Giovanni 21
CAPO 21 - ANALISI
1. L'autore di questo capitolo, e quando fu composto. L'interruzione che v'ha fra il capitolo precedente e questo chiama naturalmente la nostra attenzione su quei due punti in primo luogo. Quasi tutti ammettono che, nel suo piano originale, Giovanni intendeva chiudere il suo racconto colle osservazioni dei versetti 30 e 31 del cap. 20 Giovanni 20:30-31; e, fino a Grozio, nessuno mise in dubbio che questa aggiunta, o meglio poscritto, fosse pure dovuto alla sua penna ispirata. Da Grozio in poi, l'autenticità di questo cap. 21 è stata aspramente contestata; ma la maggioranza dei critici più imparziali è oramai convinta che non v'ha ragione alcuna di metterla in questione. In quanto all'evidenza esterna, questo capitolo si trova in quasi tutti i manoscritti, nonché nelle versioni più antiche. In quanto alla differenza di stile che si pretende trovare fra il resto del Vangelo e questo capitolo secondo Credner, l'investigatore più profondo del linguaggio del Nuovo Testamento, essa non esiste. Quel critico valente dice infatti: "Non v'ha contro il cap. 21 una sola prova esterna, e studiato internamente, quel capitolo ci presenta quasi tutte le particolarità dello stile di Giovanni". Perfino Renan, citato da Godet, pur dicendo che questo capitolo è un'aggiunta al Vangelo, dichiara, contrariamente a coloro che lo attribuiscono a qualche scrittore del secondo secolo, che esso è un'aggiunta quasi contemporanea, sia dell'autore stesso, sia dei suoi discepoli. In quanto alla teoria che esso fu scritto più tardi, dai discepoli di Giovanni, o dagli anziani di Efeso, non occorre dire che essa è contraria a tutte le prove che abbiamo, così interne, come esterne. Invero, la sola difficoltà che si possa avere a credere che questo capitolo sia stato scritto da Giovanni si è che l'apostolo aveva chiuso il suo racconto col cap. 20; ed anche questa obbiezione è di così poco peso che si assegna al cap. 21 una data di poco posteriore al resto del Vangelo, e anteriore alla pubblicazione del Vangelo stesso. Sarebbe dunque un'aggiunta fatta prima che il libro uscisse dalle mani dell'autore. È probabile che, rileggendo quanto aveva scritto, Giovanni si sia accorto di aver dimenticato due cose: la riabilitazione di Pietro, "di cui avea narrato il rinnegamento", nel suo ufficio apostolico, e la smentita da darsi ad una voce molto sparsa in Efeso, che cioè egli stesso non sarebbe morto mai, voce basata sopra una falsa interpretazione di quanto Cristo aveva detto a Pietro di lui, ver. Giovanni 21:23. Per riparare a queste due omissioni, Giovanni stesso aggiunse al suo Vangelo questo poscritto in forma narrativa.
2. Il luogo dove occorsero gli eventi narrati in questo capitolo. Essi accaddero sulle sponde del lago di Gennesaret, dimora del maggior numero degli apostoli avanti che Gesù li avesse chiamati a seguirlo. La notte che egli fu tradito, dopo avere istituito la Santa Cena, Gesù aveva dichiarato ai discepoli, che dopo la sua risurrezione andrebbe dinanzi a loro in Galilea, Matteo 26:32, e non appena uscito dal sepolcro, li invitò a recarvisi per incontrarlo Matteo 28:7,10; Marco 16:7. Quello è senza dubbio l'incontro cui Matteo Matteo 28:16, allude come avendo avuto luogo sopra un monte, ed è in quella occasione che Gesù, secondo Paolo, "apparve ad una volta a più di cinquecento fratelli" 1Corinzi 15:6. Mentre aspettavano quell'incontro, o più probabilmente, a giudicar da Giovanni 21:14, subito dopo che fu avvenuto, e prima che gli apostoli tornassero in Gerusalemme, alcuni di essi camminavano lungo la sponda del lago, e Pietro, sotto l'impulso delle reminiscenze del suo vecchio mestiere, dichiarò la sua intenzione di passar la notte sul lago a pescare. I suoi compagni accettarono volonterosi il suggerimento. L'occasione, la proposta, tutto sembra essere stato fortuito, eppure il loro Maestro avea tutto previsto e tutto diretto Giovanni 21:1-3.
3. Una notte di lavoro inutile, seguita alla mattina da una pesca miracolosa. V'ha una rassomiglianza notevole, e senza dubbio voluta, fra il fatto qui raccontato, mediante il quale si chiude la preparazione degli apostoli sotto gli occhi del Signore e quello che precedette la loro vocazione, quando Gesù li invitò a seguirlo, promettendo di farli pescatori d'uomini Luca 5:1-11; e nella nostra esposizione noteremo così i punti di divergenza, come quelli di rassomiglianza. Gesù, presentatosi in sulla sponda, non fu riconosciuto dai discepoli nella semioscurità del crepuscolo mattutino, e venne da loro creduto un passante che volesse comprar del pesce. Gli dissero adunque di non aver, preso nulla, ed egli ordinò loro di gittar la rete dal lato destro della navicella. Avendo ubbidito, presero una tal quantità di pesci, che più non potevano trarre la rete a bordo. Questo fatto rivelò loro la presenza del Signore, il quale li invitò a prender parte con lui ad un pasto che egli aveva miracolosamente preparato per essi. Questo pasto, dopo il lavoro faticoso ed inutile della notte, ben può considerarsi come un simbolo del sedere alla sua mensa nel Regno dei cieli, una volta compiuta la carriera terrena Giovanni 21:4-14.
4. Pietro ristabilito nel suo ufficio apostolico, che egli avea perduto in seguito al suo rinnegamento. Siccome la caduta di Pietro non poteva se non venir nota dovunque questo Vangelo sarebbe letto, la pubblica proclamazione del suo perdono e del suo ristabilimento nell'ufficio apostolico dà a questo, capitolo un valore grandissimo, quand'anche non contenesse altre informazioni. Dal momento che Cristo avea mandato un messaggio speciale a Pietro, Giovanni non poneva in dubbio che questi fosse nuovamente ammesso fra gli apostoli, epperciò essendo questo un fatto ben noto a tutti, non ne aveva parlato nel suo Vangelo. Ma il Signore volle che venisse pubblicato per la istruzione della Chiesa, e mosse Giovanni a riprendere la penna per registrare quel fatto importante. Si fu dopo aver mangiato e conversato benignamente coi discepoli, che Gesù fece a Pietro, in presenza di tutti, la domanda: "Simon di Giona, m'ami tu più di costoro?" e la ripeté tre volte, con evidente allusione al triplice rinnegamento. E quando l'umiliato e penitente discepolo ebbe per tre volte ripetuto che egli lo amava, facendo appello, in prova dell'amor suo, alla stessa onniscienza di Gesù, egli fu ristabilito nell'ufficio suo, mediante il comandamento anch'esso tre volte ripetuto: "Pasci i miei agnelli! Pasci le mie pecore!" Giovanni 21:15-17.
5. Gesù annunzia a Pietro il suo futuro martirio; ma non vuole soddisfare la sua curiosità relativamente a Giovanni. L'evangelista corregge un malinteso che aveva corso già nella Chiesa a questo riguardo. Non appena ebbe ristabilito Pietro nell'ufficio apostolico, il Signore mette alla prova la sua perseveranza, e il suo diritto al nome di Pietro, "o Roccia", annunziandogli, in linguaggio figurativo, che la sua carriera si chiuderebbe col martirio. In gioventù, l'apostolo poteva cingersi, come voleva e andar dove voleva; ma nella sua vecchiaia altri lo cingerà, e lo condurrà dove non vorrebbe andare, obbligandolo a stendere le mani in sulla croce. Pietro nulla risponde a questa predizione del proprio avvenire; ma essendosi fermato l'occhio suo sopra Giovanni, la curiosità lo spinge a domandar quello che avverrebbe di lui. Di ciò lo riprende il Signore, essendo cosa che non lo riguardava punto. Il futuro di Giovanni stava nelle mani di Cristo, e se Cristo voleva tenerlo in vita fino al suo ritorno, che importava ciò a Pietro? A lui toccava pensar solo a seguitare Gesù. È chiaro che gli altri apostoli li presenti fraintesero le parole di Gestì, e così diedero corso alla voce che Giovanni non morrebbe. L'evangelista corregge questa erronea interpretazione delle parole del Signore, dicendo qui: "Gesù non aveva detto a Pietro, ch'egli, "Giovanni", non morirebbe; ma: Se io voglio ch'egli dimori finché io venga, che tocca ciò a te?" Giovanni 21:18-24.
6. Conclusione finale dell'Evangelo. Negli ultimi due versetti, l'apostolo Giovanni, senza nominarsi, ma pure in modo che doveva riuscire chiarissimo a quanti lo conoscevano, si dichiara l'autore così del Vangelo intero, come di questa aggiunta al medesimo. Al tempo stesso dichiara, che ben lungi dall'essere esaurito il racconto di quanto Gesù fece in terra, tanto rimarrebbe da dire che il mondo intero non basterebbe a contenere i volumi che se ne potrebbero scrivere Giovanni 21:24-25.

Giovanni 21:1-23. SUPPLEMENTO O PROSCRITTO ALL'EVANGELO DI GIOVANNI

Cristo appare nuovamente a sette degli apostoli, dopo una notte da essi passata inutilmente a pescare sul lago di Gennesaret, Giovanni 21:1-14

1. Dopo queste cose,
cioè non solo dopo l'apparizione di Gesù ai suoi discepoli per convincere Toma, ma probabilmente pure dopo la sua apparizione in sul monte a più di cinquecento fratelli Matteo 28:16.
Gesù si fece di nuovo vedere ai discepoli presso al mar di Tiberiade.
Questo nome del lago di Gennasaret trovasi qui soltanto in tutto il Nuovo Testamento. Vedasene la ragione nelle note su Giovanni 6:1.
e si fece vedere in questa maniera
Il verbo "si fece vedere", corrisponde allo stato cambiato del corpo del Signore dopo la risurrezione, e indica che le sue apparizioni ai discepoli avvenivano in modo occasionale, inaspettato, soprannaturale, benché pur sempre reale e corporeo. Da quel tempo, i discepoli non continuarono più a vedere Gesù come prima; ma egli appariva loro, o era veduto da loro, imperocché il suo corpo sembra essere stato visibile solo per un atto della sua volontà.

PASSI PARALLELI
Giovanni 20:19-29
Matteo 26:32; 28:7,16; Marco 16:7
Giovanni 6:1,23

2. Simon Pietro, e Toma, detto Didimo e Natanalee, ch'era da Cana di Galilea, e i figliuoli di Zebedeo, e due altri dei discepoli d'esso, erano insieme.
Dei sette apostoli qui mentovati, Pietro, Toma e i due figli di Zebedeo sono sufficientemente noti. Stier chiama la nostra attenzione sul fatto che l'evangelista nomina qui suo padre Zebedeo. In quanto a Natanaele di Cana, egli non vien mentovato altrove che al momento della sua conversione Giovanni 1:45; ma la sua identità coll'apostolo Bartolomeo è generalmente ammessa, Vedi Nota su Bartolomeo Matteo 10:3. Gli altri due apostoli non nominati erano probabilmente Andrea e Filippo, benché non sia cosa provata. Siccome tutti gli apostoli erano stati presenti in sul monte, quando Gesù si fece vedere ai discepoli riuniti, è probabile che Matteo, Giacomo il minore, Simone e Giuda sieno andati, dopo quella apparizione, a visitare i loro amici, che più non avevano visti dacché Gesù li avea chiamati a seguitarlo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 20:28
Giovanni 1:45-51
Giovanni 2:1,11; 4:46; Giosuè 19:28
Matteo 4:21-22

3. Simon Pietro disse loro: io me ne vo a pescare. Essi gli dissero: Ancor noi veniamo teco.
È possibile che a Pietro, non avendo egli nulla da fare, venisse la voglia di tornare una volta ancora all'antica occupazione; è possibile pure che gli apostoli, dopo la risurrezione di Cristo, riprendessero per un tempo il loro primiero tenore di vita, per supplire ai loro bisogni giornalieri. La barca e le reti potevano appartenere a Zebedeo, o venir tolte in prestito da qualche amico.
Così uscirono, e montarono prestamente nella navicella, e in quella notte non presero nulla.
La notte, come sanno tutti i pescatori, è il tempo più favorevole per pigliar pesci, specialmente nel clima caldo del Lago di Tiberiade. Ma di tutte le professioni, quella di pescatore è la più aleatoria, e certo i sette apostoli rimasero bensì dolenti, ma non stupiti, di non aver preso nulla. Burgon, citato da Ryle, osserva: "Una cosa è certa e piena di interesse: si fu la necessità che spinse questi sette uomini all'umile occupazione della pesca. Eppure i nomi di quei sette sono fra i dodici nomi scritti sui fondamenti della Gerusalemme celeste".

PASSI PARALLELI
2Re 6:1-7; Matteo 4:18-20; Luca 5:10-11; Atti 18:3; 20:34; 1Corinzi 9:6; 1Tessalonicesi 2:9
2Tessalonicesi 3:7-9
Luca 5:5; 1Corinzi 3:7

4. Ma, essendo già mattina, Gesù si presentò in sulla riva; tuttavolta i discepoli non conobbero ch'egli era Gesù.
Di prima mattina, allo spuntare del dì, Gesù si presentò ad un tratto in sulla riva; ma la debole luce, e l'aspetto suo alquanto mutato non permisero agli apostoli di riconoscerlo, nemmanco dopo che egli ebbe loro rivolto la parola. Crediamo, con Ryle, che "il corpo del, Signore risuscitato, per qual che ragione misteriosa, non conservò esattamente il medesimo sembiante che aveva prima della crocifissione". Questo spiega le parole di Matteo Matteo 28:17, riguardo ad alcuni dei discepoli che lo videro in sul monte: "E vedutolo, l'adorarono; ma pure alcuni dubitarono", e quelle del nostro evangelista in Giovanni 21:12: "Or niuno de discepoli ardiva domandarlo: Tu chi sei? sapendo ch'egli era il Signore".

PASSI PARALLELI
Giovanni 20:14; Marco 16:12; Luca 24:15-16,31

5. E Gesù disse loro: Figliuoli,
Il vocabolo greco qui tradotto "figliuoli" non è il nome affettuoso di Giovanni 13:33, il cui uso avrebbe subito fatto conoscere ai discepoli chi era che rivolgeva loro la parola, ma che si poteva indirizzare dal maestro agli scolari, dal padrone agli operai, od anche da un signore qualunque a persone di classe meno elevata, come in italiano ragazzi, che si dice non solo a giovanetti, ma pure ad uomini fatti.
avete voi alcun pesce? Essi gli risposero: No.
Gesù sapeva senza dubbio che i discepoli nulla avevano preso; ma si avvicina a loro come forestiere, e rivolge loro questa domanda per dimostrare l'interesse, che prende alle loro fatiche, e per entrar seco loro in discorso. Diodati traduce con ragione per pesce, benché quella parola, al pari voglia dir "companatico", o qualsiasi cosa che si mangi col pane; ma sulle rive del lago il pesce era il companatico ordinario, e Gesù, rivolgendo quella domanda a dei pescatori, intendeva evidentemente parlar di pesce. La loro risposta significa che non avevano preso nulla. "Lo scopo della sua domanda", dice Trench, "era di obbligarli precisamente ad una tale confessione, imperocché, nelle piccole cose come nelle grandi, nelle cose naturali come nelle spirituali, la confessione della povertà dell'uomo sempre deve precedere l'effusione delle grazie di Dio".

PASSI PARALLELI
1Giovanni 2:13,18
Salmi 37:3; Luca 24:41-43; Filippesi 4:11-13,19; Ebrei 13:5

6. Ed egli disse loro: Gettate la rete al lato destro della navicella, e ne troverete.
Ignorando tuttora chi parlava con loro, ma prendendolo per qualcuno che ben conosceva quella parte del lago, e che voleva aiutare loro a compensare la perduta fatica, i discepoli adottarono senz'altro il suo suggerimento.
Essi adunque la gettarono, e non potevano più trarla, per la moltitudine dei pesci.
Vedi Nota Luca 5:6.
È impossibile non veder subito una grande rassomiglianza fra il miracolo mediante il quale Gesù chiamò i discepoli a divenir "pescatori d'uomini" Luca 5:4-11, e quello che ci vien qui raccontato, ed il cui scopo era di incoraggiarli, prima della sua partenza, a perseverare nella missione apostolica, colla promessa dei successi che in essa otterrebbero. In ambo i casi, il primo tentativo di pesca, benché proseguito tutta la notte, non produsse risultato alcuno; in ambo i casi, la pesca divenne abbondantissima, non appena i pescatori ubbidirono all'ordine di Gesù. Considerati come simboli, quei due fatti hanno tutti e due il medesimo significato; vi sono però delle differenze, che i commentatori, fino dai tempi di Agostino, hanno spiegate così: il primo miracolo prefigurava la prima formazione della Chiesa in terra, il secondo il futuro accoglimento di essa nei cieli. In Luca 5:1:9 vediamo infatti che la rete raccolse pesci di ogni maniera e di ogni grandezza, e questo sarebbe un simbolo della rete del Vangelo gittata nel mondo, mediante la predicazione; qui invece la rete non conteneva che un numero determinato di grandi e bei pesci, e ciò sarebbe figura dell'accoglimento dei credenti sulle rive della eternità, dopo la risurrezione. L'idea è bella, benché non sia certo che tal fosse in realtà il senso spirituale dei due miracoli. C'è una spiegazione più pratica, che potremo adottare senza timore, ed è che la scena presente del mondo è ben rappresentata da quella notte di fatiche sul lago; nelle acque del mondo noi pure dobbiamo tribolare, senza veder forse nessun frutto immediato del nostro lavoro, ma sostenuti dalla speranza dell'alba prossima a venire, allorquando, sulle alme sponde della immortalità gloriosa, ci accoglierà il nostro Signore risorto, per farei sedere a mensa con lui. Raccontando quel che fecero i discepoli della rete così bene riempita, l'evangelista fa uso di due verbi greci Giovanni 21:6,8, dei quali Diodati non ha fatto risaltare la differenza, lasciando così sussistere una contraddizione apparente fra: "non potevano più trarla", e: gli altri discepoli vennero... traendo la rete. Il verbo usato qui è "da trar, su, o issare come una vela", ed indica che a motivo del peso della rete e del suo contenuto, essi non poterono ritirarla nella barca. In Giovanni 21:8 abbiamo "da trascinare, tirar per forza", processo più lungo, ma più sicuro, e mediante il quale i discepoli poterono, traendola in sulla riva, rendersi padroni della rete.

PASSI PARALLELI
Matteo 7:27; Luca 5:4-7
Giovanni 2:5; Salmi 8:8; Ebrei 2:6-9
Atti 2:41; 4:4

7. Laonde quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: Egli è il Signore. E Simon Pietro, udito ch'egli era il Signore, succinse la sua camicia perciocché egli era nudo, e si gettò nel mare.
Come quando entrambi corsero al sepolcro, così anche in questo caso, i tratti distintivi dei due apostoli ci vengono descritti in modo molto delicato eppur chiarissimo. Giovanni è il primo a comprendere da quel miracolo, ed a comunicare al suo collega, che quello straniero è il Signore; Pietro è il primo ad agire in conseguenza di questa scoperta; e, colla solita sua energia impulsiva, lasciando che gli altri vengano a riva trascinando la rete, si slancia nell'acqua, affin di potere più presto gettarsi ai piedi di Gesù. Il vocabolo "nudo", detto qui di Pietro, non significa alla lettera che egli non avesse vestimento alcuno; bensì che si era spogliato, per lavorare, non solo del mantello, ma pure del vestito di mezzo, ritenendo unicamente il indumento di lana o di lino, piccolo, e che si portava sulla pelle. La parola nudo è spesso usata in questo senso. Per non comparire dinanzi al Signore così poco vestito, Pietro si mise addosso, che Diodati non traduce bene per "camicia", e così nuotò fino alla riva. Ben dice Plummer: "Solo un testimone oculare avrebbe pensato a darci questi dettagli, che sono precisamente il contrario di quanto fa chi vuol gettarsi a nuoto; eppure sono perfettamente spiegati dalle circostanze".

PASSI PARALLELI
Giovanni 21:20,24; 13:23; 19:26; 20:2
Giovanni 20:20,28; Salmi 118:23; Marco 11:3; Luca 2:11; Atti 2:36; 10:36; 1Corinzi 15:47
Giacomo 2:1
Cantici 8:7; Matteo 14:28-29; Luca 7:47; 2Corinzi 5:14

8. Ma gli altri discepoli vennero in su la navicella perciocché non erano molto lontano. da terra, ma solo intorno di duecento cubiti traendo la rete piena di pesci.
Era conforme al carattere di Pietro il dimenticare ogni altra cosa, per correre da Gesù a testimoniargli il suo pentimento e il suo zelo per il suo servizio, ma non perciò devonsi stimare gli altri meno zelanti di lui. La rete piena di pesci era il dono fatto loro miracolosamente dal Signore; essi non lo dovevano disprezzare, bensì riceverlo con gratitudine, e siccome non si trovavano che a duecento cubiti, "cento metri", dalla sponda, e potevano colla barca trascinarsi la rete, sentirono che al tempo stesso adempivano un dovere, ed onoravano il loro Signore.

PASSI PARALLELI
Deuteronomio 3:11

9. Come adunque furono smontati in terra, videro delle brace poste, e del pesce messovi su, e del pane.
Già sapevano chi era colui che li aspettava in sulla riva, ed avvicinandosi poterono osservare una nuova prova della sollecitudine del Signore per provvedere ai loro bisogni dopo quella lunga notte di lavoro. Sulla spiaggia, accanto a Gesù, stava acceso del fuoco e su questo erano disposti dei pesci e del pane. Qui e in Giovanni 21:13, il vocabolo che Diodati a ragione traduce "pesce", è al singolare; ma è chiaro che si tratta di un singolare collettivo. Spesso è stato chiesto da dove provenisse quel pesce, e quel pane. Quando Elia si moriva d'inedia fra Beerseba e Sinai, Dio lo cibò due volte per mezzo degli angeli 1Re 19:5-7; non sappiamo però se questa volta il Signore si servì degli angeli, od operò direttamente un miracolo, simile a quello che aveva pure allora compiuto provvedendo ai suoi discepoli quella straordinaria retata di pesci. A ciò possono muovere obbiezioni solo quelli che negano ogni miracolo.

PASSI PARALLELI
1Re 19:5-6; Matteo 4:11; Marco 8:3; Luca 12:29-31

10 10. Gesù disse loro: Portate qua dei pesci che ora avete presi.
Sono state date varie spiegazioni di quest'ordine di Cristo. Alcuni credono, con Meyer, che non fosse sufficiente per tante persone il pesce già messo a cuocere, e che perciò il Signore ne facesse portare dell'altro. Bengel suggerisce aver voluto Gesù persuadere i discepoli che il pesce messo a cuocere non era meno reale di quello che usciva dal lago. Secondo Ryle, Gesù avrebbe voluto insegnare ai suoi discepoli essere l'ubbidienza implicita ad ogni suo comandamento il vero segreto del successo. Godet gli attribuisce un senso simbolico: Gesù avrebbe voluto con quest'ordine insegnare ai suoi discepoli che la soddisfazione dei loro bisogni sempre dipenderebbe dalla concorrenza di due fattori: la sua benedizione dall'una parte, e dall'altra il fedele loro lavoro. Nessuna di queste spiegazioni ci soddisfa, e preferiamo l'opinione di Stier, secondo la quale il Signore volle con quest'atto far comprendere ai discepoli di volerli a compagni così nell'opera, come nel goderne i frutti.

11 11. Simon Pietro montò nella navicella, e trasse la rete in terra, piena di centocinquantatre grossi pesci; e benché ve ne fossero tanti, la rete però non si stracciò.
L'ordine di Gesù, in Giovanni 21:10 ricordò a Pietro il suo dovere come capo della piccola spedizione: egli subito tornò in sulla barca, e coll'aiuto dei suoi compagni trasse la rete in terra, benché fosse piena di centocinquantatre grossi pesci. Una differenza essenziale fra questo miracolo, e quello di Luca 5:4-7, si è che in questo i pesci son tutti grossi e buoni e in numero determinato, il che non vien detto della prima pesca miracolosa; di più, la prima volta "la rete si rompeva", mentre in questo caso ci vien detto: "la rete non si stracciò". Queste differenze figurano quelle che passano fra un ministero di prova sotto un Salvatore sofferente, e un ministero di trionfo con un Salvatore glorificato. Nel caso attuale, ci vengono prefigurati il successo meraviglioso che dovevano incontrare gli apostoli, allorquando, nella potenza del loro Signore risorto, uscirono a predicar la salvazione al mondo intiero, e la gioia di cui godranno insieme con lui, allorquando, mediante l'opera loro, "egli vedrà il frutto della fatica dell'anima sua, e ne sarà saziato" Isaia 53:11.

PASSI PARALLELI
Luca 5:6-8; Atti 2:41

12 12. Gesù disse loro: Venite, e desinate.
Finito che ebbero il loro lavoro, Gesù li invitò a prender parte al pasto che egli aveva preparato per essi. La parola tradotta "desinate" non è "pranzate", ma che indicava il pasto più leggero della mattina.
Or niuno dei discepoli ardiva domandarlo: Tu chi sei? sapendo ch'egli era il Signore.
Sedettero a mensa in silenzio. Tutti i discepoli erano convinti di trovarsi in presenza del Signore; eppure sentivano vivamente che egli era molto mutato dalla risurrezione in poi, e questo riempiva il, loro cuore di imbarazzo, di rispetto e di timore, chiudendo loro la bocca, perché temevano di venir tacciati di incredulità, dopo quanto avevano veduto. Oh! quanto si sarebbero sentiti sollevati, se una volta ancora egli avesse rivolto loro le consolanti parole: "Sono io non temiate!"

PASSI PARALLELI
Atti 10:41
Giovanni 4:27; 16:19; Genesi 32:29-30; Marco 9:32; Luca 9:45

13 13. Gesù adunque venne, e prese il pane, e ne diede loro; e dei pesce simigliantemente.
Gesù, come colui che li aveva convitati, si avvicina ora al fuoco, e presenta a ciascuno a turno il pane e il pesce. L'Evangelista non ci dice se rendesse grazie prima di distribuire a ciascuno la parte sua; ma questa essendo stata la costante abitudine del Signore, non v'ha dubbio, che vi si conformasse anche in questa occasione, né ci pare saldo argomento, per supporne qui la omissione, il dire che questo non era un pasto regolare, ma solo, diremo così, un boccone mangiato stando in piedi, o che Pietro ancora non era stato ristabilito nell'uffizio apostolico. L'Evangelista non ci dice se i discepoli mangiarono solo il pesce provveduto da Gesù, od anche una parte di quello della pesca miracolosa, e neppure se Gesù mangiò insieme con loro. In Luca 24:43, leggiamo che egli "mangiò in lor presenza", ma se così facesse più, di una volta, è cosa che non sappiamo. Se in questa occasione Gesù prese parte al pasto dei discepoli, ben dice Crisostomo che "questo fu un atto di condiscendenza, inteso a provare la realtà della sua risurrezione; imperocché la sua natura non aveva bisogno di cibo".

PASSI PARALLELI
Luca 24:42-43; Atti 10:41

14 14. Questa fu già la terza volta che Gesù si fece vedere ai suoi discepoli, dopo che fu risuscitato dai morti.
L'Evangelista non vuol dire che questa fosse solo la terza volta che Gesù risorto si manifestasse a qualsiasi fra i suoi discepoli, bensì la terza volta che egli si faceva loro vedere quando erano riuniti in un certo numero. Conosciamo, oltre a questa, almeno sette apparizioni di Gesù dopo la sua risurrezione:
1 a Maria Maddalena;
2 a Giovanna ed alle altre donne;
3 a Simon Pietro;
4 ai due discepoli di Emmaus;
5 alla Chiesa riunita nell'alto solaio;
6 alla medesima, nello stesso luogo, essendo presente anche Toma;
7 a cinquecento fratelli in sul monte in Galilea.
Può darsi che Giovanni considerasse l'apparizione che egli narra in questo capitolo, come il seguito della settima, ossia di quella in sul monte. In quel caso, le tre apparizioni accennate in questo versetto sarebbero le due avvenute nell'alto solaio in Gerusalemme, e questa di Galilea. O se si ammette che Giovanni parli di giorni anziché di occasioni nelle quali Gesù si fece vedere dai suoi discepoli, questo è veramente il terzo giorno delle sue apparizioni, imperocché le prime cinque avvennero tutte quante nel medesimo giorno, che fu quello della sua risurrezione, Il secondo giorno sarebbe stato quello della sua manifestazione a Toma, una settimana dopo; al terzo sarebbe avvenuta la scena qui descritta, se però la si può unire colla sua apparizione sul monte in Galilea. Non è chiaro quale scopo speciale avesse Giovanni facendo questa osservazione cronologica; ammenoché intendesse colla medesima separare la pesca miracolosa e il pasto che seguì, dal ristabilimento di Pietro nel suo ufficio di apostolo, e dalle predizioni di Gesù relativamente all'avvenire degli apostoli Pietro e Giovanni.

PASSI PARALLELI
Giovanni 20:19,26

15 Gesù ristabilisce Pietro nella carica di apostolo, Giovanni 21:15-17

15. Ora, dopo ch'ebbero desinato,
Benché Giovanni non riferisca alcuna conversazione fra Gesù e i suoi discepoli, durante il loro pasto, ci par molto improbabile la supposizione di alcuni critici che esso trascorresse in perfetto silenzio per parte di tutti. In questa breve appendice al suo Vangelo, Giovanni vuole soprattutto far conoscere in che modo Pietro era stato riammesso nell'ufficio apostolico, e correggere una voce erronea, che correva sul proprio conto; epperciò passa senz'altro a quei due soggetti.
Gesù disse a Simon Pietro: Simon di Giona (nel Codice Alessandrino qui troviamo Giovanni), m'ami tu più che costoro?
Giovanni sempre chiama questo discepolo, come qui, "Simon Pietro"; ma spicca la sua accuratezza nell'attenzione colla quale riferisce il nome datogli in questa circostanza da Gesù. È significativo infatti che Gesù più non lo chiama col nome che gli aveva dato quando lo accolse come discepolo Giovanni 1:42, e che indicava la forza e la perseveranza aspettate da lui; bensì secondo il suo nome originale, "Simon di Giona", per fargli capire che, mediante il suo rinnegamento, egli era ricaduto nello stato naturale di prima. Benché Hengstenberg ed altri neghino a spada tratta che vi sia qui alcuna allusione al rinnegamento di Pietro, è impossibile leggere queste parole di Gesù, senza sentire l'allusione in esse contenuta, al vanto di Pietro durante la cena pasquale, prima della partenza di Gesù e, dei suoi discepoli per il giardino di Ghetsemane. Le parole: "più che costoro" fanno specialmente pensare a quelle di Pietro: "Avvegnacché tutti sieno scandalizzati in te, io però non sarò mai scandalizzato" Matteo 26:33. La domanda di Gesù a Pietro non è né astrusa né difficile, ma semplicissima ed atta a trovar subito la via del suo cuore. Gesù non chiede: Sei tu nato di nuovo? bensì "Quali sentimenti nutri verso di me: l'indifferenza, od un vero affetto?" Era pure una domanda calzante: Conosco il tuo passato; ti vidi quando mi rinnegasti. Sei tu ora sincero nella tua professione? Sei pronto a darmi tutto il tuo cuore?" Parlando di "costoro", Gesù voleva dire evidentemente "i tuoi compagni, quelli che stanno qui d'intorno a noi", benché alcuni critici applichino molto stranamente quella parola alla, barca, alle reti, al pesce, ecc. No, Gesù richiama alla memoria di Pietro il suo vanto di prima, e gli domanda se tuttora professa di essergli più fedele, più devoto di tutti gli altri.
Egli gli disse: Veramente, Signore, tu sai ch'io t'amo.
L'intenzione del Signore nel richiamare alla mente del suo discepolo il passato, era di condurlo ad umiliarsene e a pentirsene. La modesta risposta di Pietro fa vedere che quello scopo è appieno raggiunto, Egli più non si paragona, per devozione a Gesù, agli altri discepoli. Se essi avevano codardamente abbandonato il Maestro nell'ora del pericolo, almeno non l'avevano rinnegato, come avea fatto lui. Sapeva ora di non aver vanto alcuno. Ma la sua risposta contiene altre prove ancora di sincera umiltà, imperocché egli fa appello direttamente alla onniscienza di Cristo, quale investigatore dei cuori, in prova della realtà dell'amor suo per lui, e ciò dà alle sue parole un senso ben diverso di quello delle prime. Il greco ha due verbi per dire "amar" e i quali corrispondono ai verbi latini diligere ed amare. Nella breve conversazione ricordata in Giovanni 21:15-17 entrambi, vengono usati, per esprimere gradi diversi di amore, per distinguere fra i quali non abbiamo termini adeguati nelle nostre lingue moderne. Ernesti Citato da Trench, ha assai chiaramente definito il senso di quei due verbi, dicendo "Diligere magis ad judicium, amare vero ad intimum animi sensum pertinet". Ma Trench medesimo ne dà una definizione più chiara ancora, che qui riassumiamo: "il primo verbo, esprime un affetto ragionato, effetto della scelta che uno fa dell'oggetto amato, per aver riconosciuto esser d'esso degno di amore; laddove il secondo, senza esser necessariamente un affetto sragionevole, spesso però non potrebbe render conto a sé stesso del suo perché: è più istintivo, dipende maggiormente dal sentimento, implica Maggiormente la passione. "In ognuna delle sue risposte, Pietro usa il verbo più tenero ed appassionato, per indicare che ama Gesù di amore personale. Il Signore invece fa nelle due prime domande uso di affetto ragionato; ma nell'ultima, con gran gioia di Pietro, adotta la parola colla quale il discepolo penitente aveva fino dal principio espresso l'amor suo per il suo Maestro. La preferenza di Pietro per ha due ragioni:
1. È una parola meno elevata; egli è certo di sentir l'affetto naturale che essa esprime, ma non ardisce dir nulla dell'affetto più elevato.
2. È una parola più calda; implica calma nel giudicare e nello scegliere, calma che ad un uomo del carattere di Pietro doveva apparir fredda, poiché mai come in quello istante il suo cuore aveva battuto all'unisono con quello del suo Signore. Nella terza sua domanda, Gesù adotta il linguaggio di Pietro, e così fa più che mai appello al suo cuore.
Gesù gli disse: Pasci i miei agnelli.
Mantengono alcuni scrittori che Pietro, ben lungi dall'essere stato degradato per la sua colpa, riceve qui un nuovo e più importante mandato apostolico; ma non è possibile mettere in dubbio che la domanda: "M'ami tu?" fu tre volte ripetuta dal Signore, per ricordargli che per tre volte pure egli lo aveva rinnegato; e che il mandato di pascere le sue pecore per tre volte rinnovatogli in questo e nei seguenti versetti, fu una reintegrazione formale di Pietro nell'ufficio apostolico, dal quale il suo triplice rinnegamento, avealo fatto virtualmente decadere. Andiamo perfettamente d'accordo con Brown, laddove egli dice che "dopo una simile condotta, la profonda ferita che egli avea fatta al cuore di Cristo, la macchia che egli aveva recata al proprio ufficio, il danno fatto alla sua propria posizione in mezzo agli apostoli, perfino il proprio conforto, di fronte alla grande opera cui era chiamato, richiedevano che egli venisse in qualche modo consimile ristabilito pienamente nel suo ufficio". Il mandato apostolico gli viene nuovamente conferito, mediante le parole: "Pasci i miei agnelli", ed include l'istruzione e la sorveglianza spirituale del popolo di Cristo. Ne parleremo più diffusamente, commentando i versetti che seguono.

PASSI PARALLELI
Giovanni 21:16-17; 1:42
Matteo 16:17
Giovanni 8:42; 14:15-24; 16:27; Matteo 10:37; 25:34-45; 1Corinzi 16:21-22
2Corinzi 5:14-15; Galati 5:6; Efesini 6:24; 1Pietro 1:8; 1Giovanni 4:19; 5:1
Giovanni 21:7 Matteo 26:33,35; Marco 14:29
Giovanni 21:17; 2Samuele 7:20; 2Re 20:3; Ebrei 4:13; Apocalisse 2:23
Salmi 78:70-72; Geremia 3:15; 23:4; Ezechiele 34:2-10,23; Atti 20:28; 1Timoteo 4:15-16
Ebrei 13:20; 1Pietro 2:25; 5:1-4
Genesi 33:13; Isaia 40:11; Matteo 18:10-11; Luca 22:32; Romani 14:1; 15:1
1Corinzi 3:1-3; 8:11; Efesini 4:14; Ebrei 12:12-13; 1Pietro 2:2

16 16.Gli disse ancora la seconda volta: Simon di Giona, m'ami tu? Egli gli disse: Veramente, Signore, tu sai ch'io t'amo. Gesù gli disse: Pasci le mie pecore. 17. Gli disse la terza volta: Simon di Giona, m'ami tu? Pietro s'attristò ch'egli gli avesse detto fino a tre volte: M'ami tu? E gli disse: Signore, tu sai ogni cosa, tu sai ch'io t'amo. Gesù gli disse: Pasci le mie pecore.
Alla triplice domanda di Gesù, ed alla triplice risposta di Pietro, corrisponde una triplice descrizione di quelli che vengono nuovamente affidati alle cure dell'apostolo, ma con parole diverse, le quali però sempre dicono che essi sono la proprietà esclusiva del Signore. In Giovanni 21:15 Gesù li chiama "agnelli; pecore" in Giovanni 21:16-17. Vien dunque fatta una distinzione fra "gli agnelli", e "le pecore". Però in tre MSS, "l'Alessandrino, il Vaticano e quello di Efrem", trovasi al ver. 16 "piccole o giovani pecore". Questo fa una certa differenza nel senso e mostra una bella gradazione nelle, parole di Gesù: egli pensa prima ai teneri agnelli, poi alle pecore giovani, quindi alle adulte, abbracciando così tutta la greggia. Essendo le prove esterne ugualmente divise preferiamo quest'ultima lezione, come quella che ci presenta in modo più completo e commovente la sollecitudine colla quale il Signore veglia sopra tutto il popolo suo, così su quelli che sono bambini in Cristo, come su quelli che hanno pure allora fatto professione dell'Evangelo, e su quelli che già "hanno testimoniato la buona confessione, ed ora portano" la gravezza del dì e l'arsura. Giovanni stesso sembra confermare questa triplice distinzione, facendone una consimile fra i cristiani ai quali scrive, e che divide in figlioletti, padri e giovani 1Giovanni 2:12-13. Il Signore chiama sé stesso Giovanni 10:14, il "buon pastore"; Paolo lo chiama "il gran pastor delle pecore" Ebrei 13:20, e Pietro il "Sommo Pastore" 1Pietro 5:4; epperciò il mandato che egli qui affida a Pietro è quello di pastore delegato, il quale però ha da compiere i medesimi suoi doveri. Questi doveri il Signore li descrive mediante i due verbi e i quali indicano due parti distinte dell'ufficio di pastore, ma due parti che hanno ciascuna la sua grande importanza. significa "nutrire", provvedere il cibo o la pastura che occorrono al sostentamento giornaliero della greggia; è più generico, ed include pure il guidare, il proteggere, il governare la greggia. Si è chiesto perché il Signore, dopo aver parlato Giovanni 21:15 di cibare la greggia, ed in Giovanni 21:16 di governarla, torni Giovanni 21:17 al primo suo ordine di cibarla. V'ha in ciò un senso profondo e che tutti quelli che sono chiamati al ministero non dovrebbero dimenticare mai, ed è che, per quanto sia piacevole alla vanità di un uomo il governare la Chiesa che gli è affidata, egli non deve mai perdere di vista che il nutrire la greggia di Dio con pasture sempre fresche ed acque sempre vive, è il suo compito più nobile e più difficile. Tornando a col quale aveva cominciato, il Signore insegna alla sua Chiesa tutta, che per quanto sia in essa rigorosa ed osservata la disciplina, savia e prudente l'organizzazione ecclesiastica, il provvedere alle pecore il cibo spirituale che conviene a ciascuna è la cosa essenziale, della quale niente altro può tenere il posto. Pietro ci sembra ricordare quest'ordine del Signore nella sua prima epistola 1Pietro 5:2-3, passo che condanna esplicitamente le pretese di quelli che si fondano su queste parole di Gesù, per reclamare, quali sedicenti successori di Pietro, un dominio assoluto sulla Chiesa universale. Prima di passar oltre, fermiamoci ancora sulle parole: "Pietro s'attristò ch'egli gli avesse detto fino a tre volte: M'ami tu?" La ragione di questo dolore di Pietro non è solamente il fatto che il Signore avevagli ripetuto tre volte la medesima domanda; bensì che alla terza volta, pure avendo il Signore adottato la sua espressione di ciononostante ripete ancora la domanda, quasiché ponesse in dubbio, non la sincerità della risposta, ma la perseveranza di Pietro nell'amar il suo Signore. L'apostolo non s'inganna egli sul proprio stato? Quel dolore era voluto da Gesù per il bene di Pietro, e sortì l'effetto voluto dal Signore. Se mai fossero ancora rimasti nel cuore di Pietro alcuni resti di fiducia in sé, quest'ultima prova li spazzò via per sempre. Senza paragonarsi ad altri, senza far temerarie promesse riguardo al futuro, Pietro fa appello alla onniscienza di Gesù, supplicandolo di leggere nell'intimo del cuor suo, e di vedervi la realtà del suo pentimento, la sincerità del suo amore: "Signore, tu sai ogni cosa; tu sai ch'io t'amo".

PASSI PARALLELI
Giovanni 18:17,25; Matteo 26:72
Giovanni 10:11-16,26-27; Salmi 95:7; 100:3; Zaccaria 13:7; Matteo 25:32; Luca 15:3-7; 19:10
Atti 20:28; Ebrei 13:20; 1Pietro 2:25
Giovanni 13:38; 18:27; Matteo 26:73-74; Apocalisse 3:19
1Re 17:18; Lamentazioni 3:33; Matteo 26:75; Marco 14:72; Luca 22:61-62; 2Corinzi 2:4-7
2Corinzi 7:8-11; Efesini 4:30; 1Pietro 1:6
Giovanni 2:24-25; 16:30; 18:4; Geremia 17:10; Atti 1:24; 15:8; Apocalisse 2:23
Giovanni 21:15; Giosuè 22:22; 1Cronache 29:17; Giobbe 31:4-6; Salmi 7:8-9; 17:3; 2Corinzi 1:12
Giovanni 21:15-16; 12:8; 14:15; 15:10; Matteo 25:40; 2Corinzi 8:8-9; 2Pietro 1:12-15; 3:1
1Giovanni 3:16-24; 3Giovanni 7-8
Giovanni 21:18-19

18 Gesù predice a Pietro il suo martirio. Giovanni 21:18-19

18. In verità, in verità, io ti dico, che quando tu eri giovane, tu ti cingevi, e andavi ove volevi; ma, quando sarai vecchio, tu stenderai le tue mani, e un altro ti cingerà, e ti condurrà là ove tu non vorresti.

Colle prime parole di questo versetto: "in verità, in verità", Gesù chiama l'attenzione di Pietro sulla importanza e la solennità di quanto sta per dire. E invero intende parlargli della morte che lo aspetta. Per ben comprendere il senso di queste parole del Signore, bisogna ricordarci che poco prima di venire arrestato nel Ghetsemane, Gesù aveva detto ai discepoli: "Voi tutti sarete scandalizzati in me questa notte" Marco 14:27; poi le parole rivolte a Pietro specialmente: "Il gallo non canterà che tu non mi abbi rinnegato tre, volte" Giovanni 13:38, in risposta al suo vanto di esser pronto a seguitare Gesù fino alla morte. Tenendo in mente le parole anteriori di Gesù, parrà molto appropriato che egli faccia ora seguire il ristabilimento di Pietro nel suo ufficio apostolico, dall'annunzio che lo aspetta una prova ben più grave per la sua fede, ma che egli ne uscirà trionfante, rimanendo fedele fino alla morte. Alcuni critici vogliono spiegare questo versetto, non letteralmente, ma figurativamente, e par loro che contenga qualche cosa di più importante che il mero annunzio del genere di morte che aspettava Pietro. Come esempio delle spiegazioni metaforiche che sono state date di questo versetto, ci vien detto che il cingersi di Pietro e l'andar dove voleva, in gioventù, indicava quella volontà propria che era stata fino a quel momento un tratto distintivo del suo carattere, ma che doveva ora venir crocifissa, sì da essere impotente come un corpo inchiodato alla croce; che lo stendere le mani indica il suo arrendersi interamente ad esser guidato da un altro; che l'esser cinto da altri significa l'esser preparato da Dio stesso per l'opera sua. Sono tutte idee giuste in sé; ma non ci sembrano racchiuse in questo versetto, e certo non si presenterebbero da sole alla mente di un lettore ordinario. Gli argomenti poi, sui quali si fondano tali interpretazioni figurative, ci paiono debolissimi:
1. Ci si dice che "cignerà" deve avere un senso figurativo, perché già lo aveva il suo composto "succinse", di Giovanni 21:7 il che non ammettiamo punto;
2. che il verbo "andavi" non esprime sufficientemente la libera attività della gioventù, e però suggerisce una qualche interpretazione allegorica delle parole del Signore, e si citano in Giovanni 6:66; 8:12; 11:9-10; 12:35, nei quali "andare" o "camminare" è detto di tutti i cristiani e non solamente dei giovani; ma in quei passi non c'è allusione alcuna al camminar più o meno presto o spedito.
3. Finalmente si considera come affatto contrario all'idea della crocifissione di Pietro il fatto che Gesù dice "Tu stenderai le mani", prima di dire: "Un altro ti cingerà e ti condurrà", il che sembrerebbe contrario all'ordine seguito in una crocifissione ordinaria, nella quale prima si legava il condannato in sulla croce, poi gli si facevano stendere le mani per inchiodarle sui bracci laterali della croce stessa. A ciò rispondiamo che lo stendere le mani indica l'atto di uno che si arrende ai suoi nemici, affinché facciano di lui quello che vogliono, ed è pronto anche all'ultimo supplizio. È possibile che Gesù non intendesse descrivere qui punto per punto il supplizio della crocifissione; è certo però che intendeva annunziare a Pietro che la sua carriera si chiuderebbe colla prigionia e col martirio.

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:36; Atti 12:3-4
Atti 21:11
Giovanni 12:27-28; 2Corinzi 5:4

19 19. Or disse ciò, significando di qual morte egli glorificherebbe Iddio.
Queste parole sono un commento ispirato di Giovanni alle parole di Gesù, e dichiarano esplicitamente che nel vers. precedente il Signore, intendeva profetizzare a Pietro il suo martirio. E che quella predizione si sia adempiuta, non ne possiamo dubitare. Benché non abbiamo nessuna prova innegabile che Pietro sia mai stato a Roma, non v'ha ragione alcuna per mettere in forse la tradizione, che risale ai tempi di Tertulliano, che egli pure fu, crocifisso.
E detto questo, gli disse: Seguitami.
La prima parte del vers. era una parentesi contenente un commento dell'apostolo alle parole di Gesù; ora abbiamo un comandamento dato da Gesù a Pietro, probabilmente per mettere alla prova la sua ubbidienza, il suo coraggio e la sua devozione nelle circostanze assai più critiche nelle quali stava per trovarsi. Parrebbe che, alzatosi da sedere, Gesù si disponesse ad allontanarsi dal luogo ove avevano mangiato, e che il comando: "Seguitami" dovesse essere ubbidito alla lettera. E così fu, poiché ci vien detto che Pietro, mentre seguiva il suo Maestro, "rivoltosi, vide venir dietro a sé il discepolo che Gesù amava". Ma, se con quella parola il Signore ordinava a Pietro di seguitarlo alla lettera, probabilmente per parlar con lui in privato, non v'ha dubbio che essa ha un senso spirituale, come altrove nell'Evangelo. Crisostomo la spiegava così: "Seguitami nell'opera attiva del ministerio evangelico"; Meyer: "Seguitami sulla via del martirio, sulla quale ti guida il mio esempio"; Luthardt: "Seguitami in quel mondo invisibile nel quale sono già entrato, ed al quale tu salirai mediante il martirio. Ryle vede in questa parola un'allusione latente a quanto Gesù aveva detto a Pietro, la notte che fu tradito: "Là ove io vo, tu non puoi ora seguitarmi; ma mi seguiterai poi appresso" Giovanni 13:36. Pietro ubbidì a questo comandamento, così in senso letterale come in senso figurativo, durante tutto il resto della sua vita, e per la grazia di Dio, poté glorificarlo col martirio.

PASSI PARALLELI
Filippesi 1:20; 1Pietro 4:11-14; 2Pietro 1:14
Giovanni 21:22; 12:26; 13:36-37; Numeri 14:24; 1Samuele 12:20; Matteo 10:38; 16:21-25; 19:28
Marco 8:33-38; Luca 9:22-26

20 L'Evangelista corregge una voce erronea che correva nella Chiesa a suo riguardo, Giovanni 21:20-23

20. Or Pietro, rivoltosi, vide venir dietro a sé il discepolo che Gesù amava, il quale eziandio nella cena era coricato in sul petto di Gesù, ed avea detto: Signore, chi è colui che ti tradisce?
Giovanni ricorda questi vari particolari, relativi al discepolo che Gesù amava, in primo luogo per indicare chi è che scrive, quindi per illustrare l'intimità e la confidenza dell'amore che esisteva fra lui e il suo Maestro, e che gli facevano lecito di seguitarlo a distanza, quando egli si allontanò con Pietro. Per confermare la curiosità di Pietro, egli ricorda pure la domanda che, ad istigazione di lui, egli aveva fatta a Gesù, durante la cena pasquale.

PASSI PARALLELI
Giovanni 21:7,24; 20:2
Giovanni 13:23-26; 20:2

21 21. Pietro avendolo veduto disse a Gesù: Signore, e costui, che?
La domanda di Pietro è espressa nei termini più brevi possibili: "Che sarà di colui che ci seguita? Qual sorte lo aspetta? È domanda che tradisce una evidente curiosità riguardo all'avvenire del suo collega; ma qual ne fu il vero motivo? Fu questo l'amor di Pietro per Giovanni e il desiderio che la sua vita avvenire fosse meno turbata della propria? Fu mera curiosità prodotta dal carattere irrequieto ed impulsivo dell'apostolo? O fu forse gelosia inconscia che a Giovanni fosse riserbata una morte meno dolorosa della propria, per non aver egli rinnegato il Signore? Ciascuna di queste ipotesi ha i suoi sostenitori. Fra Pietro e Giovanni esisteva, così prima della morte di Gesù come dopo, amicizia profonda; non possiamo dunque credere all'invidia che alcuni attribuiscono a Pietro, e che avrebbe, a parer loro, dettato la sua domanda. Ci par più probabile che l'apostolo, troppo presto dominato di nuovo dal suo carattere originale, si lasciò sfuggir di bocca una domanda intempestiva, poiché la risposta del Signore contiene di quella domanda un biasimo evidente.

PASSI PARALLELI
Matteo 24:3-4; Luca 13:23-24; Atti 1:6-7

22 22. Gesù gli disse: Se io voglio che egli dimori finch'io venga, che tocca ciò a te? tu seguitami
Questa risposta contiene un evidente rimprovero. Il Signore non avea chiamato Pietro da parte per dirgli quello che avverrebbe ai suoi compagni, ma per istruirlo riguardo a quanto egli aspettava da lui medesimo. Colle parole: "Se io voglio che egli dimori ecc. Gesù conferma la dichiarazione che egli aveva probabilmente già fatta ai suoi discepoli, in sul monte: "Ogni podestà mi è data in cielo ed in terra", e si attribuisce il diritto di disporre in modo assoluto della vita umana, lasciando i suoi servitori quaggiù, o chiamandoli a sé, ed assegnando loro una carriera più o meno facile o difficile, secondo che par più conveniente alla sua sapienza divina, e senza che nessuno abbia il diritto di domandargliene conto. Paolo dichiara la medesima verità in Romani 14:9: "Cristo è morto e risuscitato e tornato a vita, acciocché egli signoreggi e sopra i morti e sopra i vivi"; e Gesù qui parla nella piena coscienza della sua assoluta sovranità. Della "venuta" di cui parla qui il Signore sono state date varie interpretazioni. Taluni sostengono che Gesù fa semplicemente allusione al suo ritorno dalla passeggiata che stava facendo con Pietro; è opinione assurda che non occorre nemmeno confutare. Nel Nuovo Testamento sono dati due sensi alla "venuta" del Signore. La si intende figurativamente della distruzione di Gerusalemme e del Tempio, seguita dalla dispersione ai quattro venti della ribelle nazione d'Israele Matteo 24:3; poi del suo ritorno all'ultimo dì, per giudicare i vivi e i morti 1Tessalonicesi 4:16; 2Tessalonicesi 1:7-10. Molti credono che Gesù alludesse alla prima di tali venute, basando questa opinione sul fatto che Giovanni, solo fra gli apostoli, sopravvisse alla distruzione di Gerusalemme, e fu testimone di quella serie di fatti che si appartengono agli "ultimi giorni". Ma in quel caso la supposizione, "se", del Signore si sarebbe avverata, e Giovanni non avrebbe certo mancato di farne l'osservazione nei versetti che seguono. D'altra parte Giovanni stesso ci fornisce la prova che Gesù non aveva qui in mente la sua seconda venuta, "nella sua gloria, con tutti i santi angeli" Matteo 25:31, poiché egli dice: "Gesù non avea detto a Pietro che egli non morrebbe". Questo implica evidentemente che tosto o tardi egli pure doveva soggiacere alla morte. Or Paolo dichiara espressamente, relativamente alla seconda venuta di Cristo: "Non già tutti morremo, ma ben tutti saremo mutati" 1Corinzi 15:51; 1Tessalonicesi 4:17. Se dunque egli fosse rimasto in vita, fino al ritorno in gloria del Signore, Giovanni più non avrebbe gustato la morte, mentre egli stesso dice non aver mai il Signore voluto significare che egli non morrebbe; e sappiamo infatti che morì in Efeso in età avanzatissima. Egli stesso ci darà la chiave di questa difficoltà nel versetto che segue.

PASSI PARALLELI
Matteo 16:27-28; 24:3,27,44; 25:31; Marco 9:1; 1Corinzi 4:5; 11:26; Apocalisse 1:7; 2:25
Apocalisse 3:11; 22:7,20
Giovanni 21:19

23 23. Laonde questo dire si sparse tra i fratelli, che quel discepolo non morrebbe; ma Gesù non avea detto a Pietro ch'egli non morrebbe; ma: Se io voglio ch'egli dimori finch'io venga, che tocca ciò a te?
In questo versetto, l'Evangelista ci dice che colle parole: "finch'io venga", il Signore non intese fissare un'epoca speciale qualsiasi, né manco rivelar nulla che appartenesse all'avvenire di Giovanni. Egli fece una pura e semplice supposizione: dalla quale nulla di positivo dovevasi rilevare e coll'unico scopo di ricondurre l'attenzione di Pietro su di sé medesimo, e sull'opera che egli stava per affidargli. E che fosse necessario correggere, l'erronea interpretazione corrente a quei giorni di tali parole del Signore relativamente al suo amato discepolo, lo prova la tradizione che ebbe corso per un tempo ad Efeso, che cioè, dopo la sepoltura di Giovanni, si vedesse la terra sollevarsi sopra il suo petto, in segno che il soffio vitale, neppur dopo morte, avealo abbandonato.

PASSI PARALLELI
Deuteronomio 29:29; Giobbe 28:28; 33:13; Daniele 4:35

24 Giovanni 21:24-25. CONCLUSIONE FINALE DELL'EVANGELO DI GIOVANNI

24. Quest'è quel discepolo, che testimonia di queste cose, e che ha scritte queste cose; e noi sappiamo che la sua testimonianza è verace
Queste parole sono la conclusione non solo di questo capitolo, ma dell'intero Vangelo. Con esse l'apostolo si dichiara l'autore dell'Evangelo tutto quanto, e solennemente assevera di non aver detto che la verità. Tuttavia alcuni, critici sostengono che Giovanni 21:24 e fors'anche Giovanni 21:25, è dovuto ad altra penna che a quella di Giovanni, e lo attribuiscono agli anziani di Efeso, o a dei cristiani influenti di quella città, i quali lo avrebbero aggiunto all'Evangelo, a guisa di certificato, subito dopo la morte di Giovanni. L'argomento principale sul quale si basa questa ipotesi si è che in questo vers. lo scrivente parla di sé stesso alla prima persona plurale: "sappiamo", mentre Giovanni parla sempre di sé alla terza singolare. Di più sembra strano che la medesima persona parli di sé alla terza persona singolare: "questo è quel discepolo", per parlare subito dopo alla prima plurale: "noi sappiamo che la sua testimonianza è verace". Ma il fatto che Giovanni faceva ordinariamente uso della terza persona del singolare, non impedisce punto che, giunto alla fine del grande suo compito, egli non abbia fatto uso del plurale per dare enfasi maggiore alle sue proteste di veridicità. Questa spiegazione ci par preferibile alla teoria secondo la quale gli anziani di Efeso si sarebbero fatto lecito, senza la minima autorità, di intercalare questo versetto in mezzo alle parole ispirate dell'apostolo, e ciò senza darne alle generazioni da venire il più piccolo indizio; come pure non è ragionevole il supporre che dei cristiani seri abbiano ardito testificare della verità di fatti dei quali non erano stati testimoni. Rigettando tali ipotesi, abbiam qui la testimonianza di un uomo, noto a tutti i suoi contemporanei per quasi un secolo di vita intemerata, la cui veracità era divenuta per così dire proverbiale, sicché egli ben può fare appello ad essa per venir creduto da tutti. È vero che in nessuna parte del suo racconto troviamo il suo nome; ma non occorreva che si nominasse. Ogni linea del suo scritto, ogni tratto del quadro che egli ci ha tracciato di Cristo, ce lo rivelano come "il discepolo che Gesù amava". Alford così chiude il suo commento su quest'ultimo capitolo di Giovanni in conclusione, io son convinto che in questo capitolo abbiamo un frammento al tempo stesso autentico e genuino, aggiunto al Vangelo dall'apostolo medesimo, per ragioni che risultano evidenti da quel frammento stesso. Esso porta il segno della sua mano, in uno stile alquanto posteriore, dovuto forse alla sua estrema vecchiezza".

PASSI PARALLELI
Giovanni 19:35; 1Giovanni 1:1,2; 5:6; 3Giovanni 12

25 25. Or vi sono ancora molte altre cose, che Gesù ha fatte, le quali, se fossero scritte ad una ad una, io non penso che nel mondo stesso capissero i libri che se ne scriverebbero. Amen.
Benché alcuni critici attribuiscano anche questo versetto ad altra penna che non a quella di Giovanni, il maggior numero va d'accordo nell'ammettere che egli ne è veramente l'autore. Con queste parole, l'evangelista par che voglia spiegare il piano che lo guidò nella scelta dei fatti e dei detti innumerevoli di Cristo, dei quali era ripiena la sua memoria. Scrivere ogni cosa sarebbe stato pressoché impossibile, e se anche lo avesse potuto fare, l'espressione iperbolica dell'evangelista: "io non penso che nel mondo capissero i libri che se ne scriverebbero", parrebbe appena esagerata. Ma devono quelle sue parole esser proprio prese in senso iperbolico? Non è, egli più riverente e più vero al tempo stesso il dire con Milligan che "questo modo di parlare esprime l'infinitudine che Giovanni contemplava nella vita di Gesù le incommensurabili profondità che egli scorgeva in ogni suo atto, in ogni sua parola". La sapienza divina non si rivelò meno nel limitare il numero e la grandezza dei libri scritti per autorità divina, riguardo alle "cose che, Gesù ha fatte" che nella loro pluralità e varietà. Sono quattro i Vangeli, affinché possiamo avere testimonianze indipendenti ed appieno sufficienti, mentre al tempo stesso i quattro racconti sono perfettamente armonici. Di più non fu scritto, per timore che la memoria dell'uomo ne rimanesse sovraccarica e confusa, e il libro della vita riuscisse troppo voluminoso, per venir letto da tutti e per essere un libro veramente popolare, utile ad ogni peccatore. È oramai universalmente ammesso che ognuno dei Vangeli ebbe un carattere ed uno scopo speciali. Lo scopo che Giovanni prese di mira si fu di mettere dinanzi agli occhi nostri le manifestazioni della divinità in Cristo, e l'occasione che diede origine al suo Vangelo fu la propagazione di un falso sistema di cristianesimo detto Gnosticismo, basato su nozioni erronee relativamente alla persona ed all'opera di Cristo. Questo scopo spiega la scelta dei fatti speciali narrati da Giovanni, e l'introduzione nel racconto di quelle sue osservazioni personali, che formano un tratto caratteristico del suo Vangelo. La parola "Amen", che chiude il Vangelo si crede aggiunta da qualche antico copista, e non già dall'evangelista medesimo. Importa però notare che ciascuno dei quattro Vangeli si chiude coll'Amen, parola che significa: "è la verità, le cose stanno realmente così". Il desiderio e la fervente preghiera degli amici Efesini del venerando apostolo furono che egli scrivesse per loro un Vangelo spirituale, Vedi Introduzione, e chiunque studia diligentemente e con preghiera il suo Vangelo, deve riconoscere con gratitudine, che mediante l'insegnamento dello Spirito, Giovanni condusse mirabilmente a termine l'ardua impresa, trasmettendoci non solo molti fatti necessari a completare la vita terrena del Signore, quale ci, era già stata narrata dai Sinottici, ma pure le prove più concludenti che Gesù di Nazaret è il Figliuolo di Dio, il Salvatore del popolo suo credente, "la via, la verità e la vita". Se, coll'aiuto del Signore, abbiam potuto, in queste nostre annotazioni, gettare un poco di luce sugli scritti degli Evangelisti, sì da giovare a quelli d'infra gli Italiani che hanno fame e sete di conoscere più addentro la Parola del Signore, il nostro scopo sarà stato raggiunto, e a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo ne sia tutta la gloria.

PASSI PARALLELI
Giovanni 20:30-31; Giobbe 26:14; Salmi 40:5; 71:15; Ecclesiaste 12:12; Matteo 11:5; Atti 10:38
Atti 20:35; Ebrei 11:32
Amos 7:10; Matteo 19:24