Giovanni 18
CAPO 18 - ANALISI
1. Cristo, cogli undici, parte dalla stanza ove avean celebrato la Pasqua, per recai si al giardino di Ghetsemane. Era questo situato nella stretta e coltivatissima valle posta fra il muro orientale di Gerusalemme e il monte degli Ulivi, la quale prendeva in allora il nome dal torrente di Chedron, ed è detta ora "Valle di Giosafat". Il giardino di Ghetsemane era spesso visitato da Gesù, quando soggiornava in Gerusalemme; e Giuda era certo di trovarcelo, quando uscì quella notte colla schiera, per mettere ad esecuzione il suo tradimento Giovanni 18:1-2.
2. Gesù tradito ed arrestato. Giovanni passa sotto silenzio l'agonia di Gesù in Ghetsemane, senza dubbio perché già ne avean parlato i Sinottici, il cui racconto, specialmente per ciò che concerne la passione del Signore, egli sembra essersi proposto di completare. In questo paragrafo, egli descrive minutamente la schiera che venne ad arrestare Gesù, l'effetto irresistibile della sua maestà e del suo nome sui suoi avversari, la sua domanda che i discepoli venissero lasciati in libertà, domanda nella quale Giovanni vide adempiuta la sua preghiera d'intercessione per loro, e la guarigione miracolosa dell'orecchio, di Malco reciso da Pietro Giovanni 18:3-12.
3. Esame privato di Gesù nella casa di Anna, già sommo sacerdote, che poi lo mandò a Caiafa. Questo particolare trovasi solo in Giovanni, non nei Sinottici. È certo che Anna era stato sommo sacerdote, e benché deposto dai Romani, ne portava tuttavia il titolo, e godeva una certa influenza in Gerusalemme, fors'anche perché suocero di Caiafa. Non si può sapere se Gesù fosse condotto da Anna per fare onore a questi e per soddisfare la sua curiosità, o se così dovesse, farsi per esser egli tuttora Presidente, "Nasi", o Vice Presidente, "Sagan", del Sinedrio; ma dal modo con cui ne parlano; Luca e Giovanni par probabile che occupasse ancora qualche posizione ufficiale elevata. Non ci vien detto quello che avvenisse in casa di Anna; e poco dopo Gesù fu mandato da Caiafa Giovanni 18:24.
4. Esame privato di Gesù dinanzi a Caiafa, mentre si aspetta la riunione del Sinedrio, e l'arrivo dei testimoni. Sostengono alcuni che questo esame fu fatto da Anna nella casa del sommo sacerdote, ed in sua presenza; ma Giovanni non lascia dubbio alcuno che l'interrogante fosse Caiafa, poiché ricorda che fu quello stesso che già, come sommo sacerdote, avea profetizzato dover Gesù morire per tutto il popolo Giovanni 11:49-50. In questo interrogatorio, il sommo sacerdote cercò di irretire Gesù, facendogli domande intorno alle sue dottrine, ed intorno al numero e al nome dei suoi discepoli, contro i quali senza dubbio si riserbava di istituire un processo di scomunica. Ma il Signore lo rimandò a quelli che avevano udito il suo insegnamento nel tempio e nelle sinagoghe, e ciò irritò talmente uno dei sergenti che, di proprio moto, percosse Gesù, inerme e legato come era Giovanni 14:19-23.
5. La caduta di Pietro. Ricordato questo interrogatorio privato di Gesù, per opera del sommo sacerdote, Giovanni passa sotto silenzio la sua condanna a morte per parte del Sinedrio, fatto ben noto per mezzo dei tre primi Vangeli. Racconta invece la colpa di Pietro, ricordando alcuni particolari prima ignorati, come l'esser egli stato accompagnato in casa di Caiafa da un altro discepolo, le difficoltà per entrare, e come vinte. Poi fa vedere che Pietro si espose da sé al pericolo, mescolandosi coi servitori attorno al fuoco, ed eccitando la loro curiosità riguardo ai motivi che potevano averlo quivi condotto a tal'ora di notte; quindi, narra che, nella sua infatuazione, Pietro rinnegò il suo Signore, precisamente dinanzi alle persone che lo potevan meglio riconoscere: la fanticella che lo aveva fatto entrare nel palazzo, ed il parente di Malco. Finalmente ricorda in che modo il cantare del gallo fece risovvenire Pietro della predizione di Cristo Giovanni 18:15-18,25-27.
6. Gesù dinanzi a Pilato, governatore romano. Di buon mattino, il Sinedrio, dopo aver condannato Gesù, lo mandò dal governatore romano, non volonterosamente, ma per esser questo il solo modo di eseguire la sua sentenza, essendo stato tolto al Sinedrio dai Romani il diritto di vita e di morte. Pilato, udito che Gesù non cospirava contro il potere romano, disse ai Giudei di giudicarlo secondo la loro legge. Risposero a questa concessione del governatore romano, confessando ad un tempo la loro malizia, la loro impotenza e la profonda umiliazione cui vedevansi ridotti. Volevano far morire Gesù, ma non ne avevano più il diritto. Perciò portarono contro di lui una nuova accusa, dicendo che aveva voluto farsi re. Pilato allora fece tornar Gesù nel tribunale, e lo esaminò rigorosamente su quel punto, che toccava gl'interessi dell'Imperatore; ma presto si convinse che l'autorità imperiale nulla aveva da temere da Gesù, e tornato agli accusatori dichiarò loro di non trovar colpa alcuna in lui. Epperciò proponeva di lasciarlo andar libero, secondo l'usanza della festa di Pasqua Giovanni 18:28-40.

Giovanni 18:1-2. GESÙ COGLI UNDICI, PARTE DALLA STANZA DOVE AVEVANO CELEBRATO LA PASQUA PER RECARSI AL GIARDINO DI GHETSEMANE

1. Gesù, avendo dette queste cose, uscì coi suoi discepoli,
Giovanni dichiara qui nel modo più reciso, che solo quando furon terminati il discorso di Gesù e la sua preghiera di intercessione Giovanni 14:1-31; 15:1-27; 16:1-33; 17:1-26, la comitiva uscì dalla stanza della cena pasquale. Non si può dunque ammettere che una parte del discorso e la preghiera fossero pronunziati per via, o nel tempio, Vedi nota Giovanni 14:31.
e andò di là dal torrente di Chedron,
Ben a ragione dà Giovanni al Chedron il nome di "torrente d'inverno", poiché è sempre asciutto, salvo dopo qualche grossa pioggia. Così nell'Antico come nel Nuovo Testamento non ha altro nome che quello di "torrente Chedron". Scorre in una valle profonda, ad oriente di Gerusalemme, chiamata ora valle di Giosafat, Wady Yhôshâfât, dagli Arabi, i quali, insieme ai Giudei, ai Cattolici ed ai Turchi, credono chi ivi avverrà il giudizio finale. Questa credenza però ha per unica base Gioele 3:2,12, dove vien detto che il giudizio avverrà in una valle chiamata Giosafat, nome che vuol dire: Il Signore giudica. Per giungere in quella valle, Gesù e i suoi discepoli dovettero uscire dalla porta orientale della città, ora chiamata dagli indigeni Babes Sûbût, "porta delle tribù", e dagli Occidentali Porta di S. Stefano, poi scendere per un ripido sentiero in una stretta valletta, il cui fondo non è più largo di 150 metri. Ivi scorre il torrente Chedron. Fin da quel tempo quella valle era accuratamente coltivata, ed abbondava di ulivi e di altri alberi da frutta. In qualche punto, di essa, era situato il giardino di Ghetsemane.
ove era un orto, nel quale entrò egli ed i suoi discepoli.
Il giardino che i monaci latini fanno vedere come essendo quello di Ghetsemane, secondo una tradizione dei tempi di Eusebio, è posto al piede del declivio dell'Uliveto, all'incrocio di due strade, una delle quali conduce a Betania, passando sopra al monte, e l'altra facendone il giro dalla parte di mezzodì. Lo hanno ricinto di muro, e vi fanno vedere otto antichissimi ulivi, i cui tronchi cavi sono stati ripieni di pietre, per impedire che si rompano. Dubitiamo che il Signore abbia scelto, per ritirarvisi coi discepoli, un luogo così pubblico, che doveva essere in quei giorni circondato da ogni parte dalle tende dei pellegrini; ma chi scrive rimase convinto, quando visitò quel recinto, che ad ogni modo il Ghetsemane non ne poteva esser molto lontano. In quel vicinato adunque avvenne la dolorosa agonia del Signore, e poté il traditore darlo nelle mani dei suoi nemici.

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:31-35; 14:1-17:26
Giovanni 14:31; Matteo 26:36; Marco 14:32; Luca 22:39-40
2Samuele 15:23; 1Re 15:13; 2Re 23:6,12; 2Cronache 15:16; 30:14; Geremia 31:40
Giovanni 18:26; Genesi 2:15; 3:23

L'agonia nel Ghetsemane non vien, ricordata da Giovanni, senza dubbio perché già l'avevano raccontata i Sinottici Matteo 26:36-46; Marco 14:32-42; Luca 22:39-46.

Per la esposizione Vedi Marco 14:32-42.

2. Or Giuda, che lo tradiva, sapeva anch'egli il luogo; perciocché Gesù s'era molte volte accolto là coi suoi discepoli.
E questo uno dei soliti commenti di Giovanni. Ci dice che in questo giardino Gesù e i suoi discepoli erano usi cercar riposo, quando venivano a Gerusalemme per le solennità. Giuda fece tutto il suo piano sapendo benissimo dove trovar Gesù. Ryle osserva: "Come dev'essere stato disperatamente indurito il cuore di Giuda, poiché dopo essere stato testimone in quel giardino di tanti trattenimenti spirituali, scelse precisamente quel luogo per tradire il suo Maestro!"

PASSI PARALLELI
Marco 11:11-12; Luca 21:37; 22:39

Giovanni 18:3 -11. TRADIMENTO ED ARRESTO DI GESÙ Matteo 26:47-56; Marco 14:43-49; Luca 22:47-53

3. Giuda adunque, presa la schiera e dei sergenti, dai principali sacerdoti e dai Farisei, venne là
Alcuni critici ostili voglion vedere una contraddizione, fra Giovanni e gli altri evangelisti, perché nulla esso dice dell'agonia di Gesù in Ghetsemane. Rispondiamo che omissione non è contraddizione; che Giovanni omise quel fatto perché già noto a tutti, ma vi fa però una allusione evidente riportando le parole di Gesù a Pietro al ver. 11: "Non berrei io il calice il quale il Padre mi ha dato?" e finalmente che Giovanni aveva già fatto vedere, Giovanni 12:23-27, quel turbamento di animo di Gesù, di cui gli altri evangelisti ci presentano il quadro più completo nell'agonia di Ghetsemane. Per questi motivi, non appena ricordato l'arrivo di Gesù e dei suoi discepoli nel giardino, passa a descrivere i preparativi fatti dal traditore per arrestarlo, e quanto accadde al suo arrivo presso a Gesù. La forza messa a disposizione di Giuda consisteva di due elementi. Il primo era la schiera, ossia un distaccamento della coorte romana mandata a presidiare, durante le feste, la torre Antonia, affin di mantenere l'ordine nelle moltitudini accorse in Gerusalemme. Era questa comandata da un o capitano Giovanni 18:12; ma non sappiamo se egli agisse sulla propria responsabilità, dietro alla richiesta del sommo sacerdote, o se avesse ricevuto ordini da Pilato. Ci sembra però improbabile che il Sinedrio ardisse operare un tale arresto senza il consenso del governatore romano. Alla "schiera" aggiungevansi "dei sergenti", cioè una parte della forza di polizia levitica addetta al tempio Luca 22:52, sotto gli ordini del Sinedrio; Luca ci dice che eran pure presenti alcuni "principali sacerdoti", "capi delle mute", ed "anziani".
con lanterne, e torce, ed armi
Alford cita Dionisio di Alicarnasso, per provare che nelle marce notturne i soldati servivansi di torce, ossia di sostanze ardenti attorcigliate e tenute in mano, e di lanterne, alimentate con olio. La guardia del tempio faceva essa pure le sue ronde di notte con torce, e le sue armi erano "spade ed aste" Luca 22:52. Benché splendesse in quella notte la piena luna pasquale, l'ombra folta degli alberi poteva render necessari quei lumi, se mai colui che cercavano avesse tentato nascondersi. "Gli altri evangelisti non parlano delle torce; ma questo particolare è dovuto alla vivida impressione prodotta sulla mente di un testimone oculare" (Westcott).

PASSI PARALLELI
Giovanni 13:2,27-30; Matteo 26:47,55; Marco 14:43-44,48; Luca 22:47-53; Atti 1:16
Giovanni 18:12
Salmi 3:1-2; 22:12

4. Laonde Gesù, sapendo tutte le cose che gli avverrebbero, uscì,
Questa breve osservazione di Giovanni accresce l'effetto del racconto. Essa ci dice che Gesù possedeva l'onniscienza divina, poiché sapeva esattamente quello che stava per accadere, e che volontariamente e deliberatamente offriva è tesso in sacrificio, in perfetta ubbidienza alla volontà paterna. Colui che in varie occasioni erasi nascosto Giovanni 5:13; 6:15; 8:59; 12:36, quando è giunta "l'ora sua", si offre da sé a quelle ricerche per le quali i suoi nemici avevano fatti tanti preparativi. Egli esce loro incontro o di sotto all'ombra degli alberi, o dal mezzo dei discepoli, o più probabilmente dal giardino stesso. "Quando il popolo lo voleva forzare a salire sopra un trono, si ritirò e si nascose; ora che voglion condurlo alla sua croce, si fa avanti, senza lasciarsi cercare" (Henry).
e disse loro: Chi cercate?
Il bacio col quale Giuda indicò ai soldati il suo Maestro non è ricordato da Giovanni, ma è troppo caratteristico e provato per potersi dire leggendario, e siccome non è probabile che il traditore lo desse quando le parole di Gesù "io sono", ebbero prodotto un effetto così grande su tutti i presenti, si fu probabilmente in questo momento, prima che Gesù avesse aperto la bocca, che egli si fece avanti, diede il segnale convenuto, quindi si nascose nuovamente in mezzo alla schiera. A questa fu rivolta la domanda di Gesù e probabilmente con un triplice scopo: mostrarsi calmo e forte dinanzi alla morte, obbligare i suoi nemici a dichiarare l'empio loro disegno, ed interporsi fra i soldati ed i propri discepoli, affin di assicurare lo scampo di questi ultimi.

PASSI PARALLELI
Giovanni 10:17-18; 13:1; 19:28; Matteo 16:21; 17:22-23; 20:18-19; 26:2,21,31
Marco 10:33-34; Luca 18:31-33; 24:6-7,44; Atti 2:28; 4:24-28; 20:22-23
1Re 18:10,14-18; Nehemia 6:11; Salmi 3:6; 27:3; Proverbi 28:1; 1Pietro 4:1

5. Essi gli risposero: Gesù il Nazareo.
La prontezza della risposta ci farebbe pensare che uscisse dalle labbra del capitano romano, benché "essi" sembri indicare che procedesse simultaneamente da parecchi di loro. Ad ogni modo, indica chiaramente il loro disegno.
Gesù disse loro: io son d'esso,
" io sono". Il maggior numero dei commentatori non vede in queste parole che una confessione franca ed esplicita fatta da Gesù di esser quello che cercavano, e certo, anche intese semplicemente così, non potevano mancare di produrre un grande effetto su coloro che le udirono. Ma, se consideriamo che le parole qui pronunziate da Gesù sono precisamente il titolo "IO SONO", sotto il quale Iddio si rivelò a Mosè a piè del monte Horeb, che per i Giudei che le udirono in questa circostanza, dovettero avere quel senso, che già altre volte Gesù ne aveva fatto uso per significare l'assoluta sua deità, e finalmente che esse produssero un effetto così straordinario su tutti i soldati, così Gentili come Ebrei, siamo inclinati a credere aver Gesù voluto rispondere coll'incomunicabile suo nome di JEHOVA al titolo spregiativo di "Gesù il Nazareo", datogli da loro. Così saprebbero, prima di mettergli le mani addosso, di non poter nulla contro di lui "se ciò non fosse loro dato da alto", come egli disse più tardi a Pilato Giovanni 19:11. Benché questo modo di vedere sia adottato solo da un piccolo numero di commentatori, ci sembra che risponda assai bene a quanto accadde subito dopo.
Or Giuda che lo tradiva era anch'egli presente con loro.
Perché l'evangelista ci fa egli notare la presenza di Giuda proprio in questo punto, cioè fra le parole di Gesù e l'effetto che quelle parole produssero sui suoi nemici? Varie spiegazioni ne sono state date:
1) la risposta di Gesù incusse terrore primieramente nel cuore di Giuda, terrore che poi si comunicò a tutta la schiera;
2) non avendo parlato del bacio, Giovanni vuol fare ora notare la presenza di Giuda;
3) essendo Giuda posseduto da Satana, l'evangelista vuol far risaltare la vittoria di Gesù sopra Satana, anche nell'ora del suo abbassamento, dichiarando che il traditore stesso cadde indietro cogli altri;
4) Giovanni parla qui di Giuda per farci comprendere che, dato il bacio a Gesù, egli si era rifugiato in mezzo alla schiera, dichiarando in quel modo di non esser più suo discepolo. Quest'ultima è la spiegazione suggerita da Tholuck, e ci pare preferibile alle altre.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:46; 19:19; Matteo 2:23; 21:11
Isaia 3:9; Geremia 8:12

6. Conte adunque egli ebbe detto loro: io son d'esso, andarono a ritroso, e caddero indietro.
Alcuni di quei critici moderni che si prefiggono di eliminare quanto più possono il miracolo dalla Bibbia, dicono che i primi soldati, sorpresi di trovarsi inopinatamente di fronte a Gesù, indietreggiarono e fecero cadere alcuni dei loro compagni. Ma il racconto di Giovanni non dà fondamento alcuno ad una tale spiegazione. La maestà del contegno e delle parole di Gesù produsse sui soldati tutti un effetto miracoloso, sicché indietreggiarono e caddero; ecco il senso semplice e diretto di questo versetto. La maestà divina produsse su di essi un effetto analogo a quello provato dipoi da Saulo di Tarso, e dai suoi compagni sulla via di Damasco Atti 26:14: li vinse lo splendore della maestà di Cristo e per un momento rimasero come morti. Ben dice Agostino: "Col chiamarsi: IO SONO, atterra gli empi. Che farà quel giudice, colui che tanto fece essendo giudicato? Che farà regnando colui che tanto fece morendo? "Un tal miracolo, operato in un tal momento, aveva per scopo di dimostrare, così ai discepoli come ai nemici di Gesù, che egli non si lasciava arrestare e crocifiggere per non poterlo impedire, bensì perché era pronto a soffrire per i peccatori.

PASSI PARALLELI
2Re 1:9-15; Salmi 27:2; 40:14; 70:2-3; 129:5; Luca 9:54-56; Atti 4:29-30

7. Egli adunque di nuovo domandò loro: Chi cercate? Essi dissero: Gesù il Nazareo.
Il Signore ripete la sua domanda, forse per dare a quelli cui era rivolta l'occasione di imitare i sergenti mandati altra volta ad arrestarlo Giovanni 7:45-46, e di tornarsene senza aver commesso colpa alcuna. Ad ogni modo è certo che li voleva costringere a dichiarare di non aver mandato di cattura contro di altri che contro di lui, e ciò affin di assicurare lo scampo dei discepoli. I soldati, riavutisi alquanto dalla paura provata, e sentendo la necessità di eseguire gli ordini ricevuti, risposero come prima: "Gesù il Nazareo".

8. Gesù rispose: Io vi ho detto ch'io son d'esso; se dunque cercate me, lasciate andar costoro.
Di nuovo dichiara chi egli è, e di esser pronto ad arrendersi loro; poi soggiunge: "Poiché avete mandato di cattura contro me solo, lasciate andare questi miei seguaci. Non faccio stipulazioni che per la loro libertà. Qual contrasto fra questa condotta di Gesù e quella del mercenario di Giovanni 10:12. Tal domanda di Cristo in loro favore equivaleva a dire ai discepoli: "Andate", e infatti Marco 14:50, ci dice che "tutti, lasciatolo, se ne fuggirono". Questi poveri discepoli eran tuttora troppo deboli in conoscenza ed in fede, per andarsene con lui in prigione ed alla morte. Dovevan però compiere una grande opera per lui, annunziando la sua morte, e testificando della sua risurrezione, fino alle estremità del mondo; perciò egli assicura la loro salvezza. La sapienza e prudenza di Cristo non l'abbandonarono nelle circostanze più difficili e nei più estremi pericoli.

PASSI PARALLELI
Isaia 53:6; Efesini 5:25
Giovanni 10:28; 13:1,36; 16:32; Matteo 26:56; Marco 14:50-52; 1Corinzi 10:13; 2Corinzi 12:9
1Pietro 5:7

9. Acciocché si adempiesse ciò ch'egli avea detto: io non ho perduto alcun di coloro che tu mi hai dati
Riproducendo qui, non solo nella sostanza, ma pure nella forma, queste parole della preghiera sacerdotale Giovanni 17:12, Giovanni ben sapeva che il Signore le aveva dette in origine della preservazione spirituale dei discepoli, sui quali vegliava con sì tenera sollecitudine; ma la esperienza di una lunga vita aveva insegnato all'apostolo che queste parole erano capaci di un significato assai più esteso, e che, salvandoli dall'arresto, in quel momento, il Signore aveva probabilmente preservato i discepoli dal pericolo dell'apostasia, "e l'esempio di Pietro prova che quel pericolo era reale", contribuendo o così alla loro salvazione. Per impedirci di far naufragio in quanto alla fede, il Signore ha cura che non siamo tentati al di là delle nostre forze. Egli sapeva che, condotti, insieme a lui, dinanzi a Caiafa ed a Pilato, i discepoli non avrebbero avuto tanta fede da non cadere nell'apostasia, epperciò si vale di questo mezzo per salvarli. Scrivendo tanti anni dopo, Giovanni capisce meglio la posizione, e si dichiara convinto che questo fu, per parte del Signore, un primo adempimento della sua promessa. "Un'ora dopo averle pronunziate, il Signore adempie una prima volta le sue parole, e questo è arra sicura del loro adempimento in avvenire" (Palmer). Ci viene insegnato qui che il Signore provvede i mezzi della perseveranza in fede, non meno che il grande scopo finale della salute eterna.

PASSI PARALLELI
Giovanni 17:12

10 10. E Simon Pietro, avendo una spada, la trasse, e percosse il servitore del sommo sacerdote, e gli recise l'orecchio destro; or quel servitore avea nome Malco.
Pare che, quando Cristo ebbe dichiarato di essere colui che cercavano, tutta la schiera fece un movimento in avanti per arrestarlo e legarlo, e che questo servitore, servo inferiore di casa, non ufficiale pubblico", si spingesse innanzi più degli altri. Pietro allora, trasportato dal suo carattere impetuoso, lo colpì colla spada e gli recise l'orecchio destro. Questo particolare è mentovato da tutti e quattro gli evangelisti.; Giovanni aggiunge solo i nomi del feritore e del ferito: Pietro e Malco. È probabile che i Sinottici li tacessero perché entrambi erano ancora in vita quando scrivevano; ma questo non essendo più il caso al tempo in cui Giovanni scrisse il suo Evangelo, egli non si tenne obbligato al silenzio.

PASSI PARALLELI
Giovanni 18:26; Matteo 26:51-54; Marco 14:30,47; Luca 22:33,49-51

11 11. E Gesù disse a Pietro: Riponi la tua spada nella guaina;
Giovanni non ricorda la guarigione immediata dell'orecchio reciso, ma in Luca 22:51, leggiamo: "Gesù fece lor motto, e disse: Lasciate; non più; e toccato l'orecchio di colui lo guarì". Queste parole non furono da Gesù rivolte ai soldati, per scusare i discepoli, o per esser lasciato, libero finché non avesse guarito Malco; bensì ai discepoli, per proibire loro altri atti violenti, mentre rampognava Pietro per la sua impetuosità, con parole riferiteci da Matteo 26:52: "Riponi la tua spada nel suo luogo; perciocché tutti coloro che avran presa la spada, periranno per la spada". Queste parole significano: "Se fate appello alle armi, esporrete voi a morte, e la causa mia a sconfitta, sottomettendo il mio regno e voi ai casi delle guerre umane".
non berrei io il calice, il quale il Padre mi ha dato?
Queste parole, pronunziate subito dopo il rimprovero fatto a Pietro, sono intese a convincere i discepoli della perfetta sua acquiescenza alla volontà del Padre. Nel giardino aveva chiesto che, se fosse possibile, questo calice di sofferenze trapassasse da lui; ma ora, fortificato nell'uomo interno, si dichiara pronto a berlo fino all'ultima stilla, e non permette nessun intervento umano negli affari suoi. Notiamo poi un'altra parola di Gesù, pronunziata essa; pure in seguito al tentativo di Pietro di, liberarlo, ed intesa a convincere tutti gli astanti che egli soffriva in modo perfettamente volontario, poiché gli sarebbe stato facilissimo sfuggire alla morte, se avesse voluto: "Pensi tu forse che io non potessi ora pregare il Padre mio, il qual di presente mi manderebbe più di dodici legioni d'angeli? Come dunque sarebbero adempiute le Scritture, le quali dicono che conviene che così avvenga?" Matteo 26:53-54.

PASSI PARALLELI
Giovanni 18:36; 2Corinzi 6:7; 10:4; Efesini 6:11-17
Salmi 75:8; Ezechiele 23:31; Matteo 20:22; 26:39,42; Marco 10:38-39; 14:35-36
Luca 22:42; Ebrei 12:2
Giovanni 11:41-42; 12:27-28; 15:10; 17:24; 20:17; Luca 12:30; Romani 8:15-18
Ebrei 12:5-10

12 12. La schiera adunque, e il capitano, e i sergenti del Giudei, presero Gesù, e lo legarono.
Sembra che tutta quanta la forza mandata al Ghetsemane, i soldati romani, il chiliarco, la polizia del tempio, si unissero per legare un sol uomo disarmato, senza dubbio perché i suoi nemici avevano sparso la voce che egli era un uomo pericoloso, che avrebbe potuto eccitare i suoi ad opporre viva resistenza. Fors'anche il fatto che, colla semplice menzione del suo nome, li aveva fatti cadere al suolo, aveva dato loro una così alta idea della sua potenza, da far loro stimare necessaria ogni precauzione. Mentre lo legavano, "tutti i discepoli, lasciatolo, se ne fuggirono" Matteo 26:56. Dai Sinottici impariamo che il Signore non subì senza sdegnosa protesta l'indegnità di esser legato. Matteo 26:55 ci dice: "In quella stessa ora Gesù disse alle turbe voi siete usciti con spade e con aste, come contro a un ladrone, per prendermi; io tuttodì sedeva appresso di voi, insegnando nel tempio, e voi non mi avete preso". Luca 22:53 aggiunge quest'altre parole di Gesù: "Ma quest'è l'ora vostra, e la podestà delle tenebre". Un particolare narrato da Marco trova naturalmente il suo posto subito dopo l'arresto di Gesù. Mentre il Signore veniva condotto al palazzo di Anna, lo seguì un giovane non coperto d'altro, che di un panno lino, il che Grozio dichiara essere stato il modo solito di coprirsi la notte. Alcuni dei soldati gli misero la mano addosso, ed egli, per non esser fatto prigione, lasciò loro nelle mani il suo panno lino e fuggì ignudo Marco 14:51-52. Questo fatto ci viene narrato subito dopo la fuga dei discepoli, forse collo scopo di scusare la loro condotta, mostrando a quali pericoli i seguaci di Gesù fossero esposti in quella notte. È impossibile precisare chi fosse quel giovane; forse qualche discepolo, svegliato dal rumore dei passi dei soldati, forse Marco stesso, essendo così minuto il suo racconto da farlo ritenere per quello di un testimone oculare.

PASSI PARALLELI
Giovanni 18:3 Matteo 26:57; Marco 14:53; Luca 22:54
Atti 21:31,37; 22:24-28; 23:10,17-22
Genesi 22:9; 40:3; Giudici 16:21; Salmi 118:27; Matteo 27:2; Marco 15:1

13 Giovanni 18:13-27. GESÙ È PRIMIERAMENTE CONDOTTO DA ANNA, IL QUALE LO MANDA LEGATO A CAIAFA, DA CUI VIENE INTERROGATO. LA SUA DIGNITOSA RISPOSTA, SEGUITA DA UN INSULTO INFERTOGLI DA UNO DEI SERGENTI. PIETRO OTTIENE DI ENTRARE NEL PALAZZO DEL SOMMO SACERDOTE, E QUIVI RINNEGA TRE VOLTE IL SUO SIGNORE Matteo 26:57-75; Marco 14:53-72; Luca 22:54-71

Per la esposizione Vedi Marco 14:53-72, dove son narrati il processo e la condanna del Signore, per parte del Sinedrio, radunato all'alba nella casa del sommo sacerdote fatti omessi da Giovanni.

28 Giovanni 18:28-40. CRISTO CONDOTTO DINANZI A PILATO. ACCUSA DEI SUOI NEMICI. PILATO ESAMINA PRIVATAMENTE, GESÙ RELATIVAMENTE AL TITOLO DATOGLI DI "RE DEI GIUDEI" Matteo 27:11-26; Marco 15:1-20; Luca 23:1-25

28. Poi menarono Gesù da Caiafa nel palazzo;
Marco 14:55 c'informa che, dopo una notte spesa a cercar testimoni contro a Gesù, i principali sacerdoti riunirono all'alba il Sinedrio, il quale, con fretta indecorosa, lo condannò a morte; poi lo condussero al pretorio, per far confermar quella sentenza dal governatore romano.
or era mattina, ed essi non entrarono nel palazzo, per non contaminarsi, ma per poter mangiar la pasqua.
Essendo quelli giorni di gran solennità, temevano di contaminarsi cerimonialmente entrando in casa di un gentile, la quale, senza dubbio, non era stata purificata da ogni lievito, e questo li avrebbe impediti di mangiar la Pasqua. Così realizzano le parole dette di loro da Cristo: "Voi nettate il di fuori della coppa e del piatto; ma il di dentro di voi è pieno di rapina e di malvagità" Luca 11:39. Mentre evitavano con ogni cura una possibile contaminazione rituale, cercavano con rabbia crudele la vita di un innocente. Le parole "per poter mangiar la pasqua" offrono una certa difficoltà, poiché l'agnello pasquale si sarebbe dovuto mangiar la sera prima, come avevano fatto Gesù e i suoi discepoli; ed alcuni vedono qui una divergenza fra Giovanni ed i Sinottici, o ne derivano la conclusione che la Cena fatta da Gesù coi suoi discepoli e mentovata in Giovanni 13:1-38 non era il vero pasto pasquale. Brown scioglie benissimo la difficoltà osservando che senza dubbio i nemici di Gesù erano stati troppo occupati la sera antecedente a prepararne l'arresto e la condanna, ed aveano dovuto rimandar a più tardi il mangiar la Pasqua. Per l'esposizione, Vedi Nota Giovanni 3:2.
Vedi nota Luca 22:14.

PASSI PARALLELI
Matteo 27:1,2-10; Marco 15:1-5; Luca 23:1-5; Atti 3:13
Giovanni 18:33; 19:9; Matteo 27:27; Marco 15:16
Proverbi 1:16; 4:16; Michea 2:1; Luca 22:66
Salmi 35:16; Isaia 1:10-15; Geremia 7:8-11; Amos 5:21-23; Michea 3:10-12
Matteo 23:23-28; 27:6; Atti 10:28; 11:3
Giovanni 18:39; 19:14; Deuteronomio 16:2; 2Cronache 30:21-24; 35:8-14,17-18; Ezechiele 45:21

29 29. Pilato adunque uscì a loro, e disse: Quale accusa portate voi contro a quest'uomo?
Luca 3:1 ci dice che Pilato era governatore della Giudea; ma Matteo e Marco lo mentovano per la prima volta in occasione del processo di Gesù. Era il quinto governatore dacché la Giudea era divenuta provincia romana, e tenne quell'ufficio dall'A. D. 26 al 36, sotto Tiberio e Caligola. Ci vien descritto dagli scrittori del tempo come un uomo freddo, crudele, avaro, arbitrario; spesso condannava l'accusato senza udirlo, e sprezzava cordialmente la religione d'Israele. Al tempo stesso, quando le sue passioni non erano in giuoco, osservava, come magistrato romano, le forme della legge. Così fa in questo caso, e pur condiscendendo ai pregiudizi religiosi dei sacerdoti uscendo a loro, vuole da essi un'accusa formale contro il prigioniero che gli avevano condotto Matteo 27:23; Atti 23:28-30; 25:16.

PASSI PARALLELI
Matteo 27:23; Atti 23:28-30; 25:16

30 30. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse malfattore, noi non te l'avremmo dato nelle mani.
I Giudei speravano evidentemente che il governatore; soprattutto in occasione della Pasqua, farebbe loro il complimento di eseguire la loro sentenza senz'altro. È però possibilissimo, come suppone Godet, che avessero preparato questa loro risposta per il caso di un rifiuto. L'accusa che portano contro a Gesù è molto vaga: egli è un "malfattore"; ma la risposta dei sacerdoti è piena di orgoglio e di dignità ferita. Sembran dire: "Lo abbiam giudicato, a te non resta che eseguire la nostra sentenza" e così sperano di vedere svanire ogni opposizione.

PASSI PARALLELI
Giovanni 19:12; Marco 15:3; Luca 20:19-26; 23:2-5
Marco 10:33; Luca 24:7; Atti 3:13

31 31. Laonde Pilato disse loro Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge.
Abbiam detto già esser molto probabile che prima di impiegare il chiliarco e i suoi soldati per arrestare Gesù, se ne era ottenuto il permesso dal governatore. Il caso dunque non era nuovo per, Pilato; egli sapeva quello che i Giudei volevano fare di Gesù, ed a quella loro dichiarazione di indipendenza risponde ironicamente invitandoli a punirlo secondo le loro leggi.
ma i Giudei gli dissero: A noi non è lecito di far morire alcuno
Dovette costare molto all'orgoglio farisaico una tal risposta! Ma siccome volevano ad ogni costo far morire Gesù, abbassano il loro tuono orgoglioso e si confessano una nazione vinta, che più non aveva diritto di vita e di morte. Per questa ragione sola avevano condotto Gesù da Pilato. Il Talmud dice infatti che quarant'anni e più, prima della distruzione di Gerusalemme, ai Giudei era stato tolto il diritto di infliggere la pena capitale, e Giuseppe Ebreo, Antiq. 19, 9:1, confr. con 18, 1,1; 16, 2, 4, dice perfino che il sommo sacerdote non poteva convocare il Sinedrio senza il permesso del governatore.

PASSI PARALLELI
Giovanni 19:6-7; Atti 25:18-20
Giovanni 19:15; Genesi 49:10; Ezechiele 21:26-27; Osea 3:4-5

32 32. Acciocché si adempiesse quello che Gesù avea detto, significando di qual morte egli morrebbe.
Ai discepoli, Gesù aveva annunziato, prima oscuramente Giovanni 3:14; 8:28; 12:32, quindi con perfetta chiarezza di dettagli, che egli morrebbe in croce. Egli aveva pure indicato qual parte avrebbero in questo, così i rettori dei Giudei, come i Gentili Matteo 20:18-19; Marco 10:32-33; Luca 18:32. Se i Giudei avessero tuttora avuto il diritto di infliggere la morte, il supplizio di Gesù, per l'ascrittogli crimine di bestemmia, sarebbe stato non la crocifissione, ma la lapidazione Levitico 24:16; 1Re 21:10; Atti 6:13; 7:59. La crocifissione era un supplizio romano, e l'insistenza dei rettori giudei perché Pilato eseguisse la sentenza di morte da essi pronunziata contro a Gesù, colpì talmente Giovanni, come adempimento della profezia di Gesù relativamente al modo della sua morte, che egli si credette in obbligo di richiamare su questo fatto l'attenzione dei suoi lettori.
Il suicidio di Giuda. Mentre i sacerdoti così trattavano col governatore, il miserabile traditore Giuda, avendo capito l'odiosità e l'ingratitudine del suo crimine, dopo aver confessato nel tempio: Io ho peccato, tradendo il sangue innocente Matteo 27:4, buttò dinanzi ai sacerdoti, che si beffavano di lui, le trenta monete d'argento, e andò ad impiccarsi. Per l'esposizione, Vedi Matteo 27:3-10.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:14; 10:31,33; 12:32-33; Matteo 20:19; 26:2; Luca 18:32-33; 24:7-8
Atti 7:59
Deuteronomio 21:23; Salmi 22:16; Galati 3:13

33 33. Pilato adunque rientrò nel palazzo,
Era questo la residenza ufficiale del governatore, e veniva detto "Pretorio". Suppongono alcuni che fosse lo stesso palazzo dei re della famiglia Erodiana, situato sul pendio occidentale di Sion, ed è certo che ivi più tardi dimorarono i governatori romani; ma non è provato che l'occupasse già Pilato, e crediamo che costui fosse alloggiato nella Torre Antonia vicina al tempio.
e chiamò Gesù, e gli disse: Sei tu il re dei Giudei?
Giovanni riferisce molto brevemente i particolari della comparizione di Gesù dinanzi a Pilato; e dalla domanda che il governatore fece al prigioniero ritornando nel palazzo, è chiaro che i Giudei dovevano avergli detto altre cose contro a lui. Confrontando con questo versetto il racconto di Luca 23:1-56, troviamo che i sacerdoti, accortisi di non poter sperare che Pilato condannasse Gesù senza averlo esaminato, tacquero l'accusa di bestemmia, che per un magistrato romano non avrebbe avuto grande importanza, e portarono contro a Gesù tre accuse di carattere politico, colle quali speravano di mettere dalla loro il governatore:
1) egli sovverte la nazione;
2) divieta il pagare i tributi a Cesare;
3) dice di essere egli stesso re dei Giudei.
Alla prima accusa, Pilato non fa la minima attenzione, ed invero se Gesù avesse fatto qualsiasi tentativo per sollevare il popolo, egli lo avrebbe saputo prima di loro, per mezzo delle sue spie sparse in tutto il paese. Non dà maggiore importanza alla seconda, e d'altronde molti lì presenti, i quali avevano udito la risposta di Gesù alla domanda insidiosa se convenisse pagare il censo o no Matteo 22:15-22, avrebbero potuto dirgli quanto quell'accusa fosse infondata. Ma la terza metteva in questione l'autorità imperiale, e Pilato non poteva passarvi sopra, senza esporsi ad essere egli medesimo accusato dinanzi al sospettosissimo imperatore. Fu la minaccia di simile accusa Giovanni 19:12-13, che lo decise a pronunziare finalmente la sentenza di crocifissione. Se teniamo in mente queste tre accuse, non ci parrà strano che Pilato, tornato nel Pretorio, facesse condurre Gesù dinanzi al suo tribunale e gli domandasse: "Sei tu il re dei Giudei?" Notiamo che in ognuno dei quattro evangeli questa è la prima domanda di Pilato a Gesù Matteo 27:11; Marco 15:2; Luca 23:3. "Questo titolo di re dato a Gesù lo troviamo prima in sulle labbra dei Magi d'Oriente, quindi in bocca a Pilato" (Plummer). Quest'ultimo sapeva senza dubbio che, come racconta Svetonio, in tutto l'Oriente dicevasi in quei giorni che doveva sorgere fra gli Israeliti un re il quale otterrebbe il dominio sul mondo intero, e sentiva perciò di dovere stare attento; ma guardando l'umile aspetto dell'uomo che stava a quel momento appiè del suo tribunale, tosto si convinse non esservi pericolo alcuno da temere da lui, e non senza incredulità gli rivolse la domanda: "Sei tu realmente re, come pretendono i tuoi accusatori?"

PASSI PARALLELI
Giovanni 18:37; Matteo 27:11; Marco 15:2; Luca 23:3-4; 1Timoteo 6:13
Giovanni 1:49; 12:13,15; 19:3,19-22; Salmi 2:6-12; Isaia 9:6-7; Geremia 23:5; Sofonia 3:15
Zaccaria 9:9; Luca 19:38-40; Atti 2:34-36

34 34. Gesù gli rispose: Dici tu questo da te stesso, o pur te l'hanno altri detto di me?
La risposta del Signore non fu negativa come forse Pilato se l'aspettava. Gesù fa appello alla coscienza di Pilato, e gli domanda se, durante tutto il tempo nel quale egli era stato il vigile e zelante governatore della Giudea, aveva scoperto in lui il minimo indizio di voler rovesciare l'autorità romana, per proclamarsi re terreno; o se tale accusa non gli era stata affatto ignota, finché i suoi nemici non l'avessero messa avanti per ottener la sua morte. In quest'ultimo caso, egli non doveva dar alle loro parole peso alcuno. Però alcuni commentatori moderni, come Godet e Jacobus, pensano che l'appello di Gesù in questo versetto abbia solo in vista il senso che Pilato dava a quella sua domanda. Se la faceva di proprio movimento, quel senso non poteva esser che quello di un regno temporaneo, e allora Cristo avrebbe negato l'accusa; ma se la faceva dietro istanza dei Giudei, allora Gesù avrebbe mantenuto il suo diritto regale, benché in un senso più alto e più spirituale, e lo avrebbe senza dubbio spiegato, se non lo avesse interrotto l'esclamazione impaziente del governatore. Ci par preferibile la prima interpretazione, perché Pilato non era capace di comprendere una tale distinzione, ed ai suoi occhi, un "re dei Giudei", in qualunque senso, sarebbe sempre stato un agitatore pericoloso.

PASSI PARALLELI
Giovanni 18:36

35 35. Pilato gli rispose: Son io Giudeo?" La tua nazione e i principali sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che hai tu fatto?
Questa interruzione di Pilato rivela tutto l'orgoglio col quale un romano poteva guardare dall'alto in basso un popolo vinto. "Son io Giudeo?" domanda egli disgustato, quasiché fosse impossibile per lui avvilirsi al punto di dividere le superstizioni di un popolo che disprezzava ed odiava al tempo stesso. Tali cose gli erano indifferenti. Dichiara che si occupa di Gesù solo perché la nazione, rappresentata dai suoi principali sacerdoti, glielo aveva messo nelle mani. Però non poté mancar di colpirlo il fatto che i Giudei, così poco disposti, ad accusare i propri connazionali dinanzi ai Romani, così pronti a favorire chiunque rivendicasse l'indipendenza nazionale, questa volta avevano essi medesimi provocato l'arresto di colui che dicevasi loro re, ed ora gli domandavano di farlo morire. L'eccitamento appassionato degli accusatori di Cristo, la molteplicità delle accuse portate contro di lui, non permettevano forse al governatore romano di farsi un'idea ben chiara della questione; indi la sua domanda: "Che hai tu fatto?" Vuol udire l'accusato; vuol saper da lui qual fatto nella sua condotta passata abbia dato origine a questo sollevamento universale contro di lui. Alford dice: "'che hai tu fatto?', significa: 'La loro accusa non è definita; esponimi tu il fatto, dimmi il tuo modo di vedere, acciocché io possa sapere precisamente di che si tratta'".

PASSI PARALLELI
Esdra 4:12; Nehemia 4:2; Atti 18:14-16; 23:29; 25:19-20; Romani 3:1-2
Giovanni 18:28; 19:11; Atti 3:13
Giovanni 19:6; Atti 21:38; 22:22-24

36 36. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo
L'ultima domanda di Pilato apriva dinanzi a Gesù un campo vastissimo, nel quale però egli non volle entrare. Risponde invece alla domanda precedente: "Sei tu re?" Giovanni 18:33, e risponde in modo da ridurre al nulla ogni accusa di ribellione all'autorità romana, pur mantenendo intatte le sue prerogative reali. Non nega di avere un dominio così nel mondo come sopra esso; ma nega che quel regno, così per la sua origine come per la sua natura, ed il suo modo di estendersi abbia qualsiasi cosa in comune coi regni del mondo attuale. La sua origine è dal cielo, non dalla terra; è un regno spirituale, una dominazione sopra i cuori, le coscienze e le volontà degli uomini, un regno cui non occorrono eserciti per la sua difesa; un regno che non fa guerra ai regnanti di quaggiù, e che perciò non deve incutere timore alcuno a Pilato ed all'imperiale suo padrone.
se il mio regno fosse di questo mondo, i miei ministri (pubblici ufficiali) contenderebbero, acciocché io non fossi dato in man dei Giudei;
A sostegno della sua missione, Gesù mette avanti una prova di natura tale che Pilato doveva rimanerne convinto. Gli ricorda che se il suo regno fosse simile a quelli del mondo, i suoi discepoli avrebbero combattuto per non lasciarlo cadere in mano dei Giudei, mentre invece egli si era arreso prigione volontario, ed aveva rampognato Pietro per aver tratto la spada a sua difesa. "Era questo un argomento convincentissimo perché se i suoi servitori non contesero per la sua libertà, molto meno contenderebbero per stabilire e il suo regno" (Webster e Wilkinson).
ma ora il mio regno non è di qui.
La chiesa romana pretende che il Signore mise l'accento di questa frase sulla parola "ora", per indicare che solo per un tempo, cioè fino a Costantino, dovevano Cristo e la, sua Chiesa contentarsi di non avere un dominio temporale. Dall'altra parte i premillenari basano su questa parola la loro teoria che, dopo il suo ritorno, Cristo regnerà visibilmente sulla terra, e i suoi santi governeranno un mondo rinnovato. Entrambe quelle interpretazioni sono erronee. Le parole "ma ora" sono una semplice opposizione alla dichiarazione che precede, e il loro senso chiarissimo è: "fatto sta che il mio regno non è di quaggiù, altrimenti non starei qui legato dinanzi a te".

PASSI PARALLELI
1Timoteo 6:13
Giovanni 6:15; 8:15; Salmi 45:3-7; Isaia 9:6-7; Daniele 2:44; 7:14; Zaccaria 9:9; Luca 12:14
Luca 17:20-21; Romani 14:17; Colossesi 1:12-14
Giovanni 18:11

37 37. Laonde Pilato gli disse: Dunque sei tu Re?
Importa notare con Milligan la diversità di costruzione fra questa e la medesima domanda in Giovanni 18:33. Lì avevamo "tu" al primo posto: "Tu sei il re dei Giudei?" Tu, così povero, così trito, tu re! Qui la domanda comincia con "re", e si traduce: "Re sei tu?" La prima volta che fece quella domanda la cosa pareva a Pilato impossibile; ma la seconda volta egli comincia ad avere un barlume della sua possibilità. Questa volta le parole di Pilato non esprimono né sdegno né sarcasmo, ma solo sorpresa: "Devo io dedurre, da quanto hai detto del tuo regno e dei tuoi ministri, che tu pretendi davvero di esser re?"
Gesù rispose: Tu il dici; perciocché io son Re;
È questa una forma ebraica per confermare una asserzione, o rispondere affermativamente ad una domanda. Benché non s'incontri né nell'ebraico classico, né nella versione dei Settanta, ne presentano esempi frequenti gli scritti dei rabbini. Gesù rispose pure così al sommo sacerdote che lo scongiurava solennemente di dichiarare se egli era il Figliuol di Dio Matteo 26:64, ed avendo egli già detto a Pilato di avere un regno, benché non un regno temporale, è chiaro che la puntuazione di Diodati è la vera, e che il senso è: "Dici il vero; imperocché io son re". A questa parola di Gesù allude Paolo in 1Timoteo 6:13: "Io t'ingiungo nel cospetto di Dio, il qual vivifica tutte le cose; e di Cristo Gesù, che testimoniò davanti a Ponzio Pilato la buona confessione". A questa parola di Cristo va aggiunta quella pronunziata dinanzi al Sinedrio, per dichiararsi: "il Cristo, il Figliuol del Benedetto" Marco 14:61. Le due si completano a vicenda. "Come Gesù si era proclamato Figliuol di Dio dinanzi al più alto tribunale teocratico, così proclama ora la sua dignità reale, in faccia al rappresentante del più potente impero che sia stato mai" (Olshausen).
per questo sono io nato, e per questo son venuto nel, mondo,
Con queste, parole il Signore vuole spiegare il senso di "perciocché io son Re". Secondo Brown, "la sua nascita indica la sua umanità; la sua, venuta nel mondo indica l'esistenza sua anteriormente alla incarnazione, e per questo, ripetuto due volte, afferma che la sua incarnazione ebbe per scopo il suo assumere la dignità reale nella nostra natura". Però, secondo Godet, "io son nato" si riferisce al fatto della nascita che egli ha comune con tutti gli uomini; mentre le parole: "io son venuto nel mondo" mettono in rilievo la missione per compiere la quale egli è disceso quaggiù". Westcott così commenta queste parole: "Cristo non solo afferma il fatto che egli è Re; ma lo fonda sulla legge essenziale dell'esser suo. Egli mette la propria persona, in opposizione a tutti gli altri uomini, sieno increduli, 'com'era Pilato', sieno credenti e descrive la sua venuta come permanente nei suoi effetti, e non semplicemente come un fatto storico".
per testimoniar della verità;
Lo scopo di Cristo era di convincere Pilato esser egli veramente Re. Perché ricorse egli per questo ad espressioni indirette, anziché dire: "Son venuto per stabilire il mio regno?" Probabilmente una tale espressione avrebbe indotto Pilato in errore sulla natura di quel regno; per ovviare ad un tal pericolo, Gesù fa uso di un linguaggio spirituale. Ben dice Godet: "Egli è mediante l'opera sua profetica che Gesù fonda il regno suo fra gli uomini. La verità, la rivelazione di Dio, ecco lo scettro che egli stende sulla terra". Il suo regno è la verità, e viene stabilito mediante la predicazione della verità. Quel regno eragli stato dato, nella sua qualità di Mediatore, dal Padre, sino avanti alla fondazione e del mondo". Chiedimi ed io ti darò per eredità le genti, e, i confini della terra per la tua possessione" Salmi 2:8. Sin dalla caduta, quella grande e gloriosa verità fu predetta in modo sempre più chiaro dai profeti inspirati, e quando fu giunto il compimento dei tempi da Dio fissati per farla nota al mondo intero, colui che è LA VERITÀ Giovanni 14:6, scese quaggiù in forma umana, per annunziare l'amor del Padre che salva il mondo. Questa è la "testimonianza" che Gesù rende alla verità, e quella sua testimonianza fatta penetrare nei cuori dallo Spirito Santo è la sola forza che venga messa in opera per stabilire il regno suo, convincendo i peccatori, frenando i malvagi, convertendo, santificando e guidando il popolo suo.
chiunque è della verità ascolta la mia voce.
Dopo definita la base e la natura del regno suo, Gesù qui dichiara quali ne saranno i sudditi, e fa vedere al tempo stesso perché quel regno deve andare ognor crescendo. Chiunque desidera onestamente e sinceramente conoscere la verità riceve la testimonianza di colui che è "il fedele testimonio e verace" Apocalisse 3:14, e gli si sottomette come al suo Maestro ed al suo re. Questa dottrina, Gesù l'aveva già annunziata dicendo: "Ogni uomo che ha udito dal Padre, ed ha imparato, viene a me" Giovanni 6:45; e siccome tutte le nazioni e lingue e tribù devono col tempo riconoscere la sua autorità, il senso di queste parole, benché Pilato non fosse in grado di comprenderlo, si è che "la sua podestà è una podestà, eterna, ed il suo regno è per ogni generazione" Daniele 4:34. "La sapiente degnazione colla quale il Signore adatta il suo linguaggio ai modi di pensare del romano Pilato è veramente degna di nota. Se si fosse servito di figure tolte dell'Antico Testamento, Pilato non avrebbe potuto comprenderle; ma ogni educato romano non poteva mancar di conoscere gli argomenti dei filosofi riguardo alla verità" (Ryle).

PASSI PARALLELI
Matteo 26:64; 27:11; Marco 14:62; 15:2; Luca 23:3; 1Timoteo 6:13
Giovanni 8:14; 14:6; Isaia 55:4; Apocalisse 1:4; 3:14
Giovanni 7:17; 8:47; 10:26-27; 1Pietro 1:22; 1Giovanni 3:14,19; 4:6; 5:20

38 38. Pilato gli disse: Che cosa è verità? E detto questo, di nuovo uscì ai Giudei, e disse loro: io non trovo alcun misfatto in lui.
Questa celebre domanda di Pilato non proviene punto da un serio desiderio di conoscer la verità, né indica lo scetticismo disperato di un pensatore che ha tutto approfondito invano; è piuttosto l'espressione del dubbio filosofico tanto prevalente in quei giorni. E la domanda ad un tempo compassionevole ed impaziente di un uomo d'affari e di mondo, la cui esperienza della vita lo ha convinto che la verità è un sogno da entusiasti, e che un regno fondato sulla verità non è meno visionario della repubblica di Platone. Pilato esprime con evidente indifferenza il suo convincimento che alla verità nessun uomo potrà giungere mai, e per questo appunto egli non si cura di avere una risposta alla sua domanda. Intanto aveva udito da Gesù quanto bastava per convincerlo che egli non era un avversario pericoloso per il governo romano, e lo ritiene evidentemente per un povero ed illuso fanatico. Tronca dunque con impazienza l'interrogatorio, e si presenta per annunziare agli accusatori di Gesù che considerava la loro accusa come infondata, e che dopo avere esaminato il prigioniero, non trovava nessuna colpa in lui. "Così", dice Jacobus, "la filosofia greca e romana si confessò impotente a sciogliere il sommo problema dell'anima. Le menti più colte altro non potevano fare che domandare ignorantemente: 'Che cosa è verità?' Che confessione è mai questa, dinanzi alla verità divina stessa, che il mondo non ha conosciuto Iddio per la sapienza" 1Corinzi 1:21; Matteo 27:12, ci permette di completare qui il racconto di Giovanni. Pare che, tornando fuori per parlare ai Giudei, Pilato conducesse seco anche Gesù, ed in presenza sua dichiarasse di non trovarlo colpevole; infatti ci vien detto che, benché "accusato dai principali sacerdoti e dagli anziani, non rispose nulla, talché il governatore si meravigliava grandemente". Pilato era avvezzo a violenti denegazioni e proteste di innocenza per parte degli accusati che venivano condotti dinanzi al suo tribunale, e l'assoluto silenzio che Gesù oppone a tutte le accuse avanzate contro di lui, dai più alti personaggi della sua nazione, lo riempì di maraviglia. Gesù avrebbe senza dubbio parlato se ciò fosse stato necessario per la propria giustificazione, ma sapeva che Pilato era convinto della sua innocenza; il suo silenzio bastava a dimostrare vane le accuse dei suoi nemici. In Luca 23:5, sappiamo che, fra le nuove accuse portate dai sacerdoti contro a Gesù, "essi facevan forza dicendo: Egli commuove il popolo, insegnando per tutta la Giudea, avendo cominciato dalla Galilea fin qui". Udito ciò, Pilato, per venir fuori da un affare che cominciava ad infastidirlo, risolvette di mandare il prigioniero dal tetrarca della Galilea, alla cui giurisdizione egli apparteneva, e con quest'atto fece pace duratura con lui.

PASSI PARALLELI
Atti 17:19-20,32; 24:25-26
Giovanni 19:4,6,21-22; Matteo 27:18-19,24; Marco 15:14; Luca 23:4,14-16; 1Pietro 1:19
1Pietro 2:22-23

Pilato manda Gesù ad Erode Antipa, Per l'esposizione Vedi Luca 23:6-12.
Per la vita privata di Erode, Vedi Marco 6:14-29.

39 Giovanni 18:39-40. IL POPOLO RIGETTA CRISTO E SCEGLIE BARABBA Matteo 27:20-26; Marco 15:6-15; Luca 23:17-25

39. Or voi avete una usanza ch'io vi liberi uno nella pasqua; volete voi adunque ch'io vi liberi il Re dei Giudei?
Questo avvenne dopo che Erode ebbe rimandato Gesù a Pilato senza condanna, anzi senza la minima osservazione. Più che mai convinto della innocenza di Gesù, Pilato avrebbe dovuto, se fosse stato un giudice integro, metterlo in libertà, a dispetto di tutta la rabbia e di tutti i clamori dei suoi accusatori; ma temendo di compromettere, così facendo, la propria posizione, nel caso che il Sinedrio si fosse lagnato di lui a Roma, egli fece vari tentativi per indurre i Giudei a lasciar libero Gesù, abbandonando vilmente nelle loro mani la sua autorità di giudice. Di tali tentativi questo è il primo. Matteo 27:19 è il solo a raccontare un incidente che deve essere avvenuto in questo momento, e non poté mancar di accrescere il desiderio di Pilato di liberare Gesù: "Ora essendo egli in sul tribunale, la sua moglie gli mandò a dire: Non aver da far nulla con quel giusto, perciocché io ho sofferto oggi molto per lui in sogno". Secondo una tradizione che risale ai tempi di Origene, la moglie di Pilato, romana senza dubbio, chiamavasi Procula o Procla, era una proselita giudaica, e divenne poi cristiana. La Chiesa greca la mise nel novero dei suoi santi. Checché ne sia di ciò, il sogno che essa aveva avuto nell'ultima parte della notte, o verso il mattino, oggi dev'essere stato molto rimarchevole, per indurla essa, matrona romana, a mandare un tal messaggio a suo marito, mentre egli sedeva in sul tribunale. È evidente che quel sogno riferivasi a Gesù, ed annunziava danno a Pilato a motivo di esso. Che questa donna avesse imparato a conoscere Gesù a segno di chiamarlo "quel giusto", e che abbia sentito sgomento al pensiero che suo marito era chiamato a giudicarlo, al punto di mandargli quell'avviso, ben può considerarsi come segno della viva impressione fatta da Gesù su quanti abitavano in Gerusalemme. In Luca 23:13-17 vediamo di più, che al ritorno di Cristo da Erode, Pilato riprese a trattare coi Giudei, e questa volta chiamò a sé non solo i sacerdoti e gli anziani, ma anche il popolo, nella speranza forse che quel popolo, il quale, pochi giorni prima, erasi dimostrato tanto favorevole a Gesù, lo aiuterebbe a salvarlo, e ne reclamerebbe la liberazione in occasione della festa. L'origine della usanza qui ricordata da Pilato è ignota. Può essere, stata istituita in memoria della liberazione dalla schiavitù d'Egitto, e non pare che l'introducessero i Romani, poiché Pilato dice: "Voi avete una usanza". Ad ogni modo, Pilato, dopo aver dichiarato che l'innocenza di Gesù, già da lui stesso proclamata, era stata pure riconosciuta da Erode, propone di castigarlo, "ed anche questo era ingiusto dopo quella duplice dichiarazione di innocenza", poi di mandarlo in libertà, in occasione della festa. Giovanni non parla di castigo; ma riferisce in questo versetto la proposta colla quale Pilato subordina la sua autorità di giudice non solo, ma anche il suo desiderio, al beneplacito della folla, domandando a quella: "Volete che vi liberi il Re dei Giudei?" Non fu prudente nel suo modo di esprimersi; un po' di diplomazia avrebbe dovuto consigliargli di non pronunziare le parole: "il Re dei Giudei"; ma il disprezzo che nutriva per il popolo d'Israele lo spinse precisamente a farne uso, e ciò eccitò più che mai l'ira dei nemici del Signore.

PASSI PARALLELI
Matteo 27:15-18; Marco 15:6,8; Luca 23:17,20
Giovanni 18:33

40 40. E tutti gridarono di nuovo, dicendo: Non costui, anzi Barabba.
In Matteo 27:20 leggiamo: "I principali sacerdoti, e gli anziani persuasero, alle turbe che chiedessero Barabba, e che facessero morire Gesù". Secondo Marco poi Marco 15:6-11, parrebbe che la folla fu quella che, ad istigazione dei sacerdoti, cominciò a domandar la solita grazia di un prigioniero, del che subito si valse Pilato per proporre la liberazione di Gesù. Ma dovette rimanere sorpreso della risposta. Dagli altri Vangeli vediamo che insistette; ma ogni volta che apriva la bocca, gli urli della folla facevansi più feroci. Dapprima esprimevano semplicemente una preferenza per Barabba, ma ai nuovi sforzi di Pilato per liberar Gesù venne risposto col grido, suggerito dai sacerdoti, di: "Crocifiggilo!" e Pilato esitando ancora, il tumulto divenne tale che egli si vide nell'alternativa o di cedere, o di reprimere una insurrezione Matteo 27:26; Marco 15:15; Luca 23:23-24. Ma come mai l'immensa popolarità colla quale Gesù era stato accolto solo sei giorni prima in Gerusalemme Matteo 21:1-11; Marco 11:1-11; Luca 19:35-40, si era mutata in indifferenza, anzi in odio feroce? Senza dubbio a ciò avevano:; contribuito gli sforzi più sopra accennati dei sacerdoti. Però la causa più efficace di questo cambiamento la dobbiamo cercare nel terrore superstizioso che erasi impadronito di tutti gli abitanti di Gerusalemme quando volò di bocca in bocca la notizia che, quella mattina stessa, al levar del sole, il sinedrio, la corte suprema temuta e rispettata della nazione, aveva condannato a morte il profeta di Nazaret qual reo di bestemmia. Immantinente vengon dimenticati tutti i suoi miracoli, tutti i suoi insegnamenti; egli è bestemmiatore: "Crocifiggilo!"
Or Barabba (figlio di Abba) era un ladrone.
Alcuni codici di valore inferiore portano in Matteo 27:16-17, "Gesù Barabba", come nome di costui. È una variante curiosa, ma che non vien sostenuta da nessun codice autorevole. Confrontando quanto dicon tutti gli evangelisti di questo Barabba, parrebbe che egli appartenesse al partito ogni dì più numeroso che detestava i Romani, e che divenne celebre dipoi sotto il nome dà "Zeloti". Vedi l'articolo sugli Zeloti al principio del volume (Sette Giudaiche). Insieme ad altri, Barabba aveva suscitato in Gerusalemme un sollevamento, nel quale un uomo era rimasto ucciso; ma Giovanni ci dice che, ben lungi dall'essere stato mosso da motivi patriottici, aveva avuto principalmente il furto in vista. Eppure, così forte era la corrente popolare a favore della indipendenza nazionale, che chiunque, per qualsiasi motivo, ribellavasi ai Romani, diveniva subito un patriota ed un eroe; indi il favore di cui godeva Barabba. "Osservisi che quest'uomo era notoriamente colpevole del delitto medesimo del quale i sacerdoti ed i rettori accusavano falsamente Gesù, quello cioè di sedizione; ed un governatore vigilante come Pilato non poteva aver prova più lampante della loro ipocrisia, che i loro sforzi per liberar l'uno e far condannar l'altro" (Andrews). Riflettendo a tutta la condotta di Pilato, risulta chiaro, che, abbandonata l'integrità del giudice, egli cercava di piacere a tutti: al popolo col metter Gesù in libertà, ai sacerdoti castigandolo come colpevole, a sé stesso col liberarlo dalla morte. Quel suo piano però falli del tutto; non soddisfece nessuno, e niente deve aver sorpreso Pilato come il mutato contegno del popolo riguardo a Gesù. Matteo 27:24-25, ci riferisce un altro notevole incidente, che precedette immediatamente la vittoria del partito sacerdotale sopra Pilato. "E Pilato, veggendo che non profittava nulla, anzi che si sollevava un tumulto, prese dell'acqua, e si lavò le mani nel cospetto della moltitudine, dicendo: Io sono innocente del sangue di questo giusto". Il lavarsi le mani, a guisa di protesta di innocenza, in caso di sangue versato, era una usanza giudaica, e veniva prescritto nella legge: "Lavinsi tutti gli anziani... le mani... e protestino e dicano: Le nostre mani non hanno sparso questo sangue" Deuteronomio 21:6-7. Pilato adottò questa usanza dei Giudei, appunto per mostrar chiaramente la sua disapprovazione della loro condotta, e per tentare una volta ancora di dissuaderli dalla linea di condotta che avevano adottata, dichiarando nuovamente la sua convinzione della innocenza di Gesù. Ma invano si protestò "innocente del sangue di questo giusto". Benché a ragione chiamasse i Giudei responsabili dell'assassinio di Cristo, ne era responsabile egli pure; né poteva, col lavarsi le mani, esimersi dal suo dovere. qual rappresentante della legge romana. I caratteri deboli spesso cercano di soffocare la voce della coscienza, gettando il biasimo sopra altri. "E tutto il popolo rispondendo disse: Sia il suo sangue sopra noi, e sopra i nostri figliuoli". Mentre il governatore romano sforzavasi, con quel vano espediente, di liberare la sua coscienza dall'ingiustizia commessa a danno di Cristo, la plebe, infuriata dai sacerdoti, e senza pensare a quel che diceva, assunse per sé e per tutta la nazione in avvenire qualsiasi responsabilità potesse derivare dalla crocifissione di Cristo. Quelli che pronunziavano quell'empia imprecazione su di sé e sui propri discendenti non si figuravano certo quali ne sarebbero le conseguenze. Israele aveva già quasi riempita la misura dell'ira divina, e quando suonò l'ora della vendetta, quella stolta imprecazione non fu dimenticata. Era invero matura per il castigo quella nazione, la quale, dopo aver rigettato Cristo durante il suo ministerio terreno, lo rigettò di nuovo predicato dagli apostoli, quindi si oppose in ogni modo a che venisse annunziata al mondo quella salute che essa stessa avea ricusata. Meno di quarant'anni dopo la morte di Cristo, cominciò la sua tremenda punizione. La santa città ed il tempio furono distrutti dai Romani. Flavio, "De Bello Judaico", ci dice che nell'assedio perì un milione di persone, che migliaia morirono di fame, e migliaia furono crocifissi, soffrendo la medesima atrocissima morte che avevano domandata per Cristo. Da quel tempo in poi, i Giudei sono stati dispersi e perseguitati ovunque, e pur troppo non è esaurita la maledizione che essi stessi hanno invocata su di sé. Quel popolo è stato attraverso i secoli un monumento della giustizia di Dio, ed una prova visibile della verità della religione cristiana, perché solo il crimine estremo di mettere a morte il Messia poteva far scendere su di esso una così tremenda punizione. Eppure anche per gl'Israeliti v'ha speranza di perdono e di salvezza; e Paolo dichiara che "quando la pienezza dei Gentili sarà entrata... tutto Israele sarà salvato" Romani 11:25-26. Gli altri evangelisti non ricordano quella imprecazione dei Giudei; ma essa ben trovava il posto suo in Matteo, che scrisse specialmente per gli Ebrei; ed egli certo non li avrebbe scritto nel suo Vangelo un fatto così umiliante per il suo popolo, se non fosse stato vero.

PASSI PARALLELI
Matteo 27:16,26; Marco 15:7,15; Luca 23:18-19,25; Atti 3:13-14

RIFLESSIONI
1. Nelle parole dette da Gesù ai soldati venuti ad arrestarlo: "Se cercate me, lasciate andar costoro", vediamo una prova commovente della sua sollecitudine per la sicurezza dei suoi discepoli, al momento stesso in cui le prove più dolorose addensavansi intorno a lui; nonché di quell'autorità divina colla quale sempre seppe imporre agli implacabili suoi nemici dei limiti che essi non poterono varcare. Sembra strano che i Giudei non abbiano involto i discepoli nella sorte del Maestro, e certo non ne mancava loro la voglia; ma allora dove sarebbe la Chiesa Cristiana? Si fu senza dubbio il comando: "Lasciate andar costoro", che salvò i timidi e tremanti discepoli. Il Signore avea bisogno di loro; ma essi ancora non erano sufficientemente preparati per l'opera sua; perciò li risparmia, per timore che le anime loro soccombano nella lotta, come fu per un momento il caso di Pietro, il più impetuoso fra essi. Lo Spirito non era ancora stato mandato su di loro; non erano pronti al martirio, epperciò il buon pastore risparmia loro prove inutili e pericolose. "Misticamente considerate", dice Spurgeon, "quelle parole hanno un senso assai più profondo. Cristo non fu preso né dai Romani, né dagli invidiosi Giudei, bensì dai nostri peccati, e la liberazione che concesse ai suoi discepoli non fu tanto dalle armi romane, che dalle proprie colpe. La legge di Dio ha molti e gravi diritti su di noi; ma Gesù, qual sostituto del popolo suo, si fa avanti e dice: 'Cerchi me? Eccomi. Ma quando mi avrai fatto prigione, lascia costoro, pei quali ho dato me stesso, andarsene in libertà'. Quando adunque la legge mise le mani sopra Gesù, e fece pesare su di lui i suoi castighi, tutti quelli dei quali il Cristo aveva preso il posto divennero liberi per sempre, precisamente perché egli era prigione".
2. "Tutti e quattro gli evangelisti ci raccontano la caduta di Pietro, senza dubbio affinché sia una lezione per la Chiesa in ogni età, ed insegni ad ogni credente in che modo egli possa venir preservato da un simile peccato. Qui vediamo il pericolo dell'orgoglio e della fiducia in sé stesso. Se Pietro non si fosse creduto così sicuro che, quand'anche tutti rinnegassero Cristo, egli però non lo rinnegherebbe mai, non sarebbe probabilmente caduto. Questo fatto c'insegna pure quanto sia pericolosa l'indolenza spirituale. Se Pietro avesse seguito il consiglio del Signore di vegliare e pregare, avrebbe trovato grazia e forza al momento del bisogno. Finalmente vediamo quanto sia potente il timor dell'uomo. Pochi sanno di temere l'uomo che vedono assai più di Dio che non vedono. Rammentiamoci di Pietro, imperocché queste cose sono scritte per la nostra istruzione" (Ryle).
3. Mentre dei messaggeri correvano qua e là affin di riunire i membri del Sinedrio, Caiafa cercò, mediante un interrogatorio privato, di cavar di bocca a Gesù qualche parola sulla quale fondare un'accusa. Lo domandò primieramente intorno al suoi discepoli: perché li aveva riuniti e formati in una specie di società separata. Ah! se avesse potuto scoprire nulla che somigliasse ad una società segreta, ad una cospirazione organizzata in tutto il paese, sarebbe stato facile persuadere i Romani della necessità di schiacciarla in sul suo nascere, sopprimendone il capo. Quindi volle saper da Gesù qual fosse la sua dottrina; ma il Signore, indovinando subito il suo disegno, sdegnosamente nega l'accusa che si vuol portare contro di lui. Né riguardo ai suoi discepoli, né riguardo alla sua dottrina; né nelle istruzioni date ai suoi seguaci, n'è nei legami che li univano gli uni agli altri, eravi mai stato nulla di sinistro o di occulto. Egli non aveva una dottrina per il pubblico, ed un'altra per gli iniziati; non radunava i suoi seguaci di notte ed in luoghi appartati per preparare pericolose congiure. "Io ho apertamente parlato al mondo", risponde egli al sommo sacerdote; "io ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, ove i Giudei si radunano da ogni luogo". Perché tali domande? Se Caiafa vuol realmente conoscere la dottrina di Cristo domandi le folle che erano state i suoi uditori costanti. Caiafa nulla guadagnò colle sue domande insidiose; nascose il suo risentimento finché non lo potesse sfogare nel Sinedrio; ma permise che un suo servitore percuotesse Gesù, benché legato, senza muovergli parola di rimprovero.
4. Lo scopo precipuo del Signore nel dire a Pilato: "Il mio regno non è di questo mondo" fu di fargli conoscere la natura spirituale del regno suo, e di correggere qualunque falsa impressione egli potesse aver ricevuto dai Giudei relativamente a quello. Gli dice che non intende stabilire quaggiù un potere temporale da difendersi cogli eserciti e da mantenersi colle tasse, in opposizione all'impero romano. Solo sopra i cuori degli uomini ci vuole regnare, e i suoi sudditi non devono servirsi che di armi spirituali. Un regno senza soldati e senza tesoro non poteva dar ombra all'autorità imperiale, e di ciò Pilato rimase appieno convinto. Nel senso più elevato, il regno di Gesù "non è di questo mondo". Ma fra questa grande verità ed il corollario che vorrebbero trarne molti ai nostri di, che cioè il regno di Cristo non debba esercitare influenza alcuna sui regni del mondo, che i rettori dei popoli ed i magistrati non si debbano dar pensiero alcuno della religione, corre un vero abisso. Qual creatore di tutte le cose visibili ed invisibili, "al Signore appartiene la terra, e tutto quello ch'è in essa" Salmi 24:1. "Al Signore appartiene il regno; ed egli è quel che signoreggia fra le genti" Salmi 22:28. "Per lui regnano i re, e i principi fanno statuti di giustizia" Proverbi 8:15. Benché non sia del mondo, il suo regno è pur sempre nel mondo; benché non sia amministrato secondo le regole del mondo, ha però per scopo supremo di promuovere giustizia e santità fra tutti i popoli della terra. "Le podestà che sono, sono ordinate da Dio" Romani 13:1; epperciò sono a lui responsabili dell'ufficio loro affidato, e benché non possano far dei cristiani con le loro leggi ed i loro decreti, è al tempo stesso dovere ed interesse loro di far quanto possono per mantenere ed incoraggiare il cristianesimo. "Il regno, dove c'è maggiore industria, più temperanza, più veracità ed onestà, sarà sempre il più prospero di tutti i regni" (Ryle).