo 3:11-14; Luca 5:8

7. Gesù rispose e gli disse: Tu non sai ora quel ch'io fo, ma lo saprai appresso
Il Signore intendeva spiegare il senso del suo atto simbolico, quando avrebbe ripreso il suo posto alla mensa Giovanni 13:12, perciò non interrompe quanto stava facendo per discutere con Pietro, e spiegarglielo ora; ma si contenta di assicurarlo che egli tosto, "terminato il lavacro", lo comprenderà. In ogni tempo però i veri cristiani hanno dato a queste parole di Gesù un senso più generico e più elevato del loro significato semplice e naturale, applicandole ai passi più oscuri della Parola di Dio, e ai fatti misteriosi ed incomprensibili della sua provvidenza. È questa perciò una parola d'oro che dobbiamo tesoreggiare nella nostra memoria. Anche nel corso del nostro pellegrinaggio terreno, Gesù può disperdere i nostri dubbi, togliere le nostre difficoltà, e rivelarci il perché di quelle sue misteriose decisioni per le quali la fede nostra vacilla; ma, se anche non lo fa ora, lo farà certamente in quell'avvenire glorioso che ci è tenuto in serbo, e nel quale noi non vedremo più "per specchio, in enigma".

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:10-12; 12:16; 14:26; Geremia 32:24-25,43; Daniele 1; 2:8,12; Habacuc 2:1-3
Giacomo 5:7-11

8. Pietro gli disse: Tu non mi laverai giammai (la forma più forte di negazione) i piedi.
Ritroviamo in queste parole il Pietro impetuoso e pieno di fiducia in sé stesso dei tre primi Vangeli. Non aspetta quelle spiegazioni che il Signore avevagli promesse. Non vede ragione alcuna di accettare l'umiliazione di Gesù. Ryle osserva su queste parole di Pietro: "V'è tale umiltà volontaria che può andare fino all'estremo", e Hutchison che "gli uomini possono avere nelle cose di Dio molta umiltà apparente, la quale ciononostante è sragionevole, peccaminosa e proveniente da sapienza carnale". "Tu non mi laverai giammai" è in realtà la risposta di ogni peccatore non convertito e non risvegliato, alla grande offerta della salvezza. Gesù offre di lavarci nel preziosissimo suo sangue; ma molti non vedono il bisogno di venir lavati, e rigettano deliberatamente la sua profferta. Pietro mutò pensiero: lettore, se ancora non sei stato lavato nel sangue di Cristo, imita il suo esempio, prima che sia troppo tardi (Foot).
Gesù gli disse: Se io non ti lavo, tu non avrai parte alcuna meco.
L'obbiezione di Pietro sembra aver dato incidentalmente occasione ad un insegnamento più elevato di quello che Gesù aveva primieramente l'intenzione di dare. Che ciò avvenisse incidentalmente, lo prova il fatto che Gesù più non toccò quel punto, quando, in adempimento della sua promessa a Pietro, spiegò i motivi della sua condotta Giovanni 13:12-17. Ma non è meno importante, per quanto sia incidentale, poiché è chiaro che in esso il Signore non parla di lavare il corpo, bensì di purificare l'anima dalla colpa e dalla corruzione. Pietro non poteva ammettere che il Maestro servisse al discepolo. Ma tutta quanta l'opera redentrice di Gesù fu una serie ininterrotta di tali servizi, coronati in fine dal massimo di tutti, lo spargimento del suo sangue per lavare i peccati di tutti gli uomini Marco 10:45. Se dunque per non veder il suo Maestro umiliarsi dinanzi a lui, Pietro non voleva lasciarsi lavare i piedi, a fortiori doveva egli ricusare un lavacro che implicava, per parte di Gesù, una umiliazione molto più grande ancora, ed allora non avrebbe potuto aver parte alcuna in lui, poiché chi non è lavato nel preziosissimo suo sangue, che ci assicura il perdono dei peccati e l'interna santificazione, non può pretendere di partecipare alla grande sua salvezza. "Rifiutar quello che il Signore si degna di fare per noi non è umiltà, ma presunzione orgogliosa. La vera umiltà consiste nel ricevere con riverenza e riconoscere con gratitudine i doni della sua grazia" (Brown).

PASSI PARALLELI
Genesi 42:38; Matteo 16:22; 21:29; 26:33,35; Colossesi 2:18,23
Giovanni 13:6; 3:5; Isaia 4:4; Ezechiele 16:4-9; 36:25; Zaccaria 13:1; Atti 22:16; 1Corinzi 6:11
Efesini 5:26; Tito 3:5; Ebrei 9:22-23; 10:4-10,22; Apocalisse 1:5; 7:14

9. Simon Pietro gli disse: Signore, non solo i piedi, ma anche le mani, e il capo.
Queste parole di Pietro provano il suo affetto per Cristo. Il non aver parte con Gesù lo sgomentava: era pronto ad accettare qualunque cosa fuorché questo. Sentì che nelle parole di Gesù v'era qualche cosa che ancora non capiva, però anche prendendole alla lettera, se l'esser lavato era necessario per aver parte con Cristo, domandava di aver con lui una parte assai maggiore che non sia quella dei piedi nel corpo umano, e supplicò il Signore di lavargli anche le mani e il capo, cioè tutte le parti scoperte del suo corpo, che potevano più facilmente insudiciarsi. La sua risposta dimostra il solito suo carattere impetuoso ed ardente. Nel modo stesso che prima pretendeva decidere ciò che il Signore non doveva fare, così ora vorrebbe definire in che modo debba compiersi ciò che pure ha riconosciuto necessario. Domanda che venga estesa ad ogni parte speciale del corpo quell'atto che Cristo avea deciso di limitare ad una parte sola. "Questa schietta espressione di sincero affetto per Gesù e di sentita dipendenza da lui per tutto il suo benessere spirituale, paragonata all'espressione analoga del medesimo apostolo in Giovanni 6:68-69, sono tali evidenze di storica veracità cui nessuna mente spregiudicata può resistere" (Brown).

PASSI PARALLELI
Salmi 26:6; 51:2,7; Geremia 4:14; Matteo 27:24; Ebrei 10:22; 1Pietro 3:21

10 10. Gesù gli disse: Chi è lavato (immerso) non ha bisogno se non di lavare, i piedi, ma è tutto netto;
Per la differenza vedi la nota Giovanni 13:5. Il Signore risponde a Pietro con una illustrazione tolta dalle loro abitudini giornaliere. Alzandosi, immergevano l'intero corpo, sia in casa, sia nei pubblici bagni, e non era necessario ripetere un tale atto durante il giorno, imperocché i loro corpi erano puliti. Non così però i loro piedi. Siccome calzavano sandali legati da correggiuoli al piede e alla gamba, che rimanevano ignudi, il fango o la polvere, secondo la stagione, li insudiciava, sicché, tornando a casa, o andando da qualche amico, dovevano nuovamente lavarsi i piedi. Fatto questo, erano interamente netti in virtù del bagno preso la mattina, e Gesù si serve di tale abitudine giornaliera, per rispondere all'ultima obbiezione di Pietro. Il senso spirituale di questo duplice lavacro applicato ai credenti è il seguente: al principio della vita cristiana, il peccatore penitente viene tutto quanto immerso nella fonte del sangue espiatorio di Cristo, nel lavacro della rigenerazione per lo Spirito Santo. Mediante questa immersione, egli viene appieno purificato, del peccato suo, come stato di colpa, e liberato da esso come vita di Polluzione. L'uomo in quel modo giustificato e rigenerato non ricadrà più giammai nello stato di condanna, perciò quella immersione primiera più non occorre che sia ripetuta: egli "è tutto netto", cioè completamente assoluto dalla colpa dei suoi peccati trascorsi, e considerato senza biasimo innanzi a Dio. Ma il credente che è stato in quella guisa immerso, e che si può dir netto in generale, conserva tuttora non poco peccato in sé; la sua strada al cielo corre attraverso un mondo corrotto e corruttore, perciò ogni giorno ed ogni ora egli contrae nuove colpe e nuove macchie, e abbisogna frequentemente di lavarsi i piedi. Queste macchie ai piedi rappresentano le mancanze giornaliere della nostra vita cristiana, i peccati che si frammischiano all'adempimento dei nostri più santi doveri, le, contaminazioni che si attaccano ad ogni nostro servizio per Dio, le persistenti corruzioni della nostra vecchia natura, e la tiepidezza del nostro amore per Gesù. Qual sorgente di fiducia e di pace è mai il pensare che Dio ha provveduto il mezzo perché tutte queste macchie possano venir lavate e tolte! E quel mezzo è precisamente la fonte per il peccato nella quale il peccatore è stato lavato la prima volta, ed una sempre rinnovata effusione dello Spirito della grazia. Tutto ciò non mette minimamente in dubbio che la nostra passata giustificazione e sia completa.
voi ancora siete netti, ma non tutti. 11. Perciocché egli conosceva colui che lo tradiva; perciò disse: Non tutti siete netti.
Giovanni 13:10 termina coll'applicazione morale a tutti i discepoli di quanto Gesù aveva detto al solo Pietro. Non vuol dire che i discepoli sieno perfetti ma che più non avevano bisogno di venir rigenerati, e solo occorreva loro di venir mano, mano purificati dalle macchie contratte lungo la via della vita. Quelli fra loro che erano stati rinnovati, mediante il lavacro della rigenerazione, erano del tutto mondi per la parola sua dimorante in loro Giovanni 15:3, e di altro non abbisognavano che di quella abituale santificazione. L'eccezione fatta dal Signore deve intendersi evidentemente di Giuda, benché non ne venga pronunziato il nome. In Giovanni 13:11 l'evangelista ci dichiara che Gesù parlò in quel modo, perché conosceva non solo quanto stava per accadere a lui medesimo, ma pure il cuore del traditore, e il tradimento che in quello si andava maturando. Giuda non era mai stato immerso in quel grande e primo lavacro; egli trovavasi tuttora nella primiera sua corruzione; la grazia non era mai penetrata nel suo cuore. Egli stava per precipitare nella perdizione eterna, quell'ammonimento, inteso da lui solo, era probabilmente l'ultimo appello della misericordia divina alla sua coscienza, prima che egli andasse perduto per sempre. "La dichiarazione contenuta in questo versetto è molto, importante, perché ci fa vedere che Giuda, anziché essere stato al principio un vero discepolo, decaduto dipoi dalla grazia, non sperimentò mai quella purificazione che fece degli altri discepoli ciò che essi erano" (Brown).

PASSI PARALLELI
Levitico 16:26,28; 17:15-16; Numeri 19:7-8,12-13,19-21; Ebrei 9:10
Ecclesiaste 7:20; Matteo 6:12; Romani 7:20-23; 2Corinzi 7:1; Efesini 4:22-24; 5:26-27
1Tessalonicesi 5:23; Giacomo 3:2; 1Giovanni 1:7-10
Cantici 4:7; Geremia 50:20; 2Corinzi 5:17,21
Giovanni 15:3
Giovanni 13:18,21,26; 2:25; 6:64-71; 17:12; Matteo 26:24-25

12 12. Dunque, dopo ch'egli ebbe loro lavati i piedi ed ebbe ripresa la sua vesta, messosi di nuovo a tavola, disse loro: Sapete voi quel ch'io vi ho fatto?
La minuta descrizione contenuta in questo versetto rivela un testimone oculare non solo ma pure profondamente interessato. La domanda colla quale esso termina non richiedeva risposta, ma richiamava l'attenzione dei discepoli sull'applicazione pratica a loro stessi, che il Signore stava per dare dell'atto simbolico testé compiuto.

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:7; Ezechiele 24:19,24; Matteo 13:51; Marco 4:13

13 13. Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perciocché io lo sono.
I nomi di "Maestro" e il Signore erano titoli ordinari di rispetto coi quali i discepoli solevano chiamare Gesù. Rispondevano più o meno ai titoli di Rabbi, e di Marco, che gli scolari Giudei davano ai loro maestri, poiché era loro proibito di chiamarli per nome (Sanhedr. fol. 100, 81, citato da Watkins). Il nome Maestro vien dato a Gesù per il suo insegnamento e quello di Signore esprime il rispetto dei discepoli per lui, e l'impero che egli esercitava sopra tutta la loro vita. Il Signore accetta questi titoli come essendogli dovuti, e approva l'uso che ne fanno i discepoli, invece di pretendere, con falsa umiltà, di non sentirsene degno. Egli aveva loro lavato i piedi, pur sapendo di esser loro infinitamente superiore, ed è pure nel sentimento di quella sua superiorità che ora ne espone l'insegnamento. Benché avesse adempiuto nel mezzo, di loro un ufficio servile, non crede di aver sacrificato la sua dignità, ma mantiene il suo diritto come Maestro di insegnarli e d'istruirli, e come Signore di governarli. "L'espressione 'perciocché io lo sono' ci dà il pieno diritto di chiamarlo SIGNORE. Egli Stesso ha sancito quel titolo colle parole: 'Dite bene'" (Ryle).

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:28; Matteo 7:21-22; 23:8-10; Luca 6:46; Romani 14:8-9; 1Corinzi 8:6; 12:3
Filippesi 2:11; 3:8; 2Pietro 1:14-16
Geremia 1:12; Luca 7:43; 10:28; Giacomo 2:19

14 14. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, v'ho lavati i piedi, voi ancora dovete lavare i piedi gli uni agli altri.
L'argomento del Signore in questo versetto è dal maggiore al minore. Io, che voi a ragione riconoscete come superiore a voi, vostro Maestro e Signore, vi ho dato un esempio di umiltà e di affetto, lavandovi i piedi; tanto maggiormente dovrete, voi che siete fratelli ed uguali, mettere in pratica gli uni inverso gli altri consimile umiltà e consimile affetto, non solo lavandovi reciprocamente i piedi, e rendendovi a vicenda ogni possibile servizio, ma pure dandovi continue prove di fraterna carità.

PASSI PARALLELI
Matteo 20:26-28; Marco 10:43-45; Luca 22:26-27; 2Corinzi 8:9; Filippesi 2:5-8
Ebrei 5:8-9; 12:2
Atti 20:35; Romani 12:10,16; 15:1-3; 1Corinzi 8:13; 9:19-22; 2Corinzi 10:1; Galati 5:13
Galati 6:1-2; Filippesi 2:2-5; 1Pietro 4:1; 5:5

15 15. Conciossiaché io vi abbia dato esempio, acciocché, come ho fatto io, facciate ancor voi.
Il dovere di un servo, quando il padrone gli ha insegnato col proprio esempio qual lavoro aspetti da lui, seguitare quell'esempio e far con precisione quanto gli è stato prescritto. Ciò deve esser tanto più il caso quando quel padrone è "il Signore del cielo". Ma qui sorge la questione: Che intende dire il Signore col seguire il suo esempio? È questo limitato alla imitazione letterale dell'atto suo, o fu quel lavacro un atto simbolico rappresentante quell'umiltà, quell'abnegazione, quell'amor fraterno che, in ogni luogo ed in ogni tempo, devono distinguere i suoi discepoli? Non v'ha dubbio che quest'ultima è la vera interpretazione. Fino al quarto secolo, il rito che consiste nel lavare i piedi dei discepoli era completamente ignoto nella Chiesa cristiana, ma, da quel tempo in poi, è divenuto una istituzione così nella Chiesa romana come nella greca. Il giovedì santo, il Papa pretende di imitare letteralmente l'esempio del Signore, lavando i piedi di dodici accattoni che figurano i dodici apostoli. Ma una tal cerimonia adempiuta sopra una dozzina di poverelli, da un Papa, da un Archimandrita, da un imperatore o da un Prelato, non potrebbe mai esimere tutti i cristiani dal far lo stesso, se le parole di Cristo devonsi prendere alla lettera, e basta ciò a far toccare con mano l'assurdità di così fatta interpretazione delle medesime. Gesù non disse "quello che ho fatto", bensì: "come ho fatto". Imiterà davvero l'esempio del Signore chiunque applicherà, nelle variabili circostanze della vita, il grande suo principio di carità e di sacrificio di sé stesso.

PASSI PARALLELI
Matteo 11:29; Romani 15:5
Efesini 5:2; 1Pietro 2:21; 3:17-18; 1Giovanni 2:6

16 16. In verità, in verità, io vi dico, che il servitore non è maggior del suo Signore, né il messo maggior di colui che l'ha mandato.
Questo detto di Cristo è ripetuto quattro volte nei Vangeli, e ciò prova che usciva spesso dalle sue labbra. È così consentaneo all'osservazione dell'uomo, che è passato in proverbio. In ognuna di quelle quattro occasioni lo troviamo in un contesto diverso. In Matteo 10:24, esso c'insegna che i discepoli di Cristo non devonsi attendere ad una sorte migliore di quella del loro Maestro, ma stimarsi ben contenti se non ne tocca loro una anche peggiore. In Giovanni 15:20, quel detto ha il medesimo scopo, solo l'occasione ne è differente. In Luca 6:40, il senso è che il discepolo, nell'imparare, deve ambire di giungere all'altezza del suo Maestro, e quando vi è giunto deve considerarsi perfetto, perché non può salir più in alto, Vedi nota Luca 6:40. Ma in questo passo è destinato a mettere il suggello all'istruzione già data, e vien preceduto dal duplice, in verità, per mostrarne l'importanza speciale. Ben sapendo che l'orgoglio naturale si ribellerebbe alla pratica della vera umiltà che egli aveva loro simbolicamente insegnata, leggendo nel loro cuore che, in quel momento stesso, l'orgoglio spingeva ognuno di essi ad ambire il primo posto nel sospirato regno temporale del Messia, e prevedendo il danno e gli scandali che l'orgoglio e l'ambizione clericale produrrebbero un giorno nella sua Chiesa, al punto di pretendere di occupare il posto di Cristo qual capo visibile di essa, Gesù addita una volta di più agli apostoli, e per mezzo di essi a tutti i credenti, la vera loro posizione. Essi devono essere imitatori dell'esempio suo, vestiti di umiltà non gonfi di sé 1Corinzi 13:4. "Siate inclinati ad avervi gli uni agli altri affezione per amor fraterno; prevenite gli uni gli altri nell'onore" Romani 12:10. "Se siete realmente miei discepoli e messaggeri, dovete provarlo, col non indietreggiare dinanzi a nulla di quello che avete veduto fare a me".

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:3,5
Giovanni 15:20; Matteo 10:24-25; Luca 6:40

17 17. Se sapete queste cose, voi siete beati se le fate.
In questo vers. il Signore ingiunge il dovere della ubbidienza, accompagnando la sua ingiunzione con una promessa di beatitudine, per quelli che osserveranno i suoi comandamenti. E molto più facile riconoscere il dovere dell'umiltà che praticarlo, e per quanto un tal dovere sia evidentissimo, Gesù ben sapeva che i discepoli spesso ne troverebbero la pratica difficile ed ardua; epperciò li incoraggia con questa promessa. Quella beatitudine non consiste solo nella soddisfazione interna che accompagna ogni atto di abbassamento volontario, ma pure in una posizione più alta dinanzi a Dio che "riguarda le cose basse" Salmi 138:6, e ha dichiarato che "chiunque è altiero d'animo è abominevole al Signore" Proverbi 16:5.

PASSI PARALLELI
Giovanni 15:14; Genesi 6:22; Esodo 40:16; Salmi 19:11; 119:1-5; Ezechiele 36:27; Matteo 7:24-25
Matteo 12:50; 22:38-41; Luca 12:47-48; 2Corinzi 5:14-15; Galati 5:6; Ebrei 11:7-8
Giacomo 1:25; 2:20-24; 4:17; Apocalisse 22:14

18 18. Io non dico di voi tutti; io so quelli che io ho eletti; ma conviene che s'adempia questa scrittura: Colui che mangia il pane meco ha levato contro a me il suo calcagno.
È questo un ammonimento ad uno dei presenti non nominato, cioè, che la beatitudine promessa in Giovanni 13:17 a chi pratica con umiltà i comandamenti di Gesù, e alla quale avranno parte gli altri discepoli, non sarà mai sua. Il rimanente di questo vers. è inteso a fortificare la fede dei discepoli, e a dissipare ogni futuro sospetto di ignoranza o di mancanza di accorgimento per parte del loro Maestro, per aver egli ammesso al suo servizio e nella loro comunione uno che era indegno di qualsiasi fiducia. Gesù dichiara che conosceva sin dal principio Giovanni 6:70, il carattere e le disposizioni di tutti quelli che aveva scelti per suoi apostoli. Non vi fu, nella scelta fattane, errore, sorpresa o caso imprevisto; ma ogni cosa era stata voluta, acciocché i disegni di Dio riguardo al traditore, e il destino finale di questi, venissero adempiuti. Il passo qui citato è tolto direttamente dall'ebraico di Salmi 41:9, e si riferiva primieramente al tradimento di Davide per parte di Ahitofel 2Samuele 17:1-29, ma si adempì in modo più completo nell'azione infame commessa da un suo discepolo, da un membro della sua famiglia, verso Colui che era al tempo stesso il Signore e il Figliuolo di Davide. L'espressione "ha levato contro a me il suo calcagno", descrive l'atto di uno il quale, come un cavallo vizioso, ad un tratto si rivolta al padrone, e gli tira un calcio. Notiamo che, a conferma della sua dichiarazione: "Io so quelli che io ho eletti", il Signore omette in questa citazione le parole introduttive del Salmista: "L'uomo col quale io viveva in buona pace, sul quale io mi confidavo", come non essendo applicabili al caso presente, benché egli intenda probabilmente parlare dell'Eucaristia, che stava per istituire, ed alla quale crediamo che Giuda partecipò, laddove egli dice: "Colui che mangia il pane meco". Dice Stier: "il mangiare il pane riceve un senso terribile dalla partecipazione alla cena sacramentale, un senso che deve in ogni tempo applicarsi a quelli che comunicano indegnamente, come pure a tutti i traditori di Cristo, i quali mangiano il pane della Chiesa".

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:11; 17:12; 21:17; 2Corinzi 4:5; Ebrei 4:13; Apocalisse 2:23
Salmi 41:9; Matteo 10:36; 26:23; Marco 14:20

19 19. Fin da ora io vel dico, avanti che sia avvenuto; acciocché quando sarà avvenuto, crediate ch'io son di esso,
Fino a quel momento, il Signore non aveva fatto differenza visibile alcuna fra gli altri discepoli e Giuda. Quest'ultimo solo sapeva cosa volessero dire esattamente le parole del Signore in Giovanni 13:10,18. Ma il tempo è giunto di annunziare ai discepoli da qual parte dovevano aspettare l'adempimento di quella profezia, per timore che, cogliendoli all'impensata, il fatto non scotesse la loro fiducia nel Maestro. Svelando ora il traditore, quando nessuna circostanza esterna poteva svegliare i loro sospetti, Gesù volge il fatto in sostegno della loro fede, in un futuro oramai molto vicino. Basterà che confrontino il tradimento di Giuda coll'annunzio datone da Gesù, per essere confortati a credere in lui, non solo come Messia, ma pure come l'Iddio agli occhi del quale nulla è nascosto. Il titolo che si dà qui il Figliuol di Dio è lo stesso sotto il quale si rivelò a Mosè nel cespuglio ardente al Sinai, cioè il nome ineffabile di Jehova Io sono Esodo 3:14. Egli non parla dunque qui tanto di credere in lui come Messia, quanto di credere in lui come Dio, ricercatore dei cuori, al quale non sfugge nessuna ipocrisia, e contro al quale la malizia umana non potrà mai trionfare definitivamente".

PASSI PARALLELI
Giovanni 14:29; 16:4; Isaia 41:23; 48:5; Matteo 24:25; Luca 21:13
Giovanni 1:15; 8:23-24,58; Isaia 43:10; Malachia 3:1; Matteo 11:3; Apocalisse 1:17-18

20 20. In verità, in verità, io vi dico, che se io mando alcuno, chi lo riceve, riceve me e chi riceve me riceve colui che mi ha mandato.
Vedi Nota Matteo 10:40.
Il nesso di questo vers. con quanto precede ha dato luogo a varie teorie. Certi critici tedeschi lo rigettano come una glossa presa da Matteo 10:40, il che è una maniera molto spiccia, ma poco soddisfacente di venir fuori dalla difficoltà. Lampe ed altri uniscono questo vers. a Giovanni 13:16 considerando quanto si trova fra i due come una parentesi. Alford sembra credere che con queste parole il Signore intendesse far vedere l'estrema malvagità di Giuda, nell'abbandonare un ufficio onorevole quale è quello dell'apostolato. Ma, insieme alla maggioranza dei commentatori, crediamo che lo scopo di Gesù in queste parole fosse di consolare i discepoli rimasti fedeli, accertandoli che, ad onta del disonore inflittogli da Giuda, e dei trattamenti consimili ai quali essi, pure sì dovevano aspettare, il loro era un ufficio divino, né essi avevano ragione alcuna di vergognarsene per quanto alcuni potessero comportarsi in modo indegno di esso.

PASSI PARALLELI
Giovanni 12:44-48; Matteo 10:40-42; 25:40; Marco 9:37; Luca 9:48; 10:16; Galati 4:14
Colossesi 2:6; 1Tessalonicesi 4:8

21 Giovanni 13:21-30. L'ANNUNZIO DATO AI DISCEPOLI CHE UNO DI LORO È TRADITORE. EFFETTO CHE UN TALE ANNUNZIO PRODUCE SU DI ESSI. MODO IN CUI GIUDA FU SVELATO Matteo 26:20-25; Marco 14:17-21; Luca 22:21-23

Per l'esposizione vedi Luca 22:21-23.

27 27. E allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui.
Da quell'ora, Giuda fu interamente sotto il potere del demonio, quanto quelli a pro dei quali Gesù operò delle guarigioni miracolose. Luca 22:3 applica la medesima espressione a Giuda al principio del racconto del suo tradimento, e ciò senza dubbio per spiegare la sua condotta dal principio alla fine. Giovanni, avendoci già detto in Giovanni 13:2 che Satana cominciava a familiarizzare la mente di Giuda col delitto che voleva fargli compiere, introduce le parole "Satana entrò in lui", alla fine del suo racconto, per metterci dinanzi agli occhi la catastrofe finale, che consiste nel trionfo completo del tentatore sopra un cuore che si era avvezzato a scherzare colle sue tentazioni. Quel trionfo di Satana non fu l'atto di un momento, bensì venne lungamente ed accuratamente preparato. Il tentatore, valendosi della cupidità naturale di Giuda, e del fatto che a lui era stata affidata la borsa della piccola comitiva che formava la famiglia di Gesù gli suggerì, il furto e la frode per arricchire a spese del Maestro e dei compagni, e quando lo vide irritato, perché l'olio odorifero da Maria sparso sui piedi di Gesù non era stato piuttosto venduto, e il prezzo dato in custodia a lui, gli, suggerì che poteva compensare sovrabbondantemente una tal perdita, vendendo il suo Maestro alle autorità giudaiche. È probabile che il falso apostolo avesse da sostenere più di una lotta colla propria coscienza, mentre cercava una occasione propizia per commettere il suo delitto; ma oramai la sua libertà era confiscata, egli apparteneva anima e corpo al leone ruggente che va attorno cercando chi egli possa divorare" 1Pietro 5:8. Una delle malizie di Satana è di far credere agli uomini che egli non esiste, mentre invero egli li tiene come schiavi a suo piacere; ma la prudenza consiste nell'aver sempre presenti alla mente la realtà, la personalità e la potenza del grande nostro nemico spirituale, il diavolo. C'insegni l'esempio di Giuda che chi non resiste fin dal principio, corre il rischio di cadere anima e corpo sotto il suo dominio, e di venir precipitato nella perdizione eterna.
Laonde Gesù gli disse: Fa prestamente quel che, tu fai.
Le parole scambiate poco prima fra Pietro e Giovanni, e fra Giovanni e Gesù, erano state dette sotto voce, e gli altri discepoli non le avevano udite; ma a Giuda Gesù parlò ad alta voce e tutti l'udirono. Queste parole del Signore non sono un comandamento e nemmeno un permesso di compiere un'azione malvagia, che fino allora non si fosse affacciata alla sua mente, o intorno alla quale egli potesse ancora essere in qualche incertezza; ma Gesù vuole che esegua più rapidamente, senza ulteriori ed ipocriti indugi, ciò che egli sapeva esser già cominciato. Egli leggeva i pensieri più intimi di Giuda; egli sapeva che il pentimento non era più possibile per lui, che già aveva ricevuto il salario della iniquità epperciò gli ordina di affrettare l'esecuzione della sua trama nefanda, perché egli, per parte sua, era preparato, anzi "distretto finché fosse compiuto", e la partenza del traditore riuscirebbe un sollievo per quelli che rimanevano.

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:2; Salmi 109:6; Matteo 12:45; Luca 8:32-33; 22:3; Atti 5:3
1Re 18:27; Proverbi 1:16; Ecclesiaste 9:3; Geremia 2:24-25; Daniele 2:15; Marco 6:25
Giacomo 1:13-15

28 28. Ma niun di coloro ch'erano a tavola intese perché egli avea detto quello. 29. Perciocché alcuni stimavano, perché Giuda avea la borsa, che Gesù gli avesse detto: Comperaci le cose che ci bisognano per la festa; ovvero che desse qualche cosa ai poveri.
Il fatto che nessuno dei discepoli capì quel che le parole di Gesù a Giuda significassero in realtà, è importantissimo, perché prova con qual segretezza e con quale accorgimento il traditore aveva ordito la sua trama mentre mostra la pazienza del Signore, per non averlo, nemmanco all'ultimo momento, esposto alla indignazione dei suoi compagni. Nessuno di essi seppe, se non più tardi, che le parole di Gesù riferivansi al tradimento. Alcuni supposero che, siccome egli aveva la borsa, Gesù gli avesse comandato di comprare alcune cose tuttora necessarie per la festa; altri pensarono piuttosto che lo avesse mandato a distribuire delle elemosine ai poveri Deuteronomio 16:14. Quelli che mantengono che la cena narrata in questi versetti non fu quella di Pasqua, bensì un'altra, fatta una o due sere prima, si fondano su queste supposizioni dei discepoli, i quali, dicono essi, ben sapevano che la Pasqua era sacra al pari del sabato, e che in essa era proibito il vendere e il comprare. Ma ciò non è esatto; anzi così la Scrittura Marco 15:46; Luca 23:56, come la Mishna, ci forniscono indicazioni chiarissime che facevasi una differenza fra il primo giorno della Pasqua e il sabato, in quanto a rigorosa osservanza, e che potevasi comprare e preparare il cibo anche a festa già cominciata. Milligan, citando la Mishna, "Trattato del sabato", dice: "il permesso accordato dai rabbini di comprare l'agnello pasquale quando la vigilia della Pasqua cadeva di sabato, prova che non vi era difficoltà alcuna a far questa compra quando i due giorni non coincidevano". Di più, l'interpretazione data dai discepoli al comando di Cristo: "Fa prestamente quel che tu fai" corrobora l'opinione che in quella sera Gesù e i suoi discepoli celebravano per l'appunto la cena Pasquale. È evidente che a parer loro quello che ancora potesse essere mancante alla festa doveva venir procacciato senza ritardo. Se invece la Pasqua non si fosse dovuta celebrare che il giorno dopo, non occorreva che Giuda si alzasse da tavola quella sera stessa per comperarlo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 12:5; Atti 20:34-35; Galati 2:10; Efesini 4:28

30 30. Egli adunque, preso il boccone, subito se ne uscì. Or era notte.
"Colla propria mano e col proprio atto, egli si separò da quella santa compagnia colla quale non aveva mai avuto simpatia spirituale, e dopo di ciò la notte si fece più nera nel cuore di Giuda, che nel cielo sopra il suo capo" (Brown). La notte però non era molto inoltrata, poiché tutto quanto ci è raccontato fra questo versetto e Giovanni 19:28 avvenne prima dell'alba seguente. Se Giovanni avesse introdotto nel suo racconto l'istituzione della Santa Cena, l'avrebbe probabilmente messa immediatamente prima di questo versetto, imperocché dal racconto dei Sinottici non v'ha dubbio che Giuda vi prese ancora parte. La dichiarazione di Gesù: "ecco la mano di colui che mi tradisce è meco a tavola" Luca 22:21, dichiarazione che segue immediatamente la istituzione della Santa Cena, ne dà una prova inconfutabile. Godet in loco enumera le opinioni di un certo numero di autori riguardo al posto che la Santa Cena avrebbe occupato in, questo capitolo, se Giovanni avesse stimato doverla ricordare; ma, per le ragioni che abbiamo enumerate, e benché ci venga detto che Giuda uscì "subito", ci pare che questo sia il luogo più appropriato.

PASSI PARALLELI
Proverbi 4:16; Isaia 59:7; Romani 3:15
Giobbe 24:13-15

31 Giovanni 13:31-35. GESÙ RIPRENDE, DOPO LA PARTENZA DI GIUDA, L'INTERROTTO DISCORSO

31. Quando fu uscito, Gesù disse:
Le parole che si direbbero sfuggite di bocca al Signore che "essi non erano tutti netti", che "egli non diceva di essi tutti", e il turbamento di spirito col quale annunziò loro Giovanni 13:21, che uno di essi lo tradirebbe provano che la presenza del traditore pesava come un incubo sulla mente di Gesù, e lo impedivano di aver coi suoi discepoli quella libera comunicazione che il cuor suo desiderava "Sentiva ribrezzo alla sua presenza; le sue labbra rimanevano chiuse di fronte a tanta ipocrisia. Non appena Giuda si fu volontariamente allontanato, sparì l'incubo, subentrò la mutua confidanza e la santa comunione, e Gesù riprese il discorso là dove lo aveva interrotto al verso 17.
Ora è glorificato il Figliuol dell'uomo, e Dio è glorificato in lui.
Con la piena conoscenza di quanto Giuda è andato a fare, colla certezza che ora cominciano quelle sofferenze che poco prima avevano così profondamente turbato l'anima sua, le parole colle quali Gesù riprende il suo discorso sono delle più notevoli. Nulla ci dice di Giuda; "non ne pronunzia neppure il nome"; ma annunzia, quasi con canto di trionfo, che è giunta l'ora della sua gloria. Giuda era il rappresentante di quello spirito egoista e cupido che era l'opposto preciso di quello di Cristo. La sua partenza adunque metteva un termine alla lotta che Gesù aveva fino a quell'ora sostenuta nella sua natura umana col male. Cristo non dice verbo della natura delle sofferenze che lo aspettano, ma annunzia che ora, cioè nel momento appunto in cui all'occhio della carne poteva sembrare che trionfassero le potenze delle tenebre, la vittoria è sua, ed egli sta per essere glorificato. Vero è che i verbi di questo versetto essendo al tempo passato, dovrebbesi letteralmente tradurre: "è stato glorificato", ed Hengstenberg e Godet mantengono che con quelle parole il Signore intende parlare di un fatto già compiuto, ossia di tutta quanta la vita sua trascorsa, fino alla scena terminata poco prima, e non già ad un evento ancora da venire. A conferma di ciò vengon citati Giovanni 11:4; 12:28, ecc. e la chiara distinzione fra il passato ed il futuro che una tale interpretazione introduce in Giovanni 13:31-32, come pure in Giovanni 17:4. Il senso in quel modo ottenuto è perfettamente giusto, ed è che per la sua perfetta giustizia in vita, e la sua accettazione volontaria della morte, il Figliuol dell'uomo aveva finalmente ricevuto gloria, e suo Padre era stato glorificato in lui. Ma l'uso del passato in senso futuro per esprimere un fatto che già è principiato, e deve venir consumato fra breve, non è cosa che non avvenga mai. "L'aoristo usato come il perfetto in senso futuro, "e così pure accade col tempo passato ebraico", è invero il più enfatico futuro" (Webster e Wilkinson). Perciò la gran maggioranza dei critici considera l'espressione come avente un senso futuro, e riferentesi alla gran vittoria che il nostro Signore stava per riportare. Il titolo "Figliuol dell'uomo", ripetuto 66 volte nei Vangeli, è sempre dato a Gesù da lui stesso; e siccome l'ebraico "figliuol di qualcuno o di qualche cosa" significa comunanza di natura e di qualità in un grado speciale, è chiaro che, facendone uso in questo caso, il Signore vuol richiamare la nostra attenzione sul fatto che egli sarà glorificato, "e suo Padre glorificato in lui", quale uomo vero e perfetto, e mediante la sua passione in croce. "Osservisi che il Signore considera la propria morte espiatoria in croce come la parte più gloriosa dell'opera sua in terra, e che niente al pari della morte del Figliuolo dà gloria a quegli attributi del Padre, che sono la santità; la giustizia, la misericordia e la fedeltà. alle sue promesse" (Ryle).

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:39; 11:4; 12:23; 16:14; Luca 12:50; Atti 2:36; 3:13; Colossesi 2:14-15
Ebrei 5:5-9
Giovanni 12:28; 14:13; 17:1-6; Isaia 49:3-6; Luca 2:10-14; Romani 15:6-9; 2Corinzi 3:18
2Corinzi 4:4-6; Efesini 1:5-8,12; 2:7; 3:10; Filippesi 2:11; 1Pietro 1:21; 4:11
Apocalisse 5:9-14

32 32. E se Dio è glorificato in lui, egli altresì lo glorificherà in sé medesimo,
La prima clausola di questo vers. è omessa nel Codice Alessandrino, ma molti critici la ritengono ciononostante, e Meyer, Godet e Tischendorff specialmente la sostengono come perfettamente appropriata non solo, ma anche necessaria a spiegare la transizione del passato glorificato del ver. 31, al futuro glorificherà di Giovanni 13:32. Nel ver. precedente Giovanni 13:31, Gesù, qual "Figliuol dell'uomo", fa implicitamente conoscere l'atto o l'evento per il quale Iddio era glorificato in lui, cioè l'adempimento dell'eterno suo consiglio, mediante la sua passione e la sua morte. In questo, annunzia la ricompensa che per un tanto sacrificio aspetta dal Padre: Egli cioè lo glorificherà, non solo mediante la risurrezione, l'ascensione ed il posto alla sua destra, ma pure, in un modo specialissimo, "in sé medesimo". Quella glorificazione non sarà il puro e semplice ritorno a quella gloria che, quale "Figliuol di Dio", era stata sua, fin da ogni eternità nel seno del Padre, bensì sarà una gloria data gli nella sua qualità di "Figliuol dell'uomo", mediante la unione della sua risorta umanità col Padre e colla natura e la potenza divina; una gloria che lo incoronerà per sempre qual Capo della nuova creazione Giovanni 13:17,1-2,5; Filippesi 2:6-11.
e tosto lo glorificherà.
Gesù aggiunge queste parole non solo per far conoscere, ai discepoli che si avvicina il momento della sua glorificazione, ma pure per fortificare la loro fede in vista del periodo di prova che essa dovrà attraversare durante le sue sofferenze.

PASSI PARALLELI
Giovanni 17:4-6,21-24; Isaia 53:10-12; Ebrei 1:2-3; 1Pietro 3:22; Apocalisse 3:21; 21:22-23
Apocalisse 22:1,3,13
Giovanni 12:23

33 33. Figlioletti, io sono ancora un poco di tempo con voi;
"figlioletti" si trova solo qui in questo Vangelo, e "figliuoli", che ha quasi lo stesso senso solo in Giovanni 21:5. Quella parola non esprime solo parentela, ma pure il sentimento paterno che Cristo nutriva verso i suoi discepoli, mentre la forma diminutiva dimostra la viva sua sollecitudine per quei discepoli, di cui ben conosceva tutta la debolezza. Il Signore li chiama "figlioletti", affinché sentano che è il suo amore, e la sua simpatia per loro, nell'imminente loro isolamento, che lo fanno parlare. Sin dalla sua trasfigurazione in sul monte, Gesù aveva spesso annunziato che tosto verrebbe loro tolto per morte violenta, ma essi non lo avevano inteso. Qui dichiara che il tempo della loro associazione in terra stava per spirare; ma la domanda di Pietro, poco dopo, dimostra che, fino all'ultimo, essi non avevano nessuna idea di quanto stava per accadere.
voi mi cercherete, ma come ho detto ai Giudei che là ove io vo essi non possono venire, così altresì dico a voi al presente.
Per i "Giudei", il Signore intende i rettori del popolo, e tutti quelli che partecipavano al loro odio verso di lui, come lo provano i passi in cui vien riferita la dichiarazione qui mentovata Giovanni 7:34; 8:21. Quello che ai Giudei egli aveva dichiarato, che cioè lo cercherebbero un giorno senza poterlo trovare, egli lo dice ora ai suoi discepoli; ma in un senso assai diverso, poiché, parlando ai discepoli, omette le due clausole condannatorie già dette ai Giudei: "voi non mi troverete", e "morrete nel vostro peccato". L'impotenza di trovarlo, in un caso era temporanea, nell'altro eterna. Siccome i discepoli si erano sempre rivolti al Signore in ogni loro difficoltà così sentiranno tuttora il bisogno della sua presenza corporea e del suo aiuto, e li cercheranno, ma invano, perché egli stava per tornare al Padre, e "conviene che il cielo lo tenga accolto, fino al tempo del ristoramento di tutte le cose" Atti 3:21. L'opera loro in terra non faceva che cominciare; era tutt'altro che completa la loro preparazione per la gloria celeste; perciò non potevano seguirlo ora; ma egli non li lascia senza speranza. A Pietro dice: "Mi seguiterai poi appresso" Giovanni 13:36, e in seguito dirà a tutti: "Verrò di nuovo e vi accoglierò appresso di me, acciocché dove io sono siate ancora, voi" Giovanni 14:3, e intanto promette loro il Consolatore, che dimorerà con loro durante la sua assenza, e lo glorificherà "perciocché prenderà del mio, e ve l'annunzierà" Giovanni 16:14.

PASSI PARALLELI
Galati 4:19; 1Giovanni 2:1; 4:4; 5:21
Giovanni 12:35-36; 14:19; 16:16-22
Giovanni 7:33; 8:21-24; 14:4-6

34 34. Io vi do un nuovo comandamento: che voi vi amiate gli uni gli altri; acciocché, come io vi ho amati, voi ancora vi amiate gli uni gli altri.
L'amar gli uni gli altri non era un comandamento nuovo in sé; "ama il tuo prossimo come te stesso" era già un comandamento della legge mosaica Levitico 19:18, come lo riconosce il Signore medesimo Matteo 22:37-40. Gesù non intende dunque di dar qui un precetto nuovamente rivelato, da aggiungersi alla gran legge morale; ma lo si "poteva dir nuovo per le ragioni seguenti:
1. esso descrive la nuova fase di vita, nella quale i discepoli stavano per entrare;
2. non era ancora mai stato fatto il segno al quale una classe di uomini si dovevano riconoscere e distinguere; ma da quell'ora in poi doveva essere come l'uniforme al quale il mondo riconoscerà quelli che sono amici e seguaci del Signore;
3. nuovo era il motivo per il quale dobbiamo amarci vicendevolmente, cioè perché Cristo ha amati noi;
4. perché Gesù qui non parla genericamente dell'amore del prossimo, qualunque esso sia, bensì dell'affetto speciale che i suoi discepoli devono avere gli uni per gli altri, come tali.
Il loro amore reciproco doveva assomigliarsi a quello di Cristo per essi, così nel modo come nell'estensione, e perciò doveva esser fondato sulla loro parentela spirituale gli uni cogli altri, per la comune unione a Lui. Quest'ultimo ci sembra il senso preferibile da darsi alla parola nuovo, in quanto che viene applicata ai discepoli.

PASSI PARALLELI
Galati 6:2; 1Giovanni 2:8-10; 3:14-18,23; 2Giovanni 5
Giovanni 15:12-13,17; 17:21; Levitico 19:18,34; Salmi 16:3; 119:63; Romani 12:10
1Corinzi 12:26-27; 13:4-7; Galati 5:6,13-14,22; 6:10; Efesini 5:2; Filippesi 2:1-5
Colossesi 1:4; 3:12-13; 1Tessalonicesi 3:12; 4:9-10; 2Tessalonicesi 1:3; Ebrei 13:1; Giacomo 2:8
1Pietro 1:22; 3:8-9; 2Pietro 1:7; 1Giovanni 4:7-11,21; 5:1

35 35. Da questo conosceranno tutti che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri.
Questo amore dei discepoli di Cristo gli uni per gli altri, perché amano lui, e sono uniti in lui, doveva essere una forza grandissima per attirare gli uomini a Cristo, imperocché tutti presto si accorgerebbero che solo nell'ovile di Cristo poteva regnare un così puro affetto. Notisi che il Signore non indica come segni distintivi dei suoi discepoli i talenti, le conoscenze, i miracoli, ma l'amore, cioè una grazia che è alla portata del più umile credente. Oimè! quanto poco si manifesta nella Chiesa e di faccia al mondo quell'amore fraterno, che pur dovrebbe esistere fra quelli che sono uniti gli uni agli altri come membri del medesimo Signore!

PASSI PARALLELI
Giovanni 17:21; Genesi 13:7-8; Atti 4:32-35; 5:12-14; 1Giovanni 2:5,10; 3:10-14; 4:20-21

36 Giovanni 13:36-38. PIETRO È AVVISATO DELLA SUA CADUTA Matteo 26:33-35; Marco 14:29-31; Luca 22:31-34

Per la esposizione, Vedi Luca 22:31-34.

RIFLESSIONI
1. Il lavacro dei piedi dei discepoli per parte di Gesù è il più notevole esempio che egli abbia mai dato del suo abbassamento come uomo, nei rapporti familiari della vita. Gesù volle però prevenire ogni erronea interpretazione di quell'atto, poiché, "dopo che egli ebbe loro lavati i piedi, ed ebbe ripresa la sua vesta, disse loro: Sapete voi quel ch'io vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro, e Signore, e dite bene, perciocché io lo sono". È per l'appunto l'esser egli infinitamente superiore ad essi, che diede grazia ed importanza all'atto suo. Ben lungi dal nascondere la propria grandezza, per falsa modestia, egli altamente la proclama. Egli è questo che rende tutto quanto il ministero del nostro Signore in sulla terra così diverso da quello di qualsiasi altro servitore di Dio. "Nessuno mise avanti pretensioni così elevate; nessuno adempì uffici così umili! Nessuno si proclamò siffattamente superiore al comune degli uomini, nessuno parlò mai di sé medesimo, come essendo la luce del mondo, e come avendo a sua disposizione il riposo, la pace e la vita, da dispensarsi come altrettanti doni reali, a tutti quelli che lo riconoscerebbero come il loro re spirituale; eppure nessuno si fece così completamente uguale ad ogni creatura umana che incontrasse sulla sua via, e si mostrò così pronto a prestare altrui tutti quegli uffici che ogni uomo può richiedere dal suo simile" (Hanna).
2. Le parole rivolte da Gesù a Pietro in Giovanni 13:10 sono di altissimo valore per tutti i credenti, non solo perché ci recano sicurezza e consolazione, ma pure perché prescrivono un dovere. La polvere o il fango che insudiciavano i piedi di un Orientale, quando tornava dal bagno, non contaminavano l'intero corpo; bastava, giunto a casa, lavare i piedi per essere di nuovo affatto mondo. Con ciò il Signore c'insegna che le mancanze e i peccati giornalieri, dei quali sono consci i credenti, e che fanno loro temere talvolta di non essere stati giustificati e rinnovati, devono venir recati ogni giorno ed ogni ora a Gesù, per essere lavati nel suo preziosissimo sangue, e così potremo rimanere certi della nostra purezza dinanzi a Dio. "Ma v'è un errore opposto a quello, contro il quale pure dobbiamo stare in guardia; esso consiste nel supporre che, una volta lavati nel sangue di Cristo, più non abbiamo peccato da farci perdonare, né macchia da purgare. Crediamo che a questo errore alluda precisamente il nostro evangelista, laddove dice nella la sua epistola 1Giovanni 1:8 'Se noi diciamo che non v'è peccato in noi', cioè, a parer nostro: 'se diciamo che una volta purificati non abbiamo più nulla da vedere col peccato', inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi" (Brown). L'insegnamento qui datoci si è che quelli che sono purificati e perdonati, devono però ricorrere ogni giorno al sangue di Cristo, affin di ottenere per esso il perdono giornaliero delle loro colpe. Non possiamo attraversare questo mondo senza contaminarci. Non v'ha giorno nella vita nostra in cui non falliamo in molte cose, ed in cui non ci occorrano nuove effusioni della grazia divina. Colui che ha avuto tutto il corpo lavato ha pur sempre bisogno di lavare i piedi nella fonte stessa in cui aveva trovato la pace della coscienza, quando prima credette. Dobbiamo cominciare col sangue di Cristo, e col sangue di Cristo altresì dobbiamo continuare fino alla fine.
3. "Gesù ci accerta che la morte ignominiosa alla quale stava per sottomettersi produrrebbe gloria, così per il Padre suo celeste, come per lui medesimo. Ed invero la croce glorificò la sapienza del Padre, per aver egli provveduto il mezzo di rimanere giusto, pur giustificando l'empio. Glorificò la sua fedeltà perché fu l'adempimento della promessa che la progenie della donna triterebbe il capo del serpente Genesi 3:15. Dimostrò la sua santità, poiché egli volle che le esigenze della sua legge venissero soddisfatte per l'opera del nostro grande sostituto. Dimostrò l'amor suo, provvedendo per l'uomo peccatore un Mediatore, un Redentore, un Amico quale il suo eterno Figliuolo. La croce recò pure gloria al Figlio. Ne dichiarò la compassione per aver egli acconsentito ad esser fatto peccato e maledizione per noi, comprando il nostro riscatto col proprio sangue. Ne dimostrò la pazienza, perché non morì semplicemente di morte comune agli uomini; ma volontariamente soggiacque a torture, ad agonie che nessuna mente può concepire, e ciò quando sarebbe bastato un cenno suo a chiamar gli angeli a liberarlo. Glorificò la sua potenza, per aver egli portato il pondo delle trasgressioni del mondo intero, per aver vinto Satana, per avergli ritolta la preda. Facciamo tesoro di tutti questi pensieri relativamente alla croce di Cristo. Ricordiamo che la pittura e la scultura non potranno mai esprimere la decima parte di quanto accadde in sulla croce. I crocifissi e i quadri non possono presentarci altro che un essere umano in preda all'agonia più dolorosa. Ma della lunghezza e della larghezza, della profondità e dell'altezza dell'opera in sulla croce compiuta della legge di Dio onorata, del peccato dell'uomo accettato ed espiato da Colui che del peccatore aveva preso il posto dinanzi alla giustizia di Dio, della salvazione gratuita messa alla portata dell'uomo essi nulla ci possono dire. Eppur tutto ciò è compreso nella crocifissione. Non ci sembri dunque strana l'esclamazione di Paolo: "Tolga Iddio ch'io mi glori in altro che nella croce del Signor nostro Gesù Cristo" Galati 6:14.
4. L'amore a Dio ed al prossimo era la sostanza dei comandamenti del Testamento Antico. Ma allora la legge era: "Ama il tuo prossimo come te stesso"; quella di Cristo ci dice invece: "Come io vi ho amati, voi ancora amatevi gli uni gli altri" Giovanni 13:34. L'amor di Cristo ci vien presentato come il motivo e la misura dell'amore che i cristiani devono nutrire gli uni per gli altri. È questa una legge d'amore superiore ad ogni altra, una legge nuova. Il Salvatore la chiama IL MIO COMANDAMENTO Giovanni 15:12. Quello dev'essere pure un amore speciale, un amore cristiano, un amore degli uni per gli altri quali cristiani, quali coeredi, riscattati e salvati insieme, un amore che deve fare scomparire tutte le distinzioni. Esso è il segno a cui si riconoscono i veri discepoli. Come Cristo dobbiam dire: "Chiunque avrà fatta la volontà di Dio, esso è mio fratello, e mia sorella, e mia madre" Marco 3:35. Ciò deve rendere la fratellanza cristiana più particolarmente una Giovanni 17:22-23, spingendo i credenti al mutuo aiuto, al sacrificio di sé per altrui. Perciò il "portare i carichi gli uni degli altri" deve considerarsi come un "adempiere la legge di Cristo" Galati 6:2. Era un comandamento nuovo, se lo si considera riguardo all'amor di Gesù pei suoi, amore che stava per rivelarsi sotto il suo aspetto più meraviglioso: "Niuno ha maggiore amor di questo: di metter la vita sua per li suoi amici" Giovanni 15:13, perciò "ancora noi dobbiam porre le anime per i fratelli" 1Giovanni 3:16. Questo comandamento dunque è nuovo, per il carattere speciale dell'amore che egli ci comanda.