2 Timoteo 4
Sez. C. 2Timoteo 4:1-8. ESORTAZIONE FINALE AD ADEMPIERE TUTTI I DOVERI DEL SUO MINISTERIO.

In questa sezione ch'è una specie di perorazione alle esortazioni contenute nelle due prime parti dell'Epistola, l'apostolo "riassume con eloquente brevità i doveri del discepolo erede presuntivo di un grande e bel compito" (Reuss). Vi si trovano infatti ricapitolati i doveri che Timoteo ha, come ministro del Vangelo, verso la Chiesa e verso il mondo ancora estraneo alla fede. I motivi che accompagnano questa solenne ingiunzione, anch'essi brevemente toccati, sono di tre ordini:
1. il conto che Timoteo dovrà rendere di sè al giudice supremo;
2. la necessità di fare argine ai mali che minacciano la chiesa;
3. l'imminente dipartenza di Paolo stesso.

Io ti scongiuro davanti a Dio ed a Cristo Gesù che dovrà giudicare i vivi ed i morti.
Tale il testo sfrondato di alcune aggiunte che non poggiano se non sopra codici di autorità inferiore. La forma solenne dell'esortazione è quella di 2Timoteo 2:14;1Timoteo 5:21 (cfr. Luca 16:28). Torna a dire: Ti esorto facendo appello alla invisibile presenza del Dio che ci vede tutti e due, che ci è Creatore, Salvatore e Padre, e, di Cristo Gesù. Cristo è presentato come colui che a suo tempo dovrà giudicare i vivi ed i morti, cioè tutti gli uomini e per conseguenza anche Paolo e Timoteo 2Corinzi 5:10. I vivi sono quelli che saranno trovati tali all'avvento di Cristo 1Tessalonicesi 4:15; 1Corinzi 15:51-52. I morti sono coloro che, a quell'epoca, saranno partiti dal corpo terrestre e che saranno risuscitati per comparire davanti al tribunale di Cristo. Cfr. 1Pietro 4:5; Apocalisse 20:11-15. Non si tratta qui di vivi e di morti in senso morale, ossia di giusti e d'ingiusti.
e per la sua apparizione e per il suo regno.
Il testo ordin. legge: alla sua apparizione... (κατα την...); il testo emendato è quello dei codd. alef A C D F Vulg ecc. Cfr. per costruzione analoga 1Corinzi 15:31; Giacomo 5:12. L'apostolo evoca qui due altri pensieri atti ad aggiungere solennità e peso alla sua esortazione: quello della gloriosa ed ultima apparizione di Cristo chiamata anche la sua rivelazione, la sua venuta, e che Paolo considera non come una realtà presente e costante, ma come un evento esterno, futuro, che preluderà al regno della perfezione. Il suo regno infatti è il regno celeste di Cristo 2Timoteo 4:18, cioè il regno di Dio giunto allo stato perfetto, allorchè ogni podestà avversa, anche la morte, sarà stata distrutta e Dio sarà tutto in tutti 1Corinzi 15:26-28. Nota Calvino "Quantunque Cristo regni fin d'ora in cielo e in terra, pure non abbiamo ancora la chiara manifestazione del di lui regno, anzi esso è nascosto nell'oscurità sotto alla croce, e dai nemici violentemente attaccato. Ma allora sarà veramente stabilito il suo regno quando, vinti i nemici e soppressa o ridotta all'impotenza ogni podestà avversa, la maestà di esso apparirà nel suo splendore". Vero è che in 1Corinzi 15:24 è detto che il Figlio rimetterà il regno in mano di Dio Padre; ma Egli non cesserà perciò d'aver parte col Padre al regno glorioso. Il pensiero dell'apparizione di Cristo e quello del susseguente suo regno celeste deve spingere Timoteo a condursi in modo da non essere svergognato nel gran giorno.

predica la parola, insisti in ogni circostanza favorevole o sfavorevole, riprendi, censura, esorta con ogni longanimità e dottrina.
Sotto ogni forma, in ogni tempo, e presso ogni categoria di persone deve Timoteo esercitare il ministerio evangelico e ciò nel modo migliore e più efficace. Predicare la parola per eccellenza, cioè la parola di Dio, la sua rivelazione salutare, è il dovere più comprensivo del ministro. Cfr. Marco 16:15. Il verbo reso "insisti" significa ordinariamente presentarsi, sopraggiungere, per cui alcuni traducono: "presentati... alle persone". I più l'intendono in senso traslato dell'insistere, del fare istanza che avviene anche col presentarsi spesso alle persone. Coloro presso cui si tratta d'insistere non sono indicati; ma sono in primo luogo, come risulta dal contesto, i membri della chiesa che bisogna istruire e spingere innanzi sulla via della santità; poi quelli che sono ancora estranei alla fede e che bisogna attrarre alla verità. I due avverbi tradotti dal Diodati in tempo e fuor di tempo formano una di quelle locuzioni popolari concise, talvolta paradossali, che si usano per indicare casi opposti. Eukairôs vale: nelle circostanze e nei tempi propizi, opportuni; cfr. Marco 14:11; 6:31; Ebrei 4:16. akairôs vale: in tempi e circostanze non favorevoli. L'idea è quindi che Timoteo deve adempiere al suo dovere di ambasciatore senza preoccuparsi troppo delle circostanze favorevoli o sfavorevoli. "Chi guarda al vento non semina e chi guarda alle nuvole non miete... Semina la mattina la tua semenza e la sera non lasciar posar le tue mani; perocchè tu non sai ciò che riuscirà meglio, questo o quello; o se l'uno e l'altro sarà egualmente buono Ecclesiaste 12:4,6. "Per la verità è sempre il tempo opportuno. Chi volesse aspettare che le circostanze gli paiano del tutto favorevoli, per far l'opera sua, aspetterebbe invano e resterebbe inattivo" (Huther). Siano le campagne bianche da mietere ovvero si tratti di dissodare il terreno e di seminare là dove altri mieterà più tardi, l'araldo di Cristo deve compiere il proprio dovere. Sia egli accolto come un angelo di Dio o sia riguardato come un perturbatore, sia l'Evangelo desiderato o esistano pregiudizi od indifferenza, l'Evangelo ha da essere annunziato: Nelle linee che seguono si allude ad un tempo in cui la verità non piacerà perchè condanna il peccato. Risplenda il sole della libertà di coscienza o regni l'intolleranza persecutrice, l'opinione pubblica incoraggi o scoraggi, la buona novella deve giungere alle anime. Crisostomo ha parafrasato così; "Non avere un tempo stabilito, sia sempre tempo per te. Non solo in tempo di pace, in tempo di libertà, non solo seduto nella chiesa; ma se anche sei in pericolo o in carcere, o incatenato, se anche sei per avviarti alla morte, anche in quelle circostanze insisti, ecc." "Anche le fonti, dice altrove, pur non essendovi (chi attinga l'acqua, sgorgano del continuo; anche i fiumi, pur non essendovi chi beva, seguitano a correre. Deve dunque chi parla, anche se nessuno vi pon mente, fare il proprio dovere". E Agostino: Sonet verbum Dei volentibus opportune, nolentibus importune. Va da sè che il consiglio di Paolo si deve contemperare con quello di Cristo Matteo 7:6;10:23. Riprendi l'errore o la colpa del fratello convincendo la di lui coscienza. Censura o sgrida, è riprensione più energica e severa atta a scuotere le coscienze assopite. Esorta al bene chi ha bisogno d'essere guidato, spinto, incoraggiato. Secondo le occasioni, tutto ciò si dovrà fare in privato od in pubblico, ma sempre colle disposizioni e nel modo prescritto dalle parole che seguono: Con ogni longanimità e dottrina. Ciò implica che non si dovrà lasciar vincere dall'ira, dal risentimento, dall'amarezza, ma armarsi di pazienza, d'umiltà, ricordando le proprie colpe e la propria durezza di cuore Tito 3:2-5, la bontà longanime di Dio, e non dimenticando che i frutti del seme divino maturano lentamente. Non basta poi che la riprensione o l'esortazione sia fatta, e fatta da chi ha l'autorità di farla; bisogna ancora ch'essa convinca e persuada il fratello con buone ragioni, basate sulla verità, e rivolte alla mente, al cuore ed alla coscienza. Per questo aggiunge con ogni dottrina. Paolo stesso ha lasciato nelle sue Epistole degli splendidi modelli del modo di procedere qui consigliato. Così quando si tratta di mettere i Calati in guardia contro gli errori giudaizzanti; così quando si tratta di correggere lo spirito di parte dei Corinti, o gli abusi nella S. Cena, o l'abuso della libertà cristiana, ovvero di confutare l'errore concernente la risurrezione dei corpi. C'è in quei capitoli longanimità, abbondanza e profondità di dottrina.

Verrà tempo, infatti, che non sopporteranno la sana dottrina.
Unito al pensiero di Dio e della apparizione gloriosa di Cristo, abbiamo qui un secondo motivo, per Timoteo, di attender con zelo al proprio ministerio. Egli è in grado ancora di prevenire in qualche misura l'invasione dell'errore. Egli può esercitare sulla chiesa d'Efeso e su altre una influenza salutare, pascendola della verità e spingendola sulla via della santità. Si affretti a farlo mettendo a profitto l'occasione relativamente favorevole che gli si offre, poichè più tardi sarà sempre più difficile. Gli uomini, in seno alla cristianità, non sopporteranno da sana dottrina, non la tollereranno, non la vorranno più sentire, perchè condannerà le loro passioni.
Ma presi da prurito agli orecchi
o all'udito,
si accumuleranno dei dottori secondo le loro proprie voglie.
Non volendo piegare le loro cupidigie alla verità, essi cercheranno di far piegar l'insegnamento religioso ai loro desiderii, rinnovando la grande esperienza del paganesimo che, allontanandosi dalla primitiva conoscenza del vero Dio, avea finito col crearsi tante divinità quante sono le passioni o gl'interessi del cuore umano. Così si giungerà a paganizzare il cristianesimo... il che difatti è avvenuto in gran parte. Il verbo κνηθω, solleticare, vale al passivo provare un prurito, un pizzicore, esserne affetto. Quel che produrrà in quei cristiani di nome il prurito all'udito, sarà il desiderio irrequieto, irresistibile, di udire chi li appaghi, di trovare dei dottori il cui insegnamento possa accordarsi colle loro passioni, per modo che serbino le forme della pietà pur rinnegandone la potenza santificante cfr. 2Timoteo 4:7. L'espressione si accumuleranno... indica ch'essi andranno in cerca di questi dottori e se ne procureranno una quantità, lett. un cumulo, così da soddisfare tutti i gusti. L'A.T. offre molti esempi di un tal modo di agire. Mentre i veri profeti sono rari, spesso mal veduti e perseguitati, i falsi profeti che assecondano i desiderii e le passioni del popolo, pullulano e sono bene accolti dalle masse. Così ai tempi di Acab, di Giosafat, di Ezechiele e Geremia Ezechiele 33:30-33; 13; Geremia 23:9-40.

E mentre rivolgeranno gli orecchi dalla verità, si volgeranno alle favole
o miti di cui è parola spesso nella 1Timoteo e nell'Epistola a Tito. C'è un'ombra di tristezza in questo contrasto: la verità non la vogliono sentire, ma trovano piacere nelle favole, in quel ch'è futile, vacuo, falso. La storia illustra questa legge morale che chi ricusa la verità, è poi ridotto a pascersi di favole. Il figlio che abbandona la mensa del padre, si contenta poi delle silique quando ne ha.

Ma tu vigila in ogni cosa.
Propriamente il verbo νηφειν che rendiamo vigilare significa mantenersi in quello stato di mente sveglia, lucida, vigilante, attiva, chè proprio di chi non è ebbro. Torna a dire: Stai all'erta. Non lasciarti offuscar la mente nè intorpidire il cuore da errori, da passioni, da timori, nè da suggestioni dei molti o dei pochi. Tienti pronto e disposto ad approfittare d'ogni opportunità, a percepire la condotta da tenere in ogni emergenza, a discernere i segni dei tempi per essere all'altezza di essi.
soffri afflizioni
cfr. 2Timoteo 1:8; 2:3,9.
fa l'opera di evangelista,
L'ufficio è mentovato accanto a quello di pastore e di dottore in Efesini 4:11. In Atti 21:8 Filippo è chiamato "l'evangelista". In senso largo abbraccia tutta l'opera di chi è chiamato a proclamare e spargere l'Evangelo. "Cristo, dice Paolo, mi ha mandato per evangelizzare". È opera che esige fedeltà alla verità, zelo che non indietreggi dinanzi alle fatiche, alle privazioni, ai patimenti, ed amore alle anime.
compi appieno il tuo ministerio
lett. il tuo servizio. Il verbo contiene l'immagine di un recipiente da riempire fino all'orlo. Timoteo deve adempire a tutti gli svariati doveri del suo ministerio senza lasciare lacuna di sorta nel suo servizio. La parola riassume tutte le precedenti esortazioni ed è perciò riservata per la fine. Il senso dato da Beza e seguito da Diodati: "fa appieno fede del tuo..." o "comprova con validi argomenti" il tuo..., non risponde al significato usuale del verbo, nè alle esigenze del contesto poichè nessuno revocava in dubbio il ministerio ricevuto da Timoteo. Ma quell'ufficio diventava sempre più serio e difficile e si trattava di compierlo fedelmente.

Perchè quant'è a me, sto per essere sparso come libazione ed il momento della mia partenza è giunto.
Il verbo σπενδω (libare) significa fare una libazione, un'offerta da spandere. Al passivo: essere sparso quale libazione. L'immagine è adoperata da Paolo Filippesi 2:17. "Che se anche sono sparso qual libazione sul sacrificio e sul servizio della fede vostra io me ne rallegro". La libazione od offerta da spandere consisteva in vino versato intorno o sopra al sacrificio Numeri 15:5; 28:7. Paolo paragona la sua morte alla libazione perchè il suo sangue sarà sparso come il vino della libazione. La sua carcerazione, l'andamento del suo processo, gli appaiono come il preludio del martirio, come i preparativi della libazione. Donde l'espressione dell'originale: già sono sparso... Il momento (greco καιρος) vale il tempo da Dio fissato come opportuno. Il termine análusis, partenza, tradotto dal Diodati "tornata a casa" probabilmente perchè in Luca 12:36 il verbo indica il ritorno del padrone dalle nozze, significa di solito la partenza cfr. Filippesi 1:23. Etimologicamente vale: resolutio, scioglimento, perchè deriva dal sciogliere che si fa la cavalcatura, la tenda, gli ormeggi d'una nave quando si parte. Qui si tratta della dipartita da questa vita terrena per andare con Cristo nella casa del Padre; si tratta del lasciar gli ormeggi che tengono Paolo legato alla terra per far vela verso il porto della beata eternità. Il momento è giunto o, come si può tradurre, è imminente; Paolo lo constata con calma serena come chi ha più caro di partire per esser col Signore. "Giunto a questo punto estremo, nota Oosterzee, l'apostolo guarda ancora una volta indietro sulla sua carriera e poi volge innanzi il suo sguardo".

Ho gareggiato nella buona gara, ho finita la corsa, ho serbata la fede.
Le versioni variano alquanto perchè non è facile rendere l'immagine dell'originale nella sua grafica concisione. La Vulg. vi è riuscita: Bonum certamen certavi. La diodatina: "Ho combattuto il buon combattimento", evoca facilmente un'idea guerresca estranea al testo. Martini ha: Ho combattuto nel buon arringo. L'immagine dell'agone (αγων) è generale, e presenta la carriera dell'apostolo come una gara, una lotta, simile a quelle che sostenevano gli atleti nei giuochi pubblici del pugilato, della corsa, della lotta 1Corinzi 9:24-27. La vita di Paolo è stata quella dell'atleta; soltanto, mentre l'atleta si sottoponeva a severa disciplina, a fatiche ed a sforzi straordinari per ottenere una corona che appassiva, come ogni gloria umana, Paolo ha sostenuto la gara, ha faticato, ha sofferto, ma ha lottato per la causa più nobile ed importante che esista, quella della verità, quella del regno di Dio, della salvazione degli uomini. Cfr. 1Timoteo 6:12. Ha lottato in vista di una corona imperitura. Sente perciò che ha sostenuto la buona gara e che la sua vita non è stata perduta. Specializzando l'immagine generale della gara in quella della corsa, egli esprime la certezza d'aver raggiunto il termine a lui prefisso: "ho terminata la corsa". Gli era stato assegnato un arringo da percorrere, una missione gli era stata affidata ed egli l'ha adempiuta con perseverante devozione pubblicando l'Evangelo di Dio fra le genti. Ora è arrivato al termine ed il palio è vicino. Per analoga immagine cfr. 1Corinzi 9:25; Atti 20:24; Filippesi 3:12; Ebrei 12:2. L'ultima proposizione: ho serbata la fede non vuol dir già "Ho osservato onestamente le leggi delle gare"; e neppure: "Ho custodita la verità evangelica oggetto della fede". Si darebbe così alla parola fede un significato obiettivo che non riveste ancora nelle lettere paoline. Ivi essa non perde mai del tutto il senso di fiducia in Cristo, di adesione profonda alla verità salutare del Vangelo. Malgrado tutti gli assalti, vuol dire l'apostolo, nonostante tutto ciò che avrebbe potuto spegnerla, ho custodita in me, ho conservato con fedeltà tenace, senza lasciarla corrompere, senza lasciarle perdere la sua efficacia rinnovatrice, la fede nell'Evangelo, la fede degli eletti, che ha per oggetto il Cristo profeta, sacerdote e re, che ha per sede il cuore, per compagna la buona coscienza, per frutto la pace con Dio, la vita nuova in Cristo, per fine la gloria eterna. Mentre tanti altri hanno fatto naufragio in quanto alla fede, per grazia di Dio l'ho conservata salda fino alla fine. Per un significato analogo del verbo conservare cfr. Efesini 4:3 "serbando l'unità dello spirito" e Apocalisse 14:12. Con quest'ultimo tratto Paolo caratterizza lo spirito di dipendenza da Dio, di comunione con Cristo, di fedeltà all'Evangelo, col quale ha lottato durante la sua carriera, conservando fino alla fine nel cuore, nella mente e nella coscienza il "principio della sua sussistenza", la linfa spirituale ch'è stata l'anima della sua vita. Si è trovato contrario allo spirito di umiltà manifestato altrove da Paolo, il sentimento di soddisfazione profonda, quasi di trionfo, col quale egli considera la sua carriera. Crisostomo stesso dice che ne fu per lungo tempo perplesso. Ma il sentimento dell'umiltà non è certo estraneo alle epistole pastorali. Cfr. 1Timoteo 1:12-17; 2Timoteo 1:9; 4:18. La dipendenza costante dalla grazia di. Dio, in cui Paolo era vissuto ed aveva lavorato, Timoteo la conosceva bene. Ma mentre a Dio spetta la gloria, l'apostolo non può non provare una profonda soddisfazione per il modo in cui ha potuto compiere la sua carriera. C'è in questo sguardo retrospettivo come un invito a Timoteo a correre anche lui nell'arringo in modo da poter giungere al termine con una coscienza così tranquilla e una speranza così certa.
Un'attività spesa per la migliore delle cause, una missione divina compiuta appieno, il tesoro più prezioso all'anima conservato, tale appare a Paolo la carriera ch'egli sta per finire.

Del rimanente mi è riservata la corona della giustizia della quale mi farà in quel giorno retribuzione il Signore, il giusto giudice;
Come alla fine della corsa l'atleta vincitore riceveva la corona preparata per lui, così Paolo che sa di aver lottato fedelmente, ha la certezza che non gli mancherà la corona delle celesti retribuzioni. Verso quella oramai volge lo sguardo, poichè l'attività sua è presso al termine. Non invano ha sostenuta la buona gara, non invano ha corso poichè gli è riservata, ossia riposta e tenuta in serbo da Dio per lui, quindi assicurata, la corona della giustizia. Cotesta espressione non può intendersi della giustizia di Cristo imputata al peccatore. Potrebbe significare la corona che consiste nella giustizia, nella perfezione morale dello stato celeste. Quelli che han fame e sete di giustizia saranno saziati nel mondo rinnovato ove abiterà la giustizia. In senso analogo si parla della "corona della gloria" Giacomo 1:12; 1Pietro 5:4. Però nel N.T. la giustizia non è presentata come una retribuzione gloriosa. Meglio dunque intendere: la corona che appartiene, che spetta alla giustizia, cioè ad una vita cristiana spesa nella pratica della giustizia, nel camminare in quelle opere che Dio ha preparate per noi. Per giustizia in senso morale cfr. 2Timoteo 2:22; 3:16. Certo che le opere della giustizia non possono esser compiute dall'uomo naturale. "Fuori di me, dice Cristo, non potete far nulla"; le uve non si colgono sui pruni e l'albero dev'esser fatto buono per produrre buoni frutti. Ma chi è, e dimora in Cristo, può portar frutto ed una vita come quella di Paolo, per quanto non perfetta, è vita di giustizia. Giustificati per grazia, mediante la fede, saremo giudicati secondo le opere che sono i frutti della fede e Dio si compiace, di ricompensare con una corona di gloria quelle opere buone di cui la sua grazia ha reso capace il credente 2Tessalonicesi 1:6; Galati 6.9; 1Corinzi 15.58; Ebrei 6:10; Apocalisse 20:13. Fondato su tali promesse Paolo può dire che il Signore Gesù, il giusto giudice gli farà retribuzione della corona dovuta alla giustizia in quel giorno vale a dire nel giorno della sua apparizione 2Timoteo 1:12,18; 2Tessalonicesi 1:10. Il mondo lo può incarcerare come malfattore, la giustizia umana lo potrà sentenziare a morte, ma il giusto giudice gli darà, la corona. "Dio è giusto anche quando benefica per la sua gratuità" (Calv.).
A mostrare che la sua situazione di fronte al giudicio ed alle speranze gloriose non ha nulla di eccezionale, ma è quella di tutti i cristiani fedeli, l'apostolo aggiunge:
e non solo a me, ma ancora a tutti quelli che avranno amata la sua apparizione.
Amar l'apparizione di Cristo implica non solo credere in lui, ma amarlo ora ch'è invisibile, servirlo coll'intento di affrettar l'avvento di quello stato perfetto che la sua venuta inaugurerà. I malvagi saranno sgomentati dall'apparizione di Cristo; i pii l'aspettano per rendere compiuta la loro salvazione Ebrei 9:28.

AMMAESTRAMENTI
1. Coloro che vivono senza Dio e senza speranza non fanno appello che a motivi d'ordine terreno quando si tratta di spinger sè stessi o gli altri all'azione. Essi non comprendono che si possa fare appello a motivi di natura spirituale e ultramondana. Ma la fede rende visibili le cose invisibili e presenti le cose future. Per Paolo, Dio creatore e padre è la suprema realtà; l'apparizione, il giudicio, il regno glorioso di Cristo è la suprema speranza. E come egli opera mosso da un senso profondo della propria responsabilità verso Dio, dalla brama di aver parte alla beatitudine del regno celeste di Cristo e di farlo progredire fra gli uomini, così egli scongiura Timoteo di tener presente la propria responsabilità e di ispirarsi nella sua attività alle grandi speranze cristiane. Chi scalza la fede nei fatti fondamentali della nostra dipendenza da Dio, della nostra responsabilità morale, della redenzione e del regno glorioso di Cristo, taglia i nervi allo zelo ed alla devozione del cristiano ed in ispecie del ministro di Cristo. Nei tempi dei maggiori pericoli e dei sacrifizii più eroici, sono le grandi realtà del mondo invisibile che temprano fortemente le anime, che le confortano, che le rendono trionfanti.
2. Di operai che "compiano appieno i doveri del loro ministerio", di uomini che facciano "l'opera dell'evangelista" la Chiesa ha urgente bisogno in tutti i tempi, e tanto più oggi che il mondo intero è aperto alla predicazione del Vangelo e che tanta parte della cristianità ha da essere ricondotta alla verità ed alla vita cristiana.
a) Il dovere centrale del ministro, specie dell'Evangelizzatore, è quello di "predicare la Parola", poichè se Cristo non è annunziato non può neanche nascere la fede.
b) La vita essendo breve, le opportunità fuggevoli, i giorni spesso malvagi, i migliori operai perseguitati, o mietuti dalla morte, e gli uomini poco disposti a udire, si tratta di afferrare con sapiente e vigilante premura le occasioni favorevoli di seminar la buona semenza in pubblico ed in, privato, senza trascurare di annunziar la verità quando le circostanze siano meno propizie e l'opera più ardua. Trattandosi dei supremi interessi dell'anima, è dovere di carità l'insistere, onde "costringere ad entrare" chi è indeciso ed esitante.
c) Lo stato morale delle persone cui la Parola è rivolta essendo molto diverso, l'applicarla con discernimento ai bisogni dei singoli individui è parte del compito del ministro il quale, come deve recare la parola di consolazione a coloro che piangono sui lor peccati, o sono altrimenti afflitti, deve riprendere coraggiosamente chi è traviato, esortare chi ha bisogno d'essere guidato e spinto innanzi sulla via della santità.
d) Le disposizioni in cui deve compiere l'opera sua svariata sono la longanimità ch'è paziente verso gl'ignoranti, i tentati, e i deboli, la fede nella potenza della verità sulla coscienza, per cui farà assegnamento sulle buone ragioni dedotte dalla verità, sulla "dottrina" più che sull'autorità propria; infine l'amore devoto che accetta anche le sofferenze inevitabili e le amarezze connesse col ministerio evangelico.
3. La preferenza che diamo ad un ministro anzichè ad un altro, ad un libro, ad un giornale anzichè ad un altro, ad una dottrina anzichè ad un'altra, ad un sistema di dottrine religiose o filosofiche anzichè ad un altro, non ha soltanto delle cause di natura intellettuale; anzi, le cause vere e profonde di queste preferenze sono per lo più di natura morale. Gli uomini propendono per i sistemi che solleticano le loro voglie, che non condannano i loro vizii e le loro passioni, e si tengon lontani dalla verità che strappa i veli ipocriti ed illusorii, che denunzia il peccato, che esige santità. La medicina amara o caustica che guarisce non è ricercata, le si antepone quella che piace e lascia incancrenir le piaghe. Non è forse questa la ragione ultima per cui gli uomini non sopportano la sana dottrina apostolica e preferiscono un cristianesimo di riti esterni e di favole superstiziose, ovvero un cristianesimo annacquato che non prostri l'orgoglio umano colle dottrine della Croce, ovvero ancora un freddo razionalismo od un brutale materialismo? Quante volte l'antipatia di un uomo per il cristianesimo genuino, o la sua apostasia da esso, non ha trovato la sua vera spiegazione se non quando si è conosciuta la vita intima di lui!
4. Considerata esternamente, la situazione di Paolo è quella d'un vinto. Egli è incarcerato, prossimo al martirio, abbandonato dai suoi. Eppure quale grandezza morale in quel prigione, quale canto di vittoria in quel vinto, quale gloria di speranza in quel derelitto! E come appare invidiabile - malgrado le catene - la sorte di quell'uomo, sia che si guardi al modo in cui ha speso la vita, al modo in cui considera la morte, od al modo in cui riguarda l'al di là.
La sua vita passata egli l'ha spesa lottando per la più nobile e santa delle cause, quella della verità religiosa e morale, quella della gloria di Dio e del bene supremo degli uomini. Il corso che Dio gli ha assegnato, l'ha compiuto. La fede l'ha serbata salda nel cuore e la verità che n'è l'oggetto l'ha propagata e difesa. Non si gloria d'aver spesa bene la vita, perchè lo deve alla grazia di Dio; ma ne prova un'intima e riconoscente soddisfazione. Chiunque in un modo o nell'altro, spende tempo, denaro, fatica pel progresso del regno di Dio nel mondo, non ha da rimpiangerlo sul letto di morte. Il rimpianto amaro è per chi spende la vita in modo inutile o nocivo a sè stesso ed agli altri.
La sua morte la vede venire con calma serena, per quanto la sappia ingiusta per parte delle autorità e violenta nel modo. Ma essa gli appare come una libazione sparsa sul sacrificio che dell'intera sua vita egli ha fatto al suo Dio. Egli è contento di poterlo glorificare nella morte come nella vita, poichè, come l'ha scritto, "sia che viviamo sia che moriamo noi siamo del Signore" Filippesi 1:20; Romani 14:8. Essa gli appare non come la fine dell'esistenza, l'annientamento della sua personalità, od un entrar nelle tenebre, ma come una partenza dal mondo per andar col Signore, una tornata alla casa del Padre. Considerar così la morte è non solo un essere liberato dalla paura di essa, ma è un mostrare che, per il credente, Cristo ha "abolita la morte".
Nell'al di là egli aspetta con piena certezza la visione del Signore, la vita con Lui, il gran giorno del trionfo di Cristo dietro al quale sospira il suo cuore, la corona della giustizia per lui e per tutti quei che son di Cristo. Egli sa che Colui che ha creato nel suo cuore cotali aspirazioni è fedele e potente da rispondervi al di là di quel che sappiamo pensare.

PARTE TERZA

CHIAMATA DI TIMOTEO A ROMA CON NOTIZIE PERSONALI E SALUTI


2Timoteo 4:9-22.

Non è possibile stabilire, in quest'ultima parte della lettera, una divisione logica poichè si tratta di notizie staccate che nelle maggiori epistole formano di solito la chiusa. Stante la brevità di questo scritto, l'invito pressante a venire a Roma, giustificato com'è dalle notizie relative allo stato di Paolo, assume qui una importanza speciale poichè è uno degli scopi. che l'apostolo si è proposti nella lettera.
Mentre i dati personali contenuti in quest'ultima pagina costituiscono una delle maggiori prove dell'autenticità dell'epistola, tantochè anche coloro che non ritengono genuina la parte centrale, considerano l'ultima parte come autentica, l'esegesi è ridotta, molte volte a far delle semplici congetture sulle circostanze qui accennate. Molte fra le diciassette persone mentovate in questi versetti ci sono note da altri documenti, ma della situazione in cui ora si trovano non possiamo dar ragione; parecchie ci sono affatto ignote.
Paolo si mostra persuaso della sua prossima condanna a morte; ma conoscendo per esperienza la lentezza dei tribunali romani, non ritiene impossibile che Timoteo lo possa venire a trovare prima dell'inverno; prende precauzioni per la stagione fredda, si preoccupa di aiuti per l'opera, di libri ecc. La sua attività ha da durar quanto la sua vita ed il suo Signore lo deve trovare occupato nell'opera che gli fu affidata.

Studiati di venir tosto a trovarmi.
Paolo ha più d'un motivo per sollecitare la visita di Timoteo, per fargli premura. Il suo processo potrebbe essere affrettato e Timoteo arrivar troppo tardi; la stagione è avanzata e se Timoteo tarda fino a Novembre, la navigazione diventando pericolosa, egli troverebbe molto più difficilmente l'opportunità di fare il viaggio; poi l'apostolo ha bisogno di riveder presto il suo discepolo prediletto, il suo cuore ha bisogno del refrigerio della comunione fraterna e dell'amicizia, in un'ora in cui si trova quasi solo.

10 Dema infatti mi ha abbandonato avendo amato il presente secolo e se n'è andato a Tessalonica; Crescente in Galazia, Tito in Dalmazia.
Dema è mentovato in Colossesi 4:14 e manda saluti ai Colossesi. In Filemone 24 figura insieme con Marco, Aristarco e Luca come collaboratore di Paolo e pare essere stato con lui a Roma anche al principio della seconda prigionia; ma poi il timore del pericolo cui era esposto restando con Paolo, il desiderio di menar una vita più tranquilla, di maggiori conforti ed agii, l'hanno indotto a lasciar Paolo. Non dice che avesse rinnegato il Vangelo, ma pare aver indietreggiato davanti ai patimenti in vista. Ciò basta a spiegare la parola amara di Paolo: "ha amato il presente secolo". Si confr. il caso di Marco in Panfilia Atti 13:13. Non sappiamo se Tessalonica fosse la patria di Dema. Di Crescente non conosciamo altro. Tischendorf legge qui invece di Galazia, Gallia, coi codd. alef C. Ma oltrechè la rassomiglianza tra l'A e l'L greco basta a spiegare la variante, essa non è abbastanza appoggiata dai documenti antichi. Crescente e Tito erano partiti per l'opera del Vangelo. La provincia di Dalmazia faceva parte dell'Illirico nominato Romani 15:19 come toccato già da Paolo nei suoi lavori apostolici. Si estendeva tra i monti Bebii e il fiume Drina ad Est, con Salona e Narona per città principali. La Dalmazia propria stava tra il fiume Titius e il mar di Scodra (Scutari). Non è mentovata altrove nel N.T.

11 Luca è solo meco; prendi Marco e menalo teco perchè egli mi è molto utile per il ministerio.
Luca e Marco son mentovati in Colossesi e Filemone. Marco era allora aspettato in Colosse Colossesi 4:10. Dal tempo del primo viaggio missionario egli era divenuto più coraggioso e perseverante, e Paolo apprezzava ora i suoi servizii. Si tratta d'altronde qui del servizio o ministerio del Vangelo, non di servizi personali. Marco dovea trovarsi allora in Efeso o nelle vicinanze. Grotius riferendosi alla tradizione antica che fa di Marco l'interprete di Pietro, supponeva che la conoscenza del latino fosse uno dei motivi per cui Marco era utile a Paolo.

12 Quanto a Tichico l'ho mandato in Efeso
probabilmente per sostituire Timoteo quando verrebbe a Roma. Già una volta Tichico era stato mandato da Roma a Efeso e Colosse Colossesi 4:7-9; Efesini 6:21-22, raccomandato da un elogio di Paolo. Non risulta in modo certo che si trovasse a Roma e non fu lui il portatore della lettera a Timoteo.

13 Venendo, porta il mantello che lasciai in Troas presso Carpo, ed i libri, soprattutto le pergamene.
Il greco felones (mantello) si considera come trascrizione un po' modificata del latino paenula ch'era un mantello da viaggio. Paolo l'avea depositato con altra roba da un amico di Troas, per non caricarsi di bagaglio inutile nell'estate; ma all'avvicinarsi del freddo egli ne sentiva il bisogno. I libri che sono distinti dalle pergamene, più preziose e durature, erano scritti vergati su fogli o rotoli di papiro. Quali fossero quei libri e quelle pergamene ed a che fine Paolo li reclamasse, non si può dire. Chi suppone si trattasse di porzioni dell'A.T. che Paolo voleva leggere, e chi crede si trattasse di documenti per la sua difesa. Un falsario avrebbe egli immaginate simili commissioni? Va notato che nel corso del viaggio da Cesarea a Roma, narrato nella fine dei Fatti, Paolo non avea toccato nè Troas, nè Mileto e Corinto mentovate più sotto 2Timoteo 4:20. Supporre come fanno i sostenitori di un'unica cattività romana di Paolo ch'egli reclami ora, nel 63 o 64, un mantello e dei libri lasciati a Troas nella primavera del 59 Atti 20:6 è cosa inammissibile.

14 Alessandro il fabbro mi ha fatto del male assai; il Signore gli renderà secondo le sue opere.
È mentovato in Atti 19:33 un Alessandro giudeo che, nel tumulto efesino, spinto dai suoi correligionarii, voleva parlare a difesa, e s'intende dei Giudei, versando sui cristiani la colpa della diminuita idolatria del popolo. N'è mentovato 1Timoteo 1:20 un altro che Paolo ha dato con Imeneo in man di Satana. Quale dei due fosse il fabbro di rame o di ferro non sappiamo, ed ignoriamo del pari il modo ed il luogo in cui ha potuto fare molto male a Paolo. Fu egli in Asia, prima dell'incarceramento di Paolo, o a Roma nel corso del processo? Quel che ne dice a 2Timoteo 4:15 ed il fatto che a 2Timoteo 4:16 prosegue parlando della sua prima difesa sembrano indicare che Alessandro era stato a Roma e si era fatto il maligno ed accanito accusatore dell'apostolo.

15 Ora era ritornato in Efeso ove si accingeva a far del male al successore di Paolo. Donde il consiglio:
Da esso anche tu guardati, perchè egli ha fatto grande opposizione alle nostre parole.
Si tratta probabilmente delle parole della difesa di Paolo. La malvagità di quell'uomo, le sue calunnie avevano peggiorato la situazione di Paolo. Altri intende della predicazione evangelica. Paolo che non spera più nella conversione di un tale oppositore della verità conosciuta, non lo maledice, ma lo rimette nelle mani del giusto giudice il quale gli farà la retribuzione dovuta alle sue opere. Si tratta infatti di una predizione non di una imprecazione dovuta, come dice Reuss, "alla debolezza umana e che non abbiamo il dovere di difendere". Due soli codici (KL) leggono: "Il Signore gli renda..." tutti gli altri colle versioni ed i Padri leggono gli renderà.

16 Nella mia prima difesa nessuno mi ha assistito; ma tatti mi hanno abbandonato. Ciò non sia loro imputato.
Mentre i nemici come Alessandro si erano strenuamente adoperati contro a Paolo, coloro da cui poteva sperare qualche assistenza dinanzi al tribunale romano, non si erano presentati per timore del pericolo grave cui si esponevano, specie dopo la persecuzione neroniana del 64 che deve aver ridotta di numero, dispersa e terrorizzata la prospera chiesa di Roma. La prima difesa (cfr. per l'uso della parola apologia Filippesi 1:7; Atti 22:1; 25:16) non può essere la comparizione davanti a Cesare durante la prima prigionia romana Atti 28. L'andamento di quel primo processo Timoteo ben lo conosceva poichè si trovava allora in Roma Filippesi 1:1. Si tratta manifestamente di cosa più recente, cioè della prima comparizione davanti al tribunale dopo il suo ultimo arresto. Questa comparsa era terminata con un rinvio del processo per dare agio ai giudici di assumere più ampie informazioni e forse all'accusato di completare la sua difesa. In questo intervallo che poteva essere più o meno lungo, Paolo chiama a sè Timoteo dicendogli in breve a che punto stanno le cose. Niuno mi ha assistito, s'intende: Niuno dei fratelli presenti in Roma. Era l'uso che gli amici d'un accusato si presentassero con lui, quasi a mostrare che non si vergognavano di lui e ne dividevano moralmente la responsabilità. Si chiamavano advocati non perchè facessero le funzioni del moderno avvocato difensore che Cicerone chiama il patronus; ma assistevano l'accusato se non col loro consiglio e colla lor parola, almeno colla lor presenza e colla loro simpatia. Neanche nella prima cattività i cristiani si erano mostrati molto coraggiosi Filippesi 1:14; ma questa volta, tutti l'avevano abbandonato alla sua sorte e l'apostolo che ben comprende il movente di una simile condotta, ricordando forse la impressione che aveano dovuto lasciar negli animi dei cristiani i supplizi orrendi del 64, pronunzia una parola buona di perdono su quest'atto di debolezza: Ciò non sia loro portato in conto come colpa, dal Signore.

17 Ma il Signore mi ha assistito e mi ha ripieno di forza affinchè per mio mezzo la predicazione fosse compiuta interamente e l'udissero tutte le genti; e sono stato liberato dalla gola del leone.
Quel che gli uomini non avevano fatto, la carità e la fedeltà del Signor Gesù l'ha, fatto per il suo servo. Se gli uomini sono infedeli Egli rimane fedele. Il Signore si è tenuto accanto a Paolo come advocatus fedele ed amico e lo ha confortato del suo consiglio e della sua simpatia. Secondo, la sua promessa, nell'ora del bisogno lo ha assistito col suo Spirito, gli ha riempito il cuore di forza spirituale, talchè senza timore, come già a Cesarea anni prima, egli ha potuto render testimonianza al Vangelo davanti ai giudici ed al popolo di Roma. Così la predicazione del Vangelo ch'egli era incaricato di recare davanti alle genti ha potuto essere interamente compiuta, poichè è stata fatta udire, anche davanti alle autorità, nella capitale stessa del mondo pagano. Diodati ha tradotto: "appieno accertata" che quadra meno bene col contesto. In linguaggio iperbolico Paolo può dire, dopo aver fatto tanti viaggi missionari in contrade così diverse e dopo aver fatto udire l'Evangelo davanti ai rappresentanti più elevati del mondo pagano, che tutte le genti hanno udito il messaggio divino. L'essere stato liberato dalla gota del leone è un'espressione figurata, poichè come cittadino romano Paolo non poteva esser condannato ad bestias. Gli antichi hanno veduto nel leone dalle fauci aperte, Nerone, ferinamente crudele. Altri Satana che gira intorno ai cristiani come leon ruggente cercando di divorarli col farli cader nel peccato e nell'apostasia. Meglio vedervi semplicemente l'imminente pericolo di morte in cui si è trovato l'apostolo quando è stato a un pelo d'esser condannato. Cfr. la preghiera Salmi 22:21. La gola del leone era già aperta per divorarlo. Ma dietro la sua difesa, l'actio prima era terminata con un'ordinanza di non liquet; era quindi necessaria un'actio seconda e un aggiornamento del processo con una istruttoria più completa (ampliatio). Si è detto: Come mai Paolo che non teme la morte poteva egli adoperare un'immagine come questa? Paolo non teme la morte per sè; ma non ignora che la sua vita è utile alla causa del vangelo e che perciò appunto è insidiata in tutti i modi dai nemici del regno di Dio.

18 Il Signore mi libererà da ogni malvagia opera e mi salverà nel regno suo celeste. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
L'e del testo ord. non è autentico, e la frase è anche più efficace così. Il Signore che lo ha liberato da un imminente pericolo di morte prolungando ancora per poco la sua vita, gli concederà fino alla fine una grazia che gli è più preziosa di ogni altra lo libererà da ogni mala opera. Alcuni intendono: mi libererà da tutto il male che mi volessero fare ancora i miei nemici, da tutte le lor malvagie trame. Tuttavia, Paolo non nasconde ch'egli aspetta il martirio, cioè il trionfo esterno dei nemici. Ma di una cosa piuttosto è fiducioso: che il Signore lo preserverà da ogni parola e da ogni atto che non fosse conforme al dover suo di campione della causa di Cristo, per modo che egli sarà dato di glorificare Cristo fino alla fine, così nella vita come nella morte (Cfr. Filippesi 1:20-21). Quando la spada del littore romano gli troncherà il capo, il corpo cadrà, ma il Signore salverà lo spirito redento nel suo regno celeste. Con questa ultima espressione designa lo stato perfetto che sarà stabilito soltanto alla venuta di Cristo, ma di cui gli spiriti dei giusti pregustano la beatitudine nella comunione immediata in cui stanno col Signor Gesù. A lui ch'è Salvatore fedele ed onnipotente Custode dei credenti, Paolo tributa ogni gloria per l'eternità.

19 Seguono pochi saluti che Paolo manda per mezzo di Timoteo, poi ancora qualche notizia circa due compagni d'opera e infine dei saluti che a Timoteo mandano dei cristiani di Roma.
Saluta Prisca ed Aquila e la famiglia d'Onesiforo.
Prisca la moglie d'Aquila è nominata la prima perchè distinta per il suo zelo evangelistico. Erano Giudei oriundi del Ponto; Paolo li avea conosciuti in Corinto quando l'editto di Claudio del 52 li avea cacciati da Roma. Si unì a loro perchè lavoravano dell'arte sua, li condusse alla fede e lo seguirono in Efeso ove sono nel 58 1Corinzi 16:19. Nel 59 sono nuovamente in Roma Romani 16:3 ed ora li vediamo in Efeso, veri missionari laici, "compagni d'opera in Cristo Gesù" dell'apostolo delle genti. Sulla famiglia di Onosiforo, morto od assente da Efeso, vedi 2Timoteo 1:16-18.

20 Erasto è rimasto in Corinto e Trofimo l'ho lasciato infermo a Mileto.
Anche questi evangelisti Timoteo potea supporre che fossero in Roma. Paolo dice ove sono, onde persuadere il suo amico della necessità di venir presto. Erasto è nominato Atti 19:22 come uno di quelli che in Efeso aiutavano Paolo e fu mandato con Timoteo in Macedonia. Era quindi ben noto a Timoteo. È mentovato in Romani 16:23 un altro Erasto ch'era tesoriere della città di Corinto. Trofimo è mentovato Atti 20:4; 21:29 come compagno di Paolo nell'ultimo suo viaggio a Gerusalemme ed allora Timoteo era con lui; quindi l'informazione qui data non può riferirsi a quel viaggio. Nella traversata da Cesarea alla volta dell'Italia Paolo non toccò Mileto; per cui deve trattarsi qui d'un evento posteriore a quelli che ci son noti dal libro dei Fatti. Coloro che non ammettono una seconda cattività cercano di girare la difficoltà adottando una traduzione se non impossibile, certo sommamente forzata: "hanno lasciato". Chi ha lasciato? Non si è parlato di soggetto plurale nei versetti precedenti e a 2Timoteo 4:13. Paolo adopera la stessa forma parlando del suo mantello lasciato in Troas. L'alterazione del testo che consiste nel trasformare Mileto in Malta (Knoke, Bahnsen) è un espediente ancora più disperato.

21 Studiati di venire prima dell'inverno.
Col Novembre cessava la navigazione di lungo corso e il rinviare alla primavera era un rendere molto problematico il desiderato incontro. Ignoriamo se Timoteo sia potuto arrivare prima del martirio avvenuto in ogni caso sotto Nerone, il quale regnò fino al Giugno del 68. Lo si vuol porre nel 67.
Ti salutano Eubulo e Pudenzio e Lino e Claudia e tutti i fratelli.
Timoteo era stato in Roma ed era perciò conosciuto dai fratelli sopravvissuti alla tempesta del 64. Cfr. Colossesi 1:1; Filemone 1; Filippesi 1:1; 2:19. Dei cristiani qui nominati e particolarmente legati a Timoteo non sappiamo nulla. Sopra Pudenzio e Claudia che sarebbe stata d'origine inglese e moglie di Pudenzio, la leggenda ha edificato, sulla fragile base di qualche verso di Marziale e di qualche cenno di Tacito, tutto un romanzo. L'ordine in cui sono posti i nomi loro taglia ogni radice alla leggenda. Ireneo ed Eusebio fanno del Lino qui nominato il primo vescovo di Roma collocandolo prima di Anacleto e di Clemente. Il posto che Paolo gli assegna è poco episcopale ed ancora meno papale.

22 Il Signore sia col tuo spirito. La grazia sia con voi.
La lezione più breve Il Signore (alef F G) diventa nel codice alessandrino (A) "Il Signore Gesù" e nei codd. C D E K L P "Il Signore G. C.". Paolo augura a Timoteo di aver il Signore presso al suo spirito, al suo io più profondo, ch'è sede della vita spirituale di fede e di amore. Egli ha bisogno, nelle circostanze attuali e sempre, che il Signore col suo Spirito lo fortifichi nell'uomo interno, come ha fortificato Paolo di recente 2Timoteo 4:17. A questo, aggiunge un voto per i fratelli d'Efeso ai quali Timoteo dovrebbe pur comunicare le notizie ricevute e l'urgente sua chiamata a Roma: La grazia sia con voi. Il grande predicatore della grazia di Dio al mondo termina i suoi scritti augurando grazia ai credenti per condurli fino al regno della gloria. L'amen. del testo ord. è aggiunta posteriore al pari della lunga poscritta dei codd. KL: "La seconda a Timoteo, che fu eletto primo vescovo della chiesa degli Efesini, fu scritta da Roma quando per la seconda volta Paolo comparve davanti all'imperatore Nerone". Il cod. A porta: "Fu scritta da Laodicea".

AMMAESTRAMENTI
1. Il cristianesimo di Paolo è profondamente umano. Se non troviamo in lui gli affetti di famiglia, non gli mancano quelli che lo legano a una famiglia spirituale assai numerosa. Sente la solitudine e brama avere presso di sè il suo diletto figlio Timoteo; sente l'amarezza delle diserzioni, delle opposizioni accanite, degli abbandoni paurosi. Sente la divota fedeltà di Luca il medico diletto. Sente anche l'avvicinarsi delle notti fredde e chiede il suo mantello. Tutto ciò è umano e ci parla della fralezza dell'istrumento di cui la grazia di Dio si è valsa per fare un'opera meravigliosa.
2. Fino all'ultimo Paolo è preoccupato della missione affidatagli. Manda qua e là degli operai, richiama Marco perchè "gli è molto utile nel ministerio". Consiglia Timoteo di guardarsi da Alessandro, chiede libri e pergamene, e si rallegra di aver potuto proclamare l'evangelo davanti ai pagani del tribunale imperiale. Il calar della sera deve ricordare a tutti i cristiani che vi sono soltanto dodici ore al giorno nelle quali convien lavorare, e l'esempio di Paolo c'insegna che quando il cuore arde di amore e di zelo si può lavorare per il Signore anche nelle circostanze più disagiate e dolorose.
3. Tutte, o quasi, le persone nominate nell'ultima pagina di Paolo ci possono dare qualche ammonimento. Dema ci mostra come l'amor del mondo coltivato nel cuore vi raffredda lo zelo, vi oscura la fede, vi spegne l'amore e mena alla diserzione della causa di Cristo se non ad una aperta apostasia. Marco ci ricorda che uno può avere una volta indietreggiato davanti alle fatiche ed ai pericoli dell'apostolato Atti 15:38, ma essersi poi riavuto ed esser divenuto un operaio "molto utile", degno degli elogi d'un Paolo. Alessandro il fabbro ci mostra come ci siano degli uomini i quali, pur avendo conosciuto l'evangelo, sono ad esso ed a chi lo propaga furiosamente avversi; uomini dei quali non si può più sperar la conversione e che solo si possono rimettere a quel giusto giudicio di Dio ch'è uno dei postulati della coscienza. I fratelli di Roma ci ricordano che l'eroismo è raro anche fra i cristiani sinceri e che il timore dei patimenti trattiene molti dal confessar Cristo. Davanti a siffatta debolezza Paolo prega: "Ciò non sia loro imputato!" Anche Trofimo lasciato malato a Mileto ci fa vedere che le prove sono da Dio dispensate a tutti i suoi figliuoli. Paolo non guarisce Trofimo con un miracolo, com'egli stesso non era stato guarito dalla dolorosa malattia degli occhi. Il poter dei miracoli è dono di Dio e non è concesso per essere usato ad arbitrio dell'uomo, ma solo quando Dio ne fa vedere ai suoi servi l'utilità per la conferma del Vangelo e ve li spinge col suo Spirito.
Tutti quanti quei compagni, fratelli o nemici di Paolo, ci ammoniscono che possiamo bensì ricevere dagli uomini, insieme a gravi dolori, delle gioie, delle consolazioni e degli incoraggiamenti preziosi; ma il Signore solo è l'amico, il fratello, l'aiuto perfetto, potente a salvare ed eternamente fedele. "Quantunque mio padre e mia madre mi avessero abbandonato, pure il Signore mi accoglierà" Salmi 27:10.
4. Quantunque possedesse in larga misura lo Spirito di Dio, Paolo chiede a Timoteo di portargli dei libri e delle pergamene perchè vuole ancor leggere e studiare. Quello che possiamo acquistare collo studio, lo Spirito non ce lo da ed è un errore il credere che scienza e ispirazione siano cose che si escludono a vicenda. Più sarà istruito e più sarà in grado d'essere utile il ministro del Vangelo, purchè si lasci dirigere dallo Spirito di Cristo. È un privilegio di cui dobbiamo esser grati quello di possedere oggi in si gran copia dei libri pieni di scienza e di pietà cristiane.
5. Dio non ha promesso di liberarci dalla persecuzione degli uomini, nè dalle sofferenze, nè dalla morte fisica; ma sappiamo ch'è volontà sua di liberarci dal male pienamente e di salvarci nel suo regno celeste. È questa la liberazione per eccellenza, condizione di ogni vera felicità. Se il Signor Gesù è col nostro spirito del continuo, se la grazia ci avvolge come di un'atmosfera, saremo salvati da ogni mala, opera e preparati ad entrare nel regno celeste. E questa la miglior preghiera che possiam fare per gli amici e per noi stessi.