La Terza Parte dell'Epistola contiene le ultime esortazioni pratiche dell'apostolo. Esse sono introdotte come nella prima Epistola 1Tessalonicesi 4:1 con un: Del rimanente, perchè l'insegnamento principale che Paolo intendeva dare è quello del Cap. 2; gli rimane soltanto da aggiungere qualche altra esortazione relativa sia alle circostanze in cui egli stesso si trova, sia a quelle in cui si trova la chiesa. Due esortazioni principali occupano questa parte e formano le due sezioni in cui si divide: Prima Sezione 2Tessalonicesi 3:1-5: Esortazione a pregare affinchè la Parola di Dio, che Paolo annunzia sia glorificata dovunque come lo è e come lo sarà ancora - così spera - fra i Tessalonicesi. Seconda Sezione 2Tessalonicesi 3:6-15: Ingiunzione di rompere le relazioni coi fratelli disordinati affin di condurli a ravvedimento. Alle esortazioni segue la chiusa dell'epistola: 2Tessalonicesi 3:16-18.
Sezione 12Tessalonicesi 3:1-5ESORTAZIONE AD INTERCEDERE PER I BANDITORI DEL VANGELO
Del rimanente, fratelli, pregate per noi affinchè la parola del Signore si spanda e sia dovunque glorificata come lo è tra voi, Paolo domanda le preghiere dei fedeli per se e per i suoi collaboratori non per alcun fine meramente personale, ma in vista del trionfo del Vangelo al quale ha dato tutto sè stesso. Dice propriamente: affinchè la parola del Signore - s'intende la parola del Signor Gesù perchè da lui procede ed è tutta piena di lui - corra... L'immagine del «correre accenna ad un largo e rapido spargimento, all'allontanamento degli ostacoli che impediscono o che ritardano lo spargimento della Parola. Certo, durante la carriera di Paolo il Vangelo corso con rapidità dall'Arabia fino all'Italia e forse fino in Ispagna attraverso la Siria, l'Asia Minore e la Grecia; ed anche oggi, mercè l'opera delle missioni, essa ha ripreso più rapido il corso attraverso le nazioni del mondo pagano. - e sia glorificata, non nel senso soltanto di Atti 13:48 in cui si legge: «Udendo ciò i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore...». Neppure si tratta qui dei miracoli esterni che talvolta accompagnavano la predicazione; ma dell'esser glorificata dagli effetti salutari ch'ella produce convertendo, rinnovando, santificando le anime; dimostrandosi «potenza di Dio per salvare tutti quelli che credono». Romani 1:16. Così ora essa glorificata fra i Tessalonicesi ove avea dato frutti di fede, di amore, di speranza, di costanza.
2 ed affinchè siamo liberati dagli uomini perversi e malvagi, poichè la fede non è di tutti. Uno degli ostacoli che Paolo ha incontrato spesso ed incontra pure a Corinto è l'opposizione invidiosa, sragionevole e perversa dei Giudei che trascinavano facilmente con se dei pagani. Da siffatti oppositori all'opera missionaria egli brama d'esser liberato e domanda ai Tessalonicesi di pregare anche per questo. Lascia d'altronde a Dio il modo della liberazione: Dio può convertire gli avversari, può volgere altrove la loro attenzione o in altri modi far cessare la loro opposizione o renderla vana. Li chiama ατοποι (perversi) e malvagi. La prima di queste parole vale etimologicamente: «fuor di luogo», e si applica a quel ch'è sragionevole, assurdo, ovvero, in senso morale, a quel che non sta bene, ch'è cattivo, perverso. Luca l'usa in quest'ultimo senso Luca 23:41, «ma questi non ha fatto nulla di male»Atti 25:5; e in senso fisico Atti 28:6. Questi essendo i soli passi del N. T. in cui occorra quel termine, lo intendiamo anche qui nel senso di cattivi, perversi. Sono uomini che non si contentano di respingere per proprio conto il Vangelo, ma che, mossi da invidia, da prepotenza orgogliosa, vogliono impedire che altri lo riceva e perciò ostacolano, fanno incarcerare, ed anche uccidere, ove lo possano, i banditori della Parola. La fede non è di tutti è la dolorosa esperienza fatta da Paolo come già dal Signore stesso; non è cosa di tutti, perchè non tutti sono internamente disposti ad accettare il Vangelo. «Chi è per la verità, disse Gesù, ascolta la mia voce» Giovanni 18:37. «Ma voi non volete venire a me per aver la vita 2Tessalonicesi 5:40. «... Chi non è da Dio, non ci ascolta» 1Giovanni 4:6.
3 Ma il Signore è fedele ed egli vi renderà saldi e vi guarderà dal maligno. La fede non è di tutti, ma i Tessalonicesi ad ogni modo hanno creduto; vi sono degli uomini malvagi che ostacolano i progressi del Vangelo e perseguitano chi lo predica e chi lo riceve. Ne sanno qualcosa i Tessalonicesi; ma il Signore, s'intende: il Signor Gesù, è fedele, e riguardando a lui Paolo si sente sicuro ch'Egli renderà viepiù fermi e saldi nella loro fede i credenti ancor teneri di Tessalonica e li guarderà dalle insidie e dagli assalti d'ogni maniera del loro grande nemico il Maligno. Paolo usa l'espressione ὁ πονηρος (il malvagio) in due sensi diversi: l'uomo malvagio 1Corinzi 5:13 e lo spirito malvagio per eccellenza, cioè Satana Efesini 6:16. Usa anche il neutro το πον. ad indicare il male Romani 12:9. Quale di questi tre sensi possibili è da preferire nel nostro passo? Lasciando da parte il primo come il meno adatto, i traduttori e commentatori si dividono, come nel caso dell'ultima domanda dell'Orazione Domenicale, tra i due ultimi: il Maligno e il male. Per quanto sia lecito il dubbio e non si tratti di una differenza sostanziale, propendiamo per il primo di questi due, perchè Paolo ha nominato esplicitamente Satana nel cap. 2; perchè suole considerare i nemici del Vangelo come strumenti di Satana che resta il nemico più temibile; e perchè S. Giovanni e il Signor Gesù stesso usano spesso l'espressione come designazione di Satana 1Giovanni 2:13-14; 3:12; 5:18; Matteo 5:37; 13:19,38. La fedeltà del Signore nel fortificare e proteggere i fedeli non deve però indurli a rilassatezza nell'ubbidire al Vangelo; e Paolo confida che i Tessalonicesi continueranno a mostrarsi ubbidienti a quanto egli ordina loro da parte del Signore.
4 Ed abbiamo questa fiducia nel Signore a vostro riguardo, che le cose che vi ordiniamo, voi le fate e le farete. Si tratta qui delle prescrizioni morali che Paolo avea loro dato nella prima Epistola e ch'egli sta per dare ancora in 2Tessalonicesi 3:6-15.
5 Or il Signore diriga i vostri cuori all'amor di Dio ed alla paziente aspettazione di Cristo. Si potrebbe intendere: all'amore che Dio ci ha manifestato ed alla «pazienza» o costanza di cui Cristo ci ha dato l'esempio nel soffrire; ma il voto dell'apostolo risponde anche meglio alle circostanze dei Tessalonicesi quando s'intenda: Il Signor Gesù stesso diriga i vostri cuori ad amar sopra ogni cosa l'Iddio che vi ha amati il primo e ad aspettare senza impazienze fanatiche ed ingiustificate, senza stanchezza di fede, il Ritorno del Cristo dal cielo. Noi non sappiamo quando, ma allorchè sarà tempo egli verrà e compirà l'opera della nostra redenzione. In 1Tessalonicesi 1:3 avea mentovato con lode la «costanza della loro speranza nel Signor G. C.» e in 2Tessalonicesi 1:10 avea detto che si eran convertiti dagli idoli a Dio «per servire all'Iddio vivente e vero - e per aspettar dai cieli il di lui Figliuolo, Gesù... che ci libera dall'ira avvenire». Se i loro cuori sono volti in quella direzione ed assorti in così alti oggetti, saranno più sicuramente guardati dalle insidie del Maligno.
AMMAESTRAMENTI 1. Fratelli, pregate per, noi. Sotto svariate forme, è questa una domanda che torna spesso nelle lettere dell'apostolo dei Gentili. Essa attesta il suo ardente zelo missionario. Egli si sa portatore di una parola che non è umana ma divina, di una parola ch'è una Buona Novella potente a salvare, di una parola destinata a tutti gli uomini. - E vorrebbe che questa Parola del Signore corresse rapida di città in città, da un paese all'altro, fino all'estremità del mondo. - Egli fa di tutto perchè abbia un rapido corso; ma sente la propria debolezza personale, ma vede sorgere gli ostacoli dovunque, ostacoli che Dio solo può rimuovere, e umilmente chiede l'aiuto della simpatia e delle preghiere dei suoi fratelli di Tessalonica. Ogni ministro della Parola deve desiderare e chiedere un tale aiuto. Non tutti sono apostoli, non tutti sono ministri del Vangelo, ma tutti possono cooperare in qualche modo allo spargimento della Buona Novella nel mondo. Possono pregare per i banditori del Vangelo vicini e lontani: pregare perchè siano sempre ripieni dello Spirito di fede e di amore: pregare perchè il loro messaggio sia effìcace per la conversione e per la santificazione di molti; pregare perchè siano rimossi gli ostacoli che impediscono il libero corso della Parola, e perchè siano, conservati incolumi i messaggeri del Vangelo in mezzo ai pericoli. Possono aiutarli con soccorsi materiali Filippesi 4:15-20 secondo i loro mezzi. - Possono con la loro vita «glorificare» la Parola e anche questo è una predicazione. Quel che ogni cristiano può fare, è suo dovere di farlo. 2. Ogni cuore umano ha il potere di amare e di sperare. Ma per lo più il cuore dirige male i suoi affetti e le sue speranze: sopra oggetti indegni, o fallaci o anche meramente perituri. Il Vangelo non abolisce la gran legge antica: «Ama Iddio con tutto il tuo cuore», anzi col manifestare più completamente in Cristo l'amor di Dio per gli uomini, fornisce nuovi e più potenti motivi di amare Dio ch'è l'oggetto più alto e più perfetto del nostro amore. - La speranza cristiana ha il suo oggetto supremo in Cristo il quale col suo Ritorno renderà completa la redenzione dei suoi e del mondo stesso in cui abitano. Certo la Chiesa, specie quando è travagliata e perseguitata, sospira: «Vieni Signor Gesù»; ed Egli verrà, ma la Chiesa lo deve aspettare con pazienza come i servitori aspettano il loro Signore. Quando il cuore è fissato saldamente a quelle due àncore che sono l'Iddio d'amore e il Cristo redentore e re, i venti di quaggiù non lo fanno più naufragare.
6 Sezione B2Tessalonicesi 3:6-15ORDINE DI ALLONTANARSI DAI FRATELLI OZIOSI
La febbrile aspettazione del Ritorno di Cristo aveva indotto certi fratelli a tralasciare i doveri della vita ordinaria per darsi all'agitazione del fanatismo religioso. Nella prima Epistola Paolo li aveva esortati al lavoro pacifico che li avrebbe tenuti lontani dalla tentazione d'immischiarsi nelle faccende altrui e li avrebbe resi indipendenti dai fratelli per la loro sussistenza 1Tessalonicesi 4:11-12. Aveva perfino esortato la chiesa ad ammonire i disordinati 1Tessalonicesi 5:14; ma pare che il male, invece di sparire, fosse peggiorato in seguito alla erronea credenza diffusasi nella chiesa che il giorno del Signore fosse imminente. Informato di questo, Paolo ritorna sull'argomento per insistere sul dovere del lavoro per tutti e dare ingiunzioni più severe circa i disordinati.
Ora, fratelli, vi ordiniamo, nel nome del Signor Gesù Cristo di allontanarvi da ogni fratello che tiene una condotta disordinata e non conforme all'insegnamento che avete ricevuto da noi. L'apostolo ha espresso in 2Tessalonicesi 3:4 la fiducia che i Tessalonicesi si mostrerebbero ubbidienti alle sue ingiunzioni, e viene subito a formulare quella che gli sta più a cuore, dandole tutta la solennità possibile col ricordare che non di sua personale autorità, ma come ambasciatore che parla nel nome del Signore della Chiesa, egli trasmette loro quest'ordine. Non essendo state sufficienti le esortazioni a correggere gli scioperati, egli prescrive alla maggioranza sana della chiesa di ritrarsi da ogni fratello che cammina disordinatamente. Il ritrarsi, l'allontanarsi, implica la rottura quasi completa delle relazioni amichevoli, fraterne, cordiali. Lo scopo cui mira una siffatta rottura è indicato in 2Tessalonicesi 3:14: «affinchè ne provi vergogna». La condotta disordinata che l'apostolo ha in vista qui è quella descritta più oltre in 2Tessalonicesi 3:11: è la vita oziosa che menavano alcuni sotto pretesto religioso. Questo non era conforme alla paradosis, vedi 2Tessalonicesi 2:15; all'insegnamento orale o scritto dato ai Tessalonicesi da Paolo, e confermato dal suo esempio. Invece dell'avete ricevuto da noi del codice vaticano, altri antichi manoscritti ((alef) A D) seguiti dal Tischendorf e dallo Hort portano: che essi hanno ricevuto. Il plurale si riferirebbe al collettivo «ogni fratello». All'insegnamento esplicito dato sul dovere morale del lavoro, Paolo allude pure in 2Tessalonicesi 3:10.
7 Voi stessi, infatti, sapete come avete il dovere di imitarci, - Paolo ed i suoi compagni erano stati i maestri dei Tessalonicesi non colla parola soltanto, ma coll'esempio ed i fedeli ben sapevano che i discepoli devono imitare i loro maestri. Nella prima Ep. (1Tessalonicesi 1:6) Paolo li loda di questo: «e voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore». L'esempio degli apostoli era tanto più degno d'imitazione che, nell'ubbidienza alla legge del lavoro, esso aveva una forza speciale. Cfr. 1Tessalonicesi 2:9-12. poichè noi non vi siamo comportati disordinatamente fra voi. Paolo può affermare questo della condotta generale degli ambasciatori di Cristo in Tessalonica; ma intende affermarlo qui in modo speciale rispetto all'obbligo del lavoro. L'ordine voluto da Dio è che ogni uomo lavori. Dio opera del continuo e l'uomo è stato fatto a sua immagine. La legge del lavoro è legge primordiale imposta all'uomo per il suo e per l'altrui bene. Dio pose l'uomo nell'Eden «per coltivarlo e per custodirlo» e, dopo la caduta, «Tu mangerai, disse, il pane col sudor della tua fronte». Come in un esercito ciascuno occupa il suo posto ed ha il suo compito, così nella famiglia e nella società umana ognuno ha la sua parte di lavoro da compiere. Chi lo tralascia per fare altra cosa, a suo capriccio, o per darsi all'ozio, è fuori dell'ordine. Il lavoro che non fa ricade sulle spalle di altri già abbastanza gravati, o per lo meno il «disordinato» defrauda la società di un capitale utile e nuoce a se stesso perchè si abitua all'egoismo e non fa valere le capacità che possiede.
8 e non abbiamo mangiato gratuitamente il pane datoci da altri, ma con fatica e pena abbiamo lavorato notte e giorno per non esser d'aggravi ad alcuno di voi. Paolo ha coi suoi collaboratori compiuto conscienziosamente il lavoro del predicatore del Vangelo, bastevole da solo ad occupare il tempo e le forze d'un uomo; ma oltre a ciò si è sobbarcato al lavoro manuale per provvedere al proprio sostentamento alfin di non gravarne i neoconvertiti di Tessalonica già esposti alla persecuzione ed anche per dar loro l'esempio del lavoro.
9 Non già che non ne abbiamo il diritto, ma l'abbiamo fatto per darvi in noi stessi un esempio affinchè ci imitaste. Le ragioni divine ed umane sulle quali si fonda il diritto dei ministri del Vangelo di ricevere il sostentamento da coloro a pro dei quali lavorano, Paolo le ha esposte in 1Corinzi 9 insieme ad alcune delle ragioni per cui, in certi casi, egli ha rinunziato a valersi del suo diritto: non ha voluto mettere un intoppo al progresso del Vangelo; ha voluto togliere agli avversari ogni pretesto di accusarlo di mire interessate; ha voluto dare al suo lavoro per Cristo il carattere d'un atto libero e spontaneo rispondente all'alto onore concesso all'ex-persecutore. Non v'è contraddizione fra queste varie ragioni. Ne mentova un'altra ancora qui: il dare un buon esempio; il che lascia supporre in taluni dei convertiti di Tessalonica la tendenza, notata fin da principio da Paolo, ad abbandonare il lavoro ordinario sotto specie di zelo religioso. Se alcuno poteva con ragione accampare il proprio lavoro spirituale come motivo per esentarsi dal lavoro manuale, era l'apostolo; eppure non l'aveva fatto. Con qual diritto lo farebbe chi non aveva nè le fatiche nè i diritti dell'apostolo da far valere per chiedere ai fratelli il proprio sostentamento?
10 E invero quand'eravamo da voi vi ingiungevamo questo: che se alcuno non vuol lavorare, non deve neppur mangiare. Il dovere del lavoro inculcato, a prezzo di gravi fatiche, col suo esempio, Paolo l'aveva pure posto in risalto nel suo insegnamento morale ai neofiti, ricordando loro il proverbio giudaico nel quale si esprimeva la connessione divinamente stabilita tra il diritto al cibo corporale e l'obbligo del lavoro. Chi si sottrae al dovere, rinunzi pure al diritto. Paolo non dice in modo assoluto: «Chi non lavora...» perchè ci sono i bambini, i vecchi, gl'inabili, i disoccupati non per colpa loro o per uno sciocco ed orgoglioso disprezzo di taluni lavori manuali quasi fossero al di sotto della loro dignità mentre il Cristo faceva il falegname ed il suo grande apostolo il fabbricante di tende. Paolo dice: «Chi non vuole lavorare...» Nel non volere, potendo, sta la vera ribellione all'ordine divino. Neppur si deve dire che Paolo riconosca come lavoro, il solo lavoro manuale. Egli riconosco nel magistrato un ministro di Dio, un operaio in chi fatica nel predicar l'Evangelo come fa egli stesso; ma tutti devono lavorare in un modo o nell'altro. All'ozio non è valida scusa la ricchezza ereditata, perchè chi non deve lavorare per assicurarsi il pane quotidiano, può trovar altro lavoro utile alla comunità, o nel campo politico come un Gladstone od un Cavour, o nel campo scientifico come un Pasteur, o in quello sociale o in quello della beneficenza. Ma i fuchi non ci devono essere nell'alveare umano e se gli uni col loro lavoro rendon la vita più facile agli altri, questi altri devono restituire in qualche modo il privilegio di cui godono. Nè vi è pretesto di zelo religioso o di superiore santità che possa esimere dal lavoro. «Se sono angeli, diceva Bengel, vivano di vita angelica anche rispetto al mangiare».
11 Sentiamo infatti, che alcuni fra voi tengono una condotta disordinata, non lavorando affatto, ma occupandosi di cose vane. Da chi Paolo avesse saputo dell'agitazione causata dai fanatici, dell'uso fatto di una lettera a lui attribuita e di quelli che avevano abbandonato ogni lavoro, non ci è detto; ma importa costatare che oziosi erano solo alcuni, non la maggioranza della chiesa. La loro condotta disordinata è descritta con un gioco di parole che non si può rendere in una traduzione: non fanno le loro faccende, ma vanno attorno affaccendandosi senza pro (Martini), cioè occupandosi di cose vane, o di cose che non li riguardano. Il verbo περιεργαζεσθαι (lett. lavorare intorno) occorre solo in questo passo del N. T. e l'aggettivo (περιεργος) si applica in Atti 19:19 alle «arti curioso» e 1Timoteo 5:13 alle donne oziose, ciarliere e curiose.
12 A quei tali noi rivolgiamo l'ingiunzione e l'esortazione nel nome del Signor Gesù Cristo di mangiare il loro proprio pane lavorando tranquillamente. L'ingiunzione o l'ordine parte dall'autorità che agli apostoli viene dal Signor Gesù e si rivolge alla coscienza; l'esortazione parte dal cuor del padre e si rivolge al cuore dei figli o dei fratelli col desiderio di ricondurre i traviati sulla retta via. Il lavoro tranquillo raccomandato è l'opposto dell'affannarsi dei faccendoni, e il mangiare il loro proprio pane, cioè il pane che si saranno guadagnato col loro lavoro, è tacitamente opposto al mangiare un pane gratuitamente ricevuto dagli altri. Rileva la nobile indipendenza che il lavoro procura. Cfr. 1Tessalonicesi 4:11-12.
13 In quanto a voi fratelli, non vi stancate di fare il bene. Fare il bene non si riferisce soltanto alla beneficenza quasi che si trattasse qui di non lasciarsi scoraggire dall'abuso che ne facevano i fannulloni; ma accenna alla pratica del bene in ogni sfera, compresa quella del tranquillo lavoro per guadagnarsi il pane. Voi, dice Paolo, perseverate nella buona via in cui siete camminati finora senza lasciarvi trascinar da cattivi esempi o sollecitazioni, e quanto a coloro che si sono fuorviati, fate in modo da ricondurli alla pratica del bene.
14 E se alcuno non ubbidisce alle istruzioni (lett. alla parola) che vi diamo in questa lettera, notatelo per non aver relazioni con lui, acciocchè si vergogni. Paolo non interviene nell'esercizio della disciplina nelle chiese se non per dare istruzioni e per destare nelle chiese il senso del loro dovere. La parola apostolica alla quale si riferisce qui è specialmente quella di 2Tessalonicesi 3:12 relativa all'obbligo del lavoro. Il notatelo non implica alcuna notificazione pubblica alla chiesa, ma è un atto che ciascuno deve fare per conto suo per regolarsi in conseguenza. Il testo meglio appoggiato porta infatti l'infinito: per non aver... Il vedersi evitato dai fratelli deve trarre l'ozioso a considerar la propria condotta con occhio più severo, a riconoscersi per quel ch'egli è nella coscienza degli altri e a sentir vergogna di se. Uno dei fini cui mira la disciplina fraterna è il ravvedimento del colpevole. Quando fallisca questo scopo essa ha sempre un'altra utilità ch'è quella di preservar la chiesa dai funesti effetti del cattivo esempio che agisce come un lievito corruttore 1Corinzi 5:5. Serve inoltre a salvaguardare l'onore della chiesa e implicitamente del Vangelo davanti al mondo. Qui si tratta di un caso in cui la disciplina fraterna poteva sperimentare successivamente diversi gradi di severità, dalla semplice ammonizione fraterna prescritta 1Tessalonicesi 5:14; alla rottura delle relazioni fraterne, fino alla esclusione più solenne dalla chiesa.
15 Però, non lo considerate come nemico, ma ammonitelo come fratello. Il mezzo disciplinare della rottura delle relazioni dev'essere adoprato con ispirito d'amore, di compassione per un fratello fuorviato di cui bisogna cercare il bene, senza pensare unicamente a tenersi lontani e a difendersi come si fa da un nemico. «Chi avrà ritratto un peccatore dal suo traviamento salverà un'anima da morte e coprirà una moltitudine di peccati» Giacomo 5:20.
AMMAESTRAMENTI 1. Il dovere del lavoro onesto, per tutti, fa parte dell'ordine di creazione stabilito da Dio. Chi, potendolo, non vi si uniforma, vive «disordinatamente». - Il dovere del lavoro fa parte dell'insegnamento apostolico, il quale conteneva pure tante sublimi verità e così alte speranze. Ma il conoscer la verità e il possedere una consolante speranza, lungi dal distogliere il credente dall'adempimento dei doveri ordinari, lo rende più fedele ad essi. - Il dovere del lavoro fu inculcato, oltrechè dall'esempio di Cristo, da quello dei suoi apostoli i quali non si vergognavano del lavoro manuale dopo ch'essi avevano annunziato l'Evangelo di Dio, e rinunziando al loro diritto, si sobbarcavano spesso a gravi fatiche per dare ai neofiti l'esempio del lavoro. - Il lavoro è il mezzo normale di procurarsi, in modo onesto ed indipendente, i mezzi di sussistenza. Paolo parla di pane, il che certo non va inteso alla lettera, ma neppure va esteso fino ad abbracciare come fossero necessarie le sontuosità della mensa ed il lusso del vestire. - Il lavoro è salvaguardia contro il vano affaccendarsi, la curiosità, l'agitazione del fanatismo, contro l'egoismo, ed è mezzo utile di educazione del proprio carattere. - Il lavoro ha da essere regolare e tranquillo; non eccessivo, ma neppure ridotto ad una mora parvenza sia per il tempo sia per le energie che vi si consacrano. Lavorare il meno che sia possibile, non è un ideale cristiano. 2. Come nelle chiese apostoliche ci furono dei fratelli «disordinati», ce ne possono essere nelle chiese del 20mo secolo. Se ne troveranno tra i ricchi e tra i poveri; gli uni toglieranno a pretesto per non darsi ad un lavoro regolare i beni eredati, altri i doveri di società; altri la loro dignità ed altri ancora la difficoltà di trovare un lavoro che convenga ad essi od un posto che risponda alle loro esigenze. La Chiesa ha il dovere di ricordare a tutti, nell'inseguamento pubblico come nelle private esortazioni, l'obbligo del lavoro. La vita non consiste nel godere, nel divertirsi, nel farsi ammirare; essa ha un senso ed un fine più alti ed il tempo, le facoltà e le forze devono essere spesi in modo utile al prossimo ed al servizio di Dio. I cristiani hanno più d'un modo di far sentire, sia pur fraternamente, a chi è ozioso la loro riprovazione di una tale condotta. Le chiese, le istituzioni di beneficenza, lo Stato ed anche gli individui devono guardarsi dall'incoraggiar l'ozio, nutrendo gli oziosi ed i mendicanti di mestiere. Volgano più tosto i loro sforzi ad incoraggiare il lavoro, l'indipendenza dignitosa. Aiutare chi si ingegna di aiutarsi, sarà più cristiano che il mantenere ordini religiosi che in più d'un modo vivono fuori dell'ordine voluto da Dio, o che il nutrire chi non vuol lavorare. 3. «Fra le molto delusioni che uno incontra quando ha che fare coi poveri, è talvolta difficile conservare nel cuore l'amore. Non mancano infatti le ragioni che ingenerano la stanchezza nel fare il bene. Talvolta sembra che l'opera da compiere sia troppo vuota, talvolta pare che sia vana, senza utili risultati; e tal'altra invece d'incoraggiamenti s'incontrano sospetti ed ingratitudine. Uno si stanca senza volerlo. Il rimedio ad un tale stato d'animo sta nel riguardare all'esempio di Cristo che in apparenza faticò senza grandi risultati e mietè peggio che ingratitudine; sta nel riguardare all'amor di Dio che, tiene in serbo per noi «il riposo sabbatico del popol suo». (Da Stockmeyer).
16 CHIUSA DELLA LETTERA
2Tessalonicesi 3:16-18
Or il Signore stesso della pace vi dia la pace del continuo, per ogni maniere. Il Signore sia con tutti voi. Paolo avendo terminate le ultime esortazioni che intendeva fare, prende congedo con un augurio che risponde a quello col quale aveva principiato la lettera. Pace egli prega nel senso più largo: pace con Dio nel sentimento della riconciliazione con lui, pace coi fratelli nel godimento dell'amor fraterno e pace anche di fronte all'odio del mondo nella comunione col Signor Gesù ch'è il Signor della pace perchè la procura al peccatore, la spande col suo Spirito nei cuori e la fa regnar tra i suoi. E sia pace «continua» in quanto al tempo, e pace «in ogni maniera», pace interna, pace esterna se possibile.
17 Il saluto è di mia propria mano, di me Paolo. Questo serve di firma (lett. è un segno) in ogni mia lettera; scrivo così Appare da questo saluto finale che la lettera era stata dettata ad un amanuense. Risulta da lettere posteriori che Paolo soleva dettare le sue epistole: 1Corinzi 16:21. «Il saluto è di mia propria mano, di me Paolo» Romani 16:22; Colossesi 4:18. Soltanto quella ai Galati fu scritta tutta di suo pugno in quel suo carattere grosso, poco elegante ch'egli stesso fa notare sulla fine di quella lettera Galati 6:11. Il perchè di quel suo dettare va cercato, secondo ogni verosimiglianza, nella malattia d'occhi che lo affliggeva e ch'egli chiamerà la sua «scheggia nella carne». La parte scritta di proprio pugno comprende i due v. 2Tessalonicesi 3:17-18 che costituiscono come la firma autentica della lettera. Egli si propone di usare in avvenire di un simile mezzo di autenticazione in ogni sua lettera; e la precauzione non era superflua poichè c'era stato in Tessalonica un tentativo di far passar per sua una lettera che non era di lui 2Tessalonicesi 2:2. Il segno autentico, o come diremmo la firma, non consiste nelle parole che scrive, quasichè la formula di benedizione di 2Tessalonicesi 3:18 costituisse la prova dell'autenticità, delle sue lettere. Una formula simile poteva esser copiata da un falsario qualunque e d'altronde l'apostolo non aveva una formula stereotipa pei suoi saluti. Il segno sta nella sua calligrafia non facilmente imitabile e ad ogni modo caratteristica: scrivo così. L'araldo della verità non solo si preoccupa di rettificare le nozioni erronee che turbano i cuori e le menti nelle chiese, ma prende le dovute precauzioni perchè l'autenticità dei documenti ai quali affida la verità cristiana possa essere accertata da coloro ai quali scrive. La chiesa antica è stata praticamente unanime nel ricevere come autentiche le tredici lettere che portano nel Nuovo Testamento il nome di Paolo e nonostante il formidabile assalto diretto contro alcune di esse dalla critica negativa a base di diversità di vocabolario, di stile o di tono, a base di divergenze nel contenuto dottrinale o morale, la Chiesa cristiana non ha mutato il suo giudizio. E d'altronde, quand'anche si fosse provata l'inautenticità di qualche lettera minore, non si sarebbe tolta neanche una pietra all'edificio della verità quale ci appare dalle grandi epistole la cui autenticità è fuori discussione.
18 La benedizione finale non differisce da quella della prima Epistola se non nell'aggiunta del tutti: La grazia del Signor nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. «Grazia» è la parola paolina per eccellenza. La si trova tanto nei saluti che rivolge alle chiese, quanto nelle benedizioni colle quali prende congedo da esse; essa è il principio e la fine del di lui Vangelo; è l'elemento nel quale i cristiani vivono, si muovono ed hanno l'esser loro... Chi guarderà dal cadere a terra quelle chiese da poco chiamate a nuova vita dall'evangelo? Chi aprirà loro gli occhi per comprender l'ideale che il cristiano deve tradurre in realtà nella sua vita? Fra mezzo ai molti nemici, ove trovare un alleato abbastanza potente e sempre presente? A tutte codeste domande Paolo rispondo collo scrivere: La grazia del nostro Signor G.C. sia con tutti voi. Sebbene egli li abbia lasciati, essi non sono però soli. L'amore misericordioso di Dio che, senza esser chiamato, si è accostato a loro, sarà con loro ancora per condurre a termine l'opera sua. Li circonderà da ogni parte, sarà per loro e solo e scudo, una guida, e una difesa. In tutte le loro tentazioni, in tutte le loro sofferenze, in tutto le loro perplessità morali, in tutti i loro scoramenti. sarà un aiuto sufficiente». (Denney).
ESORTAZIONI PRATICHE
2Tessalonicesi 3
La Terza Parte dell'Epistola contiene le ultime esortazioni pratiche dell'apostolo. Esse sono introdotte come nella prima Epistola 1Tessalonicesi 4:1 con un: Del rimanente, perchè l'insegnamento principale che Paolo intendeva dare è quello del Cap. 2; gli rimane soltanto da aggiungere qualche altra esortazione relativa sia alle circostanze in cui egli stesso si trova, sia a quelle in cui si trova la chiesa. Due esortazioni principali occupano questa parte e formano le due sezioni in cui si divide:
Prima Sezione 2Tessalonicesi 3:1-5: Esortazione a pregare affinchè la Parola di Dio, che Paolo annunzia sia glorificata dovunque come lo è e come lo sarà ancora - così spera - fra i Tessalonicesi.
Seconda Sezione 2Tessalonicesi 3:6-15: Ingiunzione di rompere le relazioni coi fratelli disordinati affin di condurli a ravvedimento.
Alle esortazioni segue la chiusa dell'epistola: 2Tessalonicesi 3:16-18.
Sezione 1 2Tessalonicesi 3:1-5 ESORTAZIONE AD INTERCEDERE PER I BANDITORI DEL VANGELO
Del rimanente, fratelli, pregate per noi affinchè la parola del Signore si spanda e sia dovunque glorificata come lo è tra voi,
Paolo domanda le preghiere dei fedeli per se e per i suoi collaboratori non per alcun fine meramente personale, ma in vista del trionfo del Vangelo al quale ha dato tutto sè stesso. Dice propriamente: affinchè la parola del Signore - s'intende la parola del Signor Gesù perchè da lui procede ed è tutta piena di lui - corra... L'immagine del «correre accenna ad un largo e rapido spargimento, all'allontanamento degli ostacoli che impediscono o che ritardano lo spargimento della Parola. Certo, durante la carriera di Paolo il Vangelo corso con rapidità dall'Arabia fino all'Italia e forse fino in Ispagna attraverso la Siria, l'Asia Minore e la Grecia; ed anche oggi, mercè l'opera delle missioni, essa ha ripreso più rapido il corso attraverso le nazioni del mondo pagano. - e sia glorificata, non nel senso soltanto di Atti 13:48 in cui si legge: «Udendo ciò i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore...». Neppure si tratta qui dei miracoli esterni che talvolta accompagnavano la predicazione; ma dell'esser glorificata dagli effetti salutari ch'ella produce convertendo, rinnovando, santificando le anime; dimostrandosi «potenza di Dio per salvare tutti quelli che credono». Romani 1:16. Così ora essa glorificata fra i Tessalonicesi ove avea dato frutti di fede, di amore, di speranza, di costanza.
2 ed affinchè siamo liberati dagli uomini perversi e malvagi, poichè la fede non è di tutti.
Uno degli ostacoli che Paolo ha incontrato spesso ed incontra pure a Corinto è l'opposizione invidiosa, sragionevole e perversa dei Giudei che trascinavano facilmente con se dei pagani. Da siffatti oppositori all'opera missionaria egli brama d'esser liberato e domanda ai Tessalonicesi di pregare anche per questo. Lascia d'altronde a Dio il modo della liberazione: Dio può convertire gli avversari, può volgere altrove la loro attenzione o in altri modi far cessare la loro opposizione o renderla vana. Li chiama ατοποι (perversi) e malvagi. La prima di queste parole vale etimologicamente: «fuor di luogo», e si applica a quel ch'è sragionevole, assurdo, ovvero, in senso morale, a quel che non sta bene, ch'è cattivo, perverso. Luca l'usa in quest'ultimo senso Luca 23:41, «ma questi non ha fatto nulla di male» Atti 25:5; e in senso fisico Atti 28:6. Questi essendo i soli passi del N. T. in cui occorra quel termine, lo intendiamo anche qui nel senso di cattivi, perversi.
Sono uomini che non si contentano di respingere per proprio conto il Vangelo, ma che, mossi da invidia, da prepotenza orgogliosa, vogliono impedire che altri lo riceva e perciò ostacolano, fanno incarcerare, ed anche uccidere, ove lo possano, i banditori della Parola. La fede non è di tutti è la dolorosa esperienza fatta da Paolo come già dal Signore stesso; non è cosa di tutti, perchè non tutti sono internamente disposti ad accettare il Vangelo. «Chi è per la verità, disse Gesù, ascolta la mia voce» Giovanni 18:37. «Ma voi non volete venire a me per aver la vita 2Tessalonicesi 5:40. «... Chi non è da Dio, non ci ascolta» 1Giovanni 4:6.
3 Ma il Signore è fedele ed egli vi renderà saldi e vi guarderà dal maligno.
La fede non è di tutti, ma i Tessalonicesi ad ogni modo hanno creduto; vi sono degli uomini malvagi che ostacolano i progressi del Vangelo e perseguitano chi lo predica e chi lo riceve. Ne sanno qualcosa i Tessalonicesi; ma il Signore, s'intende: il Signor Gesù, è fedele, e riguardando a lui Paolo si sente sicuro ch'Egli renderà viepiù fermi e saldi nella loro fede i credenti ancor teneri di Tessalonica e li guarderà dalle insidie e dagli assalti d'ogni maniera del loro grande nemico il Maligno. Paolo usa l'espressione ὁ πονηρος (il malvagio) in due sensi diversi: l'uomo malvagio 1Corinzi 5:13 e lo spirito malvagio per eccellenza, cioè Satana Efesini 6:16. Usa anche il neutro το πον. ad indicare il male Romani 12:9. Quale di questi tre sensi possibili è da preferire nel nostro passo? Lasciando da parte il primo come il meno adatto, i traduttori e commentatori si dividono, come nel caso dell'ultima domanda dell'Orazione Domenicale, tra i due ultimi: il Maligno e il male. Per quanto sia lecito il dubbio e non si tratti di una differenza sostanziale, propendiamo per il primo di questi due, perchè Paolo ha nominato esplicitamente Satana nel cap. 2; perchè suole considerare i nemici del Vangelo come strumenti di Satana che resta il nemico più temibile; e perchè S. Giovanni e il Signor Gesù stesso usano spesso l'espressione come designazione di Satana 1Giovanni 2:13-14; 3:12; 5:18; Matteo 5:37; 13:19,38. La fedeltà del Signore nel fortificare e proteggere i fedeli non deve però indurli a rilassatezza nell'ubbidire al Vangelo; e Paolo confida che i Tessalonicesi continueranno a mostrarsi ubbidienti a quanto egli ordina loro da parte del Signore.
4 Ed abbiamo questa fiducia nel Signore a vostro riguardo, che le cose che vi ordiniamo, voi le fate e le farete.
Si tratta qui delle prescrizioni morali che Paolo avea loro dato nella prima Epistola e ch'egli sta per dare ancora in 2Tessalonicesi 3:6-15.
5 Or il Signore diriga i vostri cuori all'amor di Dio ed alla paziente aspettazione di Cristo.
Si potrebbe intendere: all'amore che Dio ci ha manifestato ed alla «pazienza» o costanza di cui Cristo ci ha dato l'esempio nel soffrire; ma il voto dell'apostolo risponde anche meglio alle circostanze dei Tessalonicesi quando s'intenda: Il Signor Gesù stesso diriga i vostri cuori ad amar sopra ogni cosa l'Iddio che vi ha amati il primo e ad aspettare senza impazienze fanatiche ed ingiustificate, senza stanchezza di fede, il Ritorno del Cristo dal cielo. Noi non sappiamo quando, ma allorchè sarà tempo egli verrà e compirà l'opera della nostra redenzione. In 1Tessalonicesi 1:3 avea mentovato con lode la «costanza della loro speranza nel Signor G. C.» e in 2Tessalonicesi 1:10 avea detto che si eran convertiti dagli idoli a Dio «per servire all'Iddio vivente e vero - e per aspettar dai cieli il di lui Figliuolo, Gesù... che ci libera dall'ira avvenire». Se i loro cuori sono volti in quella direzione ed assorti in così alti oggetti, saranno più sicuramente guardati dalle insidie del Maligno.
AMMAESTRAMENTI
1. Fratelli, pregate per, noi. Sotto svariate forme, è questa una domanda che torna spesso nelle lettere dell'apostolo dei Gentili. Essa attesta il suo ardente zelo missionario. Egli si sa portatore di una parola che non è umana ma divina, di una parola ch'è una Buona Novella potente a salvare, di una parola destinata a tutti gli uomini. - E vorrebbe che questa Parola del Signore corresse rapida di città in città, da un paese all'altro, fino all'estremità del mondo. - Egli fa di tutto perchè abbia un rapido corso; ma sente la propria debolezza personale, ma vede sorgere gli ostacoli dovunque, ostacoli che Dio solo può rimuovere, e umilmente chiede l'aiuto della simpatia e delle preghiere dei suoi fratelli di Tessalonica. Ogni ministro della Parola deve desiderare e chiedere un tale aiuto.
Non tutti sono apostoli, non tutti sono ministri del Vangelo, ma tutti possono cooperare in qualche modo allo spargimento della Buona Novella nel mondo. Possono pregare per i banditori del Vangelo vicini e lontani: pregare perchè siano sempre ripieni dello Spirito di fede e di amore: pregare perchè il loro messaggio sia effìcace per la conversione e per la santificazione di molti; pregare perchè siano rimossi gli ostacoli che impediscono il libero corso della Parola, e perchè siano, conservati incolumi i messaggeri del Vangelo in mezzo ai pericoli. Possono aiutarli con soccorsi materiali Filippesi 4:15-20 secondo i loro mezzi. - Possono con la loro vita «glorificare» la Parola e anche questo è una predicazione. Quel che ogni cristiano può fare, è suo dovere di farlo.
2. Ogni cuore umano ha il potere di amare e di sperare. Ma per lo più il cuore dirige male i suoi affetti e le sue speranze: sopra oggetti indegni, o fallaci o anche meramente perituri. Il Vangelo non abolisce la gran legge antica: «Ama Iddio con tutto il tuo cuore», anzi col manifestare più completamente in Cristo l'amor di Dio per gli uomini, fornisce nuovi e più potenti motivi di amare Dio ch'è l'oggetto più alto e più perfetto del nostro amore. - La speranza cristiana ha il suo oggetto supremo in Cristo il quale col suo Ritorno renderà completa la redenzione dei suoi e del mondo stesso in cui abitano. Certo la Chiesa, specie quando è travagliata e perseguitata, sospira: «Vieni Signor Gesù»; ed Egli verrà, ma la Chiesa lo deve aspettare con pazienza come i servitori aspettano il loro Signore. Quando il cuore è fissato saldamente a quelle due àncore che sono l'Iddio d'amore e il Cristo redentore e re, i venti di quaggiù non lo fanno più naufragare.
6 Sezione B 2Tessalonicesi 3:6-15 ORDINE DI ALLONTANARSI DAI FRATELLI OZIOSI
La febbrile aspettazione del Ritorno di Cristo aveva indotto certi fratelli a tralasciare i doveri della vita ordinaria per darsi all'agitazione del fanatismo religioso. Nella prima Epistola Paolo li aveva esortati al lavoro pacifico che li avrebbe tenuti lontani dalla tentazione d'immischiarsi nelle faccende altrui e li avrebbe resi indipendenti dai fratelli per la loro sussistenza 1Tessalonicesi 4:11-12. Aveva perfino esortato la chiesa ad ammonire i disordinati 1Tessalonicesi 5:14; ma pare che il male, invece di sparire, fosse peggiorato in seguito alla erronea credenza diffusasi nella chiesa che il giorno del Signore fosse imminente. Informato di questo, Paolo ritorna sull'argomento per insistere sul dovere del lavoro per tutti e dare ingiunzioni più severe circa i disordinati.
Ora, fratelli, vi ordiniamo, nel nome del Signor Gesù Cristo di allontanarvi da ogni fratello che tiene una condotta disordinata e non conforme all'insegnamento che avete ricevuto da noi.
L'apostolo ha espresso in 2Tessalonicesi 3:4 la fiducia che i Tessalonicesi si mostrerebbero ubbidienti alle sue ingiunzioni, e viene subito a formulare quella che gli sta più a cuore, dandole tutta la solennità possibile col ricordare che non di sua personale autorità, ma come ambasciatore che parla nel nome del Signore della Chiesa, egli trasmette loro quest'ordine. Non essendo state sufficienti le esortazioni a correggere gli scioperati, egli prescrive alla maggioranza sana della chiesa di ritrarsi da ogni fratello che cammina disordinatamente. Il ritrarsi, l'allontanarsi, implica la rottura quasi completa delle relazioni amichevoli, fraterne, cordiali. Lo scopo cui mira una siffatta rottura è indicato in 2Tessalonicesi 3:14: «affinchè ne provi vergogna». La condotta disordinata che l'apostolo ha in vista qui è quella descritta più oltre in 2Tessalonicesi 3:11: è la vita oziosa che menavano alcuni sotto pretesto religioso. Questo non era conforme alla paradosis, vedi 2Tessalonicesi 2:15; all'insegnamento orale o scritto dato ai Tessalonicesi da Paolo, e confermato dal suo esempio. Invece dell'avete ricevuto da noi del codice vaticano, altri antichi manoscritti ((alef) A D) seguiti dal Tischendorf e dallo Hort portano: che essi hanno ricevuto. Il plurale si riferirebbe al collettivo «ogni fratello». All'insegnamento esplicito dato sul dovere morale del lavoro, Paolo allude pure in 2Tessalonicesi 3:10.
7 Voi stessi, infatti, sapete come avete il dovere di imitarci,
- Paolo ed i suoi compagni erano stati i maestri dei Tessalonicesi non colla parola soltanto, ma coll'esempio ed i fedeli ben sapevano che i discepoli devono imitare i loro maestri. Nella prima Ep. (1Tessalonicesi 1:6) Paolo li loda di questo: «e voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore». L'esempio degli apostoli era tanto più degno d'imitazione che, nell'ubbidienza alla legge del lavoro, esso aveva una forza speciale. Cfr. 1Tessalonicesi 2:9-12.
poichè noi non vi siamo comportati disordinatamente fra voi.
Paolo può affermare questo della condotta generale degli ambasciatori di Cristo in Tessalonica; ma intende affermarlo qui in modo speciale rispetto all'obbligo del lavoro. L'ordine voluto da Dio è che ogni uomo lavori. Dio opera del continuo e l'uomo è stato fatto a sua immagine. La legge del lavoro è legge primordiale imposta all'uomo per il suo e per l'altrui bene. Dio pose l'uomo nell'Eden «per coltivarlo e per custodirlo» e, dopo la caduta, «Tu mangerai, disse, il pane col sudor della tua fronte». Come in un esercito ciascuno occupa il suo posto ed ha il suo compito, così nella famiglia e nella società umana ognuno ha la sua parte di lavoro da compiere. Chi lo tralascia per fare altra cosa, a suo capriccio, o per darsi all'ozio, è fuori dell'ordine. Il lavoro che non fa ricade sulle spalle di altri già abbastanza gravati, o per lo meno il «disordinato» defrauda la società di un capitale utile e nuoce a se stesso perchè si abitua all'egoismo e non fa valere le capacità che possiede.
8 e non abbiamo mangiato gratuitamente il pane datoci da altri, ma con fatica e pena abbiamo lavorato notte e giorno per non esser d'aggravi ad alcuno di voi.
Paolo ha coi suoi collaboratori compiuto conscienziosamente il lavoro del predicatore del Vangelo, bastevole da solo ad occupare il tempo e le forze d'un uomo; ma oltre a ciò si è sobbarcato al lavoro manuale per provvedere al proprio sostentamento alfin di non gravarne i neoconvertiti di Tessalonica già esposti alla persecuzione ed anche per dar loro l'esempio del lavoro.
9 Non già che non ne abbiamo il diritto, ma l'abbiamo fatto per darvi in noi stessi un esempio affinchè ci imitaste.
Le ragioni divine ed umane sulle quali si fonda il diritto dei ministri del Vangelo di ricevere il sostentamento da coloro a pro dei quali lavorano, Paolo le ha esposte in 1Corinzi 9 insieme ad alcune delle ragioni per cui, in certi casi, egli ha rinunziato a valersi del suo diritto: non ha voluto mettere un intoppo al progresso del Vangelo; ha voluto togliere agli avversari ogni pretesto di accusarlo di mire interessate; ha voluto dare al suo lavoro per Cristo il carattere d'un atto libero e spontaneo rispondente all'alto onore concesso all'ex-persecutore. Non v'è contraddizione fra queste varie ragioni. Ne mentova un'altra ancora qui: il dare un buon esempio; il che lascia supporre in taluni dei convertiti di Tessalonica la tendenza, notata fin da principio da Paolo, ad abbandonare il lavoro ordinario sotto specie di zelo religioso. Se alcuno poteva con ragione accampare il proprio lavoro spirituale come motivo per esentarsi dal lavoro manuale, era l'apostolo; eppure non l'aveva fatto. Con qual diritto lo farebbe chi non aveva nè le fatiche nè i diritti dell'apostolo da far valere per chiedere ai fratelli il proprio sostentamento?
10 E invero quand'eravamo da voi vi ingiungevamo questo: che se alcuno non vuol lavorare, non deve neppur mangiare.
Il dovere del lavoro inculcato, a prezzo di gravi fatiche, col suo esempio, Paolo l'aveva pure posto in risalto nel suo insegnamento morale ai neofiti, ricordando loro il proverbio giudaico nel quale si esprimeva la connessione divinamente stabilita tra il diritto al cibo corporale e l'obbligo del lavoro. Chi si sottrae al dovere, rinunzi pure al diritto. Paolo non dice in modo assoluto: «Chi non lavora...» perchè ci sono i bambini, i vecchi, gl'inabili, i disoccupati non per colpa loro o per uno sciocco ed orgoglioso disprezzo di taluni lavori manuali quasi fossero al di sotto della loro dignità mentre il Cristo faceva il falegname ed il suo grande apostolo il fabbricante di tende. Paolo dice: «Chi non vuole lavorare...» Nel non volere, potendo, sta la vera ribellione all'ordine divino. Neppur si deve dire che Paolo riconosca come lavoro, il solo lavoro manuale. Egli riconosco nel magistrato un ministro di Dio, un operaio in chi fatica nel predicar l'Evangelo come fa egli stesso; ma tutti devono lavorare in un modo o nell'altro. All'ozio non è valida scusa la ricchezza ereditata, perchè chi non deve lavorare per assicurarsi il pane quotidiano, può trovar altro lavoro utile alla comunità, o nel campo politico come un Gladstone od un Cavour, o nel campo scientifico come un Pasteur, o in quello sociale o in quello della beneficenza. Ma i fuchi non ci devono essere nell'alveare umano e se gli uni col loro lavoro rendon la vita più facile agli altri, questi altri devono restituire in qualche modo il privilegio di cui godono. Nè vi è pretesto di zelo religioso o di superiore santità che possa esimere dal lavoro. «Se sono angeli, diceva Bengel, vivano di vita angelica anche rispetto al mangiare».
11 Sentiamo infatti, che alcuni fra voi tengono una condotta disordinata, non lavorando affatto, ma occupandosi di cose vane.
Da chi Paolo avesse saputo dell'agitazione causata dai fanatici, dell'uso fatto di una lettera a lui attribuita e di quelli che avevano abbandonato ogni lavoro, non ci è detto; ma importa costatare che oziosi erano solo alcuni, non la maggioranza della chiesa. La loro condotta disordinata è descritta con un gioco di parole che non si può rendere in una traduzione: non fanno le loro faccende, ma vanno attorno affaccendandosi senza pro (Martini), cioè occupandosi di cose vane, o di cose che non li riguardano. Il verbo περιεργαζεσθαι (lett. lavorare intorno) occorre solo in questo passo del N. T. e l'aggettivo (περιεργος) si applica in Atti 19:19 alle «arti curioso» e 1Timoteo 5:13 alle donne oziose, ciarliere e curiose.
12 A quei tali noi rivolgiamo l'ingiunzione e l'esortazione nel nome del Signor Gesù Cristo di mangiare il loro proprio pane lavorando tranquillamente.
L'ingiunzione o l'ordine parte dall'autorità che agli apostoli viene dal Signor Gesù e si rivolge alla coscienza; l'esortazione parte dal cuor del padre e si rivolge al cuore dei figli o dei fratelli col desiderio di ricondurre i traviati sulla retta via. Il lavoro tranquillo raccomandato è l'opposto dell'affannarsi dei faccendoni, e il mangiare il loro proprio pane, cioè il pane che si saranno guadagnato col loro lavoro, è tacitamente opposto al mangiare un pane gratuitamente ricevuto dagli altri. Rileva la nobile indipendenza che il lavoro procura. Cfr. 1Tessalonicesi 4:11-12.
13 In quanto a voi fratelli, non vi stancate di fare il bene.
Fare il bene non si riferisce soltanto alla beneficenza quasi che si trattasse qui di non lasciarsi scoraggire dall'abuso che ne facevano i fannulloni; ma accenna alla pratica del bene in ogni sfera, compresa quella del tranquillo lavoro per guadagnarsi il pane. Voi, dice Paolo, perseverate nella buona via in cui siete camminati finora senza lasciarvi trascinar da cattivi esempi o sollecitazioni, e quanto a coloro che si sono fuorviati, fate in modo da ricondurli alla pratica del bene.
14 E se alcuno non ubbidisce alle istruzioni
(lett. alla parola)
che vi diamo in questa lettera, notatelo per non aver relazioni con lui, acciocchè si vergogni.
Paolo non interviene nell'esercizio della disciplina nelle chiese se non per dare istruzioni e per destare nelle chiese il senso del loro dovere. La parola apostolica alla quale si riferisce qui è specialmente quella di 2Tessalonicesi 3:12 relativa all'obbligo del lavoro. Il notatelo non implica alcuna notificazione pubblica alla chiesa, ma è un atto che ciascuno deve fare per conto suo per regolarsi in conseguenza. Il testo meglio appoggiato porta infatti l'infinito: per non aver... Il vedersi evitato dai fratelli deve trarre l'ozioso a considerar la propria condotta con occhio più severo, a riconoscersi per quel ch'egli è nella coscienza degli altri e a sentir vergogna di se. Uno dei fini cui mira la disciplina fraterna è il ravvedimento del colpevole. Quando fallisca questo scopo essa ha sempre un'altra utilità ch'è quella di preservar la chiesa dai funesti effetti del cattivo esempio che agisce come un lievito corruttore 1Corinzi 5:5. Serve inoltre a salvaguardare l'onore della chiesa e implicitamente del Vangelo davanti al mondo. Qui si tratta di un caso in cui la disciplina fraterna poteva sperimentare successivamente diversi gradi di severità, dalla semplice ammonizione fraterna prescritta 1Tessalonicesi 5:14; alla rottura delle relazioni fraterne, fino alla esclusione più solenne dalla chiesa.
15 Però, non lo considerate come nemico, ma ammonitelo come fratello.
Il mezzo disciplinare della rottura delle relazioni dev'essere adoprato con ispirito d'amore, di compassione per un fratello fuorviato di cui bisogna cercare il bene, senza pensare unicamente a tenersi lontani e a difendersi come si fa da un nemico. «Chi avrà ritratto un peccatore dal suo traviamento salverà un'anima da morte e coprirà una moltitudine di peccati» Giacomo 5:20.
AMMAESTRAMENTI
1. Il dovere del lavoro onesto, per tutti, fa parte dell'ordine di creazione stabilito da Dio. Chi, potendolo, non vi si uniforma, vive «disordinatamente».
- Il dovere del lavoro fa parte dell'insegnamento apostolico, il quale conteneva pure tante sublimi verità e così alte speranze. Ma il conoscer la verità e il possedere una consolante speranza, lungi dal distogliere il credente dall'adempimento dei doveri ordinari, lo rende più fedele ad essi.
- Il dovere del lavoro fu inculcato, oltrechè dall'esempio di Cristo, da quello dei suoi apostoli i quali non si vergognavano del lavoro manuale dopo ch'essi avevano annunziato l'Evangelo di Dio, e rinunziando al loro diritto, si sobbarcavano spesso a gravi fatiche per dare ai neofiti l'esempio del lavoro.
- Il lavoro è il mezzo normale di procurarsi, in modo onesto ed indipendente, i mezzi di sussistenza. Paolo parla di pane, il che certo non va inteso alla lettera, ma neppure va esteso fino ad abbracciare come fossero necessarie le sontuosità della mensa ed il lusso del vestire.
- Il lavoro è salvaguardia contro il vano affaccendarsi, la curiosità, l'agitazione del fanatismo, contro l'egoismo, ed è mezzo utile di educazione del proprio carattere.
- Il lavoro ha da essere regolare e tranquillo; non eccessivo, ma neppure ridotto ad una mora parvenza sia per il tempo sia per le energie che vi si consacrano. Lavorare il meno che sia possibile, non è un ideale cristiano.
2. Come nelle chiese apostoliche ci furono dei fratelli «disordinati», ce ne possono essere nelle chiese del 20mo secolo. Se ne troveranno tra i ricchi e tra i poveri; gli uni toglieranno a pretesto per non darsi ad un lavoro regolare i beni eredati, altri i doveri di società; altri la loro dignità ed altri ancora la difficoltà di trovare un lavoro che convenga ad essi od un posto che risponda alle loro esigenze.
La Chiesa ha il dovere di ricordare a tutti, nell'inseguamento pubblico come nelle private esortazioni, l'obbligo del lavoro. La vita non consiste nel godere, nel divertirsi, nel farsi ammirare; essa ha un senso ed un fine più alti ed il tempo, le facoltà e le forze devono essere spesi in modo utile al prossimo ed al servizio di Dio.
I cristiani hanno più d'un modo di far sentire, sia pur fraternamente, a chi è ozioso la loro riprovazione di una tale condotta.
Le chiese, le istituzioni di beneficenza, lo Stato ed anche gli individui devono guardarsi dall'incoraggiar l'ozio, nutrendo gli oziosi ed i mendicanti di mestiere. Volgano più tosto i loro sforzi ad incoraggiare il lavoro, l'indipendenza dignitosa. Aiutare chi si ingegna di aiutarsi, sarà più cristiano che il mantenere ordini religiosi che in più d'un modo vivono fuori dell'ordine voluto da Dio, o che il nutrire chi non vuol lavorare.
3. «Fra le molto delusioni che uno incontra quando ha che fare coi poveri, è talvolta difficile conservare nel cuore l'amore. Non mancano infatti le ragioni che ingenerano la stanchezza nel fare il bene. Talvolta sembra che l'opera da compiere sia troppo vuota, talvolta pare che sia vana, senza utili risultati; e tal'altra invece d'incoraggiamenti s'incontrano sospetti ed ingratitudine. Uno si stanca senza volerlo. Il rimedio ad un tale stato d'animo sta nel riguardare all'esempio di Cristo che in apparenza faticò senza grandi risultati e mietè peggio che ingratitudine; sta nel riguardare all'amor di Dio che, tiene in serbo per noi «il riposo sabbatico del popol suo». (Da Stockmeyer).
16 CHIUSA DELLA LETTERA
2Tessalonicesi 3:16-18
Or il Signore stesso della pace vi dia la pace del continuo, per ogni maniere. Il Signore sia con tutti voi.
Paolo avendo terminate le ultime esortazioni che intendeva fare, prende congedo con un augurio che risponde a quello col quale aveva principiato la lettera. Pace egli prega nel senso più largo: pace con Dio nel sentimento della riconciliazione con lui, pace coi fratelli nel godimento dell'amor fraterno e pace anche di fronte all'odio del mondo nella comunione col Signor Gesù ch'è il Signor della pace perchè la procura al peccatore, la spande col suo Spirito nei cuori e la fa regnar tra i suoi. E sia pace «continua» in quanto al tempo, e pace «in ogni maniera», pace interna, pace esterna se possibile.
17 Il saluto è di mia propria mano, di me Paolo. Questo serve di firma
(lett. è un segno)
in ogni mia lettera; scrivo così
Appare da questo saluto finale che la lettera era stata dettata ad un amanuense. Risulta da lettere posteriori che Paolo soleva dettare le sue epistole: 1Corinzi 16:21. «Il saluto è di mia propria mano, di me Paolo» Romani 16:22; Colossesi 4:18. Soltanto quella ai Galati fu scritta tutta di suo pugno in quel suo carattere grosso, poco elegante ch'egli stesso fa notare sulla fine di quella lettera Galati 6:11. Il perchè di quel suo dettare va cercato, secondo ogni verosimiglianza, nella malattia d'occhi che lo affliggeva e ch'egli chiamerà la sua «scheggia nella carne». La parte scritta di proprio pugno comprende i due v. 2Tessalonicesi 3:17-18 che costituiscono come la firma autentica della lettera. Egli si propone di usare in avvenire di un simile mezzo di autenticazione in ogni sua lettera; e la precauzione non era superflua poichè c'era stato in Tessalonica un tentativo di far passar per sua una lettera che non era di lui 2Tessalonicesi 2:2. Il segno autentico, o come diremmo la firma, non consiste nelle parole che scrive, quasichè la formula di benedizione di 2Tessalonicesi 3:18 costituisse la prova dell'autenticità, delle sue lettere. Una formula simile poteva esser copiata da un falsario qualunque e d'altronde l'apostolo non aveva una formula stereotipa pei suoi saluti. Il segno sta nella sua calligrafia non facilmente imitabile e ad ogni modo caratteristica: scrivo così.
L'araldo della verità non solo si preoccupa di rettificare le nozioni erronee che turbano i cuori e le menti nelle chiese, ma prende le dovute precauzioni perchè l'autenticità dei documenti ai quali affida la verità cristiana possa essere accertata da coloro ai quali scrive. La chiesa antica è stata praticamente unanime nel ricevere come autentiche le tredici lettere che portano nel Nuovo Testamento il nome di Paolo e nonostante il formidabile assalto diretto contro alcune di esse dalla critica negativa a base di diversità di vocabolario, di stile o di tono, a base di divergenze nel contenuto dottrinale o morale, la Chiesa cristiana non ha mutato il suo giudizio. E d'altronde, quand'anche si fosse provata l'inautenticità di qualche lettera minore, non si sarebbe tolta neanche una pietra all'edificio della verità quale ci appare dalle grandi epistole la cui autenticità è fuori discussione.
18 La benedizione finale non differisce da quella della prima Epistola se non nell'aggiunta del tutti:
La grazia del Signor nostro Gesù Cristo sia con tutti voi.
«Grazia» è la parola paolina per eccellenza. La si trova tanto nei saluti che rivolge alle chiese, quanto nelle benedizioni colle quali prende congedo da esse; essa è il principio e la fine del di lui Vangelo; è l'elemento nel quale i cristiani vivono, si muovono ed hanno l'esser loro... Chi guarderà dal cadere a terra quelle chiese da poco chiamate a nuova vita dall'evangelo? Chi aprirà loro gli occhi per comprender l'ideale che il cristiano deve tradurre in realtà nella sua vita? Fra mezzo ai molti nemici, ove trovare un alleato abbastanza potente e sempre presente? A tutte codeste domande Paolo rispondo collo scrivere: La grazia del nostro Signor G.C. sia con tutti voi. Sebbene egli li abbia lasciati, essi non sono però soli. L'amore misericordioso di Dio che, senza esser chiamato, si è accostato a loro, sarà con loro ancora per condurre a termine l'opera sua. Li circonderà da ogni parte, sarà per loro e solo e scudo, una guida, e una difesa. In tutte le loro tentazioni, in tutte le loro sofferenze, in tutto le loro perplessità morali, in tutti i loro scoramenti. sarà un aiuto sufficiente». (Denney).