Giovanni 11
CAPO 11 - ANALISI
1. La morte di Lazzaro annunziata a Gesù; e effetto di quest'annunzio sopra Gesù stesso, e sopra i suoi discepoli. Dei numerosissimi miracoli compiuti da Gesù, il nostro evangelista ne riferisce soli sette, e quella che forma il soggetto di questo capitolo è l'ultimo e il più notevole di tutti, quello che eccitò maggiormente la rabbia dei suoi avversari. Per questa ragione, come pure a motivo dell'amicizia di Gesù per la famiglia di Betania, Giovanni lo racconta con maggiori particolari che tutti i precedenti. Il suo è evidentemente il racconto di un testimonio oculare. Non ci vien dato nessun particolare della malattia di Lazzaro; ma sappiamo che, non appena egli cadde infermo le afflitte sue sorelle lo fecero sapere a Gesù, nella ferma fiducia che egli guarirebbe l'amico che tanto amava, il messaggero tornò portando loro le incoraggianti parole di Gesù: "Questa infermità non è a morte, ma per la gloria di Dio"; però Gesù rimase tuttora in Perea. Dopo due giorni, egli propose ai discepoli di tornare in Giudea, ed essi protestarono contro il pericolo cui si esponeva, tornando là dove poco prima aveva corso rischio di venir lapidato. Il Signore li accertò che non correva pericolo alcuno, finché non fosse compiuta l'opera sua, e finalmente comunicò loro il fatto della morte di Lazzaro, annunziando al tempo stesso che per il loro bene, non meno che per quello di Lazzaro, aveva deciso di tornare a Betania. Sulla proposta di Tommaso, i discepoli, per quanto si presentasse pericoloso anche per essi il viaggio, si risolsero ad accompagnarlo Giovanni 11:1-16.
2. La scena a Betania. Giunto a Betania, Gesù seppe che da quattro giorni Lazzaro giaceva nel sepolcro. Il suo indugio era stato senza dubbio causa di sgomento alle sorelle; ma Gesù aveva tardato a venire, affinché, per il tempo trascorso dalla sua morte, la risurrezione di Lazzaro risultasse di tanto maggior gloria a Dio. Marta uscì incontro a Gesù. Alla sua dichiarazione che il fratello risusciterebbe all'ultimo giorno, non prima, Gesù rispose: "Io sono la risurrezione e la vita". Niente dunque impediva che suo fratello venisse risuscitato anche subito, se solo essa credeva che Egli lo poteva e lo voleva risuscitare. Maria era rimasta in casa, circondata da amici, accorsi da Gerusalemme per condolersi colle afflitte sorelle. Marta le fece cenno di uscire, poi le annunziò che il Signore era giunto e voleva vederla. Fu una scena commovente, allorquando Maria si gettò singhiozzando ai piedi di Gesù, dichiarando, come già aveva fatto sua sorella, che, se Gesù fosse stato in Betania, Lazzaro non sarebbe morto. Tutti e tre quindi se n'andarono al sepolcro, seguiti dagli amici piangenti. Il cuore compassionevole di Gesù divideva il loro dolore; il suo volto si rigò di lagrime, che fecero dire a quelli che erano lì presenti: Ecco, come l'amava!" Altri invece domandavano ironicamente: "Se tanto era il suo amore per Lazzaro, impedire che morisse non sarebbe stato meglio che piangere sulla sua tomba?" Giovanni 11:17-37.
3. Gesù risuscita Lazzaro; effetto di questo miracolo su quelli che ne furono testimoni. Per provare la realtà di questo miracolo, Giovanni riferisce la pubblica testimonianza di Marta, prima che venisse rotolata la pietra del sepolcro, che cioè la decomposizione doveva esser principiata, poiché suo fratello già da quattro giorni giaceva nella tomba. Rotolata la pietra, Gesù rese grazie al Padre suo celeste, poi comandò, ad alta voce, al morto di uscire; e subito Lazzaro uscì vivente dal sepolcro, tuttora avvolto nei suoi panni funebri. L'Evangelista nulla ci dice dell'effetto di questo miracolo sulle due sorelle; ma l'effetto prodotto sugli abitanti di Gerusalemme che ne furono testimoni fu molto grande, e molto vario. Alcuni, colpiti da questa dimostrazione della sua divina potenza, credettero subito in Gesù come Messia; in altri si accrebbe tanto più l'odio che già gli portavano, e questi corsero in città a riferire ai Farisei quanto era accaduto Giovanni 11:38-46.
4. Effetto di questo miracolo sul Sinedrio. Proposta di Caiafa, e risoluzione definitiva del Sinedrio di far morire Gesù. Appena avuta la notizia di questo nuovo miracolo di Gesù, i Farisei riunirono il Sinedrio. Non potevano negare il miracolo; non volevano credere nel mandato divino di colui che lo aveva adempiuto, e trovavansi perciò in uno stato di sommo eccitamento, e di grande incertezza al tempo stesso. Temevano che Gesù si valesse della crescente sua influenza per farsi proclamare re, attirando così l'intervento dei Romani, i quali non avrebbero mancato di abolire ogni vestigio di indipendenza nazionale in Palestina. Nel bel mezzo della loro discussione, Caiafa, sommo sacerdote, arrogantemente impose silenzio a tutti, dicendo che le varie proposte presentate erano frutto di ignoranza, che un solo era il partito da prendersi, quello cioè di sacrificare per il bene comune l'uomo che metteva la nazione intera in pericolo. Questa proposta rispondeva troppo bene ai segreti pensieri del maggior numero dei presenti, perché non accettassero subito la profezia che, senza la sua saputa, era uscita dalle labbra del sommo sacerdote, e da quel momento cercarono il mezzo migliore di far morire Gesù Giovanni 11:47-53.
5. Cristo lascia Betania per Efraim. La sua vita più non sarebbe stata sicura, se egli avesse, continuato a percorrere pubblicamente il paese, per ciò si ritrasse, coi discepoli, in una piccola città detta Efraim. sulla frontiera del deserto di Giuda, e dopo esservisi fermato alquanto, tornò in Perea. Più tardi, quando cioè avvicinavasi la Pasqua, dibattevasi vivacemente in Gerusalemme la questione di sapere se Gesù verrebbe o no alla festa, poiché i rettori del popolo avevano pubblicato un editto col quale si ingiungeva a chiunque sapesse dove egli era di denunziarlo, affinché lo potessero trarre in arresto Giovanni 11:54-57.

Giovanni 11:1-16. LA MALATTIA DI LAZZARO RIFERITA A GESÙ. DOPO DUE GIORNI, EGLI NE ANNUNZIA LA MORTE AI SUOI DISCEPOLI, E CONTRARIAMENTE AI LORO DESIDERI, PARTE PER BETANIA

1. Or v'era un certo Lazzaro, di Betania, del castello di Maria e di Marta sua sorella, il quale era infermo.
Nessuno dei Sinottici parla di Lazzaro, e il modo in cui lo mentova qui Giovanni mostra che egli era pure sconosciuto ai Gentili pei quali fu scritto il quarto Vangelo, benché pochi nomi fossero dipoi più famigliari nella Chiesa. Lazzaro è la forma greca dell'ebraico Eleazar Esodo 6:25, ed è affatto senza fondamento. È opinione che egli sia il medesimo che il Lazzaro della parabola di Luca 16:1-31, o che il giovane e ricco rettore di Luca 13:18. Quelli che avevano letto l'Evangelo di Luca già conoscevano il nome di Betania, "ora El Azir, forma arabica del nome Lazzaro", e delle sorelle Marta e Maria che ivi dimoravano, Vedi Note Luca 10:38-42, e a quei nomi Giovanni aggiunge ora quello di Lazzaro loro fratello. Dal racconto di Luca sembra probabile che Marta era la sorella maggiore, e la padrona della casa; Giovanni però, in questo versetto, nomina prima Maria, forse perché più nota a motivo del fatto accennato al vers. Giovanni 11:2, e narrato in Giovanni 12.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:3,6; Genesi 48:1; 2Re 20:1-12; Atti 9:37
Giovanni 11:5,11; 12:2,9,17; Luca 16:20-25
Giovanni 12:1; Matteo 21:17; Marco 11:1
Luca 10:38-42

2. Or Maria era quella che unse d'olio odorifero il Signore, e asciugò i suoi piedi coi suoi capelli; della quale il fratello Lazzaro era infermo.
Per far meglio conoscere chi fosse Lazzaro, Giovanni ricorda qui l'onore che alla sua sorella, venne accordato di ungere il Signor Gesù al principio della settimana della passione, e al tempo stesso associa il nome di Maria, per quanto il mondo durerà, con quell'atto di amore da essa compiuto. Nessuno dei Sinottici ci dà il nome di quella che compié un tale atto; ma qui Giovanni ne parla come di un fatto ben noto nelle tradizioni della Chiesa primitiva, facendoci così vedere che già si avverava la profezia fatta in proposito dal Signore Matteo 26:13. È senza fondamento alcuno l'idea della Chiesa Romana, sostenuta anche da Hengstenberg, che questa Maria di Betania sia la medesima che Maria di Magdala, o che la peccatrice ravveduta che lavò i piedi di Gesù colle sue lagrime, nella casa di Simone il Fariseo, Vedi Note Marco 14:3; Luca 7:37.

PASSI PARALLELI
Giovanni 12:3; Matteo 26:6-7; Marco 14:3
Luca 7:37-38

3. Le sorelle adunque mandarono a dire a Gesù: Signore ecco colui che tu ami è infermo.
Nella loro angoscia, i pensieri delle due sorelle si volgono immediatamente a Gesù, con piena fiducia nell'amor suo e nel suo potere. Quest'è evidente dal fatto che non fanno domanda alcuna. Il mandargli ad annunziare la malattia del fratello era un modo delicato di fargli conoscere il loro bisogno; e dopo aver ricordato al Signore il tenero affetto che esisteva fra Lazzaro e lui, lasciano il resto con fiducia nelle sue mani. Conoscendo i pericoli cui era esposta la vita di Gesù in Giudea, non potevano aspettarsi da lui una visita; ma sapevano che sarebbe bastata una sua parola per venir loro in aiuto, e questa eran certi di riceverla. Non par probabile che donne di tanta fede abbiano potuto trovare strano che un discepolo di Cristo cadesse ammalato, benché alcuni credano scoprire traccia di un tal sentimento nella parola "ecco, vedi"; ma, se pur così fosse stato, devono ora imparare che anche quelli che son di Gesù hanno la parte loro di dolori in sulla terra.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:1,5; 13:23; Genesi 22:2; Salmi 16:3; Filippesi 2:26-27; 2Timoteo 4:20; Ebrei 12:6-7
Giacomo 5:14-15; Apocalisse 3:19

4. E Gesù, udito ciò, disse: Questa infermità non è a morte, ma per la gloria di Dio, acciocché il Figliuol di Dio sia glorificato per essa.
Il Signore pronunziò queste parole, presenti il messaggero e i suoi discepoli. Per il primo, esse erano la risposta che doveva portare alle sorelle in Betania, per confortare il loro cuore, e sostenere le loro speranze; pei discepoli, servivano a prepararli a quanto il Signore intendeva dir loro più tardi relativamente a Lazzaro. La dichiarazione che quella malattia "non è a morte" fu intenzionalmente enigmatica; e forse nel momento stesso in cui la faceva, Gesù sapeva che Lazzaro era già morto, perché fin dal principio della malattia il Signore ne conosceva il fine. Ma egli parla qui della morte in riguardo alle conseguenze estreme di essa, quando l'anima vien separata dal corpo, e il corpo si corrompe e cade in polvere; egli è in quel senso che Gesù afferma che questa malattia di Lazzaro non segnerà il fine della sua carriera terrestre, benché la morte potesse per un tempo tenerlo in poter suo, affin di adempiere il disegno che Dio si era prefisso nel mandare a Lazzaro quella infermità. Questo fine, Gesù lo dichiara subito dopo, ed è l'avanzamento della gloria di Dio Padre, mediante una nuova manifestazione della gloria del Figlio, nel miracolo che egli stava per compiere. Questo duplice scopo ci ricorda quanto è detto al cap. Giovanni 10:38 dell'unità del Padre e del Figliuolo; ma ci fa pensar pure ai fatti che stavano per compiersi, e nei quali quella duplice glorificazione sarebbe più che mai chiaramente manifestata cioè:
1. la moltitudine che per questo miracolo crederebbe in Gesù;
2. la confessione, cui fu finalmente costretto il Sinedrio, che questo era un miracolo notevole, dal quale la sua influenza era messa in pericolo;
3. il fatto che questo miracolo provocò la crisi che terminò nella morte di Cristo, morte che in questo Vangelo viene spesso chiamata la sua glorificazione Giovanni 7:39; 12:6,23; 13:31-32.

PASSI PARALLELI
Giovanni 9:3; Marco 5:39-42; Romani 11:11
Giovanni 11:40; 9:24; 12:28; 13:31-32; Filippesi 1:11; 1Pietro 4:11,14
Giovanni 2:11; 5:23; 8:54; 13:31-32; 17:1,5,10; Filippesi 1:20; 1Pietro 1:21

5. Or Gesù amava Marta e la sua sorella e Lazzaro.
In molte edizioni usuali della versione di Diodati trovasi in questo versetto il nome di Maria invece di quello di Marta. È un errore di stampa introdottosi chi sa da quanto tempo; ma l'edizione fatta da Diodati medesimo nel 1641 porta il nome di Marta, in conformità al testo greco, ed a tutte le altre versioni. L'errore è stato corretto nelle edizioni più recenti. Si è chiesto perché il primo posto venga qui dato a Marta, mentre Maria viene semplicemente designata come "sua sorella". Questo avvenne probabilmente perché, come abbiam detto nella nota di Giovanni 11:1 Marta era la sorella maggiore e la padrona di casa. Lange suggerisce un altro motivo, che può esser vero riguardo a Marta, ma non ci pare in armonia col contesto, cioè che Marta avea specialmente bisogno che la sua fede fosse messa alla prova, affin di insegnarle ad abbandonare ogni cura terrena. Il verbo greco qui tradotto amava non è come in Giovanni 11:3. Il primo significa un amore di tenera affezione e ben si addiceva alle due sorelle; il secondo indica l'affetto che si porta ad un amico che si è scelto; è espressione più elevata e meno appassionata, che conveniva meglio alla penna dell'evangelista. Giovanni ricorda qui l'amore di Gesù per la famiglia di Betania, perché nessuno lo accusasse di indifferenza, per essersi egli indugiato due giorni, dopo aver ricevuto la notizia della malattia di Lazzaro. Quell'indugio non nacque da mancanza di affetto; ma Gesù aspettava l'ora fissata dal Padre suo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:4,36; 15:9-13; 16:27; 17:26

6. Come dunque egli ebbe inteso ch'egli era infermo, dimorò ancora nel luogo ove egli era due giorni.
Altra ragione per la tardanza di Gesù può essere stato il suo desiderio di, provare fino alla fine la fede delle due sorelle; ma ci par preferibile attribuirlo alla volontà di Dio Padre, il quale fissa i momenti e le stagioni sotto il sole. La volontà del Figlio in ogni cosa si conforma a quella del Padre; egli non può accettare il momento suggerito dall'uomo, e nemmanco seguir subito gl'impulsi dell'amor suo pei suoi discepoli. Andrà a consolare gli afflitti di Betania, ma solo nell'ora assegnatagli per questo dal Padre. Egli segue evidentemente in questo caso la medesima regola che aveva proclamata in occasione del suo primo miracolo a Cana, che cioè le ore dell'opera sua erano indicate da segni che egli solo poteva leggere; che ogni ora aveva la sua opera, ed ogni opera la sua ora Giovanni 2:4.

PASSI PARALLELI
Genesi 22:14; 42:24; 43:29-31; 44:1-5; 45:1-5; Isaia 30:18; 55:8-9
Matteo 15:22-28

7. Poi appresso disse ai suoi discepoli: andiamo di nuovo in Giudea
Forse il Signore parla di Giudea in generale per destare meno allarme nei suoi discepoli, che se avesse pronunziato il nome di Betania, così prossima a Gerusalemme, dove era evidente la cospirazione contro di lui; ma essi ben sanno che la sua vita non sarà sicura in nessuna parte della Giudea, indi le loro rimostranze.

PASSI PARALLELI
Giovanni 10:40-42; Luca 9:51; Atti 15:36; 20:22-24

8. I discepoli gli dissero: Maestro, i Giudei pur ora cercavan di lapidarti, e tu vai di nuovo là?
A parer loro, l'odio e la violenza di cui poco prima Gesù era per poco rimasto vittima in Gerusalemme non potevano ancora avere avuto il tempo di calmarsi; tornar così presto in Giudea era per parte sua un esporsi deliberatamente alla morte.

PASSI PARALLELI
Giovanni 10:31,39; Salmi 11:1-3; Matteo 16:21-23; Atti 21:12-13
Atti 20:24

9. Gesù rispose: Non vi son eglino dodici ore del giorno? Se alcuno cammina, di giorno, non s'intoppa, perciocché vede la luce di questo mondo. 10. Ma se alcuno cammina di notte, s'intoppa, perciocché egli non ha luce.
lett. "la luce non è in lui". Vedi Nota Giovanni 9:4, dove è espresso il medesimo pensiero. Queste parole di Gesù erano intese a dissipare i timori dei discepoli sul suo conto, e per conseguenza anche sul proprio. Essi sapevano che, finché dura la luce del giorno, nessuno corre rischio di inciampare per via, o di venire interrotto nel suo lavoro. Tali pericoli non si presentano che quando le tenebre coprono la terra; e la lezione che Gesù vuole insegnar loro in questo passo si è: "Il tempo assegnatomi dal Padre per compiere l'opera mia, benché già volga al suo termine, non è per anco interamente compiuto, e finché non lo sia, nessun uomo al mondo può farmi del male. Non v'ha dunque nessun pericolo da temere, e v'ha somma urgenza per me di lavorare, prima che sia finito il poco tempo che mi resta".

PASSI PARALLELI
Giovanni 9:4; Luca 13:31-33
Giovanni 12:35; Proverbi 3:23; Geremia 31:9
Salmi 27:2; Proverbi 4:18-19; Ecclesiaste 2:14; Geremia 13:16; 20:11; 1Giovanni 2:10-11

11 11. Egli disse queste cose; e poi appresso disse loro: Lazzaro, nostro amico, dorme; ma io vo per isvegliarlo.
Dopo una breve pausa, indicata dalle parole "poi appresso", Gesù, con parole di incomparabile bellezza ed affetto, annunzia ai discepoli la morte di Lazzaro. Non solo riconosce in Lazzaro un suo amico personale, ma ricorda ai suoi discepoli che era pure amico loro che spesso erano stati ospiti suoi nella ben nota casa di Betania. "Quanta humanitate, Jesus amicitiam suam cum discipulis communicat!" (Bengel).
Al solo Abrahamo aveva Iddio, nell'Antico Testamento, concesso un sì alto titolo d'onore, e ciò molti secoli dopo la sua morte 2Cronache 20:7; Isaia 41:8. Ma dopo avere unito la nostra natura alla propria, egli riceve tutti i veri credenti nella medesima gloriosissima comunione Giovanni 13:1-38; 14:1-31; 15:1-27. Altra prova della tenerezza di Gesù la troviamo nelle parole colle quali annunzia la morte di Lazzaro; egli non dice rozzamente: "è morto", bensì: "è stato messo a dormire", esprimendo così il fatto più doloroso che possa accadere all'uomo, in modo dolce e patetico, al tempo stesso che perfettamente esatto, se ci ricordiamo che, dopo la morte, viene la risurrezione. Questa figura è spesso usata nelle scritture. Deuteronomio 31:16; 2Samuele 7:12; Daniele 1; 2:2; Matteo 27:52; Atti 7:60; 1Tessalonicesi 4:13-14, come pure dagli autori pagani, prova evidente che anche fra i Gentili, esisteva la credenza tradizionale ad una vita dopo la morte. Da questo sonno di morte, Gesù dichiara di volere andare a svegliar Lazzaro. La parola greca "risveglierò" non si trova in nessun altro luogo del Nuovo Testamento. Alcuni hanno supposto che Gesù avesse saputo solo allora, mediante qualche messaggio speciale, la morte di Lazzaro; ma Giovanni 11:4 attentamente considerato mostra che Gesù conosceva perfettamente e in modo sovrannaturale lo stato di Lazzaro, fin dal momento in cui gliene venne parlato per la prima volta.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:29; 15:13-15; Esodo 33:11; 2Cronache 20:7; Isaia 41:8; Giacomo 2:23
Giovanni 11:13; Deuteronomio 31:16; Daniele 1; 2:2; Matteo 9:24; Marco 5:39; Atti 7:60; 1Corinzi 15:18,51
1Tessalonicesi 4:14-15; 5:10
Giovanni 11:43-44; 5:25-29; Daniele 1; 2:2; 1Corinzi 15:34; Efesini 5:14

12 12. Laonde i suoi discepoli dissero: Signore, se egli dorme, sarà salvo. 13. Or Gesù avea detto della morte di esso; ama essi pensavano ch'egli avesse detto del dormir del sonno. 14. Allora adunque Gesù disse loro apertamente: Lazzaro è morto.
I discepoli fraintesero completamente il senso in cui Gesù avea usato la parola "dorme", forse perché avevano tuttora presenti alla mente le parole di Giovanni 11:4. Supponendo che la sua malattia fosse una di quelle febbri violenti così frequenti nella Palestina, essi considerano il suo sonno come un sintomo favorevole, e ne concludono che egli fosse in buona via di guarigione, e che più non fosse necessario quel ritorno in Giudea da essi tanto, temuto. Conosciuto il loro errore, Gesù dichiara loro, in termini precisi: "Lazzaro è morto". Doveva parere strano ai discepoli, che, se Lazzaro aveva potuto pigliar sonno, e così mettersi sulla via della guarigione, il Signore lo volesse svegliare; ma più misterioso ancora stimarono che colui che poteva guarire le più gravi malattie, con una parola sola, detta anche a distanza Giovanni 4:50, si esponesse alla morte per compiere quella guarigione in persona; ma le parole "Lazzaro è morto" rendono ogni cosa chiara.

PASSI PARALLELI
Giovanni 10:24; 16:25,29

15 15. E per voi, io mi rallegro che io non vi era, acciocché crediate;
Gesù si rallegra a motivo dei suoi discepoli, non a motivo di Lazzaro, di essere stato assente da Betania, perché la loro fede sarà fortificata da quanto avverrà fra breve. Se Gesù fosse stato in Betania durante la malattia di Lazzaro, egli non lo avrebbe lasciato morire, lo avrebbe fatto sorgere dal suo letto di morte, come già aveva fatto per la suocera di Pietro Matteo 8:15; ma sarebbe mancata ai discepoli la prova più lampante della sua potenza divina, quella di farlo risorgere dai morti, e ciò al momento in cui, avvicinandosi la passione del Signore, essi avevano più bisogno che mai che la lor fede fosse accresciuta e fortificata. Già eran veri credenti, ma "la risurrezione di Lazzaro sarebbe il mezzo di comunicar loro verità di un grado più elevato, e in seguito a ciò il loro progresso nella vita spirituale sarebbe così grande da potersi considerare come un nuovo atto di fede" (Watkins).
In quanto alla certezza che Lazzaro non sarebbe morto, se Gesù fosse stato con lui in Betania, Bengel osserva: "Ben si accorda col concetto che ci facciamo della potenza divina il fatto che non leggiamo mai che sia morto qualcuno, mentre il Principe della vita era presente".
ma andiamo a lui.
L'attento lettore osserverà tre gradazioni nel linguaggio del Signore, relativamente al suo andare a Betania. In Giovanni 11:7 egli propone in termini generici ai discepoli di tornar tutti insieme in Giudea: "Andiamo di nuovo in Giudea". In Giovanni 11:11, parla al singolare: "Io vo per isvegliarlo", come se fosse risoluto a partire, lo accompagnassero i discepoli o no. In questo versetto finalmente, dopo aver chiaramente annunziato le sue intenzioni, fa nuovamente uso del plurale, ed invita i suoi discepoli ad accompagnarlo: "Andiamo a lui".

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:35-36
Giovanni 12:30; 17:19; Genesi 26:24; 39:5; Salmi 105:14; Isaia 54:15; 65:8; 2Corinzi 4:15
2Timoteo 2:10
Giovanni 11:4; 2:11; 14:10-11; 1Giovanni 5:13

16 16. Laonde Toma, detto Didimo,
Il nome ebraico "Toma Tam" significa un gemello, e vien tradotto qui e in Giovanni 21:2 col suo equivalente greco "gemello", nome sotto il quale l'apostolo era probabilmente noto ai cristiani di origine greca. In quanto alla tradizione che fosse nato in Antiochia, e che la sua sorella gemella si chiamasse Lidi, la lasceremo dove si trova, cioè nei Padri apostolici.
disse ai discepoli suoi compagni: Andiamo ancor noi acciocché muoiamo con lui.
Benché rivolte non a Gesù, ma ai suoi compagni, queste parole di Toma contengono la risposta all'invito del Signore. Esse corrispondono perfettamente a quanto altri passi di questo medesimo Vangelo ci permettono di indovinare del carattere di questo apostolo Giovanni 14:5; 20:25. Era lento a credere, inchinevole al pessimismo, pronto a scorgere le difficoltà ed i pericoli, facile a sgomentarsi; ma pieno di ardente amore per il Maestro. Questo detto di Toma ai suoi compagni tradisce più amore per Gesù che fiducia nel passo che egli stava per fare. Convinto che essi saranno messi a morte dai Giudei, esorta però i suoi fratelli ad andare col Maestro, ed a dividerne la sorte, poiché era deciso a. partire, piuttostoché lasciarlo andar solo. È strana davvero l'opinione di quel commentatore, il quale crede che Toma parlasse. Di morire con Lazzaro, poiché, al momento in cui parlava, Toma sapeva benissimo che Lazzaro era morto.

PASSI PARALLELI
Giovanni 20:24-29; 21:2; Matteo 10:3; Marco 3:18; Luca 6:15
Giovanni 11:8; 13:37; Matteo 26:35; Luca 22:33

17 Giovanni 11:17-27. MARTA, SAPUTO L'ARRIVO DI GESÙ, ESCE AD INCONTRARLO

17. Gesù adunque, venuto, trovò che Lazzaro era già da quattro giorni nel monumento.
Da Betabara a Betania correvano circa venticinque miglia, ossia dieci ore di cammino, a piedi. Gesù e i suoi discepoli fecero quel viaggio senza pericoli. Giunti a Betania, i discepoli udirono quello che Gesù già sapeva, che cioè Lazzaro già da quattro, giorni giaceva nel sepolcro. Supponendo che Lazzaro fosse stato sepolto, secondo l'uso orientale, la notte che seguì la sua morte, e che morisse il giorno stesso in cui giunse a Betabara il messaggero mandato al Signore per annunziargli la sua malattia, sarebbero ancora trascorsi due giorni a Betabara senza che si parlasse più di lui. Al terzo giorno Gesù ne annunziò la morte, e si fecero i preparativi della partenza Giovanni 11:11-16 e il quarto giorno fu impiegato nel viaggio.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:39; 2:19; Osea 6:2; Atti 2:27-31

18 18. or Betania era vicin di Gerusalemme intorno di quindici stadi.
Betania giace alla base S. E. del Monte degli Ulivi; quindici stadi sono all'incirca tre chilometri, "la lunghezza del cammino del sabato" Atti 1:12. È qui notata la vicinanza di Betania a Gerusalemme per spiegare il fatto mentovato nel vers. seguente, cioè che molti amici erano accorsi da Gerusalemme per condolersi colle afflitte sorelle.

PASSI PARALLELI
Giovanni 6:19; Luca 24:13; Apocalisse 14:20; 21:16

19 19. E molti dei Giudei eran venuti a Marta e Marta, per consolarle del lor fratello.
Oltre alle persone pagate per piangere e lodare il morto, era l'uso fra i Giudei che gli amici della famiglia afflitta venissero per sette giorni di seguito a visitarla e a condolersi con essa. "Questo", dice Trench, "formava una parte del cerimoniale funebre dei Giudei, cerimoniale che era molto accuratamente fissato. Facevasi cordoglio di un morto per trenta giorni; di questi, tre erano giorni di 'pianto' 'flectus', i sette seguenti di 'lamento' 'planctus', e gli altri fino al trentesimo erano giorni di 'lutto' più generale 'moeror'". I Giudei accorsi da Gerusalemme verso Marta e Maria appartenevano al partito avverso a Gesù. La famiglia di Betania, essendo di rango superiore, aveva naturalmente molti amici fra i Giudei alto locati e questi non potevano, benché Lazzaro e le sue sorelle fossero dalla parte di Gesù, esimersi dai doveri dell'amicizia in un caso di morte. "Così il glorioso miracolo che Gesù stava per compiere ebbe in modo molto naturale tanti testimoni che non è possibile metterlo in dubbio" (Brown).

PASSI PARALLELI
Genesi 37:35; 2Samuele 10:2; 1Cronache 7:21-22; Giobbe 2:11; 42:11; Ecclesiaste 7:2; Isaia 51:19
Geremia 16:5-7; Lamentazioni 1:2,9,16,21; 2:13; Romani 12:15; 2Corinzi 1:4; 1Tessalonicesi 4:18; 5:11

20 20. Marta adunque, come udì che Gesù veniva, gli andò incontro, ma Maria sedeva in casa.
Al suo arrivo a Betania, Gesù non andò direttamente dalle due sorelle, ma si fermò fuori del villaggio, come vediamo da Giovanni 11:30, poiché fu qui ancora che Maria lo trovò. La nuova del suo arrivo non tardò molto a giungere a Marta, forse aveva messo qualcuno a far da sentinella e coll'attività e l'energia che la caratterizzavano, essa uscì subito incontro a Gesù. Maria invece, non sapendo l'arrivo del Signore, rimase pazientemente in casa, cogli amici che la partenza di sua sorella aveva lasciati soli con lei. Così ritroviamo nel racconto di Giovanni gli stessi tratti distintivi che; Luca già attribuiva, a queste due donne.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:30; Matteo 25:1,6; Atti 10:25; 28:15; 1Tessalonicesi 4:17

21 21. E Marta disse a Gesù: Signore, se tu fossi stato qui, il mio fratello non sarebbe morto.
Si fu con queste parole piene di cordoglio, e non disgiunte da un certo accento di rimprovero, che Marta accolse il suo Signore, e siccome Maria fece uso delle medesime parole al suo primo incontro con Gesù Giovanni 11:32, è chiaro che durante la malattia del loro fratello, esse spesso avevano desiderato la presenza di Cristo, ed avvenuta la morte, spesso ne avevano in quel modo rimpianto l'assenza, non forse senza sentire scossa, talvolta, la loro fiducia nell'amor suo. "Ci accade facilmente", dice Matthew Henry, "di aggravare il nostro dolore, fantasticando su quello le sarebbe accaduto, se avessimo adottato un metodo diverso, o consultato altri medici. Che ne possiamo sapere? E a che giovano cotali supposizioni? Quando è avvenuta la volontà del Signore, a noi non resta che sottometterci". Queste sorelle manifestano la loro fede, dichiarando di esser convinte che il loro fratello non sarebbe morto se Gesù fosse stato presente; ma si vede pure la debolezza della loro fede in ciò che, al pari dell'uffiziale reale di Capernaum Giovanni 4:49, non credono che Gesù possa guarire essendo assente. Il progresso graduale della fede di Marta ci ricorda lo sviluppo analogo di quella della donna di Samaria Giovanni 4:29, e del cieco nato Giovanni 9:11, benché Marta sia molto più avanzata di quei due.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:32,37; 4:47-49; 1Re 17:18; Salmi 78:19,41; Matteo 9:18; Luca 7:6-10,13-15
Luca 8:49-55

22 22. Ma pure io so ancora al presente che tutto ciò che tu chiederai a Dio, egli te lo darà.
Qual era il pensiero di Marta, quando riprese a parlare? Le eran forse tornate subitamente in mente le parole: "Questa infermità non è a morte", dandole per un momento la speranza che il fratello potesse ancora tornare a vita? Ma se anche così fosse, una tale speranza le parve così ardita, che si peritò di annunziarla chiaramente, e perfino quando il Signore gliene ebbe dato l'occasione in Giovanni 11:23, si direbbe che essa non ardisse sperare nulla, prima dell'ultimo giorno Giovanni 11:24. Il linguaggio di questo versetto è quello di uno la cui fede in Gesù si limita a credere che laddove egli è, l'aiuto e la benedizione non possono mancare. Il verbo "chiederai", è più appropriato a preghiere umane alle domande di un uomo per sé stesso, che a ciò che il Cristo poteva domandare a suo Padre. Gesù non usa mai questo verbo parlando delle proprie preghiere; né l'usano mai gli Evangelisti di lui. "Nel rivolgere a Dio le proprie richieste, Gesù dice: mentre 'domandar qualche cosa per sé stesso', è impiegato altrove da Giovanni come esprimente un bisogno umano, una fiducia infantile in Dio; epperciò quel vocabolo conviene alla situazione attuale, e sta bene in bocca di Marta" (Luthardt).

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:41-42; 9:31; Marco 9:23; Ebrei 11:17-19
Giovanni 3:35; 5:22-27; 17:2; Salmi 2:8; Matteo 28:18

23 23. Gesù le disse: il tuo fratello risusciterà. 24. Marta gli disse: lo so ch'egli risusciterà nella risurrezione, nell'ultimo giorno.
La risposta del Signore era ambigua e poteva intendersi così di una risurrezione immediata di Lazzaro, come della sua risurrezione all'ultimo giorno. Gesù volle che fosse tale, per accrescere la fede di Marta e condurla passo, passo al possesso della verità. Checché ne dicano Meyer ed altri, non v'ha ombra di dubbio che Gesù avesse qui in mente il miracolo che stava per compiere; ma Marta, fraintendendo le sue parole, si scoraggì per non avere una più certa assicurazione di immediato soccorso. Non sapeva con quale potenza meravigliosa il Signore stava per venir loro in aiuto. Quantunque la setta giudaica dei Sadducei negasse l'immortalità dell'anima, quella dottrina faceva parte integrante del credo della Chiesa antica; la massa della nazione l'ammetteva, e Marta, da quella pia Israelita che era, esprime qui la fede sua in essa.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:43-44
Giovanni 5:28-29; Salmi 17:15; 49:14-15; Isaia 25:8; 26:19; Ezechiele 37:1-10; Daniele 1; 2:2-3
Osea 6:2; 13:14; Matteo 22:23-32; Luca 14:14; Atti 17:31-32; 23:6-9; 24:15
Ebrei 11:35

25 25. Gesù le disse: io son la risurrezione e la vita;
Dandosi questi titoli, Gesù corregge subito la falsa impressione di Marta che, dovendo la risurrezione accadere in un avvenire molto lontano, essa non potesse derivarne, per il presente, consolazione alcuna. Egli dichiara con potente enfasi sulle parole: Io sono che nella persona di Colui che le parlava in quel momento erano presenti la risurrezione e la vita, cioè che "tutto quanto il potere di impartire, di mantenere e di rendere la vita risiedeva in lui" (Brown), e per conseguenza la. risurrezione di suo fratello era possibile in quel momento, non meno che all'ultimo giorno. Era questo un modo molto espressivo di dire che tutta la dottrina della risurrezione proveniva da lui, e che tutto il potere di effettuarla era concentrato in lui. "Nel senso medesimo in cui avea dichiarato di essere il pane e l'acqua della vita, atto a soddisfare ogni fame ed ogni sete spirituale; così egli qui si dichiara la risurrezione, perché rivela nella propria persona tutto ciò che gli uomini avevano mai pensato o sperato relativamente alla vita futura essendo egli stesso la potenza che li risusciterà all'ultimo giorno, e può per conseguenza risuscitarli ora, poiché egli è la vita" (Watkins).
Non è possibile immaginare una proclamazione più chiara di quella contenuta in queste parole della divinità di Cristo; e niente può confortarci nell'afflizione al pari di esse. Qui abbiamo più che la risurrezione di Lazzaro; Gesù si rivela a noi come la sorgente e la causa della vita spirituale ed eterna egli lascia da parte l'idea speciale di risurrezione e concentra i pensieri di Marta, e al tempo stesso i nostri, su quella "vita in lui", che è l'eredità non solo di quelli che sono morti in fede, ma pure dei credenti che vivono tuttora in sulla terra.
chiunque crede in me, benché sta morto, viverà. 26. E chiunque vive e crede in me, non morrà giammai in eterno.
Gesù essendo LA VITA nel senso più alto e più assoluto della parola, egli deve di necessità esser pure LA RISURREZIONE cioè colui che rende la vita a quelli che già son morti, o devono ancora morire; epperciò la parola risurrezione non è più ripetuta nel resto di questo passo egli parla di sé stesso solo come la vita, e di coloro che a lui sono uniti per vera fede, come essendo partecipi della propria sua vita. In entrambi questi versetti "chiunque crede in me" è evidentemente il soggetto di cui la vita e la morte sono il predicato. In Giovanni 11:25 è detto che, quantunque sia morto in quanto al corpo, "com'era il caso di Lazzaro", alla risurrezione egli riviverà corporalmente ed eternamente. Al ver. di Giovanni 11:26 è dichiarato che chiunque, mentre vive quaggiù, crede in Cristo, benché la morte naturale lo debba tenere avvinto per un tempo, non morrà per sempre, Confr. Giovanni 3:16; 10:28; Romani 11:29; 1Corinzi 15:55-57. Il suo corpo giacerà per un tempo nella tomba, per risorgere finalmente a gloria; mentre l'anima sua continua a vivere in eterno. "La morte del credente sarà assorta nella vita, e la vita sua non cadrà mai più nella morte", tal'è in breve, secondo Brown, il senso di questi versetti; mentre Westcott osserva su di essi: "La temporanea separazione dell'anima e del corpo, secondo quanto ci vien qui detto, non interrompe nemmeno, ed a più forte ragione non distrugge, quella vita nuova ed eterna che Gesù comunica ai suoi credenti".
Credi tu questo?
Ecco una domanda che penetra fino alla coscienza ed al cuore! Essa non significa semplicemente: "Ammetti tu quello che io dico?" ma: "È questa l'intima e verace tua fede?" Rivolgendola a Marta, il Signore esige da essa quella fede senza la quale egli non può compiere la grande sua opera! Egli si era proclamato il vincitore della morte, ed ora aspetta solo che la mano della fede venga stesa ad afferrare quella grazia suprema.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:21; 6:39-40,44; Romani 5:17-19; 8:11; 1Corinzi 15:20-26,43-57; 2Corinzi 4:14
Filippesi 3:10,20-21; 1Tessalonicesi 4:14; Apocalisse 20:5,10-15; 21:4
Giovanni 1:4; 5:26; 6:35; 14:6,19; Salmi 36:9; Isaia 38:16; Atti 3:15; Romani 8:2
Colossesi 3:3-4; 1Giovanni 1:1-2; 5:11-12; Apocalisse 22:1,17
Giovanni 3:36; Giobbe 19:25-27; Isaia 26:19; Luca 23:43; Romani 4:17; 8:10-11,38-39
1Corinzi 15:18,29; 2Corinzi 5:1-8; Filippesi 1:23; 1Tessalonicesi 4:14; Ebrei 11:13-16
Giovanni 3:15-18; 4:14; 5:24; 6:50,54-58; 8:52-53; 10:28; Romani 8:13; 1Giovanni 5:10-12
Giovanni 9:35; 14:10; Matteo 9:28; 26:53; Marco 9:23

27 27. Ella gli disse: Sì, Signore; io credo che tu sei il Cristo, il Figliuol di Dio, che avea da venire al mondo.
La risposta di Marta è immediata ed affermativa, benché non ripeta le parole della nuova rivelazione che le era stata fatta, ma che essa non aveva ancora potuto approfondire. Il verbo significa alla lettera: Io mi sono convinta e credo, o ancora: Questa è la mia fede da molto tempo, che tu sei il Cristo, il Figliuol di Dio che avea da venire al mondo, e che perciò le tue parole sono vere, e che non v'ha nulla di troppo difficile per te. "La sua professione di fede è piena, intiera, ed esprime il riconoscimento il più completo del suo Signore, poiché essa lo riconosce come Messia, come Dio in terra, e come Colui nel quale si adempiono le profezie dell'Antico Testamento relative al promesso Redentore" (Webster).

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:49; 4:42; 6:69; 9:36-38; 20:28-31; Matteo 16:16; Atti 8:37; 1Giovanni 5:1
Giovanni 6:14; Malachia 3:1; Matteo 11:3; Luca 7:19-20; 1Timoteo 1:15-16; 1Giovanni 5:20

28 Giovanni 11:28-46. MARIA, SAPUTO L'ARRIVO DI GESÙ, ESCE AD INCONTRARLO, ACCOMPAGNATA DAGLI AMICI VENUTI A CONDOLERSI CON LEI. TUTTI S'AVVIANO ALLA TOMBA. RINGRAZIAMENTI DI CRISTO A SUO PADRE, SEGUITI DALLA RISURREZIONE DI LAZZARO. EFFETTO PRODOTTO DA QUESTA SUI TESTIMONI VENUTI DA GERUSALEMME

28. E detto questo, se ne andò, e chiamò di nascosto Marta, sua sorella, dicendo: il Maestro è qui, e ti chiama.
Era naturale che Gesù chiedesse di Maria, ed in vero, benché dalla prima parte del versetto possa sembrare che Marta chiamò la sorella di proprio moto, per dividere con essa il privilegio di cui godeva, nell'ultima, essa stessa ci dice che l'iniziativa di questa chiamata partì dal Signore: "Il Maestro ti chiama". Diodati unisce l'avverbio "di nascosto" con "chiamò"; ma si potrebbe ugualmente unirlo col "dicendo" che segue, e questo ne è probabilmente il vero senso. Maria stava coi loro amici venuti da Gerusalemme, e non è probabile che Marta proclamasse ad alta voce dinanzi a loro la venuta di Gesù. Era più naturale al contrario che chiamasse la sorella fuori, e le comunicasse sotto voce la buona novella.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:20; 1:41,45; 21:7; Zaccaria 3:10; Luca 10:38-42; 1Tessalonicesi 4:17-18; 5:11
Ebrei 12:12
Giovanni 13:13; 20:16
Giovanni 10:3; Cantici 2:8-14; Marco 10:49

29 29. Essa, come ebbe ciò udito, si levò prestamente e venne a lui.
Non ubbidì solo con prontezza, ma con alacrità. "Il suo affetto per il Signore, la certezza della sua simpatia, la speranza del suo intervento, diedero un potente impulso al suo cuore" (Brown).

PASSI PARALLELI
Salmi 27:8; 119:59-60; Proverbi 15:23; 27:17; Cantici 3:1-4

30 30. Or Gesù non era ancora giunto nel castello; ma era nel luogo ove Marta l'avea incontrato.
Gesù si era fermato fuori del villaggio, in qualche luogo appartato, non già per esser vicino al cimitero, poiché Lazzaro era sepolto in un sepolcro privato scavato nella roccia, e Gesù non sapeva ove questo fosse Giovanni 11:34, ma per non essere interrotto nella sua conversazione colle due sorelle dagli abitanti di Betania, i quali, ben conoscendolo, si sarebbero subito affollati intorno a lui, se lo avessero visto passare nelle loro, strade. Per la stessa ragione rimase dov'era, mentre Marta andò in cerca della sorella.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:20

31 31. Laonde i Giudei ch'eran con lei in casa e la consolavano, veggendo che Maria s'era levata in fretta ed era uscita fuori, la seguitarono, dicendo: Ella se ne va al monumento per piagner quivi.
È chiaro che questi visitatori non avevano udito nulla dell'arrivo di Gesù, se no forse alcuni di loro non sarebbero stati così pronti a seguire Maria, ed era naturale la loro supposizione che fosse andata a piangere vicino al sepolcro, poiché i Giudei solevano far così per sette giorni, dopo la sepoltura di un loro parente. Essi subito si alzarono e la seguirono, ubbidendo in ciò all'uso orientale che gli amici accompagnino i piangenti fino alla tomba, e si uniscano alle loro lamentazioni. Maria forse avrebbe preferito andar sola; ma Dio diresse le cose in modo che il glorioso miracolo in procinto di venir compiuto avesse molti testimoni che certo non potevano venire accusati di esser prevenuti in favore di colui che lo doveva operare.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:19
Genesi 37:35; 2Samuele 12:16-18; 1Corinzi 2:15

32 32. Maria dunque, quando fu venuta là ove era Gesù, vedutolo, gli si gettò ai piedi, dicendogli: Signore, se tu fossi stato qui, il mio fratello non sarebbe morto.
Vedi Nota Giovanni 11:21. Le parole dette da Maria a Gesù, non appena gli fu abbastanza vicino per parlargli, sono le stesse che già il Signore aveva udite da Marta; ma la trasposizione di una o due parole fa risaltare maggiormente il suo affetto per il morto fratello. Marta era di carattere e di fede più virili che Maria. Non ci vien detto né che piangesse né che si gettasse ai piedi di Gesù; ma ci vien ricordata una parola di fede e di speranza che essa aggiunse alle sue parole di dolore. Maria sembra incapace di dir di più scoppia in singhiozzi e cade ai piedi del Redentore, dando così prova di un carattere più, sensibile, ma più debole di quello della sorella. È anche possibile che la presenza dei visitatori venuti da Gerusalemme la trattenesse dall'aprire a Gesù tutto il suo cuore, impedendo al tempo stesso al Signore di conseguire lo scopo per il quale era rimasto fuori del villaggio.

PASSI PARALLELI
Luca 5:8; 8:41; 17:16; Apocalisse 5:8,14; 22:8
Giovanni 11:21,37; 4:49

33 33. Gesù adunque, come vide che ella, e i Giudei ch'eran venuti con lei piangevano.
Diodati omette "piangente" dopo "ella"; ma il greco dice che Maria piangeva, e che lo spettacolo del suo dolore strappava le lagrime ai suoi amici.
fremé nello spirito,
La vista di un'afflizione così profonda e così reale, "imperocché gli amici li presenti non erano gente pagata per menare cordoglio", svegliò tenera simpatia nel cuore umano di Gesù, e questa si manifestò in modo molto rimarchevole. L'evangelista ci dice che egli fremé nello spirito e si conturbò. Il verbo greco "indignor, infremuit, Vulg." è capace di un senso solo, esprime cioè l'indignazione, il rimprovero, come, ben l'intese Diodati, non già il dolore, secondo la Versione inglese. Ciò, dice Alford, è stato riconosciuto da tutti gli espositori per poco abbiano posto mente alla parola. "La si trova di nuovo in Giovanni 11:38 e solo in altri tre luoghi del Nuovo Testamento Matteo 9:30; Marco 1:43; 14:5, sempre in senso di severità e di ira, non già di cordoglio. In questo passo adunque, l'evangelista sembrerebbe voler dire che la vista di tutta quella gente che piangeva svegliò nel petto di Gesù una santa indignazione. E la difficoltà che si presenta a noi consiste nel cercar la causa di questa ira del Signore.
1. Crisostomo ed altri, prendendo "nello spirito", come l'oggetto di quell'ira, sostengono che Gesù s'irritò contro al suo proprio spirito, a motivo dell'umana emozione di dolore, che se ne era impadronita. Hilgenfeld, citato da Godet, così esprime questo pensiero: "La sua divinità si sdegnò dell'emozione della sua umanità e la represse con violenza". Ma per un tal senso ci vorrebbe la parola "anima", invece di "spirito", imperocché l'anima è la sede degli affetti naturali. Di più questa spiegazione fa violenza a quelle nozioni della umanità del Signore che ricaviamo da questo stesso Vangelo.
2. Altri, ritenendo il vero senso di "nello spirito", credono che l'ira del Signore fosse eccitata dalla lentezza a credere delle due sorelle, e dall'incredulità e dal pianto ipocrita di quei Giudei, che poco dopo dovevano mutarsi per lui in delatori velenosi. Ma nulla vi ha nel racconto di Giovanni che giustifichi una simile teoria, la quale ci sembra poco d'accordo con il contesto, e specialmente col tenore generico di Giovanni 11:45.
3. Altri suppongono che il Signore si indignasse alla vista del trionfo momentaneo del male, mediante la morte e il peccato, che il suo avversario il diavolo era riuscito a far penetrare nel mondo, e le cui dolorose conseguenze manifestavansi ora sotto gli occhi suoi, in modo da muoverlo egli stesso alle lagrime. Westcott crede che questa spiegazione armonizzi assai bene con tutto il racconto.
4. Diodati lo interpreta così "fremé, cioè ne fu tutto commosso ed accorato di sviscerata compassione". Grozio, Maldonato, Rollock, Hutchison, Webster e Wilkinson, Brown e Ryle adottano più o meno il medesimo senso, e considerano che questa frase, per citare solo l'ultimo di questi scrittori, esprime semplicemente lo stato più alto e più profondo di agitazione interna, nella quale il dolore, la compassione e la santa detestazione dell'opera del peccato nel mondo si uniscono e si mescolano insieme.
La terza e la quarta spiegazione sono ugualmente accettevoli, benché in quanto a noi preferiamo quest'ultima. Quest'agitazione di Gesù era ancora tutta interna, benché fosse difficile trattenerne la manifestazione esterna per mezzo delle lagrime.
e si conturbò,
Secondo alcuni queste parole significano che Gesù, frenò la sua emozione, affinché la sua compassione non si sfogasse in lagrime, senza lasciargli il tempo di domandare: "Ove l'avete voi posto?" Altri vedono qui un movimento fisico, un tremito, che accompagnò la sua emozione morale, e fece conoscere agli astanti indignazione dello spirito suo. Per Westcott ed altri la forza di questa espressione indicherebbe che Gesù fece liberamente suoi quei sentimenti cui altri sono soggetti, e manifestò esternamente il suo orrore e la sua indignazione. Ciascuna di quelle spiegazioni è plausibile, ma la prima ci par da preferirsi. Su questo difficile soggetto, Ryle ci offre la seguente opportunissima ammonizione: "Non dimentichiamo che queste parole toccano ad un soggetto dei più delicati e misteriosi, cioè alla precisa natura della unione delle due nature nella persona del Signore. Egli era al tempo stesso Dio perfetto ed uomo perfetto, ma fino a qual segno la natura divina agisse sulla umana, influenzando e frenando i sentimenti e gli affetti umani di Gesù, sono punti che non ci è dato approfondire". Impariamo da questo passo che non vi è male, alcuno nell'essere anche grandemente commossi all'aspetto del dolore, fintanto almeno che teniamo in freno i nostri sentimenti. Teofilatto osserva che "Cristo c'insegna, col proprio suo esempio, la vera misura della gioia e del dolore".

PASSI PARALLELI
Romani 12:15
Giovanni 11:38; 12:27; Marco 3:5; 9:19; 14:33-35; Ebrei 4:15; 5:7-8
Genesi 43:30-31; 45:1-5

34 34. E disse: Ove l'avete voi posto? Essi gli dissero: Signore, vieni e vedi.
Brown sembra adottare delle parole "si conturbò", la spiegazione cui diamo la preferenza, poiché osserva su questo versetto: "Forse fu per conservare abbastanza calma da far questa domanda, per procedere quindi al sepolcro, quando avrebbe ricevuto la risposta, che Gesù frenò la sua emozione". La domanda fu fatta alle sorelle, ed esse risposero immantinente: "Signore, vieni e vedi". Così la domanda come la risposta sono brevissime; il dolore si esprime col minor numero possibile di parole.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:39; 20:2; Matteo 28:6; Marco 15:47; 16:6

35 35. E Gesù lagrimò.
La congiunzione colla quale Diodati comincia questo versetto, non si trova nei migliori codici greci, e devesi omettere. È questo il versetto più breve di tutta quanta la Bibbia; ma in esso si trova una fonte inesauribile di consolazione per tutti i cuori afflitti. Per quanto sieno preziose le prove contenute in altre parti della Scrittura della simpatia di Cristo per quelli di cui ha preso la natura in unione colla divina sua natura, questa le sopravanza tutte, e ci si presenta come un suggello ed una conferma delle consolanti parole di Paolo: "Noi non abbiamo un sommo Sacerdote che non possa compatire alle nostre infermità; anzi che è stato tentato in ogni cosa simigliantemente, senza peccato" Ebrei 4:15. Tre sole sono le occasioni nelle quali i Vangeli ci dicono che Gesù pianse. Egli pianse alla vista di Gerusalemme Luca 19:41; pianse nel giardino di Ghetsemane Matteo 26:39; Ebrei 5:7, e pianse alla tomba di Lazzaro. Il verbo di cui l'evangelista fa uso qui, parlando del piangere del Signore, non è lo stesso che trovasi due volte in Giovanni 11:33 per dire che le sorelle di Lazzaro e i loro amici piangevano la sua morte. In Giovanni 11:33 c'è che suona lamentarsi ad alta voce colle grida acute dell'estremo dolore, qui abbiamo che vuol dire versar lagrime in dignitoso silenzio. "Si potrebbe supporre, che al momento di mutare il duolo delle due sorelle in letizia, e di versare il balsamo sulla loro afflizione, l'anima tutta intera di Gesù doveva esser ripiena di gioia, al pensiero della gioia che stava per dare agli altri; ma Gesù era dotato di sensibilità così squisita, che, anche in un momento consimile, egli non può vedere altri piangere senza piangere con loro. Serva ciò di risposta a certi teologi tedeschi, i quali vedono nelle lagrime di Gesù una ipocrisia, o almeno una prova che questo racconto non è autentico, poiché egli sapeva che presto il suo amico tornerebbe a vita" (Hanna).
Jacobus suggerisce che forse in questo incontro coll'ultimo nemico, "si fu la lotta sua personale con lui nella propria imminente sua morte, che fece passare dinanzi a Gesù tutto il quadro dell'umano soffrire, e così trasse quelle lagrime dagli occhi suoi".

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:33; Genesi 43:30; Giobbe 30:25; Salmi 35:13-15; 119:136; Isaia 53:3; 63:9
Geremia 9:1; 13:17; 14:17; Lamentazioni 1:16; Luca 19:11,41; Romani 9:2,3; Ebrei 2:16-17
Ebrei 4:15

36 36. Laonde i Giudei dicevano. Ecco come l'amava!
I Giudei di cui è qui parlato eran quelli fra i visitatori accorsi da Gerusalemme le cui disposizioni verso Gesù erano favorevoli, e le loro parole esprimono al tempo stesso sorpresa ed ammirazione: "Che Maestro affettuoso è mai quest'uomo! Chi avrebbe immaginato che portasse un tanto amore a Lazzaro!" il verbo "amava", è il vocabolo più appassionato di cui le sorelle fanno uso in Giovanni 11:3 non l'espressione più elevata impiegata dall'evangelista in Giovanni 11:5. Vedi note Giovanni 11:5.

PASSI PARALLELI
Giovanni 14:21-23; 21:15-17; 2Corinzi 8:8-9; Efesini 5:2,25; 1Giovanni 3:1; 4:9-10; Apocalisse 1:5

37 37. Ma alcuni di loro dissero: Non poteva costui, che aperse gli occhi al cieco,
Al singolare, facendo allusione al miracolo speciale riportato in Giovanni 9:1-41.
fare ancora che costui non morisse?
Non c'è fondamento alcuno per credere che queste parole fossero pronunziate da abitanti di Betania, o da altri, che la vista della comitiva in via per il sepolcro avesse attirati. Si produsse evidentemente una divergenza di opinioni fra quelli che aveano seguito Maria, quando essa uscì di casa sua: alcuni, come abbiam visto pur ora, erano propizi a Gesù; altri invece esprimono sorpresa, sospetto, ed odio ognor crescente verso il Signore, osservando ironicamente: "Non è egli strano che costui, dopo aver dato la vista ad uno che non aveva mai conosciuto, non abbia potuto guarire l'amico suo più diletto?" o ancora: "Chi mai potrà più credere che quest'uomo abbia aperto gli occhi di un cieco nato, poiché non ha saputo strappare alla morte il suo più caro amico?" In quanto alla risurrezione di Lazzaro, nessuno di quelli che erano lì presenti ci aveva neppur pensato. "Le parole di questo versetto, unite al fatto ricordato in Giovanni 11:46, ci appaion quelle di nemici decisi a non credere niente di buono del nostro Signore, ed a trovar da ridire a tutto ciò che farebbe" (Ryle).

PASSI PARALLELI
Giovanni 9:6; Salmi 78:19-20; Matteo 27:40-42; Marco 15:32; Luca 23:35,39

38 38. Laonde Gesù, fremendo di nuovo in sé stesso, venne al monumento (Per "fremendo" Vedi Nota Giovanni 11:33); or quello era una grotta, e v'era una pietra posta di sopra.
Ad eccezione dei più poveri fra il popolo, i Giudei possedevano tutti dei sepolcri di famiglia scavati orizzontalmente nelle rocce calcaree così abbondanti in Palestina, e chiusi da una grossa pietra che veniva rotolata contro la piccola apertura quadra o rotonda del monumento. Talvolta il sepolcro dovevasi, scavare perpendicolarmente, ed in tal caso veniva chiuso da una grossa lastra orizzontale. Il sepolcro di Lazzaro sembra essere stato della prima specie, poiché egli ne venne fuori senza assistenza alcuna, il che sarebbe stato impossibile, se si fosse trattato di un sepolcro perpendicolare. Non poteva mancar qui la solita tradizione fratesca, e in fatti si fa vedere al viaggiatore una torre diroccata, di pietra, posta in mezzo alle poche capanne di terra che formano la moderna Betania, e questa vien detta la "Casa di Lazzaro"; mentre un a volta sotterranea divisa in due stanze, alle quali si scende per ben 25 scalini, sarebbe la sua tomba. Su Betania e la tomba di Lazzaro Vedi Nota Marco 14:3.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:33; Ezechiele 9:4; 21:6; Marco 8:12
Genesi 23:19; 49:29-31; Isaia 22:16; Matteo 27:60,66

39 39. E Gesù disse: Togliete via la pietra
Questo comando può riferirsi così ad una pietra verticale da rotolare, come ad una lastra orizzontale da sollevare dal suo posto sulla sommità del sepolcro. I Talmudisti, a detta di Lampe, proibivano rigorosamente di aprire un sepolcro, "per un certo tempo almeno", sia per ragioni igieniche, sia per evitare la contaminazione legale che era la conseguenza del contatto di un cadavere; ma Gesù non ebbe mai molto riguardo per le "tradizioni degli anziani", quando esse si opponevano alle sue opere di misericordia. Sopra questo passo, Brown osserva: "Come Elia, dopo aver preparato tutto l'occorrente per il sacrificio sul Carmel 1Re 18:32-35, ordinò al popolo di inondarlo con acqua, per evitare ogni possibile accusa d'inganno, nel miracolo che stava per compiere, così Gesù, dopo aver ordinato la rimozione della pietra, lasciò che la compissero i presenti, per rendere impossibile a chiunque di accusarlo poi d'inganno e di frode, ed affinché i più scettici fra gli astanti rimanessero convinti, per la testimonianza dei propri sensi, che egli avea richiamato Lazzaro a vita, quando era già cominciata la putrefazione del suo corpo, e senza aver neppur toccato il sepolcro".
Ma Marta, la sorella del morto, disse: Signore, egli pute di già; perciocché egli è morto già da quattro giorni.
Marta, senza averne l'intenzione, conferma la realtà di questo miracolo di Gesù, dichiarando che quello era il quarto giorno dalla morte di suo fratello egli è nel quarto giorno dopo la morte, doveva perciò esser già principiata la decomposizione del suo cadavere. "Nulla v'ha che faccia credere erronea la sua convinzione, benché alcuni sostengano che il miracolo avea principiato al momento della morte di Lazzaro, col preservarne il corpo dalla corruzione" (Plummer).
Le parole di Marta sembrano pure dettate da una certa ripugnanza di contemplare e di lasciar vedere ad altri, in uno stato di incipiente decomposizione, quelle fattezze che tanto aveva amate in vita, e suonano come un appello al Signore di non permetterlo. È forse per scusare questa sua osservazione che l'evangelista ci ricorda qui che essa era "la sorella del morto". Più ancora: Marta era la primogenita della famiglia, la custode legittima del frale di Lazzaro. Ma in quel caso, siamo naturalmente condotti a chiedere: Perché Marta aveva essa guidato Gesù al sepolcro? Per contemplarne solo l'esterno? Quali erano le sue speranze, quando pronunziò le parole riferiteci da Giovanni 11:22? Quale era ora la sua fede? A tutte queste domande una sola è possibile: la fede di Marta aveva sofferto una eclissi parziale, e la sua primiera speranza di una immediata risurrezione di suo fratello era svanita, quando, giunta al sepolcro, si ricordò che la decomposizione del cadavere già era cominciata, e doveva, a parer suo almeno, rendere impossibile la risurrezione. In momenti difficili, anche la fede più sincera vacilla e troppo spesso mette ostacoli davanti all'opera del Signore, o almeno lascia sussistere quelli che egli ci ordina di rimuovere.

PASSI PARALLELI
Marco 16:3
Giovanni 11:17; Genesi 3:19; 23:4; Salmi 49:7,9,14; Atti 2:27; 13:36; Filippesi 3:21

40 40. Gesù le disse Non t'ho io detto, che, se tu credi, tu vedrai la gloria di Dio?
Il Signore, con queste parole, muove un rimprovero, a Marta, il cui intervento era prova di incredulità. Fu un rimprovero amorevole, ma in quel momento, e dinanzi a quanto stava per accadere, deve essere stato grave al cuore di Marta. Nella parte antecedente di questo racconto non troviamo le identiche parole che Gesù qui ricorda a Marta; ma Giovanni 11:25-26 ce ne dànno la sostanza, oltre di che, senza dubbio, il Signore avea qui in mente il messaggio di consolazione che aveva mandato da Betabara alle due sorelle: "Questa infermità non è a morte, ma per la gloria di Dio" Giovanni 11:4. "Non ti ho io fatto sapere che questa malattia risulterebbe a gloria di Dio, gloria che deve tuttora manifestarsi? Non ho io cercato di svegliar la tua fede in me qual risurrezione e vita? Perché dunque darti pensiero dello stato attuale di tuo fratello? Lascia la fede tua precorrere l'avvenire, e metti in bando ogni pensiero ed ogni cura di quaggiù" (Hanna).

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:23-26; 2Cronache 20:20; Romani 4:17-25
Giovanni 11:4; 1:14; 9:3; 12:41; Salmi 63:2; 90:16; 2Corinzi 3:18; 4:6

41 41. Essi adunque tolsero via la pietra dal luogo ove il morto giaceva
Le parole da noi messe in parentesi, benché accettate nel testo ricevuto e in alcuni manoscritti bisantini, vengono omesse dal maggior numero dei critici, e sono invero una spiegazione affatto inutile.
E Gesù, levati in alto gli occhi, disse: Padre, io ti ringrazio che tu mi hai esaudito. 42. Or ben sapeva io che tu sempre mi esaudisci;
È questo il solo esempio che ci venga ricordato in cui Gesù si rivolge pubblicamente al Padre suo, prima di compiere un miracolo. Si noti che lo fa sotto forma, non di preghiera, ma di ringraziamento, quantunque la prima clausola di Giovanni 11:42 ci faccia conoscere che la sua era una vita di preghiera continua, mediante la quale mantenevasi l'unione della volontà di Gesù con quella del Padre suo, di guisa che l'onnipotenza di Dio operava in lui, non in casi eccezionali solamente ma come la legge della sua vita umana. La preghiera per l'esaudimento della quale Gesù rende qui grazie al Signore, egli l'aveva probabilmente fatta, quand'ebbe in Betabara l'annunzio della morte di Lazzaro Giovanni 11:4, e allora pure gli venne assicurato che la gloria del Signore si manifesterebbe mediante la risurrezione di Lazzaro.

42 ma io ho detto ciò per la; moltitudine qui presente, acciocché credano che tu mi hai mandato.
Il Signore non vuol che si creda che egli ringrazia in quel modo solenne il suo Padre celeste, per essere stato da lui eccezionalmente esaudito; egli dichiara invece di aver così fatto, affinché tutti conoscano che egli non dubitò mai di venire esaudito, come sempre era stato, dal Padre suo, e sappiano che, in quanto stava per fare, il Padre opererebbe con lui. Rendendo così grazie a Dio per un miracolo non ancora compiuto, Gesù dava una prova indiscutibile della sua comunione con Dio, e faceva un ultimo e solenne appello alla fede dei suoi avversari. "Rivolgendosi a suo Padre, egli mette Iddio in mora di accordargli o di ricusargli il suo concorso. Se Lazzaro rimane nella tomba, sia Gesù riconosciuto per impostore, e vengano tutti gli altri suoi miracoli attribuiti a Beelzebub! Se Dio, solennemente invocato, dispiega il suo braccio, sia Gesù riconosciuto per mandato da lui!" (Godet).

PASSI PARALLELI
Giovanni 12:28-30; 17:1; Salmi 123:1; Luca 18:13
Matteo 11:25; Luca 10:21; Filippesi 4:6
Giovanni 11:22; 8:29; 12:27-28; Matteo 26:53; Ebrei 5:7; 7:25
Giovanni 11:31; 12:29-30
Giovanni 11:45-50; 9:24-34; 10:37-38; 20:31; Matteo 12:22-24
Giovanni 3:17; 6:38-40; 7:28-29; 8:16,42; 10:36; 17:8,21,25; Romani 8:3; Galati 4:4
1Giovanni 4:9-10,14

43 43. E detto questo, gridò con gran voce: Lazzaro, vieni fuori.
Il verbo "gridò con gran voce", si usava generalmente di una moltitudine, anziché di un individuo. Un'altra sola volta Matteo 27:50, lo troviamo noi detto di Gesù, quando cioè ci vien riferito l'ultimo e trionfante suo grido in sulla croce, che fu probabilmente la parola: "Ogni cosa è compiuta", confr. Giovanni 19:31. Fu quello un grido che doveva riempire la terra ed echeggiare nei cortili celesti. Le parole di questo versetto, pronunziate esse pure ad altissima voce, furono senza dubbio lo strumento diretto del miracolo. Gesù aveva già annunziato che il suono della sua voce quella voce che creò tutte le cose al principio, e le farà tutte tornare nel nulla alla fine sarà udito al giorno del giudicio da tutti quelli che giacciono nella tomba: "L'ora viene, che tutti coloro che son nei monumenti udiranno la sua voce" Giovanni 5:28-29, ed ora egli dà un esempio di quanto quella sua voce compierà in quel giorno. Paolo così descrive ai Tessalonicesi la venuta di Cristo: "il Signore stesso, con acclamazioni di conforto, con voce di arcangelo, e con tromba di Dio, discenderà dal cielo" 1Tessalonicesi 4:16. Qual sublime contrasto fra quella "gran voce", che chiama i cieli e la terra a testimonio di quanto il Signore ha operato, e "gli spiriti di Pitone e gl'indovini, i quali bisbigliano e mormorano", di cui ci parla Isaia 8:19!

PASSI PARALLELI
1Re 17:21-22; 2Re 4:33-36; Marco 4:41; Luca 7:14-15; Atti 3:6,12; 9:34,40

44 44. E il morto uscì, avendo le mani e i piedi fasciati, e la faccia involta in uno asciugatoio.
Era giunto il momento pel morto di udire e di vivere; e non appena quel grido: "Lazzaro, vieni fuori", giunse all'orecchio suo, il suo corpo riprese vita, non già sparuto e consunto come all'ora della morte, ma in tutta la bellezza di una robusta salute. Crediamo con Hanna che, alla medesima chiamata, lo spirito suo tornò, dopo quattro giorni di un sonno senza sogni, da una regione i cui segreti non gli era lecito svelare. Molti commentatori antichi vedono un secondo miracolo nel fatto che Lazzaro poté uscire dal sepolcro, quantunque le sue mani e i suoi piedi fossero legati coi panni funebri; ma l'ordine dato da Cristo agli astanti di scioglierlo e di lasciarlo andare prova che non vi fu un secondo miracolo. Il suo corpo era probabilmente avvolto in un sudario; le sue mani e i suoi piedi fasciati, ma non così strettamente da non permettergli di avanzarsi fino all'entrata del sepolcro. È possibile pure, secondo un'altra spiegazione, che le sue membra fossero fasciate separatamente, secondo l'uso egiziano; sicché, col ritorno della vita, il movimento tornava ad esser possibile.
Gesù disse loro: Scioglietelo, e lasciatelo andare
"In questo, come nel togliere la pietra dal sepolcro, Gesù non vuole agire in persona. Il primo atto era stato la necessaria preparazione della risurrezione; il secondo ne fa la necessaria conseguenza. A sé non riserba che l'atto di dar la vita. Parimenti nel chiamar l'anima a nuova vita spirituale, egli si serve di strumenti umani primieramente per prepararne la via, e in secondo luogo per raccoglierne i frutti" (Brown).

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:25-26; 5:21,25; 10:30; Genesi 1:3; 1Samuele 2:6; Salmi 33:9; Ezechiele 37:3-10; Osea 13:14
Atti 20:9-12; Filippesi 3:21; Apocalisse 1:18
Giovanni 20:5,7
Giovanni 11:39; Marco 5:43; Luca 7:15

45 45. Laonde molti dei Giudei, che eran venuti a Maria, vedute tutte le cose che Gesù avea fatte, credettero in lui. 46. Ma alcuni di loro andarono ai Farisei, e dissero loro le cose che Gesù avea fatte.
Nulla ci vien detto più della famiglia di Betania, della sua gioia, dei suoi progressi nella fede e nell'amore; ma rispetto al grande scopo del miracolo, cioè alla dimostrazione della gloria di Dio, l'Evangelista ci ricorda le varie impressioni che esso produsse sugli amici delle due sorelle, i quali ne furon testimoni oculari. È fatto degno di nota, che essi, tutti, amici o nemici che, fossero di Gesù, rimasero convinti che un grande e segnalato miracolo era stato compiuto, e che da una sola potentissima parola di Gesù un morto era stato richiamato a vita, dinanzi agli stessi loro occhi. Alcuni di essi lo riconobbero subito, col credere in Cristo sotto l'influenza efficace dello Spirito Santo. Altri, benché persistendo nella loro ostilità, e ricusando pur sempre di riconoscerlo per il Messia, il Figliuol di Dio, resero però, tornati in Gerusalemme, una testimonianza così esplicita di quanto avevano veduto, da rendere convinto l'intero Sinedrio, obbligandolo a riconoscere: "Quest'uomo fa molti miracoli" Giovanni 11:47. Alcuni scrittori cercano di provare che questi delatori di Gesù appo i Farisei non erano del numero degli amici di Lazzaro accorsi in Betania; ma, "alcuni di loro", al principio di Giovanni 11:46 rende insostenibile una tale supposizione. Oltre a ciò l'analogia di molti altri passi, nei quali Giovanni in modo analogo ricorda simili divergenze d'opinione, dimostra chiaramente che questa delazione fatta ai Farisei fu un atto di ostilità verso il Signore, per parte di alcuni di quelli che erano stati presenti al miracolo. Queste due classi di uomini: le persone sincere, e quelle che si lasciano guidare dai loro pregiudizi, si ritrovano ad ogni passo nella storia dell'Evangelo; e Dio non compie quaggiù nessun evento notevole, che non ne faccia nuovamente sorgere la manifestazione.

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:19,31; 2:23; 10:41; 12:9-11,17-19,42
Giovanni 5:15-16; 9:13; 12:37; Luca 16:30-31; Atti 5:25

47 Giovanni 11:47-53. EFFETTO DI QUESTO MIRACOLO SUL SINEDRIO. PROPOSTA DI CAIAFA PER RISOLVERE LA DIFFICOLTÀ. RISOLUZIONE DEL SINEDRIO DI FAR MORIRE GESÙ

47. E perciò i principali sacerdoti e i Farisei raunarono il concistoro e dicevano: Che facciamo? Quest'uomo fa molti miracoli.
In questo versetto vediamo al tempo stesso l'odio e il timore che si destarono nel cuore dei principali fra i Farisei e i sacerdoti, all'annunzio del gran miracolo che Gesù aveva compiuto in Betania. Decisi a non riconoscerlo come Messia, per quanti segni e miracoli potesse operare, li spaventa però il pensiero, che, ripetendosi fatti consimili, il popolo possa essere indotto ad accettarlo come Messia, a schierarsi d'intorno a lui, e a suscitare una vera e propria ribellione. Sentono che occorrono gli sforzi più energici per prevenire una tal cosa. Si affrettano a convocare un'adunanza del Sinedrio, e in quella possiamo osservare un gran cambiamento dal tuono sprezzante e dai rimproveri, coi quali avevano accolte le loro proprie guardie, pochi mesi prima, al tempo della festa dei Tabernacoli Giovanni 7:47-48. Dicevano allora: "Ha alcuno dei rettori o dei Farisei creduto in lui?" Ora non possono più nascondere la verità: "Quest'uomo fa molti miracoli, e noi che facciamo? Parliamo e cospiriamo in segreto; ma in realtà, fino ad ora non abbiam fatto nulla per fermarlo nella sua carriera".

PASSI PARALLELI
Salmi 2:2-4; Matteo 26:3; 27:1-2; Marco 14:1; Luca 22:2; Atti 4:5-6,27-28; 5:21
Giovanni 12:19; Atti 4:16-17; 5:24

48 48. Se noi lo lasciamo così, tutti crederanno in lui, e i Romani verranno, e distruggeranno e il nostro luogo, e la nostra nazione.
In questo versetto l'Evangelista espone brevemente gli argomenti che i nemici più accaniti di Gesù misero innanzi per sedurre il Sinedrio ad adottare riguardo a lui una linea di condotta più decisiva, cioè a metterlo a morte. "Se lo si lascia", dicono essi, "continuare liberamente a compiere miracoli, quali il dar la vista ai ciechi, il render la vita a quelli la cui morte era innegabile, la grande maggioranza del popolo crederà in lui, e si ribellerà al Sinedrio, dando così ai Romani, sempre gelosi della propria autorità, un pretesto per mettere un termine a quella larva d'indipendenza che la nostra nazione tuttora possiede, e per avvolgere in una rovina comune la nostra costituzione nazionale, la nostra casta e l'intera nazione d'Israele". Quegli argomenti, per quanto bassi, ed egoisti, erano però ben calcolati per spingere il Sinedrio ad una politica sanguinaria, e, come osserva Plummer, "troviamo di rado, nella letteratura antica, una situazione cotanto complicata, così bene intesa e descritta".

PASSI PARALLELI
Atti 5:28,38-40
Giovanni 1:7; Luca 8:12; 11:52; 1Tessalonicesi 2:15-16
Deuteronomio 28:50-68; Daniele 9:26-27; Zaccaria 13:7-8; 14:1-2; Matteo 21:40-42; 22:7
Matteo 23:35-38; 27:25; Luca 19:41-44; 21:20-24; 23:28-31

49 49. E un di loro, cioè Caiafa, ch'era sommo sacerdote di quell'anno,
Il nome completo di costui era Giuseppe Caiafa, e si suppone che quest'ultimo nome fosse la forma siriaca di Cefa. Egli apparteneva alla setta dei Sadducei, e secondo la legge mosaica non avrebbe avuto diritto alcuno al sommo pontificato d'Israele; ma dacché i Romani avevano soggiogato la Giudea, il sommo sacerdozio più non scendeva dal padre al figlio. Per particolari su Caiafa ed Anna suo suocero, Vedi Note Marco 14:53; Luca 3:2. Questo Caiafa tenne il sommo sacerdozio dall'anno 18 al 36 dell'era nostra, dimodoché quando l'Evangelista lo chiama sommo sacerdote di quell'anno, non ne dobbiamo conchiudere, per quanto fosse precario quell'ufficio, che venisse nominato un nuovo sommo sacerdote ogni anno. Qui, come in Giovanni 11:51, Giovanni vuol far notare, con una certa solennità, che in quell'anno memorabile in cui Gesù venne messo a morte, in cui venne offerto il vero sacrificio per il peccato del popolo, Caiafa era sommo sacerdote.
disse loro: voi non avete alcun conoscimento; 50. E non considerate ch'egli ci giova che un uomo muoia per il popolo, e che tutta la nazione non perisca.
I due nomi di "popolo" e di "nazione" sono entrambi impiegati qui per indicare la nazione giudaica, e apparentemente nel medesimo senso, benché, a rigor di parole, si applicasse ad Israele nel suo carattere teocratico, quale servitore del Signore, mentre era un termine politico, applicabile a tutte le nazioni ugualmente. Le prime parole del sommo sacerdote ai suoi colleghi del Sinedrio sono enfaticamente sprezzanti: "Voi non avete alcun conoscimento", e nella loro ruvida alterezza ben si addicono alla setta cui egli apparteneva, e che si stimava superiore a tutti gli uomini. Esprimono il disprezzo di Caiafa per quei Farisei ignoranti ed impacciati, che altro non sapevano fare se non domandare gli uni agli altri: "Che facciamo?" e voglion dire: Voi e il vostro partito non capite che cosa è richiesta dalla situazione nella quale ci troviamo. Perdete il tempo in lagnanze e querimonie, quando è giunto il momento di un'azione energica e senza riguardi. Quindi espone nel ver. Giovanni 11:50 la linea di condotta che a parer suo si doveva adottare, e risolutamente eseguire: prevenire cioè la ruina della nazione col sacrificio di colui che ne disturbava la pace. Per quanto un tal parere fosse ingiusto, e senza scrupoli, si deve riconoscerne la politica abilità. Ai Romani non poteva se non piacere il vedere il Sinedrio pronto a dar loro nelle mani ogni persona, che potesse venire, anche solo in apparenza, accusata di opporsi al loro governo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 18:13-14; Luca 3:2; Atti 4:6
Giovanni 7:48-49; Proverbi 26:12; Isaia 5:20-23; 1Corinzi 1:20; 2:6; 3:18-19
Giovanni 11:48; 18:14; 19:12; Luca 24:46; Romani 3:8

51 51. or egli non disse questo da sé stesso;
Questo versetto contiene una di quelle osservazioni in parentesi di cui abbiamo già trovato tanti esempi in questo Vangelo. Giovanni ci dichiara qui che Dio si servì del discorso dell'empio Caiafa, come già si era servito della bocca del falso profeta Balaam, per proclamare una grande verità. In quanto esprimono il pensiero di Caiafa, le parole di Giovanni 11:50, significano semplicemente: Togliamolo di mezzo e subito: innocente o colpevole, poco monta; è meglio che muoia, anziché far correre alla nazione rischio alcuno. Ma queste sue parole, senza che egli lo sapesse, contengono una profezia.
ma essendo sommo sacerdote di quell'anno, profetizzò che Gesù morrebbe per la nazione;
Si è obiettato che, quantunque nei tempi antichi i sacerdoti, rivestito l'Efod, e coll'Urim e Tummim sul pettorale, fossero dotati di speciali facoltà di discernimento, questo era cessato anche avanti la distruzione del primo tempio, e che, in ogni caso, Iddio non avrebbe ispirato un uomo come Caiafa in modo da farne un profeta. Ma il fatto che Iddio può, quando voglia, impiegare anche un malvagio, per pronunziare delle profezie, è luminosamente provato dal caso di Balaam Numeri 24:1-10. E d'altra parte abbiam qui una dichiarazione inspirata di Giovanni, che in questa occasione memorabile, quando cioè il consiglio supremo della nazione deliberava sulla sorte del Messia, il capo supremo di esso espresse il suo odio velenoso contro a Gesù con parole di senso profetico, esprimenti una sublime verità, e contenenti tutto quanto il piano misericordioso di Dio per la salute, non solo del popolo d'Israele, ma di tutto il vero Israele di Dio, dovunque esso si trovi.

PASSI PARALLELI
Esodo 28:30; Giudici 20:27-28; 1Samuele 23:9; 28:6
Numeri 22:28; 24:2,14-25; Matteo 7:22-23; 1Corinzi 13:2; 2Pietro 2:15-17
Giovanni 10:15; Isaia 53:5-8; Daniele 9:26; Matteo 20:28; Romani 3:25-26; 2Corinzi 5:21; Galati 3:13
Galati 4:4-5; 1Pietro 2:24; 3:18

52 52. E non solo per quella nazione, ma ancora per raccogliere in uno i figliuoli di Dio dispersi.
Qui Giovanni, guidato dallo Spirito, estende il senso delle parole di Caiafa; imperocché l'oggetto della profezia di costui era limitato al popolo d'Israele, che la morte di Gesù doveva salvare dalle rappresaglie dei Romani; ma l'Evangelista ci dice che, nel permettergli di pronunziare quelle parole, Iddio aveva in vista un soggetto più vasto assai, quello cioè della riunione in una sola famiglia, dei figliuoli di Dio, Giudei o Gentili, dispersi in tutto il mondo. Allorquando, nella sua vecchiaia, Giovanni scriveva questo suo commento alle parole di Caiafa, egli già aveva visto questa profezia principiare ad adempiersi, poiché le "altre pecore", che non appartenevano all'ovile giudaico Giovanni 10:16, già cominciavano ad essere raccolte esse pure sotto il gran pastore, il quale aveva data la vita sua per tutti i figli di Dio in tutto il mondo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:29; 12:32; Salmi 22:15,27; 72:19; Isaia 49:6; Luca 2:32; Romani 3:29; 1Giovanni 2:2
Apocalisse 5:9; 7:9-10
Giovanni 10:16; Genesi 49:10; Salmi 102:22-23; Isaia 11:10-12; 49:18; 55:5; 56:8; 60:4
Matteo 25:31-34; Efesini 1:9-10; 2:14-22; Colossesi 1:20-23
Osea 1:10; Atti 18:10; Romani 4:17; 8:29-30; 9:25-26; Efesini 1:5; 3:11
2Tessalonicesi 2:13-14
Ezechiele 11:16-17; 34:12; Efesini 2:14-17; Giacomo 1:1; 1Pietro 1:1

54 Giovanni 11:54-57. GESÙ LASCIA BETANIA PER EFRAIM

54. Laonde Gesù non andava più apertamente attorno tra i Giudei; ma se ne andò di là nella contrada vicina del deserto, in una città detta Efraim, e quivi se ne stava coi suoi discepoli.
Il pericolo che il Signore Venisse assassinato, pericolo che i discepoli avevano messo avanti per sconsigliarlo dal tornare in Giudea, quando venne loro recato l'annunzio della malattia di Lazzaro Giovanni 11:8, crebbe grandemente, quando fu nota quella decisione del Sinedrio; e se Gesù non volevasi esporre a morire prima dell'ora fissata dal Padre, convenivagli abbandonare nuovamente la sua residenza di Betania. Del luogo che scelse per il proprio rifugio e per quello dei discepoli, Giovanni ci dà la situazione e il nome:
1. "nella contrada vicina del deserto",
2. "in una città detta Efraim".
Questo deserto era senza dubbio quello che veniva comunemente detto "il deserto di Giuda", regione selvaggia ed inospitale che quasi da Gerusalemme stendevasi verso l'Oriente fino al Giordano e al mar Morto, e giungeva a N. sino a Silo. La città di Efraim, sarebbe, secondo Robinson, quella di 2Cronache 13:19, e l'Ofra di Beniamino mentovata in Giosuè 18:23. Egli crede di averla ritrovata nel villaggio di El Tayibeh, dal quale si domina tutta la pendice orientale della valle del Giordano, e del mar Morto. Quel villaggio trovasi a; 5 miglia al N. E. di Betel, e a 16 miglia da Gerusalemme. È una posizione che concorda anzichenò colle indicazioni di Girolamo nel suo Onomasticon. Ammesso che quella fosse la posizione di Efraim, Gesù poteva facilmente passar di là nella Perea, da dove certamente egli proveniva, allorquando, poche settimane dopo, tornò in Gerusalemme per la Pasqua Luca 18:35; 19:11; ma per ora la teoria di Robinson non ci sembra ancora sufficientemente dimostrata.

PASSI PARALLELI
Giovanni 4:1-3; 7:1; 10:40; 18:20
Giovanni 7:4,10,13
2Samuele 13:23; 2Cronache 13:19

55 55. Or la pasqua Dei Giudei era vicina; e molti di quella contrada salirono in Gerusalemme, innanzi la pasqua, per purificarsi.
Secondo la traduzione di Diodati, "quella contrada", indicherebbe solo le vicinanze di Efraim; ma il greco non comporta una tale limitazione; significa "il paese" in generale e comprende la distante Galilea, non meno che le vicinanze di Betabara. La pasqua qui mentovata fu l'ultima, e, secondo il nostro modo di contare, la quarta durante il ministerio di Gesù, Vedi Note Giovanni 5:1.
per purificarsi.
Non v'ha traccia nei libri di Mosè di purificazioni speciali per la pasqua; ma ogni sacrificio o festa solenne era preceduta da qualche specie di purificazione, e in Giovanni 18:28, come pure in 2Cronache 30:18, ecc. troviamo mentovata una tal purificazione in vista specialmente della pasqua. È probabile che non pochi Giudei giungessero in Gerusalemme alcuni giorni prima della pasqua, sia per scrupoli speciali, sia per sciogliere dei voti per i quali occorreva un processo più o meno lungo di purificazione Atti 21:24-26.

PASSI PARALLELI
Giovanni 2:13; 5:1; 6:4; Esodo 12:11-14
Giovanni 7:8-10; 12:1; Esdra 3:1-6; Nehemia 8:1-12
Giovanni 2:6; Genesi 35:2; Esodo 19:10,14-15; Numeri 9:6; 1Samuele 16:5; 2Cronache 30:17-20
Giobbe 1:5; Salmi 26:6; Atti 24:18; 1Corinzi 11:28; Ebrei 9:13-14; Giacomo 4:8

56 56. Cercavano adunque Gesù; ed essendo nel tempio, dicevano gli uni agli altri: Che vi par egli? non verrà egli alla festa?
Abbiam qui una descrizione molto vivace della curiosità e dell'aspettativa di tutti quei pellegrini accorsi in Gerusalemme per la pasqua, i quali, incontrandosi giorno dopo giorno nel tempio, domandavansi se Gesù verrebbe o no alla festa. Tutti erano ansiosi di vedere colui che aveva operato un così portentoso miracolo; lo avevano inutilmente cercato in Betania e nel vicinato, e sapendo che i rettori avevano proibito a chiunque di riceverlo in casa, e ordinato a tutti di denunziarlo, affin di poterlo arrestare, dubitavano della sua venuta, e si comunicavano l'uno all'altro un tal dubbio, colle domande: "Che vi par egli? Non verrà egli alla festa?"

PASSI PARALLELI
Giovanni 11:8; 7:11; 11:7

57 57. Or i principali sacerdoti, e i Farisei avean dato ordine che, se alcuno sapeva ove egli fosse, lo significasse, acciocché lo pigliassero.
In questo versetto, l'Evangelista ci presenta il partito farisaico, come quello che prende l'iniziativa di eseguire la politica di Caiafa. Gli ordini qui ricordati erano il risultato della risoluzione presa dal Sinedrio Giovanni 11:53; essi furono emanati dal sommo sacerdote e promulgati probabilmente in tutto il paese. È chiaro che la moltitudine raccolta in Gerusalemme da tutte le parti del paese fino a quel giorno era favorevole a Gesù, poiché uscì in folla da Gerusalemme per andargli incontro, quando egli fece il suo solenne ingresso nella città Giovanni 12:12-13. Fu solo dopo che il Sinedrio lo ebbe condannato come bestemmiatore, che essa gli si voltò contro d'un tratto Giovanni 18:40, sicché è giusta l'osservazione di Milligan, secondo il quale Giovanni 11:56 ci presenta il quadro degli amici di Gesù, ansiosi di vederlo, e Giovanni 11:57 quello dei suoi nemici, ansiosi di metterlo a morte.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:16-18; 8:59; 9:22; 10:39; Salmi 109:4

RIFLESSIONI
1. "Il richiamare Lazzaro a vita l'aprir gli occhi del cieco nato furono i due più grandi miracoli del nostro Signore. Per questa ragione appunto ci vengono ricordati coi più minuti particolari, e con prove indubitabili. Il solo argomento che lo scetticismo abbia potuto mettere avanti contro la credibilità di questi miracoli è il silenzio assoluto dei tre primi evangelisti riguardo ad essi. Ma se anche non vi fossero delle buone ragioni da dare per giustificare un tal silenzio, esso non distruggerebbe in nulla le prove positive che ci sono in favore di questi miracoli. Fatto sta che il silenzio dei tre primi evangelisti si estende a tutto quanto il ministerio di Gesù nella Giudea, fino al momento della sua entrata in Gerusalemme, non entrando nel loro piano il parlarne. Se dunque quel silenzio fosse di alcun valore contro questi due miracoli, esso dovrebbe pure servire come prova contro a tutto quanto il quarto evangelo" (Brown).
2. Le sorelle di Betania, nell'ora del dolore, si volsero a Gesù, e i servi di Cristo in ogni tempo ed in ogni età faranno bene seguendone l'ottimo esempio. Senza dubbio, quando coloro che amiamo sono infermi, dobbiamo far uso di tutti i mezzi ragionevoli, per ottenere la loro guarigione. Domandiamo pure il parere dei medici migliori, aiutiamo pure in ogni possibile maniera la natura nella sua lotta contro il gran nemico, qualunque sia la malattia; ma in tutto ciò che facciamo, ricordiamoci sempre che il più potente, il più savio, il più amorevole nostro guardiano sta alla destra di Dio Padre, e che niente può maggiormente piacergli che di vederci accorrere a lui in ogni distretta nostra, o dei nostri cari.
3. Il cieco nacque cieco, affinché Cristo potesse aver la gloria di dargli la vista Giovanni 9:3; Lazzaro cadde ammalato e morì, affinché Cristo potesse essere glorificato come Principe della vita. Così pure le afflizioni dei santi hanno per scopo la gloria di Dio, offrendogli l'occasione di mostrar loro la sua bontà. Ci riconcili questo colle più misteriose dispensazioni della Provvidenza. Esse sono per la gloria di Dio, e quando il nostro Signore è glorificato, noi dovremmo stimarcene felici.
4. Si osservi come il Signore dissipa i timori dei suoi apostoli in faccia al pericolo; approfittiamo di una tale lezione, imperocché la paura del pericolo o delle sofferenze ha spesso trattenuto gli amici di Cristo dal far ciò che sarebbe stato alla gloria di Dio. "Gesù ricorda ai discepoli che il tempo assegnatogli dal Padre, per l'opera sua in terra, aveva i suoi limiti precisi al par di quelli del giorno e della notte; perciò finché non fosser finite le sue dodici ore di lavoro, nessun, arma, nessuno sforzo dei suoi nemici poteva nulla contro di lui. Quindi, ad incoraggiare i suoi discepoli, e tutti i credenti da quel tempo in poi, li assicura che quanto è vero di lui è vero altresì di chiunque cammini alla luce di Dio. Chi cammina nella luce non s'intoppa, né cade, né perisce; ma chi cammina nelle tenebre, chi va dove non è chiamato, chi fa ciò che non gli è comandato, cade, perché non v'è luce in lui. Egli ha fatto del giorno notte, e pende sopra lui la sorte di chi cammina nelle tenebre" (Hanna).
5. Strane ed in apparenza dure sono le parole che seguono l'annunzio, dato da Cristo ai discepoli della morte di Lazzaro: "Io mi rallegro che io non v'era". Se le sorelle afflitte avessero udite tali parole, avrebbero creduto vedervi la prova di una diminuzione nell'affetto di Gesù per la loro famiglia. Ma così non era. Egli non le amava meno, né aveva di loro minor compassione; ma la sua simpatia, anziché fermarsi alla famiglia di Betania, estendevasi a tutto il complesso dei suoi discepoli, e per mezzo di essi a tutta la umanità sofferente. "Per voi, io mi rallegro, acciocché crediate".
6. Dopo le parole in cui ci vien dichiarato che Dio, nell'infinito suo amore, mandò l'unigenito e diletto suo Figliuolo nel mondo, acciocché chi crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna, quelle che Gesù rivolse a Marta Giovanni 11:25-26, sono le più preziose che la sacra scrittura ci presenti, poiché in esse Gesù si rivela a noi come "la risurrezione e la vita", il vincitore dell'inferno e del sepolcro, ed il Signore della vita. Questa prima e generica affermazione riceve il vero suo significato dalle due spiegazioni, o diremo meglio promesse, che vengono subito dopo. La prima: Chiunque crede in me, benché sia morto, viverà" si riferisce a Cristo quale risurrezione e si applica a quelli che trovansi in uno stato di morte corporea. "Colui che crede in me, e si trova ora nella tomba, verrà richiamato a vita. Io, la risurrezione, non lo lascerò per sempre in quell'oscura dimora, ma all'ultimo giorno lo risusciterò". La seconda: "Chiunque vive, e crede in me, non morrà giammai in eterno", si riferisce a Cristo qual vita, ed è una promessa fatta ai viventi, ai quali, nel momento "in cui hanno creduto, egli ha già conferito la vita eterna, che quella vita essi non la perderanno mai più, anche se il loro corpo dovrà per un tempo soggiacere alla morte. In breve, il credente non può mai perire. Quel Signore che si chiama "la risurrezione", richiamerà il suo corpo a vita nell'ultimo giorno; quel Signore che è "la vita", manterrà la vita eterna nell'anima sua, secondo la sua promessa Giovanni 10:28-29. La domanda del Signore: "Credi tu questo?" non fu rivolta a Marta solamente, ma pure a tutti quelli che hanno bisogno delle parole che il Signore indirizzò a lei.
7. "La vera natura di tutte quelle risurrezioni, della figliuola di Iairo, del figliuolo della vedova di Nain e di Lazzaro, deve essere accuratamente esaminata. Nessuna di esse fu una risurrezione finale, che non dovesse cioè esser più seguita dalla morte. Furono ritorni a vita del corpo mortale, il quale doveva, nel corso di natura, nuovamente morire, per dormire fino al momento in cui la tromba sonerà, ed esso pure, insieme a tutti gli altri dormienti, si risveglierà finalmente alla vita della risurrezione finale" (Brown).
8. La storia ci dà quì un esempio della cieca ignoranza colla quale spesso procedevano i nemici di Dio. "I rettori dei Giudei dissero gli uni agli altri": "Se lasciamo quest'uomo tranquillo, siamo rovinati; avverrà una ribellione, e i Romani se ne approfitteranno per sopprimere la nostra nazionalità". Gli eventi provarono presto che un tal modo di pensare era affatto errato. I Giudei si precipitarono da folli per la via che aveano scelta e accadde precisamente quello che temevano. Dopo alcuni anni, gli eserciti romani invasero la Palestina, distrussero Gerusalemme, bruciarono il tempio e condussero la nazione tutta in cattività" (Ryle).
9. Qual commento vien dato dalla decisa e violenta resistenza dei rettori dei Giudei alle prove fornite da questo miracolo, delle parole di Gesù nella parabola dell'uomo ricco e di Lazzaro: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non pur crederanno, avvegnaché alcun dei morti risusciti!" Luca 16:31.