2 Corinzi 9
Scopo speciale della deputazione in cui entrano i rappresentanti di Macedonia e forse d'altre regioni, è di spingere i Corinzi, per via di emulazione nel bene, a tenere i loro impegni morali, e a non far scomparire il loro apostolo, coprendo sè stessi di confusione dinanzi alle altre chiese. Intorno alla colletta in sè stessa, alle necessità materiali da cui è occasionata, al dovere dei cristiani di soccorrere i fratelli, all'obbligo particolare che hanno le chiese etniche di adempiere a questo dovere verso la chiesa madre di Gerusalemme Romani 15:27; al metodo da tenere, Paolo stima superfluo di scriverne più a lungo ai Corinzi. La cosa, infatti, era loro stata esposta, o per lettera o a voce, anteriormente alla prima ai Corinzi; Paolo ne avea detto alcunchè nel capo XVI di quell'Epistola; Tito aveva avuto occasione anch'egli di discorrerne nel suo recente soggiorno a Corinto, e la chiesa si era mostrata ben disposta fin dal principio per quest'opera. Lo scriverne ora ex professo sarebbe stato quindi inutile.
Infatti, quanto alla sovvenzion destinata ai santi, è cosa superflua ch'io ve ne scriva.
Volendo accentuare si potrebbe tradurre: «è bensì cosa superflua...». Quel ch'egli non stima superfluo di fare, lo dirà a 2Corinzi 9:3: «Ma ho mandato questi fratelli affinchè, ecc.». L'infatti (γαρ) si connette direttamente con 2Corinzi 8:24 ove Paolo ha già lasciato intendere lo scopo speciale della deputazione che precede di poco la venuta dell'apostolo stesso e la chiusura della colletta.
Basterebbero queste due particelle (μεν, γαρ) a dimostrare quanto fosse insostenibile l'ipotesi di Semler che riguardava il cap. 2Corinzi 9 come un frammento di un'altra lettera ove si trattava lo stesso argomento. Nè maggior fondamento ha l'ipotesi che Paolo sia stato interrotto nella redazione della sua lettera alla fine del cap. 2Corinzi 8 e l'abbia poi ripresa qualche tempo dopo, forse in altra località, per aggiungervi 2Corinzi 9-13. Con ragione ha notato il Weizsäcker che «senza la insensibile influenza esercitata dalla divisione infelice del testo in due capitoli, nessuno avrebbe mai pensato a separare 2Corinzi 9 da 2Corinzi 8. Continua il corso dei pensieri ed il principio di 2Corinzi 9 non s'intende se non in connessione con quel che precede in 2Corinzi 8». Non c'è infatti nei cinque primi versetti di 2Corinzi 9 un solo concetto che non attesti l'intimo nesso in cui stanno con 2Corinzi 8. E quanto all'ultima parte del capitolo essa non riproduce pensieri già espressi, ma reca argomenti affatto nuovi per spingere i Corinzi a dare largamente.
Il perchè l'Apostolo stimi superfluo il trattare ex professo della colletta, lo dice di passata.
Poichè conosco la vostra prontezza d'animo e per essa (lett. «della quale») mi glorio di voi presso ai Macedoni, [dicendo loro] che l'Acaia è pronta fin dall'anno passato;

e lo zelo partito da voi ha stimolato i più
(o: il maggior numero). Dicendo l'Acaia include tutte le chiese minori di quella provincia con quella di Corinto. Paolo si serve dello zelo di una regione per stimolar l'altra. L'Acaia aveva principiato bene e la sua buona volontà avea dato affidamento all'apostolo di un pronto successo. I fatti avevano tardato alquanto; ma Paolo lo ignorava quando, ai Macedoni, citava lo zelo dell'Acaia. Non è dunque il caso di accusarlo di diplomazia mondana non del tutto onesta. Il candore col quale espone ai Corinzi il suo procedere basterebbe a confutare un tale appunto. Egli si vale semplicemente della potenza che l'esempio degli uni esercita sugli altri, per spingerli al bene: della buona volontà dell'Acaia presso i Macedoni; e dello slancio generoso dei Macedoni presso i Corinzi. La variante: «lo zelo [partito] da voi» (το εξ ὑμ.) si appoggia ai codici greco-latini e bizantini e va preferita. Il primo entusiasmo dell'Acaia era stato come la scintilla che accende una gran fiamma.

Ho però mandato i fratelli affinchè il vanto che meniamo di voi in genere, non riesca vano in questa parte,
insussistente per quel che riguarda la colletta;
affinchè, come lo dicevo,
ai Macedoni facendo il vostro elogio, voi siate pronti, avendo, al momento voluto, versate e riunite le contribuzioni:

che talora, quando venissero meco dei Macedoni
per accompagnarmi nell'Acaia,
e vi trovassero impreparati, non siamo svergognati noi, per non dire voi, in questa [nostra] ferma fiducia
(Testo em.). La parola ὑποστασις (ipostasi) vale letteralmente «il porre sotto», quindi il fondamento, poi quel ch'è fondato, la sostanza, la realtà, l'essenza cfr. Ebrei 1:3; 11:1. Da questo il senso derivato di stabilità dell'animo, di ferma fiducia (cfr. 2Corinzi 11:17; Ebrei 3:14 e qui). Paolo avea nutrito e manifestato - e tuttora nutriva - la ferma fiducia che i Corinzi farebbero onore al loro morale impegno. Se ora, i Corinzi si mostrassero gretti ed egoisti, certo egli ne riceverebbe una qualche confusione, ma la maggior vergogna ricadrebbe su di loro.

Ho stimato adunque necessario di esortare i fratelli a precedermi da voi, ed a portar prima a compimento la già promessa (testo em.) vostra offerta volontaria perchè questa sia pronta come offerta volontaria e non come avarizia.
Il vocabolo che rendiamo «offerta volontaria» significa propriamente benedizione, e serve qui a designare un dono che parte da un cuore riconoscente ed amorevole per recar sollievo ed allegrezza a chi lo riceve. Chi dona in tal modo si ispira alla bontà e generosità del Dio da cui procede ogni benedizione. Se invece la contribuzione è un tributo forzato che si paga, non per amore, ma per forza, i per riguardi umani, mentre internamente lo si vorrebbe ritenere, Paolo la chiama avarizia, perchè il sentimento da cui parte non è la felicità del dare, ma il cruccio del non poter conservare per accrescer di tanto il proprio avere. Il greco πλεονεξια esprime l'avidità, la brama insaziabile di aver sempre più. Chi ne è invaso considera come perduto quel ch'egli è costretto a dare.

AMMAESTRAMENTI
1. Paolo che poteva insegnare i più alti misteri della verità religiosa, sa essere organizzatore pratico, avveduto e prudente della colletta per i poveri di Giudea. Non c'è contraddizione nè incompatibilità fra la più alta conoscenza della verità cristiana e l'applicazione pratica di essa alle circostanze varie della vita. Anzi le due cose non devono andar mai disgiunte.
2. È grazia di Dio la premura, la buona volontà di Tito e dei suoi colleghi nell'intraprendere il viaggio in Acaia per condurre a buon fine la colletta per i santi. I collettori per le opere cristiane hanno bisogno di ricordarsi sempre ch'essi sono operai di Cristo in un'opera che ridonda alla gloria del Signore e serve al bene dei loro simili. Quando non siano sostenuti da alti motivi si scoraggiano dinanzi alle difficoltà.
3. Conviene negli affari finanziari delle chiese sceglier con gran cura le persone incaricate di raccogliere e di amministrare i danari. Esse devono essere di provata onestà, superiori ogni sospetto e capaci di bene disimpegnare le loro funzioni. La chiesa deve aver tutte le garanzie possibili della retta amministrazione delle sue offerte e devono i pastori provvedere a togliere ogni occasione di sospetto o di maldicenza in questioni di danaro, stabilendo un efficace controllo per parte della chiesa in materie simili. Curando la loro riputazione personale di perfetta integrità, essi difendono la causa stessa del Vangelo. Non basta che si sentano sicuri nella loro coscienza; conviene che i più sospettosi possano persuadersi della cosa.
4. Con quale magnanimità l'Apostolo raccomanda i suoi collaboratori, riconoscendo con gratitudine i loro doni, i loro buoni sentimenti, i servizi da loro resi alla causa di Cristo! quanto è lontano dallo spirito gretto dell'invidia o dell'orgoglio!
5. Il fare appello alla coerenza, all'onorabilità cristiana dei fedeli è cosa perfettamente legittima «Noblesse oblige». Come il negoziante insolvibile si sente coperto di vergogna come uomo, così per il cristiano il venir meno all'aspettazione destata dalla sua professione di fede, dagli slanci generosi del sentimento, è cosa che, oltre al coprirlo di vergogna, nuoce alla causa del Signore nella chiesa e nel mondo. Alle belle parole, ai nobili sentimenti rispondano i fatti, anche in materia di doni per le opere cristiane. Satana cerca di soffocare o di far svaporare in parole i nobili slanci; ma Dio si serve dei suoi servitori per ravvivare il nostro zelo languente.

Sezione D 2Corinzi 9:6-15 LE BENEDIZIONI CHE ACCOMPAGNERANNO LA GENEROSITÀ DEI CORINZI
A meglio persuadere i Corinzi a dare con larghezza per i santi di Gerusalemme, Paolo ricorda le benedizioni che accompagneranno la loro generosità cristiana 2Corinzi 9:6-7. Esse sono di due sorte: ci sono benedizioni materiali 2Corinzi 9:8-11 e ci sono benedizioni spirituali di vario genere 2Corinzi 9:12-14. Egli termina poi con una effusione di riconoscenza e Dio per il suo dono ineffabile 2Corinzi 9:15.

2Corinzi 9:6-7 Dio benedice il donatore generoso e giulivo
Questo però [va notato]: Chi semina scarsamente, mieterà altresì scarsamente e chi semina generosamente mieterà altresì generosamente.
Al «questo però» di Paolo va supplito un «voglio dire» od un «va notato»; non già, col Diodati, un «è ciò ch'è detto», poichè un tal detto non si trova nell'Antico Testamento. Il dono deve procedere dalla bontà del cuore, ma non va dimenticata la legge secondo la quale Dio benedice in varie guise chi dà liberalmente. Vale in questo dominio, la legge che opera nel mondo della natura. C'è chi è avaro del suo frumento quando trattasi di seminare e ne risparmia più che può perchè gli par perduto il grano gettato in terra ed affidato alla provvidenza di Dio. Che avviene? Di solito questo: che l'avaro risparmio nel seminare risulta un cattivo calcolo; mentre chi ha largamente seminato, anche imponendosi qualche privazione, si trova poi, nella messe, largamente ricompensato dalla provvidenza di Dio. Le opere cristiane, in ispecie il dare, sono una seminagione che esige un sacrifizio di sostanza, ma che Dio ricompensa con larghe benedizioni, le quali sono come una messe in cui Dio rende a molti doppi ed in varie guise quel che l'uomo gli ha prestato. L'espressione επ' ευλογιαις è difficile a tradurre. Letteralmente significa «con benedizioni», cioè colla generosità di chi non pensa che a recar benedizione beneficando gli altri. È opposto all'avverbio «scarsamente», per cui si può rendere «generosamente». Cfr. per l'immagine qui adoperata: Proverbi 11:24; 22:8; Salmi 112:9; Galati 6:7-9. Per una promessa analoga. cfr. Luca 6:38; Matteo 10:31. Va da sè che l'abbondanza del dare per ciascun individuo è sempre in ragione dell'avere suo. E prima di guardare alla quantità dell'offerta, Dio riguarda al sentimento da cui procede e che dev'essere la giuliva spontaneità dell'amore.

Ciascuno [dia] secondo che ha in cuor suo deliberato; non di malavoglia, nè per necessità; poichè Dio ama il donatore allegro.
La differenza fra il testo Tischendorf: ha deliberato, e quello ordinario: delibera, non è considerevole. Il verbo (προαιρεομαι) vale «scegliere di preferenza per sè», prescegliere, eleggere, quindi risolvere, deliberare. Mentre egli si sforza di suscitare in tutti le più generose risoluzioni, l'Apostolo non vuol far violenza alla libera determinazione che deve procedere dal cuore di ognuno. Il «dar di mala voglia», con un cuore attristato che rimpiange ciò che dà: il dar «per necessità»: costretti dall'ossequio all'opinione altrui, dal desiderio di non scomparire. ecc., non è il dare che piace a Dio. Egli ama il «donatore allegro», giulivo, ilare che sospinto dall'amore, trova ch'è più felice cosa il dare che non il ricevere Atti 20:35; Romani12:8. Le parole di Paolo sono una reminiscenza di quelle di Proverbi 22:9; secondo la versione dei LXX.

2Corinzi 9:8-11 Benedizioni temporali
Dio concede benedizioni temporali a chi dona liberalmente. Egli riceve in beni terreni, tanto da bastare non solo ai propri bisogni, ma da poter spandere in buone opere.
Or Dio è potente da fare abbondare su di voi ogni grazia, affinchè avendo sempre, in ogni cosa, ogni sufficienza, siate nell'abbondanza per ogni buona opera.
«Ogni grazia» potrebbe includere anche dei beni spirituali: ma, stando al contesto, si vede che si tratta di favori consistenti in beni temporali. Sono questi infatti che possono, non solo sopperire il necessario per la vita terrena, ma fornire mezzi abbondanti di esercitare la beneficenza. Αυταρκεια può significare la contentezza del proprio stato, come in 1Timoteo 6:6; Filippesi 4:11. Ma qui è da preferire il senso più diretto, di una «sufficienza» positiva e reale dei beni che servono al sostentamento della vita di quaggiù. Oltre al necessario, Dio ha il potere di dar loro il superfluo, affinchè abbiano in abbondanza da poter consacrare ad ogni specie di buone opere così da realizzare la bella descrizione dell'uomo pio contenuta in Salmi 112 di cui Paolo cita 2Corinzi 9:9, secondo la LXX:

Siccome è scritto: «Egli ha sparso, ha dato ai poveri; la sua giustizia dimora in perpetuo».
Lo «spargere» accenna a larga distribuzione di benefici ed è immagine analoga a quella del seminare. L'idea di giustizia nell'A. T. è quella del dovere adempiuto verso Dio e verso il prossimo: il bene praticato. La beneficenza è uno degli aspetti della giustizia, ma non la comprende tutta. Il «sussistere in perpetuo» della giustizia dell'uomo pio, torna a dire che l'operar di lui, essendo conforme alla volontà di Dio ed alla missione dell'uomo, non conduce, come la via dell'empio, a finale delusione e confusione; ma ha un valore permanente, indistruttibile, che la coscienza umana riconosce nel mondo attuale e che perdura agli occhi di Dio e di tutte le creature morali, nel mondo avvenire. La beneficenza non cancella il peccato, nè giustifica l'uomo; ma essa è certo uno dei frutti dello spirito, una delle manifestazioni di quella carità che «dimora».

10 Non solo Dio «è potente» da colmar di benedizioni temporali i Corinzi. Quando si mostrino generosi; ma lo farà. Il futuro nei verbi che seguono 2Corinzi 9:10 si legge nei codici più antichi e nelle versioni. Meglio che un augurio, esprime una certezza fondata sulle promesse divine. L'Iddio che fornisce al seminatore. Insieme col pane, la semenza per continuare d'anno in anno, il suo lavoro, darà altresì ai cristiani generosi altri mezzi di compiere sempre nuove opere di beneficenza.
Or colui che somministra la semenza al seminatore, e il pane da mangiare, fornirà e moltiplicherà la vostra semenza ed accrescerà
(o, farà crescere)
i prodotti della vostra giustizia.
Variando leggermente la costruzione, alcuni traducono: «Colui che somministra... fornirà ancora (a voi) il pane da mangiare e moltiplicherà ecc.» Però le due prime proposizioni stanno insieme essendo una reminiscenza di Isaia 55:10. Come all'agricoltore Dio concede sempre nuova semenza per ricominciare ed estendere il suo lavoro produttivo, colla semenza anche il pane da mangiare per sè e per la sua famiglia, così egli fornisce, anzi moltiplica all'uomo benefico la sua «semenza», cioè i mezzi materiali per compiere quelle opere di carità che egli va spargendo a guisa di seme. Ed oltre al dargli i mezzi di fare del bene, rende fruttifero, in molte guise, il bene fatto. Γενηματα vale «progenie», quindi prodotti, proventi, frutti. I «frutti della giustizia», praticata sotto forma di beneficenza, sono le benedizioni che vanno connesse con quella. Così, per quanto concerne l'opera di carità relativa ai santi di Gerusalemme, le conseguenze benefiche di essa non saranno limitate al sollievo delle necessità materiali dei poveri. La sovvenzione, come dirà più oltre, provocherà dei ringraziamenti a Dio, fornirà la prova dell'ubbidienza dei Corinzi all'Evangelo, cementerà l'unione tra giudeo-cristiani ed etnico-cristiani. Da un solo atto di carità, Dio trarrà abbondanti frutti.

11 2Corinzi 9:11 riprende i concetti di 2Corinzi 9:10, senza immagine, per meglio chiarirli.
Essendo voi in ogni cosa arricchiti per [l'esercizio di] quella intiera liberalità che produce, per mezzo di noi, rendimento di grazie a Dio.
Com'è che saranno forniti largamente di semenza? Coll'essere «arricchiti in ogni cosa», cioè forniti di tutti i mezzi necessari per praticar la più larga liberalità. D'altra parte, come saranno «accresciuti i frutti della loro giustizia?» Lo saranno in quanto che, oltre al sollievo materiale recato ai santi, la loro beneficenza provocherà nei cuori dei cristiani di Gerusalemme anzitutto dei pentimenti di grazie a Dio. Questo risultato sarà raggiunto «per mezzo di» Paolo perchè la colletta è stata organizzata da lui nelle chiese della gentilità.

12 2Corinzi 9:12-14 Benedizioni spirituali
Il concetto delle benedizioni spirituali connesse colla sovvenzione ai santi. è; volto nei v. seguenti:
Perciocchè il ministerio
(o: servizio)
di questa sacra oblazione non solo serve a colmare le deficienze dei santi, ma ancora sopravanza col suscitare molti rendimenti di grazie a Dio.
La parola indica una funzione pubblica, per lo più sacra: per esemp., la funzione sacerdotale Luca 1:33; Ebrei 8:6; 9:21. Quindi, l'adempimento, di un ministerio, anche di beneficenza cfr. Filippesi 2:17,25; Romani15:27. Qui accenna all'offerta comune delle chiese etniche, la quale riveste carattere sacro per lo spirito cristiano che l'informa. Si può quindi tradurre: «sacra oblazione». Il ministerio, ossia servizio, che organizza, che raccoglie, che dà, che reca a destinazione questo soccorso della carità cristiana, serve anzitutto a «colmare le deficienze dei santi», cioè a provvedere ai loro bisogni, fornendo loro quel ch'essi non hanno per sostentare la vita terrena. Ma oltre al rispondere allo scopo suo immediato, ch'è materiale, esso produce un soprappiù di benedizioni, di natura spirituale, suscitando nel cuore dei beneficati abbondanti ringraziamenti a Dio.

13 E quale sia l'oggetto di codesti ringraziamenti, l'Apostolo lo dice nelle parole che seguono:
inquantochè la prova pratica fornita da questa sovvenzione li porta a glorificare Iddio per la sottomissione con cui voi professate l'Evangelo di Cristo, e per la generosità con cui partecipate ai loro bisogni ed a quelli di tutti.
Senza dubbio, il sollievo materiale provato, spinge i poveri a lodar Dio che ha provveduto ai loro bisogni. Ma i rendimenti di grazie sono suscitati da Motivi più alti. La sovvenzione delle chiese etniche a quella di Gerusalemme è per i giudeo-cristiani una prova sperimentale, convincente, della realtà della vita cristiana di quelle chiese che i credenti di Palestina aveano accolte con molta diffidenza nella fratellanza cristiana. Ora la liberalità di questi greci convertiti, che superava le barriere nazionali e religiose antiche per stendere la mano della carità ai cristiani di Gerusalemme, non lasciava più luogo a dubbi e diffidenze. Quei nuovi fratelli fornivano la dimostrazione pratica di possedere lo spirito di Cristo, col sottoporsi ai doveri inerenti alla professione sincera del Vangelo. L'espressione concisa: «la sottomissione della vostra confessione, rispetto all'Evangelo di Cristo» torna a dire che la loro professione di fede nel Vangelo non consisteva soltanto nel rito del battesimo o nelle lor parole, ma nella loro ubbidienza ai precetti di Cristo. Essi praticavano sul serio la fratellanza cristiana con tutti. Per questa grazia comunicata ai Gentili, i credenti di Gerusalemme glorificheranno Iddio. Dice lett. «glorificando essi Iddio per...».

14 C'è un altro frutto spirituale che nascerà dall'opera di beneficenza raccomandata da Paolo. I giudeo-cristiani sentiranno crescere il loro amor fraterno per quei credenti la cui vita cristiana è così evidente. Allo slancio d'amore dell'Occidente etnico-cristiano, risponderà il sospiro affettuoso e la preghiera d'intercessione dell'Oriente giudeo-cristiano. L'amore praticamente dimostrato farà cadere le ultime barriere di pregiudizi, ed unendo i cuori, «correggerà perfino la teologia dei giudeo-cristiani» (Denney).
E li porta a mostrare, colle loro preghiere a vostro favore, un affettuoso desiderio di voi, a motivo della straordinaria grazia di Dio ch'è sopra voi.
Dinanzi alla sovvenzione fornita da fratelli in fede che non hanno mai posto il piede in Palestina, i cristiani di colà, mentre benediranno Iddio e pregheranno a favore dei loro benefattori, sentiranno vivo il desiderio di far la conoscenza personale di coloro su cui Dio sparge tanta ricchezza di fede, di carità, di abnegazione. Il loro sospiro verso una più completa comunione dei santi non sarà forse mai appagato quaggiù ma quel desiderio stesso è prova del loro cresciuto amore fraterno. Di tutti questi bei risultati spirituali della colletta, Paolo parla al presente, descrivendoli come se li avesse già dinanzi, tanta è la fiducia ch'egli ha di vederli raggiunti, prima di spingere la sua attività verso l'estremo Occidente.

15 Lo spettacolo della grazia sparsa sui credenti etnici, fatta occasione e mezzo di altre grazie sui credenti giudaici, spinge il cuor dell'apostolo in alto, alla sorgente di ogni grazia: all'amor di Dio manifestato nel dono del suo Figliuolo al mondo, ed egli chiude esclamando:
Grazie sieno rese a Dio per l'ineffabile suo dono.
L'agg. ανεκδιηγητος vale: «che non si può esporre a parole». Non è possibile spiegare in linguaggio umano tutta la grandezza e tutta la ricchezza inesauribile del dono gratuito di Dio Efesini 3:19. Un tale appellativo non permette di veder nel «dono di Dio», soltanto la grazia della liberalità sparsa sulle chiese etniche. Il dono di Dio nel suo senso assoluto non può essere che Cristo. In cui sono racchiusi e da cui scaturiscono tutti i tesori della grazia divina. Senza di lui, nè gli angeli, nè gli uomini avrebbero mai potuto contemplare lo spettacolo di un popolo unico dei redenti, formato di Giudei e di Gentili, unito dai legami dell'amor fraterno e glorificante con un sol cuore l'Iddio della salvazione.

AMMAESTRAMENTI
1. Siamo salvati per grazia, non per merito d'opere; ma Dio incoraggia coloro che hanno ricevuto la sua grazia ad «abbondare del continuo nell'opera del Signore», facendo loro considerare le benedizioni di ogni sorta che dal bene operato deriveranno a loro ed agli altri. È legge di Dio che il bene frutti benedizione. Non solo, ma la benedizione è proporzionata al bene compiuto, come, nella natura, la messe raccolta è proporzionata, in quantità, alla seminagione fatta. Gesù insegna che chi avrà fatto valere la mina affidatagli Luca 19 riceverà una podestà più o meno estesa a seconda della fedeltà e dello zelo dimostrati. E questo principio trova la sua applicazione fin da ora. Chi abbonda nelle opere cristiane non impoverisce, anzi riceve. Insieme con un cuore sempre più portato a compierle, anche i mezzi per estendere la sua attività. La carità non sarà mai una speculazione egoistica; ma Dio benedice quaggiù l'uomo caritatevole col dargli i mezzi d'esser vie più caritatevole.
2. Uno dei maggiori incoraggiamenti al dare largamente sta nel fatto che Dio fa nascere da un unico atto di amore cristiano delle benedizioni molteplici, in quella guisa che da un unico chicco di grano fa crescere molte spighe piene. Dalla sovvenzione ai poveri di Gerusalemme dovea scaturire nel cuore dei beneficati una viva riconoscenza a Dio datore supremo di ogni grazia temporale e spirituale, una intima allegrezza nel vedere la fede degli ex-pagani produrre cotali frutti; una unione più profonda fra cristiani di diversa nazionalità e provenienza religiosa, così da far cadere molti pregiudizi e da portare i giudeocristiani ad intercedere per gli etnico-cristiani ed a sospirare dietro una più intima comunione con loro. Per quanto sieno mutate le circostanze in cui viviamo, la carità fraterna, praticamente dimostrata, sarà sempre quella che possiede il segreto d'innalzare i cuori a Dio, di chiuder la bocca alle obbiezioni dell'incredulità, di unire fra loro i membri della famiglia di Dio. Il profumo di essa si spande lontano ed è sempre soave e benefico.
3. I nostri doni hanno ad essere proporzionati all'avere di cui Dio ci ha costituiti economi. Dio misura secondo questo criterio la loro abbondanza o grettezza relativa. I due centesimi della vedova erano un largo dono perchè costituivano tutto il suo avere. Sia che trattisi del mantenimento del culto di Dio, delle opere di beneficenza o di quelle missionarie, i doni non devono esser regolati dall'impulso momentaneo che proviamo sentendo raccomandare questa, o quell'opera. Ma le nostre offerte devono esser ripartite pensatamente e deliberatamente in quel modo che ci appare più utile. E soprattutto, abbiam bisogno di giungere a compiere quel dovere col cuore giulivo di chi ha sperimentato esser «più felice cosa il dare che il ricevere». Donatore allegro non può essere chi dà per acquistarsi meriti presso a Dio, chi dà per liberarsi da un importuno, chi dà per non scomparire nell'opinione degli uomini, chi dà, in una parola, senza esservi sospinto da un cuor riconoscente e riscaldato dall'amore.
4. Impariamo dall'apostolo a risalire dai ruscelli della carità cristiana alla sorgente inesauribile di essa: il «dono ineffabile di Dio». Senza di esso non sarebbe nata sulla terra la carità con i suoi infiniti sacrifici e le sue svariatissime opere. Senza una intima e costante comunione con Cristo, la carità perde la sua purezza e la sua forza. «Chi dimora in me ed io in lui, ha detto Gesù, esso porta molto frutto, conciossiacchè fuor di me non possiate far nulla» Giovanni 15:5.