Giovanni 8
CAPO 8
La genuinità della sezione che principia in Giovanni 7:53 e va fino a Giovanni 8:11 presenta più difficoltà che qualsiasi altra porzione dei Vangeli, dal punto di vista della critica del testo. Alcuni, considerandola come spuria, l'omettono del tutto; altri invece mantengono con calore, così la genuinità del racconto, come il suo nesso inappuntabile col contesto; mentre una terza classe di critici la riconoscono bensì come porzione autentica del racconto evangelico, ma negano che sia di Giovanni, e che si debba lasciare al posto che occupa attualmente. Mettendo così dinanzi agli occhi dei lettori le principali opinioni che prevalgono relativamente a questo passo, è giusto riconoscere che alcuni di quelli che rigettano il racconto che principia in Giovanni 8:3, ricevono, come facenti parte di questo Vangelo, i tre vers. precedenti Giovanni 7:53-8:2, i quali uniscono in modo naturalissimo i fatti di un nuovo giorno con quelli del gran giorno della festa. Non si può negare che l'evidenza esterna contro questo passo sia molto forte. Esso manca nei quattro MSS più antichi, cioè nei codici Sinaitico "Alessandrino" "A" Vaticano "B" e di Efrem "C", come pure in quattro altri MSS unciali di gran valore. Non l'hanno più di cinquanta manoscritti corsivi, e le versioni Peshito, Filossenia Egiziana, Armena e tre o quattro copie dell'Itala. Origene, Tertulliano, Cipriano, Cirillo e Crisostomo non ne parlano mai nei loro scritti. Ma il peso di questa testimonianza esterna resta grandemente indebolito dal fatto che nei Codici A e C, non sol manca questo passo, ma manca pure buona parte del contesto; quei manoscritti dunque non provano nulla né da una parte né dall'altra. Nel primo, l'interruzione va da Giovanni 6:50; Giovanni 8:1-53; nel secondo da Giovanni 7:3; Giovanni 8:1-34. Due dei MSS unciali, il Codice Regio di Parigi "L" e il Codice di S. Gallo "A" presentano uno spazio in bianco, come se il copista avesse omesso qualche cosa. L'evidenza interna che si accampa contro questo passo si è che esso interrompe il seguito del racconto, mentre Giovanni 8:12 è il seguito naturale di Giovanni 7:52; che la lingua e specialmente le particelle di questo frammento sono assai dissimili dallo stile ordinario del nostro Evangelista; che siccome Giovanni non parla mai del monte degli Ulivi, il vederlo qui mentovato dà dei sospetti riguardo alla autenticità dell'intero passo. A ciò si aggiunge che non corrisponde a questo periodo della vita di Gesù il fargli passare la notte su quella montagna. Come prova che questo passo è spurio si allega pure che i MSS in cui lo si trova non lo riportano tutti al medesimo posto. Alcuni infatti lo hanno, come le nostre Bibbie, al principio del cap. 8; altri, alla fine dell'Evangelo, alcuni perfino lo mettono dopo Luca 21:37, come se fosse affine alle domande in quel capitolo riferite, e che furon fatte dai Giudei per tentare Gesù.

D'altra parte non difettano a quelli che sostengono l'autenticità dell'intero passo prove esterne numerose e degne di attenzione. Lo si trova in sette MSS unciali, fra i quali il celebre Codice di Beza "D" Greco e Latino, in più di 300 MSS corsivi, senza nessun segno o nota, e in altri 50 con un asterisco "*" in segno di dubbio. In quanto alle versioni, lo riportano il maggior numero delle copie dell'Itala "e questo", osserva Brown, "neutralizza la sua mancanza nella Peshito Siriaca, poiché l'Itala fu fatta per uso delle Chiese Occidentali, pressappoco al tempo stesso che quella per le chiese di Oriente", la Volgata, l'Arabica, la Coptica, la Persiana e l'Etiopica; mentre Girolamo, il revisore dell'antica Versione latina "Itala", dichiara che ai suoi dì (secolo 4), "in multis et graecis et latinis coddinvenitur locus de adultera muliere" "il passo relativo alla donna adultera, si trova in molti codici greci e latini"; ed alcuni scholii della medesima data fanno appello ad "Scritture antiche" per provarne. Nessuno dei MSS unciali o corsivi fin qui scoperti è anteriore al secolo 4, e quelli di data posteriore non hanno autorità su questo punto; poiché sappiamo da Girolamo che a quella data il passo che ci occupa già formava parte del Vangelo di Giovanni. Ambrogio, Agostino ed altri padri del 4 secolo lo ammettono come genuino e Agostino ne spiega la mancanza in alcune copie col dire, che temevasi che la misericordia usata dal Signore alla donna adultera potesse far credere essere l'atto suo immune di peccato ("metuentes peccandi impunitatem dari mulieribus suis"; Deuteronomio Adult. Conjugiis 2, 7). Una compilazione pseudonima intitolata "'Le costituzioni apostoliche", "in cui si pretendono raccolte da Clemente Romano le regole date dagli apostoli ma che data in realtà solo dal terzo secolo", contiene un'allusione a questo passo, allusione che non è di poca importanza per dimostrare che esso esisteva ed era ammesso ad una data anteriore a quella dei più antichi MSS attualmente conosciuti, benché non sia decisiva relativamente al posto che esso occupa nel Vangelo di Giovanni. Esaminando ora l'evidenza interna a favore dell'autenticità di questo passo, diremo
1. La festa dei Tabernacoli era, per molti un vero delirio di piaceri; gettavano lungi da sé ogni ritegno, talché Plutarco ce la descrive come la festa di Bacco appo i Giudei. Il peccato di cui qui si tratta poteva dunque venire facilmente commesso in quei giorni, e ciò spiega perché questo fatto venga da Giovanni riferito in questo luogo.
2. Ad onta della varietà di lezioni, non si può additate fra lo stile di questo passo, e lo stile ordinario di Giovanni nessuna differenza essenziale, e l'argomento che se ne vuol trarre va ricevuto con molta cautela, trattandosi di un autore ispirato. È un pò troppo il pretendere che un uomo ispirato da Dio debba sempre esprimersi nei medesimi termini, e che, se un dato passo contiene parole e costruzioni da lui non abitualmente usate, questo provi che quel passo non è stato scritto da lui.
3. La condotta del Signore in questa circostanza, è in pieno accordo col suo carattere, e colla sua condotta in genere, e ricorda alcune sue espressioni in altre circostanze Giovanni 8:15; 3:17; 12:47. Non c'è in tutto il passo tendenza immorale qualsiasi: il Signore non vi pronunzia punto l'assoluzione dell'adulterio, anzi chiaramente lo condanna nelle parole colle quali congeda la peccatrice; solo Egli ricusa di fare in questo caso da giudice, come i suoi nemici, per fini loro propri glielo domandavano.
4. Chi tiene in mente le nozioni ascetiche della Chiesa primitiva su questi ed altri soggetti analoghi, secondo quanto ce ne dice S. Agostino, capirà che vi fossero potenti ragioni per togliere questo passo, benché genuino, dal posto che esso occupa nel Vangelo; mentre è impossibile concepire un motivo ragionevole per farvelo entrare, se non vi si fosse trovato fin dal principio. "Tali sentimenti riguardo a questo passo bastano a spiegare il fatto notevole che nella Chiesa primitiva non lo si leggeva mai con quello che precede e quello che segue, salvo in certe feste poco importanti, quando pochi erano presenti" (Brown).
5. "L'argomento tratto dai Padri" dice Ryle, "sembra piuttosto favorevole che contrario a questo passo". Da un lato abbiamo ragioni meramente negative, e questa evidenza negativa non è punto di così gran peso come parrebbe a prima vista. Del Commento di Cirillo di Alessandria è perduto tutto il Vangelo di Giovanni; ciò che ne occupa il posto è stato aggiunto da un certo Clichtoveus, in Parigi, nel 1510. Crisostomo non poteva probabilmente trattar quell'argomento nelle sue pubbliche omelie per il popolo. Teofilatto fu imitatore, anzi copista, di Crisostomo, ed Origene, nella sua esposizione di Giovanni, ha omesso ben altre cose, oltre a questo passo. Dall'altra parte, abbiamo ragioni positive. Uomini di altissima autorità, come Agostino e Ambrogio, non solo commentano questo passo, ma ne difendono l'autenticità, e dànno spiegazioni plausibilissime della sua omissione per parte di alcuni copisti. La difficoltà che nasce dal trovarsi questo passo in vari luoghi del Vangelo di Giovanni e anche in Luca non si può negare; però, considerando le molte prove in favore della sua posizione attuale, considerando poi l'originalità, la purezza, la verità, la grandezza che improntano questo racconto, ci schieriamo fra quelli che lo ritengono genuino. Fra coloro che rigettano questo passo come non autentico, o almeno dubbio, vanno annoverati: Origene, Apollinare, Teodoro di Mopsuesta, Cirillo, Crisostomo, Nonnus, Teofilatto, Tertulliano, Beza, Grozio, Baxter, Hammond, A. Clark, Tittmann, Tholuck, Olshausen, Hengstenberg, Tregelles, Alford, Luthardt, Westcott, Milligan, Watkins, Revel, Scrivener, Tischendorf. Lo ritengono genuino: Agostino, Ambrogio, Girolamo, Eutimio, Rupertus, Calvino, Zuinglio, Melantone, Ecolampadio, Bucero, Gualter, Musculus, Bullinger, Pellican, Diodati, Flacius, Piscator, Calovius, Cocceius, Toletus, Chenmitius, Maldonatus, C. a Lapide, Cartwright, Lampe, Poole, Meyer, Whitby, Leigh, Doddridge, Bengel, Stier, Brown, Webster, Lange, Plummer, Ryle.

ANALISI
1. La donna colta in adulterio. Gesù mantiene l'autorità della legge, secondo la quale doveva venir lapidato chiunque si era reso colpevole di adulterio; e siccome quelli che aveangli condotto quella donna, nella speranza di farlo cadere in qua che tranello, mediante la decisione che avrebbe pronunziata, erano pure dalla legge designati per eseguire la sentenza, egli mette come sola condizione che l'uomo, la cui coscienza lo assicurava di non esser mai caduto in un fallo consimile, né in pensiero, né in fatti, scagliasse la prima pietra contro di lei. Questo appello alla loro coscienza fu così potente, che l'uno dopo l'altro gli accusatori della donna adultera si ritirarono, e la colpevole rimase sola con Gesù. Nella grandezza della sua misericordia, il Signore le perdonò, e l'ammonì a non peccar più in avvenire. La genuinità di questo passo è stata molto contestata, ma abbiamo esposto più sopra gli argomenti di ambo le parti Giovanni 8:1-11.
2. Cristo si proclama la luce del mondo, e i suoi nemici lo accusano di menzogna. Quell'accusa si fonda sulla supposizione erronea che Gesù parlasse sulla sola autorità propria, e senza che alcun altro testimoniasse in favor suo. Se anche ciò fosse stato vero, Gesù dichiara che non ne sarebbe in nulla scemata la verità della sua affermazione, imperocché i figliuoli degli uomini, potendo giudicare solo secondo la carne, erano incapaci di comprenderla; ma non era vero che egli non avesse testimoni favorevoli. Secondo la legge Mosaica, due testimoni bastavano a stabilire un fatto, perciò la testimonianza del Padre, aggiunta alla propria, confermava appieno la sua dottrina. Finsero gli avversari di non intendere le sue parole, e lo domandarono con scherno: "Ov'è il padre tuo?" cioè: "Faccelo vedere, se vuoi che prestiam fede alla tua testimonianza". Gesù attribuisce ad incredulità quella loro pretesa ignoranza. Questo discorso fu tenuto nella Tesoreria, ma nessuno fece allora nulla contro la vita di Gesù Giovanni 8:12-21.
3. Gesù riprende il suo discorso, probabilmente nella Tesoreria. Dichiara ora ai Giudei qual sarà la inevitabile conseguenza del loro persistere nella incredulità: egli cioè si ritirerà da loro. Di più annunzia di avere, per commissione del Padre, molte cose da dire e da giudicare di loro, e predice che, dopo la sua crocifissione, essi certamente riconosceranno aver egli parlato secondo giustizia e verità nel proclamarsi il Messia. Per questo discorso, molti credono in lui Giovanni 8:22-30.
4. Ammonimenti rivolti dal Signore ad alcuni dei Giudei, che parevano proclivi a credere in lui. Li esorta a perseverare nella sua dottrina affin di giungere alla vera libertà, e questo ferisce il loro orgoglio giudaico. Gesù riconosce il loro vanto di discendere da Abrahamo, secondo la carne; al tempo stesso dichiara, che, per quanto riguarda le loro opere, essi sono figli del diavolo. Nella loro rabbia, rispondono gettandogli in sul viso i titoli di "Samaritano", e di "posseduto dal demonio" Giovanni 8:31-48.
5. Quest'accusa, dà occasione a Cristo di stabilire molto chiaramente la sua dignità divina e la sua preesistenza. Egli vuol ricevere onore, non dagli uomini, ma da suo Padre: quell'Essere glorioso ed eccelso del quale essi si reclamavamo come loro Dio; e in quanto alla sua età, dichiara che, prima che Abrahamo fosse, egli era, ed esisteva da ogni eternità. Udito ciò, i suoi nemici alzano delle pietre per lapidarlo; ma Gesù si sottrae dal mezzo di loro, senza aver patito danno alcuno, perché l'ora sua non era ancora venuta Giovanni 8:49-59.

Giovanni 8:1-11. LA DONNA COLTA IN ADULTERIO

1. Gesù se ne andò al monte degli Ulivi.
Se il fatto qui riferito vien considerato come parte integrante del Vangelo di Giovanni, è chiaro che queste parole sono la continuazione di Giovanni 7:53 e non avrebbero mai dovuto venirne separate; imperocché mentre quel versetto ci dice che i partigiani del Sinedrio se ne tornarono alle case loro, qui ci vien detto dove andò Gesù. Siccome Giovanni, in tutto il resto del suo Vangelo, non nomina mai il monte degli Ulivi, il fatto ch'egli ne parla qui è uno degli argomenti sui quali maggiormente si fondano quelli che contestano la genuinità di questo passo.

PASSI PARALLELI
Matteo 21:1; Marco 11:1; 13:3; Luca 19:37

2. E, in sul far del giorno, venne di nuovo nel tempio e tutto il popolo venne a lui; ed egli, postosi a sedere, li ammaestrava.
Quando Gesù veniva a Gerusalemme, pernottava generalmente coi suoi discepoli sul monte degli Ulivi, o nella famiglia di Lazzaro in Betania, e per riguardo alla propria sicurezza era naturale che, anche in questa occasione, ivi cercasse un rifugio. Ma molta gente accorsa in Gerusalemme da tutto il paese, tuttora vi rimaneva. Mosso a compassione di essa, Gesù tornò nel tempio all'alba, e, sedutosi, prese ad insegnarla.

PASSI PARALLELI
Giovanni 4:34; Ecclesiaste 9:10; Geremia 25:3; 44:4; Luca 21:37
Matteo 5:1-2; 26:55; Luca 4:20; 5:3

3. Allora i Farisei e gli Scribi gli menarono una donna ch'era stata colta in adulterio; e fattala stare in piè ivi in mezzo, 4. Dissero a Gesù: maestro, questa donna è stata trovata in sul fatto, commettendo adulterio.
Questa è la sola volta che Giovanni mentova gli Scribi; ma siccome essi appartenevano generalmente al partito dei Farisei, che egli ci mostra sempre esercitando un'autorità despotica Giovanni 1:24; 7:32,48; 11:47,57, è probabile che Giovanni intenda parlare anche di loro quando parla dei Farisei, e li racchiuda insieme ai Farisei ed ai sacerdoti sotto il nome generico di "Giudei". Con grande apparato, sì da chiamar l'attenzione universale, i nemici del Signore gli conducono una donna sorpresa nel peccato di adulterio, e la mettono direttamente di fronte, a lui, nel mezzo della sua udienza, proclamando pubblicamente il suo delitto. Come osserva Plummer, il produrla in pubblico a quel modo era un atto di inutile crudeltà verso di lei, ed un insulto a tutti gli spettatori di cuore generoso e modesto. Avrebbero potuto tenerla in carcere mentre riferivano il fatto a Gesù, oltreché vi era una indelicatezza brutale nei termini coi quali vien pubblicata la sua colpa. Si presenta qui la questione: Chi erano questi Farisei e Scribi? Erano individui i quali, sulla propria responsabilità, facevano un tentativo per vendicar la disfatta che al loro partito era toccata il giorno prima? o erano membri del Sinedrio? o guardie cui la donna era stata consegnata dal Sinedrio stesso per venir condotta a Gesù, col fine di tendergli un tranello? Giovanni 8:6 La prima supposizione ci pare la più corretta:
1. Perché ci son riferiti altri casi consimili di individui che cercarono di sorprendere il Signore, con domande insidiose Matteo 22:15,23-24; Luca 20:20,27.
2. Perché il Sinedrio non poteva essere riunito a quell'ora mattutina, e la donna fattavi comparire.
3. Perché i Farisei non si sarebbero mai abbassati a segno di mandare a Gesù una persona accusata dinanzi al Sinedrio, per quanto vantaggio potessero ripromettersene.

5. Or Mosè ci ha comandato nella legge, che cotali si lapidino;
Le prescrizioni della legge Mosaica riguardo alla punizione dell'adulterio trovansi in Levitico 20:10; Deuteronomio 22:22-24. In ciascuno di quei passi la punizione era la morte per lapidazione, due casi speciali, relativamente ai quali potevano sorgere dei dubbi, essendo specialmente inclusi nella sentenza di lapidazione. Che quella fosse la pena minacciata a chiunque rendevasi colpevole di un tal delitto è confermato da Ezechiele 16:40; 23:45,47, dove quei due casi eccezionali non sono più ricordati. È vero che il Talmud 'Sanhed f.51:2' dà come regola: "Filia Israelita si adultera, cum nupta strangulanda, cum desponsata lapidanda", "Una figlia d'Israele colta in adulterio si strangoli, se maritata, si lapidi, se fidanzata"; ma questo non ha un'autorità indiscutibile e Kimchi su Ezechiele 16:40 mantiene che tutti gli adulteri venivano lapidati. Ma anche per quelli che mantengono la distinzione talmudica secondo la quale le adultere maritate venivano strangolate, e le fidanzate lapidate, le parole: "Mosè ci ha comandato nella legge che cotali si lapidino", non offrono argomento alcuno per mettere in questione l'autenticità di questo passo, poiché indicano semplicemente che il caso di questa donna era precisamente quello contemplato in Deuteronomio 22:23-24.

PASSI PARALLELI
Levitico 20:10; Deuteronomio 22:21-24; Ezechiele 16:38-40; 23:47
Matteo 5:17; 19:6-8; 22:16-18

6. tu adunque che ne dici? Or dicevano questo, tentandolo, per poterlo accusare.
Siccome Gesù, in tutto il suo ministerio, non era mai entrato sul terreno della giurisdizione civile od ecclesiastica, riserbata dalla legge ai magistrati, Vedi Luca 12:14, è chiaro che questa domanda conteneva un tranello per lui. Ma con quale scopo, o dinanzi a quali giudici volevano i suoi nemici accusarlo? In questo, come nel caso del censo Luca 20:20, vogliono rinchiudere Gesù in un dilemma, affinché, qualunque sia la sua risposta, ne rimanesse menomata la sua, autorità. Secondo Calvino ed altri, il dilemma sarebbe stato questo: assolvendo la donna, egli si ribellava alla legge di Mosè, e così poteva venir denunziato come falso Messia; condannandola, avrebbe agito in modo contrario alla compassione che sempre dimostrò verso i pubblicani e i peccatori in genere, e così messo a repentaglio il suo prestigio. Questo ci pare un dilemma debole, specialmente perché la seconda alternativa non si prestava ad un'accusa il dilemma vero in questo caso era il seguente: ovvero Gesù assolveva la colpevole, e così esponevasi ad esser condannato a morte dal Sinedrio come bestemmiatore; ovvero la condannava, e in questo caso entrava in conflitto colla autorità romana, la quale non puniva di morte l'adulterio, ed aveva tolto ai Giudei il potere di vita e di morte. Qualunque fosse la sua decisione, i suoi nemici contavano che, ovvero farebbe torto alla sua fama, ovvero si metterebbe in diretta opposizione alla legge di Mosè, ovvero ancora entrerebbe in conflitto coll'autorità romana.
Ma Gesù, chinatosi in giù, scriveva col dito in terra.
Il Signore sedeva probabilmente sul suo mantello "abia" steso sul lastrico del cortile del tempio Giovanni 8:2, e gli bastava di chinarsi appena per iscrivere col dito in terra. Se abbia scritto qualcosa o no, non lo sapremo mai e le nostre supposizioni a questo riguardo saranno sempre vane; ma il suo contegno, così prima come dopo che ebbe scritto, indicano che egli non voleva entrare in quel soggetto, o che la sua mente era preoccupata di altra cosa. Si è supposto che, toccando le pietre, egli volesse ricordare ai suoi uditori la Legge di Dio, scritta sulle tavole di pietra; che lo scrivere fosse un'allusione all'ufficio di giudice che gli si voleva imporre, perché le sentenze devono esser date per iscritto; ma tutte queste sono supposizioni troppo imaginarie perché le possiamo ammettere. "La stranezza stessa dell'atto qui descritto ci è una prova dell'autenticità di questo particolare" (Westcott).

PASSI PARALLELI
Numeri 14:22; Matteo 19:3; Luca 10:25; 11:53-54; 20:20-23; 1Corinzi 10:9
Giovanni 8:2; Genesi 49:9; Geremia 17:13; Daniele 5:5
Salmi 38:12-14; 39:1; Proverbi 26:17; Ecclesiaste 3:7; Amos 5:10,13; Matteo 10:16; 15:23
Matteo 26:63

7. E come essi continuavano di domandarlo, egli, rizzatosi, disse loro: Colui di voi ch'è senza peccato, getti il primo la pietra contro a lei.
La evidente sua avversione ad occuparsi di loro, e del caso da essi presentatogli, non iscoraggì, punto gli avversari di Gesù. Erano decisi a cavargli di bocca una risposta qualsiasi, e alla fine ne ottennero una affatto opposta a quella che speravano, una risposta la quale, ben lungi dal fornir loro un'accusa contro di lui, li sconcertò e li mise finalmente in fuga. Quella risposta lasciava intatta l'autorità della legge di Mosè, e al tempo stesso manifestava la compassione del Salvatore verso una peccatrice, mentre risvegliava la coscienza di quelli che già si preparavano ad eseguirne la condanna. Nei casi di morte per lapidazione, la legge Mosaica comandava che i testimoni lanciassero la prima pietra al condannato, e ciò collo scopo evidente di destare il sentimento della responsabilità e rendere più rare le testimonianze falso o maliziose Vedi Deuteronomio 12:9; 17:7; Atti 7:58. Concesso che l'accusa fosse provata, e la punizione conforme alla legge, il Signore, interrompendo per un solo istante la sua occupazione, esorta gli accusatori di quella donna ad esaminare sé stessi, affinché colui che per il primo getterebbe la pietra lo potesse fare colla piena coscienza di essere egli stesso senza peccato. Gesù non parla qui di peccato in genere "perché in quel caso" tutti essendo peccatori, nessuno potrebbe far da giudice", ma del peccato speciale di cui questa donna erasi resa colpevole, cioè della trasgressione del settimo comandamento, o nel cuore o di fatto Matteo 5:28. La facilità colla quale potevasi appo i Giudei ottenere il divorzio per i più frivoli motivi, ne faceva un sistema di adulterio legalizzato Vedi note Matteo 19:3; Matteo 19:8; Matteo 19:9, e non era punto in un senso figurativo che Gesù chiamava i suoi concittadini: "generazione adultera e peccatrice" Marco 8:38. Mercè la sua onniscienza, egli sapeva forse che alcuni degli uomini li presenti non erano meno di quella donna colpevoli di adulterio, da ciò il suo appello alla loro coscienza. "L'abilità della risposta consiste nel modo in cui essa disarmò quelli che si erano costituiti giudici della donna adultera, senza mettere minimamente in questione la legge di Mosè" (Godet).

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:46; Proverbi 12:18; 26:4-5; Geremia 23:29; 1Corinzi 14:24-25; Colossesi 4:6
Ebrei 4:12-13; Apocalisse 1:16; 2:16; 19:15
Deuteronomio 17:6; Salmi 50:16-20; Matteo 7:1-5; 23:25-28; Romani 2:1-3,21-25

8. E chinatosi di nuovo in giù, scriveva in terra.
Brown ingegnosamente suggerisce che lo scopo del Signore, nel chinarsi a scrivere una seconda volta, fu evidentemente di permettere agli accusatori della donna di ritirarsi senza essere osservati da lui, del che si sarebbero troppo vergognati.

9. Ed essi, udito ciò, e convinti dalla coscienza, ad uno ad uno se ne uscirono fuori, cominciando dai più vecchi infino agli ultimi;
Un grande esempio del potere della coscienza, svegliata da una parola di verità, ci vien presentato dalla condotta di questi uomini. Si ricordarono di essere o di essere stati colpevoli del medesimo peccato, in pensieri o in atti, epperciò nessuno ardì alzar la prima pietra contro la peccatrice; e ad uno ad uno, dal più vecchio al più giovane, si ritirarono, confessando così dinanzi a Gesù, dinanzi alla donna, dinanzi alla folla circostante di essere impuri ed ipocriti.
e Gesù fu lasciato solo con la donna che era ivi in mezzo.
Cristo fu lasciato solo, inquantoché si allontanarono "i Farisei e gli scribi" accusatori della donna; ma rimase la folla che già trovavasi sul luogo prima della venuta di quelli, Vedi Giovanni 8:2. Della folla devono intendersi le parole "ivi in mezzo", non già di uno spazio vuoto, occupato solo da Gesù e dalla donna. Quella folla aveva veduto ed udito tutto ciò che era accaduto.

PASSI PARALLELI
Genesi 42:21-22; 1Re 2:44; 17:18; Salmi 50:21; Ecclesiaste 7:22; Marco 6:14-16
Luca 12:1-3; Romani 2:15,22; 1Giovanni 3:20
Giobbe 5:12-13; 20:5,27; Salmi 9:15-16; 40:14; 71:13; Luca 13:17
Giovanni 8:2,10,12

10 10. E Gesù, rizzatosi, e non veggendo alcuno, se non la donna,
Di tutta la brigata che era venuta ad interrompere il suo insegnamento, rimaneva solo la donna, i cui accusatori tutti erano scomparsi.
le disse: Donna, ove sono quei tuoi accusatori? niuno ti, ha egli condannata?
Questa domanda ha un duplice scopo: in primo luogo Gesù vuol chiamar l'attenzione della donna sul proprio peccato. Le parole da Gesù rivolte ai suoi accusatori avevano loro insegnato una severa lezione; ma Gesù vuole insegnar qualche cosa anche alla donna, prima di licenziarla. Al tempo stesso il Signore vuole attrarre l'attenzione della folla. Egli non si era opposto alla esecuzione della legge; si era contentato di indicare le condizioni alle quali gli accusatori della donna potevano eseguire la sentenza, ed ora la sua domanda e la risposta della donna alla medesima devono dimostrare che l'accusa era abbandonata. Mancavano i testimoni accusatori, epperciò nessuna sentenza poteva venir pronunziata.

PASSI PARALLELI
Isaia 41:11-12

11 11. Ed ella disse: Niuno, Signore.
La donna risponde semplicemente alle parole di Gesù; non cerca difendersi, nemmanco ardisce domandar pietà. Non sappiamo quello che accadesse nel suo cuore, o quello che si leggesse sul suo viso. Non sappiamo se sul suo labbro il nome di Signore fosse un mero titolo di cortesia, o se contenesse qualcosa di quella riverenza che costituisce il culto. Non è forse una prova convincente di veracità che il racconto non ci dica nulla di più?
E Gesù le disse: io ancora non ti condanno;
Colui che investiga i cuori la sapeva colpevole; ma nella sua misericordia non la costringe a confessarlo colle proprie labbra. Le fa semplicemente sentire di esser meritevole di condanna, e ciò colle parole medesime colle quali dice di non condannarla: "Io sono senza peccato, e ti potrei condannare; ma non lo farò". La condanna di cui parla qui Gesù è quella che si riferisce al castigo esterno, non alla colpa morale. Il caso avrebbe richiesto una sentenza giudiziaria come quelle che un magistrato suole pronunziare, e siccome Gesù aveva sempre ricusato di immischiarsi nelle leggi civili del popolo, e di assumere qualsiasi autorità civile, non poteva neppure in questo caso agire da magistrato, e condannar quella donna a morte. Egli è in questo senso che tal parola viene usata nei versetti precedenti, ed è il solo senso che questo passo domandi.
vattene, e da ora innanzi non peccar più.
Queste parole, mentre confermano che nel precedente versetto Gesù aveva semplicemente voluto dire: "Non ti condanno a morte, perché ciò non si appartiene a me", condannano al tempo stesso le indegne accuse che da taluni sono state lanciate contro a Gesù, a motivo di questo fatto, quasiché egli avesse ignorato o "attenuato", o "permesso", o "lasciato passare" il peccato di questa donna! La prima sua venuta in terra, ebbe per scopo di salvare, non di condannare, ciò nonostante egli non fece mai compromesso alcuno col peccato, anzi lo denunziò sempre apertamente. A questa donna egli dice: "Da ora innanzi non peccar più", è questo forse un permettere il peccato? "Ergo et Dominus damnavit, sed peccatum, non hominem", "Il Signore adunque ha condannato il peccato, non l'uomo" (Agostino). Notiamo che, se Gesù non pronunzia su questa donna la sentenza di morte, neppur l'assolve. Ad essa non dice già: i "tuoi peccati ti sono rimessi" Matteo 9:2; Luca 7:48, e nemmeno: "Vattene in pace" Luca 7:50; 8:48. Molto meno dice egli che essa nulla abbia fatto di condannabile. Le accorda solo il tempo di pentirsi e di credere. Il racconto nulla ci dice di più. La pazienza del Signore era intesa a condurla al pentimento, e possiamo sperare che tal risultato sia stato raggiunto. Non la condanna; eppure dalle sue parole essa si deve esser sentita condannata più che da qualsiasi parola dei suoi accusatori. "Egli non condanna la donna, ma le parole stesse colle quali la rimanda sono la condanna esplicita del suo peccato" (Watkins).

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:15; 3:17; 18:36; Deuteronomio 16:18; 17:9; Luca 9:56; 12:13-14; Romani 13:3-4
1Corinzi 5:12
Giovanni 5:14; Giobbe 34:31; Proverbi 28:13; Isaia 1:16-18; 55:6; Ezechiele 18:30-32
Matteo 21:28-31; Luca 5:32; 13:3,5; 15:7,10,32; Romani 2:4; 5:20-21
1Timoteo 1:15-16; 2Pietro 3:15; Apocalisse 2:21-22

RIFLESSIONI

1. "Questo passo c'insegna:
a. Che Gesù non pretendeva esercitare autorità civile qualsiasi.
b. Che egli, considerava l'atto di questa donna come un peccato.
c. Che egli conosce il cuore e la vita di ognuno.
d. Che gli uomini son pronti ad accusare gli altri dei peccati medesimi dei quali essi stessi sono colpevoli.
e. Che Gesù possedeva una sapienza mirabile per far fronte alle insidie dei suoi nemici, e per eludere i loro piani più astuti per la sua rovina" (Barnes).
2. Ogni convincimento di peccato non è necessariamente salutare, e tutti quelli che la Parola di Dio rende, nella loro coscienza, vergognosi per il loro peccato non sono perciò in istato di grazia; in questo caso gli accusatori della donna furono convinti dalla coscienza, e "se ne uscirono" pieni di vergogna, benché fossero ancora "in fiele d'amaritudine, ed in legami d'iniquità" Atti 8:23. "Quella non è una coscienza risvegliata a salute, il cui convincimento spinge ad allontanarsi da Cristo, anziché cercare da lui luce e conforto. Per contro è un segno buono e promettente quando il peccatore, sinceramente umiliato, più non lascia Cristo fintantoché non ne ottenga il perdono" (Hutchison).
3. "Trovasi fra la gente senza principi, che pur professa di aver religione, l'ipocrisia che si scandalizza del peccato; ma la compassione e la purezza unite insieme sono quelle che vincono i caduti, e formano il tratto distintivo della vera religione. Prima della venuta di Cristo, questo carattere della religione non era molto apparente; l'Antico Testamento non lo presentava in modo molto chiaro. Era riserbato al Signor Gesù di mostrarlo al mondo in tutta la sua attraente bellezza, e in questo racconto lo troviamo sotto la sua forma più perfetta" (Brown).
4. Paolo ci fa osservare che il Signore non disse solamente: "Non commetter più adulterio", bensì "non peccar più". Un pentimento parziale per qualche peccato particolare non basterà mai ad un cuor pentito che cerca da DIO misericordia e perdono. Egli dovrà abbandonare qualsiasi peccato, di qualsiasi specie possa essere.

12 Giovanni 8:12-59. GESÙ CONTINUA IL SUO DISCORSO NEL CORTILE DEL TEMPIO. L'INCREDULITÀ DEI SUOI AVVERSARI RAGGIUNGE IL SUO CULMINE, E SI MANIFESTA, NON SOLO MEDIANTE INTERRUZIONI FREQUENTI, MA PURE MEDIANTE UN TENTATIVO DI LAPIDARLO

Gesù rivolge una solenne testimonianza ad una udienza quasi tutta ostile; alcuni però la ricevono con fede e a costoro egli indirizza parole di incoraggiamento Giovanni 8:12-32

12. E Gesù di nuovo parlò loro,
Quelli che rigettano il periodo precedente considerano naturalmente le parole "di nuovo" come il nesso fra Giovanni 7:52 e quello che ora segue; ma esse ci sembrano indicare molto più naturalmente la ripresa, per parte di Gesù, dell'ammaestramento accennato in Giovanni 8:2, e che era rimasto interrotto dal fatto della donna adultera.
dicendo: io son la luce del mondo;
Nei suoi precedenti discorsi, Gesù si era dichiarato "il pan della vita", "il vivo pane ch'è disceso dal cielo" Giovanni 6:48,51, e "l'acqua viva" Giovanni 4:10; 7:37; qui egli riprende a parlare proclamandosi "la luce del mondo". Se occorresse supporre che qualche oggetto esterno abbia suggerito a Gesù l'argomento del suo discorso, contro una tale idea abbiam sempre protestato come poco degna di Colui che "conosce ogni cosa", diremmo che essendo egli nel tempio, all'alba, quell'oggetto esterno non poté essere altro che il sole levante, il quale, dai cortili del tempio esposti ad Oriente, doveva osservarsi in tutto il suo splendore. Credono altri che il Signore faccia qui allusione alla "colonna di fuoco" del deserto, e nessuno certo potrebbe provare il contrario. Ma un gran numero di espositori sostengono che il Signore derivò questa sua figura da due colossali candelabri di oro che sopportavano una moltitudine di lampade, ed illuminavano splendidamente il "cortile delle donne (Tesoreria) durante le notti della festa dei Tabernacoli, e intorno ai quali il popolo danzava fino all'alba! Noi protestiamo contro una tal teoria, non solo perché il Signore non si sarebbe mai presentato al popolo in qualsiasi relazione con oggetti che servivano a divertimenti profani; ma pure perché la festa, colle sue illuminazioni e le sue baldorie, era terminata, e le tracce che ne rimanevano nulla dovevano presentar di attraente alla luce del nuovo giorno. Sotto l'immagine della luce, Gesù insegna le verità medesime che già aveva rivelate sotto quella del pane; egli ci presenta cioè una grazia presente ed una gloria futura, entrambe procedenti personalmente da lui. Il Signore aveva dato quel medesimo titolo a Giovanni Battista, per quanto almeno concerneva il fedele adempimento del mandato affidatogli Giovanni 5:35; ma qui si proclama egli stesso nel senso più assoluto "la luce del mondo" tutto intero il Messia promesso dai profeti, il quale doveva essere costituito per patto del popolo "Israele" e "per luce delle genti (Gentili)" Isaia 42:6.
chi mi seguita non camminerà nelle tenebre, anzi avrà la luce della vita.
Chi cammina dietro alla luce non corre pericolo di cadere, come chi cammina nelle tenebre; così chi "seguita Cristo", cioè mette tutta la sua fiducia in lui, imitandone la condotta e copiandone l'esempio, non camminerà mai nelle tenebre, perciocché il Signore guiderà i suoi passi. Le tenebre suggeriscono l'idea di ignoranza, di pericolo, di peccato; la luce implica conoscenza, sicurezza e purità. "La luce della vita, che è il privilegio dei seguaci di Cristo, è la luce che proviene dalla vita la luce di un mondo nuovo la luce di una vita nuova spirituale ed eterna" (Brown).

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:4-9; 3:19; 9:5; 12:35; Isaia 9:2; 42:6-7; 49:6; 60:1-3; Osea 6:3; Malachia 4:2
Matteo 4:14-16; Luca 1:78-79; 2:32; Atti 13:47; 26:23
Giovanni 12:35,46; Salmi 18:28; 97:11; Isaia 50:10; 2Pietro 2:4,17; Giuda 6,13
Giovanni 7:17; 14:6; Giobbe 33:28; Salmi 49:19; Apocalisse 21:24

13 13. Laonde i Farisei gli dissero: Tu testimoni di te stesso; la tua testimonianza non è verace.
I Farisei non lasciano passare senza contraddirla questa grande dichiarazione; però non ardiscono impugnarne la sostanza, e mettono innanzi una obbiezione di pura forma, sostenendo che essa era inammissibile, perché non aveva altro fondamento che la testimonianza resa da Gesù a sé medesimo, non confortata da nessuna prova attendibile. Nella precedente sua visita a Gerusalemme, il Signore aveva detto di sé medesimo: "Se io testimonio di me stesso, la mia testimonianza non è verace" Giovanni 5:31, e ora i suoi nemici si servono appunto di questa sua parola per farlo apparire in contraddizione con sé stesso, epperciò indegno di venir creduto.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:31-47

14 14. Gesù rispose e disse loro: Quantunque io testimoni di me stesso, pure è la mia testimonianza verace;
Queste parole di Gesù non sono in contraddizione con quelle che abbiamo ora ricordate. In Giovanni 5:31, egli aveva dichiarato, che, se non avesse avuto altra testimonianza che la propria, dal punto di vista strettamente umano, quella non sarebbe stata sufficiente; qui invece sostiene che la sua testimonianza è inoppugnabile, che la loro obbiezione non si applica a lui, perché la sua non è una testimonianza personale isolata, ma è quella del Padre suo in lui Giovanni 8:16, e di questa unione vitale ed essenziale col Padre egli è infallibilmente sicuro.
perciocché io so onde io son venuto ed ove io vo; ma voi non sapete né onde io vengo né ove io vo.
Il Signore ci dà qui la ragione per la quale la sua testimonianza è degna di fede, anche in mancanza di qualsiasi altra prova, e questa ragione si è che parlava di cose che egli solo conosceva, e che, per la loro ignoranza, gli uomini non potevano né confermare ne negare. La sua testimonianza fondavasi sulla sua assoluta conoscenza e coscienza della propria origine dall'una parte, e del suo destino finale dall'altra. Egli veniva dal Padre, e al Padre tornava Giovanni 16:28; mentre essi, a motivo della loro ignoranza e della loro incredulità, non sapevano né da dove era venuto, né dove andava.

PASSI PARALLELI
Numeri 12:3; Nehemia 5:14-19; 2Corinzi 11:31; 12:11,19
Giovanni 8:42; 7:29; 10:15,36; 13:3; 14:10; 16:28; 17:8
Giovanni 7:27-28; 9:29-30

15 15. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico alcuno.
Avevano giudicato Cristo secondo la mera sua apparenza esterna, e secondo i loro pensieri e i loro desideri carnali. Eransi fatto un concetto del Messia e del suo regno, non già secondo la Scrittura e lo Spirito Santo, ma secondo il proprio orgoglio e la propria ambizione; quindi rigettavano Gesù, perché non corrispondeva a quel loro ideale. Egli dichiara al contrario che non giudica uomo alcuno non già che Colui che investiga i cuori non sappia apprezzare i caratteri e le azioni degli uomini ma perché la sua prima venuta non aveva per oggetto di pronunziare una sentenza di condanna, bensì di salvare e di benedire. Dopo "alcuno", alla fine di questo versetto, certi commentatori credono che debbansi sottintendere le parole "secondo la carne", o "come fate voi"; ma siccome una tale aggiunta non può farsi alle parole "benché io giudicassi", del ver. 16, non ci pare che la si possa fare neppur qui.

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:24; 1Samuele 16:7; Salmi 58:1-2; 94:20-21; Amos 5:7; 6:12; Habacuc 1:4; Romani 2:1
1Corinzi 2:15; 4:3-5; Giacomo 2:4
Giovanni 8:11; 3:17; 12:47; 18:36; Luca 12:14

16 16. E benché io giudicassi, l'auto giudizio sarebbe verace, perciocché io non son solo; anzi son io e il Padre che mi ha mandato.
Dopo aver dichiarato di non giudicare alcuno, egli aggiunge subito a scanso d'ogni equivoco, che, se avesse voluto esercitare le funzioni di giudice, ne avrebbe avuto pienissimo diritto e ogni giudicio suo sarebbe stato genuino, cioè autorevole e giusto, perché non sarebbe solo giudicio suo, ma pure del Padre che lo avea mandato.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:22-30; 1Samuele 16:7; Salmi 45:6-7; 72:1-2; 98:9; 99:4; Isaia 9:7; 11:2-5
Isaia 32:1-2; Geremia 23:5-6; Zaccaria 9:9; Atti 17:31; Apocalisse 19:11
Giovanni 8:29; 16:32

17 17. Or anche nella vostra legge è scritto, che la testimonianza di due uomini è verace. 18. Io son quel che testimonio di me stesso; e il Padre ancora che mi ha mandato testimonia di me.
Ritornando alla obbiezione presentata dai suoi avversari Giovanni 8:13, cioè che la sua testimonianza isolata non poteva venir ricevuta come verace, Gesù ricorda qui il numero dei testimoni richiesti dalla legge giudaica, per stabilire un fatto qualsiasi, e prova, che a quelle condizioni legali soddisfa perfettamente il caso suo, poiché tutto quanto egli aveva insegnato in Gerusalemme e durante tutto il suo pubblico ministero era fondato sulla parola di due testimoni inoppugnabili, cioè egli medesimo e il Padre che lo avea mandato. Il contenuto di Giovanni 8:15-18 si potrebbe brevemente parafrasare così: "Non solo voi mi giudicate secondo i vostri pregiudizi carnali; ma siete decisi a trattarmi in modo conforme a quel vostro giudicio. Io invece, benché giudichi di voi secondo verità, non son qui per eseguire la vostra sentenza questo è riserbato ad un giorno futuro; eppure il giudicio che pronunzio, e la testimonianza che rendo in questo momento, non sono miei solamente, come supponete, ma sono pure il giudicio e la testimonianza di colui che mi ha mandato. E questi sono i due testimoni che la legge vostra richiede per stabilire qualsiasi fatto" (Brown).

PASSI PARALLELI
Giovanni 10:34; 15:25; Galati 3:24; 4:21
Deuteronomio 17:6; 19:15; 1Re 21:10; Matteo 18:16; 2Corinzi 13:1; Ebrei 10:28; 1Giovanni 5:9
Apocalisse 11:3,12,25,38,51,58; 10:9,11,14,30; 11:25; 14:6; Apocalisse 1:17-18
Giovanni 5:31-40; Ebrei 2:4; 1Giovanni 5:6-12

19 19. Laonde essi gli dissero: Ove è il Padre tuo?
La forma di questa domanda dimostra lo spirito ironico e sarcastico in cui fu fatta. Essi non chiedono: "Chi è tuo padre?" come se fossero incerti di chi parlasse, e desiderassero di venir più chiaramente istruiti, ma: "Ove è il padre tuo?" volendo con ciò fare intendere che il citare come testimonio uno che non si poteva vedere ed interrogare in persona non avea valore alcuno, e che, se un tale testimonio si doveva ritener come valido, occorreva produrlo in persona.
Gesù rispose: Voi non Conoscete né me né il Padre mio; se voi conosceste me, conoscereste ancora il Padre mio.
La stessa loro domanda mostrava che essi erano incapaci di ricevere la vera risposta che a quella si poteva dare. Il grande ostacolo consisteva nel fatto che essi non conoscevano colui che parlava loro la sua origine celeste, la sua divinità e però non capivano il senso nel quale egli parlava. Se, invece, avessero ricevuto e creduto le sue parole, sarebbero giunti alla vera conoscenza di lui, e per mezzo di lui alla rivelazione pure del Padre. Ci vien qui insegnato che se vogliamo giungere alla conoscenza di quella religione che sola può soddisfare le anime nostre, dobbiamo cominciare da Cristo, poiché in Giovanni 14:9 troviamo che Cristo dà alla medesima domanda fatta da un suo discepolo una risposta ben diversa. "Quelli che lo rigettano, come lo rigettarono i Giudei, viveranno e morranno nella ignoranza di Dio, per quanto sieno dotti ed intelligenti; ma l'uomo più umile e più povero, che accetta il Cristo qual Figlio di Dio e Salvatore, imparerà di Dio quel tanto che lo renderà felice per sempre" (Ryle).

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:54-55; 1:10; 7:28; 10:14-15; 15:21; 16:3; Geremia 22:16; 24:7; 1Corinzi 15:34
Galati 4:9; Colossesi 1:10; 1Giovanni 5:20
Giovanni 1:18; 14:6-9; 17:3,25-26; Matteo 11:25; Luca 10:21-22; 2Corinzi 4:4-6; Efesini 1:17
Colossesi 1:15; Ebrei 1:3; 2Giovanni 9

20 20. Questi ragionamenti tenne Gesù in quella parte, dove era la cassa delle offerte,
Per la descrizione della Tesoreria Vedi Nota Marco 12:41. Era posta nel cortile delle donne, la parte più frequentata del tempio, vicinissimo al Gazith o sala del Sinedrio.
insegnando nel tempio; e niuno lo pigliò, perciocché la sua ora non era ancora venuta.
L'Evangelista vuol mettere in rilievo con queste parole che, quantunque Gesù insegnasse tutte queste cose in luogo così pubblico e così frequentato, le autorità non rinnovarono il loro tentativo di arrestarlo, i suoi più ardenti nemici non lo molestarono in verun modo e ciò perché "la sua ora non era ancora venuta". Il Santo Spirito ci mette questo fatto dinanzi agli occhi come la vera spiegazione di ciò che riteneva quelli che volevano uccidere Gesù dall'effettuare il loro proponimento Giovanni 7:30,44; 12:1.

PASSI PARALLELI
1Cronache 9:26; Matteo 27:6; Marco 12:41,43
Giovanni 8:59; 7:8,30,44; 10:39; 11:9-10; Luca 13:31-33; 20:19

21 21. Gesù adunque disse loro di nuovo: io me ne vo, e voi mi cercherete, e morrete nel vostro peccato; là ove io vo, voi non potete venire.
La lotta fra Gesù e i suoi avversari si allarga; non son più solamente i Farisei, ma "Giudei" Giovanni 8:22, ossia tutto il partito dei rettori del popolo, che la sostengono. Gesù approfitta della occasione che gli si offre, per rivolgere loro un ammonimento solenne, in parole molto simili a quelle di Giovanni 7:34. "Lo scopo principale di queste parole è di annunziare il giudicio. Perciò il Signore non si ferma sul pensiero della propria dipartenza, che pur si avvicinava rapidamente, bensì sul destino che li coglierebbe, dopo di quella" (Milligan). La ricerca di cui parla qui il Signore non è quella della fede o del pentimento, poiché chi si pente e crede è certo sempre di trovar Cristo, ma la ricerca della disperazione, quando è imminente la grande e, finale catastrofe. In quell'ora i peccatori si sveglieranno e riconosceranno il loro pericolo e il loro bisogno di Cristo ma sarà troppo tardi, e la morte li coglierà nella loro incredulità e nel loro peccato. Abbiam qui pure l'annunzio profetico della durezza di cuore che avverrebbe ad Israele come nazione, e della sua distruzione a motivo della sua pervicacia nel rigettar colui che Dio avevagli mandato come Salvatore.

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:34; 12:33,35; 1Re 18:10; 2Re 2:16-17; Matteo 23:39; 24:23-24
Giovanni 8:24; Giobbe 20:11; Salmi 73:18-20; Proverbi 11:7; 14:32; Isaia 65:20; Ezechiele 3:18-19
Luca 16:22-26; 1Corinzi 15:17-18; Efesini 2:1
Giovanni 7:34; 13:33; Matteo 25:41,46

22 22. Laonde i Giudei dicevano: Ucciderà egli sé stesso, ch'egli dice: Dove io vo, voi non potete venire?
Questa loro domanda ben prova quanto fossero incapaci di comprendere le cose, spirituali di cui parlava Gesù. Già in Giovanni 7:34, egli aveva annunziato che stava per andarsene là dove essi non avrebbero potuto trovarlo, e allora avevano ironicamente supposto che andrebbe ad insegnare i Giudei della dispersione, quelli cioè che abitavano in mezzo ai Gentili, fors'anche i Gentili medesimi. Questa volta capiscono che la sua partenza significa qualcosa di più di quello che avevano immaginato; ma, anziché risvegliarli ad investigar meglio il suo carattere e l'opera sua, questo detto di Gesù li condusse unicamente ad esprimere il loro odio velenoso in modo più diabolico. Appo i Giudei, il suicidio era messo al livello medesimo dell'assassinio, e Flavio asserisce Bell. Giudici 3:8, 5 che le parti più oscure dell'inferno erano, nel concetto del popolo, riservate a quelli che se ne rendevano colpevoli.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:48,52; 7:20; 10:20; Salmi 22:6; 31:18; 123:4; Ebrei 12:3; 13:13

23 23. Ed egli disse loro: Voi siete da basso, io son da alto; voi siete di questo mondo, io non son di questo mondo.
Senza tener conto della loro malizia, il Signore si contenta di metter loro dinanzi agli occhi la bassa e terrena loro natura, che gli spingeva a beffarsi, perché non intendevano colui che procedeva dai cieli. Il contrasto che ci presenta qui non è, come in Giovanni 3:31, fra sé medesimo, qual maestro assoluto e divino, e i suoi messaggeri terreni, santi sì, ma pur sempre; bensì fra sé medesimo ed uomini imperfetti usciti da un mondo diverso, animati da uno spirito interamente opposto al suo, per cui era impossibile che avessero comunione quaggiù, o dimorassero eternamente insieme nei cieli.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:14; 3:13,31; Salmi 17:4; Romani 8:7-8; 1Corinzi 15:47-48; Filippesi 3:19-21
Giacomo 3:15-17; 1Giovanni 2:15-16
Giovanni 15:18-19; 17:14,16; Giacomo 4:4; 1Giovanni 2:15-16; 4:5-6; 5:19-20

24 24. Perciò vi ho detto che voi morrete ne' vostri peccati, perciocché, se voi non credete che io sia d'esso (lett. ch'io sono, senza desso) voi morrete nel vostri peccati.
Questo versetto contiene al tempo stesso la conclusione derivata dal contrasto di Giovanni 8:23, e la giustificazione della sentenza minacciata in Giovanni 8:21. Egli è perché siete "da basso", "da questo mondo", che ricusate di ricevermi come l'Iddio vivente, e chiunque rifiuta di ricevermi deve morire nei suoi peccati, poiché non vi è salute che per mezzo mio. Il fatto più saliente in questo versetto è l'espressione di cui il Signore fa uso per indicare l'oggetto della fede: "Se voi non credete ch'io sono". L'aggiunta della parola desso, che non si trova nel greco, farebbe credere che Gesù voglia dire semplicemente: "ch'io sono il Messia", laddove stando al testo, egli si dà il gran nome Io SONO, che ogni Israelita ben conosceva, il nome incomunicabile di Jehova. Il Signore fa spesso uso di questa espressione: "Io sono", in senso enfatico, intendendola chiaramente di quella esistenza continua ed immutabile, che può venir posseduta solo da chi è divino. Così fa in questo passo, come pure in Giovanni 8:28,58; 12:19; 18:5. "Mediante le parole Io sono, egli si fa conoscere come la sorgente della vita, della luce e della forza, si presenta come la invisibile maestà di Dio, e come unendo nella sua persona, in virtù dell'essere suo essenziale, il visibile e l'invisibile, il finito e l'infinito" (Westcott).

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:21
Giovanni 3:18,36; Proverbi 8:36; Marco 16:16; Atti 4:12; Ebrei 2:3; 10:26-29; 12:25

25 25. Laonde essi gli dissero: Tu chi sei?
Questa domanda, come la precedente, vien fatta con sovrano disprezzo, per fargli sentire che ben conoscevano l'umile sua origine terrestre, e al tempo stesso con impazienza, perché voglion cavargli di bocca una più chiara spiegazione della parola "Io sono", nella speranza di poterne fare un'accusa formale contro di lui. L'accento della frase è sul pronome tu, ed esprime un disprezzo infinito: "Or bene, finisci la tua frase: tu chi sei?"
E Gesù disse loro: io vi dico ancora lo stesso che ho detto al principio.
A motivo della sua brevità e della sua costruzione, il senso vero di questa risposta del Signore ha dato luogo a molte discussioni. Le difficoltà principali sono la posizione delle parole, e il decidere se si debba leggere in due parole, ovvero in una parola sola. Meyer enumera non meno di otto spiegazioni diverse di queste parole, e chi desideri investigare a fondo questa difficoltà può consultare il suo Commentario, o quelli di Godet e di Lange. In quanto a noi preferiamo la spiegazione di Diodati, che è pure sostanzialmente quella di Crisostomo, Calvino, Bucero, Lightfoot, Cartwright, Rollock, Brown, Ryle, e della versione autorizzata inglese: "Fin dall'entrata della mia vocazione, vi ho detto ciò ch'io dico ancora, che io sono il Figliuol di Dio, il Messia, il Salvatore".

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:19,22; 10:24; 19:9; Luca 22:67
Giovanni 8:12; 5:17-29

26 26. Io ho molte cose a parlare ed a giudicare di voi; ma colui che mi ha mandato è verace le cose che io ho udite da lui, quelle dico al mondo.
"Il senso generale di questo versetto sembra essere: 'Potrei ora, e lo farò quando ne sarà giunto il tempo opportuno, dire e giudicar molte cose di voi', e forse questo ha rapporto all'opera dello Spirito, il quale vien mandato per esercitare il giudicio Giovanni 16:8, non meno che per salvare" (Brown). Però, secondo Westcott ed altri, il senso sarebbe piuttosto il seguente: "Ho molte cose a giudicar di voi, ed esse ci separeranno sempre più; ma devo dirle ad ogni costo, perché son parte della missione mia divina. Colui che mi ha mandato è verace, e le cose che ho udite da lui, prima di scendere sulla terra a compiervi l'opera mia, io le devo annunziare al mondo".

PASSI PARALLELI
Giovanni 16:12; Ebrei 5:11-12
Giovanni 8:16; 5:42-43; 9:39-41; 12:47-50
Giovanni 8:17; 7:28; 2Corinzi 1:18
Giovanni 8:40; 3:32; 7:16; 15:15; 17:8

27 27. Essi non conobbero che parlava loro del Padre.
Questa sorprendente dichiarazione, Meyer vorrebbe spiegarla col supporre che in Giovanni 8:21 Gesù abbia cominciato un nuovo discorso, e che l'Evangelista parli qui di una nuova udienza. Godet suggerisce che le parole "colui che mi ha mandato" sieno state dalla folla comprese come riferentisi, non a Dio stesso, ma ad uno dei profeti, che si aspettava come precursore del Messia. Né l'una né l'altra di queste teorie ci sembra giustificata. Per quanto possa sembrare improbabile, dopo le parole di Gesù al ver. 18: "il Padre che mi ha mandato", non può dubitarsi che qui i Giudei non capiscono che Gesù parla nuovamente del Padre suo, e l'Evangelista non ci avrebbe riferito il fatto senza gravi motivi. Ammettiamo che questa lentezza di comprensione è straordinaria; ma la sperienza giornaliera ci prova che l'ignoranza e la stupidità degli increduli sono talvolta senza limiti.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:43,47; Isaia 6:9; 42:18-20; 59:10; Romani 11:7-10; 2Corinzi 4:3-4

28 28. Gesù adunque disse loro: Quando voi avrete innalzato il Figliuol dell'uomo,
L'insegnamento di questo versetto sembra nascere direttamente dalla mancanza d'intendimento mentovata nel precedente. Già altra volta il Signore aveva parlato della sua morte in questi termini medesimi Giovanni 3:14; ma ciò era avvenuto in privato: questo è il più chiaro annunzio che egli avesse fino a quel momento dato in pubblico del modo e degli autori di essa. I Romani furon quelli che lo inchiodarono sulla croce; ma gli avversari cui rivolgeva questo suo discorso devono considerarsi come i veri suoi uccisori, poiché essi ne tramarono la morte, e fecero sopra Pilato ogni maniera di pressione, affinché egli eseguisse la sentenza Atti 3:13,15. La parola significa levare ad alto, e si deve intendere così della crocifissione come dell'ascensione benché i suoi uditori non la potessero intendere, che della prima; essa contiene il pensiero che il vergognoso innalzamento della croce sarebbe il mezzo della sua reale esaltazione.
allora conoscerete che io son d'esso (d'esso non si trova nel greco, Vedi nota ver. Giovanni 8:24) e che non fo nulla da me stesso, ma che parlo queste cose, secondo che il Padre mi ha insegnato.
Dopo la sua morte e la sua ascensione, avrebbero prove a sufficienza, "benché anche allora potessero ricusare di arrendirvisi", della verità di quanto egli aveva detto delle intime sue relazioni col Padre. Per l'esposizione Vedi note Giovanni 5:19-30. Questa conoscenza potrà acquistarsi in vari modi; per alcuni, mediante l'opera dello Spirito Santo, che Cristo doveva mandare dopo la sua ascensione, e questi la riceveranno a salute; per altri, mediante i giudizi che presto dovranno colpire il popolo, ma a questi arrecherà rovina e disperazione.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:14; 12:32-34; 19:18
Matteo 27:50-54; Atti 2:41; 4:4; Romani 1:4; 1Tessalonicesi 2:15-16
Giovanni 5:19,30; 6:38; 11:42; 12:49-50; Numeri 16:28-30; Ebrei 2:2-3
Giovanni 3:11

29 29. E colui che mi ha mandato è meco il Padre non mi ha lasciato solo; conciossiaché io del continuo faccia le cose che gli piacciono.
V'ha qui una nuova dichiarazione relativa al mistero della sua unità col Padre, e alla personale presenza del Padre col Figlio. In un senso vi fu separazione alla incarnazione, quando Iddio mandò il suo Figliuolo" Galati 4:4; in un altro senso continuò ad esservi fra loro perfetta ed ininterrotta comunione "colui che mi ha mandato è meco" e così fu per tutta la durata dell'opera messianica di Cristo in terra. L'ultima clausola, preceduta da "conciossiaché", è considerata da come la ragione della presenza continuata del Padre: "Come potrebbe egli mai lasciarmi solo, poiché del continuo faccio le cose che gli piacciono?" Così Meyer. Altri la considerano come il segno o la prova di quella presenza medesima. Quest'ultimo, senso ci par da preferirsi. Qual figlio d'uomo ardirà mai pretendere di aver fatto, o di far del continuo le cose che piacciono a Dio? Ma ciò fu vero di Cristo: nessun atto della sua umana natura, a qualsiasi momento della sua vita, ha gettato un'ombra qualunque sullo splendore della presenza di suo Padre. In questo passo, con parole che nessuna creatura umana ardirebbe mai pronunziare, Gesù fa appello alla propria sua coscienza, sicuro di aver condotto una vita ogni atto della quale era piacevole agli occhi del Signore. Con tali parole, egli si proclama chiaramente divino. "Quale impudente bestemmia sarebbe una consimile dichiarazione nella bocca di qualsiasi essere che non fosse Dio? La teoria che Gesù fu il più nobile e il più santo maestro, e nulla più, s'infrange contro dichiarazioni simili a questa. Qual santo, qual profeta ardì mai dir di sé: 'Le cose che sono piacevoli al Signore, son quelle che io fo tuttodì?'" (Plummer).

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:16; 14:10-11; 16:32; Isaia 42:1,6; 49:4-8; 50:4-9; 2Timoteo 4:17,22
Giovanni 4:34; 5:30; 6:38; 14:31; 15:10; 17:4; Isaia 42:1,21; Matteo 3:17; 17:5
Ebrei 4:15; 5:8-9; 7:26; 10:5-10; 1Giovanni 2:1

30 30. mentre egli ragionava queste cose, molti credettero in lui. 31. E Gesù disse al Giudei che gli aveano creduto:
Il "credere" di cui vien qui parlato fu il frutto del discorso pur ora pronunziato da Cristo. Ma parlano entrambi questi versetti delle medesime persone? Molti dicono di sì; incliniamo a credere che si tratti di persone diverse, e ciò per i motivi seguenti:
1. Perché Giovanni 8:30 è la conclusione naturale dell'insegnamento che Cristo veniva di dare. Ci è detto che "molti credettero in lui", senza che nulla indichi che questi credenti appartenessero ad una classe speciale di persone, mentre nel Giovanni 8:31 il Signore si volge evidentemente ad una classe speciale, cioè ai "Giudei", ossia ad aderenti del partito dominante, fino a quel momento acerrimi suoi nemici, che avevano manifestato un principio di fede in lui.
2. Perché l'Evangelista fa uso in quei due versetti di parole assai diverse che indicano due classi distinte di persone: in Giovanni 8:30 "credettero in lui", in Giovanni 8:31 "gli avean creduto". La prima frase indica fede vera in Gesù, tale un'accettazione di lui che implica l'arrenderglisi pieno ed intiero del cuore e di tutto l'uomo; l'altra denota accettazione delle sue parole come vere, senza che il cuore ne sia necessariamente cambiato.
3. Perché la risposta orgogliosa di quei "Giudei" alle parole di Cristo Giovanni 8:33 non si concilia affatto coll'umiltà della fede che, salva, benché non sia punto incompatibile con un mero assentimento dell'intelletto alla verità delle sue parole.
4. Perché colla distinzione esistente nel testo greco, Giovanni 8:30-31, par più naturale adottare la teoria di due classi di credenti, che supporre che l'interruzione del Giovanni 8:33 provenisse da uditori tuttora increduli che si trovavano in mezzo ai credenti; credere in lui è modo di dire caratteristico di Giovanni, Vedi Giovanni 2:11; 3:16,18,36; 4:39; 6:29,35,40,47; 7:5,31,38,48; Giovanni 9:35; 10:42; 11:25,45,48; 12:11,36,42,46; 14:1,12; Giovanni 16:9; 17:20. credere a me, occorre Giovanni 4:21; 5:24,38,46; 8:45-46; 14:11.

31 Se voi perseverate nella mia parola, voi sarete veramente miei discepoli;
I credenti di cui è parlato in questo versetto conservavano tuttora i loro sentimenti ed i loro pregiudizi; continuavano a dividere, le aspirazioni dei loro concittadini riguardo alla fama terrena, e all'impero universale del Messia; ma ne differivano in quanto che erano ora disposti a riconoscere in Gesù, in seguito a tutto ciò che avevano udito di lui, la persona nella quale le loro aspirazioni verrebbero probabilmente realizzate. La esortazione del Signore è perfettamente appropriata alla condizione spirituale di coloro cui veniva rivolta; essa è il misericordioso riconoscimento di una fede incipiente: "Se credete che io sono il Messia, basta che perseveriate nella mia parola, e dimoriate sotto la influenza di essa, ad onta di tutti gli ostacoli, difficoltà o prove che potrete incontrare sulla vostra via, e tosto avrete la prova che siete veramente discepoli miei". "Osservisi l'importanza che questo Vangelo dà sempre alla parola di Gesù. Nel modo stesso che la Parola rivela il Padre e conduce al Padre, così la parola di Gesù lo rivela agli uomini, e li attira a lui, mediante la potenza dello Spirito di verità" (Milligan).

PASSI PARALLELI
Giovanni 2:23; 6:14; 7:31; 10:42; 11:45
Giovanni 6:66-71; 15:4-9; 1Samuele 12:14; Matteo 24:13; Atti 13:43; 14:22; 26:22; Romani 2:7
Romani 11:22; Colossesi 1:23; 1Timoteo 2:15; 4:16; 2Timoteo 3:14; Ebrei 3:14; 8:9; 10:38-39
Giacomo 1:25; 1Giovanni 2:19,24
Giovanni 8:36; 1:47; 6:55; 15:8; 1Timoteo 5:3-5

32 32. E conoscerete la verità, e la verità vi francherà.
Essi trovavansi, per così dire, sulla frontiera; non avevano ancora della verità una conoscenza sufficiente perché si impiantasse nel loro cuore la vera fede, ma potevano progredire fino a divenir veri discepoli, o anche ricadere in tenebre più fitte di prima. Epperciò Gesù li esorta a dimorare nella sua parola, perché in essa sola possono gli uomini imparare la verità" che salva, cioè quella che ci rivela la natura di Cristo, la sua missione, il suo Vangelo, e che ci rende "liberi". Gesù non può parlare qui che di libertà spirituale, libertà dalla colpa, dal peso e dal dominio del peccato, nonché dal duro giogo del Fariseismo. La religione di Cristo è apportatrice all'uomo della più verace libertà personale. Quando la verità qual'è in Gesù prende possesso del cuore di un peccatore, vi genera subito la più meravigliosa libertà dalla schiavitù del peccato, dalle rodenti sollecitudini, dalle passioni turbolenti, dalla tirannia di Satana, dal timor della morte. Per essa l'intelletto si affranca da ogni tenebre 2Corinzi 3:17, e la volontà da ogni peccaminoso servaggio Romani 7:23,25.

PASSI PARALLELI
Giovanni 6:45; 7:17; 14:6; 16:13; Salmi 25:5,8-9; Proverbi 1:23,29; 2:1-7; 4:18
Cantici 1:7-8; Isaia 2:3; 30:21; 35:8; 54:13; Geremia 6:16; 31:33-34; Osea 6:3
Malachia 4:2; Matteo 11:29; 13:11-12; 2Timoteo 3:7
Giovanni 8:36; 17:17; Salmi 119:45; Isaia 61:1; Romani 6:14-18,22; 8:2,15; 2Corinzi 3:17-18
Galati 5:13; 2Timoteo 2:25-26; Giacomo 1:25; 2:12; 1Pietro 2:16

33 La superficialità della fede di questi nuovi aderenti dimostrata dal loro orgoglio genealogico. Gesù li condanna più severamente ancora, e dichiara di avere esistito prima di Abrahamo. I suoi uditori lo vogliono lapidare Giovanni 8:33-59

33. Essi gli risposero
Il pronome "essi" indica che questi interruttori sono le medesime persone di cui parla Giovanni 8:31 e alle quali Gesù nuovamente si rivolge in Giovanni 8:36, e non già un partito ostile nella folla.
Noi siam progenie d'Abrahamo, e non abbiam mai servito ad alcuno come dici tu: Voi diverrete franchi?
In Giovanni 8:31-32 il Signore ha messo alla prova la fede di questi "Giudei", e la superficialità di essa diviene subito apparente. Le parole rivolte loro dal Signore in quei versetti erano state parole di incoraggiamento, che avrebbero rallegrato e confortato il cuore di principianti, purché veri credenti; ma il loro orgoglio di razza subito si ribella contro la minima nozione di inferiorità, ed essi rigettano senz'altro, come insultante, una promessa di cui non conoscono il valore e l'estensione. Se credevano che egli potesse essere il Messia, le loro parole significano che non volevano da lui libertà, perché già si credevano liberi; volevan bensì ed aspettavano da lui che riducesse le nazioni tutte sotto il dominio d'Israele. Indi l'insolenza della loro domanda: "Come dici tu Voi diverrete franchi?". L'orgoglio di sapersi discendenti da Abrahamo dominava talmente nel loro cuore, da cancellare, per un momento, dalla loro memoria i fatti ben noti della storia loro passata e contemporanea, ed essi non si peritano di dire a Gesù: "Non abbiamo mai servito ad alcuno", scordando i 400 anni della schiavitù d'Egitto, i 300 anni all'incirca di sottomissione ai Filistei e ad altri popoli vicini, i 70 anni della cattività di Babilonia, e il dominio romano che già pesava su di essi, e tosto doveva distruggere ogni vestigio di nazionale indipendenza nella Palestina. Così contraria è la loro asserzione ad ogni verità storica che Alford caritatevolmente suggerisce che la parola "abbiam servito" aveva forse un senso tecnico a noi ignoto che poteva giustificare il loro dire.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:39; Levitico 25:42; Matteo 3:9; Luca 16:24-26
Giovanni 19:25; Genesi 15:13; Esodo 1:13-14; Giudici 2:18; 3:8; 4:3; Esdra 9:9; Nehemia 5:4-8
Nehemia 9:27-28,36-37

34 34. Gesù rispose loro: in verità, in verità, io vi dico, che chi fa il peccato è servo del peccato.
Con queste parole il Signore spiega di qual libertà egli facesse l'offerta ai suoi uditori, ed esclude la questione politica, dai medesimi messa innanzi, ma che non aveva nulla da fare collo scopo suo. Dichiara che intendeva parlare della schiavitù sotto il peccato, schiavitù alla quale essi non avevano mai pensato e dalla quale non potevano vantarsi esenti. Le parole "chi fa il peccato" non si riferiscono ad atti peccaminosi isolati, nei quali un vero credente può spesso cadere e dai quali si ottiene perdono e liberazione ricorrendo subito al sangue di Cristo, bensì al commettere abitualmente e sistematicamente il male. Di più "servo" è traduzione troppo debole di "doulos", che suona degradazione e schiavitù senza speranza; la vera traduzione sarebbe schiavo, che corrisponde a Giovanni 8:33. Questo versetto insegna che chi vive una vita di peccato è schiavo, che ogni peccato non è un mero accidente della vita, ma un segno della natura di essa, e della schiavitù nella quale essa faticosamente si trascina Romani 6:16. Questa grande verità non era ignota ai moralisti pagani; ma essi l'applicavano solo al vizio, essendo perfettamente estranei alla nozione biblica del peccato.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:3; Matteo 5:18
1Re 21:25; Proverbi 5:22; Atti 8:23; Romani 6:6,12,16,19-20; 7:14,25; 8:21
Efesini 2:2; Tito 3:3; 2Pietro 2:19; 1Giovanni 3:8-10

35 35. Or il servo non dimora in perpetuo nella casa; il figliuolo vi dimora in perpetuo.
Il nesso fra il versetto precedente e questo ci sembra essere il seguente: Gesù aveva loro offerto liberazione come a schiavi Giovanni 8:32 In tal qualità essi non avevano diritto alcuno alla eredità di Abrahamo, all'adottazione come figliuoli, al possesso esclusivo del regno di Dio al quale invero non appartenevano affatto. Ora Gesù ricorda loro che lo schiavo non aveva diritto ad un posto stabile nella famiglia, che lo si poteva vendere ad altri, o anche scacciarlo ad ogni momento; e siccome essi medesimi erano stati i primi a parlare della loro discendenza da Abrahamo secondo la carne, è molto probabile che, con queste parole, il Signore intendesse presentar loro a modo di illustrazione il caso di Agar e di Ismaele. Uno solo dopo il padre, e quale suo rappresentante, può esercitare autorità nella famiglia, ed emancipare gli schiavi; questi è il figlio, perché egli, quale erede, vi dimora in perpetuo. Questo versetto mette avanti un principio generale, e nel seguente, il Signore ne fa l'applicazione, mentre gli apostoli vi fanno frequenti allusioni nei loro scritti Romani 6:20; Galati 4:30; 2Pietro 2:19. Per i Giudei, sempre pronti a rappresentarsi la teocrazia (il regno di Dio), sotto la figura di una famiglia, il principio qui promulgato dal Signore doveva riuscire facilmente intelligibile.

PASSI PARALLELI
Genesi 21:10; Ezechiele 46:17; Matteo 21:41-43; Galati 4:30-31
Giovanni 14:19-20; Romani 8:15-17,29-30; Galati 4:4-7; Colossesi 3:3; Ebrei 3:5-6; 1Pietro 1:2-5

36 36. Se dunque il Figliuolo vi franca, voi sarete veramente franchi.
Se prendiamo queste parole in un senso generale, come fanno alcuni, esse vorrebbero semplicemente dire: "Se il Figlio della casa vi libera, la vostra libertà è assicurata per sempre, perché egli sarà sempre presente per farla rispettare". Una tal conclusione si potrebbe facilmente dedurre da Giovanni 8:35; ma qui il Signore fa della figura precedente un'applicazione particolare a sé medesimo ed ai suoi uditori. Già aveva loro chiaramente detto di essere il Figliuolo di Dio; come tale egli dimora in eterno nella casa di suo Padre e in essa esercita autorità suprema. La sua permanenza nella casa paterna è di diritto, ed è eterna; egli solo adunque può liberarli dalla schiavitù del peccato, innalzarli al proprio suo livello, e a tutti i privilegi di "figli di Dio", e così farli "veramente franchi". Tanto nella sua misericordia egli promette di fare Giovanni 8:32. "Se dunque", dice Brown, "essi vogliono essere uniti alla famiglia di Dio in modo reale, legittimo e permanente, occorre che il Figliuolo li affranchi, e li adotti come figliuoli e figliuole dell'Iddio onnipotente".

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:31-32; Salmi 19:13; 119:32,133; Isaia 49:24-25; 61:1; Zaccaria 9:11-12
Luca 4:18; Romani 8:2; 2Corinzi 3:17; Galati 5:1

37 37. Io so che voi siete progenie d'Abramo ma voi cercate di uccidermi,
Questi credenti di Gerusalemme si vantavano di due cose:
1. di essere discendenti di Abrahamo;
2. di non esser mai stati servi di alcuno.
Il Signore si occupò primieramente della seconda di queste asserzioni, e in Giovanni 8:34-36 la dimostrò vana ed insostenibile. In questo versetto egli si occupa del loro primo vanto, e pure ammettendolo, dal punto di vista legale e carnale, lo distrugge completamente, per quanto spetta alla loro condotta morale e spirituale, inquantoché essi cercavano di far morire un innocente. Il suo riconoscimento della loro discendenza naturale serve solo a dar forza al rimprovero che vien subito dopo. "Qual contrasto! Discendenti di Abrahamo; uccisori di Cristo!" (Lange). Purtroppo l'accusa era vera. Breve era stata la durata della loro fede; essa si dissipò non appena si avvidero che era vano sperare che Gesù si piegasse ad adempiere i loro sogni messianici, e subito li riprese la corrente del partito gerarchico, il cui proposito incrollabile era la morte di Gesù.
perciocché la mia parola non cape in voi.
Qui è la ragione della ostilità che insieme ai loro capi essi nutrivano contro a Gesù: la sua parola non aveva fatto progresso alcuno nei loro cuori. Era giunta alle loro orecchie; per un istante aveva brillato dinanzi alla loro mente; ma non aveva fatto sopra il loro cuore nessuna impressione durevole. Alcuni traducono: "non trova posto in voi" ovvero "non trova entrata in voi"; ma ci par preferibile, come corrispondente meglio al senso del versetto e allo stato di coloro cui sono rivolte queste parole, il tradurle: "non fa progressi in voi", cioè nei vostri cuori.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:33; Atti 13:26; Romani 9:7
Giovanni 8:6,40,59; 5:16-18; 7:1,19,25; 10:31; 11:53
Giovanni 8:43,45-47; 5:44; 12:39-43; Matteo 13:15,19-22; 1Corinzi 2:14

38 38. Io parlo ciò che ho veduto appo il Padre mio; e voi altresì fate le cose che avete vedute appo il padre vostro.
Il nesso di questo col precedente versetto può essere, come suggerisce Plummer, che le parole di Cristo non, facevano progressi in loro, perché dalla differenza dei loro atti scorgevasi quanto fossero differenti la loro natura e la loro origine. Il verbo può essere imperativo: fate, o indicativo: voi fate, e il senso dato all'ultima clausola del versetto da quelli che adottano il modo imperativo e al tempo stesso accettano avete udito, al posto di avete veduto, e omettono i pronomi e, sarebbe: "Fate! dunque altresì voi le cose che avete udite dal padre vostro". Lette così, queste parole conterrebbero un'ultima esortazione del Signore a quei Giudei che avevano momentaneamente creduto in lui, prima di lasciarli adempiere i loro disegni. Il senso più autorevole del versetto ci sembra essere: "Io dichiaro quelle, verità delle quali da ogni eternità ho piena conoscenza in virtù della mia relazione col Padre, e voi, in forza di una relazione analoga, commettete quei peccati che il vostro padre vi suggerisce". Che questo sia il senso vero di questo versetto ci par confermato dal contrasto che Gesù ha già stabilito fra essi e lui in Giovanni 8:23.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:26; 3:32; 5:19,30; 12:49-50; 14:10,24; 17:8
Giovanni 8:41,44; Matteo 3:7; 1Giovanni 3:8-10

39 39. Essi risposero e gli dissero: Il padre nostro è Abrahamo. Gesù disse loro: Se voi foste figliuoli d'Abrahamo, fareste le opere d'Abrahamo. 40. Ma ora voi cercate d'uccider me uomo, che vi ho proposta la verità ch'io ho udita da Dio; ciò non fece già Abrahamo.
Affermata una volta di più la loro discendenza da Abrahamo, il Signore dichiara che, quantunque figli di Abrahamo per discendenza carnale, non lo erano però in quanto a fede ed a santità. Non erano animati dal suo spirito, se no avrebbero imitato le sue opere; mentre al contrario cercavano di uccidere colui che annunziava loro le verità udite da Dio Padre. Son qui specificate due cose nelle quali essi agivano in diretta opposizione ad Abrahamo:
1. nutrivano in cuore intenzioni omicide;
2. rigettavano la verità loro fatta rivelare da Dio.
Nella epistola ai Romani, Paolo ci presenta un contrasto analogo fra i Giudei carnali e i Giudei spirituali: "Perciocché non è Giudeo colui che l'è in palese... Ma Giudeo è colui che l'è in occulto". "Non quelli che sono figliuoli della carne sono figliuoli di Dio; ma i figliuoli della promessa" ecc. Romani 2:28-29; 9:8. Non è possibile esagerare l'importanza di una tale distinzione, perché essa stabilisce il grande principio che l'esser nati da credenti, e l'appartenere ad una Chiesa speciale non giovano a nulla, se non si ha la grazia nel cuore; anzi sono argomenti di maggiore condanna".

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:33
Giovanni 8:37; Matteo 3:9; 5:45; Romani 2:28-29; 4:12,16; 9:7; Galati 3:7,29; Giacomo 2:22-24
Giovanni 8:37; Salmi 37:12,32; Galati 4:16,29; 1Giovanni 3:12-15; Apocalisse 12:4,12-13,17
Giovanni 8:26,38,56
Romani 4:12

41 41. Voi fate le opere del padre vostro.
È ripetuta qui l'accusa di Giovanni 8:38. Se dunque Abrahamo non è il padre loro, "di chi sono essi figliuoli?" Gesù non vorrebbe nominar Satana come loro padre; preferirebbe che essi comprendessero il suo pensiero, senza costringerlo a profferire un'accusa così diretta e così ripugnante; e sembra che i loro sospetti sieno stati risvegliati, perché lasciano cadere la parentela letterale e adottano il suo linguaggio figurativo. Capiscono che si tratta di una paternità spirituale; ma, anziché comprendere che egli parla di Satana, subito e con grande audacia proclamano che il padre loro è Dio.
Laonde essi gli dissero: Noi non siam nati di fornicazione; noi abbiamo un, solo padre, che è Iddio.
Il significato di questo loro nuovo vanto si è, che nella loro figliazione spirituale non v'è traccia di illegittimità, perché Dio solo era il padre loro, ed esso sempre avevano adorato. Fornicazione, quando questa parola viene usata in senso spirituale o figurativo, significa idolatria; in tal senso l'impiegano del continuo i profeti dell'Antico Testamento Ezechiele 3:1,3, e tale ne è pur qui il significato. In una discussione relativa alla paternità spirituale, una tale immagine era perfettamente naturale in bocca di un Giudeo. Secondo alcuni scrittori, questa risposta dei Giudei vorrebbe dire che essi sono i figliuoli di Sara, non di Agar; secondo altri, che non sono una razza bastarda, così per l'origine, come per la religione, quali erano i Samaritani loro vicini; ma il senso migliore perché il più naturale di queste parole si è che la loro figliazione divina non era stata macchiata da idolatria, perché sempre si erano distinti dagli altri popoli, coll'adorare puramente un solo Dio. Gente senza scrupolo, nel calore della discussione, si lascia facilmente sfuggir di bocca una menzogna, se no il ricordo della loro storia nazionale, specialmente dai tempi di Salomone, alla cattività di Babilonia, li avrebbe trattenuti dal profferire un vanto così infondato.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:38,44
Isaia 57:3-7; Ezechiele 23:45-47; Osea 1:2; 2:2-5; Malachia 2:11
Esodo 4:22; Deuteronomio 14:1; Isaia 63:16; 64:8; Geremia 3:19; 31:20; Ezechiele 16:20-21
Malachia 1:6

42 42. E Gesù disse loro: Se Iddio fosse vostro padre, voi mi amereste; conciossiaché io sia proceduto e venga da Dio; poiché io non son venuto da me stesso, anzi esso mi ha mandato.
La prova morale che Dio non era il loro padre trovavasi nella loro mancanza di amore per Gesù. Invero, se Dio fosse stato il loro Padre spirituale, non avrebbe potuto mancar di esistere un legame di simpatia fra essi e il Figliuol di Dio. L'istinto della loro natura spirituale, se fosse stata derivata da Dio, si sarebbe sentito attratto verso colui la cui natura era divina, e il quale, procedendo da Dio, si era messo in comunicazione con loro. L'agir diversamente sarebbe stato un agire contro natura. "Chiunque ama colui che lo ha generato ama ancora colui che è stato generato da esso" 1Giovanni 5:1. Egli trovavasi in mezzo a loro, non per suo solo volere, non come una persona senza mandato, ma come uno cui il Padre avea affidata l'alta missione di rivelare al suo popolo la sua natura e la sua volontà; se dunque essi fossero stati veramente figli di Dio, lo avrebbero accolto con amore e con allegrezza, come un messaggero del Padre loro come il promesso Messia. L'argomento di questo versetto è inoppugnabile!

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:23; 15:23-24; Malachia 1:6; 1Corinzi 16:22; 1Giovanni 5:1-2
Giovanni 1:14; 16:27-28; 17:8,25; Apocalisse 22:1
Giovanni 5:43; 7:28-29; 12:49; 14:10; 17:8,25; Galati 4:4; 1Giovanni 4:9-10,14

43 43. Perché non intendete voi il mio parlare? perciocché voi non potete ascoltar la mia parola.
Se Cristo e i Giudei fossero stati entrambi uniti spiritualmente a Dio, nulla sarebbe stato più facile per essi che il comprendere le sue parole, nelle quali egli manifestava loro le grandi cose della legge di Dio. Da che dunque derivava questa mancanza d'intendimento per parte loro? Gesù ce lo spiega col dire che "essi sono schiavi del nemico della verità, il quale, riempiendo il loro cuore di passioni violenti e di odio, li rende sordi alla voce del vero, che parla loro per bocca di Gesù" (Godet) In questo versetto il Signore fa una distinzione evidente fra "lalian, parlare, discorso" e "logon, parola": quest'ultimo vocabolo ha un senso più profondo del primo. Il parlare è il modo suo ordinario di esprimersi; la parola indica la sua dottrina. Se essi avessero conosciuto la dottrina della salute, quale era stata rivelata dai profeti e da Cristo medesimo, non avrebbero continuamente frainteso e male interpretato il linguaggio del suo insegnamento giornaliero. Ma, avendo i cuori induriti e chiusi alla verità, e i loro voleri essendo opposti alla sua dottrina, ad ogni istante prendevano in senso contrario le espressioni e le figure colle quali Gesù sforzavasi di comunicar loro il suo insegnamento.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:27; 5:43; 7:17; 12:39-40; Proverbi 28:5; Isaia 44:18; Osea 14:9; Michea 4:12
Romani 3:11
Giovanni 6:60; Isaia 6:9; Geremia 6:10; Atti 7:51; Romani 8:7-8

44 44. Voi siete dal diavolo, che è vostro padre; e volete fare i desideri del padre vostro;
In Giovanni 8:38 Gesù aveva già detto che suo Padre non era loro padre; ora finalmente egli dichiara che padre loro è il diavolo, e ne dà per prova la loro prontezza ad eseguire tutti i suoi desideri. Fondandosi sul principio generico che i figli imitano l'esempio del padre loro, Cristo aveva già negato a quei Giudei il diritto di chiamarsi figliuoli di Abrahamo o di Dio; ed ora, in forza del principio medesimo, egli dimostra in modo innegabile la loro discendenza spirituale da Satana, perché l'inclinazione naturale e prediletta del loro cuore (i desideri del padre vostro volete fare) è di adempierne la volontà. Le parole: "voi volete fare" indicano che la libertà di volere dell'uomo è il fondamento della sua condanna. In questo nostro secolo scettico, si propende sempre più a negare la esistenza del diavolo, a trattarlo come un mito, indegno dell'attenzione di qualsiasi mente spregiudicata; ma, ben a ragione dice Alford: "Questo versetto è una delle testimonianze più decisive per stabilire la personalità obbiettiva di Satana. E affatto impossibile vedere un accomodamento alle idee giudaiche, o una metafora, in un'asserzione così diretta e così solenne come questa". Una traduzione mostruosa, per quanto grammaticalmente possibile, vien data da certuni, che attribuiscono a questo Vangelo una origine gnostica: "Voi, siete discendenti dal padre del diavolo"; ma una tale idea è affatto contraria alla Scrittura, non armonizza col contesto, e se anche fosse vera, non diminuirebbe in nulla la forza della condannazione pronunziata dal Signore sopra quei Giudei, poiché farebbe di loro i fratelli, anziché i figli del diavolo. L'espressione "vostro padre il diavolo" non deve essere considerata come se insegnasse una differenza originale nelle nature degli uomini. Tutti sono ugualmente figli di Dio in quanto spetta alla creazione Atti 17:28-29, tutti sono formati alla sua santa immagine; ma tutti sono ugualmente caduti per il peccato, in forza del quale Satana ha ottenuto una tale padronanza sulla maggioranza degli uomini da essere divenuto praticamente il loro padre, in opposizione a quelli che Dio ha "creati in Cristo Gesù a buone opere" Efesini 2:10. Il Signore fa uso qui di un ebraismo assai comune, per il quale quelli che erano in intima relazione con un altro, e sotto l'influenza sua predominante, erano detti suoi figliuoli. Non è però una schiavitù che li leghi piedi e mani contrariamente al proprio volere, bensì un servaggio che lega la propria loro volontà e li conduce a prestar pronta e volonterosa ubbidienza ai voleri di Satana.
egli fu micidiale dal principio,
Nel resto di questo versetto, il Signore descrive i tratti essenziali del carattere di Satana, affin di far risaltare sempre maggiormente la rassomiglianza fra lui ed essi, ed al tempo stesso per risvegliar tutti gli uomini a pregare e a stare in guardia contro il gran nemico delle anime. La carriera micidiale di Satana non cominciò solamente, come suppongono alcuni, quando egli spinse Caino ad uccidere Abele 1Giovanni 3:12; egli fu tale "dal principio", cioè dal giorno in cui, avendo fatto cadere Adamo nel peccato, fu causa di morte per lui e per tutta la sua progenie. Egli è per aver fatto entrar la morte nel mondo, nel senso più generico, che il Signore della vita accusa Satana di essere micidiale. E al momento stesso in cui parlava, Gesù sapeva che l'intento cui Satana mirava con tutte le sue forze era di far morire il "Figliuol dell'uomo"; e siccome quelli cui parlava tenevansi pronti a secondare il suo piano, riusciva impossibile negare la stretta relazione che passava fra di loro.
e non è stato fermo nella verità;
Queste parole devono probabilmente intendersi della caduta di Satana da quello stato di santità e di verità nel quale egli era stato creato. Siccome "esteken" a rigore significa: sta fermo, e non già: è stato fermo, Lucke ed altri contestano che si tratti qui della caduta di Satana dal suo stato primiero, mentre Olshausen ed altri credono che questa caduta sia qui semplicemente supposta. Ma Brown, e con esso Alford, spiega in modo soddisfacente che quantunque la forma del pensiero sia il presente non il passato questo ha per scopo di esprimere l'importante idea che tutto il carattere e tutta l'attività di Satana sono una aberrazione continua dalla verità e dalla rettitudine sua originale.
conciossiaché verità non sia in lui;
"Questo significa che egli è internamente destituito di verità, mancante di tutta quella santa e trasparente rettitudine, che egli possedeva in principio, quale creatura di Dio. La menzogna è divenuta la vera e propria sua natura, epperciò egli è interamente alieno dalla verità di Dio" (Alford).
quando proferisce la menzogna, parla del suo proprio;
cioè dalle proprie risorse, dal proprio tesoro. Egli non soggiace ad una tentazione esterna; la sua menzogna è generata in lui, e nasce da una natura che non è altro che obliquità. Il Signore stesso ci dà la chiave di questo versetto, là dove dice che "la bocca parla di ciò che sovrabbonda nel cuore", e che le cattive azioni dei malvagi procedono "dal malvagio tesoro del cuore" Matteo 12:34-35. Del padre come dei figliuoli si può dire che, essendo il loro cuore pieno di menzogna, nient'altro che menzogna ne può venir fuori. "La traduzione: dalle proprie risorse", dice Godet, "caratterizza mirabilmente la facoltà creatrice di un essere separato da Dio, capace di produrre qualche cosa, anzi talvolta grandi cose; ma le cui creazioni, in quanto che son prodotte indipendentemente da Dio, altro non sono mai che una vana fantasmagoria".
perciocché egli è mendace e il padre della menzogna
Nella clausola precedente Satana era stato presentato come micidiale, in questa vien rivelato come bugiardo ed ingannatore, destituito di verità in quanto alla propria natura, padre della menzogna e di "chiunque ama e commette falsità" Apocalisse 22:15. L'ultima parola di questo versetto nel greco, è che può esser maschile o neutro. Diodati ha fatto bene secondo noi adottando il neutro, riferendolo a "menzogna" e traducendo come ha tradotto, perché tutta la menzogna che esiste nel mondo deve a Satana la sua esistenza. Così pure traducono Origene, Agostino, Calvino, Bucero, Beza, Barnes, Brown, e il maggior numero dei commentatori. Ma Bengel, Stier, Hengstenberg, Meyer, Luthardt, Alford e Godet prendono conte maschile, e facendone il pronome relativo di "mendace" traducono: "padre del mentitore, perché considerano che il soggetto qui trattato non è l'origine filosofica della menzogna, ma la figliazione morale di quelli cui Cristo parlava. "Che versetto è questo!" esclama Brown. "Esso accusa primieramente il diavolo di esser l'uccisore della razza umana; quindi lo addita come il padre di questa razza umana nella sua decadenza, il quale comunica ai suoi figli le proprie passioni malvagie, la propria perpetua mendacità, spronando le medesime ad attività continua. Ma siccome ora 'uno più potente di lui, sopraggiunge e lo vince' Luca 11:22, sono solo quelli che 'amano le tenebre', che sono chiamati figliuoli del diavolo" Matteo 12:38; 1Giovanni 3:8-10.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:38,41; 6:70; Genesi 3:15; Matteo 13:38; Atti 13:10; 1Giovanni 3:8-10,12
Genesi 3:3-7; 1Re 22:22; 1Cronache 21:1; Giacomo 4:1-7; 1Pietro 5:8; Apocalisse 2:10; 9:11
Apocalisse 13:6-8; 20:7-9
2Pietro 2:4; Giuda 6
Genesi 3:4-5; 2Cronache 18:20-22; Giobbe 1:11; 2:4-6; Atti 5:3; 13:10; 2Corinzi 11:3
2Corinzi 11:13-15; 2Tessalonicesi 2:9-11; Apocalisse 12:9; 13:14; 20:2-3,10; 21:8; 22:15

45 45. Ma, quant'è a me, perciocché io dico la verità, voi non mi credete.
Cristo mette qui in contrasto la propria veracità, colla mendacità di Satana, e l'argomento che ne deduce è evidentemente questo: "Se io dicessi il falso, subito mi credereste, tanta è l'attrattiva che la menzogna ha per voi; ma perché annunzio la verità, voi rifiutate di accettarla, e di credere che io procedo da Dio".

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:19-20; 7:7; Galati 4:16; 2Tessalonicesi 2:10; 2Timoteo 4:3-4

46 46. Chi di voi mi convince di peccato? e se io dico verità, perché non mi credete voi?
hamartia significa peccato nel senso più stretto della parola, non già errore di argomentazione, o solo il peccato speciale di impostura o di menzogna. Questi due sensi si trovano bensì nel greco classico non nel Nuovo Testamento o nella versione dei 70. In questa sfida risplende tutta la maestà divina! Gesù proclama qui di esser certo che la vita sua è interamente conforme alla volontà del Padre, e sfida anche i più accaniti fra i suoi avversari di portare qualsiasi accusa contro di lui; o di additare la più piccola macchia nella purissima sua vita. Quando dunque ci ricordiamo che colui il quale con queste parole sfida gli uomini di convincerlo di peccato non si sarebbe mai accontentato di una purezza o moralità meramente esterne Matteo 23:26-28, riconosceremo di aver qui una dichiarazione di immunità assoluta dal peccato, così in pensieri, come in parole e in atti. Nessuno fra coloro cui il Signore rivolse questa sfida, ardì alzar la voce per contraddirlo; la conoscenza della sua vita immacolata toglieva loro ogni pretesto di incredulità; perché dunque, domanda egli, persistono a non credere? Se egli fosse un uomo noto per la sua vita peccaminosa, avrebbero qualche ragione di mettere in dubbio la sua veracità, ma la menzogna è incompatibile colla impeccabilità; non vi ha dunque scusa alcuna per la loro mancanza di fede. "Il suo ragionamento sembra essere il seguente: "Vi sfido tutti quanti a provarmi colpevole di qualsiasi trasgressione della legge; faccio appello alla santità della mia vita come prova della mia veracità. Se dunque io dico il vero, quale spiegazione potete dare della vostra incredulità?" (Webster e Wilkinson).

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:7; 14:30; 15:10; 16:8; 2Corinzi 5:21; Ebrei 4:15; 7:26; 1Pietro 2:22
Matteo 21:25; Marco 11:31

47 47. Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; perciò voi non l'ascoltate, perciocché non siete da Dio.
Il Signore risponde qui ai perché di Giovanni 8:43 e Giovanni 8:46, e ci dà egli stesso la ragione della reiezione delle sue parole: "L'uomo che è nato da Dio ascolterà e crederà naturalmente, e per istinto spirituale, parole che da Dio provengono. Rifiutando di credere a tali parole, quando vi sono recate da me, dimostrate all'evidenza di non essere da Dio". L'attenzione che uno dà alle parole di Dio, e l'interna esperienza che egli fa del loro potere, sono per lui, medesimo una prova che quelle parole sono da Dio, e che a Dio egli pare appartiene. Se rimaniamo indifferenti a tali parole, ciò prova che non siamo nati da Dio 1Giovanni 5:10. Importa notare che, in tutto questo discorso, il Signore separa molto recisamente quelli che sono "di Dio", da quelli che non sono di lui.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:37,43,45; 1:12-13; 6:45-46,65; 10:26-27; 17:6-8; 1Giovanni 3:10; 4:1-6; 5:1
2Giovanni 9; 3Giovanni 11

48 48. Laonde i Giudei risposero e gli dissero: Non diciamo noi bene che tu sei Samaritano, e che hai il demonio?
La dichiarazione che essi non erano "da Dio", insieme a quella di Giovanni 8:44 che il diavolo era il loro padre, ferì al vivo gli avversari di Gesù; essi non cercarono neppure di rispondere al suo ragionamento, ma subito lo coprirono di insulti e di improperi. Le parole "non diciamo noi bene", sì riferiscono all'accusa che essi avevano portata prima contro a Gesù Giovanni 7:20, e ne sono una enfatica ripetizione. Al tempo stesso essi rivolgono sdegnosamente sopra Gesù medesimo l'accusa che egli aveva scagliata contro di loro, di essere cioè la progenie di Satana. "Samaritano", sulle loro labbra non significa solamente che lo considerano come un Giudeo degenerato. è un'accusa di impostura egli pretende di essere Giudeo; ma non lo è, e non ha nulla di comune con Abrahamo "come era il caso dei Samaritani", e in questo modo ritorcevano contro di lui l'accusa colla quale egli avea negato la loro discendenza dal padre dei fedeli. Potrebbe pure esservi qui un'allusione alla visita fatta da Gesù ai Samaritani, l'anno precedente Giovanni 4:1-54. Nel riferirci gli epiteti lanciati a Gesù in questa circostanza, Giovanni ci dà una prova di più della perfetta sua conoscenza delle idee e delle espressioni correnti in Palestina a quel tempo; e sentiamo che parla come testimone oculare dei fatti che racconta.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:52; 13:13; Matteo 15:7; Giacomo 2:19
Giovanni 4:9; 7:20; 10:20; Isaia 49:7; 53:3; Matteo 10:25; 12:24,31; Romani 15:3
Ebrei 13:13

49 49. Gesù rispose: Io non ho demonio ma onoro il Padre mio, e voi mi disonorate.
Questa risposta di Gesù ben corrisponde a quello che Pietro ci dice del suo Maestro: "Il quale, oltraggiato, non oltraggiava all'incontro; patendo, non minacciava; ma si rimetteva in man di colui che giudica giustamente" 1Pietro 2:23. Non si ferma sull'accusa lanciatagli di essere un Samaritano. Essa non conteneva nulla di offensivo per lui, perché egli ben sapeva che i Samaritani potevano superare i Giudei in fede, benevolenza e gratitudine Giovanni 4:39-42; Luca 10:33; 17:16. Nella semplice negazione dell'accusa di avere un demonio, vediamo che, malgrado la severità del suo linguaggio in tutto questo discorso, Gesù conservò sempre una calma perfetta, e non manifestò mai la più piccola irritazione. In tutte le misteriose dichiarazioni che avevano provocato l'ira loro, parlò sempre con calma e con verità, per adempiere alla sua missione di onorare il Padre che lo aveva mandato, laddove i Giudei disonorando il Figlio, disonoravano altresì il Padre suo. Queste sue parole provano di più che egli non cercava l'applauso degli uomini, e che i loro insulti e le loro false accuse non lo commuovevano minimamente. Su questo versetto Brown osserva: "Questo è il linguaggio del sentimento ferito. Ma in tali momenti, l'interno dell'anima sua si scorge solo in dichiarazioni profetiche simili alla seguente: 'Perciocché per l'amor di te io soffro vituperio, vergogna mi ha coperta la faccia'" Salmi 69:8-10.

PASSI PARALLELI
Proverbi 26:4-5; 1Pietro 2:23
Giovanni 8:29; 11:4; 12:28; 13:31-32; 14:13; 17:4; Isaia 42:21; 49:3; Matteo 3:15-17
Filippesi 2:6-11

50 50. or io non cerco la mia gloria; v'è chi la cerca, e ne giudica.
Il pensiero qui espresso si è che, lagnandosi di venir disonorato dalle loro parole e dalla loro condotta, non intendeva punto difendere la propria gloria; questa egli affidava senza timore ad uno che procaccia la gloria di suo Figlio, e siede giudice fra lui e i suoi insultatori. Quell'uno è il Padre, il quale vuole che "tutti onorino il Figliuolo, come onorano il Padre", e dinanzi alla giustizia del quale "chi non onora il Figliuolo non onora il Padre che l'ha mandato" Giovanni 5:23. C'insegni questo passo che gli insulti degli uomini non disonorano necessariamente chi li riceve. Se abbiamo una buona coscienza, se dopo avere accuratamente esaminati noi stessi, possiamo renderci testimonianza che cerchiamo puramente la gloria di Dio, saremo pronti, come lo era Cristo, a portar l'obbrobrio del mondo, certi che Dio a suo tempo "produrrà fuori la nostra giustizia come la luce, e la nostra dirittura come il mezzodì" Salmi 37:6.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:41; 7:18
Giovanni 5:20-23,45; 12:47-48

51 51. In verità, in verità, io vi dico che se alcuno guarda la mia parola, non vedrà giammai in eterno la morte
Con questa affermazione solenne, il Signore ritorna al soggetto del vers. 31, ma più specialmente a quello di Giovanni 5:23-24, dove, come qui, l'onorare il Figliuolo al pari del Padre, credendo in Lui, ha per premio "la vita eterna"; la sola differenza essendo che in quel passo la vita eterna era la conseguenza di uno stato, "chi ode la mia parola e crede", mentre qui è la conseguenza di un atto, "chi guarda la mia parola". Vedere la morte è un ebraismo che significa morire. Una tal promessa non si può prendere alla lettera. Essa non significa che i corpi dei veri credenti più non sieno soggetti alla morte, come quelli degli altri figli d'Adamo, prima della seconda venuta del Signore 1Tessalonicesi 4:15,17, come hanno insegnato alcuni fanatici. Quelli che "guardano la sua parola" già sono con Cristo per fede, epperciò già godono la vita spirituale. Per tali persone "non veder la morte" significa intera liberazione dalla "morte seconda", ossia dalle pene eterne dell'inferno. Questa promessa, benché non sia nuova, Vedi Giovanni 5:24; 6:40, 47, 51, è la più forte e la più evidente dichiarazione che ci sia stata data fin qui di una gloriosissima verità (Vedi ancora Giovanni 11:26).

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:15-16; 5:24; 6:50; 11:25-26
Giovanni 8:55; 15:20
Giovanni 8:12; Salmi 89:48; Luca 2:26

52 52. Laonde i Giudei gli dissero: Ora conosciamo che tu hai il demonio. Abrahamo ed i profeti son morti; e tu dici: Se alcuno guarda la mia parola, egli non gusterà giammai in eterno la morte. 53. Sei tu maggiore del padre nostro Abrahamo, il quale è morto? I profeti ancora son morti; che fai te stesso?
Gli avversari di Cristo, fraintendendo, intenzionalmente o no, le ultime sue parole, pretesero che egli avesse parlato della propria morte corporea, e ne ricavarono una confermazione trionfante della primiera loro asserzione, che cioè egli era fuor di senno, per effetto di una possessione demoniaca. Ragionavano nel modo seguente: "Abrahamo, il padre del popolo, quegli che osservò, più fedelmente di chiunque la parola di Dio, è morto; i profeti, i quali nei tempi addietro recarono al popolo la parola di Dio, son morti essi pure; ciononostante non ti periti di dire che chiunque osserva la tua parola, non andrà mai soggetto alla morte! Sei tu più grande di Abrahamo? maggiore dei profeti? Puoi tu concedere un privilegio del quale essi non hanno goduto? Pretendi forse a prerogative che ti farebbero superiore ad essi? Chi dunque ti vanti di essere?" Se ad "Abrahamo" si sostituisce "Giacobbe", la questione di Giovanni 8:53 è esattamente la medesima che quella fatta a Gesù dalla donna di Sichem, allorquando essa sosteneva gli onori ereditari dei Sichemiti Giovanni 4:12.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:58; 4:12; 10:29-30; 12:34; Isaia 9:6; Matteo 12:6,41-42; Romani 9:5; Ebrei 3:2-3
Ebrei 7:1-7
Giovanni 5:18; 10:33; 19:7

54 La crisi Giovanni 8:54-59

54. Gesù rispose: Se io glorifico me stesso, la mia gloria non è nulla; v'è il Padre mio che mi glorifica, che voi dite essere vostro Dio. 55. E pur voi non l'avete conosciuto; ma io lo conosco; e se io dicessi che io non lo conosco, sarei mendace, simile a voi; ma io lo conosco, e guardo la sua parola.
Il nostro Signore si alza ora all'altezza di una santa e terribile severità, colla quale trae questo discorso alla sua conclusione. In risposta alla domanda: Che fai te stesso? "egli dice che, come Figliuol di Dio, non cerca la propria gloria personale; ne lascia la cura nelle mani di suo Padre, cioè di quell'Essere glorioso di cui si vantano, come se egli fosse esclusivamente loro Dio, benché in realtà neppure lo conoscano, ad onta dell'insegnamento dato loro da Mosè e dai profeti, ed ora da Cristo medesimo. Gesù invece conosce intimamente, essenzialmente il Padre, e se non proclamasse, o cercasse di nascondere quella sua unione col Padre, nella quale consiste la gloria sua, egli diverrebbe bugiardo al par di loro. Termina Giovanni 8:55 colla ripetuta affermazione della sua piena conoscenza di Dio, e le ultime sue parole sembrano dire che la sostanza della sua vita era il guardar la parola di suo Padre, come la sostanza della vita dei suoi discepoli sarà di guardar la parola del loro Maestro.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:50; 2:11; 5:31-32; 7:18; Proverbi 25:27; 2Corinzi 10:18; Ebrei 5:4-5
Giovanni 5:22-29,41; 7:39; 13:31-32; 16:14-15; 17:1,5; Salmi 2:6-12; 110:1-4
Daniele 7:13-14; Atti 3:13; Efesini 1:20-23; Filippesi 2:9-11; 1Pietro 1:12,21; 2Pietro 1:17
Giovanni 8:41; Isaia 48:1-2; 66:5; Osea 1:9; Romani 2:17-29
Giovanni 8:19; 7:28-29; 15:21; 16:3; 17:25; Geremia 4:22; 9:3; Osea 5:4; Atti 17:23
2Corinzi 4:6
Giovanni 1:18; 6:46; 7:29; 10:15; Matteo 11:27; Luca 10:22
Giovanni 8:44; 1Giovanni 2:4,22; 5:10; Apocalisse 3:9
Giovanni 8:29,51

56 56. Abrahamo, vostro padre, giubilando, desiderò di vedere il mio giorno, e lo vide, e se ne rallegrò.
E questa la risposta di Gesù alla domanda: "Sei tu maggiore del padre nostro Abrahamo?" Giovanni 8:53. Egli mette ironicamente l'enfasi sulle parole "vostro padre", a motivo del contrasto che suggeriscono; poiché Abrahamo si rallegrava nell'aspettazione di una presenza, che in essi suscitava solo malizia ed odio. "Ille me absentem desideravit, vos, praesentem, aspernamini" (Calvino). Le parole "il mio giorno" vennero variamente interpretate, come quello della sua nascita, o della sua manifestazione al mondo, o della sua seconda venuta. Per giudicare i vivi e i morti, o di tutto quanto il suo soggiorno in terra, o anche di tutto intiero il periodo in cui si esercita il suo ufficio di mediatore, dal suo principio fino alla fine dei tempi. Preferiamo quest'ultimo senso. Dal momento in cui Abrahamo ebbe compreso che da lui doveva nascere la "progenie della donna", si rallegrò di tal promessa ed esultò nella speranza di contemplarne l'adempimento, anzi il Signore dichiara che lo vide, e fu da tal vista reso appieno felice. Ma come, dove e in qual senso lo vide egli? Oltre a molte teorie che non meritano attenzione, ve ne sono tre che hanno avuto fautori autorevoli:
1. Quella dei padri, di Calvino, di Melantone e dei riformatori in generale, di Barnes e di Ryle, secondo i quali Abrahamo realmente contemplò, in una visione profetica, il giorno di Cristo Ebrei 11:1.
2. Quella di Maldonato, Lampe, Stier, Alford, Meyer, Godet, Plummer, Watkins ecc. secondo la quale Abrahamo, dal soggiorno della gloria, contemplò il giorno di Cristo e se ne rallegrò. In appoggio a questa teoria si cita l'apparizione di Mosè e di Elia sul monte della trasfigurazione.
3. Quella di Olshausen, Brown, Hengstenberg, Webster, Jacobus ed altri, che le parole "lo vide, e se ne rallegrò" indicano un tempo passato durante la vita terrena di Abrahamo, e si devono intendere delle comunicazioni frequenti del patriarca coll'Angelo del Signore, il quale spesso gli apparve e parlò con lui.
Nella storia di Abrahamo, l'Angelo del Patto, col quale il Cristo identifica sé medesimo, è spesso chiamato Signore o Jeova. La seconda di queste teorie ci par fondata troppo sulla immaginazione, perché la possiamo raccomandare con fiducia; ma il lettore può scegliere fra la prima e la terza; in quanto a noi adottiamo quest'ultima. Benché il senso esatto delle parole di questo versetto possa essere difficile a scoprire, il concetto generale che in esso è contenuto è così chiaro da non potersi sbagliare, ed è che Gesù, qual promesso Messia, esisteva molto tempo prima di Abrahamo, il quale, quando venne a conoscenza di quella grande verità, la credette e se ne rallegrò.

PASSI PARALLELI
Genesi 22:18; Luca 2:28-30; 10:24; Galati 3:7-9; Ebrei 11:13,39; 1Pietro 1:10-12

57 57. I Giudei dunque gli dissero: Tu non hai ancor cinquant'anni,
Non si può da queste parole dedurre nulla riguardo all'età di Gesù a quel momento. Sappiamo che aveva trent'anni quando cominciò il suo pubblico ministerio Luca 3:23, e questo non durò più di tre anni e mezzo, sicché al momento in cui siamo giunti doveva avere circa 33 anni. L'idea di Ireneo e di Papia che Gesù fosse crocifisso a, cinquant'anni non ha fondamento alcuno. Per i Giudei, cinquant'anni erano il punto culminante della vita; era quella l'età alla quale i sacerdoti e i leviti venivano dispensati dal servire nel tempio e nel tabernacolo Numeri 4:3. Fu unicamente in un tal senso, e per esprimere il loro convincimento che il Signore non aveva ancora raggiunto il termine della maturità, che essi dicono Ancora non hai raggiunto i cinquant'anni, e pretendi di aver visto Abrahamo!"
ed hai veduto Abrahamo?
Notiamo che qui, come in Giovanni 8:52, le parole di Gesù vengono scontorte, snaturando affatto il suo pensiero. "Non aveva detto di aver egli visto Abrahamo, bensì che Abramo aveva visto lui, come essendo un gran privilegio concesso al patriarca. I suoi avversari gli fanno dire l'opposto, di aver visto cioè Abrahamo, e considerano ciò come un onore al quale egli non aveva diritto alcuno di pretendere" (Brown).

58 58. Gesù disse loro: in verità, in verità, io vi dico che, avanti che Abrahamo fosse nato, io sono.
La formula solenne: "in verità, in verità", segna il punto più elevato di questo discorso. Nel modo più chiaro, il Signore dichiara qui, non solo che egli esisteva prima di Abrahamo, ma che il suo essere è essenzialmente distinto da quello di qualsiasi uomo. Si osservi con cura la differenza fra i due verbi che si riferiscono ad Abrahamo ed a Gesù, in questo versetto. "Prima che Abrahamo fosse prodotto in vita, io sono". Ciò non vuol dire che Cristo nascesse prima di Abrahamo, come dicon gli Ariani; ma che non ebbe mai nascimento, essendo esistito prima che Abrahamo esistesse, il che implica che esisteva anteriormente ad ogni atto creativo. Il nome: "Io sono", è quello stesso sotto al quale Jeova si rivelò ai Giudei, quando mandò Mosè a liberarli dal paese di Egitto. Esso indica una esistenza eterna ed assoluta, e in questo passo implica chiaramente la preesistenza e la divinità di Cristo, e così l'intesero i Giudei.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:34,51
Giovanni 1:1-2; 17:5,24; Proverbi 8:22-30; Isaia 9:6; Michea 5:2; Colossesi 1:17; Ebrei 1:10-12
Ebrei 13:8; Apocalisse 1:11,17-18; 2:8
Esodo 3:14; Isaia 43:13; 44:6,8; 46:9; 48:12; Apocalisse 1:8

59 59. Essi adunque levarono delle pietre, per gettarle contro a lui;
Qualunque sieno le opinioni dei Sociniani riguardo all'assoluta divinità del Signor Gesù Cristo, i Giudei, udite quelle sue parole, capirono subito che egli si proclamava "Jeova", e, come già altra volta, quando ebbero capito che si faceva uguale a Dio Giovanni 5:18, lo vollero lapidare qual bestemmiatore. Questo accadde nel cortile esterno, dove trovavansi in abbondanza le pietre ivi radunate per completare la costruzione del tempio.
ma Gesù si nascose, ed uscì del tempio, essendo passato per mezzo loro; e così se ne andò.
È impossibile decidere se Gesù sfuggi ai suoi nemici con un miracolo, come in Luca 4:30, o se semplicemente si nascose, fra la folla, dagli occhi di quelli che si preparavano a lapidarlo. Il testo sacro non ci fornisce indizio alcuno a questo riguardo, ed entrambe quelle opinioni sono sostenute da molti commentatori. In un modo o nell'altro, Gesù sfuggì al pericolo che lo minacciava, ed uscì dal tempio. La fine del vers. da "essendo passato" fino a "andò", manca, in un certo numero di MSS più autorevoli. Godet dice a questo riguardo: "Per quanto sia grande l'autorità dei documenti e delle versioni sui quali si fonda la lezione del Textus Receptus in questo passo, è evidente che queste ultime parole sono una osservazione marginale, originata dai primi versetti del cap. seguente, e da Luca 4:30. "Quasi tutti i critici recenti adottano quel giudicio di Godet. D'altra parte Brown, dopo aver citato il Codice Alessandrino e tutti gli altri MSS unciali, ad eccezione di B e D, le principali versioni siriache, e quella di Menfi a favore di queste parole, non trova giustificato il cancellarle in modo così reciso dal testo sacro. "Crediamo", dice egli, "che questa clausola si debba mettere fra parentesi, essendo innegabilmente forti le prove contro di essa; ma a parer nostro quelle prove non giustificano più di questo".

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:5-6; 10:30-33; 11:8; 18:31; Levitico 24:16; Luca 4:29; Atti 7:57
Giovanni 5:13; 10:39-40; 11:54; Genesi 19:11; 2Re 6:18-20; Luca 4:30; 24:31
Atti 8:39-40

RIFLESSIONI
1. Questo capitolo ci espone il progresso della incredulità e della ostilità personale contro a Gesù, per parte così della popolazione di Gerusalemme, come degli Israeliti accorsi da ogni dove per la festa dei Tabernacoli. Egli non enuncia una proposizione, non stabilisce una verità che non destino opposizione immediata, e non vengano accusate di menzogna. Quando si proclama "Luce del mondo", rispondono che la sua testimonianza non è verace, perché procede da lui solo. Quando adduce la testimonianza di suo Padre, fingono di non comprendere di chi parla, e domandano, per credere, che quel testimonio sia prodotto, e renda la sua testimonianza in persona. Quando annunzia che se ne andrà tosto là dove essi non lo potranno seguire, la loro malizia si mostra nel suggerire che egli pensi al suicidio. Quando esorta quelli che hanno debolmente principiato a credere in lui, a perseverar nella sua parola, affin di essere dalla verità resi veramente franchi, essi sprezzano la sua offerta, considerandola come un insulto alla memoria di Abrahamo loro padre, nel quale tutti i suoi discendenti godevano il privilegio di una libertà inalienabile e perpetua. Finalmente quando, al termine del suo discorso, Gesù dichiara nel modo più i innegabile, di esser superiore ad Abrahamo, perché è Jeova stesso, lo denunziano come bestemmiatore e tentano di lapidarlo. Nel rimanente di questo Vangelo, avremo altre prove della crescente incredulità ed inimicizia della nazione verso Gesù, finché non si giunga alla crisi estrema della condanna di Cristo come bestemmiatore, per parte del Sinedrio, e della sua consegna ai Romani per essere crocifisso.
2. Le parole di Isaia,: "Le tenebre copriranno la terra, e la caligine coprirà i popoli" Isaia 60:2, non sono meno vere anche dopo la venuta di Cristo. La gran maggioranza degli uomini non capisce il valore dell'anima, la vera natura di Dio, e la realtà della vita a venire. Ma colle parole: "Io sono la luce del mondo", Gesù ci si presenta come l'unico, e al tempo stesso l'appieno sufficiente rimedio. Egli è comparso, come il sole, per diffondere luce, vita, pace e salvezza in mezzo ad un mondo coperto di tenebre. Scenda quella parola nei cuori nostri e vi dimori, perché ai dì nostri false luci si presentano da ogni parte agli uomini. Ragione, filosofia, coscienza, libertà gridano a gara che solo in esse si trova la luce; ma quelle false pretese vengono presto smentite dai fatti, con sommo danno delle anime che non ricercano guida migliore. Tutte quelle luci sono utili, se vengano usate con sapienza ed in linea secondaria; ma Cristo rivelato nella sua parola, accettato come l'unica propiziazione dei peccati, meditato come la porzione giornaliera del credente, è la sola luce vera, atta a dissipare le tenebre spirituali, così nell'individuo, come nel mondo in genere. "Appo te è la fonte della vita, e per la tua luce, noi veggiamo la luce" Salmi 36:10.
3. L'ammonimento di Giovanni 8:21 ripetuto in Giovanni 8:24 è solenne: "Se io me ne vo, voi morrete nei vostri peccati". Avvicinasi il termine della dimora di Cristo in terra; se non lo ascoltano e non si pentono ora, il giorno della grazia presto sarà passato per sempre. Con tali parole, Gesù lega indissolubilmente la nostra salvezza alla propria persona. Chi non cerca lui perirà infallantemente; chi lo cerca senza sincerità, o per mero formalismo, lo cerca invano; e finché ricerchiamo Cristo invano, resistiamo alla luce e alla verità. L'esperienza e la Scrittura provano del pari che gli uomini possono rigettare Iddio, finché non sieno finalmente rigettati da lui, ed egli più non esaudisca le loro preghiere. Perseverino a soffocare le loro convinzioni, a spegnere la luce della loro coscienza, a lottare contro la verità che pur conoscono, e alla fine Iddio li abbandonerà a sé medesimi. Non invano fu scritto: "Allora essi grideranno a me, ma io non risponderò; mi ricercheranno sollecitamente, ma non mi troveranno, perciocché hanno odiato la scienza, e non hanno eletto il timor del Signore" Proverbi 1:28-29. "Tali casi non sono frequenti, ma pur si vedono alcune volte" (Ryle).
4. "Chi può credere che uno, la cui gelosia per la gloria di suo Padre lo 'consumava', si sia ripetutamente esposto al rischio imminente di venir lapidato per 'farsi uguale a Dio', se egli non era veramente tale, e non voleva insegnare di esser tale; mentre, coll'evitare discorsi dai quali potevasi inferire una tal cosa, o mediante poche parole di spiegazione, avrebbe potuto far sì che tal senso non venisse mai dato al suo insegnamento? Siccome Gesù non fece né l'una cosa né l'altra 'anzi fece di proposito deliberato precisamente l'opposto', quella pietra fondamentale della religione cristiana, che è la divinità essenziale di Cristo, rimane per noi incrollabile al pari dei monti eterni" (Brown).