2 Tessalonicesi 1
IL SALUTO APOSTOLICO

Paolo e Silvano e Timoteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio nostro Padre e nel Signor Gesù Cristo.

I collaboratori che Paolo si associa nello scrivere la sua seconda lettera ai Tessalonicesi sono gli stessi che figurano in capo alla prima ed anche la chiesa cui l'epistola è diretta è caratterizzata allo stesso modo che nella prima alla quale rimandiamo il lettore. Il voto che serve di saluto è pure lo stesso, ma un po' amplificato:

Grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signor Gesù Cristo.
Tutti i manoscritti portano qui le parole da Dio Padre... che nella prima Epistola sono di dubbia autenticità. Una parte dei codici aggiunge: «Padre nostro». Come la chiesa crede in Dio Padre e nel Signor G. C. e vive nella comunione del Padre e del Figlio, così l'apostolo implora su lei grazia e pace da parte di Dio Padre e del Signor G. C. il mediatore e dispensatore dei beni divini. Cristo è oggetto della fede dei credenti, in lui essi vivono spiritualmente; da lui come dal Padre essi implorano e ricevono i più preziosi beni: grazia e pace. Se Cristo non fosse partecipe della divina natura, sarebbe tutto ciò possibile?

PARTE PRIMA

IL RINGRAZIAMENTO E LA PREGHIERA DI PAOLO PEI TESSALONICESI


2Tessalonicesi 1:3-12

In una epistola breve come la nostra, quel che in altre costituisce un semplice preambolo, forma in questa la prima parte. L'apostolo vi esprime anzitutto 2Tessalonicesi 1:3-10 la sua gratitudine verso Dio per i continui progressi che i Tessalonicesi fanno nella vita cristiana, nonostante le persecuzioni. Anzi Della paziente costanza dei perseguitati e nel malvagio accanimento dei persecutori egli scorge come una dimostrazione anticipata della giustizia del giudicio che Dio pronunzierà a suo tempo sugli uni e sugli altri. Al ringraziamento Paolo fa seguire 2Tessalonicesi 1:11-12 la preghiera che Dio rende i fedeli sempre più degni della loro vocazione santa e gloriosa.

2Tessalonicesi 1:3-10 Il Ringraziamento

Noi dobbiamo del continuo render grazie a Dio per voi, fratelli;
Aveva principiato la sua prima lettera col render grazie per lo stato della chiesa; ma d'allora in poi è cresciuto ancora il dovere di farlo. Se non lo facesse sento che verrebbe meno, oltre che ad un bisogno del cuore, ad un vero obbligo morale e sarebbe indegno del privilegio concessogli di aver generato alla vita cristiana una chiesa come quella di Tessalonica
ed è giusto che lo facciamo, poichè cresce grandemente la vostra fede e abbonda viepiù l'amore che ciascuno di voi tutti nutre per gli altri.
Lo stato spirituale sempre più prospero della chiesa è tale da meritare (αξιον) il ringraziamento, da renderlo giusto e doveroso verso il Donatore di grazie così abbondanti. La loro fede sovracresce, cresce cioè oltre quello che si poteva aspettare nelle loro circostanze, cresce in modo straordinario; e il loro amore vicendevole si fa sempre maggiore in intensità e in estensione poichè non è cosa di alcuni fratelli soltanto ma di tutti, senza eccezione.

Talchè noi stessi
che rifuggiamo dalle esagerazioni e non chiudiamo gli occhi sui vostri difetti, pure
ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio
che stanno sorgendo qua e là nell'Acaia, ed alle quali non possiamo tacere la soddisfazione, la gioia che proviamo come vostri padri spirituali, additandovi come esempio
per la vostra costanza e fede in tutte le vostre persecuzioni e nelle afflizioni che voi sostenete.
Accanto alla fede ed all'amore dei Tessalonicesi, Paolo avea mentovato nella seconda Epistola la «costanza della speranza»; qui egli parla della lor costanza e fede nelle persecuzioni. Senza la fede che fa sicuro assegnamento sull'adempimento delle promesse di Dio, che rende reali le cose sperate e visibili quelle che ancor non si vedono Ebrei 1:1; non sarebbe possibile la paziente costanza nel sostener l'urto delle persecuzioni del mondo. Non si tratta ancora di persecuzioni ufficiali bandite dall'autorità centrale romana o dalle autorità locali, ma piuttosto delle persecuzioni suscitate dall'odio e dall'invidia dei Giudei increduli contro i cristiani. Dicendo: in tutte le persecuzioni accenna al loro frequente rinnovarsi sotto svariate forme; e col presente: che voi sostenete mostra che fino allora non erano affatto cessate.

È questa una prova del giusto giudicio di Dio ed ha per fine di farvi riconoscer degni del regno di Dio per il quale voi soffrite.
La paziente perduranza dei Tessalonicesi nelle persecuzioni che soffrono è una dimostrazione della giustizia del giudicio che Dio pronunzierà all'ultimo giorno. Ενδειγμα (prova) non è soltanto un accenno, un pegno; ma è una dimostrazione fornita dai fatti. Il fatto che i credenti di Tessalonica soffrono con costanza e pazienza per la causa del regno di Dio ch'è la causa della verità, della giustizia, della santità, la causa di Dio, mostra in modo evidente qual è l'orientazione morale della loro vita. Così pure la condotta dei loro avversari, la loro opposizione all'evangelo di Cristo, spinta fino al perseguitare coloro che l'hanno ricevuto, dimostra quali siano le loro interne disposizioni. Il frutto da a conoscer l'albero, le opere palesano i sentimenti del cuore. La predicazione dell'Evangelo in una città vi determina una crisi morale, in quanto costringe i cuori a rivelarsi. Perciò Paolo dice 2Corinzi 2 ch'egli, collo spander dovunque il buon odor di Cristo, riesce odor di vita agli uni e odor di morte agli altri. Perciò Simeone profetava di Cristo ch'egli sarebbe fatto «segno alla contraddizione affinchè i pensieri di molti cuori fossero rivelati» Luca 2:35; e Cristo stesso dichiarò d'esser venuto nel mondo per «fare un giudicio» morale, che sarebbe come l'indizio del giudizio finale. Dio permette che i fedeli siano fatti soffrire per la sua causa affinchè dinanzi ad ogni coscienza d'uomo, anzi dinanzi all'intiero universo morale, sia evidente la giustizia del giudicio che egli pronunzierà all'ultimo giorno. La necessità delle prove dei cristiani Atti 14:22; Romani 8:17 è nel N. T. giustificata in varii modi. Sono necessarie come mezzo educativo per la loro santificazione individuale: sono castigati come figli per il loro bene Ebrei 12:10-11: dalle cose che sofferse Gesù stesso imparò l'ubbidienza Ebrei 5. Sono necessarie perchè conseguenza logica, inevitabile, della lotta tra le tenebre e la luce, tra il male ed il bene. Cristo, l'araldo supremo della verità e l'incarnazione perfetta della santità fu perseguitato ed i suoi seguaci devono «soffrire con lui» mentre sono in un mondo che «giace in potere del maligno» ed al quale essi non appartengono più. Ma sono pur necessarie per mostrare come i cristiani, siano degni di quel regno di Dio per il perfetto avvento del quale, non solo pregano e lavorano, ma anche soffrono. Non si tratta qui di meriti d'opere a scapito della gratuità della salvazione: ma si tratta di mostrar colle opere la realtà della fede in Cristo che trasforma, la vita intera. La pazienza nelle persecuzioni non procura il perdono di Dio, ma dimostra la sincerità della fede e dell'amore che n'è il frutto. Mostra che i fedeli sono moralmente maturi per la gloria celeste. Negli scritti di Paolo il regno di Dio designa per lo più il regno nel suo stadio perfetto cioè lo stato di cose che sarà inaugurato dal Ritorno di Cristo.

Poichè, non v'è dubbio che agli occhi di Dio è cosa giusta di rendere a quelli che vi affliggono afflizione, e a voi che siete afflitti requie con noi quando il Signor Gesù apparirà dal cielo cogli angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante,
La forma del greco: se pure è giusto (ειπερ) non implica dubbio reale, ma è un modo di affermare che la cosa è da tutti riconosciuta e non potrebbe essere altrimenti. Dio farà a ciascuno la retribuzione che si conviene alle sue opere e renderà quindi «afflizione» o tribolazione a chi affligge i suoi santi, requie a chi è tribolato per la causa del regno di Dio. Requie o sollievo è l'aspetto negativo della beatitudine. Cfr. nell'Apocalisse 7:14-17; 21:4: «... Vengon dalla gran tribolazione... Non avranno più fame nè sete Dio asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro. La morte non ci sarà più, nè vi sarà più lutto, nè lamento, nè dolore, perchè le cose di prima sono passate». Nota il Denney che quest'aspetto della speranza cristiana in cui la felicità è presentata come una retribuzione delle presenti sofferenze e come un motivo di perduranza in esse, è oggi considerato come un movente di natura inferiore, meno nobile di quello che porta a fare il bene per il bene. Ma, soggiunge egli, possono parlar così coloro che vivono vite tranquille molto dissimili da quelle degli apostoli e dei martiri. Per quelli che sono, in fin dei conti, i soli competenti nell'apprezzare un siffatto incoraggiamento non è stato mai indifferente il pensiero del riposo dopo la lotta, della cessazione delle sofferenze, della retribuzione gloriosa. Di Gesù, Ebrei 12:2 che «per la gioia che gli stava dinanzi sopportò la croce e non fece caso dell'ignominia».
La retribuzione a ciascuno Dio la farà per mezzo del Signor Gesù al quale è stato affidato il giudicio dei vivi e dei morti; e la farà nell'apparizione di lui, lett. nella rivelazione di lui, cioè nel giorno in cui, rimosso il velo che lo nasconde agli occhi dei mortali, apparirà in tutto il fulgore della sua gloria. Cfr. lo stesso termine 1Corinzi 1:7; 1Pietro 1:7,13; 4:13; 5:1.
La gloria dell'apparizione di Cristo ed il giudicio ch'egli eseguirà sono descritti in brevi tocchi e con espressioni che ricordano quelle usate dagli antichi profeti, per es. Isaia 29:6; 66:14-16; Geremia 10:25; Salmi 79:6; Isaia 2:10. Il fatto di queste reminiscenze e la solennità inerente all'argomento bastano a spiegare il parallelismo che si nota tra alcune espressioni di questi versetti, senza che sia necessario di ricorrere all'ipotesi sostenuta dal Bornemann che, cioè, 2Tessalonicesi 1:6-10 siano tolti da un antico inno cristiano.
Il Signor Gesù apparirà dal cielo, perchè nell'ascensione è salito al cielo, e il cielo deve tenerlo accolto finchè egli ne scenda nella sua seconda venuta Atti 3:21; 1Tessalonicesi 4:16. Apparirà cogli angeli della sua potenza, cioè colle creature celesti che ministrano alla potenza del Re cui ogni potere è dato. Gli angeli sono designati nei Vangeli come gli strumenti del giudicio divino Matteo 13:41,49; 24:31; 25:31.

Apparirà in un fuoco fiammeggiante o, secondo la lezione del Cod. Vaticano e dei greco-latini, «in una fiamma di fuoco». Molte volte, nell'Ant. Test. il fuoco figura tra i fenomeni od i simboli che accompagnano le teofanie specialmente se si tratta di manifestazioni punitive. Esempio Isaia 29:6; Daniele 9:7,21; Salmi 50:3; Malachia 3:19 e confr. Ebrei 12:29. La fiamma di fuoco ch'è come il manto del giudice supremo simboleggia la santa e tremenda severità delle sue sentenze...
per far giustizia di quelli che non conoscono Iddio e di quelli che non ubbidiscono all'evangelo del nostro Signor Gesù;
Sono indicate due categorie di colpevoli dei quali è diverso il grado di responsabilità, perchè diverso è il grado di luce da essi goduta. La prima categoria è rappresentata dai pagani che dalla contemplazione del creato e dalla voce dell'anima avrebbero potuto apprendere a conoscer l'esistenza e le perfezioni di Dio, ma hanno invece soffocata la luce divina col darsi al male. Cfr. Romani 1:18 e segg., 1Tessalonicesi 4:5; Galati 4:8; Efesini 2:12. V'è un'ignoranza di Dio che, lungi dall'essere un'attenuante del male, è essa stessa peccaminosa perchè risulta da un genere di vita peccaminoso. La seconda categoria è rappresentata da tutti quelli, Giudei o pagani, che hanno avuto l'occasione di conoscere l'evangelo di Cristo, cioè l'amor di Dio manifestato nel dono del Salvatore, ed ai quali è stato rivolto l'invito, di ravvedersi e di accettar con fede riconoscente la salvazione loro offerta. Se ricusano l'invito divino, disubbidiscono all'evangelo, e si rendono assai più colpevoli di chi non ha, nella vita presente, udito il messaggio della grazia. Sono molti i passi in cui l'accettazione della Buona Novella è chiamata una ubbidienza: Atti 6:7 «ubbidivano alla fede», Romani 1:5 «per condurre all'ubbidienza delta fede», Romani 10:16 «ubbidito all'evangelo», 2Tessalonicesi 15:18; 16:26; Ebrei 5:9.

i quali porteranno la [loro] pena, una rovina eterna lungi dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando verrà per essere, in quel giorno, glorificato nei suoi santi ed ammirato in tutti quelli che avranno creduto, [voi compresi] poichè avete creduto alla testimonianza che abbiamo resa dinanzi a voi.
La parola ολεθρος (rovina) è adoprata quattro volte da Paolo nei suoi scritti: una volta per indicare la distruzione del corpo 1Corinzi 5:5 e tre volte per indicare la ruina totale in cui precipita chi persevera nel male e si allontana sempre più da Dio 1Tessalonicesi 5:3; 1Timoteo 6:9. Alcuni la traducono qui perdizione; ma questo termine va riservato per il sinonimo απωλεια che Paolo usa pure in 1Timoteo 6:9. L'aggettivo αιωνιος (eterno) s'incontra una ventina di volte nelle lettere di Paolo. Egli lo applica al passato quando dice del piano di Dio ch'è «stato taciuto nei tempi eonî», cioè remoti Romani 16:25; quando dice della vita eterna che «Dio la promise fin dai tempi più remoti» lett. «innanzi i tempi eonî» Tito 1:2; o dice della grazia che «ci è stata data in Cristo Gesù innanzi ai tempi eonî» 2Timoteo 1:9. Lo applica all'avvenire parlando di cose che non hanno una durata effimera, limitata: «le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne» 2Corinzi 4:18; 5:1; Filemone 15. Lo applica sopratutto alla vita imperitura dei redenti, alla gloria ch'è inseparabile dalla vera vita Romani 6:23; Galati 6:8; 2Timoteo 2:10 ecc. Lo applica a Dio stesso ch'è chiamato «l'Eterno Iddio» e all'adorazione che gli è dovuta Romani 16:26; 1Timoteo 6:16. Qui manifestamente la parola indica che la ruina sarà perpetua, definitiva. Cfr. Matteo 25:46: εις κολασιν αιωνιον. Questa ruina o distruzione implica essa una graduale estinzione dell'esistenza stessa? Nulla ci vieta di crederlo.
La proposizione απο (lungi da) è stata intesa qui in due sensi. In senso causale, significherebbe: ruina prodotta da, causata dalla faccia del Signore. La gloria terribile del giudice supremo, la sua faccia spirante giusta ira li abisserà nella perdizione (Esemp. Luca 19:3; Matteo 13:44; 14:26; Atti 3:19). Bisogna notare, però, che un tal senso sarebbe adatto quando si trattasse di una impressione di sgomento, di terrore; mentre qui si tratta di scontare una pena. È quindi preferibile il senso locale: lungi dalla faccia tanto più che la frase trovasi quasi identica e con questo senso, nella versione greca di Isaia 2:10; 19:21. Cfr. Matteo 25:41: «andate via da me, maledetti...» Il contemplar la faccia del Signore, l'abitare nella sua presenza è la suprema felicità Matteo 5:8; 18:10; Apocalisse 22:4; 1Giovanni 3:2; Salmi 17:15. L'esser separati da Dio, privi della sua presenza gloriosa, e respinti nelle tenebre di fuori, costituisco l'orrore dello Stato dei ribelli a Dio ed alla sua grazia. Per la gloria della sua potenza s'intendono le gloriose manifestazioni della potenza del Signor Gesù quando verrà a portare a compimento l'opera della Salvazione nei suoi redenti. In quel giorno sarà glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che avranno creduto, perchè allora apparirà in tutta la sua grandezza e perfezione mirabile l'opera da lui compiuta per loro ed in loro. Cfr. 2Tessalonicesi 1:11-12. Mentre i ribelli s'inabisseranno nelle tenebre, i suoi santi, coloro che avranno creduto in lui e si saranno separati dal male, gli saranno resi simili, saranno fatti partecipi della natura divina, essendo restaurata in loro, in tutto il suo splendore, l'immagine di Dio. Nell'opera magnifica, l'universo intero ammirerà e glorificherà l'Autore adorabile di essa. Apocalisse 5 ci fa udire l'eco di quelle lodi: «... udii la voce d'una moltitudine d'angeli; il loro numero ora di miriadi di miriadi, di migliaia di migliaia, che a gran voce dicevano: L'Agnello ch'è stato immolato è degno di ricever la potenza, la ricchezza, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la benedizione! E tutto le creature nel cielo, sulla terra e sotto la terra... dicevano: A Colui che sta assiso sul trono ed all'Agnello, benedizione, onore... nei secoli dei secoli!» Apocalisse 5:11-14.
Ad incuorare i Tessalonicesi a perseveranza, Paolo ha cura di far loro notare, alla fine di 2Tessalonicesi 1:10, che nel numero di coloro nei quali sarà glorificato il Cristo, si troveranno essi pure, poichè non sono stati disubbidienti alla testimonianza che gli apostoli hanno reso all'evangelo in Tessalonica, anzi, l'hanno accolta con fede, malgrado le sofferenze cui andavano incontro.

AMMAESTRAMENTI
1. Le prove dei credenti, non impediscono, anzi promuovono lo sviluppo della vita religiosa: della fede, della speranza e dell'amor fraterno. Esso ci fanno sentir la nostra debolezza, ci portano a cercar con più sincero fervore l'aiuto del Padre, ci fanno apprezzare i beni spirituali che il mondo non può dare ma neppur può togliere. Destano sentimenti più profondi di solidarietà e di amore tra i fratelli sottoposti agli stessi cimenti.
Le prove mettono in evidenza la sincerità e la forza dell'attaccamento dei credenti al regno di Dio. Se soffrono per esso, è segno che l'amano e lo tengono prezioso. Gli apostoli battuti per ordine del Sinedrio, se ne vanno «rallegrandosi di essere stati reputati degni d'esser vituperati per il nome di Gesù» Atti 5:41.
Le prove, oltre ai loro fini educativi del carattere cristiano, possono aver dei fini superiori che in gran parte sfuggono alla nostra conoscenza presente e che riguardano l'universo morale. Giobbe non seppe mai il vero perchè delle sue afflizioni e finì coll'acquetarsi nella certezza della sapienza infinita del suo Dio, sapienza visibile dovunque nel mondo. In realtà egli era, nel suo dolore, uno «spettacolo agli angeli», un testimone contro Satana, una gloria di Dio. Così le sofferenze sopportate dai cristiani serviranno a mettere in evidenza la giustizia del giudicio di Dio davanti ad ogni coscienza degli uomini e degli angeli. Gli svariati fini, a noi noti od ignoti, cui servono le nostre prove ci devono incoraggiare a sopportarle con pazienza e con costanza di fede. Verrà il tempo in cui sapremo meglio quel che Iddio faceva, provandoci.
2. Il giusto giudicio di Dio è uno dei più profondi ed universali postulati della coscienza. Non è possibile che sia definitivo uno stato di cose in cui la verità è conculcata, in cui Sono perseguitati, carcerati ed uccisi i santi, mentre trionfano spesso i malvagi, empi ed oppressori. La necessità del giudicio è connessa in modo indissolubile colla nozione di Dio. Se sparisce l'una sparisce anche l'altra e il mondo resta immerso nelle più spaventose tenebre.
Le Scritture dell'A. e del N. Testamento affermano concordi la realtà del giudicio di Dio che principia fin dalla vita presente, ma non si compie che nell'al di là. Gesù ne ha dato delle sublimi descrizioni ed i suoi apostoli pure l'insegnano. Lo Spirito che opera nei cuori convince gli uomini di peccato, di giustizia ed anche di giudicio, poichè nell'infallibile e giusto giudicio di Dio sta la garanzia del ristabilimento dell'ordine morale, della vittoria del bene sul male, e dell'avvento dei nuovi cieli e della nuova terra ove abiterà la giustizia.
Secondo 2Tessalonicesi 1:3-10, il giudicio di Dio
a) sarà eseguito per mezzo di Cristo;
b) avrà luogo alla sua apparizione dal cielo coi suoi santi angeli;
c) si estenderà a tutti gli uomini, credenti e non credenti;
d) sarà fatto sulla base delle opere che sono la manifestazione delle disposizioni del cuore, e terrà conto del grado diverso di luce di cui ciascuno ha goduto;
e) sarà fatto alla presenza delle creature morali dell'universo che ne riconosceranno la perfetta giustizia;
f) avrà per conseguenza, pei redenti, la rivendicazione del loro carattere e la loro glorificazione definitiva; pei nemici del Vangelo, una giusta punizione consistente nel loro definitivo allontanamento da Dio fonte d'ogni vita e nella progressiva distruzione dell'essere che si è mantenuto ribelle a Dio.
La certezza del giudicio di Dio è conforto a tutti gli oppressi e dev'essere di spavento a chi vive nel male.
3. Il pernio intorno al quale si muove ogni vita d'uomo sta nell'atteggiamento che il cuore prende di fronte alla verità religiosa e morale a lui nota. Chi soffoca la conoscenza di Dio e resta ribelle agli inviti della grazia, orienta la propria vita in opposizione alla volontà di Dio ch'è la legge della creatura morale e corre verso il naufragio finale. Chi invece, anela verso la luce, verso la liberazione dal male che deplora e combatte, chi accetta con fede la salvazione che gli è offerta, orienta la sua vita verso Dio, e raggiungerà il porto della propria perfezione e felicità. Le fede nel Cristo è il più grande atto morale della vita.
4. «L'apostolo non adulava i suoi cari convertiti, ma ora felice di poterne dir del bene alla gloria di Dio e per incoraggiare altri. Paolo non si gloria dei proprii doni, nè delle sue fatiche fra i Tessalonicesi, ma si gloria della grazia di Dio sparsa su di loro. Il suo gloriarsi è, per tal guisa, buono; perchè tanto il bene che dice di loro, come la gioia ch'ei ne prova, hanno per fine ultimo la gloria di Dio». (Henry).

11 2Tessalonicesi 1:11-12 La preghiera dell'Apostolo pei Tessalonicesi
Parlando del giorno di Cristo, Paolo ha detto che sarà il giorno in cui il Signore «sarà glorificato nei suoi santi ed ammirato da tutti coloro che han creduto», e fra questi egli ha contemplato i suoi cari Tessalonicesi. Ma egli ben sa che la loro santificazione è lungi dall'esser completa, e chiude perciò questa parte più personale della sua lettera col mentovare le preghiere ch'egli rivolge del continuo a Dio per loro.

Ed è a quel fine che noi preghiamo pure del continuo per voi;
Il fine cui mira colle sue preghiere è ch'essi siano realmente fra coloro nei quali il Signore, alla sua venuta, sarà glorificato. A quel fine ha loro annunziato il Vangelo colla sua parola, a quel fine scrive loro delle lettere da lontano, ed a quel fine pure fa salire a Dio le sue incessanti preghiere, ben sapendo che in Lui è la sorgente di ogni grazia.
affinchè l'Iddio nostro vi giudichi degni di una tale vocazione,
Dice lett. della vocazione, per cui si può supplire anche: «della sua vocazione», o «della vostra vocazione». La vocazione che Dio rivolge all'uomo, mediante la sua Parola ed il suo Spirito, lo chiama a ravvedimento, a fede nel Salvatore, a santità, ma lo chiama pure «al suo regno ed alla sua gloria» ed è perciò detta «vocazione celeste» Ebrei 3:1. Qui si tratta dell'onore d'esser fra quei santi nei quali sarà glorificato il Signore alla sua venuta, e ch'egli a sua volta glorificherà. Alcuni interpreti cedono alla tentazione di tradurre: vi renda degni; ma il verbo αξιοω non riveste mai quel senso nel N. T. nè altrove Atti 15:38; 28:22; Luca 7:7; 1Timoteo 5:17. Paolo chiede che i credenti di Tessalonica giungano, colla loro perseveranza nella fede e nelle virtù cristiane, ad esser da Dio riconosciuti degni, nel gran giorno, della gloria alla quale sono stati chiamati. Coloro che Gesù metterà alla sua destra ed ai quali dirà: «Venite, benedetti del Padre mio, eredate il regno...» Matteo 25:34 saranno riconosciuti degni dell'alta loro vocazione; mentre quelli che non perseverano fino alla fine o che vivono in modo indegno della loro vocazione, rinnegando il Signore che li ha redenti, si traggono indietro per la loro perdizione.

12 Perchè possano giungere alla meta della gloria finale, è necessario che progrediscano assiduamente nella loro santificazione. Da ciò la seconda preghiera di Paolo:
e, con la sua potenza, renda compiuti il vostro compiacimento in tutto ciò ch'è bontà, e l'opera della vostra fede,
Il testo dice lett. e compia ogni compiacimento di bontà e l'opera della fede, con potenza. Gl'interpreti che, col Diodati, col Reuss, ecc., riferiscono le prime parole alla bontà di Dio, vedono espresso qui il voto che Dio compie nei Tessalonicesi tutto il beneplacito della sua bontà, ossia tutti i misericordiosi disegni del suo amore verso gli nomini. Si osserva però che il termine αγαθωσυνη (bontà) non è mai applicato a Dio, ma sempre agli uomini. Romani 15:14: «Son persuaso che siete voi pure pieni di bontà...», Galati 5:22, Efesini 5:9; che qui ove la bontà è appaiata con la fede è più ovvio intenderlo d'un sentimento umano, e infine che, ove si trattasse della bontà di Dio, la cosa sarebbe stata espressa. Quello dunque che Paolo chiede, è che Dio spieghi, in modo cospicuo, la sua potenza santificatrice nei cristiani di Tessalonica, rendendo compiuta in loro la disposizione caritatevole che li porterà a trovare il loro compiacimento, la loro gioia, in tutto ciò ch'è bontà verso il prossimo, nei sentimenti, nelle parole, negli atti di bontà. In pari tempo Paolo chiede a Dio di rendere compiuta l'opera della fede ossia l'attività che scaturisce dalla fede e si ispira alla fede. In 1Tessalonicesi 1:3 l'apostolo ricordava con riconoscenza «l'opera della loro fede»; qui domanda che una tale manifestazione della fede sia resa sempre più completa nella loro vita. Il Denney dà questa parafrasi: «Il Signore vi faccia capaci di compiacervi in quel ch'è buono e di dare la prova della vostra fede in tutto quel che fate. Così sarete degni della vocazione cristiana ed il nome del Signore sarà glorificato in voi e voi in Lui in quel giorno».
affinchè sia glorificato in voi il nome del Signor nostro Gesù, e voi in lui, secondo la grazia dell'Iddio nostro e del Signor Gesù Cristo.
Il pieno sviluppo in loro della vita spirituale servirà a render glorioso dinanzi all'universo morale il nome del loro Redentore, nel giorno in cui verrà «per essere glorificato nei suoi santi» 2Tessalonicesi 1:10. In quel giorno essi saranno alla loro volta «glorificati in lui» allorchè gli saranno resi simili nell'anima e nel corpo e saranno uniti a lui per sempre.
Un tal fine glorioso è in armonia col piano della libera e gratuita misericordia di Dio manifestata nell'opera del Figlio che ha dato sè stesso per «condurre molti figli alla gloria» e che dona lo Spirito ai suoi per santificarli e condurli alla perfezione.

AMMAESTRAMENTI
1. Per esser riconosciuti degni del Regno di Dio è necessario che, prima, ne siamo resi degni, o, come dice Paolo Colossesi 1:12; che «siamo fatti capaci di divider la sorte dei santi nella luce». Dobbiamo esser nati a nuova vita, ma questa vita deve crescere e giungere al suo pieno sviluppo. Dobbiamo non solo aver la visione dell'amor cristiano diventato legge della vita nuova, ma questo amore ha da compenetrare sempre più completamente la vita nostra. Il nostro carattere deve ispirarsi alla bontà e spirar bontà. Altri la maledica come una debolezza e una viltà, i discepoli del Cristo la devono unire alla santità ed alle opere della fede in modo indissolubile.
Se guardiamo l'ideale da raggiungere, non possiamo non misurare con sgomento la distanza che ancor ce ne separa, e sentire quanto abbiamo bisogno di vegliare e pregare per noi e per gli altri che lottano con noi, onde ci sia dato di giungere alla meta cui ci chiama il Dio della nostra salvazione. «Vegliate dunque, ha detto Gesù, orando in ogni tempo, affinchè abbiate forza da scampare a tutte le cose che stanno per avvenire e di comparire dinanzi al Figliuol dell'Uomo» Luca 21:36. «Lo spirito è pronto ma la carne è debole» e si tratta di perseverar fino alla fine.
2. Più è completa la santificazione dei fedeli e maggiore è la gloria che ne ridonda al nome del Signor Gesù. Quando gli uomini vedono le buone opere dei cristiani, essi glorificano il Padre ch'è nei cieli. «Se i cristiani, nota un pio scrittore, fornissero sempre una tale apologia di fatto, non sarebbe necessario scrivere delle apologie del cristianesimo e i suoi detrattori sarebbero ridotti al silenzio».
D'altra parte, a misura che i cristiani diventano simili al loro modello, cresce in loro la certezza ch'essi avranno un giorno parte alla sua gloria. «Se alcuno mi serve, il Padre l'onorerà».