2 Tessalonicesi 2
PARTE SECONDA

LE MANIFESTAZIONI ESTREME DEL MALE CHE DEVONO PRECEDERE IL RITORNO DI CRISTO


2Tessalonicesi 2

Questa parte dell'Epistola è stata chiamata talvolta dommatica perchè contiene un insegnamento profetico circa le manifestazioni estreme del male, che devono precedere il Ritorno di Cristo. Il fine, però, cui mira l'apostolo è un fine pratico rispondente ai bisogni della chiesa cui egli scrive. I Tessalonicesi erano stati turbati dalle dichiarazioni di certi esaltati che si dicevano ispirati e che proclamavano imminente la venuta di Cristo; questo non era stato l'insegnamento dato da Paolo nè oralmente nè per iscritto, ma lo si dava come tale. Perciò l'apostolo riprende la penna per ricordare talune parti dimenticate del suo insegnamento orale su questo punto e correggere l'idea erronea dell'imminenza della fine dell'economia attuale.
Il capitolo consta di due Sezioni: nella prima 2Tessalonicesi 2:1-12 Paolo insegna che il Ritorno di Cristo ha da esser preceduto dalla grande apostasia e dall'avvento dell'uomo del peccato. Nella seconda 2Tessalonicesi 2:13-17 Paolo rende grazie a Dio per l'elezione a salvezza, dei Tessalonicesi esortandoli a perseverare nell'evangelo.

Sezione A 2Tessalonicesi 2:1-12 L'APOSTASIA E L'UOMO DEL PECCATO
Vi preghiamo però, fratelli, per quanto concerne la venuta del Signor nostro Gesù Cristo ed il nostro adunamento con lui,

Paolo chiudeva il cap. I colla preghiera che il nome del Signor Gesù fosse, all'apparizione di lui, glorificato nei Tessalonicesi ed essi glorificati nel Signore; ma il tener lo sguardo della loro fede fisso sulle gloriose realtà che sono oggetto della loro speranza, non ha che fare coll'agitazione febbrile e ansiosa in cui sono stati gettati da pochi fanatici. Da ciò il però col quale passa a trattar delle contingenze storiche nelle quali avverrà il Ritorno di Cristo. Seguendo la Volgata, Bruccioli, poi Diodati e Martini hanno tradotto: «Vi preghiamo per l'avvenimento del Signor... e per...», quasi volesse dire: Vi preghiamo per l'allegrezza che vi cagiona quell'evento, o: in nome della fede che avete in esso, di non lasciarvi sconvolgere la mente... Si osserva però che la preposizione greca (ὑπερ) non ha mai un tal senso nel N. T. e che lo scongiurare i fedeli per la venuta di Cristo quando sta per dare un insegnamento in proposito, sarebbe cosa strana. È vero che il senso usuale di yper è quello di a pro di, ma non mancano esempi in cui si accosta al senso di perì (περι) e vale: «riguardo a», «circa», «per quanto concerne» e così lo rendono le versioni e gl'interpreti moderni, seguendo i Padri greci. Cfr. Romani 9:27; 2Corinzi 1:8. Coll'espressione: il nostro adunamento con lui, Paolo si riferisce a quanto avea insegnato nella 1Tessalonicesi 4:17 circa il rapimento nelle nuvole dei morti risuscitati e dei viventi trasfigurati per incontrare tutti insieme il Signore e dimorar per sempre con lui.

Vi preghiamo
di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente nè turbare, sia da dichiarazioni ispirate sia da discorsi, sia da qualche epistola data per nostra, quasichè fosse imminente il giorno del Signore.
Le prime parole del v. alludono allo stato di agitazione delle menti e dei cuori che s'era impadronito dei Tessalonicesi dal momento che il giorno della venuta di Cristo era stato loro annunziato come imminente. Paolo parla letteralmente del non lasciarsi troppo facilmente scuoter dalla mente, ossia smuovere dalla loro convinzione ragionata e calma per abbandonarsi, senza la dovuta riflessione, a una credenza priva di saldo fondamento, destinata a creare una delusione e che intanto gettava individui e chiesa in uno stato di agitazione, interrompendo anche il lavoro ordinario.
Tre mezzi avevano contribuito a creare la erronea persuasione che turbava gli animi, e contro di essi Paolo mette in guardia i fedeli. V'erano state delle dichiarazioni ispirate (δια πνευματος: per mezzo di uno spirito) fatto cioè da taluni profeti che all'ispirazione genuina dello Spirito aveano mescolato le concezioni del loro fanatismo, o che addirittura aveano preso per una ispirazione dello Spirito quel ch'era frutto della loro immaginazione sovreccitata. Non per nulla Paolo aveva ammonito di «provare ogni cosa» 1Tessalonicesi 5:21; e Giovanni esorterà più tardi a «non credere ad ogni spirito ma a provare gli spiriti per saper se son da Dio» 1Giovanni 4:1. V'erano stati anche dei discorsi o delle «parole» (δια λογου) cioè degli insegnamenti orali di genere più calmo, senza pretesa d'ispirazione, in cui si dava come imminente il giorno del Signore. Molti credono si trattasse di qualche parola dell'apostolo mal riferita, o malamente intesa e commentata. Era stata fatta perfino circolare una lettera scritta forse da qualche falsario sotto il nome di Paolo, o più probabilmente anonima, ma attribuita all'apostolo. In essa, a differenza della 1Tess. ove s'insegnava che il Cristo ritornerebbe in modo inaspettato, si dava come imminente il giorno del Signore. Il verbo qui usato ad esprimere codesta idea (ενιστημι) significa talvolta "esser presente" Romani 8:38 "le cose presenti" 1Corinzi 3:22; Galati 1:14: "il presente secolo". Chi l'intende a quel modo crede che i fanatici di Tessalonica predicassero che il giorno del Signore era di già in corso e non aspettassero alcuna apparizione visibile del Cristo. Ma quel che Paolo combatte in questa sezione non è l'idea che il giorno del Signore fosse già principiato, bensì l'idea che fosse sul punto di principiare coll'apparizione, del Signore. Il ritorno di Cristo, egli dice, non può esser tanto vicino, poichè certi eventi che lo devono precedere non si sono per anco avverati. Si suol indicare l'imminenza d'una cosa, colla frase popolare: "ci siamo". Si confr. per un uso analogo dello stesso verbo 1Corinzi 7:26 ove si tratta di una distretta creduta "imminente".

Niuno vi tragga in errore in alcuna maniera, poichè [quel giorno non verrà] se prima non sia venuta l'apostasia e non siasi veduto apparire l'uomo del peccato, il figliuol della perdizione, l'avversario che s'innalza sopra quanto è chiamato Dio od oggetto di culto, fino al punto di porsi a sedere nel tempio di Dio additando se stesso come essendo Dio.
2Tessalonicesi 2:3-4 non offrono difficoltà dal lato linguistico. Al principio, è sottinteso un membro della frase che si può trarre o dalla fine del v.2: «... quel giorno non sarà imminente se prima...», ovvero dal verbo che segue: «... quel giorno non verrà se prima non sia venuta l'apostasia...». Il termine apostasia (lett. l'atto del ritrarsi) non occorre altrove nel, N. T. fuorché, in Atti 21:21 ove si parla di «apostasia da Mosè». In 2Cronache 29:19 l'avere Acaz abbandonato il culto dell'Eterno per darsi all'idolatria è chiamato nella LXX la sua «apostasia». In Geremia 2:17-19 il ritrarsi che fa il popolo dal Signore è pure detto la sua apostasia. In 1Timoteo 4:1 Paolo annunzia come dichiarazione esplicita dello Spirito che «nei tempi avvenire alcuni apostateranno dalla fede», e in 2Timoteo 3:1 dice che «negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili». Gesù stesso predisse che molti falsi profeti sorgerebbero e sedurrebbero molti, e che l'iniquità abbonderebbe Matteo 24:11. Inoltre nella parabola del giudice iniquo, egli fa questa domanda: «Ma quando il Figliuol dell'uomo verrà, troverà egli la fede sulla terra?» Tutto induce a credere che Paolo avesse parlato ai Tessalonicesi di una vasta apostasia dal Dio vivente, dal Cristo, dalla verità e dal bene, come di una delle grandi manifestazioni del male che doveano prodursi prima del ritorno di Cristo. Di una defezione politica dei Giudei sotto forma di rivolta all'autorità romana non v'è il minimo indizio nel contesto, ed il rifiuto di credere in Cristo per parte dei Giudei non è un'apostasia. Di quell'apostasia della cristianità degli ultimi tempi, l'uomo del peccato sarà non l'originatore, ma il rappresentante e lo strumento più cospicuo. Dice letteralmente: «e non sia stato rivelato l'uomo...» cioè non sia emerso alla luce dal seno dell'apostasia generale, non sia apparso sulla scena della storia l'uomo del peccato. Questa espressione come la seguente è un ebraismo che caratterizza il personaggio in questione come la suprema incarnazione del peccato, il capolavoro dello spirito che Gesù chiamò il Maligno (ὁ πονηρος). Come Cristo è l'incarnazione di Dio, così l'anti-Cristo è l'incarnazione dell'iniquità, l'antitesi del Cristo di Dio. Due codici antichi, il sinaitico e il vaticano, seguiti dal Tischendorf e dal Nestle, leggono qui l'uomo dell'iniquità. In 2Tessalonicesi 2:8 è chiamato l'iniquo (ανομος), la negazione teorica e pratica della legge di Dio. Esso è detto il figliuol della perdizione perchè siccome «il salario del peccato è la morte» in tutti i sensi, colui che s'identifica col male al punto da esserne il supremo rappresentante umano, corre inevitabilmente alla propria perdizione. Gesù ha chiamato Giuda, l'apostolo traditore, «il figliuol della perdizione» Giovanni 17:12. Le due caratteristiche che seguono sono strettamente connesse, tanto che si potrebbe tradurre: «Colui che si mette contro e si innalza sopra quanto è chiamato Dio...». Però, siccome i due verbi non reggono lo stesso caso nel greco, la maggior parte degli interpreti prende il primo in senso assoluto: l'avversario, l'oppositore, pur intendendo ch'egli è l'avversario per eccellenza di Dio, l'oppositore di Cristo, il nemico ed il persecutore di quei che son di Cristo. È nemico di Dio e di ogni religione perchè, nel suo satanico orgoglio, egli s'innalza sopra quanto è chiamato Dio od oggetto di culto; quindi si mette al di sopra, tanto dalle così dette divinità pagane primarie o secondarie, 1Corinzi 8:5-6 quanto dell'unico vero Dio. Non riconosce altro dio all'infuori di sè stesso, nè altro culto legittimo che quel ch'egli reclama per se. Nel tempio consacrato al culto di Dio, ove gli adoratori vengono ad umiliarsi e ad adorare, egli siede additando se stesso e dicendo ch'egli è Dio. Se s'intende il «tempio di Dio» in senso materiale, vi si dovrà vedere il tempio di Gerusalemme; se invece s'intendo in senso figurativo o spirituale, vi si dovrà vedere la Chiesa di Dio ch'è anch'essa chiamata da Paolo il tempio di Dio 1Corinzi 3:16-17; 2Corinzi 6:16 perchè Dio vi è adorato e servito dall'Israele secondo lo spirito. Nel descrivere lo sconfinato orgoglio del re di Tiro, Ezechiele esclamava: «Il tuo cuore si è innalzato e tu hai detto: Io sono Dio, son seduto sul seggio di Dio, in mezzo al mare. Tu sei un uomo e non Dio e prendi la tua volontà per la volontà di Dio» Ezechiele 28:2. Daniele nelle sue visioni contempla nell'avvenire un re (Antioco Epifane) che «s'innalzerà, si glorificherà sopra tutti gli dèi e dirà cose strane contro all'Iddio degli dèi... Non avrà riguardo ad alcun dio, ma si glorificherà sopra tutti» Daniele 11:36-37. Gl'imperatori romani si facevan chiamare «divi» e rendere onori divini; Caligola avea perfino ordinato che si collocasse la sua statua nel tempio di Gerusalemme, ma non fu ubbidito. L'uomo del peccato andrà più oltre: proclamerà se stesso Dio ad esclusione di ogni altro.

Non vi ricordate che, quand'io era ancora presso di voi, io vi diceva queste cose?
I Tessalonicesi non avevano posto mente o avevano dimenticato questi insegnamenti orali di Paolo, dati un po' rapidamente nel breve suo soggiorno nella lor città e non potuti ribadire e spiegare. Il non conoscer noi il tenore dell'insegnamento orale a cui si riferisce l'apostolo costituisce una delle maggiori difficoltà dell'interpretazione di questo brano profetico. Egli parla dell'apostasia, dell'uomo del peccato, di quel che lo rattiene, del misterio d'iniquità, come di cose non nuove per i Tessalonicesi che avevano udito la sua parola, ma nuove per chi non possiede che i suoi scritti e non le trova in questi altrimenti spiegate.

Ed ora voi sapete quel che lo ritiene, affinchè non sia manifestato che a suo tempo. Poichè già è all'opera il misterio dell'iniquità; solo v'è chi [lo] ritiene al presente e finch'egli sia tolto di mezzo.
La potenza che ritiene l'Avversario, che ne impedisce per ora la manifestazione esterna è caratterizzata in modo alquanto misterioso prima con un neutro: ciò che lo ritiene, poi con un maschile: colui che ritiene. Se per questa potenza s'intende, come fanno i più, l'impero romano o più genericamente la potestà civile, si spiega facilmente. Come l'apostolo si astenga dal parlare apertamente di una futura sparizione dell'impero o della podestà civile, e come possa chiamar lo Stato: «ciò che ritiene», e chi rappresenta e personifica lo Stato: «colui che ritiene». Nel cenno che daremo più oltre dei varii sistemi d'interpretazione di questo brano, dovremo tornare sull'argomento. A suo tempo vale: nel tempo che gli è stato assegnato da Dio il quale lascia che la zizzania cresca insiem col grano fino alla maturità. Quando il lento svolgersi del male avrà fatto cadere anche l'ostacolo delle leggi e dell'autorità civile, sarà venuto il tempo favorevole alla manifestazione dell'uomo del peccato che sarà l'esponente visibile di uno stato di cose venutosi lentamente e lungamente maturando. Infatti fin dai suoi tempi Paolo poteva arguire da certi segni che l'iniquità non si lascierebbe vincere senza lottare strenuamente contro il regno di Dio. Al «misterio di pietà», al piano di Dio per la redenzione dell'umanità in Cristo, Satana contrapporrebbe il misterio dell'iniquità, il piano da lui elaborato per contrastare alla verità, per adulterarla e oscurarla, per corrompere la Chiesa e trarla all'apostasia, per impedire l'azione del lievito evangelico in seno alla società. Coll'intuito profetico di un generale dell'esercito di Cristo, Paolo vedeva nelle manifestazioni del, male al tempo suo, i primi sforzi per tradurre in atti il piano segreto dell'avversario: già è all'opera il misterio dell'iniquità ossia l'iniquità operante segretamente, sotto parvenze oneste, con mezzi subdoli, sistematicamente, secondo un piano prestabilito, che dovrà far capo a suo tempo ad una generale apostasia ed alla manifestazione dell'anticristo. Questi sarà l'ultima e più perfetta incarnazione dell'empietà. Nella sua 1a Epistola 1Giovanni 2:18 S. Giovanni scrive: «Figliuoletti, è l'ultima ora e come avete udito che ha da venire l'anticristo, sappiate che fin da ora vi sono molti anticristi». Confr. 1Giovanni 2:22; 4:3; 2Giovanni 7. Anche qui l'opera dei molti anticristi che negano il Padre ed il Figlio appiana la via al supremo campione dello spirito anticristiano. Per ora, l'apparizione dell'empio non è possibile perchè v'è colui che rattiene, vale a dire il rappresentante dello Stato, l'imperator romano che schiaccerebbe chiunque osasse porsi al di sopra di ogni legge, di ogni autorità, di ogni religione, e proclamarsi Dio. Quando «chi ritiene» sarà tolto di mezzo. in che modo non si dice, il terreno sarà libero per l'uomo del peccato.

E allora sarà manifestato l'empio che il Signor Gesù distruggerà col soffio della sua bocca e annienterà collo splendore della sua venuta.
L'empio, lett. il senza-legge (ανομος), colui che sprezza ogni legge divina ed umana, l'iniquo che concentrerà in sè l'empietà e l'iniquità del suo tempo che sarà l'ultimo. Questo campione umano di Satana, il Signor Gesù lo distruggerà col soffio della sua bocca. L'espressione non accenna alla sentenza di condanna che uscirà dalla bocca del Giudice, meno ancora alla predicazione della Parola di Dio colla quale sarebbe abbattuto il papato che, per i Riformatori, era la potenza anticristiana. Essa è tolta dall'A. T. ov'è usata per rappresentare la facilità colla quale l'Onnipotente compie i suoi disegni e in ispecie trionfa dei nemici. In Isaia 11:4 si dice del Messia: «Ucciderà l'empio col fiato delle sue labbra». In Giobbe 4:9 si legge: «... quelli che seminano la perversità la mietono. Essi periscono per l'alito di Dio e son consumati dal soffiar delle sue nari» cioè dall'ira sua. «Come l'Eterno, nota il Bornemann, crea la vita col soffio della sua bocca Salmi 104:30; come con esso chiama all'esistenza ogni forza ed ogni fenomeno in questo mondo, così basta anche per il Signor Gesù il semplice soffio della sua bocca per ridurre al niente il suo avversario e togliergli la vita». L'Apocalisse descrive il trionfo del Re dei re sopra le potenze avverse per esempio in Apocalisse 19:15,21. Lo splendore (lett. l'apparizione) della sua venuta in gloria per far giustizia dei malvagi, non solo confonde tutte le menzogne e falsità dell'uomo del peccato, ma ne annienta d'un colpo l'empie pretese, e ne mette in luce l'iniquità e la fragilità. Tale essendo l'ordine degli eventi futuri, era evidente l'orrore di chi rappresentava come imminente la venuta di Cristo, mentre non era ancora apparito, nè poteva ancora apparire l'uomo del peccato; mentre non si era neppure verificata l'apostasia dalla quale doveva uscire l'empio per eccellenza.
Quanto tempo occorrerebbe perchè il misterio dell'iniquità si svolgesse appieno in opposizione al regno di Cristo, Paolo non dice, nè poteva dire poichè lo ignorava egli stesso.

La venuta di quell'empio avrà luogo per l'azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti e di segni e di prodigi bugiardi.
Sebbene abbia di già accennato alla finale distruzione dell'empio, l'apostolo ha qualcosa ancora da insegnare sui mezzi coi quali l'uomo del peccato sedurrà le genti quando apparirà sulla scena del mondo. La sua parousia (venuta) avverrà, dice lett. secondo l'azione efficace (ενεργεια) di Satana, cioè, non solo in armonia col solito modo di agire di Satana, ma per uno spiegamento speciale dell'attività e della potenza di Satana che farà in quell'occasione il massimo sforzo di cui sia capace. E siccome il Messia ha manifestato la sua potenza salutare con dei miracoli, l'anticristo si servirà egli pure di questo mezzo. I portenti dell'empio sono chiamati prodigi di menzogna sia perchè sono falsi, frutto di qualche trucco od impostura, sia perchè sono destinati a sostenere la menzogna, a dare apparenza di verità a empie pretensioni. I tre termini adoperati sono quelli stessi che Gesù adoprò per caratterizzare le sue opere soprannaturali e dinotano qui come il campione di Satana si servirà largamente di ogni forma di falsi miracoli per i suoi scopi. Gesù avea detto: «Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti. Ma voi state attenti; io v'ho predetta ogni cosa» Marco 13:22-23.

10 e con ogni sorta d'iniqui inganni
(lett. inganni d'ingiustizia)
a danno di coloro che periscono perchè non hanno aperto il cuore
(lett. accolto)
all'amor della verità per essere salvati.
I falsi miracoli non sono che uno dei mezzi di seduzione; l'anticristo si servirà d'ogni maniera d'inganni iniqui, procedenti cioè dalla perversità morale ch'egli personifica. Il testo ordinario leggeva in coloro che, mentre tutti gli antichi codici leggono a coloro o "per coloro" che torna a dire a danno di coloro che periscono, che sono in via di perdersi, avviati alla perdizione. L'iniquo cercherà di sedurre anche gli eletti coi suoi travisamenti della verità, ma non vi riuscirà. Invece, le sue seduzioni troveranno un terreno favorevole in quelli che non hanno accolto nel loro cuore l'amore della verità per esser salvati. Non si tratta qui della verità scientifica, ma della verità morale e religiosa, della verità evangelica che ci mostra quel che siamo in realtà, quel che Dio è, quel che Dio vuole quel che ha fatto per la salvezza del mondo. Ma chiunque fa cose malvage odia la luce e non viene alla luce, perchè le sue opere non siano riprovate» Giovanni 3:20. Chi non vuol ripudiare il male che lo perde per abbandonarsi a Cristo che, insieme col perdono, da una nuova vita e una nuova forza, non può esser salvato. Non la piena conoscenza della verità, ma l'onesto amore della verità è condizione necessaria di salvezza. Chi chiude gli occhi alla luce che gli fa veder la via della pace, è avvolto da tenebre sempre più fitte.

11 E per questo Dio manda loro una potenza d'errore che li faccia credere alla menzogna, affinchè siano giudicati tutti coloro che non hanno creduto alla verità, ma si sono compiaciuti nell'iniquità.
Il presente Dio manda loro, invece del futuro, è appoggiato dai codici antichi e dalle versioni. Esprime una legge permanente del governo di Dio rispetto alle creature morali, legge secondo la quale chi ricusa di accogliere la verità e di ubbidirle è abbandonato vie più completamente alla potenza dell'errore. Il credere o non credere alla verità morale e religiosa è cosa che dipende più dal cuore che dalla mente, è questione più morale che intellettuale. Si Cfr. per un altra applicazione della stessa legge quel che Paolo scrive dei pagani Romani 1:18 e segg. e quel ch'è detto di Faraone Esodo 9:12. L'espressione ενεργειαν πλαυης (efficacia d'errore) può significare «una potente inclinazione del loro cuore all'errore», ovvero «una potenza seduttrice che agisce con mezzi particolarmente efficaci per travolgerli sempre più nell'errore». L'attività pervertitrice dell'anticristo stesso sarebbe presentata come una punizione dello sprezzo della verità, sopra gli uomini degli ultimi tempi. Affinchè siano giudicati. L'atto morale del respingere la verità di Dio per compiacersi nell'iniquità, è atto decisivo per l'orientamento di una vita umana e non può quindi sfuggire al giudicio di Dio che scruta le fonti della vita. Il giudicio di Dio su di un tale atteggiamento implica la sua condegna punizione. Sarà condannato il Seduttore ma non sono e non saranno tenuti innocenti quelli che hanno troppo facilmente e volentieri ceduto alla seduzione.

12 Il brano relativo alle estreme manifestazioni del male che devono precedere il Ritorno di Cristo ha dato luogo ad una grande varietà d'interpretazioni. Enumerarle riuscirebbe, oltrechè fastidioso, di poca utilità. Lunemann ne ha tracciato un quadro nel suo Commento (Meyer's Krit. und Exeg. Comm.) ed il Bornemann riprendendo il lavoro del suo predecessore consacrò non meno di sessanta pagine ad una rassegna storico-critica delle opinioni emesse sul significato del passo 2Tessalonicesi 2:1-12, dai primi tempi fino ad oggi. A noi basterà dare un cenno dei sistemi principali.
Seguendo le tracce di Grozio, alcuni critici del 19simo secolo hanno veduto nell'Uomo del peccato uno degli imperatori romani che si distinsero per il loro empio orgoglio o per la ferocia con cui perseguitarono i cristiani. Grozio avea designato Caligola perchè egli fu il primo imperatore che volle essere adorato mentre ancor viveva e che ordinò di collocare la sua statua nel tempio di Gerusalemme. L'ordine non fu eseguito perchè Caligola morì nel 41: «Colui che rattiene» sarebbe stato il generale Vitellio. L'ipotesi di Grozio implicava una data impossibile per l'epistola e non trovò seguaci. Döllinger e Renan hanno veduto Nerone nell'uomo del peccato e, nel vecchio imperatore Claudio, colui che ne impediva l'avvento. Nel 53 Paolo avrebbe già intuito quel che il giovane Nerone sarebbe pei cristiani di Roma nel 64: La Parusia di Cristo sarebbe la sua venuta per giudicare il popolo giudeo e distruggere Gerusalemme. A Nerone altri (Baur) ecc. han sostituito il fantasma del Nerone redivivo che, secondo una credenza popolare, dovea tornare a riprendere l'impero, Wettstein ha indicato il buon Tito come l'uomo del peccato perchè le sue milizie portarono immagini di divinità pagane nel tempio saccheggiato ed acclamarono Tito imperatore. L'ostacolo sarebbe stato Nerone. Altri hanno indicato Vespasiano o Domiziano o Diocleziano.
Il disaccordo tra i sostenitori di una tale teoria non parla certo in suo favore. Essa presuppone, a mente di parecchi suoi sostenitori, l'inautenticità dell'epistola che conterrebbe qui una profezia post eventum. Ad ogni modo, essa si infrange in ogni sua parte contro lo scoglio dei fatti storici. Dove trovare una generale apostasia della Chiesa ai tempi degli imperatori? Come riconoscere in un imperator pagano i lineamenti dell'uomo del peccato descritto da Paolo? Essi che non conoscevano nè il vero Dio nè l'Evangelo, come avrebbero potuto essere i campioni dell'apostasia del vero Dio e del Cristo di cui ignoravano fors'anche il nome? Sono stati talvolta persecutori dei cristiani, ma appunto questa caratteristica manca nel quadro di Paolo. E dove sarebbero gl'iniqui inganni e i falsi miracoli coi quali avrebbero cercato di sedurre i credenti? E come veder la venuta finale di Cristo descritta da Paolo in 1Tessalonicesi 2:19; 3:3; 4:15-18; 5:23; 2Tessalonicesi 1 nel giudicio su Gerusalemme che non rappresenta se non uno degli interventi rimarchevoli del Cristo Re nella storia? E dove trovar quell'imperatore che si è seduto nel tempio di Dio (comunque s'intenda) per proclamarsi Dio? Una siffatta spiegazione, completamente ignota all'antichità cristiana, rimpicciolisce troppo miseramente il gran quadro profetico descritto dall'apostolo e fa troppa violenza al testo perchè metta conto di fermarvisi più oltre.
Lasciando da parte l'opinione di chi ha veduto l'uomo del peccato nel popolo giudaico incredulo o in qualche capo dei Giudei o in qualche loro setta, e tralasciando del pari l'opinione di chi l'ha scorto nell'eresia gnostica o (come gli esegeti della Chiesa greca) nel falso profeta Maometto, va mentovata quella che prevalse tra i precursori della Riforma e nei Riformatori stessi fino a diventare articolo di fede in qualche confessione di chiese riformate. A misura che la Chiesa si venne corrompendo nella dottrina e nei costumi, a misura che l'autorità del vescovo di Roma andò crescendo e la Chiesa diventò mondana e tirannica, si affacciò alla mente dei seguaci del Vangelo il dubbio che il papato nel suo crescente allontanamento dal Vangelo e nel suo crescente spirito di dominazione e di persecuzione rispondesse alla descrizione apostolica dell'uomo del peccato.
I Valdesi, nei loro scritti più antichi, sembrano aver considerato il papato come uno dei precursori dell'anticristo finale. Nella Nobla Leyczon (XIII secolo) si legge:
Noi vediamo questo mondo avvicinarsi alla fine.
Dobbiamo stare attenti alla venuta dell'Anticristo.
Onde non prestar fede nè alle sue opere nè ai suoi detti.
Infatti, secondo la Scrittura, vi son già molti anticristi.
Poichè anticristi sono tutti quelli che si oppongono a Cristo.
Più tardi, quando le gesta dell'Inquisizione e delle Crociate lanciate contro di loro ebbero avvalorata la dimostrazione dello spirito anticristiano della Chiesa papale, essi accettarono l'idea degli Ussiti che il papa fosse l'anticristo predetto (Trattato dell'Anticristo (XV sec.) A tale convinzione fu gradatamente condotto dalle sue esperienze anche Lutero. Mentre, nel Marzo 1519, scriveva a Palatino: «Te lo dico in un orecchio, io non so se il papa sia l'anticristo o il suo apostolo, tanto vien corrotta e crocifissa la verità di Cristo nei suoi decreti». Nel 1520, egli dice: «Quasi non dubito più che il papa sia proprio l'anticristo»; e nei suoi scritti posteriori perseverò in quella convinzione. Negli Articoli di Smalkalda si legge: «Questa dottrina mostra chiaramente che il papa è il vero anticristo che s'innalza ed estolle sopra e contro Cristo, in quanto non vuole che siano salvati i cristiani all'infuori della sua potestà». Cfr. la Confess. di Westminster art. XXV:6 «...il papa di Roma è quell'anticristo, quell'uomo del peccato e quel figliuol di perdizione che innalza se stesso nella Chiesa contro a Cristo e contro a tutto quel ch'è chiamato Dio». Gli espositori della Riforma considerano l'apostasia come l'abbandono del puro Evangelo per andar dietro alle tradizioni e prescrizioni umane. L'empio orgoglio dell'uomo del peccato lo ritrovano nel fatto che il papa si è proclamato superiore ad ogni autorità. Siede nel tempio di Dio, cioè nella Chiesa e proclama se stesso Dio in terra. Il «misterio d'iniquità» già operante, sono i semi di errore e di ambizione che prepararono a poco a poco, la via al papato. I prodigi falsi e gl'iniqui inganni sono i miracoli falsi di reliquie e di madonne, le false Decretali e simili frodi dette pie. L'ostacolo è l'impero romano la cui caduta appianò la via alle ambizioni dei vescovi di Roma. Cristo distruggerà il papato, prima, col fiato della sua bocca, cioè mediante la predicazione della sua Parola, e poi più completamente mediante la sua personale apparizione.
Non si può negare che questa spiegazione della profezia si presenti con caratteri di verosimiglianza molto sorprendenti; e se non la possiamo accettare senz'altro, non crediamo che avessero torto gli antichi Valdesi quando consideravano il papato, che tanto danno ha recato alla causa del cristianesimo nel mondo, come una delle istituzioni anticristiane che dovevano contribuire all'apostasia finale. Wielef diceva: «Il papa sembra essere, non il vicario di Cristo, ma il vicario dell'anticristo». Che però il papa non sia l'uomo del peccato di cui parla Paolo risulta da varie ragioni. L'empio di Paolo è un individuo che ha da sorgere dal seno dell'apostasia generale poco prima della venuta di Cristo, mentre il papato è una istituzione che si svolge attraverso i secoli ed ha avuto una lunga serie di rappresentanti. Per quanto empi siano i titoli assunti dai papi, costoro non sono però mai giunti finora al punto di innalzarsi sopra tutto quel ch'è oggetto di culto e di proclamarsi Dio senz'altro. Essi non sono ancora il capolavoro di Satana e la distruzione dell'uomo del peccato al Ritorno di Cristo non ha che fare colla predicazione della Parola di Dio che fuga l'orrore; ma pare essere un giudicio terribile e subitaneo.

Buon numero di esegeti moderni, di fronte alle difficoltà che rendono inaccettabili le spiegazioni mentovate finora, hanno adottato una teoria che chiamano storico-critica. Essi riconoscono che, nell'apostasia di 2Tessalonicesi 2:3, l'apostolo ha inteso parlare di una grande apostasia religiosa dal cristianesimo e da Dio stesso; che nell'uomo del peccato ha voluto designare un individuo, più probabilmente un giudeo, che sarà l'anti-Messia, il nemico di ogni religione e specialmente del cristianesimo, che nel tempio di Gerusalemme si proclamerà Dio. Quel che ne impedisce la manifestazione è la forza dell'Impero romano che dovrà cadere. La Parusia di Cristo che distruggerà l'empio è il suo ritorno personale nella gloria.
Ma tutto questo, Paolo se lo figurava come molto prossimo ad adempiersi, tanto che credeva perfino di esser ancor vivo all'apparizione di Cristo. Invece egli sbagliava. Non è dunque da cercare in questo brano una profezia vera e propria che abbia avuto o che debba avere ancora il suo adempimento; si tratta qui di vedute subiettive di Paolo. «Erra, scrisse De Wette, chi trova qui altra cosa che una veduta subiettiva dell'avvenire della Chiesa cristiana, contemplato dal punto di vista storico in cui Paolo si trovava. Non c'è una verità obiettiva, generale, ben definita e chiara su questo argomento. Le vedute subiettive dell'apostolo erano, sì, guidate dallo Spirito di Cristo, ma non elevato in ogni caso fino alla pura obiettività, specialmente nelle materie apocalittiche che non sono necessarie a salvezza... Invece di seguir l'esempio di Cristo e, conscio dei limiti della conoscenza umana, astenersi da previsioni troppo definite del futuro, Paolo ha pagato un tributo alla debolezza umana in quanto ha voluto conoscer troppo, tanto qui che in 1Tessalonicesi 4:17; in 1Corinzi 15:51... e in Romani 11:25. Egli, poi, non era soltanto limitato nella sua subiettività, ma portava pure delle catene ch'egli, nella sua cristiana rigenerazione, non aveva buttate via, voglio dire la sua dipendenza dall'apocalittica giudaica e dal libro di Daniele da quella franteso».
Infatti, secondo questa teoria, è l'apocalittica giudaica che ha fornito le linee generali del quadro dell'avvenire qui tracciato dall'apostolo. «Al tempo di Cristo, scrive Lunemann, era una cosa ammessa, generalmente dai Giudei che l'apparizione del Messia sarebbe preceduta da un tempo di persecuzioni e di distrette, e da un anticristo. La descrizione di Antioco Epifane in Daniele 8:23; 11:36 e la figura di Gog e Magog in Ezechiele si ritenevano come una prefigurazione dell'anticristo». Paolo sarebbe stato tanto più disposto ad accettar le linee del quadro giudaico che elleno davano forma concreta all'idea che sgorgava dalla sua esperienza cristiana. Dentro di sè trovava la lotta tra il male ed il bene, tra il vecchio uomo ed il nuovo; e intorno a sè vedeva accendersi sempre più aspra la lotta del mondo giudaico e pagano contro i cristiani. Nessuna meraviglia, quindi, se la sua immaginazione lo portava a personificare la potenza del male nell'Uomo del peccato lottante contro il Cristo, ma destinato ad esser da lui vinto e distrutto. Una volta eliminati dalla profezia di Paolo gli elementi caduchi, resterebbe come residuo di valore permanente l'intuizione che il Ritorno di Cristo per portare a compimento il regno di Dio non avverrà prima che le forze avverse abbiano raggiunto il loro apogeo e tentato il loro supremo sforzo.

Ora, che nel quadro apocalittico di Paolo si ritrovino alcuni tratti che si notano nelle profezie di Daniele e di Ezechiele relative agli ultimi tempi, è cosa che risponde al vero, ed è perfettamente conforme alla legge del progresso della Rivelazione. V'è in Daniele non soltanto la empia e triste fìgura di Antioco Epifane che cercò di abbattere il culto del vero Dio e perseguitò i fedeli Israeliti Daniele 8:9-14,23-25; 11:21-45; trascinandone molti all'apostasia, ma sovra un orizzonte più lontano: quello della quarta grande monarchia si delinea la figura di un re che sorgerà dalla divisione dell'Impero romano in dieci regni, che «profferirà parole contro l'Altissimo, e opprimerà i santi dell'Altissimo, che vorrà mutare i tempi e la legge». Esso sarà annientato per sempre e la sua ruina sarà seguita dal regno eterno del Figliuol dell'uomo. Si confr. in Daniele 7:8-14,19-27 e, in Ezechiele 38; 39, l'assalto tremendo al popolo di Dio fatto da Gog e Magog e la loro definitiva disfatta per intervento di Dio.
Antioco Epifane, il più malvagio nemico d'Israele sotto l'antico Patto, non era che un tipo imperfetto del nemico che dovea sorgere in tempi più lontani contro la verità di Dio e contro il suo popolo. Quell'ultimo nemico Daniele l'aveva intraveduto e Paolo, sotto la guida dello Spirito di profezia, ne precisa meglio l'ambiente apostata, il carattere e i metodi d'azione. Il ritratto ch'egli ne dà resta quindi ben distinto da quello di Daniele. Non lo chiama un re che ne abbatte altri, ma lo definisce l'uomo del peccato, l'iniquo; non dice soltanto che «profferirà parole contro l'Altissimo», ma che si proclamerà Dio, sedendo nel tempio di Dio. Non dice che perseguiterà i santi, ma che, valendosi dell'apostasia generale dei cristiani, egli, con mezzi iniqui e frodolenti, trascinerà nella perdizione tutti quelli che non avranno amato la verità. Non dice solamente che sarà distrutto, ma che lo sarà dalla venuta gloriosa del Signor Gesù. In Daniele poi, non v'è traccia nè del «misterio d'iniquità» che già è all'opera, nè di «colui che rattiene» l'uomo del peccato, nè di miracoli falsi, ecc. Di fronte ai varii ed importanti nuovi tratti che contraddistinguono in Paolo la figura dell'uomo del peccato, è egli esatto di parlare della dipendenza dell'apostolo e delle catene che lo avvincevano all'apocalittica giudaica? Ci pare che sia piuttosto da riconoscere qui un considerevole progresso nella rivelazione profetica relativa alle sorti della Chiesa di Cristo; tanto più che alle rivelazioni concesse a Paolo fanno riscontro quelle della 2 Ep. di Pietro e, nell'ultima decade del secolo apostolico, quelle dell'Apocalisse di Giovanni e delle sue Epistole 1Giovanni 2:18-22; 4:3; 2Giovanni 1:7.
Questi tratti nuovi sono essi frutto dell'immaginazione di Paolo, risultato delle sue personali previsioni circa l'avvenire, previsioni temerarie che sarebbero la prova della fralezza umana dell'apostolo? Certo si è che queste «vedute» facevano parte dell'insegnamento orale dato da lui ai Tessalonicesi, poichè a quello egli si riferisce esplicitamente quando dice: «Non vi ricordate che, quand'io ero ancora con voi, io vi diceva queste cose? Ed ora voi sapete quel che lo ritiene...». V'ha di più; siccome quello che scrive qui circa il giorno del Signore non è che il complemento di quanto aveva scritto in 1Tessalonicesi 4;5 sul medesimo argomento, dobbiamo considerare anche questa parte della profezia come «parola del Signore» al par della prima 1Tessalonicesi 4:15; cioè come una rivelazione obiettiva esplicita concessagli dal Signor Gesù. Quando Paolo non dà che un suo parere personale ad una chiesa (cosa assolutamente eccezionale), egli ha cura d'indicarlo chiaramente a scanso di equivoci 1Corinzi 7:12,25-26,40. Qui invece il caso è ben diverso. L'apostolo sta correggendo appunto le esagerazioni derivate da una protesa ispirazione profetica o da una intrusione di vedute personali nelle dichiarazioni profetiche; ed egli, per correggere l'errore di altri, si abbandonerebbe alla stessa loro presunzione, sostituendo le sue previsioni personali a quelle degli esaltati di Tessalonica? In un siffatto procedere chi può riconoscere l'apostolo dalla coscienza delicata, che protesta di non adulterar la Parola di Dio come fanno altri 2Corinzi 2:17; e che ai Tessalonicesi stessi dichiara di non aver predicato «una parola d'uomini», ma quella «ch'è veramente la parola di Dio» 1Tessalonicesi 2:13?
Se Paolo non parlava sotto l'influenza dello Spirito quando tracciava, per l'istruzione della Chiesa, il quadro dell'avvenire ch'è tanta parte della speranza cristiana, cosa diventa la promessa fatta da Cristo agli apostoli: «Lo Spirito di verità vi condurrà nella verità intera e vi annunzierà le cose avvenire» Giovanni 16:13? E quando mai avrà Paolo parlato sotto l'ispirazione dello Spirito? Avranno le sue esposizioni dommatiche e morali maggiore verità obiettiva delle sue profezie? In realtà, sotto coperta di indipendenza scientifica, si viene ad affermare il domma caro alla teologia detta liberale che, cioè, la Scrittura, non è, se non in senso molto attenuato, il documento di una rivelazione divina positiva.
Se non che, la prova che Paolo avrebbe ceduto alla tentazione di voler conoscer troppo, starebbe nel fatto che le sue previsioni non si sono avverate entro il tempo da lui accennato, e cioè, entro la sua propria generazione. L'apostasia non c'è stata, l'impero romano non è caduto, l'anticristo non è comparso e Cristo non è ritornato. Ma Paolo ha egli veramente determinato un tempo entro il quale tutti questi eventi si dovessero compiere? Quel ch'egli afferma è che il misterio d'iniquità già fin d'allora stava operando e che esisteva il «rattenente». Quanto tempo prenderebbe l'opera del «misterio», e quanto durerebbe il rattenente, ei non lo dice e la profezia di Daniele circa la IV Monarchia faceva prevedere una divisione dell'Impero romano in dieci regni prima che spuntasse il «piccolo corno», cioè l'anticristo Daniele 7:24-25. Quel che Paolo contempla chiaramente è l'ordine dei grandi eventi del futuro: l'apostasia, lo sparir del «rattenente», l'apparizione dell'anticristo, e da ultimo l'avvento di Cristo. Ma egli non fissa, nè può fissare tempo per il ritorno di Cristo, poichè egli stesso ha insegnato 1Tessalonicesi 5; circa i tempi ed i momenti, che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. Appunto perchè non sapeva, egli parla del tempo della venuta di Cristo in un modo incerto, mettendosi ora con quelli che saranno morti ed ora con quelli che vivranno a quell'epoca 1Tessalonicesi 4:15; 1Corinzi 15:52; 6:14. L'esperienza dovette persuader lui, come in genere i primitivi cristiani, che lo svolgimento del regno di Dio nel mondo prenderebbe un tempo assai più lungo di quel che prima avessero pensato. Lo Spirito di profezia svolge dinanzi agli occhi del Veggente un panorama in cui spiccano, come le vette in una scena alpina, i grandi successivi eventi del futuro. Ed i veggenti stessi cercano, secondo la parola di S. Pietro 1Pietro 1:10-12; di comprendere il come e il quando quegli eventi dovranno prodursi, così come il viaggiatore cerca di farsi un'idea della distanza che lo separa dalle vette più o meno lontane ch'egli scorge dinanzi a se. Ma l'errore del viaggiatore nel calcolare le distanze non prova per nulla che il panorama contemplato sia una illusione senza realtà obiettiva.
I diciannove secoli trascorsi di storia del cristianesimo hanno largamente dimostrato come il regno di Dio si svolge sicuramente ma lentamente attraverso i secoli, e come, in opposizione al Vangelo, l'errore religioso e morale assume sempre nuove e più audaci forme. Una larga parte dei milioni d'uomini che si chiamano cristiani è praticamente aliena dalla fede e dalla vita cristiana; e se vanno accentuandosi nel mondo l'unione e l'attività dei credenti nel Cristo, si accentua del pari la coalizione delle forze anticristiane ed antireligiose. Lungi dal diminuire il valore obiettivo della profezia apostolica, l'esperienza del passato e l'osservazione del presente ne rende sempre più credibile ed intelligibile l'adempimento in un avvenire che non possiamo dire quanto sia prossimo o lontano.
L'umanità, dopo aver goduto dei benefizi del cristianesimo durante un periodo di primavera spirituale determinata, secondo Romani 11, dalla conversione d'Israele al Cristo, si abbandonerà in larga misura all'apostasia; l'incredulità, l'empietà, l'odio contro Cristo troveranno allora nell'uomo del peccato il loro più perfetto rappresentante e strumento. «Egli, scriveva Ireneo nel secolo 11simo, ricevendo tutta la potenza di Satana verrà... qual re empio, ingiusto, senza legge, verrà come apostata e iniquo ed omicida, come ladrone, e concentrerà in se l'apostasia diabolica». «Non sarà Satana, dice Crisostomo, ma un uomo che ne riceverà tutto il potere... sarà un anti-Dio e abolirà tutti gli dèi e comanderà che lo si adori lui invece di Dio. Sederà nel tempio di Dio, non nel tempio di Gerusalemme soltanto, ma nelle chiese che son per tutto il mondo». «Quasi tutti i grandi movimenti in bene o in male, notava nel 1862 il decano Alford, hanno fatto capo ad una persona che n'è stata come l'agente centrale. E non v'è ragione per supporre che sarà altrimenti nelle età future. Il livello più alto della coltura porta con se una minore influenza degli ingegni ordinari; ma accresce il potere degli intelletti giganti dinanzi ai quali si curvano soggiogate le moltitudini» (Prolegom. ai Tess.). La rapidità delle comunicazioni mondiali d'ogni sorta, unita alla creazione di vaste associazioni abbraccianti l'universo, non può che centuplicar la forza di chi è al centro di cotali coalizioni.
Quel che al tempo di Paolo avrebbe impedito la manifestazione dell'uomo di peccato era il potere civile rappresentato dall'imperator romano. Parlando del «rattenente», Tertulliano (secondo secolo) esclamava: «E chi sarebbe mai se non lo Stato romano?» Paolo stesso insegna Romani 13; che «il magistrato è ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il male». E infatti, nel corso dei secoli lo Stato, colle leggi e colla coercisione, ha impedito le più audaci manifestazioni dell'empietà e dell'immoralità, come ha tenuto a freno le ambizioni orgogliose del papato. Quando quel freno sarà, se non soppresso, tanto indebolito da lasciar libero il campo alle inique gesta dell'anti-Messia, anch'esso probabilmente d'origine giudaica, i tempi saranno maturi per la di lui apparizione. Ma il grido degli eletti oppressi salirà fino al cielo e l'intervento personale e potente del Cristo di Dio segnerà la sconfitta finale dei suoi nemici ed il trionfo del regno di Dio.
Tale il concetto che della profezia si erano fatto gli antichi Padri e che meglio risponde così alle parole come al carattere dell'apostolo dei Gentili.

AMMAESTRAMENTI
1. Sono consolanti, in questo brano, tre verità che faremo bene di tesoreggiare: Il Signor Gesù tornerà. I suoi fedeli saranno tutti raccolti presso di lui. Ogni male sarà vinto.
2. Il fanatismo è la contraffazione dello zelo e della sana esaltazione prodotta dall'azione dello Spirito sull'uomo. Il fanatismo esagera l'importanza delle verità di cui si impossessa (per lo più sono verità secondarie), e giunge a travisarlo mescolandovi elementi spurii nati dall'immaginazione sovreccitata o dalla passione. Volentieri colorisce le profezie bibliche dei colori che più gli piacciono, e, col prestar autorità divina a quel ch'è prodotto di fantasia umana, turba le menti ed i cuori dei credenti non bene Baldi nella verità. Spesso si mostra poco scrupoloso nell'uso dei mezzi che servono ai suoi scopi. Il fine, presso i fanatici, giustifica i mezzi. Quei di Tessalonica prestano a Paolo una lettera e delle parole non sue; altri in tempi posteriori hanno fabbricato le false Decretali per servir la causa del papato, ed altri han fatto uso perfino della tortura per convertir chi era reputato eretico, o son ricorsi a sovreccitazioni nervose per arruolare nuove reclute per Cristo. Il fanatismo inoltre tende a distogliete gli uomini dai doveri ordinari della vita.
I traviamenti del fanatismo ci ammoniscono della necessità di attenerci agli insegnamenti del Signore e degli apostoli accertandone scrupolosamente l'autenticità e ricercandone il senso esatto. Ai pastori Crisostomo osserva: «Non basta l'aver una volta seminato il buon seme... bisogna ancora cacciar via gli uccelli, sradicar le spine, portar terra nei luoghi rocciosi e allontanare tutto ciò che potrebbe nuocere alla semenza divina». Molti sono gli errori da correggere nei cristiani, errori provenienti o da pretese rivelazioni, o da erronee interpretazioni della Scrittura, o da immaginazioni umane; e convien fare questo con spirito di pazienza e di fraterna bontà.
3. Il protevangelo Genesi 3:15 già presentava la storia dell'umanità come una lotta tra due eserciti nemici: la posterità della donna e la posterità morale del serpente. Colla venuta del Figliuol di Dio in carne la lotta colla potenza delle tenebre si fa più viva, diventa tragica. E Gesù annunzia che dovrà proseguire fino alla fine. L'Evangelo seminato dovrà maturare i suoi frutti; ma un nemico, di notte, seminerà la zizzania tanto simile al grano, ed essa crescerà col frumento fino alla mietitura. L'Evangelo sarà un lievito santificante nell'umanità, ma in essa, così insegna Paolo, opera pure segretamente, lentamente, proditoriamente, il misterio dell'iniquità. Quando avverrà lo scioglimento del dramma? A nessun uomo è dato di conoscere i tempi e le date, nè importa il saperli. Quello che importa per noi è di tenere aperti gli occhi per discernere, nella nostra generazione, i due campi opposti e prendere posizione apertamente dalla parte di Cristo e contro l'iniquità. Quello che importa è di aprire il cuore all'amor della verità per accoglierla, per ritenerla saldamente in mezzo al moltiplicare dei falsi profeti, per conformarvi la nostra vita. Così saremo a riparo dalle seduzioni, anche le più astute, dell'iniquità.
4: «Le due lettere ai Tessalonicesi parlano della fine dell'economia attuale. Nella seconda questa fine è presentata dal suo lato tenebroso, l'estremo del male; nella prima, dal lato luminoso, l'apparizione e la vittoria finale del bene. Lo spirito del secolo nel quale viviamo si rivela in due opposte tendenze: l'una vede il mondo correre verso l'abisso e precipitare nella distruzione; l'altra lo vede salire di progresso in progresso verso uno stato sempre più perfetto. L'intuizione di Paolo unisce quelle opposte vedute coll'assegnare ad ognuna il suo posto nell'avvenire dell'umanità. Oltrepassando l'aspettazione del più tetro pessimista, essa mostra nella universale apostasia e nell'uomo del peccato l'apogeo del male; d'altra parte, oltrepassando le speranze più ottimiste, ci fa contemplare nel ritorno dell'essere più eccellente che sia passato sulla terra, dell'essere che ora è innalzato al potere sovrano, la realizzazione della vita perfetta e la distruzione di ogni male. Così, pur rispondendo a dei bisogni del suo tempo, l'apostolo apre dinanzi a noi delle vedute atte a servir da guida anche a chi vive diciotto secoli dopo di lui». (Godet. Introd. Epp. Paul.).

13 Sezione B 2Tessalonicesi 2:13-17 RINGRAZIAMENTO PER I TESSALONICESI ED ESORTAZIONE A PERSEVERARE NELLA VERITÀ

Nel I Capitolo ov'era stato condotto a parlare dell'ultimo giudicio, Paolo chiudeva colla preghiera che i Tessalonicesi fossero nel gran giorno giudicati degni della loro gloriosa vocazione; nel secondo capitolo, dopo aver parlato delle manifestazioni estreme del male da cui saranno travolti tutti quelli che non hanno amore per la verità, l'apostolo, volgendo il pensiero alla chiesa cui è diretta la sua lettera, non può a meno di render grazie a Dio perchè le disposizioni dei Tessalonicesi sono tali da persuaderlo che Dio li ha eletti a salvazione. Hanno solamente bisogno di perseverare ed a questo ei li esorta.

Ma noi dobbiamo sempre render grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore,
Per voi che siete in condizioni così diverse da quelle degli uomini or ora mentovati. Quelli sono abbandonati da Dio alla potenza dell'errore, alieni da Cristo; voi siete oggetto dell'amore del Signor Gesù; quelli vanno incontro al severo giudicio di Dio, voi siete avviati alla gloria della compiuta salvezza. È quindi per noi un obbligo morale di render grazie per voi a Dio che vi ricolma della sua grazia.
perchè Dio vi ha fin da principio eletti a salvezza mediante la santificazione dello Spirito e la fede nella verità.
Oggetto del ringraziamento di Paolo è l'elezione dei Tessalonicesi, a indicar la quale egli si serve non del termine usuale (εκλεγεσθαι) ma del verbo ἁιρεισθαι che vale propriamente scegliere tra molte pensone o cose. Cfr. Filippesi 1:22, Ebrei 3:25. Così Israele è stato scelto tra molti popoli per appartenere in modo speciale a Dio Deuteronomio 26:18, 7:6-7. La scelta di Dio non è però cosa arbitraria; essa ha dei motivi e dei fini che sono degni di Lui. Nella Scrittura l'elezione divina è posta in relazione colla preconoscenza di Dio: «Coloro che ha preconosciuti, li ha pure predestinati ad esser conformi all'immagine del suo Figliuolo» Romani 8:29. «Eletti secondo la preconoscenza di Dio Padre...» 1Pietro 1:2. D'altronde, «chi ha conosciuta la mente del Signore»? L'elezione di Dio è fin da principio, non dal principio dell'evangelizzazione, ma dal principio dei tempi. Risponde alle espressioni: «avanti la fondazione del mondo» Efesini 3:9; «avanti i secoli» 1Corinzi 2:7; «prima dei tempi eterni» 2Timoteo 1:9. Una variante del Codice Vaticano (B F G) e della Vulgata legge απαρχην: «come primizia», invece dell'απ' αρχης: «da principio» degli altri codici e delle edizioni critiche. Ma oltrechè insufficientemente appoggiata, una tale lezione non si giustifica per il senso, poichè i Tessalonicesi non sono i primi convertiti nè dell'impero romano, nè della Macedonia; e Paolo non li chiamerebbe neppure i fedeli "per eccellenza". Sono eletti a salvezza ossia per raggiungere, per ottenere la salvezza finale ch'è lo scopo della elezione. Come conosce Paolo che siano eletti? Lo conosce dai fatti visibili in cui l'elezione si estrinseca, e che sono come le successive tappe della via che mena alla finale salvazione: la chiamata divina per mezzo dell'Evangelo predicato, la fede loro nella verità udita, la santificazione per opera dello Spirito. Dice lett.: «eletti a salvezza» in santificazione di Spirito e in fede..., il che si può intendere in due modi. Se si connettono le parole «in santificazione...» direttamente con la «salvezza», il pensiero è che la salvezza alla quale sono eletti si effettua mediante la santificazione operata in loro dallo Spirito, e mediante la fede che essi ripongono nella verità evangelica. Se invece quelle parole si connettono col verbo «vi ha eletti», l'idea è che l'elezione di Dio abbraccia ad un tempo il fine ch'è la salvezza e i mezzi o la via per raggiungere il fine, e che sono la santificazione e la fede. In 1Pietro 1:1-2 tre proposizioni sono connesse colla parola «eletti»: eletti secondo la prescienza in santificazione ad ubbidienza. È questa la sola via di salvezza, Dio non elegge a salvezza che attraverso questa via, e chi vi cammina, come i Tessalonicesi che avevano creduto nella verità, mostra di essere oggetto della elezione di Dio. D'altronde lo Spirito non compie la sua opera santificante che per mezzo della verità. Per mezzo di essa la mente è illuminata, la coscienza svegliata e tocca il cuore. «Santificali colla verità» Giovanni 17:17.

14 A questo Egli vi ha pure chiamati per mezzo del nostro evangelo, onde giungiate a possedere la gloria del Signor Nostro Gesù Cristo.
Dio li ha eletti; a salvezza, ma onde potessero entrare nella via della fede e della santificazione che vi conduce, è stato necessario ch'essi vi fossero chiamati dalla predicazione del Vangelo. Per credere alla verità bisogna conoscere la verità. La fede viene da quel che s'ode Romani 10:17. Chiama l'evangelo nostro perchè egli ed i suoi collaboratori ne sono stati i banditori in Tessalonica. Dice lett. in vista dell'acquisto della gloria... cioè: affinchè giungiate al possesso della gloria che Gesù possiede presso al Padre e di cui vuol rendere partecipi quanti sono a lui uniti. La gloria è il coronamento della salvazione Romani 8:29. Al possesso di essa non si giunge senza sforzi, rinunziamenti e prove, perciò adopera l'espressione ad acquisto della gloria. «Il nostro passo, osserva il Reuss, non fa che riepilogare le Principali fasi della salvezza. Dio elegge i suoi fin dall'eternità, poi nel tempo li chiama per mezzo di un predicator del Vangelo; a questa chiamata l'uomo risponde colla fede e l'opera si prosegue coll'assistenza dello Spirito divino ed è alfine coronata coll'entrata in possesso della gloria della vita futura». Trovasi un riepilogo simile in Romani 8:28-30. Di fronte a cotale delineazione del piano della salvazione, non si può sostenere che la teologia di Paolo, a quest'epoca, fosse soltanto in via di formazione.

15 State dunque saldi, fratelli, e ritenete gl'insegnamenti che vi abbiamo trasmessi sia colla parola, sia colla nostra epistola.
S'è trovata una inconseguenza nel fatto che l'apostolo, subito dopo aver parlato della elezione dei Tessalonicesi per parte di Dio, viene a fare appello alle loro energie esortandoli a star saldi. Sarà forse difficile alla logica umana conciliare la elezione divina colla libertà umana, ma Paolo, lungi dal far della grazia un guanciale all'indolenza, ne fa costantemente un motivo di energica attività per parte dell'uomo: «Compiete la vostra salvezza con timore e tremore, poichè Dio è colui che opera in voi il volere e l'operare:» Filippesi 2:12-13; Cfr. 2Pietro 1:3-7. La grazia di Dio non sopprime nè assopisce l'energia dell'uomo, ma le desta e le vivifica. È quindi moralmente logico il dire con Paolo: Dio vi ha eletti ab eterno, vi ha chiamati alla fede facendovi annunziare da noi la salvezza; per conseguenza, state saldi nella fede in quell'Evangelo che vi abbiamo comunicato da parte di Dio. Il greco porta: Ritenete le tradizioni che vi sono state insegnate, sia... La parola tradizione (παραδοσις) non s'incontra che tre volte negli scritti di Paolo per designare gl'insegnamenti apostolici, ossia il deposito della verità evangelica che gli apostoli avevano ricevuto dal Signore e ch'essi hanno trasmesso alle chiese prima a voce e poi in iscritto. I due altri passi sono 2Tessalonicesi 3:6; 1Corinzi 11:2. Vedasi la nota a quest'ultimo luogo. Altrove la parola serve ad indicare le tradizioni rabbiniche o in genere le tradizioni umane. Qui è evidente che le tradizioni che i Tessalonicesi devono ritener fermamente sono gl'insegnamenti che Paolo avea lor dato colla sua parola quando era con loro e di poi colla sua prima epistola. Tra l'insegnamento orale e lo scritto non vi poteva esser contraddizione, e per noi l'insegnamento scritto è l'unico che rimanga e di cui sia possibile accertare l'autenticità. «Noi, dice il Denney, non siamo contrari alle tradizioni in se stesse, ma alle tradizioni non accertate, non autentiche. Quanto alla vera, autentica tradizione apostolica, la riteniamo fermamente, anzi ce ne serviamo, e con ragione, per controllare quelle che si danno senza prove come apostoliche e che non possono esserlo quando contrastano cogli scritti stessi degli apostoli».

16 E il Signor nostro Gesù Cristo stesso e Dio nostro Padre il quale vi ha amati e vi ha dato, per la sua grazia, una consolazione eterna ed una buona speranza, consoli i vostri cuori e vi fortifichi in ogni buona opera ed in ogni buona parola.
Dopo l'appello fatto alle energie dei credenti, Paolo risale colla preghiera a Dio che solo può dare efficacia e costanza agli sforzi umani. Egli stesso.. che lo può e che ha dato sè stesso per la nostra salvezza. L'apostolo rivolge la sua preghiera tanto al Signor Gesù che al Padre; ed il fatto che poi usa il verbo al singolare: vi consoli... mostra come per lui il Figlio ed il Padre costituissero un'unica essenza divina. Nell'amor del Padre per i peccatori, nelle grazie già concesse ai credenti, Paolo trova motivo per chiedere ed aspettar con fiducia ch'Egli compia l'opera incominciata. Nella sua grazia, dice Paolo, Egli ci ha dato una consolazione eterna, - consolazione nel senso più largo che include la pace del perdono e della riconciliazione, il conforto nei dolori di ogni genere nelle persecuzioni - consolazione eterna, non effimera come quelle del mondo, ma profonda e duratura perchè fondata sopra fatti di valore permanente e sopra promesse che si estendono all'eternità. In 1Tessalonicesi 4 Paolo consola i Tessalonicesi presentando loro il fatto della risurrezione di Cristo, la promessa della risurrezione dei morti in Gesù, e della loro comunione duratura con lui. Aggiunge: e una buona speranza, una speranza cioè di beni eccellenti, preziosi all'anima, una speranza che non lascia confusi. La speranza buona è parte importante della «consolazione», ma si riferisce soltanto all'avvenire. Consoli i vostri cuori, ossia, applichi ai vostri cuori nelle presenti circostanze di turbamento e di angoscia, l'efficacia delle consolazioni provvedute nel Vangelo. Mancando il complemento al secondo verbo, si può supplire: «fortifichi i vostri cuori» o «fortifichi voi», che è preferibile. Ogni buona opera e ogni buona parola abbraccia tutte le manifestazioni esterne dell'attività cristiana. L'esser resi vieppiù forti, saldi, costanti nella pratica di ogni dovere cristiano, è il modo più sicuro di giungere al possesso della gloria di Cristo.

17 AMMAESTRAMENTI
1. Al tempo di Acab e di Gesabele, Dio confortava il suo profeta scoraggiato col fargli sapere che ben settemila persone in Israele non avevan piegato il ginocchio davanti a Baal. Quali che siano la forza e le manifestazioni del male alla nostra epoca, per quanto sia considerevole il numero dei cristiani apostati dalla verità, se volgiamo lo sguardo ai progressi del Vangelo, ai frutti della fede e della carità cristiana nel mondo, troveremo ampia materia per render grazie a Dio. Si contano oggi a milioni quelli che, chiamati dalla predicazione della verità evangelica, hanno risposto colla fede e camminano sulla via della santificazione verso il possesso della piena salvezza. Della causa di Dio non è il caso di disperare mai.
2. Paolo non dice: Dio vi ha amati, vi ha eletti, vi ha chiamati, potete dormir tranquilli; anzi dalle grazie concesse da Dio egli trae motivo ad esortarli alla fermezza nella fede, alla fedeltà nel ritenere gl'insegnamenti apostolici, alla costanza nell'operare il bene. Gli sforzi del nemico per perderci, e quel che l'amor di Dio ha fatto e fa per salvarci, tutto ci deve spingere a rifugiarci sempre più completamente sotto le ali della grazia di Dio e a perseverare nella verità e nella santificazione.
3. A chi vuol attenersi fermamente, al giorno d'oggi, agli insegnamenti trasmessi dagli apostoli alle chiese, non resta altra via pratica e sicura che di studiare con cura gli scritti del N. T. e di tesoreggiare i fatti, le dottrine, le istituzioni ed i precetti ivi contenuti per farne la norma della propria fede e della propria vita. Tutto quel che importa per la salvezza è ivi chiaramente insegnato; mentre di nessuna delle così dette «tradizioni orali» si può provare l'origine apostolica.
4. La preghiera di Paolo 2Tessalonicesi 16:17 c'insegna che possiam rivolgere le nostre supplicazioni al Signor Gesù Cristo come a Dio il Padre; che dall'amore manifestatoci da Dio e dalle grazie che già ci sono state concesse dobbiam trarre un incoraggiamento a chiedere con perseveranza quello che ci manca; che abbiam bisogno sempre, nel corso della vita terrena, di quelle consolazioni eterne che solo Dio può dare, come pure d'esser sempre più fortificati in ogni buona opera ed in ogni parola buona. È anormale lo stato spirituale di chi parla bene e non opera od opera male. D'altra parte la parola al servizio della verità e del bene è strumento potente, perchè veicolo di pensieri buoni, santi, divini, e di forze arcane.