1 CAPO 17 - ANALISI 1. Alcune osservazioni generali su questa preghiera. Abbiam detto già non esser punto probabile che venisse pronunziata in qualche luogo appartato lungo la via, mentre Gesù e i discepoli andavano al Ghetsemane, poiché al tempo della Pasqua tutta la vallata del Kedron era piena di capanne e di tende, e la gente andava attorno in folla fino a notte inoltrata. Né poté esser detta nei cortili del Tempio, come hanno supposto alcuni, fondandosi sull'asserzione di Giuseppe Flavio, che cioè durante la Pasqua, le porte del Tempio si aprivano alla mezzanotte, imperocché prima assai di quell'ora Gesù era già stato arrestato. Sembra indubitabile che Gesù pronunziò questa preghiera nella stanza stessa dove avea mangiato la Pasqua coi discepoli, subito dopo i discorsi dei capitoli precedenti; e prima di uscire per andar direttamente al Ghetsemane Giovanni 18:1, Vedi pure nota Giovanni 14:31. Molto anticamente già questa venne detta la "Preghiera Sacerdotale" di Gesù, nome perfettamente appropriato, poiché, essendo egli venuto in terra, qual sommo sacerdote, per offrire sé medesimo, come sacrificio per il peccato, a lui pure si appartiene l'ufficio di intercessore, che egli prosegue tuttora nella presenza di Dio, a pro dei suoi, e di cui questa preghiera è un esempio notevole e pieno di grazia. La pronunziò ad alta voce per far conoscere alla Chiesa quaggiù in qual'opera egli sarebbe del continuo impegnato nel santuario dei cieli. Pur parlando a Dio, parlava per quelli che lo udivano, e che voleva iniziare a quell'intima sua comunione col Padre. E la preghiera più lunga di Gesù che ci venga ricordata, e il capitolo che la contiene è il più prezioso di tutta la Bibbia. Il suo linguaggio è di una mirabile semplicità; le sue espressioni sono profonde e sublimi; essa respira l'affetto e la tenerezza, più che il trionfo, e il pensiero centrale che l'unifica tutta quanta è la gloria di Dio. Matthew Henry, colla solita sua originalità, osserva che "era una preghiera dopo il sermone, una preghiera dopo il sacramento, una preghiera di famiglia, una preghiera di partenza, una preghiera prima del sacrificio, una preghiera campione della intercessione di Cristo". Olshausen dice: "pensieri espressi in questa preghiera sono così semplici e naturali che non presentano la minima difficoltà, eppure, con tutta la loro mirabile chiarezza, son così profondi che ogni tentativo di esaurirli è vano". "L'intera preghiera", dice Milligan, "è compenetrata dall'unico pensiero della glorificazione di Dio, in tutti quelli per i quali Gesù successivamente intercede, mediante l'adempimento del piano eterno di Dio in ciascuno di essi, e la loro unione per il perfetto, spirituale ed eterno legame di amore". 2. Il contenuto della preghiera. Essa si divide naturalmente in tre parti: 1) Quello che si riferisce a Cristo stesso: ora che è compiuta l'opera sua in terra, egli ridomanda la gloria di cui godeva col Padre, prima che il mondo fosse Giovanni 17:1-5. 2) Quello che si riferisce agli undici discepoli lì presenti, di cui aveva preso sì tenera cura in mezzo al mondo che li odiava, e che egli affida specialmente alle cure del Padre, affinché sieno santificati per la verità, e resi atti all'opera a cui eran chiamati Giovanni 17:6-19. 3) Quello che si riferisce ai credenti in ogni età e paese, affinché sieno fraternamente uniti gli uni cogli altri, ed in piena comunione con Dio, affinché la gloria di Cristo alla destra del Padre venga specialmente manifestata a quelli fra loro che sarebbero stati testimoni della sua umiliazione, ed affinché la Chiesa redenta sia unita con legami di eterno amore colla gloriosissima Deità Giovanni 17:20-26.
Giovanni 17:1-26. LA PREGHIERA SACERDOTALE DI CRISTO
Gesù prega per sé medesimo Giovanni 17:1-5
1. Queste cose disse Gesù; In qualunque luogo sieno stati pronunziati Giovanni 15:1-27; 16:1-33, queste parole non lasciano dubbio alcuno che la preghiera fu pronunziata subito dopo quelli e nel medesimo luogo. poi alzò gli occhi al cielo, e disse: "Giovanni ben di rado ci descrive l'attitudine e i gesti di Gesù, come fa in questo luogo. Ma fu quello un momento di cui l'impressione rimase in lui indelebile, ed egli non poté se non parlare dello sguardo di Gesù levato in alto" (Alford). Nelle parole "al cielo" alcuni vedono la prova che Gesù pregò in qualche luogo ad aria aperta; ma è una conclusione forzata, perché il guardare in su è l'espressione naturale della devozione, in qualunque luogo ci troviamo. Era questo un modo di pregare assai comune fra i Giudei Luca 18:13; Atti 7:55. Padre, Se ricordiamo che colui che parla non è semplicemente "l'uomo Cristo Gesù", ma pure "la Parola che era nel principio, che era appo Dio, ed era Dio" Giovanni 1:1, ci parrà evidente che questo nome non vien dato alla Divinità considerata nella sua essenza, ma alla prima persona della Trinità, la quale, nella economia della redenzione, rappresenta la maestà divina, che opera per il Figliuolo, e mediante lo Spirito. In questa preghiera, il Signore lo chiama "Padre santo" Giovanni 17:11, e "Padre giusto" Giovanni 17:25, mentre nell'agonia di Ghetsemane, lo chiama "Padre mio" Matteo 26:39, non mai "Padre nostro", nome che devono dargli i suoi seguaci. Così egli si separa, come uomo, da tutti gli altri uomini. "Osso delle nostre ossa e carne della nostra carne", sì, ma "separato dai peccatori" Ebrei 7:26. "Il nome di Figlio corrisponde a quello di Padre; colui che è al tempo stesso Figliuol di Dio e Figliuol dell'uomo ne fa uso per indicare che v'ha fra lui e la prima persona della Trinità una triplice relazione 1. La relazione che da ogni eternità e necessariamente esisteva fra di loro, quali persone divine; 2. La relazione che proveniva dalla formazione miracolosa della sua umana natura; 3. La relazione che sorgeva dall'esser egli stato costituito il fratello Redentore del popolo suo, e il Signore della umanità" (John Brown). l'ora è venuta. È questa l'ora suprema, l'ora fissata da Dio negli eterni suoi consigli, ed annunziata in Eden, per la morte di Cristo in croce, e per l'adempimento finale coll'eccezione. Tutti i piani fin qui formati contro la vita del Figliuol dell'uomo son riusciti vani, perciocché, la sua ora non era ancora venuta. Eccola giunta alfine, in ubbidienza ad una legge divina che non conosce né fretta né indugio. Dinanzi a quell'ora, l'umanità di Cristo aveva testé provato un sentimento di profondo ribrezzo Giovanni 12:27, e doveva provarlo nuovamente fra poco Marco 14:33. Parlandone ai suoi nemici in Ghetsemane, egli la chiama "l'ora vostra e la podestà delle tenebre" Luca 22:53; ma ora con calma perfetta, nella piena coscienza delle sue relazioni col Padre, e fiducioso di venir da lui sostenuto, egli ne parla al Padre suo, come dell'ora in cui giungerà alla perfezione l'adempimento della volontà divina. glorifica il tuo Figliuolo, Stier osserva che questa seconda parte del vers. ci dà una prova chiarissima, benché indiretta, che il Figlio è uguale al Padre, in quanto spetta alla divinità, imperocché qual creatura ardirebbe presentarsi dinanzi a Dio e dirgli: "Glorificami, ed io pure ti glorificherò". La seconda parte di questa domanda esprime lo scopo da raggiungersi, la prima il mezzo per arrivarci. La glorificazione del Padre, in un grado più elevato che mai, mediante la glorificazione del Figlio, ora che l'opera della sua umiliazione è compiuta: ecco lo scopo sublime che Gesù non perdette mai di vista. La glorificazione che Gesù domandava al Padre suo consisteva nel dargli forza e perduranza durante gli orrori di quell'ora nel corso della quale "l'anima sua si sarà posta per sacrificio per la colpa" Isaia 53:10, nel farmelo uscir trionfante, nel rimuovere il velo che per alcuni aveva oscurata, e per altri nascosta la gloriosa unità del Figlio e del Padre, e nel rendergli non solo la felicità del cielo, ma quella condizione medesima in cui trovavasi prima della sua incarnazione, e nella quale la sua umanità dovrebbe ora partecipare, come essenziale all'opera sua. Le parole del vers. 5: "che io ho avuta appo te avanti che il mondo fosse" non lasciano dubbio alcuno che in questa preghiera egli domandasse il ritorno alla gloria di cui godeva da ogni eternità, come Figliuolo unigenito del Padre. acciocché altresì il Figliuolo glorifichi te; Lo scopo supremo di Cristo sin dal momento della sua incarnazione, quello che stava in cima ai suoi pensieri, quando entrò nell'arena delle ineffabili sue sofferenze, era di far risplendete la gloria di Dio, manifestando a tutti gli esseri intelligenti le perfezioni del carattere divino, quali risplendono nell'opera della redenzione. Questa glorificazione del Padre per mezzo del Figlio ha per fondamento l'opera mediatoria di Cristo, il quale vuole che la sua ubbidienza perfetta fino alla morte divenga il mezzo per cui la gloria di Dio sarà compiuta, mediante la vittoria dell'evangelo, e il suo amore per un mondo che perisce, dimostrato in modo da attrarre tutti i cuori al Padre.
PASSI PARALLELI Giovanni 11:41; Salmi 121:1-2; 123:1; Isaia 38:14; Luca 18:13 Giovanni 7:30; 8:20; 12:23,27-28; 13:1; 16:32; Marco 14:41; Luca 22:53 Giovanni 16:4-5; 7:39; 11:4; 13:31-32; Atti 3:13; Filippesi 2:9-11; 1Pietro 1:21
2 2. Secondo che tu gli hai data podestà sopra ogni carne, Quantunque il costante e supremo desiderio di Cristo fosse la glorificazione di suo Padre in tutte le cose, la parola "secondoché", colla quale comincia questo versetto, sembra indicare un modo speciale in cui quella glorificazione doveva venir raggiunta, in conformità col gran mandato che gli era stato conferito come Salvator degli uomini. Dai Salmi 8:6-8, sappiamo che l'autorità o l'impero che appartiene a Cristo, qual secondo Adamo, si estende a tutto il creato, ma qui egli lo limita ad "ogni carne", cioè all'umanità nella sua caduta e perdizione, perché solo gli uomini possono partecipare a tutte le benedizioni della signoria di Cristo. Egli dichiara espressamente di aver ricevuto questa autorità sopra ogni carne dal Padre, epperciò egli l'esercita nella sua qualità di uomo, di mediatore e di Capo della Chiesa; imperocché come Dio, uguale al Padre, egli possedeva in comune con lui un'autorità eterna ed illimitata. Di questa sua autorità come mediatore, ricevuta dal Padre, egli parla nei passi seguenti: "Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio" Matteo 11:27. "Ogni podestà mi è data in cielo ed in terra" Matteo 28:18. "Il Padre ama il Figliuolo, e gli ha dato ogni cosa in mano" Giovanni 3:15. Il Padre non giudica alcuno; ma ha dato tutto il giudicio al Figliuolo" Giovanni 5:22. Vedasi pure Colossesi 1:19; 2:9. acciocché egli dia vita eterna a tutti coloro che tu gli hai dati "acciocché", il Signore distingue il suo potere di salvare gli eletti datigli dal Padre, da quell'autorità universale sopra tutti gli uomini della quale aveva pure ora parlato. "Il Padre dà il potere sopra tutti, ma fra quei 'tutti' egli dà gli eletti medesimi al Figliuolo; imperocché abbiamo qui opposizione fra il generale ed il particolare" (Stier). Egli è degli eletti che parla in questa ultima parte del versetto. Le parole dell'originale presentano una costruzione singolare: il "tutto quello che", al singolare nella prima parte, diviene plurale, dell'originale "ad essi", nella seconda, e così il Signore presenta a Dio il suo popolo eletto, l'insieme dei credenti futuri, prima collettivamente, come un tutto unito, quindi come individui, ciascuno dei quali riceve il dono della vita eterna. L'atto di dare per parte del Padre si riferisce all'insieme; la comunicazione della vita per parte del Figlio è un fatto individuale. Le parole "vita eterna" racchiudono tutto quanto è necessario alla completa salvazione dell'anima; è vita di giustificazione, di santificazione e di gloria eterna Vedi notaGiovanni 6:40.
3 3. Or questa è la vita eterna, che conoscano te, Alcuni vedono in queste parole una delle solite osservazioni fatte in parentesi da Giovanni medesimo; ma sarebbe stata una presunzione affatto opposta al suo carattere il mescolare i propri pensieri con quelli di Gesù in un momento così solenne. Non meno insostenibile è l'opinione secondo la quale Giovanni avrebbe qui espresso il pensiero di Gesù con parole sue proprie. La gran ragione che si dà in appoggio a tali teorie si è l'improbabilità che il Signore abbia parlato di sé alla terza persona, e soprattutto dandosi quel nome di Gesù Cristo, che egli non aveva mai usato, nel corso del suo ministerio terreno, e che venne impiegato nella Chiesa solo dopo di lui. A ciò rispondiamo che se v'erano state fino a quell'ora delle ragioni potenti per cui Gesù proibì ai discepoli di proclamarlo il Cristo 1Corinzi 2:8, quelle più non esistevano. Era giunto il tempo in cui l'appellativo glorioso, formato dall'unione dei due nomi "Gesù" e "Cristo" doveva venir proclamati nel mondo intero; ben si conveniva che i discepoli lo imparassero dalle sue proprie labbra, e in qual migliore occasione avrebbe ciò potuto avvenire che in quest'ultimo atto di comunione col Padre? Lungi dal credere che l'abitudine più tardi introdottasi nella Chiesa di designare il Signore sotto quel duplice nome abbia indotto Giovanni a farne uso in questo passo, Alford con ragione domanda: "Non starebbe forse il fatto precisamente al contrario? E non potrebbe quest'uso solenne di quel nome per il parte del Signore medesimo averne originato uso nella sua Chiesa, dopo la sua partenza? Quest'alternativa mi pare assai più probabile. "Una seconda risposta a questa teoria consiste nel dire che il Signore, avendo parlato nel, versetto precedente della vita eterna che egli doveva dare al popolo suo, spiega quindi in che essa consista, e così, mentre prega il Padre, istruisce i discepoli. Quella vita eterna è conoscenza, non semplicemente una conoscenza verbale ed intellettuale, ma una apprensione interna ed un vero apprezzamento di Dio il Padre, e di Gesù Cristo il Figliuolo, quale ci sono rivelati per la nostra Ubbidienza, il nostro amore e la nostra salute, mediante l'opera dello Spirito. È un errore il supporre, come fanno molti, che quando questa "conoscenza" ci vien presentata come "la vita eterna", dobbiamo considerarla come il mezzo o la via per cui si giunge a quella vita. Questo è vero, ma è solo una parte della verità. La vera conoscenza di Dio e di Gesù Cristo è in sé stessa vita eterna. Quella conoscenza implica conformità di mente e di cuore a Dio e al suo Figliuolo, e ciò costituisce quella santità e quella felicità che sono l'essenza della vita eterna. Non si può aver l'una senza l'altra. "La conoscenza di cui parla qui il Signore", dice Westcott, "è l'apprensione del vero per parte di tutta quanta la natura umana. Non è la mera conoscenza di fatti esterni, né un semplice convincimento intellettuale della loro verità, ma tale una appropriazione di essi, "se così può dirsi", che ne rimanga potentemente influenzato l'essere tutto che li conosce". Webster definisce questa conoscenza come quella comunione od associazione col Padre e col Figliuolo Giovanni 1:1-3, nella quale consiste il nostro cambiamento da morte a vita, la nostra conversione, la nostra nuova nascita, operate in noi dallo Spirito Santo. Questo è il principio ed il proseguimento della vita spirituale in terra, e sarà, nel pieno suo sviluppo, la vita perfetta e spirituale nei cieli. che sei il solo vero Iddio, Gli Ariani antichi ed i Sociniani moderni dal titolo che Gesù dà qui al Padre suo, concludono non esser egli stesso vero Dio; ma ben risponde Alford che l'esser qui Gesù nominato insieme al Padre, e la conoscenza di entrambi dichiarata "vita eterna", è prova indiretta, ma inconfutabile, della divinità del Figliuolo, imperocché la conoscenza di Dio e di una creatura non può costituire la vita eterna, e l'apposizione di questi due nomi riesce inesplicabile, se non c'è uguaglianza fra loro. Di più in 1Giovanni 5:20, secondo la interpretazione più naturale di quel testo, il Figliuolo è chiamato: "il vero Dio e la vita eterna". Brown dice molto in poche parole: "Con questo titolo, Gesù dichiara suo Padre solo, personale e vivente Iddio, in opposizione a tutte le forme di politeismo pagano, di panteismo mistico, e di naturalismo filosofico". e Gesù Cristo, che tu hai mandato. Già abbiam detto esser questa la sola volta che Gesù dia a sé stesso il duplice nome di CRISTO GESÙ e ciò fa per indicare in modo chiarissimo l'ufficio suo di mediatore, Vedi1Timoteo 2:5. Ognuna di queste parole è usata nel suo senso più rigoroso. "Gesù" o Salvatore fu il nome datogli dal Padre, "perciocché egli salverà il suo popolo dai lor peccati" Matteo 1:21. "Cristo" è titolo di ufficio e significa che è stato unto colla illimitata pienezza dello Spirito Santo, per i vari suoi uffici di mediatore, VediGiovanni 4:25; Matteo 1:16. Le parole "che tu hai mandato" dichiarano la sua missione divina od il suo apostolato Ebrei 3:1, con pieni poteri per adempiere tutto il consiglio di Dio, per riconciliare Dio e l'uomo, e per "salvare appieno coloro, i quali per lui si accostano a Dio" Ebrei 7:25. La verità contenuta nelle parole "il solo vero Dio" i Gentili non la seppero riconoscere; quella dichiarata nell'inciso che segue fu ostinatamente respinta dai Giudei. Avendo Gesù descritto in quel modo in che consista la vita eterna, cominciamo a capir meglio che cosa volesse dire il Signore colle parole: "acciocché il Figliuolo glorifichi te".
4 4. Io ti ho glorificato in terra; io ho adempiuta l'opera che tu hai data a fare. I verbi sono all'aoristo e si dovrebbero tradurre: "glorificai", ed "adempii". In Giovanni 17:4-5 è ripetuta la preghiera del ver. 1, ma da un altro punto di vista. In quello, Gesù domanda di venir glorificato, come preparazione all'opera che gli stava innanzi; qui lo domanda come conseguenza dell'adempimento dell'opera prescrittagli. Queste parole, come altre in questa preghiera, ver. Giovanni 17; 11:12,24, benché dette dal Signore in anticipazione delle sue sofferenze, si riferiscono allo stato di cose che doveva seguire l'adempimento completo dell'opera sua in terra, ed invero non gli restava più del viaggio terreno che una breve benché dolorosissima tappa, Vedi un altro esempio del medesimo genere in 1Timoteo 4:7. Per l'ubbidienza di Cristo a quella legge divina che l'uomo aveva trasgredita, per la soddisfazione data alla giustizia divina e alle sanzioni penali della legge da un essere di così infinita dignità e potenza, Iddio fu glorificato assai più che se l'uomo non avesse mai peccato, od avendo peccato fosse stato condannato all'eterno castigo. Di più, "l'opera sua era compiuta" dal momento che egli aveva adempiuta e sofferta tutta la volontà di suo Padre, aveva insegnato la verità, dandone l'esempio nella propria persona, confermandola coi suoi miracoli e suggellandola col sangue suo. Egli è dell'intera sua opera nella carne che egli ora parla come di cosa compiuta, e nella certezza che neppur l'occhio onniveggente del Padre suo poteva scorgervi imperfezione alcuna, egli ne domanda ora la ricompensa.
PASSI PARALLELI Giovanni 12:28; 13:31-32; 14:13 Giovanni 4:34; 5:36; 9:3; 14:31; 15:10; 19:30; Atti 20:24; 2Timoteo 4:7
5 5. Ora dunque, tu Padre, glorificanti appo te stesso, della gloria che io ho avuta appo te, avanti che il mondo fosse. Questo versetto è parallelo al precedente: "Ti ho glorificato in terra; glorificami ora in cielo. "La gloria qui domandata da Cristo ci vien definita da due particolari. l. È gloria con o nel Padre, in contrasto coll'umiliazione terrena; 2. È gloria che appartenevagli da ogni eternità. La preposizione applicata qui due volte a Dio Padre, denota la comunione più intima e diretta, la congiunzione personale più stretta, come fa pure, "in" Giovanni 1:18: "nel seno del Padre". La stessa persona, che godeva la gloria insieme col Padre prima della creazione, fu quella pure che glorificò il Padre in terra, e ora prega per esser nuovamente ricevuta in gloria. È ciò una prova decisiva dell'unità della persona di Cristo nei suoi tre stati di eterna preesistenza in gloria, di umiliazione nella carne, e di glorificazione della Parola incarnata, nel corpo risuscitato. Una tale testimonianza alla divinità di Gesù, resa in circostanze così solenni, è di tanta forza che gli Ariani e i Sociniani non la negano apertamente, e cercano invano di eluderla. La gloria della sua eterna deità, nella sua essenza, il Cristo non la poté mai perdere; perché dunque ne domanda egli la restituzione? Egli prega che venga nuovamente manifestata, come appariva avanti la sua incarnazione. Che, in qualche modo a noi inintelligibile, egli si sia spogliato, incarnandosi, della sua gloria, e così sia vissuto in terra, salvo rari lampi della medesima, risulta non solo da questa sua preghiera, una più chiaramente ancora dalle fortissime parole di Paolo; "annichilò sé stesso, vuotò sé stesso, prese forma di servo... abbassò sé stesso" Filippesi 2:7-8. Comparve fra gli uomini, non quale realmente era, ma come uno di umilissima condizione, "sprezzato, fino a non esser più tenuto nel numero degli uomini" Isaia 53:3 occultando la sua gloria, finché non avesse compiuta tutta quanta l'opera di suo Padre quaggiù. Quanto deve aver sospirato il termine di uno stato così anormale! Ed ora, sapendo vicina quella meta, domanda non solo che gli venga resa quella gloria che era sua ab eterno ma che riposi su di lui qual Dio incarnato, qual rappresentante della umanità, in lui risorta dal sepolcro, ed assunta in cielo. Con questa domanda si chiude la prima parte della preghiera sacerdotale. Che fosse appieno esaudita, ce lo dicono i passi seguenti: Atti 5:31; Filippesi 2:6-11; Efesini 1:20-22.
6 Gesù prega pei suoi discepoli e specialmente per gli undici Giovanni 17:6-19
6. Io ho manifestato il nome tuo La preghiera a pro dei discepoli comincia in Giovanni 17:9; i tre versetti che precedono quello contengono i fatti e le ragioni su cui essa è fondata così queste ragioni, come le domande fatte da Gesù in questo paragrafo, possono spesso riferirsi ai credenti in ogni età; ma ci pare strano il dubbio di alcuni che non si riferiscano specialmente agli apostoli. Questo a noi pare evidente non solo dal fatto che Gesù aveva ad essi manifestato il Padre in modo affatto speciale, tenendoli seco, con ogni cura, come sua famiglia, durante tutto il suo ministerio; ma pure perché l'allusione al "figliuol della perdizione" Giovanni 17:12, prova che in questa preghiera Gesù aveva specialmente in vista la piccola comitiva degli apostoli. Durante il tempo della loro intima ed ininterrotta comunione con Gesù, egli aveva manifestato loro "il nome" di suo Padre, cioè la sua persona, il suo carattere, i suoi attributi, che tutto questo è sempre incluso nella frase "il nome di Dio" nell'Antico Testamento Esodo 9:16; 33:19; Salmi 8:1; 20:1; 22:22; 29:2; Isaia 63:12; Ezechiele 20:9. agli uomini i quali tu mi hai dati del mondo; In Giovanni 15:19, Gesù aveva detto ai discepoli: "Io vi ho eletti dal mondo"; qui dichiara che il Padre glieli aveva prima dati del mondo, e che si fu in conseguenza di tal dono, fatto ab eterno che egli li aveva scelti nel tempo. I credenti son dati a Cristo dal Padre, secondo un patto eterno ratificato e suggellato prima della fondazione del mondo, e sono fatti uscire dai ranghi del mondo, mediante la chiamata dello Spirito, all'ora fissata da Dio, per venire affidati al buon Pastore. eran tuoi, e tu me li hai dati, Cristo qui dichiara che i suoi erano stati dati a lui qual Salvatore, per esser separati dal mondo, e prima di tutto salvati essi medesimi, quindi fatti strumenti di salute per altri. ed essi hanno osservata la tua parola. Questa "parola" è la manifestazione del Padre, che Gesù aveva fatta ai discepoli e ricordata al principio del versetto. Tal parola essi non l'avevano ricevuta in modo superficiale, bensì "riposta nel loro cuore" Salmi 119:11, camminando conformemente ai suoi precetti ed alle sue speranze. "L'osservare" implica il ricordare nella memoria, il credere e l'amare col cuore, l'ubbidire nella vita; e, per quante imperfezioni tuttora si mescolassero al loro servizio, il carattere che Gesù dà qui ai suoi discepoli è davvero meraviglioso.
7 7. Ora han conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date son da te. In questo versetto e nel seguente, il Signore continua a porre le basi della sua intercessione a pro dei discepoli, facendo vedere lo sviluppo della loro fede, della quale aveva dato un sommario col dire: "Essi hanno osservato la tua parola". Essendo stato l'insegnamento dato loro da Cristo una fedele riproduzione delle parole del Padre suo, egli ora li dichiara giunti ad un tal grado di conoscenza da poter discernere che, così le sue parole come le opere sue, gli erano state date dal Padre; in altri termini, che la sua missione era divina, e che il Padre avevagli ordinato di parlare e di agire come aveva fatto. "Sembra, a prima vista, che vi sia una tautologia nelle parole che tu mi hai date, e da te. Ma la prima espressione è tratta dalla coscienza di Gesù; la seconda da quella degli apostoli: "Essi hanno riconosciuto che quanto io dava loro da parte tua, proveniva realmente da te" (Godet).
PASSI PARALLELI Giovanni 7:16-17; 14:7-10,20; 16:27-30 Giovanni 17:10; 8:28; 10:29-30; 12:49-50; 16:15
8 8. Perciocché io ho date loro le parole che tu mi hai date, ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto che io son proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. Il Signore spiega qui in che modo i discepoli erano giunti alla conoscenza di cui aveva parlato in Giovanni 17:7, e questo fu per l'opera sua nell'insegnarli, e per le cose stesse loro insegnate a nome del Padre Giovanni 12:49. Egli rende qui una rimarchevole testimonianza alla sincerità della fede dei discepoli, mediante i tre verbi Ricevettero il suo insegnamento per l'autorità della sua testimonianza, lo conobbero mediante il proprio discernimento morale, e credettero che proveniva da Dio, arrendendosi interamente ad esso. Senza dubbio Gesù allude alle parole poco prima pronunziate dai discepoli: "Or noi sappiamo che tu sai ogni cosa... ed in questo (non perciò), crediamo che tu sei proceduto da Dio" Giovanni 16:30. Può parere strano che Gesù renda così alta testimonianza ai discepoli, quando ci ricordiamo la loro mancanza di fede e di conoscenze. Ma se pensiamo alle immense difficoltà della loro posizione, e agli ostacoli che da ogni parte si affacciavano alla loro fede, vedremo che il credere, anche debolmente, non era punto cosa facile per essi. "Quanto è amorevole e benigno questo riconoscimento di una così debole! Eppure se Gesù non l'avesse vista genuina, se in essa non avesse riconosciuto il germe della nobilissima fede di cui gli apostoli diedero prova dipoi, certo non avrebbe parlato in quel modo" (Dott. D. Brown).
9 9. Io prego per loro; Principia qui e finisce al ver. Giovanni 17:19 la preghiera d'intercessione di Gesù pei suoi discepoli. Essa tratta tre soggetti principali 1. la loro preservazione; 2. la loro santificazione; 3. la loro missione. Nei versetti precedenti ne aveva esposti i motivi, e ora dice: "Io prego in modo speciale per essi, perché li ho insegnati durante il mio ministero, e mi son cari come frutti del mio lavoro; essi hanno una grande opera da fare, benché sieno deboli tuttora ed ignoranti. Li raccomando a te, perché sono dono tuo". io non prego per lo mondo, Il "mondo" qui non sono i reprobi, i non eletti, come suppongono Calvino, Lampe ed altri; ma gli uomini non ancora convertiti, che trovansi tuttora nel loro stato di caduta e di impenitenza, sotto il potere dell'incredulità e del peccato e senza dubbio il Signore non vuol dire che per tali egli non preghi mai, anzi in Giovanni 17:21,23 egli prega che per strumentalità degli apostoli, e di coloro che crederanno in lui per la loro parola, quelli che a quel momento eran tuttora "del mondo" e "nel mondo", possano esser condotti a credere in lui come mandato dal Padre; e si deve alla intercessione del nostro Sommo Sacerdote se moltitudini di salvati sono stati aggiunti alla Chiesa, dacché egli è tornato alla destra del Padre. Egli stesso ci dà l'esempio di una preghiera pei peccatori più induriti, dicendo a Dio, al momento della crocifissione: "Padre, perdona loro, perciocché non sanno quel che si fanno" Luca 23:34; e in Matteo 5:44, vuole che i cristiani preghino pei loro stessi persecutori. Paolo certo intendeva queste parole di Gesù in senso assoluto, quando ordinava a Timoteo che si facessero "orazioni, richieste e ringraziamenti per tutti gli uomini" 1Timoteo 2:1. Il pensiero di Gesù ci sembra essere che, per il momento, egli lascia da parte il mondo, perché le cose che sta per chiedere sono affatto inapplicabili agli uomini del mondo nel loro stato irrigenerato. "Non già", dice il Dott. D. Brown, "che gli individui componenti il mondo sieno esclusi dalle compassioni di Cristo, Vedi ver. Giovanni 17:21, o debbano esserlo dalla nostra, ma solo quelli che erano 'scelti dal mondo' potevano essere oggetto di questa preghiera speciale". Forse si avrebbe un senso più chiaro traducendo queste parole così: "Sto pregando per essi, non già per il mondo". ma per coloro che tu mi hai dati, perciocché sono tuoi. Il Padre li diede, eppur li ritenne. Divenendo di Cristo, non, cessarono di essere di Dio; anzi divennero suoi più che mai. I redenti sono la proprietà comune del Padre e del Figlio. Sono le pecore del Padre, affidate al Figlio, epperciò egli deve pregare specialmente per loro, domandando per esse quanto può loro abbisognare.
10 10. E tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; La comunanza di proprietà fra il Padre e il Figliuolo non si limita a quelli che il Padre aveva dati a Gesù, ma abbraccia ogni cosa. "L'assoluta comunanza di beni fra il Padre e il Figliuolo è qui espressa nel modo più chiaro che sta possibile al linguaggio umano" (Dott. Brown). Questo pensiero non è necessario all'argomento di Gesù, ma serve a mettere in sempre maggior rilievo l'asserzione della comunione perfetta del Figliuolo e del Padre, e vengono perciò ritenute da molti come una parentesi, le parole che seguono: ed io sono in essi glorificato, essendo considerate come il seguito di "Perciocché son tuoi" del ver. Giovanni 17:9, e come una ragione di più perché Cristo preghi per i suoi. Con queste parole, Cristo rende testimonianza alla fede dei suoi discepoli immediati, i quali erano stati resi capaci di glorificarlo nel suo stato di umiliazione. Ad onta della sua forma di servo, lo avevano riconosciuto per quello che era realmente ed egli era apparso ai loro cuori in tutta la sua maestà di Figliuol di Dio. Ma queste parole capaci di un senso assai più esteso, perché sono Cristo è glorificato nei suoi santi, nella loro vita, nella loro morte, nella loro manifestazione all'ultimo giorno quali figliuoli di Dio Giovanni 21:19; Romani 8:19; Filippesi 1:20. "Questa è una eccellentissima testimonianza per confermar la nostra fede, che Cristo non cesserà mai di prender vivo interesse alla nostra salute, poiché egli è glorificato in noi" (Calvino).
11 11. Ed io non sono più nel mondo, ma costoro son nel mondo, ed io vo a te. Questo versetto contiene la prima domanda di Gesù a pro dei suoi discepoli, facendo la quale il Signore ha in vista le nuove circostanze nelle quali essi si troveranno. Di sé parla come fosse già morto, risuscitato e tornato in cielo, poiché tali eventi erano imminenti. Il contrasto fra la sua posizione e la loro è grandissimo: la sua carriera terrena è giunta al suo termine; i loro lavori, le loro prove non fanno che principiare. La grandezza della sua gioia, perché sta per tornare al Padre, sveglia la sua più tenera simpatia per quelli che hanno ancora tanto da lavorare e da soffrire, prima di poter dividere la sua allegrezza. Egli domanda adunque che sieno preservati dalle persecuzioni e dalle malvagie influenze del mondo, ora che rimangan privi della sua guida e della sua presenza personale. Padre santo, È questo il solo luogo in cui il qualificativo di "santo" venga dato a Dio come Padre, e siccome l'idea originale della santità è quella della separazione, quando il nome di santo vien dato a Dio, esso denota l'infinita distanza che separa la sua natura gloriosa da tutte le imperfezioni comuni alle creature. Viene usato in questo caso, perché Gesù fa specialmente appello a quella infinita perfezione della natura del Padre, affinché i discepoli sieno preservati puri dalle contaminazioni del mondo, in mezzo al quale dovevan tuttora rimanere. conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati; Gesù domanda che sieno preservati dal male, dal ritorno al peccato, dalle false dottrine, dalle tentazioni, dalle persecuzioni, da qualsiasi assalto del diavolo. "Nel tuo nome" significa mediante quei tuoi attributi che sono la potenza, la sapienza e l'amore. "Queste parole fanno della rivelazione del carattere divino, quale fu concessa agli apostoli, come il muro di cinta di quel sacro dominio nel quale devono venir conservati" (Godet). Invece di "nel tuo nome essi che tu mi hai dati", Lachmann, Tischendorff e i più fra i critici moderni sostengono che si deve leggere nel tuo nome, che tu mi hai dato. Ma domanda con ragione Godet, dove mai la Scrittura parla essa del nome di Dio come dato al Figlio? La parola: "il mio nome è in lui" Esodo 23:21, è affatto diversa. Quella lezione non cambia nulla però al senso del passo per quanto riguarda la protezione dei discepoli, acciocché sieno una stessa cosa come noi. L'unione fra i discepoli, di cui qui parla Cristo, non è una unione di natura, ma di sentimenti di piani, di fini. Egli vuole una unione di affetti, e qualsiasi altra unione è fra i cristiani impossibile. Aggiunge come modello od esempio della unità che desidera, la più alta unione che immaginare si possa, quella cioè che sussiste fra il Padre ed il Figliuolo. Non vi può essere alla lettera fra i cristiani la medesima unità perfetta che fra il Padre e il Figlio, ma vi dev'essere fra di loro un'intima ed ininterrotta unità di pensieri, di volere, di fede, di amore. "È la divina unità di amore che Gesù ha qui specialmente di vista; tutti i voleri diretti al medesimo scopo una felice armonia di amore" (Milligan).
PASSI PARALLELI Giovanni 17:13; 13:1,3; 16:28; Atti 1:9-11; 3:21; Ebrei 1:3; 9:24 Giovanni 17:14-18; 15:18-21; 16:33; Matteo 10:16; Giacomo 4:4; 1Giovanni 3:12; 5:19 Giovanni 17:25; Matteo 5:48; 1Pietro 1:15-17; Apocalisse 4:8; 15:4 Giovanni 17:12,15; 10:29-30; Salmi 17:8-9; Isaia 27:3; 1Pietro 1:5; Giuda 1,24 Salmi 79:9; Proverbi 18:10; Isaia 64:2; Geremia 14:7,21; Ezechiele 20:9,22,44; Matteo 6:9 Romani 9:17 Giovanni 17:21-22; 10:30; 14:20; Romani 15:5-6; 1Corinzi 1:10; 12:12-13; Efesini 4:4
12 12. Quand'io era con loro nel mondo, io li conservava nel nome tuo; io ho guardati coloro che tu mi hai dati, e niun di loro è perito, I critici leggono anche qui: "nel tuo nome, il quale" tu mi hai dato, "invece di: "nel tuo nome coloro che tu mi hai dati". Ufficiando come Sommo Sacerdote, come se già fosse entrato nel Luogo Santissimo, alla destra del Padre, egli continua con crescente ardore a domandare pei discepoli protezione contro ai pericoli cui saranno esposti nel mondo. E la continuazione del vers. precedente la preghiera di Gesù è pur sempre: "Padre, conservali; "solo egli la fortifica mediante un sunto di quanto fece per loro essendo nel mondo. Due verbi esprimono qui la cura che Gesù erasi presa dei suoi: 1. che significa letteralmente: "io stava guardando", ed esprime la continuità della vigilanza di Cristo sopra i suoi; 2. che non è solo un altro verbo, ma un tempo diverso, ed indica il risultato finale ed appieno soddisfacente di quella vigilanza: "ho custoditi". È la vigilanza di un pastore sulla sua greggia, di un soldato sopra un tesoro affidatogli. Questa conservazione fu effettuata "nel nome del Padre", ossia mediante la rivelazione alle anime loro degli attributi divini e specialmente dell'amore, della verità e della potenza di Dio, fatta ogni qualvolta vacillassero e fossero in procinto di cadere, ed il perfetto successo ne è reso manifesto nel fatto che "niuno di loro è perito". se non il figliuol della perdizione, Con queste parole il Signore indica evidentemente il traditore Giuda. Le troviamo solo un'altra volta nel Nuovo Testamento, applicate "all'uomo del peccato 2Tessalonicesi 2:3, "Figlio di..." è un modo di dire ebraico per indicare che il carattere di un uomo partecipa a quello della persona o cosa di cui lo si dice figliuolo. Così: "figli di Belial", "figli del Diavolo", "figli d'ira", "figliuoli di luce". Il "figliuol della perdizione" dev'essere adunque una persona meritevole di perdizione non solo condannata alla perdizione, ma avente già nel suo carattere tutti gli elementi che a quella conducono. Un tal uomo, benché non sia mai stato dato a Cristo per venir da lui salvato, Iddio pei fini suoi sovrani e sapienti, alcuni dei quali possiamo discernere, lo aveva aggiunto agli apostoli. Egli era stato con loro, facendo parte in apparenza della loro compagnia; ma non è certo quello il senso in cui gli altri apostoli vennero dati a Cristo; anzi essi gli furon dati come gli eletti di Dio, e il vero suo gregge. Gesù non s'ingannò mai sul carattere di Giuda, poiché Giovanni ci dice che "fin dal principio" Gesù conosceva "chi fosse colui che lo tradirebbe" Giovanni 6:64. In varie occasioni, Gesù fece capire a Giuda che ben lo conosceva Giovanni 6:70-71; 13:11. Eppure, strano a dirsi, non pochi commentatori mantengono che Giuda avea principiato coll'essere un vero credente; che egli era stato dato a Gesù nel senso stesso che gli altri apostoli, che il "se non" di questo vers. è una prova indubitabile che si può scadere dalla grazia, e che un uomo, benché convertito dallo Spirito, può ancora perire. Il testo rettamente inteso non dà sostegno alcuno ad una tal dottrina, poiché la particella disgiuntiva, "se non", non indica eccezione, bensì opposizione. Tale è evidentemente il senso nel quale il Signore l'usa in Luca 4:26-27, poiché né la vedova di Sarepta, né Naaman Siro sono eccezioni alle vedove ed ai lebbrosi d'Israele, di cui non facevan parte, ma son mentovati in opposizione ai Giudei e perché pagani, Confr. Matteo 12:4; Luca 6:4; Apocalisse 9:4; 21:27 dove si trova nel medesimo senso". Ryle esprime mirabilmente il nostro modo di vedere quando dice: "Il Signore non intende dire 'Niuno di quelli che mi hai dati, è perduto; ad eccezione del figliuol della perdizione', bensì: 'Io ho conservati quelli che tu mi hai dati, e niun di essi è perito; però un uomo v'ha di perduto, cioè Giuda, il figliuol della perdizione, il quale tu non mi avevi mai dato, che da molto tempo ho dichiarato un diavolo, ed il cui cuore indurito lo conduceva inesorabilmente a perire'. Questa interpretazione è confermata dall'omissione completa, per parte di Giovanni, del nome di Giuda in Giovanni 18:9, quando cioè ripete queste parole di Gesù: "io non ho perduto alcuno di coloro che tu mi hai dati", e ne fa vedere l'adempimento nel fatto che gli undici non vennero arrestati con lui. acciocché la Scrittura fosse adempiuta. Giuda è perduto, ma la stessa sua perdita ci dà una nuova prova della missione messianica di Gesù. Se non vi fosse stato alcun traditore fra i dodici, Gesù non sarebbe stato il Cristo, poiché quel tradimento era stato predetto. Il Signore fa evidentemente allusione qui a tre passi dei Salmi, uno dei quali Salmi 41:9 egli stesso aveva applicato a Giuda in Giovanni 13:18: "Colui che mangia il pane meco ha levato contro a me il calcagno", mentre gli altri due Salmi 69:25; 99:8, sono applicati a Giuda da Pietro, quando propone di eleggere un altro apostolo in vece di lui, Atti 1:20. Nella perdizione di Giuda la Scrittura fu adempiuta; ma la causa prima del suo tradimento fu la sua propria pravità. "Sarebbe un argomentare falsamente", dice Calvino, "l'attribuire a Dio, anziché a lui medesimo, la rivolta di Giuda, come se la predizione che ne fu fatta lo costringesse ad agire come fece. Il corso degli eventi non si deve attribuire alla profezia, quasiché i fatti accadessero perché sono stati predetti. I profeti non minacciano nulla che non sarebbe accaduto, anche se non avessero parlato. Non è dunque nelle profezie che dobbiam cercar la causa del peccato di Giuda, come se esse ve lo avessero costretto, bensì nel proprio suo cuore malvagio. "Ascoltando il loro Signore, mentre versava il cuor suo dinanzi al Padre, riguardo ad essi, nelle parole di questo versetto, i discepoli dovettero capire alfine la condotta misteriosa, il tradimento e il destino di Giuda, e sentirsi al tempo stesso consolati, nel sapere che nel loro abbandono verrebbero pur sempre preservati da ogni male.
PASSI PARALLELI Giovanni 6:37,39-40; 10:27-28; Ebrei 2:13 Giovanni 13:18; 18:9; Luca 4:26-27; 1Giovanni 2:19 Giovanni 6:70-71; 13:18; 2Tessalonicesi 2:3 Salmi 109:6-19; Atti 1:16-20,25
13 13. Or al presente (ma ora) io vengo a te, Ricordato come aveva protetti i discepoli in terra, il Signore ripete qui le parole di Giovanni 17:11 sia per riprendere il medesimo soggetto, sia per servire d'introduzione a quello che segue: e dico queste cose nel mondo acciocché abbiano in loro la mia allegrezza compiuta. Il Signore conferma quel che abbiam detto più sopra, che cioè egli pregava ad alta voce, "tale è il senso di", al Padre, affinché i discepoli capissero e tesoreggiassero nel loro cuore le sue parole, essendo in tal modo fatti partecipi della sua gioia. Egli era, per così dire, in via per tornarsene al Padre, ma trovavasi tuttora in terra. La sua preghiera veniva offerta ancora sulla scena dell'umano conflitto, affinché i discepoli potessero da essa derivare incoraggiamento e forza, e dividere la gioia di cui era egli stesso ripieno. Ed invero non potevano che rallegrarsi al pensiero che il loro Signore tornavasene al Padre suo, e che il Padre stesso li prenderebbe sotto la sua protezione; ma Gesù vuole pure che si rallegrino di quella gioia che era sua in modo affatto speciale, perché prodotta dal compimento dell'opera sua come Mediatore, e questa essi la comprenderanno sempre meglio a misura che faranno dei progressi nel sentirne tutta l'importanza, Confr. Giovanni 15:11; Isaia 53:10,12.
PASSI PARALLELI Giovanni 17:1; 13:3; Ebrei 12:2 Giovanni 3:29; 15:11; 16:22-24,33; Nehemia 8:10; Salmi 43:4; 126:5; Atti 13:52; Romani 14:17 Galati 5:22; 1Giovanni 1:4; 2Giovanni 12
14 14. Io ho loro data la tua parola, E questa una ripetizione della prima parte di Giovanni 17:8, colla differenza che qui abbiamo che significa l'intera rivelazione di Dio, invece di ossia dottrine particolari, in ciascun caso la rivelazione fatta era stata seguita da risultati diversi: in Giovanni 17:8 Gesù parla della loro fede personale, qui dell'odio del mondo per essi, perché quella rivelazione era stata il mezzo di rigenerare il loro cuore, e di renderli in qualche modo conformi alla immagine del loro Signore. e il mondo li ha odiati, perciocché non son del mondo, siccome io non son del mondo. Qui abbiamo un'altra ragione per la preservazione dei discepoli, mediante il potere del Padre, ed è che l'aver ricevuto la Parola di Dio, affin di predicarla, li ha fatti odiare dal mondo. Se fossero rimasti nell'oscurità, avrebbero potuto vivere nella fede, senza venir molestati dal mondo; ma predicando nel nome di Cristo, e vivendo secondo il suo esempio, non potevano mancare di essere odiati da quel mondo, che aveva odiato il loro Maestro fin dal principio, "conciossiaché il pensiero e l'affezione della carne sia inimicizia contro a Dio" Romani 8:7, e la progenie del serpente in tutti i tempi ha fatto guerra alla progenie della donna.
PASSI PARALLELI Giovanni 17:8 Giovanni 7:7; 15:18-21; Genesi 3:15; Proverbi 29:27; Zaccaria 11:8; Matteo 10:24-25; 1Pietro 4:4-5 1Giovanni 3:12 Giovanni 17:16; 8:23; 1Giovanni 4:5-6; 5:19-20
15 15. Io non chiedo che tu il tolga dal mondo, Ascoltando questa preghiera di Gesù per la loro preservazione, i discepoli avranno forse pensato che il mezzo migliore di metterli a riparo da ogni male sarebbe stato che egli li conducesse seco nella "casa dalle molte stanze", di cui aveva loro parlato. Ma Cristo e Dio avevano altra cosa in vista per loro; l'opera cui eran chiamati doveva compiersi quaggiù, e questo versetto li ammonisce che non devono aspettarsi di seguire il Signore nella gloria, finché ciascuno individualmente non abbia compiuto l'opera sua. Per la propria loro esperienza cristiana e crescenza in grazia, era necessario che continuassero a "rimanere nella carne"; e ciò era necessario pure per il mondo non convertito, a pro del quale essi dovevano continuare l'opera del loro Maestro. Senza la predicazione degli Apostoli, il mondo non avrebbe ricavato benefizio alcuno dall'opera di Cristo. In questa domanda a Dio di non toglierli dal mondo, v'ha un argomento potente contro la teoria popolare che il segreto della santità consista nel ritirarsi dal mondo, nella solitudine dei romitaggi e dei monasteri. La santità eminente è quella che riporta pubbliche vittorie sul male, non quella che ci fa disertare dal posto assegnatoci da Dio. ma che tu li guardi dal maligno. Satana è il "Principe di questo mondo"; "a guisa di leon ruggente, va attorno, cercando chi egli possa divorare" 1Pietro 5:8, epperciò Meyer, Alford ed altri critici moderni sostengono che va considerato come maschile, ed applicato a Satana, qual causa prima ed iniziale del male da cui Gesù richiede che vengano liberati i suoi. Questo è il senso adottato da Diodati, Confr.1Giovanni 2:13; 3:12. Siccome Cristo era quello nel quale i credenti vivono e si muovono, così il maligno, "il principe di questo mondo" Giovanni 12:31; 16:11, è quello dal quale egli domanda che sieno guardati. La relazione dell'uomo col male e col bene è dunque una relazione personale, Confr.1Giovanni 4:4. Ma pure ammettendo che in questa preghiera sia inclusa. la protezione contro Satana e i suoi assalti maligni, preferiamo, colla maggioranza dei commentatori, considerar come neutro, cioè indicante il male in astratto, ossia ogni specie di male, e qualunque ne sia la causa. Tal crediamo che sia il significato di quella medesima parola nell'orazione domenicale Matteo 6:13, e tale ne è senza dubbio il senso nelle parole di Paolo a Timoteo: "Il Signore mi libererà da ogni mala opera" 2Timoteo 4:18. Olshausen e Godet osservano entrambi che la preposizione basta a dimostrare che non si può intendere di una persona, ma deve indicare un dominio dal quale uno vien tolto, sicché non dobbiamo pensar qui al gran nemico, ma solo al male in genere. Ryle soggiunge un'altra ragione ed è che in tutta questa preghiera Gesù non mette mai avanti il diavolo, e di più, che aveva parlato fino a quel momento del "mondo" e dell'odio suo pei credenti, non già del diavolo.
16 16. Essi non son del mondo, siccome io non sono del mondo. Queste parole son ripetute da Giovanni 17:14, e la loro ripetizione conferma l'opinione che egli è dal "male esistente nel mondo" che Gesù vuol preservati i suoi. Questo vers. forma la transizione dalla prima domanda di Gesù pei suoi discepoli alla seconda, e ne contiene i motivi. I discepoli più non aveano il loro principio vitale nel mondo ma, come Cristo, e per lui, derivavano la vita loro dal Padre. Cristo aveali sollevati a quella sfera medesima di santità in cui egli viveva, epperciò richiede per essi perfezione in santità e consacrazione completa all'opera sua.
17 17. Santificali nella tua verità; la tua parola è verità. Il verbo "santifica", ha un senso alquanto diverso nell'Antico e nel Nuovo Testamento, ma qui li riunisce entrambi. La parola ebraica per "santificare", è generalmente usata nel senso di "mettere da parte", o "consacrare ad un ufficio". Così i sacerdoti eran detti "santificati", quando venivan messi da parte, mediante l'unzione ed altri riti, per il servizio di Dio nel tempio. Tal consacrazione Gesù dice averla ricevuta egli pure dal Padre, prima di venir quaggiù: "Il quale il Padre ha santificato e ha mandato nel mondo" Giovanni 10:36, e qui domanda lo stesso pei discepoli: sieno essi pure separati dal mondo, e dedicati al servizio di Dio. Nel Nuovo Testamento pur includendo la consacrazione al servizio di Dio, significa più specialmente "render puro", "nettare dal peccato", "il perfezionare in santità", e perciò pure Gesù domanda che i suoi "sieno dotati di divina illuminazione, di potenza, coraggio, amore, purezza, gioia, contentamento; ispirazione, per la dimora in essi dello Spirito" (Meyer). Dobbiam quindi notare qui, che mezzo od elemento di questa santificazione è la verità: "nella tua verità", cioè nella verità rivelata proveniente dal Padre, incarnata nel Figlio, e da questi proclamata al mondo. In tal verità viene il credente introdotto, da tal verità egli è tramutato; imperocché la verità non è solo la potenza da cui è mosso internamente, è l'atmosfera nella quale ci vive. Così il Signore domanda che i suoi sien fatti progredire in santità, mediante l'azione ogni dì più diretta ed efficace della verità sui loro cuori, sulla loro coscienza, e sulla loro vita interna, e ciò opera lo Spirito. Per prevenire ogni possibile errore, Gesù definisce nella seconda parte del vers. che cosa intende per la verità: "la tua parola è verità". Egli è l'intero suo l'insegnamento, da lui ricevuto direttamente dal Padre, al quale allude in Giovanni 17:8,14, che egli chiama qui la tua parola, ed egli prega affinché i discepoli sieno santificati per esso. La parola è il potente strumento dello Spirito, per l'interna santificazione dei credenti, e benché lo Spirito non venga in questo versetto indicato per nome sarebbe stato strano che, in una preghiera avente per oggetto la gloria di Dio, nella salvazione degli uomini, per strumentalità degli Apostoli, non fosse detto verbo di quella consacrazione mediante lo Spirito, che doveva prepararli ai loro altissimi doveri; ma la troviamo chiaramente indicata qui.
18 18. Siccome tu mi hai mandato nel mondo, io altresì li ho mandati nel mondo. In questo e nel seguente vers. il Signore mette avanti due ragioni per le quali domanda la consacrazione dei discepoli. La prima si è averli egli mandati nel mondo per un'opera speciale; la seconda, esser egli in sul punto di consacrarsi ad una morte espiatoria, affinché essi possano venir santificati per quell'opera, mediante la verità. Si può chiedere come mai Gesù li mandasse nel mondo, poiché nel mondo essi trovavansi già. La risposta è facile. Per non dir nulla del mandato loro affidato prima, Gesù aveva innalzato i suoi discepoli ad una sfera di vita spirituale ben superiore a quella del mondo Giovanni 17:16, cioè alla comunione seco lui, ed è da quella sfera che, ora li manda in mezzo ad un mondo che giace nel maligno, per avanzarvi la sua gloria e quella del Padre. Essi stavano al Figlio nella relazione medesima in cui egli stava al Padre suo. Come il Padre aveva mandato il Figlio per rivelar la sua gloria; così il Figlio manda gli apostoli a compier l'opera medesima che il Padre aveva affidata a lui. Essi dovranno rivelare il Padre, come aveva fatto e li stesso, e far conoscere ad un mondo ribelle la medesima verità e il medesimo amore eterno. Perciò appunto occorreva loro quella consacrazione stessa che egli già aveva ricevuta. Anche qui Gesù parla al tempo passato, come se la morte sua fosse già un fatto compiuto, ma pochi giorni dopo egli ripeté le medesime parole ai discepoli Giovanni 20:21, poi rinnovò loro il sublime mandato: "Ogni podestà mi è data in cielo ed in terra. Andate adunque, ed ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo" Matteo 28:18-20; Marco 16:15; Luca 24:49.
19 19. E per loro santifico me stesso; Ecco la seconda ragione colla quale Gesù appoggia la sua preghiera di Giovanni 17:17: egli sta per santificare sé medesimo a pro dei suoi. Or siccome egli è, qual Dio, assolutamente santo, e, qual uomo, "santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori" Ebrei 7:26, è chiaro che la parola "santificare" "deve aver qui solo il senso che aveva nell'Antico Testamento: Gesù cioè consacra sé stesso ad una morte espiatoria, mediante la quale solamente poteva il popolo suo venir convertito, fatto santo, e condotto a consacrarsi al servizio di Dio. Una tal consacrazione implica quella santità personale che è indispensabile al suo carattere ed all'opera sua, qual sacrificio, apostolo e sommo sacerdote del suo popolo Ebrei 7:26-27; 9:14. Non occorre dunque dare qui, come fa Godet, a "santificare" il senso di "costringere del continuo la sua natura umana all'ubbidienza". Olshausen spiega la cosa in modo molto soddisfacente col dire: "La sola differenza fra la santificazione di Cristo e quella dei suoi discepoli si è, che per Cristo "santificare significa unicamente consacrare, mentre pei discepoli, all'idea di consacrazione, si aggiunge il concetto di una purificazione che deve precedere quella, imperocché non essi, ma quel che v'ha di santo in essi, può venir da Dio accettato come offerta". Questa spiegazione toglie interamente la difficoltà di dar due sensi alquanto diversi alla medesima parola nel medesimo versetto. "Per illustrare sempre più l'immensa differenza che passa fra la santificazione del Maestro e quella dei discepoli", dice il dott. D. Brown, "notiamo che Gesù non dice: 'santifico me stesso per la verità', ma semplicemente: 'santifico me stesso', cioè: 'mi consacro da me'. Di più, quando dice di 'santificarsi per essi', non aggiunge che essi debbano santificarsi per altri, benché anche questo sia vero in senso secondario, ma semplicemente 'acciocché essi ancora sieno santificati in verità'. Così parlando di cosa che mette i suoi nella più intima e più felice unione con sé medesimo, in una comune santificazione, Gesù chiaramente distingue fra essi o lui, in quella santificazione stessa". acciocché essi ancora sieno santificati Ciò che Cristo domanda primieramente per gli undici, quindi per tutti i credenti, si è che, mediante la sua consacrazione di sé medesimo qual sacrificio per il peccato, le colpe loro sieno espiate, ed essi sien fatti liberi così dalla contaminazione come dal potere del peccato, divenendo santi ed atti al servizio di Dio. La vera santificazione degli eletti procede dalla consacrazione fatta da Cristo di sé medesimo, non solo perché vien loro imputato il merito delle sue sofferenze, facendoli così comparire senza crespa né macchia dinanzi a Dio, ma pure perché la virtù della sua morte e del suo sacrificio vien loro applicata per purificarli internamente. in verità. Mancando qui nel greco l'articolo dinanzi al nome "verità", Diodati, Crisostomo, Lutero, Calvino, Beza ed altri intendono questa parola nel senso di "realmente, veramente", quasiché Gesù chiedesse che i suoi discepoli sieno "veramente santificati" e non solo con quelle santificazioni rituali cui i Giudei erano avvezzi. Ma siccome in 2Giovanni 3 e in 3Giovanni 3-4, questo medesimo evangelista parla di "camminare in verità", senza l'articolo, e certamente il senso non può essere "camminare veramente", bensì dev'essere "camminar nella verità dell'Evangelo" ci sembra che tale sia pure il senso da adottarsi in questo passo, dove certamente il Signore esprime il medesimo pensiero che in Giovanni 17:17.
PASSI PARALLELI Isaia 62:1; 2Corinzi 4:15; 8:9; 1Tessalonicesi 4:7; 2Timoteo 2:10 Giovanni 10:36; Geremia 1:5; 1Corinzi 1:2; Ebrei 2:11; 9:13,18,26; 10:5-10,29 Giovanni 17:17; Tito 2:14 Giovanni 17:20-26
20 Gesù prega per la Chiesa universale, per tutti quelli che crederanno in lui fino alla fine del mondo. Conclusione, Giovanni 17:20-26
20. Or io non prego sol per costoro, ma ancora per coloro che crederanno in me Comincia qui la terza parte di questa preghiera d'intercessione. Dopo aver raccomandato a Dio l'autore e gli strumenti dell'opera della salute, Gesù prega ora per quelli che ne sono gli oggetti, ossia per l'intero corpo dei credenti. Il senso di queste prime parole si è: "Domando le medesime benedizioni e per le ragioni medesime, per tutti quelli i quali saranno condotti, dalle parole degli apostoli, a credere in me". Nel testo ricevuto abbiamo qui il participio futuro, quelli che crederanno", ma i manoscritti più autorevoli portano il presente, "quelli che credono". Il senso però è futuro, poiché questi non potevano ancora aver creduto. Abbiamo qui un presente profetico; Gesù parla, come avendo già dinanzi agli occhi "la turba grande, che niuno può annoverare" Apocalisse 7:9, la quale, dopo averlo servito in terra, dividerà la sua gloria in cielo. per la lor parola. La parola che nella bocca degli apostoli doveva convertire il mondo non era parola loro, ma la testimonianza stessa di Dio, loro dichiarata da Cristo. Il Signore aveva detto loro poco prima: "Lo Spirito di verità vi guiderà in ogni verità, perciocché egli non parlerà da sé stesso, ma dirà tutte le cose che avrà udite Giovanni 16:13, e due volte già in questa stessa preghiera, egli aveva dichiarato esser quella parola di origine divina: "Io ho loro data la tua parola"; "essi hanno osservata la tua parola" Giovanni 14:6. Avendo adunque gli apostoli ricevuto la loro missione da Cristo, come egli l'avea ricevuta dal Padre Giovanni 17:18, ne segue che i loro scritti, abbiano essi per argomento i fatti della storia di Gesù o le dottrine morali e religiose che da quei fatti derivano, o in altri termini così i Vangeli come le Epistole, sono la parola autorizzata di Cristo e di Dio, e per conseguenza non deve esser ricevuta qualsiasi tradizione che non sia confermata dalla parola scritta; imperocché le tradizioni son cose mutevoli e facilmente falsificate, epperciò non meritevoli di fiducia. Non si può veramente conoscer Cristo ed andare a lui che mediante la sua parola, sia d'essa predicata dagli apostoli, o dai continuatori dell'opera loro. Oggidì certe frazioni della Chiesa dànno grande importanza alla cosiddetta successione apostolica, la quale consisterebbe in una misteriosa ed ininterrotta trasmissione della ordinazione per imposizione delle mani, e dello Spirito Santo, fatta unicamente da papi, patriarchi e prelati; ma questa non ha altra origine che l'orgoglio umano, ed è in contraddizione coll'umiltà che Cristo domanda dai suoi servitori Matteo 20:27 e col suo insegnamento in questo versetto, secondo il quale l'unica successione apostolica consiste nella fedele predicazione di quella parola per cui sola l'uomo può esser salvato. "La fede vien dall'udito"; epperciò la Chiesa che mette i sacramenti al disopra della predicazione non può venir da Dio benedetta, poiché rigetta l'ordine divino. "Guai ai papisti", scrive Calvino, "che non si vergognano di bestemmiare, dicendo che la Bibbia non contiene se non cose ambigue, che possono venir voltate in qualsiasi modo, rimanendo loro per sola guida la tradizione della Chiesa! Ricordiamoci che il Figliuol di Dio, unico giudice competente, approva solo quella fede che è derivata dalla dottrina degli apostoli".
PASSI PARALLELI Giovanni 17:6-11; Efesini 4:11 Atti 2:41; 4:4; Romani 15:18-19; 16:26; 2Timoteo 1:2
21 21. Acciocché tutti sieno una stessa cosa, come tu, o Padre, sei in, me, ed io sono in te; acciocché essi altresì sieno una stessa cosa in noi; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. Abbiam qui tre cose una preghiera per la unità dei credenti; un modello di quella unità; lo scopo che essa deve conseguire. Il "tutti" di questo versetto include, come in Giovanni 17:20, gli apostoli e quelli che già avevano creduto, o nell'avvenire crederanno in Cristo, per la loro parola. La grazia richiesta è una santa unione fra i credenti medesimi; ma per comprendere in che essa consista, dobbiam volgere primieramente la nostra attenzione al modello che ce ne vien dato, cioè all'unità del Padre e del Figliuolo. È chiaro non trattarsi qui della unità di essenza fra le persone divine, perché tale unità l'uomo non può né comprenderla, né realizzarla, bensì di unità di interesse in tutto ciò che appartiene alla salvazione dei peccatori ed alla gloria di Dio. L'unità di pensiero, di sentimento, di scopo, di azione, di interesse insomma nelle cose della salute, unità quale esiste fra il Padre ed il Figliuolo, quella, nella quale Gesù domanda che vivano i suoi. Non è uniformità esterna ed universale di culto e di riti, come credono molti; ma unione di vita spirituale, unione di fede nel medesimo Salvatore, di amore al suo nome benedetto, di speranza nel suo glorioso ritorno. È unione prodotta dalla dimora in tutti i credenti ugualmente di quello Spirito che procede così dal Padre come dal Figlio, che li insegna li vivifica, e dà loro un medesimo carattere, un medesimo desiderio di venir liberati dal peccato e da Satana, separati dal presente mondo malvagio, consacrati al servizio di Cristo ed alla gloria di Dio. E unione nel testimoniare in sulla terra per la verità e la giustizia, e nel partecipare a tutte le benedizioni spirituali in Cristo Gesù. Tale è la sostanza della domanda; vediamone ora il fine o lo scopo. È questo l'effetto che quella unione dei credenti nel Padre e nel Figliuolo produrrà sul mondo tuttora immerso nelle tenebre della incredulità: "affinché il mondo creda che tu mi hai mandato". La cospicua ed innegabile unione dei discepoli nella loro vita spirituale, in carità e santità, costringerà il mondo a credere nella divina missione di Cristo, e aggiungerà alla Chiesa moltitudini di salvati. Questo versetto ed i seguenti provano che in Giovanni 17:9, parlando del "mondo" il Signore non intendeva i reprobi, i non eletti, "i vasi dell'ira composti alla perdizione" Romani 9:22, pei quali non avrebbe potuto pregare, poiché qui egli supplica il Padre affinché, mediante la visibile unità spirituale dei credenti, "il mondo", tuttora non convertito, sia condotto a riconoscerlo ed, a crederlo quale mandato dal Padre, e così venga salvato. Benché in quel momento il mondo lo rigettasse e si preparasse a crocifiggerlo, Gesù guardava innanzi con fiducia al tempo in cui quel mondo medesimo riconoscerebbe, nella unione dei suoi discepoli, la sua divina potenza, ed al tempo stesso la sua divina missione. Quando tutti i cristiani saranno uniti di mente e di cuore fra loro, nonché col Padre e col Figlio, come dovrebbero essere, la conversione del mondo non sarà più molto distante. Anche ora, ad onta di tanti difetti ed imperfezioni, l'unità dei credenti, in Cristo e nella loro testimonianza per lui, produce sul mondo una impressione che diverrà più marcata e più efficace a misura che spariranno le loro divergenze sopra punti di minore importanza. Egli è in risposta a questa preghiera che il mondo è già stato, fino ad un certo punto, convertito nei tempi passati, e quando essa sarà totalmente esaudita, gli operai non verranno meno alla ricolta.
22 22. Ed io ho data loro la gloria che tu hai data a me, acciocché sieno una stessa cosa, siccome noi siamo una stessa cosa. Ecco un secondo argomento sul quale Gesù fonda la sua preghiera per la unità dei discepoli: esso consiste in ciò che egli stesso ha già fatto per essi, dando non solo agli apostoli, ma pure ai credenti di tutti i tempi, "la gloria che il Padre aveva data a lui". Qual, è quella gloria? Non quella di certo che egli possedeva come Dio, della stessa natura del Padre, perché quella è gloria eterna e non derivata è gloria che non gli poteva venir data, ma che egli possedeva in virtù della sua deità; è gloria che non può venir posseduta da chi non è Dio. Su questa risposta negativa, l'accordo è generale, ma v'ha gran divergenza di opinioni quando si tratta di sapere in che quella gloria positivamente consista. Crisostomo la definisce la gloria dell'ufficio apostolico e dei doni miracolosi: spiegazione inaccettabile, poiché trattasi qui di un dono fatto, non ai soli apostoli, ma ai credenti tutti, in ogni età. Agostino, Ecolampadio, Bullinger, Manton, Meyer e Luthardt credono che sia la gloria del regno dei cieli e della immortalità, già promessa quaggiù e di cui i credenti godranno appieno quando sarà compiuto il terrestre loro servizio. Per Calvino è la gloria di Dio impressa come un suggello sui credenti, mediante l'immagine in essi realizzata di Cristo. Webster e Ryle l'intendono dello Spirito Santo; Hengstenberg della partecipazione dei credenti alla unità del Padre e del Figliuolo. Per Milligan è l'amore che sacrifica sé stesso; per Godet è la dignità dell'adottazione; per Stier l'unione stessa dei credenti; per il Dott. J. Brown è l'onore di manifestare il nome del Padre e predicarne la parola. A tutte quelle spiegazioni preferiamo quella del Dott. D. Brown, secondo il quale questa gloria comprende "tutto ciò che Gesù ha ricevuto dal Padre nella sua qualità di Redentore incarnato e di Capo del suo popolo, cioè la gloria di venire accettato come "agnello immacolato, la gloria di un libero accesso al Padre, e il diritto di esser da lui sempre esaudito, la gloria dello Spirito dimorante nel cuore e santificante la vita, la gloria dell'aiuto divino per vincere il peccato, la morte e l'inferno, e finalmente la gloria di ereditare ogni cosa. "Tutta questa gloria, il Padre l'aveva data al Figliuolo, quando questi s'incarnò, e Gesù dichiara di averla già data ai credenti, come una presente eredità, e come il mezzo di giungere a quella unione fraterna, che doveva somigliare alla unione divina.
PASSI PARALLELI Giovanni 1:16; 15:18-19; 20:21-23; Marco 6:7; 16:17-20; Luca 22:30; Atti 5:41 Romani 15:15-20; 2Corinzi 3:18; 5:20; 6:1; Efesini 2:20; Filippesi 1:29; Colossesi 1:24 2Tessalonicesi 1:5-10; Apocalisse 21:14 Giovanni 14:20; 1Giovanni 1:3; 3:24
23 23. Io in loro, e tu in me; acciocché essi sieno compiuti in una stessa cosa; Omettiamo il "sono" due volte introdotto in questa frase da Diodati, perché non si trova nel greco, e rompe il nesso con quanto precede. Imperocché questo versetto non forma una nuova proposizione, ma è piuttosto una parentesi, o, come dice Meyer, una spiegazione, in forma di apposizione, della frase precedente: "Noi siamo una stessa cosa". Tutto questo versetto, eccetto l'ultima clausola, è stato detto già in sostanza, e lo scopo del Signore nel ripeterlo è di dare un incoraggiamento di più ai discepoli, facendo loro chiaramente intendere, non solo la grazia nella quale erano introdotti, ma pure il modo nel quale doveva compiersi quella unità. Ne avea parlato più sopra semplicemente come di "unità nel Padre e nel Figliuolo"; qui abbiamo una enumerazione di gradi che ci fa capir meglio in che essa consista: 1. Il Padre dimora nel Figliuolo incarnato: "Tu in me; " 2. Il Figliuolo dimora nei credenti: "Io in loro". 3. Siccome Cristo ed il Padre sono inseparabilmente uno, ed i credenti in Cristo sono inseparabilmente uniti con lui, il Signore prega per il risultato naturale che ne deve seguire, cioè che i credenti "sieno compiuti in una stessa cosa", o in altre parole perché l'unità divina si riproduca in terra. e acciocché il mondo conosca (non ad un tratto, ma gradatamente) che tu mi hai mandato, e che tu li hai amati, come tu hai amato me. Duplice sarà sul mondo l'effetto della unione dei credenti. Un primo effetto era già stato accennato in Giovanni 17:21: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato; Gesù lo ripete qui, sostituendo "conosca" a "creda", il che ci dà un insegnamento di più: il mondo non sarà solo condotto a credere nella missione divina di Cristo, ma pure a riconoscerla, e siccome questo termine include la convinzione forzata dei ribelli, non meno che la fede dei credenti, esso c'insegna che la testimonianza unita dalla Chiesa resa a Cristo costringerà il mondo in generale a riconoscere il vero Dio ed a venire alla vita eterna. Ma l'ultime parole di questo versetto annunziano un secondo frutto della unione dei credenti, non ancora rivelato fin qui: "che tu li hai amati, come tu hai amato me". L'amor, di cui Cristo qui si dichiara l'oggetto, non è l'amore essenziale del Padre per il Figliuolo, a cui nessuna creatura può aver parte, ma l'amore del Padre per il Figlio incarnato, qual mediatore e capo dei suoi redenti. Ma chi sono gli "gli", che il Padre ama? Possono essere il mondo, o i credenti che sono gli strumenti della sua conversione. Il primo senso è buono, ed esprime una verità importante, in armonia colla nota parola: "Dio ha tanto amato il mondo" ecc. e con quell'altra: "Iddio non ha mandato il suo Figliuolo nel mondo, acciocché condanni il mondo, anzi, acciocché il mondo sia salvato per lui" Giovanni 3:16-17. Ma la costruzione grammaticale non favorisce una tale interpretazione. E dunque da adottarsi la seconda, cioè che l'unità dei credenti, e il successo che ne seguirà per l'opera affidata loro da Cristo convincerà il mondo non solo della missione divina del Redentore, ma pure che i credenti sono per parte del Padre oggetto di un amore simile a quello che egli porta al Figliuolo stesso. "Questa unità", dice Brown, l'ispirerà al mondo, anche come tale, una convinzione irresistibile che Cristo e i cristiani sono ugualmente di Dio; e quella convinzione radicandosi nel cuore di alcuni, li farà arrendersi prigioni volonterosi dell'amore di quel Dio che, mediante il suo Figliuolo, ha mandato salvazione ad un mondo perduto. "Ma se anche tale non sarà il risultato per tutti quelli che non lo confessano in fede, dovranno pur confessare con propria vergogna, che colui che essi avranno rigettato era amato dal Padre, e che egli ha radunato il popolo suo nella medesima unità di amore. Benché i discepoli non lo potessero capire, se non imperfettamente, deve essere stato per essi di sommo conforto l'udire il Maestro loro parlare con tale accento di fiducia di aver dato loro la gloria che aveva ricevuta dal Padre, affinché il mondo potesse esser convertito, e convinto esser dessi partecipi con lui dell'amore del Padre. A proposito di questa unione così ardentemente domandata da Cristo, importa notare che egli non ebbe in vista nessuna Chiesa particolare o visibile, né uniformità, di riti o di dottrina; bensì quella vera e spirituale unità dei cuori che esiste innegabilmente fra tutti i membri di Cristo a qualunque Chiesa o denominazione appartengono. Le divisioni esterne dei cristiani di nome non hanno grande importanza; quello che nuoce profondamente alla causa dell'Evangelo sono le divisioni fra i veri credenti.
PASSI PARALLELI Giovanni 6:56; 14:10,23; Romani 8:10-11; 1Corinzi 1:30; 2Corinzi 5:21; Galati 3:28; 1Giovanni 1:3 1Giovanni 4:12-16 Efesini 4:12-16; Filippesi 3:15; Colossesi 1:28; 2:2,9-10; 3:14; 1Pietro 5:10 Giovanni 13:35 Giovanni 17:24; Efesini 1:6-14; 1Giovanni 3:1; 4:19
24 24. Padre, io voglio che, dove son io, sieno ancor meco coloro che tu mi hai dati, Dopo aver chiesto pei suoi redenti, conservazione, santificazione ed unità, il Signore conchiude ora la sua preghiera domandando che sien fatti essi pure partecipi di quella sua gloria eterna che già avea pro messa agli undici Giovanni 14:2. Il verbo "voglio", secondo alcuni esprime un vivo desiderio, come quello dei figli di Zebedeo Marco 10:35, ma secondo noi dice più assai; è una do manda basata sopra un suo innegabile diritto, come uguale al Padre, nonché sull'opera sua espiatoria, e fatta in virtù della potenza conferitagli dal Padre. È notevole qui la maestà del linguaggio di Cristo. Questa espressione unica, corrisponde ad una situazione unica essa pure. Cristo depone la sua ultima volontà o il suo testamento nelle mani del Padre, facendo di lui il suo esecutore testamentario, certo che esso era in ogni punto conforme alla volontà divina. Osserva Bengel: "Nei vers. di Giovanni 17:9:15,20 egli avea detto 'domando'; qui il suo parlare cresce in forza, e deve interpretarsi 'io voglio', perché 'io desidero' sarebbe una traduzione troppo debole". Le persone a pro delle quali questa domanda è fatta sono "coloro che tu mi hai dati". "coloro, masch. plur.", del testo ricevuto, Tregelles, Tischendorff e Meyer sostituiscono "quello che, neutro sing.", come la vera lezione e traducono: "quello che tu mi hai dato... sieno con me", Vedi nota Giovanni 6:37; ma Lachmann, D. Brown ed altri rigettano quella lezione come non abbastanza giustificata. Il luogo che Gesù ha qui in vista è il cieloAtti 1:11; che descrive colle parole: "dove son io". Con piena fiducia parla come se già fosse in possesso della gloria infinita, illimitata che lo aspetta nel cielo alla destra del Padre, e vuole i suoi ivi riuniti a sé dintorno, come parte "dell'universale raunanza", e della "Chiesa dei primogeniti" Ebrei 12:23. Dice il dott. J. Brown: "Nessuno può leggere le Scritture con semplicità di mente, senza restare persuaso che il cielo è una località speciale, e che Gesù vi si trova presente, benché sia inutile cercare dove sia quel luogo, essendo impossibile saperlo". La sapienza divina non ci permette di conoscere appieno per ora lo stato nostro futuro; ma queste parole: "dove son io, "ed altre consimili: "oggi tu sarai meco in paradiso" Luca 23:43, "partire di quest'albergo ed essere con Cristo" Filippesi 1:23, "saremo sempre col Signore" 1Tessalonicesi 4:17, molto ci dicono sulla futura dimora dei credenti. Essi saranno là dove il loro Signore medesimo si diletta di essere, dove trova la gioia dell'anima sua; dove contempleranno la gloriosa sua faccia ed udranno la sua voce giuliva; dove non ci sarà più né separazione, né morte. Quanto dice quella piccola parola "meco!" Ci accerta che non solo saremo nel medesimo luogo con Cristo, ma che ivi vivremo in intima e cara comunione con lui, senza venirne mai più separati, e tal comunione col Figlio implica pure comunione col Padre. Quindi Gesù enuncia la sostanza di quanto domanda per il popolo suo riunito in cielo: acciocché veggano la mia gloria, la quale tu mi hai data; Quest'ultime parole: "la quale tu mi hai data" precisano di qual gloria si tratta. Essa non è, come Godet mantiene, la sua gloria essenziale, la gloria della sua personalità divina, imperocché quella non potevagli venir data; ma la sua gloria qual Capo incarnato del popolo suo, ossia le perfezioni che appartenevagli nel suo carattere ufficiale di Mediatore fra Dio e l'uomo, di Salvatore vittorioso della umanità. Questa gloria, già accennata in Giovanni 17:22 fu quella che gli venne data dal Padre, al suo ritorno dalla terra in cielo, e consiste "nella assoluta perfezione morale di quella natura umana che egli aveva assunta, all'incarnazione, in unione alla sua natura divina, nella santità immacolata del suo carattere, nella sua sempre vittoriosa intercessione, nella esaltazione della sua natura umana al trono dell'universo, nella comunicazione dei benefizi della salute a moltitudini, le quali, senza di essa, sarebbero perite per sempre. È la manifestazione della sapienza, della santità e dell'amore più perfetti, nell'opera meravigliose affidata alle sue mani" (Dott. J. Brown). La precipua sua gloria, Cristo la deriva senza dubbio dall'opera che ha compiuta nel nostro mondo perduto, ed è perché, contemplino in eterno questa sua gloria che egli vuole per sempre seco in cielo i suoi redenti. Una tal contemplazione deve reagire su di loro, rendendoli essi pure gloriosi. "Noi tutti, contemplando a faccia scoperta, come in uno specchio, la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria 2Corinzi 3:18; e lo stesso Giovanni, 1Giovanni 3:2, dice: "Sappiamo che quando egli sarà apparito, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è". perciocché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo. Vorrebbero alcuni unire queste parole a quelle che le precedono immediatamente, facendo di quell'amore la causa della gloria di cui parla il Signore in questo versetto; ma siccome ciascuna delle precedenti domande era accompagnata da un argomento che serviva loro di base, par più naturale di prender questa clausola nel senso medesimo, cioè come una ragione che Gesù dà in appoggio della sua preghiera che i suoi redenti sieno con lui per contemplare la sua gloria. Dio lo ha amato non solo perché egli possedeva insieme con lui ogni eccellenza ma pure perché era il suo strumento eletto per la salvezza dell'uomo. "Queste parole" dice Westcott, "implicano la preesistenza personale di Cristo. Il pensiero di un amore eterno, che agisce nelle profondità dell'Essere divino, ci presenta forse quanto possiamo comprendere della dottrina della essenziale Trinità". Fu quell'amore "ab eterno, dal principio, avanti che la terra fosse" Proverbi 8:23, che indusse il Padre a scegliere il figliuolo qual Salvatore degli uomini, promettendogli un sacerdozio eterno, un regno senza fine, ed una innumerevole posterità. Ed è a quell'amore, di cui godeva sino avanti alla fondazione del mondo, che il Signore fa ora appello, affinché la sua volontà sia adempiuta, ed il popolo suo, riunito intorno a lui nei luoghi celesti Efesini 1:20, possa contemplare in eterno la sua gloria.
PASSI PARALLELI Giovanni 17:11; Isaia 45:21; Romani 3:26 Giovanni 8:19,55; 15:21; 16:3; Matteo 11:27; Luca 10:22; Atti 17:23; 26:18; Romani 1:28 Romani 3:11; 1Corinzi 1:21; 15:34; 2Corinzi 4:4; Galati 4:8-9; 2Tessalonicesi 1:8; Ebrei 8:11 1Giovanni 5:19-20; Apocalisse 13:8 Giovanni 1:18; 5:19-20; 7:29; 10:15 Giovanni 17:8; 6:19; 16:27,30; Matteo 16:16
25 25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto; ma io ti ho conosciuto, e costoro hanno conosciuto che tu mi hai mandato. Col versetto 24, terminano le domande di questa meravigliose preghiera di intercessione, e i due ultimi versetti del capitolo contengono, a mo' di conclusione, una dichiarazione di Gesù relativamente al passato, al presente, ed all'avvenire della grande opera affidatagli dal Padre. Qui di nuovo il Signore domanda che i suoi redenti sieno fatti partecipi di quell'amore del quale egli stesso era amato. In Giovanni 17:11, il Signore dava al Padre il qualificativo di "Santo", perché allora desiderava che l'attributo divino della santità si esercitasse a pro dei suoi discepoli; qui lo chiama "Padre giusto", perché, mettendo in opposizione il mondo ed i suoi discepoli fa appello alla giustizia di suo Padre, affinché faccia una distinzione fra il mondo che avrebbe potuto, ma non ha voluto, conoscere Iddio, e quelli i quali, insegnati da lui, conoscevano il Padre e ne procacciavano la gloria. È dunque appropriata questa menzione della giustizia divina. Prima delle parole: "il mondo non ti ha conosciuto "trovasi nel greco la congiunzione "e"; ma la Vulgata, Diodati, Martini, Ostervald, Lutero e la versione inglese non ne hanno tenuto conto. Ma siccome il è ripetuto dinanzi alla seconda clausola: "e costoro ti hanno conosciuto", è evidente che sono in antitesi l'uno all'altro, e ci par che si debbano tradurre così: "Benché il mondo non ti abbia conosciuto, questi però ecc.".
PASSI PARALLELI Giovanni 17:11; Isaia 45:21; Romani 3:26 Giovanni 8:19,55; 15:21; 16:3; Matteo 11:27; Luca 10:22; Atti 17:23; 26:18; Romani 1:28 Romani 3:11; 1Corinzi 1:21; 15:34; 2Corinzi 4:4; Galati 4:8-9; 2Tessalonicesi 1:8; Ebrei 8:11 1Giovanni 5:19-20; Apocalisse 13:8 Giovanni 1:18; 5:19-20; 7:29; 10:15 Giovanni 17:8; 6:19; 16:27,30; Matteo 16:16
26 26. Ed io ho loro fatto conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere ancora, acciocché l'amore, del quale tu mi hai amato, sia in loro, ed io in loro. Il Signore ripete in conclusione quanto aveva detto già nei versetti di Giovanni 17:6,8,14,22, relativamente all'insegnamento che egli stesso aveva dato ai discepoli, riguardo al nome, al carattere, alla volontà ed agli attributi di Dio, e dichiarando che continuerebbe a darlo loro. Siccome ciò non può voler dire che intendeva continuare il suo ministero personale in terra, dobbiamo intenderlo dell'insegnamento dello Spirito che egli stava per mandare ai suoi, e che li doveva guidare in ogni verità. Non v'ha dubbio che questa promessa sarà pure adempiuta riguardo ai ministri di Gesù in tutti i tempi; però osserviamo che si riferisce primieramente agli Apostoli, ai quali Gesù dichiara che già avea fatto loro conoscere il Padre. Le ultime parole del versetto dichiarano lo scopo di Gesù in queste ulteriori rivelazioni del Padre: egli vuole cioè che, vivendo sotto l'influenza di tale rivelazione, "cercando primieramente il regno di Dio" in sé stessi, quindi negli altri, ottengano ognor crescenti manifestazioni dell'amore del Padre, ed egli stesso sia in loro, operando in essi tutte le loro opere. In ogni età, più i discepoli conosceranno internamente la profondità e la larghezza della verità divina loro comunicata, più saranno trasformati da essa, e più diverranno degni dell'amore di Dio. Egli è quando "l'amor di Dio è sparso nei nostri cuori per lo Spirito Santo" Romani 5:5, che lo riconosciamo come essendo il medesimo amore del quale il Padre ha amato il Figliuolo. Le osservazioni seguenti di Plummer formano una conclusione molto appropriata a queste note: "Le ultime parole di questa preghiera: 'io in loro', la riassumono tutta. Sono il filo direttivo dell'insieme di questi ultimi discorsi del Signore". Egli se ne va; eppur resta con loro; cessa la sua presenza corporea, ma la sua presenza spirituale rimane per sempre; non è visibile all'occhio, ma la si sente come una forza ed una vita interna. "Avvegnaché abbiam conosciuto Cristo secondo la carne, pur ora non lo conosciamo più. Se dunque alcuno è in Cristo, egli è nuova creatura" 2Corinzi 5:16-17.
PASSI PARALLELI Giovanni 17:6; 8:50; 15:15; Salmi 22:22; Ebrei 2:12 Giovanni 14:23; 15:9; Efesini 1:6,22-23; 2:4-5; 5:30,32; 2Tessalonicesi 2:16 Giovanni 17:23; 6:56; 14:20; 15:4; Romani 8:10; 1Corinzi 1:30; 12:12; Galati 2:20; Efesini 3:17 Colossesi 1:27; 2:10; 3:11; 1Giovanni 3:24; 4:13-14
RIFLESSIONI 1. Il strana invero è la ottusità mentale di chi può figurarsi che una tal preghiera sia stata scritta, senza essere stata primieramente pronunziata da quell'Essere glorioso di cui questo Vangelo ci racconta la storia. Ma non è solo la realtà storica di questa preghiera che è evidente da per sé. Essa getta pure una gran luce sulla questione della ispirazione, la quale, in questo caso almeno, deve ritenersi verbale e non solo di pensieri. Ogni lettore intelligente deve riconoscere, che non possiamo aver fiducia nella realtà dei pensieri in essa, contenuti, se li separiamo dal linguaggio in cui sono espressi. E qual persona, anche mediocremente dotata di discernimento spirituale; non sente che il linguaggio di questa preghiera è perfettamente all'altezza dei pensieri che essa contiene, e degno di Colui che la proferì? Quale testimonianza interna della sua ispirazione può esser più forte di questa? Riteniamo pur con certezza che lo Spirito Santo, da Cristo promesso, per ricordare agli apostoli tutte le cose che egli aveva loro dette, guidò siffattamente la penna dello scrittore sacro, che noi abbiamo qui, non solo la sostanza e lo spirito, ma pure la forma della preghiera di Gesù nell'alto solaio" (D. Brown). 2. Se teniamo in mente il carattere degli undici, ci parrà pieno di bontà quanto Gesù dice di loro nei versetti Giovanni 17:6-8,25. La loro fede era debole, le conoscenze limitate, la spiritualità poca, il coraggio nullo. Mai così alto Signore ebbe servi così da poco; eppure egli ne parla con lode. Sorvola sui loro difetti, e fissa lo sguardo solo su quello che la grazia già aveva operato in loro: "Essi hanno osservato la tua parola"; "han conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date son da te"; "hanno veramente conosciuto che io son proceduto da te, ed hanno creduto che tu mi hai mandato. "Questo ci dà una lezione istruttiva e consolante. Gesù Vede nei credenti assai più che non veggano essi stessi, o che altri veggano in loro. Il minimo grado di fede è prezioso agli occhi suoi; dovunque scorge fede in sé, per quanto debole, egli sopporta compassionevolmente molte infermità e difetti. E benché ci dobbiamo vergognare del poco nostro progresso religioso, seppur crediamo in lui, non disperiamo. Egli farà per noi quanto ha fatto pei discepoli, e condurrà a compimento l'opera sua in noi. 3. Nel pregare per i suoi, Gesù richiama l'attenzione di suo Padre su quattro punti che gli davano speciale ansietà a) Il primo è la loro preservazione, nel nome del Padre, da ogni male e da ogni pericolo, in mezzo alle persecuzioni del mondo e alle insidie di Satana. Il nome del Padre significa qui la sua onnipotenza, e siccome ogni preghiera di Cristo è esaudita, a motivo della perfetta armonia di volere fra il Padre e il Figlio, i credenti si devono stimare sicuri quanto li possa fare l'onnipotenza divina. Già il Signore stesso avea dichiarato Giovanni 10:29, non esser solo a custodire le sue pecore; il Padre, che è "maggior di tutti", le custodiva egli pure, e dalle mani sue niuno potrebbe rapirle mai, Vedi pure Filippesi 1:6; 2Timoteo 1:12; 1Pietro 1:5; Giuda 24. Qual conforto pei credenti in mezzo alle prove della vita, l'esser certi che non andranno perduti mai più! Tre cose concorrono a farli sicuri: l'eterno amore e l'onnipotenza del Padre; i meriti infiniti e l'incessante intercessione del Figlio; la presenza continua e santificante dello Spirito. b) In secondo luogo il Signore domanda la santificazioni dei suoi. Qui certo santificare vuol dire: "far santo". Gesù chiede al Padre di rendere i suoi più santi, più spirituali, più puri, più devoti in pensieri, parole ed opere. Già la grazia li aveva eletti, convertiti e rinnovati; ora il sommo Capo della Chiesa prega che quell'opera della grazia cresca sempre più, e che il popolo suo sia un poco alla volta appieno santificato nel corpo, nell'anima e nello spirito. L'incomparabile sapienza di questa preghiera si fa qui più evidente che mai. Gesù vuole che i credenti sieno "la luce del mondo" Matteo 5:14; or una vita santa è la prova più convincente della realtà del Cristianesimo. Essa adorna la religione, e l'abella; essa vince talvolta quelli che la parola lascia induriti. Entreremo in cielo per mera grazia non per opere; ma il cielo stesso non sarebbe il cielo per noi, se non vi arrivassimo santificati. Ricordiamoci adunque che chi è già cambiato nel cuore e santificato in parte, deve tendere, mediante l'aiuto dello Spirito, a far sempre nuovi progressi nella via della santità, e prefiggersi di "esser fatto degno di partecipare la sorte dei santi nella luce" Colossesi 1:12. La parola di Dio è il grande strumento dello Spirito per la nostra santificazione. Facendo sì che quella Parola agisca sulla mente, sul volere, sulla coscienza, sugli affetti, affretteremo l'opera della nostra santificazione individuale. È illusione aspettar la santificazione dal di fuori, dall'austero ascetismo, o dai riti e dalle cerimonie; la vera santificazione vien dal di dentro. Indi l'immensa importanza del leggere assiduamente la Parola di Dio, e dell'ascoltarne la predicazione. Senza questo, non potremo vivere tranquillamente, né morire in pace. c) In terzo luogo Gesù domanda pei credenti in ogni età che sieno uniti fra loro ed accolti nell'unità del Padre e del Figliuolo. "Questo significa, non solo che siano appieno uniti fra loro in pensieri ed in atti, ad esempio del Padre e del Figlio; ma pure che abbiano la stessa mente che il Padre ed il Figliuolo, riguardo alla grande opera cui erano rivolti tutti i pensieri di Gesù, quella cioè della gloria di Dio, mediante la salute degli uomini. Cristo chiede che essi pure considerino la salvezza del mondo dal medesimo punto di vista dal quale la consideravano il Padre ed il Figlio, sicché sieno uniti a Dio nel sentimento che spinse il Padre a,non risparmiare il proprio Figliuolo, e il Figlio a sacrificare sé stesso per salvare i peccatori, senza ledere i diritti della giustizia e della legge divina. Una tale unione dei credenti nel volere stesso e nella mente di Gesù è condizione essenziale di successo, perché previene ogni disputa, ed assicura una cooperazione cordiale energica e perseverante, nell'opera affidata primieramente agli apostoli, e dopo loro alla Chiesa tutta, "di raccogliere nella dispensazione del compimento dei tempi, sotto un capo, in Cristo, tutte le cose" Efesini 1:10 (John Brown). È dovere di tutti i servitori di Cristo di promuovere, con ogni mezzo legittimo, l'unione fra i credenti, e di pregare del continuo, affinché sieno vinti tutti gli ostacoli che ad una tale unione si oppongono. d) La preghiera finale di Gesù pei suoi discepoli ha per oggetto la loro glorificazione. Già godono per fede la sua presenza in terra, nella sua parola e nei sacramenti, benché, a motivo della loro debolezza, "veggano in enigma"; ma tosto saranno con lui e godranno ininterrotta comunione con lui nel suo regno celeste, essendo ivi tramutati ad immagine sua. Da questa preghiera ricaviamo un grande incoraggiamento, ed è che l'occupazione precipua dei santi in cielo sarà di contemplare e di godere la gloria di Cristo, imperocché quella sarà una contemplazione possessiva. Ogni loro sguardo dirà: "Questa felicità, questa gloria sono mie", ed il culmine della felicità celeste sarà la certezza di non venir mai più divisi da Cristo. "Saremo simili a lui, perciocché noi lo vedremo come egli è" 1Giovanni 3:2.
1. Alcune osservazioni generali su questa preghiera. Abbiam detto già non esser punto probabile che venisse pronunziata in qualche luogo appartato lungo la via, mentre Gesù e i discepoli andavano al Ghetsemane, poiché al tempo della Pasqua tutta la vallata del Kedron era piena di capanne e di tende, e la gente andava attorno in folla fino a notte inoltrata. Né poté esser detta nei cortili del Tempio, come hanno supposto alcuni, fondandosi sull'asserzione di Giuseppe Flavio, che cioè durante la Pasqua, le porte del Tempio si aprivano alla mezzanotte, imperocché prima assai di quell'ora Gesù era già stato arrestato. Sembra indubitabile che Gesù pronunziò questa preghiera nella stanza stessa dove avea mangiato la Pasqua coi discepoli, subito dopo i discorsi dei capitoli precedenti; e prima di uscire per andar direttamente al Ghetsemane Giovanni 18:1, Vedi pure nota Giovanni 14:31. Molto anticamente già questa venne detta la "Preghiera Sacerdotale" di Gesù, nome perfettamente appropriato, poiché, essendo egli venuto in terra, qual sommo sacerdote, per offrire sé medesimo, come sacrificio per il peccato, a lui pure si appartiene l'ufficio di intercessore, che egli prosegue tuttora nella presenza di Dio, a pro dei suoi, e di cui questa preghiera è un esempio notevole e pieno di grazia. La pronunziò ad alta voce per far conoscere alla Chiesa quaggiù in qual'opera egli sarebbe del continuo impegnato nel santuario dei cieli. Pur parlando a Dio, parlava per quelli che lo udivano, e che voleva iniziare a quell'intima sua comunione col Padre. E la preghiera più lunga di Gesù che ci venga ricordata, e il capitolo che la contiene è il più prezioso di tutta la Bibbia. Il suo linguaggio è di una mirabile semplicità; le sue espressioni sono profonde e sublimi; essa respira l'affetto e la tenerezza, più che il trionfo, e il pensiero centrale che l'unifica tutta quanta è la gloria di Dio. Matthew Henry, colla solita sua originalità, osserva che "era una preghiera dopo il sermone, una preghiera dopo il sacramento, una preghiera di famiglia, una preghiera di partenza, una preghiera prima del sacrificio, una preghiera campione della intercessione di Cristo". Olshausen dice: "pensieri espressi in questa preghiera sono così semplici e naturali che non presentano la minima difficoltà, eppure, con tutta la loro mirabile chiarezza, son così profondi che ogni tentativo di esaurirli è vano". "L'intera preghiera", dice Milligan, "è compenetrata dall'unico pensiero della glorificazione di Dio, in tutti quelli per i quali Gesù successivamente intercede, mediante l'adempimento del piano eterno di Dio in ciascuno di essi, e la loro unione per il perfetto, spirituale ed eterno legame di amore".
2. Il contenuto della preghiera. Essa si divide naturalmente in tre parti:
1) Quello che si riferisce a Cristo stesso: ora che è compiuta l'opera sua in terra, egli ridomanda la gloria di cui godeva col Padre, prima che il mondo fosse Giovanni 17:1-5.
2) Quello che si riferisce agli undici discepoli lì presenti, di cui aveva preso sì tenera cura in mezzo al mondo che li odiava, e che egli affida specialmente alle cure del Padre, affinché sieno santificati per la verità, e resi atti all'opera a cui eran chiamati Giovanni 17:6-19.
3) Quello che si riferisce ai credenti in ogni età e paese, affinché sieno fraternamente uniti gli uni cogli altri, ed in piena comunione con Dio, affinché la gloria di Cristo alla destra del Padre venga specialmente manifestata a quelli fra loro che sarebbero stati testimoni della sua umiliazione, ed affinché la Chiesa redenta sia unita con legami di eterno amore colla gloriosissima Deità Giovanni 17:20-26.
Giovanni 17:1-26. LA PREGHIERA SACERDOTALE DI CRISTO
Gesù prega per sé medesimo Giovanni 17:1-5
1. Queste cose disse Gesù;
In qualunque luogo sieno stati pronunziati Giovanni 15:1-27; 16:1-33, queste parole non lasciano dubbio alcuno che la preghiera fu pronunziata subito dopo quelli e nel medesimo luogo.
poi alzò gli occhi al cielo, e disse:
"Giovanni ben di rado ci descrive l'attitudine e i gesti di Gesù, come fa in questo luogo. Ma fu quello un momento di cui l'impressione rimase in lui indelebile, ed egli non poté se non parlare dello sguardo di Gesù levato in alto" (Alford). Nelle parole "al cielo" alcuni vedono la prova che Gesù pregò in qualche luogo ad aria aperta; ma è una conclusione forzata, perché il guardare in su è l'espressione naturale della devozione, in qualunque luogo ci troviamo. Era questo un modo di pregare assai comune fra i Giudei Luca 18:13; Atti 7:55.
Padre,
Se ricordiamo che colui che parla non è semplicemente "l'uomo Cristo Gesù", ma pure "la Parola che era nel principio, che era appo Dio, ed era Dio" Giovanni 1:1, ci parrà evidente che questo nome non vien dato alla Divinità considerata nella sua essenza, ma alla prima persona della Trinità, la quale, nella economia della redenzione, rappresenta la maestà divina, che opera per il Figliuolo, e mediante lo Spirito. In questa preghiera, il Signore lo chiama "Padre santo" Giovanni 17:11, e "Padre giusto" Giovanni 17:25, mentre nell'agonia di Ghetsemane, lo chiama "Padre mio" Matteo 26:39, non mai "Padre nostro", nome che devono dargli i suoi seguaci. Così egli si separa, come uomo, da tutti gli altri uomini. "Osso delle nostre ossa e carne della nostra carne", sì, ma "separato dai peccatori" Ebrei 7:26. "Il nome di Figlio corrisponde a quello di Padre; colui che è al tempo stesso Figliuol di Dio e Figliuol dell'uomo ne fa uso per indicare che v'ha fra lui e la prima persona della Trinità una triplice relazione
1. La relazione che da ogni eternità e necessariamente esisteva fra di loro, quali persone divine;
2. La relazione che proveniva dalla formazione miracolosa della sua umana natura;
3. La relazione che sorgeva dall'esser egli stato costituito il fratello Redentore del popolo suo, e il Signore della umanità" (John Brown).
l'ora è venuta.
È questa l'ora suprema, l'ora fissata da Dio negli eterni suoi consigli, ed annunziata in Eden, per la morte di Cristo in croce, e per l'adempimento finale coll'eccezione. Tutti i piani fin qui formati contro la vita del Figliuol dell'uomo son riusciti vani, perciocché, la sua ora non era ancora venuta. Eccola giunta alfine, in ubbidienza ad una legge divina che non conosce né fretta né indugio. Dinanzi a quell'ora, l'umanità di Cristo aveva testé provato un sentimento di profondo ribrezzo Giovanni 12:27, e doveva provarlo nuovamente fra poco Marco 14:33. Parlandone ai suoi nemici in Ghetsemane, egli la chiama "l'ora vostra e la podestà delle tenebre" Luca 22:53; ma ora con calma perfetta, nella piena coscienza delle sue relazioni col Padre, e fiducioso di venir da lui sostenuto, egli ne parla al Padre suo, come dell'ora in cui giungerà alla perfezione l'adempimento della volontà divina.
glorifica il tuo Figliuolo,
Stier osserva che questa seconda parte del vers. ci dà una prova chiarissima, benché indiretta, che il Figlio è uguale al Padre, in quanto spetta alla divinità, imperocché qual creatura ardirebbe presentarsi dinanzi a Dio e dirgli: "Glorificami, ed io pure ti glorificherò". La seconda parte di questa domanda esprime lo scopo da raggiungersi, la prima il mezzo per arrivarci. La glorificazione del Padre, in un grado più elevato che mai, mediante la glorificazione del Figlio, ora che l'opera della sua umiliazione è compiuta: ecco lo scopo sublime che Gesù non perdette mai di vista. La glorificazione che Gesù domandava al Padre suo consisteva nel dargli forza e perduranza durante gli orrori di quell'ora nel corso della quale "l'anima sua si sarà posta per sacrificio per la colpa" Isaia 53:10, nel farmelo uscir trionfante, nel rimuovere il velo che per alcuni aveva oscurata, e per altri nascosta la gloriosa unità del Figlio e del Padre, e nel rendergli non solo la felicità del cielo, ma quella condizione medesima in cui trovavasi prima della sua incarnazione, e nella quale la sua umanità dovrebbe ora partecipare, come essenziale all'opera sua. Le parole del vers. 5: "che io ho avuta appo te avanti che il mondo fosse" non lasciano dubbio alcuno che in questa preghiera egli domandasse il ritorno alla gloria di cui godeva da ogni eternità, come Figliuolo unigenito del Padre.
acciocché altresì il Figliuolo glorifichi te;
Lo scopo supremo di Cristo sin dal momento della sua incarnazione, quello che stava in cima ai suoi pensieri, quando entrò nell'arena delle ineffabili sue sofferenze, era di far risplendete la gloria di Dio, manifestando a tutti gli esseri intelligenti le perfezioni del carattere divino, quali risplendono nell'opera della redenzione. Questa glorificazione del Padre per mezzo del Figlio ha per fondamento l'opera mediatoria di Cristo, il quale vuole che la sua ubbidienza perfetta fino alla morte divenga il mezzo per cui la gloria di Dio sarà compiuta, mediante la vittoria dell'evangelo, e il suo amore per un mondo che perisce, dimostrato in modo da attrarre tutti i cuori al Padre.
PASSI PARALLELI
Giovanni 11:41; Salmi 121:1-2; 123:1; Isaia 38:14; Luca 18:13
Giovanni 7:30; 8:20; 12:23,27-28; 13:1; 16:32; Marco 14:41; Luca 22:53
Giovanni 16:4-5; 7:39; 11:4; 13:31-32; Atti 3:13; Filippesi 2:9-11; 1Pietro 1:21
2 2. Secondo che tu gli hai data podestà sopra ogni carne,
Quantunque il costante e supremo desiderio di Cristo fosse la glorificazione di suo Padre in tutte le cose, la parola "secondoché", colla quale comincia questo versetto, sembra indicare un modo speciale in cui quella glorificazione doveva venir raggiunta, in conformità col gran mandato che gli era stato conferito come Salvator degli uomini. Dai Salmi 8:6-8, sappiamo che l'autorità o l'impero che appartiene a Cristo, qual secondo Adamo, si estende a tutto il creato, ma qui egli lo limita ad "ogni carne", cioè all'umanità nella sua caduta e perdizione, perché solo gli uomini possono partecipare a tutte le benedizioni della signoria di Cristo. Egli dichiara espressamente di aver ricevuto questa autorità sopra ogni carne dal Padre, epperciò egli l'esercita nella sua qualità di uomo, di mediatore e di Capo della Chiesa; imperocché come Dio, uguale al Padre, egli possedeva in comune con lui un'autorità eterna ed illimitata. Di questa sua autorità come mediatore, ricevuta dal Padre, egli parla nei passi seguenti: "Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio" Matteo 11:27. "Ogni podestà mi è data in cielo ed in terra" Matteo 28:18. "Il Padre ama il Figliuolo, e gli ha dato ogni cosa in mano" Giovanni 3:15. Il Padre non giudica alcuno; ma ha dato tutto il giudicio al Figliuolo" Giovanni 5:22. Vedasi pure Colossesi 1:19; 2:9.
acciocché egli dia vita eterna a tutti coloro che tu gli hai dati
"acciocché", il Signore distingue il suo potere di salvare gli eletti datigli dal Padre, da quell'autorità universale sopra tutti gli uomini della quale aveva pure ora parlato. "Il Padre dà il potere sopra tutti, ma fra quei 'tutti' egli dà gli eletti medesimi al Figliuolo; imperocché abbiamo qui opposizione fra il generale ed il particolare" (Stier). Egli è degli eletti che parla in questa ultima parte del versetto. Le parole dell'originale presentano una costruzione singolare: il "tutto quello che", al singolare nella prima parte, diviene plurale, dell'originale "ad essi", nella seconda, e così il Signore presenta a Dio il suo popolo eletto, l'insieme dei credenti futuri, prima collettivamente, come un tutto unito, quindi come individui, ciascuno dei quali riceve il dono della vita eterna. L'atto di dare per parte del Padre si riferisce all'insieme; la comunicazione della vita per parte del Figlio è un fatto individuale. Le parole "vita eterna" racchiudono tutto quanto è necessario alla completa salvazione dell'anima; è vita di giustificazione, di santificazione e di gloria eterna Vedi nota Giovanni 6:40.
PASSI PARALLELI
Giovanni 3:35; 5:21-29; Salmi 2:6-12; 110:1; Daniele 7:14; Matteo 11:27; 28:18; 1Corinzi 15:25
Efesini 1:20; Filippesi 2:10; Ebrei 1:2; 2:8-9; 1Pietro 3:22
Giovanni 17:24; 4:14; 6:27,54-57; 10:28; 11:25-26; Romani 6:23; Colossesi 3:3-4; 1Timoteo 1:16
1Giovanni 1:2; 2:25; 5:20; Giuda 21
Giovanni 6:37,39; 10:29
3 3. Or questa è la vita eterna, che conoscano te,
Alcuni vedono in queste parole una delle solite osservazioni fatte in parentesi da Giovanni medesimo; ma sarebbe stata una presunzione affatto opposta al suo carattere il mescolare i propri pensieri con quelli di Gesù in un momento così solenne. Non meno insostenibile è l'opinione secondo la quale Giovanni avrebbe qui espresso il pensiero di Gesù con parole sue proprie. La gran ragione che si dà in appoggio a tali teorie si è l'improbabilità che il Signore abbia parlato di sé alla terza persona, e soprattutto dandosi quel nome di Gesù Cristo, che egli non aveva mai usato, nel corso del suo ministerio terreno, e che venne impiegato nella Chiesa solo dopo di lui. A ciò rispondiamo che se v'erano state fino a quell'ora delle ragioni potenti per cui Gesù proibì ai discepoli di proclamarlo il Cristo 1Corinzi 2:8, quelle più non esistevano. Era giunto il tempo in cui l'appellativo glorioso, formato dall'unione dei due nomi "Gesù" e "Cristo" doveva venir proclamati nel mondo intero; ben si conveniva che i discepoli lo imparassero dalle sue proprie labbra, e in qual migliore occasione avrebbe ciò potuto avvenire che in quest'ultimo atto di comunione col Padre? Lungi dal credere che l'abitudine più tardi introdottasi nella Chiesa di designare il Signore sotto quel duplice nome abbia indotto Giovanni a farne uso in questo passo, Alford con ragione domanda: "Non starebbe forse il fatto precisamente al contrario? E non potrebbe quest'uso solenne di quel nome per il parte del Signore medesimo averne originato uso nella sua Chiesa, dopo la sua partenza? Quest'alternativa mi pare assai più probabile. "Una seconda risposta a questa teoria consiste nel dire che il Signore, avendo parlato nel, versetto precedente della vita eterna che egli doveva dare al popolo suo, spiega quindi in che essa consista, e così, mentre prega il Padre, istruisce i discepoli. Quella vita eterna è conoscenza, non semplicemente una conoscenza verbale ed intellettuale, ma una apprensione interna ed un vero apprezzamento di Dio il Padre, e di Gesù Cristo il Figliuolo, quale ci sono rivelati per la nostra Ubbidienza, il nostro amore e la nostra salute, mediante l'opera dello Spirito. È un errore il supporre, come fanno molti, che quando questa "conoscenza" ci vien presentata come "la vita eterna", dobbiamo considerarla come il mezzo o la via per cui si giunge a quella vita. Questo è vero, ma è solo una parte della verità. La vera conoscenza di Dio e di Gesù Cristo è in sé stessa vita eterna. Quella conoscenza implica conformità di mente e di cuore a Dio e al suo Figliuolo, e ciò costituisce quella santità e quella felicità che sono l'essenza della vita eterna. Non si può aver l'una senza l'altra. "La conoscenza di cui parla qui il Signore", dice Westcott, "è l'apprensione del vero per parte di tutta quanta la natura umana. Non è la mera conoscenza di fatti esterni, né un semplice convincimento intellettuale della loro verità, ma tale una appropriazione di essi, "se così può dirsi", che ne rimanga potentemente influenzato l'essere tutto che li conosce". Webster definisce questa conoscenza come quella comunione od associazione col Padre e col Figliuolo Giovanni 1:1-3, nella quale consiste il nostro cambiamento da morte a vita, la nostra conversione, la nostra nuova nascita, operate in noi dallo Spirito Santo. Questo è il principio ed il proseguimento della vita spirituale in terra, e sarà, nel pieno suo sviluppo, la vita perfetta e spirituale nei cieli.
che sei il solo vero Iddio,
Gli Ariani antichi ed i Sociniani moderni dal titolo che Gesù dà qui al Padre suo, concludono non esser egli stesso vero Dio; ma ben risponde Alford che l'esser qui Gesù nominato insieme al Padre, e la conoscenza di entrambi dichiarata "vita eterna", è prova indiretta, ma inconfutabile, della divinità del Figliuolo, imperocché la conoscenza di Dio e di una creatura non può costituire la vita eterna, e l'apposizione di questi due nomi riesce inesplicabile, se non c'è uguaglianza fra loro. Di più in 1Giovanni 5:20, secondo la interpretazione più naturale di quel testo, il Figliuolo è chiamato: "il vero Dio e la vita eterna". Brown dice molto in poche parole: "Con questo titolo, Gesù dichiara suo Padre solo, personale e vivente Iddio, in opposizione a tutte le forme di politeismo pagano, di panteismo mistico, e di naturalismo filosofico".
e Gesù Cristo, che tu hai mandato.
Già abbiam detto esser questa la sola volta che Gesù dia a sé stesso il duplice nome di CRISTO GESÙ e ciò fa per indicare in modo chiarissimo l'ufficio suo di mediatore, Vedi 1Timoteo 2:5. Ognuna di queste parole è usata nel suo senso più rigoroso. "Gesù" o Salvatore fu il nome datogli dal Padre, "perciocché egli salverà il suo popolo dai lor peccati" Matteo 1:21. "Cristo" è titolo di ufficio e significa che è stato unto colla illimitata pienezza dello Spirito Santo, per i vari suoi uffici di mediatore, Vedi Giovanni 4:25; Matteo 1:16. Le parole "che tu hai mandato" dichiarano la sua missione divina od il suo apostolato Ebrei 3:1, con pieni poteri per adempiere tutto il consiglio di Dio, per riconciliare Dio e l'uomo, e per "salvare appieno coloro, i quali per lui si accostano a Dio" Ebrei 7:25. La verità contenuta nelle parole "il solo vero Dio" i Gentili non la seppero riconoscere; quella dichiarata nell'inciso che segue fu ostinatamente respinta dai Giudei. Avendo Gesù descritto in quel modo in che consista la vita eterna, cominciamo a capir meglio che cosa volesse dire il Signore colle parole: "acciocché il Figliuolo glorifichi te".
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:25; 8:19,54-55; 1Cronache 28:9; Salmi 9:10; Isaia 53:11; Geremia 9:23-24; 31:33-34
Osea 6:3; 1Corinzi 15:34; 2Corinzi 4:6; 2Tessalonicesi 1:8; Ebrei 8:11-12; 1Giovanni 4:6; 5:11,20
Giovanni 14:9-10; 2Cronache 15:3; Geremia 10:10; 1Corinzi 8:4; 1Tessalonicesi 1:9; 1Timoteo 6:15-16
1Giovanni 5:20
Giovanni 3:17,34; 5:36-37; 6:27-29,57; 7:29; 10:36; 11:42; 12:49-50; 14:26
Isaia 48:16; 61:1; Marco 9:37; Luca 9:48; 1Giovanni 4:14-15; 5:11-12
4 4. Io ti ho glorificato in terra; io ho adempiuta l'opera che tu hai data a fare.
I verbi sono all'aoristo e si dovrebbero tradurre: "glorificai", ed "adempii". In Giovanni 17:4-5 è ripetuta la preghiera del ver. 1, ma da un altro punto di vista. In quello, Gesù domanda di venir glorificato, come preparazione all'opera che gli stava innanzi; qui lo domanda come conseguenza dell'adempimento dell'opera prescrittagli. Queste parole, come altre in questa preghiera, ver. Giovanni 17; 11:12,24, benché dette dal Signore in anticipazione delle sue sofferenze, si riferiscono allo stato di cose che doveva seguire l'adempimento completo dell'opera sua in terra, ed invero non gli restava più del viaggio terreno che una breve benché dolorosissima tappa, Vedi un altro esempio del medesimo genere in 1Timoteo 4:7. Per l'ubbidienza di Cristo a quella legge divina che l'uomo aveva trasgredita, per la soddisfazione data alla giustizia divina e alle sanzioni penali della legge da un essere di così infinita dignità e potenza, Iddio fu glorificato assai più che se l'uomo non avesse mai peccato, od avendo peccato fosse stato condannato all'eterno castigo. Di più, "l'opera sua era compiuta" dal momento che egli aveva adempiuta e sofferta tutta la volontà di suo Padre, aveva insegnato la verità, dandone l'esempio nella propria persona, confermandola coi suoi miracoli e suggellandola col sangue suo. Egli è dell'intera sua opera nella carne che egli ora parla come di cosa compiuta, e nella certezza che neppur l'occhio onniveggente del Padre suo poteva scorgervi imperfezione alcuna, egli ne domanda ora la ricompensa.
PASSI PARALLELI
Giovanni 12:28; 13:31-32; 14:13
Giovanni 4:34; 5:36; 9:3; 14:31; 15:10; 19:30; Atti 20:24; 2Timoteo 4:7
5 5. Ora dunque, tu Padre, glorificanti appo te stesso, della gloria che io ho avuta appo te, avanti che il mondo fosse.
Questo versetto è parallelo al precedente: "Ti ho glorificato in terra; glorificami ora in cielo. "La gloria qui domandata da Cristo ci vien definita da due particolari.
l. È gloria con o nel Padre, in contrasto coll'umiliazione terrena;
2. È gloria che appartenevagli da ogni eternità.
La preposizione applicata qui due volte a Dio Padre, denota la comunione più intima e diretta, la congiunzione personale più stretta, come fa pure, "in" Giovanni 1:18: "nel seno del Padre". La stessa persona, che godeva la gloria insieme col Padre prima della creazione, fu quella pure che glorificò il Padre in terra, e ora prega per esser nuovamente ricevuta in gloria. È ciò una prova decisiva dell'unità della persona di Cristo nei suoi tre stati di eterna preesistenza in gloria, di umiliazione nella carne, e di glorificazione della Parola incarnata, nel corpo risuscitato. Una tale testimonianza alla divinità di Gesù, resa in circostanze così solenni, è di tanta forza che gli Ariani e i Sociniani non la negano apertamente, e cercano invano di eluderla. La gloria della sua eterna deità, nella sua essenza, il Cristo non la poté mai perdere; perché dunque ne domanda egli la restituzione? Egli prega che venga nuovamente manifestata, come appariva avanti la sua incarnazione. Che, in qualche modo a noi inintelligibile, egli si sia spogliato, incarnandosi, della sua gloria, e così sia vissuto in terra, salvo rari lampi della medesima, risulta non solo da questa sua preghiera, una più chiaramente ancora dalle fortissime parole di Paolo; "annichilò sé stesso, vuotò sé stesso, prese forma di servo... abbassò sé stesso" Filippesi 2:7-8. Comparve fra gli uomini, non quale realmente era, ma come uno di umilissima condizione, "sprezzato, fino a non esser più tenuto nel numero degli uomini" Isaia 53:3 occultando la sua gloria, finché non avesse compiuta tutta quanta l'opera di suo Padre quaggiù. Quanto deve aver sospirato il termine di uno stato così anormale! Ed ora, sapendo vicina quella meta, domanda non solo che gli venga resa quella gloria che era sua ab eterno ma che riposi su di lui qual Dio incarnato, qual rappresentante della umanità, in lui risorta dal sepolcro, ed assunta in cielo. Con questa domanda si chiude la prima parte della preghiera sacerdotale. Che fosse appieno esaudita, ce lo dicono i passi seguenti: Atti 5:31; Filippesi 2:6-11; Efesini 1:20-22.
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:24; 1:18; 3:13; 10:30; 14:9; Proverbi 8:22-31; Filippesi 2:6; Colossesi 1:15-17
Ebrei 1:3,10; 1Giovanni 1:2; Apocalisse 5:9-14
Giovanni 1:1-3; Matteo 25:34; 1Pietro 1:20; Apocalisse 13:8
6 Gesù prega pei suoi discepoli e specialmente per gli undici Giovanni 17:6-19
6. Io ho manifestato il nome tuo
La preghiera a pro dei discepoli comincia in Giovanni 17:9; i tre versetti che precedono quello contengono i fatti e le ragioni su cui essa è fondata così queste ragioni, come le domande fatte da Gesù in questo paragrafo, possono spesso riferirsi ai credenti in ogni età; ma ci pare strano il dubbio di alcuni che non si riferiscano specialmente agli apostoli. Questo a noi pare evidente non solo dal fatto che Gesù aveva ad essi manifestato il Padre in modo affatto speciale, tenendoli seco, con ogni cura, come sua famiglia, durante tutto il suo ministerio; ma pure perché l'allusione al "figliuol della perdizione" Giovanni 17:12, prova che in questa preghiera Gesù aveva specialmente in vista la piccola comitiva degli apostoli. Durante il tempo della loro intima ed ininterrotta comunione con Gesù, egli aveva manifestato loro "il nome" di suo Padre, cioè la sua persona, il suo carattere, i suoi attributi, che tutto questo è sempre incluso nella frase "il nome di Dio" nell'Antico Testamento Esodo 9:16; 33:19; Salmi 8:1; 20:1; 22:22; 29:2; Isaia 63:12; Ezechiele 20:9.
agli uomini i quali tu mi hai dati del mondo;
In Giovanni 15:19, Gesù aveva detto ai discepoli: "Io vi ho eletti dal mondo"; qui dichiara che il Padre glieli aveva prima dati del mondo, e che si fu in conseguenza di tal dono, fatto ab eterno che egli li aveva scelti nel tempo. I credenti son dati a Cristo dal Padre, secondo un patto eterno ratificato e suggellato prima della fondazione del mondo, e sono fatti uscire dai ranghi del mondo, mediante la chiamata dello Spirito, all'ora fissata da Dio, per venire affidati al buon Pastore.
eran tuoi, e tu me li hai dati,
Cristo qui dichiara che i suoi erano stati dati a lui qual Salvatore, per esser separati dal mondo, e prima di tutto salvati essi medesimi, quindi fatti strumenti di salute per altri.
ed essi hanno osservata la tua parola.
Questa "parola" è la manifestazione del Padre, che Gesù aveva fatta ai discepoli e ricordata al principio del versetto. Tal parola essi non l'avevano ricevuta in modo superficiale, bensì "riposta nel loro cuore" Salmi 119:11, camminando conformemente ai suoi precetti ed alle sue speranze. "L'osservare" implica il ricordare nella memoria, il credere e l'amare col cuore, l'ubbidire nella vita; e, per quante imperfezioni tuttora si mescolassero al loro servizio, il carattere che Gesù dà qui ai suoi discepoli è davvero meraviglioso.
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:26; 1:18; 12:28; Esodo 3:13-15; 9:16; 34:5-7; Salmi 22:22; 71:17-19
Matteo 11:25-27; Luca 10:21-22; 2Corinzi 4:6; Ebrei 2:12; 1Giovanni 5:20
Giovanni 17:2,9,11,14,16,24; 6:37; 10:27-29; 15:19; 18:9; Atti 13:48
Giovanni 17:9-10; Romani 8:28-30; 11:2; Efesini 1:4-11; 2Tessalonicesi 2:13-14; 1Pietro 1:1
Giovanni 8:31-32; 14:21-24; 15:3,7; Salmi 119:11; Proverbi 2:1-5,10; 3:1-4; 23:23
Colossesi 3:16; 2Timoteo 1:13; Ebrei 3:6; Apocalisse 2:13; 3:8
7 7. Ora han conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date son da te.
In questo versetto e nel seguente, il Signore continua a porre le basi della sua intercessione a pro dei discepoli, facendo vedere lo sviluppo della loro fede, della quale aveva dato un sommario col dire: "Essi hanno osservato la tua parola". Essendo stato l'insegnamento dato loro da Cristo una fedele riproduzione delle parole del Padre suo, egli ora li dichiara giunti ad un tal grado di conoscenza da poter discernere che, così le sue parole come le opere sue, gli erano state date dal Padre; in altri termini, che la sua missione era divina, e che il Padre avevagli ordinato di parlare e di agire come aveva fatto. "Sembra, a prima vista, che vi sia una tautologia nelle parole che tu mi hai date, e da te. Ma la prima espressione è tratta dalla coscienza di Gesù; la seconda da quella degli apostoli: "Essi hanno riconosciuto che quanto io dava loro da parte tua, proveniva realmente da te" (Godet).
PASSI PARALLELI
Giovanni 7:16-17; 14:7-10,20; 16:27-30
Giovanni 17:10; 8:28; 10:29-30; 12:49-50; 16:15
8 8. Perciocché io ho date loro le parole che tu mi hai date, ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto che io son proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Il Signore spiega qui in che modo i discepoli erano giunti alla conoscenza di cui aveva parlato in Giovanni 17:7, e questo fu per l'opera sua nell'insegnarli, e per le cose stesse loro insegnate a nome del Padre Giovanni 12:49. Egli rende qui una rimarchevole testimonianza alla sincerità della fede dei discepoli, mediante i tre verbi Ricevettero il suo insegnamento per l'autorità della sua testimonianza, lo conobbero mediante il proprio discernimento morale, e credettero che proveniva da Dio, arrendendosi interamente ad esso. Senza dubbio Gesù allude alle parole poco prima pronunziate dai discepoli: "Or noi sappiamo che tu sai ogni cosa... ed in questo (non perciò), crediamo che tu sei proceduto da Dio" Giovanni 16:30. Può parere strano che Gesù renda così alta testimonianza ai discepoli, quando ci ricordiamo la loro mancanza di fede e di conoscenze. Ma se pensiamo alle immense difficoltà della loro posizione, e agli ostacoli che da ogni parte si affacciavano alla loro fede, vedremo che il credere, anche debolmente, non era punto cosa facile per essi. "Quanto è amorevole e benigno questo riconoscimento di una così debole! Eppure se Gesù non l'avesse vista genuina, se in essa non avesse riconosciuto il germe della nobilissima fede di cui gli apostoli diedero prova dipoi, certo non avrebbe parlato in quel modo" (Dott. D. Brown).
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:14; 6:68; 14:10; Proverbi 1:23; Matteo 13:11; Efesini 3:2-8; 4:11-12
Giovanni 3:33; Proverbi 1:3; 2:1; 4:10; 8:10; 1Corinzi 11:23; 15:1; 1Tessalonicesi 2:13; 4:1
Giovanni 17:6-7,25; 16:27,30; 1Giovanni 4:14
9 9. Io prego per loro;
Principia qui e finisce al ver. Giovanni 17:19 la preghiera d'intercessione di Gesù pei suoi discepoli. Essa tratta tre soggetti principali
1. la loro preservazione;
2. la loro santificazione;
3. la loro missione.
Nei versetti precedenti ne aveva esposti i motivi, e ora dice: "Io prego in modo speciale per essi, perché li ho insegnati durante il mio ministero, e mi son cari come frutti del mio lavoro; essi hanno una grande opera da fare, benché sieno deboli tuttora ed ignoranti. Li raccomando a te, perché sono dono tuo".
io non prego per lo mondo,
Il "mondo" qui non sono i reprobi, i non eletti, come suppongono Calvino, Lampe ed altri; ma gli uomini non ancora convertiti, che trovansi tuttora nel loro stato di caduta e di impenitenza, sotto il potere dell'incredulità e del peccato e senza dubbio il Signore non vuol dire che per tali egli non preghi mai, anzi in Giovanni 17:21,23 egli prega che per strumentalità degli apostoli, e di coloro che crederanno in lui per la loro parola, quelli che a quel momento eran tuttora "del mondo" e "nel mondo", possano esser condotti a credere in lui come mandato dal Padre; e si deve alla intercessione del nostro Sommo Sacerdote se moltitudini di salvati sono stati aggiunti alla Chiesa, dacché egli è tornato alla destra del Padre. Egli stesso ci dà l'esempio di una preghiera pei peccatori più induriti, dicendo a Dio, al momento della crocifissione: "Padre, perdona loro, perciocché non sanno quel che si fanno" Luca 23:34; e in Matteo 5:44, vuole che i cristiani preghino pei loro stessi persecutori. Paolo certo intendeva queste parole di Gesù in senso assoluto, quando ordinava a Timoteo che si facessero "orazioni, richieste e ringraziamenti per tutti gli uomini" 1Timoteo 2:1. Il pensiero di Gesù ci sembra essere che, per il momento, egli lascia da parte il mondo, perché le cose che sta per chiedere sono affatto inapplicabili agli uomini del mondo nel loro stato irrigenerato. "Non già", dice il Dott. D. Brown, "che gli individui componenti il mondo sieno esclusi dalle compassioni di Cristo, Vedi ver. Giovanni 17:21, o debbano esserlo dalla nostra, ma solo quelli che erano 'scelti dal mondo' potevano essere oggetto di questa preghiera speciale". Forse si avrebbe un senso più chiaro traducendo queste parole così: "Sto pregando per essi, non già per il mondo".
ma per coloro che tu mi hai dati, perciocché sono tuoi.
Il Padre li diede, eppur li ritenne. Divenendo di Cristo, non, cessarono di essere di Dio; anzi divennero suoi più che mai. I redenti sono la proprietà comune del Padre e del Figlio. Sono le pecore del Padre, affidate al Figlio, epperciò egli deve pregare specialmente per loro, domandando per esse quanto può loro abbisognare.
PASSI PARALLELI
Giovanni 14:16; 16:26-27; Luca 22:32; 8:34; Ebrei 7:25; 9:24; 1Giovanni 2:1-2; 5:19
Apocalisse 12:9; 13:8; 20:15
10 10. E tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie;
La comunanza di proprietà fra il Padre e il Figliuolo non si limita a quelli che il Padre aveva dati a Gesù, ma abbraccia ogni cosa. "L'assoluta comunanza di beni fra il Padre e il Figliuolo è qui espressa nel modo più chiaro che sta possibile al linguaggio umano" (Dott. Brown). Questo pensiero non è necessario all'argomento di Gesù, ma serve a mettere in sempre maggior rilievo l'asserzione della comunione perfetta del Figliuolo e del Padre, e vengono perciò ritenute da molti come una parentesi, le parole che seguono:
ed io sono in essi glorificato,
essendo considerate come il seguito di "Perciocché son tuoi" del ver. Giovanni 17:9, e come una ragione di più perché Cristo preghi per i suoi. Con queste parole, Cristo rende testimonianza alla fede dei suoi discepoli immediati, i quali erano stati resi capaci di glorificarlo nel suo stato di umiliazione. Ad onta della sua forma di servo, lo avevano riconosciuto per quello che era realmente ed egli era apparso ai loro cuori in tutta la sua maestà di Figliuol di Dio. Ma queste parole capaci di un senso assai più esteso, perché sono Cristo è glorificato nei suoi santi, nella loro vita, nella loro morte, nella loro manifestazione all'ultimo giorno quali figliuoli di Dio Giovanni 21:19; Romani 8:19; Filippesi 1:20. "Questa è una eccellentissima testimonianza per confermar la nostra fede, che Cristo non cesserà mai di prender vivo interesse alla nostra salute, poiché egli è glorificato in noi" (Calvino).
PASSI PARALLELI
Giovanni 10:30; 16:14-15; 1Corinzi 3:21-23; Colossesi 1:15-19; 2:9
Giovanni 5:23; 11:4; 12:23; Atti 19:17; Galati 1:24; Filippesi 1:20; 2:9-11; 2Tessalonicesi 1:10,12
1Pietro 2:9; Apocalisse 5:8-14
11 11. Ed io non sono più nel mondo, ma costoro son nel mondo, ed io vo a te.
Questo versetto contiene la prima domanda di Gesù a pro dei suoi discepoli, facendo la quale il Signore ha in vista le nuove circostanze nelle quali essi si troveranno. Di sé parla come fosse già morto, risuscitato e tornato in cielo, poiché tali eventi erano imminenti. Il contrasto fra la sua posizione e la loro è grandissimo: la sua carriera terrena è giunta al suo termine; i loro lavori, le loro prove non fanno che principiare. La grandezza della sua gioia, perché sta per tornare al Padre, sveglia la sua più tenera simpatia per quelli che hanno ancora tanto da lavorare e da soffrire, prima di poter dividere la sua allegrezza. Egli domanda adunque che sieno preservati dalle persecuzioni e dalle malvagie influenze del mondo, ora che rimangan privi della sua guida e della sua presenza personale.
Padre santo,
È questo il solo luogo in cui il qualificativo di "santo" venga dato a Dio come Padre, e siccome l'idea originale della santità è quella della separazione, quando il nome di santo vien dato a Dio, esso denota l'infinita distanza che separa la sua natura gloriosa da tutte le imperfezioni comuni alle creature. Viene usato in questo caso, perché Gesù fa specialmente appello a quella infinita perfezione della natura del Padre, affinché i discepoli sieno preservati puri dalle contaminazioni del mondo, in mezzo al quale dovevan tuttora rimanere.
conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati;
Gesù domanda che sieno preservati dal male, dal ritorno al peccato, dalle false dottrine, dalle tentazioni, dalle persecuzioni, da qualsiasi assalto del diavolo. "Nel tuo nome" significa mediante quei tuoi attributi che sono la potenza, la sapienza e l'amore. "Queste parole fanno della rivelazione del carattere divino, quale fu concessa agli apostoli, come il muro di cinta di quel sacro dominio nel quale devono venir conservati" (Godet). Invece di "nel tuo nome essi che tu mi hai dati", Lachmann, Tischendorff e i più fra i critici moderni sostengono che si deve leggere nel tuo nome, che tu mi hai dato. Ma domanda con ragione Godet, dove mai la Scrittura parla essa del nome di Dio come dato al Figlio? La parola: "il mio nome è in lui" Esodo 23:21, è affatto diversa. Quella lezione non cambia nulla però al senso del passo per quanto riguarda la protezione dei discepoli,
acciocché sieno una stessa cosa come noi.
L'unione fra i discepoli, di cui qui parla Cristo, non è una unione di natura, ma di sentimenti di piani, di fini. Egli vuole una unione di affetti, e qualsiasi altra unione è fra i cristiani impossibile. Aggiunge come modello od esempio della unità che desidera, la più alta unione che immaginare si possa, quella cioè che sussiste fra il Padre ed il Figliuolo. Non vi può essere alla lettera fra i cristiani la medesima unità perfetta che fra il Padre e il Figlio, ma vi dev'essere fra di loro un'intima ed ininterrotta unità di pensieri, di volere, di fede, di amore. "È la divina unità di amore che Gesù ha qui specialmente di vista; tutti i voleri diretti al medesimo scopo una felice armonia di amore" (Milligan).
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:13; 13:1,3; 16:28; Atti 1:9-11; 3:21; Ebrei 1:3; 9:24
Giovanni 17:14-18; 15:18-21; 16:33; Matteo 10:16; Giacomo 4:4; 1Giovanni 3:12; 5:19
Giovanni 17:25; Matteo 5:48; 1Pietro 1:15-17; Apocalisse 4:8; 15:4
Giovanni 17:12,15; 10:29-30; Salmi 17:8-9; Isaia 27:3; 1Pietro 1:5; Giuda 1,24
Salmi 79:9; Proverbi 18:10; Isaia 64:2; Geremia 14:7,21; Ezechiele 20:9,22,44; Matteo 6:9
Romani 9:17
Giovanni 17:21-22; 10:30; 14:20; Romani 15:5-6; 1Corinzi 1:10; 12:12-13; Efesini 4:4
12 12. Quand'io era con loro nel mondo, io li conservava nel nome tuo; io ho guardati coloro che tu mi hai dati, e niun di loro è perito,
I critici leggono anche qui: "nel tuo nome, il quale" tu mi hai dato, "invece di: "nel tuo nome coloro che tu mi hai dati". Ufficiando come Sommo Sacerdote, come se già fosse entrato nel Luogo Santissimo, alla destra del Padre, egli continua con crescente ardore a domandare pei discepoli protezione contro ai pericoli cui saranno esposti nel mondo. E la continuazione del vers. precedente la preghiera di Gesù è pur sempre: "Padre, conservali; "solo egli la fortifica mediante un sunto di quanto fece per loro essendo nel mondo. Due verbi esprimono qui la cura che Gesù erasi presa dei suoi:
1. che significa letteralmente: "io stava guardando", ed esprime la continuità della vigilanza di Cristo sopra i suoi;
2. che non è solo un altro verbo, ma un tempo diverso, ed indica il risultato finale ed appieno soddisfacente di quella vigilanza: "ho custoditi".
È la vigilanza di un pastore sulla sua greggia, di un soldato sopra un tesoro affidatogli. Questa conservazione fu effettuata "nel nome del Padre", ossia mediante la rivelazione alle anime loro degli attributi divini e specialmente dell'amore, della verità e della potenza di Dio, fatta ogni qualvolta vacillassero e fossero in procinto di cadere, ed il perfetto successo ne è reso manifesto nel fatto che "niuno di loro è perito".
se non il figliuol della perdizione,
Con queste parole il Signore indica evidentemente il traditore Giuda. Le troviamo solo un'altra volta nel Nuovo Testamento, applicate "all'uomo del peccato 2Tessalonicesi 2:3, "Figlio di..." è un modo di dire ebraico per indicare che il carattere di un uomo partecipa a quello della persona o cosa di cui lo si dice figliuolo. Così: "figli di Belial", "figli del Diavolo", "figli d'ira", "figliuoli di luce". Il "figliuol della perdizione" dev'essere adunque una persona meritevole di perdizione non solo condannata alla perdizione, ma avente già nel suo carattere tutti gli elementi che a quella conducono. Un tal uomo, benché non sia mai stato dato a Cristo per venir da lui salvato, Iddio pei fini suoi sovrani e sapienti, alcuni dei quali possiamo discernere, lo aveva aggiunto agli apostoli. Egli era stato con loro, facendo parte in apparenza della loro compagnia; ma non è certo quello il senso in cui gli altri apostoli vennero dati a Cristo; anzi essi gli furon dati come gli eletti di Dio, e il vero suo gregge. Gesù non s'ingannò mai sul carattere di Giuda, poiché Giovanni ci dice che "fin dal principio" Gesù conosceva "chi fosse colui che lo tradirebbe" Giovanni 6:64. In varie occasioni, Gesù fece capire a Giuda che ben lo conosceva Giovanni 6:70-71; 13:11. Eppure, strano a dirsi, non pochi commentatori mantengono che Giuda avea principiato coll'essere un vero credente; che egli era stato dato a Gesù nel senso stesso che gli altri apostoli, che il "se non" di questo vers. è una prova indubitabile che si può scadere dalla grazia, e che un uomo, benché convertito dallo Spirito, può ancora perire. Il testo rettamente inteso non dà sostegno alcuno ad una tal dottrina, poiché la particella disgiuntiva, "se non", non indica eccezione, bensì opposizione. Tale è evidentemente il senso nel quale il Signore l'usa in Luca 4:26-27, poiché né la vedova di Sarepta, né Naaman Siro sono eccezioni alle vedove ed ai lebbrosi d'Israele, di cui non facevan parte, ma son mentovati in opposizione ai Giudei e perché pagani, Confr. Matteo 12:4; Luca 6:4; Apocalisse 9:4; 21:27 dove si trova nel medesimo senso". Ryle esprime mirabilmente il nostro modo di vedere quando dice: "Il Signore non intende dire 'Niuno di quelli che mi hai dati, è perduto; ad eccezione del figliuol della perdizione', bensì: 'Io ho conservati quelli che tu mi hai dati, e niun di essi è perito; però un uomo v'ha di perduto, cioè Giuda, il figliuol della perdizione, il quale tu non mi avevi mai dato, che da molto tempo ho dichiarato un diavolo, ed il cui cuore indurito lo conduceva inesorabilmente a perire'. Questa interpretazione è confermata dall'omissione completa, per parte di Giovanni, del nome di Giuda in Giovanni 18:9, quando cioè ripete queste parole di Gesù: "io non ho perduto alcuno di coloro che tu mi hai dati", e ne fa vedere l'adempimento nel fatto che gli undici non vennero arrestati con lui.
acciocché la Scrittura fosse adempiuta.
Giuda è perduto, ma la stessa sua perdita ci dà una nuova prova della missione messianica di Gesù. Se non vi fosse stato alcun traditore fra i dodici, Gesù non sarebbe stato il Cristo, poiché quel tradimento era stato predetto. Il Signore fa evidentemente allusione qui a tre passi dei Salmi, uno dei quali Salmi 41:9 egli stesso aveva applicato a Giuda in Giovanni 13:18: "Colui che mangia il pane meco ha levato contro a me il calcagno", mentre gli altri due Salmi 69:25; 99:8, sono applicati a Giuda da Pietro, quando propone di eleggere un altro apostolo in vece di lui, Atti 1:20. Nella perdizione di Giuda la Scrittura fu adempiuta; ma la causa prima del suo tradimento fu la sua propria pravità. "Sarebbe un argomentare falsamente", dice Calvino, "l'attribuire a Dio, anziché a lui medesimo, la rivolta di Giuda, come se la predizione che ne fu fatta lo costringesse ad agire come fece. Il corso degli eventi non si deve attribuire alla profezia, quasiché i fatti accadessero perché sono stati predetti. I profeti non minacciano nulla che non sarebbe accaduto, anche se non avessero parlato. Non è dunque nelle profezie che dobbiam cercar la causa del peccato di Giuda, come se esse ve lo avessero costretto, bensì nel proprio suo cuore malvagio. "Ascoltando il loro Signore, mentre versava il cuor suo dinanzi al Padre, riguardo ad essi, nelle parole di questo versetto, i discepoli dovettero capire alfine la condotta misteriosa, il tradimento e il destino di Giuda, e sentirsi al tempo stesso consolati, nel sapere che nel loro abbandono verrebbero pur sempre preservati da ogni male.
PASSI PARALLELI
Giovanni 6:37,39-40; 10:27-28; Ebrei 2:13
Giovanni 13:18; 18:9; Luca 4:26-27; 1Giovanni 2:19
Giovanni 6:70-71; 13:18; 2Tessalonicesi 2:3
Salmi 109:6-19; Atti 1:16-20,25
13 13. Or al presente (ma ora) io vengo a te,
Ricordato come aveva protetti i discepoli in terra, il Signore ripete qui le parole di Giovanni 17:11 sia per riprendere il medesimo soggetto, sia per servire d'introduzione a quello che segue:
e dico queste cose nel mondo acciocché abbiano in loro la mia allegrezza compiuta.
Il Signore conferma quel che abbiam detto più sopra, che cioè egli pregava ad alta voce, "tale è il senso di", al Padre, affinché i discepoli capissero e tesoreggiassero nel loro cuore le sue parole, essendo in tal modo fatti partecipi della sua gioia. Egli era, per così dire, in via per tornarsene al Padre, ma trovavasi tuttora in terra. La sua preghiera veniva offerta ancora sulla scena dell'umano conflitto, affinché i discepoli potessero da essa derivare incoraggiamento e forza, e dividere la gioia di cui era egli stesso ripieno. Ed invero non potevano che rallegrarsi al pensiero che il loro Signore tornavasene al Padre suo, e che il Padre stesso li prenderebbe sotto la sua protezione; ma Gesù vuole pure che si rallegrino di quella gioia che era sua in modo affatto speciale, perché prodotta dal compimento dell'opera sua come Mediatore, e questa essi la comprenderanno sempre meglio a misura che faranno dei progressi nel sentirne tutta l'importanza, Confr. Giovanni 15:11; Isaia 53:10,12.
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:1; 13:3; Ebrei 12:2
Giovanni 3:29; 15:11; 16:22-24,33; Nehemia 8:10; Salmi 43:4; 126:5; Atti 13:52; Romani 14:17
Galati 5:22; 1Giovanni 1:4; 2Giovanni 12
14 14. Io ho loro data la tua parola,
E questa una ripetizione della prima parte di Giovanni 17:8, colla differenza che qui abbiamo che significa l'intera rivelazione di Dio, invece di ossia dottrine particolari, in ciascun caso la rivelazione fatta era stata seguita da risultati diversi: in Giovanni 17:8 Gesù parla della loro fede personale, qui dell'odio del mondo per essi, perché quella rivelazione era stata il mezzo di rigenerare il loro cuore, e di renderli in qualche modo conformi alla immagine del loro Signore.
e il mondo li ha odiati, perciocché non son del mondo, siccome io non son del mondo.
Qui abbiamo un'altra ragione per la preservazione dei discepoli, mediante il potere del Padre, ed è che l'aver ricevuto la Parola di Dio, affin di predicarla, li ha fatti odiare dal mondo. Se fossero rimasti nell'oscurità, avrebbero potuto vivere nella fede, senza venir molestati dal mondo; ma predicando nel nome di Cristo, e vivendo secondo il suo esempio, non potevano mancare di essere odiati da quel mondo, che aveva odiato il loro Maestro fin dal principio, "conciossiaché il pensiero e l'affezione della carne sia inimicizia contro a Dio" Romani 8:7, e la progenie del serpente in tutti i tempi ha fatto guerra alla progenie della donna.
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:8
Giovanni 7:7; 15:18-21; Genesi 3:15; Proverbi 29:27; Zaccaria 11:8; Matteo 10:24-25; 1Pietro 4:4-5
1Giovanni 3:12
Giovanni 17:16; 8:23; 1Giovanni 4:5-6; 5:19-20
15 15. Io non chiedo che tu il tolga dal mondo,
Ascoltando questa preghiera di Gesù per la loro preservazione, i discepoli avranno forse pensato che il mezzo migliore di metterli a riparo da ogni male sarebbe stato che egli li conducesse seco nella "casa dalle molte stanze", di cui aveva loro parlato. Ma Cristo e Dio avevano altra cosa in vista per loro; l'opera cui eran chiamati doveva compiersi quaggiù, e questo versetto li ammonisce che non devono aspettarsi di seguire il Signore nella gloria, finché ciascuno individualmente non abbia compiuto l'opera sua. Per la propria loro esperienza cristiana e crescenza in grazia, era necessario che continuassero a "rimanere nella carne"; e ciò era necessario pure per il mondo non convertito, a pro del quale essi dovevano continuare l'opera del loro Maestro. Senza la predicazione degli Apostoli, il mondo non avrebbe ricavato benefizio alcuno dall'opera di Cristo. In questa domanda a Dio di non toglierli dal mondo, v'ha un argomento potente contro la teoria popolare che il segreto della santità consista nel ritirarsi dal mondo, nella solitudine dei romitaggi e dei monasteri. La santità eminente è quella che riporta pubbliche vittorie sul male, non quella che ci fa disertare dal posto assegnatoci da Dio.
ma che tu li guardi dal maligno.
Satana è il "Principe di questo mondo"; "a guisa di leon ruggente, va attorno, cercando chi egli possa divorare" 1Pietro 5:8, epperciò Meyer, Alford ed altri critici moderni sostengono che va considerato come maschile, ed applicato a Satana, qual causa prima ed iniziale del male da cui Gesù richiede che vengano liberati i suoi. Questo è il senso adottato da Diodati, Confr. 1Giovanni 2:13; 3:12. Siccome Cristo era quello nel quale i credenti vivono e si muovono, così il maligno, "il principe di questo mondo" Giovanni 12:31; 16:11, è quello dal quale egli domanda che sieno guardati. La relazione dell'uomo col male e col bene è dunque una relazione personale, Confr. 1Giovanni 4:4. Ma pure ammettendo che in questa preghiera sia inclusa. la protezione contro Satana e i suoi assalti maligni, preferiamo, colla maggioranza dei commentatori, considerar come neutro, cioè indicante il male in astratto, ossia ogni specie di male, e qualunque ne sia la causa. Tal crediamo che sia il significato di quella medesima parola nell'orazione domenicale Matteo 6:13, e tale ne è senza dubbio il senso nelle parole di Paolo a Timoteo: "Il Signore mi libererà da ogni mala opera" 2Timoteo 4:18. Olshausen e Godet osservano entrambi che la preposizione basta a dimostrare che non si può intendere di una persona, ma deve indicare un dominio dal quale uno vien tolto, sicché non dobbiamo pensar qui al gran nemico, ma solo al male in genere. Ryle soggiunge un'altra ragione ed è che in tutta questa preghiera Gesù non mette mai avanti il diavolo, e di più, che aveva parlato fino a quel momento del "mondo" e dell'odio suo pei credenti, non già del diavolo.
PASSI PARALLELI
Salmi 30:9; Ecclesiaste 9:10; Isaia 38:18-19; 57:1; Luca 8:38-39; Filippesi 1:20-26
Genesi 48:16; 1Cronache 4:10; Salmi 121:7; Matteo 6:13; Luca 11:4; Galati 1:4; 2Tessalonicesi 3:3
2Timoteo 4:8; 1Giovanni 5:18
16 16. Essi non son del mondo, siccome io non sono del mondo.
Queste parole son ripetute da Giovanni 17:14, e la loro ripetizione conferma l'opinione che egli è dal "male esistente nel mondo" che Gesù vuol preservati i suoi. Questo vers. forma la transizione dalla prima domanda di Gesù pei suoi discepoli alla seconda, e ne contiene i motivi. I discepoli più non aveano il loro principio vitale nel mondo ma, come Cristo, e per lui, derivavano la vita loro dal Padre. Cristo aveali sollevati a quella sfera medesima di santità in cui egli viveva, epperciò richiede per essi perfezione in santità e consacrazione completa all'opera sua.
17 17. Santificali nella tua verità; la tua parola è verità.
Il verbo "santifica", ha un senso alquanto diverso nell'Antico e nel Nuovo Testamento, ma qui li riunisce entrambi. La parola ebraica per "santificare", è generalmente usata nel senso di "mettere da parte", o "consacrare ad un ufficio". Così i sacerdoti eran detti "santificati", quando venivan messi da parte, mediante l'unzione ed altri riti, per il servizio di Dio nel tempio. Tal consacrazione Gesù dice averla ricevuta egli pure dal Padre, prima di venir quaggiù: "Il quale il Padre ha santificato e ha mandato nel mondo" Giovanni 10:36, e qui domanda lo stesso pei discepoli: sieno essi pure separati dal mondo, e dedicati al servizio di Dio. Nel Nuovo Testamento pur includendo la consacrazione al servizio di Dio, significa più specialmente "render puro", "nettare dal peccato", "il perfezionare in santità", e perciò pure Gesù domanda che i suoi "sieno dotati di divina illuminazione, di potenza, coraggio, amore, purezza, gioia, contentamento; ispirazione, per la dimora in essi dello Spirito" (Meyer). Dobbiam quindi notare qui, che mezzo od elemento di questa santificazione è la verità: "nella tua verità", cioè nella verità rivelata proveniente dal Padre, incarnata nel Figlio, e da questi proclamata al mondo. In tal verità viene il credente introdotto, da tal verità egli è tramutato; imperocché la verità non è solo la potenza da cui è mosso internamente, è l'atmosfera nella quale ci vive. Così il Signore domanda che i suoi sien fatti progredire in santità, mediante l'azione ogni dì più diretta ed efficace della verità sui loro cuori, sulla loro coscienza, e sulla loro vita interna, e ciò opera lo Spirito. Per prevenire ogni possibile errore, Gesù definisce nella seconda parte del vers. che cosa intende per la verità: "la tua parola è verità". Egli è l'intero suo l'insegnamento, da lui ricevuto direttamente dal Padre, al quale allude in Giovanni 17:8,14, che egli chiama qui la tua parola, ed egli prega affinché i discepoli sieno santificati per esso. La parola è il potente strumento dello Spirito, per l'interna santificazione dei credenti, e benché lo Spirito non venga in questo versetto indicato per nome sarebbe stato strano che, in una preghiera avente per oggetto la gloria di Dio, nella salvazione degli uomini, per strumentalità degli Apostoli, non fosse detto verbo di quella consacrazione mediante lo Spirito, che doveva prepararli ai loro altissimi doveri; ma la troviamo chiaramente indicata qui.
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:19; 8:32; 15:3; Salmi 19:7-9; 119:9,11,104; Luca 8:11,15; Atti 15:9
2Corinzi 3:18; Efesini 5:26; 2Tessalonicesi 2:13; Giacomo 1:21; 1Pietro 1:22-23
Giovanni 8:40; 2Samuele 7:28; Salmi 12:6; 19:7; 119:144,151-152; Efesini 4:21
2Timoteo 2:25-26
18 18. Siccome tu mi hai mandato nel mondo, io altresì li ho mandati nel mondo.
In questo e nel seguente vers. il Signore mette avanti due ragioni per le quali domanda la consacrazione dei discepoli. La prima si è averli egli mandati nel mondo per un'opera speciale; la seconda, esser egli in sul punto di consacrarsi ad una morte espiatoria, affinché essi possano venir santificati per quell'opera, mediante la verità. Si può chiedere come mai Gesù li mandasse nel mondo, poiché nel mondo essi trovavansi già. La risposta è facile. Per non dir nulla del mandato loro affidato prima, Gesù aveva innalzato i suoi discepoli ad una sfera di vita spirituale ben superiore a quella del mondo Giovanni 17:16, cioè alla comunione seco lui, ed è da quella sfera che, ora li manda in mezzo ad un mondo che giace nel maligno, per avanzarvi la sua gloria e quella del Padre. Essi stavano al Figlio nella relazione medesima in cui egli stava al Padre suo. Come il Padre aveva mandato il Figlio per rivelar la sua gloria; così il Figlio manda gli apostoli a compier l'opera medesima che il Padre aveva affidata a lui. Essi dovranno rivelare il Padre, come aveva fatto e li stesso, e far conoscere ad un mondo ribelle la medesima verità e il medesimo amore eterno. Perciò appunto occorreva loro quella consacrazione stessa che egli già aveva ricevuta. Anche qui Gesù parla al tempo passato, come se la morte sua fosse già un fatto compiuto, ma pochi giorni dopo egli ripeté le medesime parole ai discepoli Giovanni 20:21, poi rinnovò loro il sublime mandato: "Ogni podestà mi è data in cielo ed in terra. Andate adunque, ed ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo" Matteo 28:18-20; Marco 16:15; Luca 24:49.
PASSI PARALLELI
Giovanni 20:21; Isaia 61:1-3; Matteo 23:34; 2Corinzi 5:20; Efesini 3:7
19 19. E per loro santifico me stesso;
Ecco la seconda ragione colla quale Gesù appoggia la sua preghiera di Giovanni 17:17: egli sta per santificare sé medesimo a pro dei suoi. Or siccome egli è, qual Dio, assolutamente santo, e, qual uomo, "santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori" Ebrei 7:26, è chiaro che la parola "santificare" "deve aver qui solo il senso che aveva nell'Antico Testamento: Gesù cioè consacra sé stesso ad una morte espiatoria, mediante la quale solamente poteva il popolo suo venir convertito, fatto santo, e condotto a consacrarsi al servizio di Dio. Una tal consacrazione implica quella santità personale che è indispensabile al suo carattere ed all'opera sua, qual sacrificio, apostolo e sommo sacerdote del suo popolo Ebrei 7:26-27; 9:14. Non occorre dunque dare qui, come fa Godet, a "santificare" il senso di "costringere del continuo la sua natura umana all'ubbidienza". Olshausen spiega la cosa in modo molto soddisfacente col dire: "La sola differenza fra la santificazione di Cristo e quella dei suoi discepoli si è, che per Cristo "santificare significa unicamente consacrare, mentre pei discepoli, all'idea di consacrazione, si aggiunge il concetto di una purificazione che deve precedere quella, imperocché non essi, ma quel che v'ha di santo in essi, può venir da Dio accettato come offerta". Questa spiegazione toglie interamente la difficoltà di dar due sensi alquanto diversi alla medesima parola nel medesimo versetto. "Per illustrare sempre più l'immensa differenza che passa fra la santificazione del Maestro e quella dei discepoli", dice il dott. D. Brown, "notiamo che Gesù non dice: 'santifico me stesso per la verità', ma semplicemente: 'santifico me stesso', cioè: 'mi consacro da me'. Di più, quando dice di 'santificarsi per essi', non aggiunge che essi debbano santificarsi per altri, benché anche questo sia vero in senso secondario, ma semplicemente 'acciocché essi ancora sieno santificati in verità'. Così parlando di cosa che mette i suoi nella più intima e più felice unione con sé medesimo, in una comune santificazione, Gesù chiaramente distingue fra essi o lui, in quella santificazione stessa".
acciocché essi ancora sieno santificati
Ciò che Cristo domanda primieramente per gli undici, quindi per tutti i credenti, si è che, mediante la sua consacrazione di sé medesimo qual sacrificio per il peccato, le colpe loro sieno espiate, ed essi sien fatti liberi così dalla contaminazione come dal potere del peccato, divenendo santi ed atti al servizio di Dio. La vera santificazione degli eletti procede dalla consacrazione fatta da Cristo di sé medesimo, non solo perché vien loro imputato il merito delle sue sofferenze, facendoli così comparire senza crespa né macchia dinanzi a Dio, ma pure perché la virtù della sua morte e del suo sacrificio vien loro applicata per purificarli internamente.
in verità.
Mancando qui nel greco l'articolo dinanzi al nome "verità", Diodati, Crisostomo, Lutero, Calvino, Beza ed altri intendono questa parola nel senso di "realmente, veramente", quasiché Gesù chiedesse che i suoi discepoli sieno "veramente santificati" e non solo con quelle santificazioni rituali cui i Giudei erano avvezzi. Ma siccome in 2Giovanni 3 e in 3Giovanni 3-4, questo medesimo evangelista parla di "camminare in verità", senza l'articolo, e certamente il senso non può essere "camminare veramente", bensì dev'essere "camminar nella verità dell'Evangelo" ci sembra che tale sia pure il senso da adottarsi in questo passo, dove certamente il Signore esprime il medesimo pensiero che in Giovanni 17:17.
PASSI PARALLELI
Isaia 62:1; 2Corinzi 4:15; 8:9; 1Tessalonicesi 4:7; 2Timoteo 2:10
Giovanni 10:36; Geremia 1:5; 1Corinzi 1:2; Ebrei 2:11; 9:13,18,26; 10:5-10,29
Giovanni 17:17; Tito 2:14
Giovanni 17:20-26
20 Gesù prega per la Chiesa universale, per tutti quelli che crederanno in lui fino alla fine del mondo. Conclusione, Giovanni 17:20-26
20. Or io non prego sol per costoro, ma ancora per coloro che crederanno in me
Comincia qui la terza parte di questa preghiera d'intercessione. Dopo aver raccomandato a Dio l'autore e gli strumenti dell'opera della salute, Gesù prega ora per quelli che ne sono gli oggetti, ossia per l'intero corpo dei credenti. Il senso di queste prime parole si è: "Domando le medesime benedizioni e per le ragioni medesime, per tutti quelli i quali saranno condotti, dalle parole degli apostoli, a credere in me". Nel testo ricevuto abbiamo qui il participio futuro, quelli che crederanno", ma i manoscritti più autorevoli portano il presente, "quelli che credono". Il senso però è futuro, poiché questi non potevano ancora aver creduto. Abbiamo qui un presente profetico; Gesù parla, come avendo già dinanzi agli occhi "la turba grande, che niuno può annoverare" Apocalisse 7:9, la quale, dopo averlo servito in terra, dividerà la sua gloria in cielo.
per la lor parola.
La parola che nella bocca degli apostoli doveva convertire il mondo non era parola loro, ma la testimonianza stessa di Dio, loro dichiarata da Cristo. Il Signore aveva detto loro poco prima: "Lo Spirito di verità vi guiderà in ogni verità, perciocché egli non parlerà da sé stesso, ma dirà tutte le cose che avrà udite Giovanni 16:13, e due volte già in questa stessa preghiera, egli aveva dichiarato esser quella parola di origine divina: "Io ho loro data la tua parola"; "essi hanno osservata la tua parola" Giovanni 14:6. Avendo adunque gli apostoli ricevuto la loro missione da Cristo, come egli l'avea ricevuta dal Padre Giovanni 17:18, ne segue che i loro scritti, abbiano essi per argomento i fatti della storia di Gesù o le dottrine morali e religiose che da quei fatti derivano, o in altri termini così i Vangeli come le Epistole, sono la parola autorizzata di Cristo e di Dio, e per conseguenza non deve esser ricevuta qualsiasi tradizione che non sia confermata dalla parola scritta; imperocché le tradizioni son cose mutevoli e facilmente falsificate, epperciò non meritevoli di fiducia. Non si può veramente conoscer Cristo ed andare a lui che mediante la sua parola, sia d'essa predicata dagli apostoli, o dai continuatori dell'opera loro. Oggidì certe frazioni della Chiesa dànno grande importanza alla cosiddetta successione apostolica, la quale consisterebbe in una misteriosa ed ininterrotta trasmissione della ordinazione per imposizione delle mani, e dello Spirito Santo, fatta unicamente da papi, patriarchi e prelati; ma questa non ha altra origine che l'orgoglio umano, ed è in contraddizione coll'umiltà che Cristo domanda dai suoi servitori Matteo 20:27 e col suo insegnamento in questo versetto, secondo il quale l'unica successione apostolica consiste nella fedele predicazione di quella parola per cui sola l'uomo può esser salvato. "La fede vien dall'udito"; epperciò la Chiesa che mette i sacramenti al disopra della predicazione non può venir da Dio benedetta, poiché rigetta l'ordine divino. "Guai ai papisti", scrive Calvino, "che non si vergognano di bestemmiare, dicendo che la Bibbia non contiene se non cose ambigue, che possono venir voltate in qualsiasi modo, rimanendo loro per sola guida la tradizione della Chiesa! Ricordiamoci che il Figliuol di Dio, unico giudice competente, approva solo quella fede che è derivata dalla dottrina degli apostoli".
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:6-11; Efesini 4:11
Atti 2:41; 4:4; Romani 15:18-19; 16:26; 2Timoteo 1:2
21 21. Acciocché tutti sieno una stessa cosa, come tu, o Padre, sei in, me, ed io sono in te; acciocché essi altresì sieno una stessa cosa in noi; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
Abbiam qui tre cose una preghiera per la unità dei credenti; un modello di quella unità; lo scopo che essa deve conseguire. Il "tutti" di questo versetto include, come in Giovanni 17:20, gli apostoli e quelli che già avevano creduto, o nell'avvenire crederanno in Cristo, per la loro parola. La grazia richiesta è una santa unione fra i credenti medesimi; ma per comprendere in che essa consista, dobbiam volgere primieramente la nostra attenzione al modello che ce ne vien dato, cioè all'unità del Padre e del Figliuolo. È chiaro non trattarsi qui della unità di essenza fra le persone divine, perché tale unità l'uomo non può né comprenderla, né realizzarla, bensì di unità di interesse in tutto ciò che appartiene alla salvazione dei peccatori ed alla gloria di Dio. L'unità di pensiero, di sentimento, di scopo, di azione, di interesse insomma nelle cose della salute, unità quale esiste fra il Padre ed il Figliuolo, quella, nella quale Gesù domanda che vivano i suoi. Non è uniformità esterna ed universale di culto e di riti, come credono molti; ma unione di vita spirituale, unione di fede nel medesimo Salvatore, di amore al suo nome benedetto, di speranza nel suo glorioso ritorno. È unione prodotta dalla dimora in tutti i credenti ugualmente di quello Spirito che procede così dal Padre come dal Figlio, che li insegna li vivifica, e dà loro un medesimo carattere, un medesimo desiderio di venir liberati dal peccato e da Satana, separati dal presente mondo malvagio, consacrati al servizio di Cristo ed alla gloria di Dio. E unione nel testimoniare in sulla terra per la verità e la giustizia, e nel partecipare a tutte le benedizioni spirituali in Cristo Gesù. Tale è la sostanza della domanda; vediamone ora il fine o lo scopo. È questo l'effetto che quella unione dei credenti nel Padre e nel Figliuolo produrrà sul mondo tuttora immerso nelle tenebre della incredulità: "affinché il mondo creda che tu mi hai mandato". La cospicua ed innegabile unione dei discepoli nella loro vita spirituale, in carità e santità, costringerà il mondo a credere nella divina missione di Cristo, e aggiungerà alla Chiesa moltitudini di salvati. Questo versetto ed i seguenti provano che in Giovanni 17:9, parlando del "mondo" il Signore non intendeva i reprobi, i non eletti, "i vasi dell'ira composti alla perdizione" Romani 9:22, pei quali non avrebbe potuto pregare, poiché qui egli supplica il Padre affinché, mediante la visibile unità spirituale dei credenti, "il mondo", tuttora non convertito, sia condotto a riconoscerlo ed, a crederlo quale mandato dal Padre, e così venga salvato. Benché in quel momento il mondo lo rigettasse e si preparasse a crocifiggerlo, Gesù guardava innanzi con fiducia al tempo in cui quel mondo medesimo riconoscerebbe, nella unione dei suoi discepoli, la sua divina potenza, ed al tempo stesso la sua divina missione. Quando tutti i cristiani saranno uniti di mente e di cuore fra loro, nonché col Padre e col Figlio, come dovrebbero essere, la conversione del mondo non sarà più molto distante. Anche ora, ad onta di tanti difetti ed imperfezioni, l'unità dei credenti, in Cristo e nella loro testimonianza per lui, produce sul mondo una impressione che diverrà più marcata e più efficace a misura che spariranno le loro divergenze sopra punti di minore importanza. Egli è in risposta a questa preghiera che il mondo è già stato, fino ad un certo punto, convertito nei tempi passati, e quando essa sarà totalmente esaudita, gli operai non verranno meno alla ricolta.
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:11,22-23; 10:16; Geremia 32:39; Ezechiele 37:16-19,22-25; Sofonia 3:9; Zaccaria 14:9
Atti 2:46; 4:32; Romani 12:5; 1Corinzi 1:10; 12:12,25-27; Galati 3:28; Efesini 4:3-6
Filippesi 1:27; 2:1-5; Colossesi 3:11-14; 1Pietro 3:8-9
Giovanni 5:23; 10:30,38; 14:9-11; Filippesi 2:6; 1Giovanni 5:7
Giovanni 13:35
22 22. Ed io ho data loro la gloria che tu hai data a me, acciocché sieno una stessa cosa, siccome noi siamo una stessa cosa.
Ecco un secondo argomento sul quale Gesù fonda la sua preghiera per la unità dei discepoli: esso consiste in ciò che egli stesso ha già fatto per essi, dando non solo agli apostoli, ma pure ai credenti di tutti i tempi, "la gloria che il Padre aveva data a lui". Qual, è quella gloria? Non quella di certo che egli possedeva come Dio, della stessa natura del Padre, perché quella è gloria eterna e non derivata è gloria che non gli poteva venir data, ma che egli possedeva in virtù della sua deità; è gloria che non può venir posseduta da chi non è Dio. Su questa risposta negativa, l'accordo è generale, ma v'ha gran divergenza di opinioni quando si tratta di sapere in che quella gloria positivamente consista. Crisostomo la definisce la gloria dell'ufficio apostolico e dei doni miracolosi: spiegazione inaccettabile, poiché trattasi qui di un dono fatto, non ai soli apostoli, ma ai credenti tutti, in ogni età. Agostino, Ecolampadio, Bullinger, Manton, Meyer e Luthardt credono che sia la gloria del regno dei cieli e della immortalità, già promessa quaggiù e di cui i credenti godranno appieno quando sarà compiuto il terrestre loro servizio. Per Calvino è la gloria di Dio impressa come un suggello sui credenti, mediante l'immagine in essi realizzata di Cristo. Webster e Ryle l'intendono dello Spirito Santo; Hengstenberg della partecipazione dei credenti alla unità del Padre e del Figliuolo. Per Milligan è l'amore che sacrifica sé stesso; per Godet è la dignità dell'adottazione; per Stier l'unione stessa dei credenti; per il Dott. J. Brown è l'onore di manifestare il nome del Padre e predicarne la parola. A tutte quelle spiegazioni preferiamo quella del Dott. D. Brown, secondo il quale questa gloria comprende "tutto ciò che Gesù ha ricevuto dal Padre nella sua qualità di Redentore incarnato e di Capo del suo popolo, cioè la gloria di venire accettato come "agnello immacolato, la gloria di un libero accesso al Padre, e il diritto di esser da lui sempre esaudito, la gloria dello Spirito dimorante nel cuore e santificante la vita, la gloria dell'aiuto divino per vincere il peccato, la morte e l'inferno, e finalmente la gloria di ereditare ogni cosa. "Tutta questa gloria, il Padre l'aveva data al Figliuolo, quando questi s'incarnò, e Gesù dichiara di averla già data ai credenti, come una presente eredità, e come il mezzo di giungere a quella unione fraterna, che doveva somigliare alla unione divina.
PASSI PARALLELI
Giovanni 1:16; 15:18-19; 20:21-23; Marco 6:7; 16:17-20; Luca 22:30; Atti 5:41
Romani 15:15-20; 2Corinzi 3:18; 5:20; 6:1; Efesini 2:20; Filippesi 1:29; Colossesi 1:24
2Tessalonicesi 1:5-10; Apocalisse 21:14
Giovanni 14:20; 1Giovanni 1:3; 3:24
23 23. Io in loro, e tu in me; acciocché essi sieno compiuti in una stessa cosa;
Omettiamo il "sono" due volte introdotto in questa frase da Diodati, perché non si trova nel greco, e rompe il nesso con quanto precede. Imperocché questo versetto non forma una nuova proposizione, ma è piuttosto una parentesi, o, come dice Meyer, una spiegazione, in forma di apposizione, della frase precedente: "Noi siamo una stessa cosa". Tutto questo versetto, eccetto l'ultima clausola, è stato detto già in sostanza, e lo scopo del Signore nel ripeterlo è di dare un incoraggiamento di più ai discepoli, facendo loro chiaramente intendere, non solo la grazia nella quale erano introdotti, ma pure il modo nel quale doveva compiersi quella unità. Ne avea parlato più sopra semplicemente come di "unità nel Padre e nel Figliuolo"; qui abbiamo una enumerazione di gradi che ci fa capir meglio in che essa consista:
1. Il Padre dimora nel Figliuolo incarnato: "Tu in me; "
2. Il Figliuolo dimora nei credenti: "Io in loro".
3. Siccome Cristo ed il Padre sono inseparabilmente uno, ed i credenti in Cristo sono inseparabilmente uniti con lui, il Signore prega per il risultato naturale che ne deve seguire, cioè che i credenti "sieno compiuti in una stessa cosa", o in altre parole perché l'unità divina si riproduca in terra.
e acciocché il mondo conosca (non ad un tratto, ma gradatamente) che tu mi hai mandato, e che tu li hai amati, come tu hai amato me.
Duplice sarà sul mondo l'effetto della unione dei credenti. Un primo effetto era già stato accennato in Giovanni 17:21: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato; Gesù lo ripete qui, sostituendo "conosca" a "creda", il che ci dà un insegnamento di più: il mondo non sarà solo condotto a credere nella missione divina di Cristo, ma pure a riconoscerla, e siccome questo termine include la convinzione forzata dei ribelli, non meno che la fede dei credenti, esso c'insegna che la testimonianza unita dalla Chiesa resa a Cristo costringerà il mondo in generale a riconoscere il vero Dio ed a venire alla vita eterna. Ma l'ultime parole di questo versetto annunziano un secondo frutto della unione dei credenti, non ancora rivelato fin qui: "che tu li hai amati, come tu hai amato me". L'amor, di cui Cristo qui si dichiara l'oggetto, non è l'amore essenziale del Padre per il Figliuolo, a cui nessuna creatura può aver parte, ma l'amore del Padre per il Figlio incarnato, qual mediatore e capo dei suoi redenti. Ma chi sono gli "gli", che il Padre ama? Possono essere il mondo, o i credenti che sono gli strumenti della sua conversione. Il primo senso è buono, ed esprime una verità importante, in armonia colla nota parola: "Dio ha tanto amato il mondo" ecc. e con quell'altra: "Iddio non ha mandato il suo Figliuolo nel mondo, acciocché condanni il mondo, anzi, acciocché il mondo sia salvato per lui" Giovanni 3:16-17. Ma la costruzione grammaticale non favorisce una tale interpretazione. E dunque da adottarsi la seconda, cioè che l'unità dei credenti, e il successo che ne seguirà per l'opera affidata loro da Cristo convincerà il mondo non solo della missione divina del Redentore, ma pure che i credenti sono per parte del Padre oggetto di un amore simile a quello che egli porta al Figliuolo stesso. "Questa unità", dice Brown, l'ispirerà al mondo, anche come tale, una convinzione irresistibile che Cristo e i cristiani sono ugualmente di Dio; e quella convinzione radicandosi nel cuore di alcuni, li farà arrendersi prigioni volonterosi dell'amore di quel Dio che, mediante il suo Figliuolo, ha mandato salvazione ad un mondo perduto. "Ma se anche tale non sarà il risultato per tutti quelli che non lo confessano in fede, dovranno pur confessare con propria vergogna, che colui che essi avranno rigettato era amato dal Padre, e che egli ha radunato il popolo suo nella medesima unità di amore. Benché i discepoli non lo potessero capire, se non imperfettamente, deve essere stato per essi di sommo conforto l'udire il Maestro loro parlare con tale accento di fiducia di aver dato loro la gloria che aveva ricevuta dal Padre, affinché il mondo potesse esser convertito, e convinto esser dessi partecipi con lui dell'amore del Padre. A proposito di questa unione così ardentemente domandata da Cristo, importa notare che egli non ebbe in vista nessuna Chiesa particolare o visibile, né uniformità, di riti o di dottrina; bensì quella vera e spirituale unità dei cuori che esiste innegabilmente fra tutti i membri di Cristo a qualunque Chiesa o denominazione appartengono. Le divisioni esterne dei cristiani di nome non hanno grande importanza; quello che nuoce profondamente alla causa dell'Evangelo sono le divisioni fra i veri credenti.
PASSI PARALLELI
Giovanni 6:56; 14:10,23; Romani 8:10-11; 1Corinzi 1:30; 2Corinzi 5:21; Galati 3:28; 1Giovanni 1:3
1Giovanni 4:12-16
Efesini 4:12-16; Filippesi 3:15; Colossesi 1:28; 2:2,9-10; 3:14; 1Pietro 5:10
Giovanni 13:35
Giovanni 17:24; Efesini 1:6-14; 1Giovanni 3:1; 4:19
24 24. Padre, io voglio che, dove son io, sieno ancor meco coloro che tu mi hai dati,
Dopo aver chiesto pei suoi redenti, conservazione, santificazione ed unità, il Signore conchiude ora la sua preghiera domandando che sien fatti essi pure partecipi di quella sua gloria eterna che già avea pro messa agli undici Giovanni 14:2. Il verbo "voglio", secondo alcuni esprime un vivo desiderio, come quello dei figli di Zebedeo Marco 10:35, ma secondo noi dice più assai; è una do manda basata sopra un suo innegabile diritto, come uguale al Padre, nonché sull'opera sua espiatoria, e fatta in virtù della potenza conferitagli dal Padre. È notevole qui la maestà del linguaggio di Cristo. Questa espressione unica, corrisponde ad una situazione unica essa pure. Cristo depone la sua ultima volontà o il suo testamento nelle mani del Padre, facendo di lui il suo esecutore testamentario, certo che esso era in ogni punto conforme alla volontà divina. Osserva Bengel: "Nei vers. di Giovanni 17:9:15,20 egli avea detto 'domando'; qui il suo parlare cresce in forza, e deve interpretarsi 'io voglio', perché 'io desidero' sarebbe una traduzione troppo debole". Le persone a pro delle quali questa domanda è fatta sono "coloro che tu mi hai dati". "coloro, masch. plur.", del testo ricevuto, Tregelles, Tischendorff e Meyer sostituiscono "quello che, neutro sing.", come la vera lezione e traducono: "quello che tu mi hai dato... sieno con me", Vedi nota Giovanni 6:37; ma Lachmann, D. Brown ed altri rigettano quella lezione come non abbastanza giustificata. Il luogo che Gesù ha qui in vista è il cielo Atti 1:11; che descrive colle parole: "dove son io". Con piena fiducia parla come se già fosse in possesso della gloria infinita, illimitata che lo aspetta nel cielo alla destra del Padre, e vuole i suoi ivi riuniti a sé dintorno, come parte "dell'universale raunanza", e della "Chiesa dei primogeniti" Ebrei 12:23. Dice il dott. J. Brown: "Nessuno può leggere le Scritture con semplicità di mente, senza restare persuaso che il cielo è una località speciale, e che Gesù vi si trova presente, benché sia inutile cercare dove sia quel luogo, essendo impossibile saperlo". La sapienza divina non ci permette di conoscere appieno per ora lo stato nostro futuro; ma queste parole: "dove son io, "ed altre consimili: "oggi tu sarai meco in paradiso" Luca 23:43, "partire di quest'albergo ed essere con Cristo" Filippesi 1:23, "saremo sempre col Signore" 1Tessalonicesi 4:17, molto ci dicono sulla futura dimora dei credenti. Essi saranno là dove il loro Signore medesimo si diletta di essere, dove trova la gioia dell'anima sua; dove contempleranno la gloriosa sua faccia ed udranno la sua voce giuliva; dove non ci sarà più né separazione, né morte. Quanto dice quella piccola parola "meco!" Ci accerta che non solo saremo nel medesimo luogo con Cristo, ma che ivi vivremo in intima e cara comunione con lui, senza venirne mai più separati, e tal comunione col Figlio implica pure comunione col Padre. Quindi Gesù enuncia la sostanza di quanto domanda per il popolo suo riunito in cielo:
acciocché veggano la mia gloria, la quale tu mi hai data;
Quest'ultime parole: "la quale tu mi hai data" precisano di qual gloria si tratta. Essa non è, come Godet mantiene, la sua gloria essenziale, la gloria della sua personalità divina, imperocché quella non potevagli venir data; ma la sua gloria qual Capo incarnato del popolo suo, ossia le perfezioni che appartenevagli nel suo carattere ufficiale di Mediatore fra Dio e l'uomo, di Salvatore vittorioso della umanità. Questa gloria, già accennata in Giovanni 17:22 fu quella che gli venne data dal Padre, al suo ritorno dalla terra in cielo, e consiste "nella assoluta perfezione morale di quella natura umana che egli aveva assunta, all'incarnazione, in unione alla sua natura divina, nella santità immacolata del suo carattere, nella sua sempre vittoriosa intercessione, nella esaltazione della sua natura umana al trono dell'universo, nella comunicazione dei benefizi della salute a moltitudini, le quali, senza di essa, sarebbero perite per sempre. È la manifestazione della sapienza, della santità e dell'amore più perfetti, nell'opera meravigliose affidata alle sue mani" (Dott. J. Brown). La precipua sua gloria, Cristo la deriva senza dubbio dall'opera che ha compiuta nel nostro mondo perduto, ed è perché, contemplino in eterno questa sua gloria che egli vuole per sempre seco in cielo i suoi redenti. Una tal contemplazione deve reagire su di loro, rendendoli essi pure gloriosi. "Noi tutti, contemplando a faccia scoperta, come in uno specchio, la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria 2Corinzi 3:18; e lo stesso Giovanni, 1Giovanni 3:2, dice: "Sappiamo che quando egli sarà apparito, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è".
perciocché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
Vorrebbero alcuni unire queste parole a quelle che le precedono immediatamente, facendo di quell'amore la causa della gloria di cui parla il Signore in questo versetto; ma siccome ciascuna delle precedenti domande era accompagnata da un argomento che serviva loro di base, par più naturale di prender questa clausola nel senso medesimo, cioè come una ragione che Gesù dà in appoggio della sua preghiera che i suoi redenti sieno con lui per contemplare la sua gloria. Dio lo ha amato non solo perché egli possedeva insieme con lui ogni eccellenza ma pure perché era il suo strumento eletto per la salvezza dell'uomo. "Queste parole" dice Westcott, "implicano la preesistenza personale di Cristo. Il pensiero di un amore eterno, che agisce nelle profondità dell'Essere divino, ci presenta forse quanto possiamo comprendere della dottrina della essenziale Trinità". Fu quell'amore "ab eterno, dal principio, avanti che la terra fosse" Proverbi 8:23, che indusse il Padre a scegliere il figliuolo qual Salvatore degli uomini, promettendogli un sacerdozio eterno, un regno senza fine, ed una innumerevole posterità. Ed è a quell'amore, di cui godeva sino avanti alla fondazione del mondo, che il Signore fa ora appello, affinché la sua volontà sia adempiuta, ed il popolo suo, riunito intorno a lui nei luoghi celesti Efesini 1:20, possa contemplare in eterno la sua gloria.
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:11; Isaia 45:21; Romani 3:26
Giovanni 8:19,55; 15:21; 16:3; Matteo 11:27; Luca 10:22; Atti 17:23; 26:18; Romani 1:28
Romani 3:11; 1Corinzi 1:21; 15:34; 2Corinzi 4:4; Galati 4:8-9; 2Tessalonicesi 1:8; Ebrei 8:11
1Giovanni 5:19-20; Apocalisse 13:8
Giovanni 1:18; 5:19-20; 7:29; 10:15
Giovanni 17:8; 6:19; 16:27,30; Matteo 16:16
25 25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto; ma io ti ho conosciuto, e costoro hanno conosciuto che tu mi hai mandato.
Col versetto 24, terminano le domande di questa meravigliose preghiera di intercessione, e i due ultimi versetti del capitolo contengono, a mo' di conclusione, una dichiarazione di Gesù relativamente al passato, al presente, ed all'avvenire della grande opera affidatagli dal Padre. Qui di nuovo il Signore domanda che i suoi redenti sieno fatti partecipi di quell'amore del quale egli stesso era amato. In Giovanni 17:11, il Signore dava al Padre il qualificativo di "Santo", perché allora desiderava che l'attributo divino della santità si esercitasse a pro dei suoi discepoli; qui lo chiama "Padre giusto", perché, mettendo in opposizione il mondo ed i suoi discepoli fa appello alla giustizia di suo Padre, affinché faccia una distinzione fra il mondo che avrebbe potuto, ma non ha voluto, conoscere Iddio, e quelli i quali, insegnati da lui, conoscevano il Padre e ne procacciavano la gloria. È dunque appropriata questa menzione della giustizia divina. Prima delle parole: "il mondo non ti ha conosciuto "trovasi nel greco la congiunzione "e"; ma la Vulgata, Diodati, Martini, Ostervald, Lutero e la versione inglese non ne hanno tenuto conto. Ma siccome il è ripetuto dinanzi alla seconda clausola: "e costoro ti hanno conosciuto", è evidente che sono in antitesi l'uno all'altro, e ci par che si debbano tradurre così: "Benché il mondo non ti abbia conosciuto, questi però ecc.".
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:11; Isaia 45:21; Romani 3:26
Giovanni 8:19,55; 15:21; 16:3; Matteo 11:27; Luca 10:22; Atti 17:23; 26:18; Romani 1:28
Romani 3:11; 1Corinzi 1:21; 15:34; 2Corinzi 4:4; Galati 4:8-9; 2Tessalonicesi 1:8; Ebrei 8:11
1Giovanni 5:19-20; Apocalisse 13:8
Giovanni 1:18; 5:19-20; 7:29; 10:15
Giovanni 17:8; 6:19; 16:27,30; Matteo 16:16
26 26. Ed io ho loro fatto conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere ancora, acciocché l'amore, del quale tu mi hai amato, sia in loro, ed io in loro.
Il Signore ripete in conclusione quanto aveva detto già nei versetti di Giovanni 17:6,8,14,22, relativamente all'insegnamento che egli stesso aveva dato ai discepoli, riguardo al nome, al carattere, alla volontà ed agli attributi di Dio, e dichiarando che continuerebbe a darlo loro. Siccome ciò non può voler dire che intendeva continuare il suo ministero personale in terra, dobbiamo intenderlo dell'insegnamento dello Spirito che egli stava per mandare ai suoi, e che li doveva guidare in ogni verità. Non v'ha dubbio che questa promessa sarà pure adempiuta riguardo ai ministri di Gesù in tutti i tempi; però osserviamo che si riferisce primieramente agli Apostoli, ai quali Gesù dichiara che già avea fatto loro conoscere il Padre. Le ultime parole del versetto dichiarano lo scopo di Gesù in queste ulteriori rivelazioni del Padre: egli vuole cioè che, vivendo sotto l'influenza di tale rivelazione, "cercando primieramente il regno di Dio" in sé stessi, quindi negli altri, ottengano ognor crescenti manifestazioni dell'amore del Padre, ed egli stesso sia in loro, operando in essi tutte le loro opere. In ogni età, più i discepoli conosceranno internamente la profondità e la larghezza della verità divina loro comunicata, più saranno trasformati da essa, e più diverranno degni dell'amore di Dio. Egli è quando "l'amor di Dio è sparso nei nostri cuori per lo Spirito Santo" Romani 5:5, che lo riconosciamo come essendo il medesimo amore del quale il Padre ha amato il Figliuolo. Le osservazioni seguenti di Plummer formano una conclusione molto appropriata a queste note: "Le ultime parole di questa preghiera: 'io in loro', la riassumono tutta. Sono il filo direttivo dell'insieme di questi ultimi discorsi del Signore". Egli se ne va; eppur resta con loro; cessa la sua presenza corporea, ma la sua presenza spirituale rimane per sempre; non è visibile all'occhio, ma la si sente come una forza ed una vita interna. "Avvegnaché abbiam conosciuto Cristo secondo la carne, pur ora non lo conosciamo più. Se dunque alcuno è in Cristo, egli è nuova creatura" 2Corinzi 5:16-17.
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:6; 8:50; 15:15; Salmi 22:22; Ebrei 2:12
Giovanni 14:23; 15:9; Efesini 1:6,22-23; 2:4-5; 5:30,32; 2Tessalonicesi 2:16
Giovanni 17:23; 6:56; 14:20; 15:4; Romani 8:10; 1Corinzi 1:30; 12:12; Galati 2:20; Efesini 3:17
Colossesi 1:27; 2:10; 3:11; 1Giovanni 3:24; 4:13-14
RIFLESSIONI
1. Il strana invero è la ottusità mentale di chi può figurarsi che una tal preghiera sia stata scritta, senza essere stata primieramente pronunziata da quell'Essere glorioso di cui questo Vangelo ci racconta la storia. Ma non è solo la realtà storica di questa preghiera che è evidente da per sé. Essa getta pure una gran luce sulla questione della ispirazione, la quale, in questo caso almeno, deve ritenersi verbale e non solo di pensieri. Ogni lettore intelligente deve riconoscere, che non possiamo aver fiducia nella realtà dei pensieri in essa, contenuti, se li separiamo dal linguaggio in cui sono espressi. E qual persona, anche mediocremente dotata di discernimento spirituale; non sente che il linguaggio di questa preghiera è perfettamente all'altezza dei pensieri che essa contiene, e degno di Colui che la proferì? Quale testimonianza interna della sua ispirazione può esser più forte di questa? Riteniamo pur con certezza che lo Spirito Santo, da Cristo promesso, per ricordare agli apostoli tutte le cose che egli aveva loro dette, guidò siffattamente la penna dello scrittore sacro, che noi abbiamo qui, non solo la sostanza e lo spirito, ma pure la forma della preghiera di Gesù nell'alto solaio" (D. Brown).
2. Se teniamo in mente il carattere degli undici, ci parrà pieno di bontà quanto Gesù dice di loro nei versetti Giovanni 17:6-8,25. La loro fede era debole, le conoscenze limitate, la spiritualità poca, il coraggio nullo. Mai così alto Signore ebbe servi così da poco; eppure egli ne parla con lode. Sorvola sui loro difetti, e fissa lo sguardo solo su quello che la grazia già aveva operato in loro: "Essi hanno osservato la tua parola"; "han conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date son da te"; "hanno veramente conosciuto che io son proceduto da te, ed hanno creduto che tu mi hai mandato. "Questo ci dà una lezione istruttiva e consolante. Gesù Vede nei credenti assai più che non veggano essi stessi, o che altri veggano in loro. Il minimo grado di fede è prezioso agli occhi suoi; dovunque scorge fede in sé, per quanto debole, egli sopporta compassionevolmente molte infermità e difetti. E benché ci dobbiamo vergognare del poco nostro progresso religioso, seppur crediamo in lui, non disperiamo. Egli farà per noi quanto ha fatto pei discepoli, e condurrà a compimento l'opera sua in noi.
3. Nel pregare per i suoi, Gesù richiama l'attenzione di suo Padre su quattro punti che gli davano speciale ansietà
a) Il primo è la loro preservazione, nel nome del Padre, da ogni male e da ogni pericolo, in mezzo alle persecuzioni del mondo e alle insidie di Satana. Il nome del Padre significa qui la sua onnipotenza, e siccome ogni preghiera di Cristo è esaudita, a motivo della perfetta armonia di volere fra il Padre e il Figlio, i credenti si devono stimare sicuri quanto li possa fare l'onnipotenza divina. Già il Signore stesso avea dichiarato Giovanni 10:29, non esser solo a custodire le sue pecore; il Padre, che è "maggior di tutti", le custodiva egli pure, e dalle mani sue niuno potrebbe rapirle mai, Vedi pure Filippesi 1:6; 2Timoteo 1:12; 1Pietro 1:5; Giuda 24. Qual conforto pei credenti in mezzo alle prove della vita, l'esser certi che non andranno perduti mai più! Tre cose concorrono a farli sicuri: l'eterno amore e l'onnipotenza del Padre; i meriti infiniti e l'incessante intercessione del Figlio; la presenza continua e santificante dello Spirito.
b) In secondo luogo il Signore domanda la santificazioni dei suoi. Qui certo santificare vuol dire: "far santo". Gesù chiede al Padre di rendere i suoi più santi, più spirituali, più puri, più devoti in pensieri, parole ed opere. Già la grazia li aveva eletti, convertiti e rinnovati; ora il sommo Capo della Chiesa prega che quell'opera della grazia cresca sempre più, e che il popolo suo sia un poco alla volta appieno santificato nel corpo, nell'anima e nello spirito. L'incomparabile sapienza di questa preghiera si fa qui più evidente che mai. Gesù vuole che i credenti sieno "la luce del mondo" Matteo 5:14; or una vita santa è la prova più convincente della realtà del Cristianesimo. Essa adorna la religione, e l'abella; essa vince talvolta quelli che la parola lascia induriti. Entreremo in cielo per mera grazia non per opere; ma il cielo stesso non sarebbe il cielo per noi, se non vi arrivassimo santificati. Ricordiamoci adunque che chi è già cambiato nel cuore e santificato in parte, deve tendere, mediante l'aiuto dello Spirito, a far sempre nuovi progressi nella via della santità, e prefiggersi di "esser fatto degno di partecipare la sorte dei santi nella luce" Colossesi 1:12. La parola di Dio è il grande strumento dello Spirito per la nostra santificazione. Facendo sì che quella Parola agisca sulla mente, sul volere, sulla coscienza, sugli affetti, affretteremo l'opera della nostra santificazione individuale. È illusione aspettar la santificazione dal di fuori, dall'austero ascetismo, o dai riti e dalle cerimonie; la vera santificazione vien dal di dentro. Indi l'immensa importanza del leggere assiduamente la Parola di Dio, e dell'ascoltarne la predicazione. Senza questo, non potremo vivere tranquillamente, né morire in pace.
c) In terzo luogo Gesù domanda pei credenti in ogni età che sieno uniti fra loro ed accolti nell'unità del Padre e del Figliuolo. "Questo significa, non solo che siano appieno uniti fra loro in pensieri ed in atti, ad esempio del Padre e del Figlio; ma pure che abbiano la stessa mente che il Padre ed il Figliuolo, riguardo alla grande opera cui erano rivolti tutti i pensieri di Gesù, quella cioè della gloria di Dio, mediante la salute degli uomini. Cristo chiede che essi pure considerino la salvezza del mondo dal medesimo punto di vista dal quale la consideravano il Padre ed il Figlio, sicché sieno uniti a Dio nel sentimento che spinse il Padre a,non risparmiare il proprio Figliuolo, e il Figlio a sacrificare sé stesso per salvare i peccatori, senza ledere i diritti della giustizia e della legge divina. Una tale unione dei credenti nel volere stesso e nella mente di Gesù è condizione essenziale di successo, perché previene ogni disputa, ed assicura una cooperazione cordiale energica e perseverante, nell'opera affidata primieramente agli apostoli, e dopo loro alla Chiesa tutta, "di raccogliere nella dispensazione del compimento dei tempi, sotto un capo, in Cristo, tutte le cose" Efesini 1:10 (John Brown). È dovere di tutti i servitori di Cristo di promuovere, con ogni mezzo legittimo, l'unione fra i credenti, e di pregare del continuo, affinché sieno vinti tutti gli ostacoli che ad una tale unione si oppongono.
d) La preghiera finale di Gesù pei suoi discepoli ha per oggetto la loro glorificazione. Già godono per fede la sua presenza in terra, nella sua parola e nei sacramenti, benché, a motivo della loro debolezza, "veggano in enigma"; ma tosto saranno con lui e godranno ininterrotta comunione con lui nel suo regno celeste, essendo ivi tramutati ad immagine sua. Da questa preghiera ricaviamo un grande incoraggiamento, ed è che l'occupazione precipua dei santi in cielo sarà di contemplare e di godere la gloria di Cristo, imperocché quella sarà una contemplazione possessiva. Ogni loro sguardo dirà: "Questa felicità, questa gloria sono mie", ed il culmine della felicità celeste sarà la certezza di non venir mai più divisi da Cristo. "Saremo simili a lui, perciocché noi lo vedremo come egli è" 1Giovanni 3:2.