2 Corinzi 1
IL PREAMBOLO DELL'EPISTOLA

2Corinzi 1:1-11

Come al solito, Paolo principia la sua lettera con un saluto alla chiesa 2Corinzi 1:1-2 e con un rendimento di grazie a Dio 2Corinzi 1:3-11, il cui carattere è determinato dalle circostanze in cui si trova.

2Corinzi 1:1-2 Il saluto

Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per volontà di Dio,
così descrive sè stesso l'autore della lettera e, per quanto l'affermazione dell'origine divina del suo apostolato non sia così spiccata come lo è nell'Ep. ai Galati, resta pur sempre significativa quando si sa che, in Corinto, l'ufficio di Paolo era vilipeso dai suoi nemici giudaizzanti. Cfr. Galati 1:1,15-16. Al suo, unisce il nome di uno che non era apostolo nel senso ufficiale, ma ch'era stato, con Sila, il collaboratore di Paolo nella fondazione della chiesa di Corinto:
e il fratello Timoteo
Atti 18:5; 2Corinzi 1:19. L'Apostolo sempre delicato nell'apprezzare il lavoro dei suoi coadiutori, se l'era già associato (con Silvano) nelle lettere al Tessalonicesi, e lo farà più tardi in quelle ai Colossesi, a Filemone ed ai Filippesi. Della stima in cui egli teneva quel giovane evangelista fanno fede, oltre alle due lettere rivoltegli, i passi seguenti: 1Corinzi 4:17; 16:10-11; Filippesi 2:19-23. Come nella 1a Epistola, i destinatarii della lettera sono designati con un nome solenne che ricorda loro l'alta vocazione cui sono chiamati:
alla chiesa di Dio ch'è in Corinto.
E poichè la società cristiana della città estende la sua influenza sui nuclei minori di credenti sparsi per la provincia romana d'Acaia, cioè nell'Ellade e nel Peloponneso o Morea, Paolo si rivolgerà anche a loro, soggiungendo:
in un con tutti i santi che sono nell'intera Acaia.

Sopra tutti egli invoca le benedizioni divine che sono, in ogni tempo, le più necessarie all'anima e le più preziose:
grazia a voi e pace da Dio nostro padre e dal Signor Gesù Cristo,
per la cui mediazione scendono su di noi i favori divini.

2Corinzi 1:3-11 Il Rendimento di grazie

A differenza di quello che incontriamo in altre epistole, il rendimento di grazie non si riferisce qui alle benedizioni concesse alla chiesa, bensì alle liberazioni e consolazioni personali ricevute dall'apostolo in tempi recenti. La chiesa che, in ultima analisi, riceve il beneficio delle esperienze fatte dai ministri di Cristo, è messa a parte delle recenti tribolazioni e liberazioni del suo fondatore, affinchè partecipi alla gioia e riconoscenza di lui e lo soccorra colle sue preghiere. La ragione di questo insolito carattere del rendimento di grazie di Paolo, non va cercata nel proposito di assicurarsi la benevolenza dei lettori colla narrazione dei casi pietosi occorsigli, e meno ancora nel desiderio di spiegar loro perchè ha ritardata la visita promessa; ma semplicemente nell'irresistibile bisogno del suo cuore di esprimere, a gloria di Dio, la sua riconoscenza per le liberazioni e per le molteplici consolazioni ricevute di recente. Egli è da poco giunto dall'Asia, ove si è trovato in un pericolo così grave da fargli ritenere imminente il termine della sua vita. Dio lo ha liberato e restituito all'opera evangelica. È arrivato in Macedonia pieno di timori riguardo a Corinto; ed ecco che le notizie recategli da Tito gli allargano il cuore. Prendendo a dettare coll'animo pieno di tali impressioni, la prima parola che gli sgorga dal cuore, dopo il saluto, è un inno.
Benedetto sia Iddio, il padre il Padre del Signor nostro Gesù Cristo, il padre delle compassioni, e l'Iddio di ogni consolazione...
Dio è l'Ente supremo ed Onnipotente. Ma coloro che hanno creduto nel Salvatore lo conoscono sotto un aspetto nuovo. Egli è il Padre del Signor G. C., Colui che «ha tanto amato il mondo ch'egli ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna»; Colui che, in Cristo, è riconciliato con noi e che possiam chiamar col dolce nome di «Padre nostro» Romani 8:14-15. Si potrebbe tradurre: «l'Iddio e Padre del S. N. G. C.», e verrebbe a dire: Colui ch'è ad un tempo il Dio ed il Padre del S. N. G. C. Giovanni 20:17. Meglio però il senso di sopra esposto. A chi è nella distretta Dio si rivela come il Padre delle compassioni e l'Iddio di ogni consolazione, cioè come il padre amoroso il cui cuore è pieno di compassione per le sue creature sofferenti e che non si stanca di manifestarla in atti svariati di misericordia, soccorrendo, liberando, confortando. In ispecie, egli sparge nel cuore dei suoi figli, in tante guise tribolati, ogni maniera di consolazioni; cosicchè non vi è cielo sì cupo ove non risplenda l'arcobaleno dei divini conforti.

Di ciò Paolo ha fatto e sta facendo l'esperienza: poichè soggiunge:
il quale ci consola in tutta la nostra tribolazione.
Dio ha consolato l'Apostolo sia col liberarlo dai pericoli, sia col dargli la forza di fede e di speranza necessarie per sostener coraggiosamente le afflizioni, sia ancora col benedire l'opera sua a pro' di Corinto, di guisa che le notizie di colà sono state un vero balsamo pel suo cuore. Mediante l'interna consolazione dello Spirito Santo, i credenti possono esser «più che vincitori» e perfino «gloriarsi nelle afflizioni» Romani 8:37; 5:3; Ebrei 10:34; Atti 5:41. Col dire: in tutta la nostra tribolazione. Paolo allude a tutto quell'insieme di pericoli, di sofferenze, di ansietà per cui era passato di recente, e che non erano peranco svaniti del tutto. Il presente: ci consola, accenna al carattere costante dell'azione divina. Va notato che, in questa epistola, più che altrove, l'Apostolo adopera il plurale ci, noi, nostra, ecc. quando parla di sè 2Corinzi 1:23; 7:4-6,12-16; 8:18,22; 9:3; 10:2,7,11.
affinchè noi possiamo consolare quelli che trovansi in qualsiasi tribolazione, mediante la consolazione di cui siamo noi stessi consolati da Dio.
Paolo ha lasciato scritto altrove che «tutte le cose cooperano al bene per coloro che amano Iddio» e che «niuno di noi vive per sè stesso e niuno muore per sè stesso» Romani 8:28; 14:7. Qui lo vediamo, infatti, guardare in alto, sopra le cause immediate delle sue tribolazioni, a Dio ed al fine ch'Egli ha nel permetterle. Quel fine utile e buono lo scorge in questo che le afflizioni e le consolazioni di cui è partecipe accrescono la sua attitudine all'esercizio del ministerio affidatogli da Dio. Nella sofferenza impariamo a conoscere la nostra debolezza, la profondità delle compassioni di Dio e l'efficacia delle consolazioni del suo Spirito. La sofferenza educa il cuore del credente a simpatia verso gli altri. Chi ha sofferto ed è stato consolato è in grado di porger vera consolazione, poichè parla di cosa ch'egli ha personalmente sperimentata. «Perciò è convenuto che Cristo fosse reso in ogni cosa simile ai suoi fratelli, affinchè fosse un sommo sacerdote misericordioso... poichè in quanto egli stesso ha sofferto, essendo stato provato, può recar soccorso a coloro che son provati» Ebrei 2:17-18. Il servo non è da più del suo Signore; se la scuola della prova è stata necessaria per Gesù, lo è molto più per i ministri suoi chiamati a comunicare ai lor fratelli tribolati le consolazioni colle quali Dio ha molcito il lor proprio dolore.

Codeste consolazioni sono proporzionate alla gravità delle prove:
perciocchè siccome abbondano in noi
(o: verso di noi)
le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.
Paolo chiama sofferenze di Cristo quelle ch'egli patisce, non già perchè esse abbiano alcun valore espiatorio 2Corinzi 5:21, ma perchè derivanti dalla sua unione con Cristo ed incontrate per la causa di Cristo. Altrove egli chiama «stimmate di Cristo» le cicatrici delle ferite inflitte al suo ambasciatore Galati 6:17, e «mortificazione di Gesù» il continuo pericolo di morte cui egli trovasi esposto 2Corinzi 4:10; 1Corinzi 15:31. «Vituperio di Cristo» vien detto quello che colpisce i cristiani Ebrei 13:13. In un mondo alieno da Dio, le persecuzioni, le privazioni, le calunnie, che hanno colpito il Capo, non sono risparmiate alle membra. «Se il mondo vi odia, disse Gesù, sappiate ch'egli ha prima odiato me... Se han perseguitato me, perseguiteranno anche voi» Giovanni 15:18,20; Matteo 10:24; Marco 10:39. Il regno di Cristo non può estendersi che a prezzo di molti patimenti; e cotale necessità spiega la parola di Paolo ai Colossesi: «quel che manca delle afflizioni di Cristo, lo compio nella mia carne a favor del di lui corpo ch'è la Chiesa» Colossesi 1:24. Dice nostra la consolazione largamente concessagli per la mediazione di Cristo, perchè la sente e possiede dentro di sè.

Tutto nella vita dell'Apostolo ha da servire al bene delle chiese ed in particolare al bene della chiesa di Corinto: così le tribolazioni come le consolazioni.
Ora, sia che siamo tribolati, ciò avviene per la vostra consolazione e salvezza...
Come mai? Le afflizioni dell'apostolo lo renderanno sempre più capace di simpatia per i fratelli, più ricco di esperienza. Il fatto stesso che il loro padre spirituale sostiene coraggiosamente le tribolazioni incontrate per l'Evangelo, varrà a render più saldi i Corinzi e concorrerà, per tal modo, ad assicurare la loro salvezza, poichè solo «chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» Matteo 24:13. «Perciò scrive altrove Paolo, io sopporto ogni cosa per gli eletti, affinchè anch'essi ottengano la salvezza ch'è in Cr. G. con gloria eterna» (2Timoteo 2:10; cfr. Filippesi 1:13-14)...
sia che siamo consolati, ciò serve alla vostra consolazione, la quale spiega la sua efficacia nel farvi capaci di sostenere le medesime sofferenze che ancora noi soffriamo.
La consolazione sperimentata, mette Paolo in grado di meglio consolare i Corinzi. Essi, infatti, non sono esenti dalle tribolazioni che il mondo infligge dovunque ai seguaci di Cristo. Le loro saranno meno gravi di quelle dell'apostolo, ma sono della stessa specie. Il modo in cui Paolo ne parla, dimostra che non si tratta di sofferenze derivanti da mera simpatia con Paolo, ma di patimenti reali ed attuali dei Corinzi, per quanto non registrati altrove in iscritto. Già in 1Corinzi 7 Paolo aveva accennato ad una «sovrastante distretta» quando sconsigliava il matrimonio a chi poteva mantenersi libero. Abbiamo seguito in 2Corinzi 1:6 il testo Diodati, ch'è anche quello di Tischendorf. Il testo greco ordinario non si appoggia ad alcun codice antico; quello della Vulgata è il più confuso, mentre quello del Cod. Vatic. non differisce sostanzialmente da Tisch.
Ed è ferma la speranza che abbiamo di voi
(lett. «a vostro favore»), non abbiam timore che vi perdiate d'animo e cediate alla bufera; anzi abbiamo la fondata fiducia che resisterete all'urto e giungerete al porto dell'eterna salvazione.

Ed ecco su che poggia codesta speranza:
sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze lo siete del pari della consolazione.
Questo, Paolo sa con certezza, perchè le promesse di Cristo non possono mancare, come gliel'ha confermato le tante volte la sua personale esperienza. Ragionando di prove possibili, Paolo avea scritto in 1Corinzi 10:13: «Fedele è Iddio, il quale non permetterà che siate provati oltre alle vostre forze; ma fornirà colla prova, anche l'uscita, perchè la possiate sopportare».

Paolo ha parlato delle sue recenti tribolazioni, come di cosa non del tutto ignota ai Corinzi. Tuttavia per spiegare quanta ragione egli abbia di mostrarsi riconoscente verso Dio per la sua liberazione, egli sente il bisogno di dire loro quanto sia stato grande il pericolo in cui si è trovato in Asia. Simile al navigante scampato di fresco al naufragio, egli «si volge all'onda perigliosa, e guata», glorificando l'Iddio che l'ha tratto a salvamento, e prendendo, dalle passate liberazioni, argomento a bene sperare anche per l'avvenire.
Poichè, fratelli, circa la tribolazione avvenutaci nell'Asia, non vogliamo che ignoriate com'essa sia stata per noi di una gravità straordinaria, superiore alle nostre forze, talchè abbiamo perduta la speranza finanche della vita.
Letteralmente Paolo dice: «Siamo stati aggravati...», paragonando la tribolazione ad un peso opprimente che per poco non lo schiacciava. Infatti, quel peso considerato in sè stesso od in relazione con altri dello stesso genere, gli appare come «straordinario», eccessivo. e considerato in relazione colle deboli spalle umane di chi lo dovea portare gli appare come assolutamente «superiore alle forze» sue. Il pericolo in cui si è trovato è stato, invero, così grande, ch'egli è stato ridotto a disperare anche della propria vita. Non la sua pace soltanto, o la sua incolumità personale, o la sua libertà erano in gioco, ma la sua vita stessa; ed ogni via di scampo gli pareva oramai chiusa. Anzi, per dire tutto il suo pensiero, egli riteneva certa ed imminente la sua morte. Considerando in faccia la sua situazione, interrogando le circostanze tutte e le umane possibilità, egli, alla domanda: Che sarà ora di te? - non vedeva che una risposta: Ti aspetta la morte ed una morte violenta. Questa intima persuasione, la chiama un responso, un decreto, o un verdetto:

Anzi,
più che essere in forse della vita,
noi stessi abbiamo, in noi medesimi, pronunziato
(lett. avuto)
il verdetto di morte
su di noi, tanto ci era impossibile farci più oltre illusione. Non era, però, la volontà di Dio che fosse troncata la carriera di Paolo; e se, ha permesso che il suo servitore si trovasse in un pericolo estremo, lo ha fatto per accrescere la sua fede nella potenza e bontà di Dio. Ciò è avvenuto, dice egli,
affinchè noi non mettiamo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti...
La prudenza, il coraggio, l'abilità dell'apostolo, l'influenza di cui potea disporre, tutto si è rivelato impari al bisogno; solo Dio, che è potente da risuscitare perfino i morti, si era mostrato il gran liberatore traendo Paolo dalle fauci di una morte ch'egli stesso avea ritenuta inevitabile.

10 È Dio
il quale da un sì gran [pericolo] di morte ci ha liberati e libera, nel quale speriamo che ancora ce ne libererà.
il testo dice lett. da una sì gran morte, per cui s'intende: da una morte così imminente e terribile. La morte è raffigurata come un nemico poderoso che già teneva la preda nelle sue mani, quando uno più potente gliela strappò. Il testo Tischendorf, Nestle, ecc., legge con tre codici antichi:... «ci ha liberato e ci libererà, nel quale speriamo, ecc.». Sarebbe così ripetuta due volte la speranza per l'avvenire, mancando ogni accenno al presente. È perciò da preferire il testo ordinario che non difetta di appoggio nei Codici di provenienza greco-latina e si trova di già in Origine. Paolo, scampato da morte violenta in Asia, trovasi attualmente in Macedonia, ma non è per questo fuori di ogni pericolo poichè lo insegue l'odio di nemici fanatici e tenaci. Cfr. Atti 20:3; 24:19; Romani 15:31. Egli però si affida alla protezione di Dio. Le recenti liberazioni gli dànno motivo di sperare che Dio lo voglia serbare ancora per qualche tempo all'opera missionaria.

11 È questo il suo vivo desiderio, egli ne domanda a Dio l'esaudimento Romani 1:10; 15:23 e non dubita che alle sue, i Corinzi vorranno, al pari di altre chiese, aggiungere le loro preghiere in suo favore, aiutandolo per tal modo ad ottener da Dio un favore che andrà tutto a beneficio dell'opera del Vangelo:
contribuendovi anche voi col prestarci l'aiuto delle vostre preghiere...
Ai Romani domanderà 2Corinzi 15:30 di «combattere insiem con lui» colle loro preghiere d'intercessione; ai Filippesi si mostrerà certo di veder ogni cosa tornargli a salvezza «mediante le lor preghiere...» 2Corinzi 1:19. Quando Pietro in Gerusalemme stava per essere dato a morte, Luca ci dice che «continue orazioni erano fatte dalla chiesa per lui a Dio» Atti 12:5 ed erano state esaudite, talchè il grido della supplicazione si era mutato in un inno di lode. Così spera l'Apostolo che sia per avvenire a suo riguardo:
affinchè della grazia concessaci per [l'intercessione di] molte persone
(lett. faccie, ossia volti supplichevoli)
siano da molte persone rese grazie a Dio, per noi
È questo uno dei fini divini della preghiera d'intercessione, che essa affratella i cuori in una comune simpatia, in una comune supplicazione ed in un comune ringraziamento quando è stata esaudita.
Se si domanda a quale fatto storico Paolo alluda quando dice del grave pericolo corso e della liberazione ottenuta, le risposte sono molte. C'è chi crede si tratti di una malattia grave che avrebbe portato l'Apostolo sull'orlo del sepolcro. Ma Paolo non avrebbe chiamata una malattia «le sofferenze di Cristo», nè vi sarebbe stata ragione di parlare di «una cotanta morte», e neppure di liberazione presente da un pericolo cessato colla guarigione. Altri hanno pensato ad un naufragio 2Corinzi 11:24-25; ma difficilmente potrebbe allora chiamarlo «la tribolazione avvenutaci nell'Asia». La maggior parte degli interpreti vede in questa tribolazione, quella di cui ci è parlato in Atti 19, cioè il tumulto sollevato da Demetrio. Vero è che Paolo dice «nell'Asia» e non «in Efeso»; ma scrivendo egli dalla Macedonia ai cristiani dell'Acaia, non può sorprendere ch'egli, invece di nominare la capitale, indichi la provincia, tanto più se, com'è probabile, Paolo ebbe ad incontrare in altre parti dell'Asia proconsolare (estremità occidentale dell'Asia minore) quel medesimo fanatismo pagano aizzato dall'odio giudaico, che avea fatto esplosione in Efeso. Vero è ancora che Luca non parla di un grave pericolo corso da Paolo; ma da quello che dice si può arguire quanto fosse in quei giorni minacciata la vita dell'apostolo. Chiama «non piccolo» il tumulto demetriano; narra come gli eresiarchi amici di Paolo lo consigliassero a non presentarsi in pubblico, e come, cessato il tumulto, l'Apostolo stimasse miglior consiglio lasciare Efeso. Se dunque egli non allude qui esclusivamente al tumulto narrato negli Atti, certo egli allude alla persecuzione di cui il tumulto demetriano fu l'episodio più notevole. Quando, in Romani 16:3-5, Paolo ricorda ad onore di Aquila e di Priscilla ch'essi «hanno esposto il loro collo» per la di lui vita, egli allude probabilmente a un fatto avvenuto nel corso di quella stessa persecuzione in cui la sua persona fu presa di mira in modo particolare Atti 19:26. E poichè l'Apostolo potè sfuggire quasi miracolosamente al pericolo, s'intende di leggieri che l'odio e le insidie dei nemici lo seguissero nella Macedonia nell'Acaia e fino in Giudea.

AMMAESTRAMENTI
1. Paolo sa che a Corinto non mancano coloro che riguardano come spurio il suo apostolato e lo disprezzano. Ciò non l'impedisce di proclamarsi con sicura coscienza «Apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio». Lo fa senza superbia, perchè è pura grazia; lo fa senza falsa modestia o timidità, perchè si tratta di non venir meno alla vocazione ricevuta. La vocazione divina è il fondamento dell'ufficio ministeriale; non l'ordinazione ecclesiastica, la quale non può se non riconoscere il dono e la vocazione ricevuti. Chi è chiamato da Dio potrà veder l'ufficio suo proclamato illegittimo dal sacerdotalismo; ciò non l'impedirà di attendere ad un ministero ricevuto da Dio e da Dio benedetto.
2. La grazia è la sorgente prima della salvazione; la pace ne è il primo frutto nell'uomo. Grazia e pace! Quale voto migliore potrebbe farsi per una chiesa, per una famiglia, come per ogni singolo cristiano? Che cosa è la vita senza grazia da Dio e senza pace con Dio? L'esser questo l'augurio apostolico costante c'insegna come quel duplice bene sia da procurare sopra tutti, per noi e per gli altri. Non c'è mezzo migliore per rinnovellare e crescere vigore alla vita cristiana, che il ricondurla sempre alle sue sorgenti.
3. Il duce della salvazione nostra, è convenuto che Dio lo «rendesse compiuto per mezzo dei patimenti» Ebrei 2:10; cosicchè «dalle cose che sofferse, imparò l'ubbidienza», ed acquistò come uomo-Dio la capacità di recar soccorso a coloro che sono provati Ebrei 5:8, 2:18. Non deve dunque parer strano che il discepolo dell'uomo dei dolori sia chiamato a soffrir tribolazione per cagion di giustizia. Non ogni sofferenza nostra è tale. Possiam soffrire per i nostri peccati e difetti 1Pietro 4:15; 3:17, ma delle nostre sofferenze come cristiani, non abbiam motivo di vergognarci, poichè esse sono una partecipazione alle sofferenze di Cristo 1Pietro 4:12-19. Le ferite riportate nella santa guerra contro al male Paolo le considera come onorevoli e tali da meritargli dei riguardi per parte dei credenti Galati 6:17. Ciò non toglie, però, che le tribolazioni da incontrarsi per Cristo siano talvolta di una gravità terribile. Può esser fatto strazio della nostra riputazione; possiamo essere spogliati dei nostri beni, privati della libertà e perfino della vita Giovanni 16:1-4. Quanti cristiani migliori dì noi hanno sofferte queste cose nell'età passate e le soffrono oggi ancora! Se non che, Dio è fedele e là dove abbondano le sofferenze di Cristo egli fa abbondare altresì la consolazione. Nelle carceri e sui roghi si udiranno degl'inni a Dio.
4. Fra i risultati benefici delle afflizioni del cristiano, vanno notati i seguenti:
a) Esse ci rivelano la nostra profonda debolezza, il nostro nulla, «affinchè non poniamo in noi stessi la nostra fiducia», ma nel Dio che può trarci dai più grandi pericoli e dalle maggiori difficoltà.
b) Esse ci rivelano e ci fanno sperimentare la profondità delle compassioni del «Padre delle misericordie», del «Dio di ogni consolazione» tal modo una grande scuola di liberazioni del passato c'incoraggiano a credere e a sperare in Dio per l'avvenire.
c) Le afflizioni ci rendono più capaci di simpatizzare con chi soffre e più idonei a recar loro le consolazioni da noi sperimentate. È questo il caso per ogni cristiano; ma lo è più specialmente per il ministro di Cristo. Egli non vive per sè, ma per la chiesa alla cui edificazione presente, ed anche futura, devono giovare le sue esperienze liete o penose.
5. La comunione dei santi ha il suo fondamento nell'unione loro con Cristo. Essa è, fra l'altre cose, comunione di sofferenze per Cristo, comunione di preghiere sia per intercedere, sia per render grazie gli uni per gli altri, comunione di consolazioni ricevute da Dio per mezzo di Cristo e partecipate a coloro che sono in qualunque afflizione. Cessata la lotta, sarà comunione nel godimento della eterna salvazione.
6. Le liberazioni e le consolazioni ricevute quaggiù fanno sgorgare dal cuore la riconoscenza. Che saranno mai i cantici dell'adorazione e della gratitudine dei redenti quando saranno liberati da ogni nemico e Dio «asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro»?

12 PARTE PRIMA

Esposizione apologetica del modo in cui Paolo ha esercitato ed esercita il ministerio evangelico


2Corinzi 1:12-7:16

«Esistevano presso i Corinzi dei gravi malintesi intorno alla recente condotta di Paolo; la malevolenza dei suoi avversari li aveva creati e si adoperava ad alimentarli. Paolo si sforza di dissiparli e di riconquistare per tal modo la fiducia della chiesa nel di lui carattere e nel di lui ministerio evangelico. E lo fa coll'opporre il ministerio cristiano qual egli lo intende e lo pratica, al carattere doppio, metà giudaico, metà cristiano, di coloro che cercavano di soppiantarlo in Corinto» (Godet: introd. N. T. I.).
Testimone della verità assoluta in Cristo, egli respinge anzitutto l'accusa di carnale duplicità e leggerezza mossagli in occasione del ritardo frapposto alla sua visita ai Corinzi 2Corinzi 1:12-2:11.
Raccomandato dai visibili successi accordatigli da Dio che lo ha fatto capace del ministerio spiritualmente efficace e glorioso del Nuovo Patto, egli lo esercita con leale franchezza, proclamando la salvezza in Cristo davanti a tutti giudei e pagani 2Corinzi 2:12-4:6.
Costretto a disimpegnar l'ufficio suo in mezzo a tribolazioni e pericoli d'ogni sorta, egli non perde però coraggio; sostenuto com'è dalla speranza della gloria riservatagli 2Corinzi 4:7-5:10.
Compreso da un senso profondo del timor di Dio, e mosso da un amore devoto per Colui ch'è morto e risorto per lui, egli esercita il suo ministerio di riconciliazione presso i non credenti e di edificazione presso i credenti, in modo da non dare intoppo ad alcuno 2Corinzi 5:11-6:10.
Perciò, sente che ha il diritto di domandare ai Corinzi, pure insistendo ancora presso di loro acciocchè si separino dall'idolatria, ch'essi ricambino più cordialmente l'affetto e la fiducia ch'egli nutre per loro, soprattutto dopo le buone notizie recategli da Tito circa l'effetto prodotto dalla sua precedente lettera 2Corinzi 6:11-7:16.

§1. Sincerità e coerenza di Paolo 2Corinzi 1:12-2:11

Nel terminare il suo rendimento di grazie, Paolo si è mostrato fiducioso nell'aiuto delle preghiere dei Corinzi. Ma, egli non ignora che si è cercato di scuotere la fiducia della chiesa in lui togliendo a pretesto il mutamento sopravvenuto nei piani da lui prima formati e manifestati riguardo ad una prossima sua visita a Corinto. Gli avversarii lo hanno accusato di mancanza di sincerità nelle sue promesse, d'incoerente leggerezza nei suoi progetti, insinuando perfino che un tal uomo non poteva ritenersi come un apostolo genuino della verità evangelica.
Paolo si difende da codeste accuse, protestando prima, in modo generale, della santa sua sincerità nelle relazioni coi Corinzi 2Corinzi 1:12-14. Quanto ai piani relativi alla sua visita, egli non ha coscienza di aver ceduto ad uno spirito di leggerezza e di mutabilità in questa parte del suo ministerio, più che non l'abbia fatto nella sua predicazione, la quale è stata, per la virtù dello Spirito, una coerente ed efficace affermazione di Cristo il Figliuol di Dio 2Corinzi 1:15-22. Se non si è più recato a Corinto, è perchè la sua visita sarebbe stata per la chiesa, come per lui, occasione di tristezza anzichè di gioia 2Corinzi 1:23-2:4. Ha preferito scrivere quella lettera che ha provocato un risveglio morale nella chiesa e non sarà lui che farà ora difficoltà per la riammissione di chi si mostra pentito. La ritiene, anzi, cosa doverosa 2Corinzi 2:5-11.

Sezione A 2Corinzi 1:12-14 LA SINCERITÀ DI PAOLO

Paolo protesta della santa sincerità della sua condotta verso i Corinzi
Il nesso tra 2Corinzi 1:12 e quello che precede è espresso con un perciocchè. Paolo sente che ha il diritto di fare assegnamento sulle preghiere dei Corinzi, perchè ha coscienza di essersi comportato con quella sincerità e serietà che si addice ad un ministro del Vangelo.
Perciocchè il nostro vanto è questo: la testimonianza della nostra coscienza che noi ci siamo comportati nel mondo, e specialmente con voi, con santità e sincerità di Dio, non con sapienza carnale, ma con [la] grazia di Dio.
Qualunque sia il giudicio che della sua condotta fanno altri, egli può con intima gioia gloriarsi di avere a sè favorevole un testimone della sua vita assai più competente degli uomini: la propria coscienza, quella interna voce di Dio che giudica del valore morale di ogni atto e di ogni movente. Essa attesta la purezza dei motivi che hanno guidato Paolo in tutta la sua attività missionaria se dice: Specialmente con voi, non è perchè altrove sia stato meno sincero, ma perchè il prolungato soggiorno a Corinto e le circostanze difficili in cui l'opera si era svolta, avevano fornito delle prove particolari della rettitudine dell'Apostolo. Per es. egli aveva, nell'Acaia, predicato l'Evangelo gratuitamente. Il testo ordinario legge: «con semplicità e, sincerità»; ma i quattro più antichi codici, seguiti dai maggiori critici, leggono: «con santità, ecc.». La parola greca adoperata (ἁγιοτης) non s'incontra che in Ebrei 12:10 ed indicherebbe qui la purezza ed elevatezza religiosa dei moventi ai quali Paolo obbedisce. Non v'è in essi nulla di basso, di egoistico, di peccaminoso. La parola (sincerità) secondo la radice da cui la si deriva, può indicare la limpidezza, la trasparenza cristallina dell'animo, ovvero l'assenza di ogni mistura, di qualsiasi secondo fine, astuzia o frode. Cfr. 2Corinzi 2:17; 4:2; 5:14; 1Tessalonicesi 2:5. Aggiungendo la qualifica di Dio. Paolo vuol dire che agisce con quella santità e sincerità che sono prodotte da Dio mediante lo Spirito che rinnova e purifica il cuore. L'opposto di cotali disposizioni Paolo chiama «sapienza carnale», ch'è quanto dire avvedutezza mondana di chi nella sua condotta s'ispira alle inclinazioni della natura corrotta; che mira a fini terreni o egoistici, quali la propria gloria ed il proprio interesse, ovvero se mira a fini buoni. In sè, adopera mezzi riprovevoli quali la duplicità, l'adulazione, la furberia. Non da codesta sapienza è stato guidato Paolo. La grazia di Dio lo ha mantenuto sempre in un'atmosfera più elevata e pura, ed in quella si è mosso od è «conversato» (Diodati).

13 E poichè lo si accusava, a quanto pare, di mancanza di sincerità nelle sue lettere 2Corinzi 10:1,9-11, quasichè in quelle assumesse un'autorità che non aveva, o promettesse cose che poi non manteneva, o si mostrasse diverso da quello ch'egli era in realtà, Paolo protesta della sua sincerità nelle sue epistole.
Infatti,
facendo appello a quanto di lui conoscevano i Corinzi stessi, infatti
noi non vi scriviamo
(nelle nostre lettere)
altro che quello che voi leggete od anche ben conoscete.
cioè, siamo sinceri in quanto vi scriviamo; le nostre lettere non hanno altro senso nè altro scopo all'infuori di quello che ognuno di voi può comprendere dalla lettura che ne fa. Non c'è da cercarvi chi sa quali sottintesi o reconditi fini, non c'è nulla da legger tra le linee. D'altronde non siamo fra voi degli sconosciuti. Ci avete uditi, e veduti all'opera; potete quindi giudicare se quel che vi scriviamo risponde a quanto ben conoscete del nostro carattere, dei nostri moventi, del nostro insegnamento e della nostra autorità apostolica. Diodati ha reso il verbo αναγινωσκετε: discernete; ma esso non ha mai quel senso nel N. T. ove occorre 34 volte. Sempre significa leggere.

14 Le parole che seguono 2Corinzi 1:13-14 sono suscettibili di esser variamente costruite. Si può, col Diodati, riguardare come parentesi la fine di 2Corinzi 1:13 «ed io spero che le riconoscerete eziandio infino al fine, siccome ecc.». Il senso sarebbe: E questa conoscenza favorevole di noi, spero che la serberete sempre, poichè avete ormai già riconosciuto, almeno in parte, che noi siamo il vostro vanto... Ovvero, seguendo la punteggiatura del Tischendorf, e facendo del principio di 2Corinzi 1:14 un inciso (vers. Revel), si ottiene la frase seguente:
Ed io spero che, fino alla fine, voi riconoscerete - come una parte [di voi] ha di già riconosciuto a nostro riguardo - che noi siamo il vostro vanto, siccome anche voi siete il nostro, nel giorno del Signor nostro Gesù.
Il testo dice semplicemente: «come in parte ci avete riconosciuti». Ci sembra più sicuro interpretare: una parte di voi, cioè la maggioranza della chiesa che, nonostante gli sforzi degli avversarii di Paolo, seguitava a tenerlo in alta stima come apostolo grandemente onorato dal Signore. Paolo spera che continueranno, fino alla venuta di Cristo da lui ritenuta prossima e che segnerebbe la fine del secolo presente, a considerare come un privilegio ed un onore l'essere stati ammaestrati nel Vangelo da un apostolo di Cristo quale egli era, per la grazia di Dio. Quanto a lui, riteneva come una gloria il poter contare la chiesa di Corinto fra i risultati di cui Dio aveva coronate le sue fatiche. Era questo fin d'ora, per lui, una fonte di gioia, ma lo sarebbe molto più, nel giorno della venuta gloriosa di Cristo, quando apparirebbero in tutta la loro eccellenza eterna, i frutti della salvazione.

AMMAESTRAMENTI
1. Il non avere una coscienza pura rende uno vergognoso, impacciato, pauroso, senza energia e senza gioia. Per contro se la nostra coscienza internamente attesta la santità e la sincerità dei nostri moventi e della nostra condotta, codesta testimonianza è il massimo dei conforti in mezzo alle avversità: allorquando, non il mondo solamente, ma i fratelli, gli amici, giudicano male il nostro modo d'agire. La testimonianza della nostra coscienza ci permette di chiedere il suffragio delle preghiere altrui e di farvi sopra assegnamento. Ci rende capaci di guardare alle accuse, ai sospetti di cui possiamo essere oggetti con cuor tranquillo e sereno, anzi con nobile fierezza. E se costretti a difenderci, siamo in grado di esporre alla luce del sole i nostri motivi colla persuasione che si raccomanderanno all'altrui coscienza.
Quel che l'occhio è per il corpo, lo è per l'uomo morale la coscienza; perciò va trattata coi più delicati riguardi Matteo 6:22-23.
2. La causa del Vangelo ch'è verità dev'esser servita da cuori sinceri 2Corinzi 4:13, santificati dallo Spirito. Le ripugna l'uso dei mezzi equivoci, delle arti diplomatiche, delle gesuitiche astuzie e reticenze. I banditori del Vangelo devono esporre con chiarezza e semplicità il consiglio di Dio, senza nascondere quello che può essere scandalo agli uni o pazzia per gli altri. La trasparente lealtà del predicatore persuade assai più che non gli sforzi dell'arte.
La santa sincerità prodotta dalla grazia è del pari il primo requisito per pascere una chiesa. Se manca quello, se subentra la convinzione che un conduttore di anime obbedisce a moventi egoistici di dominazione, di gloria terrena d'interesse mondano, la mutua fiducia: quel delicatissimo legame che unisce il pastore alla greggia, resta interrotta e l'influenza dell'uno sull'altra è grandemente diminuita. «Perciò, o servo di Cristo, per l'onore del tuo Signore, guarda d'essere perfettamente sincero e puro... Sia la sincerità e la santità di Dio il tuo ideale... Abborrisci le arti della sapienza carnale... Sii sincero nel tuo parlare; scrivi, parla come tu pensi; e siano le tue parole riprodotte nella tua condotta... E poichè una tale sincerità è opera della grazia, fa' di ricercarla e d'implorarla con costanza» (Langheinrich). - D'altronde, non al solo ministro ha da raccomandarsi la sincerità. «Nella vostra vita quotidiana, dice F. Robertson a tutti i cristiani, fate quel che sentite esser buono, dite quel che sapete esser vero, e lasciate pure con fede al Signore le conseguenze».
3. Se Paolo protesta di non scrivere altro nelle sue lettere se non ciò che i Corinzi vi possono onestamente leggere, ne dobbiamo concludere che nei suoi scritti ed in genere nelle Scritture, non si hanno da cercare dei sensi molteplici e reconditi; bensì il senso piano e naturale. Paolo non scrive per pochi privilegiati, ma per tutta la chiesa.
4. «Coloro che salvano un'anima da morte preparano a sè stessi allegrezza pel giorno in cui la luce dell'eternità rivelerà il valore reale di un'anima. La stessa luce rivelerà la vera grandezza degli eroi della fede» (A. Beet). L'avvenire renderà piena giustizia al servo di Cristo sincero; intanto, dev'essere riconoscente di vedersi stimato ed apprezzato da molti suoi fratelli.

15 Sezione B 2Corinzi 1:15-22 LEGGEREZZA FISICA

Nei suoi piani di viaggio, come nella sua predicazione, Paolo non è stato colpevole d'incoerente leggerezza.
Dopo aver, in modo generale, protestato della sua sincerità, Paolo accenna al caso speciale che avea dato occasione agli avversari di accusarlo d'instabilità.
E con questa fiducia,
colla fiducia che i Corinzi riconoscessero in lui un apostolo grandemente onorato da Cristo, come egli vedeva in loro la sua, corona, in questa persuasione di mutua stima ed affetto che avrebbe rese proficue e piacevoli le visite di Paolo a Corinto, io, dice,
voleva venir prima da voi, affinchè aveste una seconda grazia,

16 e passando da voi, recarmi in Macedonia, poi dalla Macedonia tornare nuovamente a voi ed esser da voi fatto proseguire alla volta della Giudea.
Secondo questo progetto, la chiesa avrebbe goduto due volte della visita di Paolo; e questa duplice visita egli non si perita di chiamarla una prima ed una seconda grazia. Conscio com'è del ministerio ricevuto e della grazia di Cristo che l'accompagna, egli è certo che ogni sua visita, fatta in condizioni morali favorevoli, avrebbe recato un qualche beneficio spirituale ai Corinzi. Ai Romani egli esprime la sua brama di vederli «per comunicar loro qualche dono spirituale» atto a raffermarli Romani 1:11; 15:29. Il progetto di recarsi prima a Corinto e poi in Macedonia, Paolo ha dovuto formarlo quando non pensava ancora di dover scrivere la 1a ai Corinzi, poichè in quella lettera 1Corinzi 16:5-6 egli accenna di già al suo nuovo piano di attraversar la Macedonia prima di visitar Corinto. Il suo primitivo disegno l'avea potuto manifestare sia in occasione della sua seconda breve gita, sia nella lettera perduta di cui 1Corinzi 5. Fatto sta che quando l'avea formato, egli viveva nella dolce persuasione espressa in 2Corinzi 1:14 ed egli ignorava ancora l'esistenza dei partiti della chiesa, lo scandalo dell'incestuoso, la guerra sorda mossagli dagli avversarii giudaizzanti ed altre cose simili. Cotali nuove circostanze l'avevano indotto a posporre una visita che sarebbe riuscita penosissima, almeno finchè avesse veduto l'effetto morale prodotto dalla 1a Epistola. Ad ogni modo, sta nel formare come nel modificare il piano del suo viaggio in Macedonia ed in Acaia, rimaneva fermo il proposito di visitare Gerusalemme, recando la sovvenzione pei cristiani, e di portare in seguito la sua attività nell'Occidente Atti 19:21. Il verbo che abbiam tradotto far proseguire significa lett. «mandare innanzi» e si applica all'accompagnare che fanno gli amici per prender commiato da chi parte Atti 20:38; 21:5; più spesso però vi si connette l'idea del facilitare ad uno il viaggio, col fornirgli se non dei compagni, almeno dei mezzi materiali Tito 3:13-14; Romani 15:24, ecc.

17 Nel voler (testo emendato) questo, ho io dunque usata leggerezza ?
Ho io forse presa e manifestata quella mia risoluzione, senza la dovuta ponderazione, senza la leale intenzione di mandarla ad effetto?
Ovvero,
peggio ancora,
le cose che io delibero, le delibero io
abitualmente
secondo la carne,
seguendo cioè gl'impulsi e le ispirazioni della natura corrotta, cedendo a moventi meramente umani, terreni, egoisti?
Talchè vi sia in me
(lett. presso di me)
il sì sì, ed il no no ?
A 2Corinzi 1:18 dice semplicemente e no; la ripetizione delle particelle indica l'insistenza dell'affermazione o della negazione. L'affermare energicamente, il promettere solennemente ad un dato momento; per negare e disdirsi, con pari energia, poco dopo, è da uomo o sleale, o leggero ed inconstante su cui non si può fare assegnamento. Taluni interpreti hanno veduto in queste parole di Paolo l'espressione di una ostinazione carnale che sarebbe cocciutaggine; quasi volesse dire: Ho io l'abitudine d'incaponirmi nelle deliberazioni che prendo per modo che il mio sì debba assolutamente esser sì ed il mio no, no, anche quando le mutate circostanze rendessero necessario di modificare le prime risoluzioni? Paolo, però, non si difende dall'accusa di testardaggine, bensì da quella d'incostanza e di versatilità disdicevole ad un apostolo di Cristo. Ed a respingere l'insinuazione di carnale incoerenza, egli si appella al carattere di tutta la sua predicazione in Corinto, quando, insieme a Sila e Timoteo, egli avea poste le basi della fede nei cuori degli attuali membri della chiesa. Si tratta di fatti che sono scolpiti profondamente nell'esperienza religiosa dei Corinzi e che nessuno può revocare in dubbio. L'Apostolo, con coscienza sicura, può affermare senza tema di smentita, che egli, mercè la fedeltà di Dio e l'opera dello Spirito, non è stato quell'uomo instabile, quella canna dimenata dal vento di passioni terrene, che i nemici vanno dicendo.

18 Fedele è Iddio, la parola da noi rivoltavi non è sì e no.
Il presente è invece del l'è stata, è autenticato dalla maggior parte dei codici e contiene una affermazione anche più energica del carattere permanente di verità, di assoluta certezza dell'Evangelo recato da Paolo a Corinto. Infatti, nella «parola» rivolta o recata dell'Apostolo, non si ha da vedere solamente la promessa di una visita, e neppure in modo generico le comunicazioni verbali od epistolari fatte dall'Apostolo ai Corinzi (q. d. «quel che vi diciamo»), ma, come lo spiega 2Corinzi 1:19, il messaggio evangelico proclamato da Paolo e dai suoi compagni. Quel messaggio non è cosa instabile come la rena delle speculazioni umane, e Paolo l'ha potuto trasmettere in tutta la sua verità divina mercè la fedeltà di Dio che l'ha assistito colla sua grazia. Tale il senso più naturale delle parole: «Fedele è Iddio», le quali sono da molti (vedi Diod.) intese come una formula se non di giuramento, di solenne affermazione; quasi volesse dire: «Com'è vero che Dio è fedele...». Si confr. però a conferma del senso sopraindicato 1Corinzi 1:9; 10:13; 1Tessalonicesi 5:24; 2Tessalonicesi 3:3; 1Giovanni 1:9. L'Evangelo predicato da Paolo non può esser cosa incerta e mutabile, perchè n'è centro e sostanza il Figliuol di Dio stesso fatto carne, colui nel quale e mediante il quale il disegno divino della salvazione diventa realtà.

19 Intatti, il Figliuol di Dio Cristo Gesù ch'è stato fra voi predicato da noi
(lett. «per mezzo di noi»),
[cioè] da me, da Silvano e da Timoteo, non è stato sì e no; ma è stato sì in lui.
Non senza ragione Paolo accentua in modo solenne il fatto ch'egli non ha voluto saper altro a Corinto se non Cristo 1Corinzi 2: Cristo il Figliuol di Dio, che si è abbassato fino a prender forma di servo ed a morir sulla croce per compiere la salvazione promessa. C'erano a Corinto degli individui che nella fondazione della chiesa non avevano avuto parte, ma erano venuti più tardi per impadronirsi del lavoro di Paolo, che si dicevano «di Cristo», ma predicavano un Gesù diverso da quello di Paolo, raffazzonato in modo da non essere scandalo ai Giudei nè pazzia ai Greci. Il Cristo predicato da Paolo non era quello della speculazione filosofica, un che di incerto, di problematico, di mutabile, come i sistemi umani; ma era il Cristo delle Scritture, il Cristo vivente che si era rivelato a lui. Ond'è che la predicazione fattane ai Corinzi non era stata una disquisizione inconcludente seminata di punti interrogativi, oscillante fra il sì e il no, ma l'affermazione solenne, convinta e coerente del testimone che proclama la verità, che può esclamare: «Certa è questa parola è degna d'essere ricevuta per ogni maniera, che G. C. è venuto nel mondo per salvar dei peccatori». Era stata sì in lui; e con ragione:
poichè, quante sono le promesse di Dio, [esse hanno] in lui il [loro] sì.
Letter. in lui [è] il sì. Si tratta delle promesse messianiche contenute nell'Ant. Test. Galati 3:16; Romani 4:13; 9:4; 15:8, e di cui una parte già si è adempiuta nella persona e nell'opera passata di Cristo, mentre altre sono in via di adempimento nella progressiva estensione del regno di Dio, mediante l'opera presente di Cristo Atti 3:21; Romani 11. Tutte trovano in lui la loro positiva conferma ed attuazione. «La grazia e la verità sono avvenute per mezzo di Gesù Cristo» Giovanni 1:17. Egli è «la via, la verità e la vita». Coloro che sono entrati in contatto con lui, non possono non dire con Pietro: «Noi abbiamo creduto ed abbiamo conosciuto che tu sei il santo di Dio» Giovanni 6:69 testo emend.. Quindi è che la loro predicazione non è incerta e dubbiosa, ma è una testimonianza alla più grande delle realtà.

20 Il testo ordinario aggiunge qui: «e in lui l'amen...»; ma quasi tutti gli antichi codici e versioni, seguiti dai critici più autorevoli, leggono invece:
Perciò ancora, per mezzo di lui, ha [luogo]
(o: vien pronunziato)
l'amen, alla gloria di Dio per nostro mezzo.
Paolo allude all'uso esistente nelle chiese cristiane di significare con un amen la loro piena adesione alle parole di supplicazione o di lode pronunziate in nome di tutti da chi presiedeva alla raunanza 1Corinzi 14:16. Tale uso esisteva di già nelle sinagoghe e viene spesso mentovato nell'Antico Test. Deuteronomio 27:15 e segg.; Neemia 8:6; Salmi 41:14; 72:19, ecc. In Cristo hanno il loro adempimento le promesse di Dio: perciò ancora per mezzo di lui ossia nel nome di Lui, in fede nella di lui mediazione, vien pronunziato l'amen della chiesa quando benedice Dio o lo supplica delle sue grazie. Col suo «amen» la chiesa confessa la sua fede in Cristo qual mediatore per mezzo di cui Dio ha adempiuto ed adempie fino alla fine le sue promesse l'amen della fede è la risposta della terra alle sicure promesse del cielo che trovano in Cristo il loro sì. E questo amen della fede in Dio per Cristo, ridonda alla gloria di Colui che la Chiesa adora e prega come l'Iddio vivente e fedele, che ha realizzato in Cristo l'eterno disegno della salvazione. Ma la fede che glorifica Iddio, come nascerebbe nei cuori, se non ci fosse chi predica Cristo? in Corinto, come in tanti altri luoghi, se vi era una chiesa di credenti, lo si doveva, dopo Dio, a Paolo ed ai suoi collaboratori. Perciò aggiunge: - per nostro mezzo, vale a dire: mediante il nostro ministerio apostolico Romani 10:14. Altri spiega: per mezzo di noi cristiani che pronunziamo quest'amen della fede. Ma nel versetto seguente il «noi» si applica a Paolo; ed il ricordare come la fede dei Corinzi sia nata dalla solenne affermazione della verità in Cristo fatta da Paolo e dai suoi compagni, potea servire a confondere chi accusava l'Apostolo di essere una canna dimenata dal vento.

21 A scanso di malintesi, egli soggiunge, però (cfr. 2Corinzi 1:18), che se ha predicato Cristo come l'ha fatto, e se alla sua parola è nata e si è svolta una fede salda, ciò non è merito nè del predicatore nè degli ascoltatori, poichè chi ha operato, così nell'uno come negli altri, è Dio.
Ora,
come dicesse: ora poi, o: del resto sono il primo a riconoscerlo,
colui che ci rende saldi, insiem con voi, in Cristo e che ci ha unti, è Dio...
Chi ha dato all'apostolo la chiara visione della verità salutare, chi gli ha dato la pienezza di fede colla quale ha potuto annunziar l'Evangelo senza variazioni, nè adulterazioni, nè arti carnali, chi gli mantiene costantemente quella grazia come lo fa per i Corinzi, è Dio 2Corinzi 2:17; 1Corinzi 2, al quale appartiene ogni gloria. Il «ci ha unti» s'intende dell'unzione del suo Spirito 1Giovanni 2:20,27. Tutti i cristiani hanno parte all'unzione dello Spirito che li consacra a Dio per esser re, sacerdoti e profeti con Cristo, l'Unto di Dio per eccellenza. Ma siccome qui Paolo parla specialmente di sè e dei suoi colleghi nel ministerio evangelico, si ha da vedere, nel participio aoristo χρισας ed in quelli che seguono, un accenno alle grazie ed ai doni speciali di cui Dio avea dotato l'Apostolo per renderlo atto all'esercizio dell'alto ufficio affidatogli. Cfr. 1Corinzi 2:6-16; Galati 1:15; e per Cristo: Luca 4:18; Atti 4:27; 10: 38; Ebrei 1:9.

22 il quale ancora ci ha suggellati e [ci] ha data l'arra dello spirito nei cuori nostri.
Il sigillo era adoperato per autenticare un documento, per affermare in modo palese il diritto di proprietà inviolabile su di una cosa o persona 1Corinzi 9:2; Matteo 26:66; Apocalisse 7:3; Efesini 1:13; 4:30. Il suggello di Dio consiste nel rinnovamento interno operato dallo Spirito e ch'è come l'impronta colla quale Dio proclama i redenti, suoi, per il tempo e per l'eternità. L'arra (αραβων, lat, arrha, parola esistente nell'ebraico e dal fenicio passata nel linguaggio commerciale) è la caparra che il compratore dà al venditore a mo' di suggello di un contratto e di garanzia dell'intiero pagamento della somma pattuita. Lo Spirito donato da Dio ed abitante nei cuori è la caparra che Dio ci dà del sicuro possesso dei futuri beni riservati ai suoi figli quale eterna eredità Romani 8:10-17. «L'illuminazione dello Spirito è arra di luce eterna; la vivificazione operata dallo Spirito è arra di eterna vita; le consolazioni dello Spirito sono arra di gioia eterna» (Henry). Mercè lo Spirito di Dio, il cui possesso nel cuore è per Paolo l'arra divina della gloria, la cui opera santifìcante è il sigillo indelebile impresso da Dio su di lui, i cui ricchi doni, sparsi a guisa di unzione sul suo capo, lo hanno consacrato e reso atto all'apostolato, la cui efficacia lo rende del continuo saldo in Cristo, l'Apostolo può proclamare altamente ch'egli, in tutta l'opera sua apostolica a pro' dei Corinzi, non è stato uomo leggero ed instabile.

AMMAESTRAMENTI
1. «Non è egli umiliante per la natura umana che un uomo franco, leale, coraggioso come lo è stato Paolo, abbia dovuto difendersi dall'accusa di duplicità e di leggerezza? Andiamo adagio nel prestar motivi men che degni agli altri, specialmente se trattasi di uomini che sappiamo essere migliori di noi», e che Dio visibilmente onora e benedice. «Il risultato immediato di codesto imputar motivi ed interpretar foscamente le azioni, è di uccidere la mutua fiducia ch'è appunto il solo ambiente in cui possa compiersi un qualche bene spirituale» (Da J. Denney).
2. Il mondo alieno da Dio, ed anche talvolta i cristiani, guardano con occhio indagatore e critico al servo di Cristo per accusarlo, s'egli si uniforma al mondo in fatto di duplicità, di leggerezza, di versatilità. È quindi necessaria nel ministro di Cristo la massima vigilanza, affinchè, se pure il mondo non lascia di giudicarlo male, egli abbia almeno la coscienza che i moventi di tutta la sua condotta sono degni dell'alta missione affidatagli. Predicatore dell'immutabile verità del Vangelo, il suo carattere personale dev'essere, per serietà, per veracità e per fedeltà agli impegni, per sincerità e rettitudine, per costanza nei propositi, in armonia col messaggio che reca agli uomini. È una mostruosità il proclamare dottore infallibile della verità di Dio un dissoluto, un ambizioso, uno scettico od un furbo politicastro. Chi è «doppio di cuore è instabile in tutte le sue vie», dice Iacobo. Ma il contatto abituale dell'anima con ciò ch'è per natura alto, immutabile, eterno, deve comunicare al carattere un'impronta di serietà e di stabilità. Si prendano le risoluzioni dopo esame ponderato e non si mutino senza motivi serii.
3. Chi non ha nulla di certo da predicare non è fatto per l'apostolato evangelico. Paolo pone Cristo al centro della sua predicazione, ed a fondamento della chiesa dei credenti 1Corinzi 2:2; 3:11. La sua predicazione è una solenne, costante, coerente affermazione della divinità di Cristo, della sua incarnazione, e dell'opera di salvazione da lui compiuta col rivelare alla mente la verità, col dar pace alla coscienza mediante la espiazione dei peccati, col destar nel cuore una nuova vita. In Cristo si adempiono così tutte le promesse di Dio, e per lui si effettuano i divini disegni. Egli è la roccia sicura su cui l'anima può poggiare. Mentre tutto quaggiù muta e passa: sistemi e cose e persone; «Egli è lo stesso ieri, oggi, ed in eterno». Quando il Figliuol di Dio è predicato al mondo «con piena certezza», dalle anime sincere esce l'amen della fede.
4. La saldezza della fede che rende il predicatore capace di esclamare: «Ho creduto, perciò ho parlato» 2Corinzi 4:13 ovvero: «Certa è questa parola...» 1Timoteo 1:15; la piena persuasione per cui ogni credente, sicuro della sua salvezza in Cristo, può dire: «io so in chi ho creduto...», non procede dal ragionamento umano, ma è risultato di una profonda esperienza personale; è il frutto dello Spirito operante nel cuore. Non è presunzione l'aspirare al pieno accertamento», è anzi dovere il tendere verso la saldezza in Cristo; ma chi dona questa grazia all'apostolo come al semplice fedele è Dio, il quale c'incoraggia col promettere, a chiunque glielo domanda, quello Spirito ch'è ad un tempo unzione di consecrazione e d'illuminazione, suggello di appartenenza a Dio ed arra di celeste eredità.

23 Sezione C 2Corinzi 1:23-2:4 IL MOTIVO DEL RITARDO

Il vero motivo per cui Paolo avea ritardata la sua visita era stato il desiderio di risparmiare alla chiesa delle misure disciplinari severe e penose per tutti
L'Apostolo ha affermata la sua sincerità e respinta l'accusa di leggerezza e di mutabilità, coll'appellarsi al carattere coerente della sua predicazione in Corinto. A vie meglio dissipare ogni traccia di dubbio dall'animo dei lettori, egli dichiara apertamente il motivo che l'avea determinato a posporre la visita annunziata. Non trattavasi d'un capriccio o d'un qualche interesse egoistico; ma di un motivo alto, connesso col bene stesso della chiesa e degno per ogni verso dell'ufficio apostolico. E poichè i motivi sono cosa intima, non veduta se non da Colui che scruta i cuori, Paolo prende Dio a testimone della verità di quanto sta per affermare.
Ora, io chiamo Dio a testimone sopra l'anima mia, ch'egli è per risparmiarvi ch'io non mi sono più recato a Corinto.
Gesù ha proibito i giuramenti leggeri fatti in futili forme e per futili motivi Matteo 5:34. L'abitudine dell'invocare ad ogni piè sospinto il nome di Dio, toglie infatti valore e solennità al giuramento legittimo che vediamo praticato da Gesù stesso Matteo 26:64; dagli angeli di Dio Apocalisse 10:5-6 e da Paolo sotto varie forme 2Corinzi 11:31; Galati 1:20; Romani 9:1; come pure Ebrei 6:16. Paolo chiama Dio a testimone sopra l'anima sua, poichè questo è l'interno laboratorio ove agiscono ragioni ed affetti e dove formansi le risoluzioni: laboratorio invisibile all'uomo, ma scoperto agli occhi di Dio. Molti traducono: contro l'anima mia (cfr. Luca 9:5 greco) intendendo: Se io mento, si levi Iddio come testimone e vindice della verità contro l'anima mia e l'abissi in perdizione. Tale senso è troppo tragico. Basta a Paolo l'invocar la testimonianza dell'onnisciente Iddio circa la verità del motivo che lei ha guidato. Se infatti si fosse recato personalmente a Corinto, dopo ricevute le notizie di cui nella sua Epistola, egli, di fronte ai disordini varii esistenti nella chiesa, sarebbe stato costretto a procedere con severità 1Corinzi 4:21; la sua visita, invece, di recar gioia a lui ed ai fratelli, sarebbe stata per tutti occasione di tristezza. Questo egli ha voluto evitare rimandando a più tardi la sua venuta, e scrivendo intanto una lettera intesa a ricondurre la chiesa sulla buona via.
Il senso costante di ουκετι nel N. T. è: non più, anzichè non ancora. Non è più venuto, come avea fatto sperare.

24 Se non che, col parlar di risparmiare i Corinzi, l'Apostolo pareva assumere un'autorità eccessiva su di loro. A scanso di ogni erronea interpretazione delle sue parole, Paolo spiega in qual senso egli li ha «risparmiati». Non ha voluto mettersi nel caso di dovere, senz'altro, fare uso del potere disciplinare speciale ch'egli, come Apostolo, possedeva realmente di fronte alle chiese. Cfr. 1Corinzi 5; 2Corinzi 10:8; 13:2-10. Ma, con ciò, non intende arrogarsi il diritto di farla da signore e padrone sulla fede dei credenti:
Non già che noi dominiamo sulla vostra fede, ma lavoriamo insiem con [voi] alla vostra allegrezza
(lett. siamo collaboratori della...). La fede nasce e si sviluppa nell'atmosfera della libertà. Nè la forza brutale, nè gli atti di autorità la possono creare o perfezionare. Quella dei Corinzi era nata quando, sotto l'influenza dello Spirito di Dio 1Corinzi 2:4, essi erano stati persuasi della verità del Vangelo annunziato loro da Paolo 1Corinzi 3:5 ed avevano posta in Cristo la loro fiducia per esser salvati. Era cresciuta a misura ch'essi avevano potuto meglio conoscere e sperimentare la grazia di Dio in Cristo 2Corinzi 1:21. Quando in taluni erano sorti dubbii od errori riguardo alla risurrezione dei redenti, Paolo li aveva dissipati con quella esposizione splendida, convincente, consolante della verità ch'è 1Corinzi 15. Lo vediamo pregare Dio perchè gli sia concesso di «veder la faccia dei Tessalonicesi e di colmare le lacune della loro fede» 1Tessalonicesi 3:10. Ma egli ben sa che se molto giova alla fede l'insegnamento della verità, l'esortazione amorevole, la confutazione dell'errore, la fede vuol esser sempre liberissima da ogni giogo e dominazione. Quale apostolo di Cristo, Paolo sarà ambasciatore di Lui per annunziar la salvazione e supplicar gli uomini di riconciliarsi con Dio 2Corinzi 5:18-21: manifesterà la verità, spanderà dovunque il buon odor di Cristo 2Corinzi 4:2; 2:15, si farà tutto a tutti per salvarne assolutamente alcuni 1Corinzi 9:22, ma non la farà mai da dominatore sulla fede dei suoi fratelli. Una volta uniti a Cristo, essi non sono più pupilli sotto tutela, ma sono diventati maggiori d'età, sono figli di Dio e ricevono l'unzione dello Spirito che li guida 1Giovanni 2:27. Cristo stesso è venuto non per esser servito, ma per servire, ed il presbitero ha da pascere il gregge di Dio non già col «signoreggiare la eredità», ma col «diventar modello della greggia» 1Pietro 5:3. Paolo, ispirandosi a quel medesimo sentimento, vuol essere semplicemente un collaboratore dei Corinzi stessi, per accrescere viepiù la loro allegrezza cristiana.
Egli ha cercato perciò d'infligger loro la minor somma possibile di dolore, risparmiandoli. Ma, poichè la gioia cristiana, frutto dello Spirito Galati 5:22; Romani 14:17, non è compatibile col peccato, e colla mala coscienza, egli non ha potuto evitare il penoso dovere di riprenderli e di correggerli colla sua lettera, come nota nei versetti seguenti. Ogni accrescimento di vita spirituale e di santità, finisce coll'essere anche accrescimento di gioia. Cfr. Giovanni 15:11; Filippesi 4:4; 3:1. Se vi fosse d'altronde motivo di farlo, l'Apostolo non mancherebbe di lavorare amorevolmente anche a raddrizzare la loro fede od a colmarne le lacune; ma, per quanto concerne la fede, la chiesa, presa nella sua maggioranza, non ha se non da perseverare nella buona via:
poichè, quanto alla fede, voi state saldi.
Ovvero: perchè siete fermi nella fede (Vers. Revel). Tale è il senso più semplice delle ultime parole del versetto. Si confr. 1Corinzi 16:13 e per espressione analoga Galati 5:1. Ce ne sono fra i Corinzi che hanno bisogno di «provar sè stessi per veder se sono nella fede» 2Corinzi 13:5, ma sono quei pochi i quali pretendono erigersi a giudici dell'Apostolo. Il gran numero è fermo ed ha sol bisogno di esser coerente nella vita pratica. Altri spiega: poichè per la fede, voi state ritti, cioè avete una posizione indipendente dagli uomini in virtù della fede in Cristo che vi unisce a Dio quali figli suoi.