Atti 7
2. Il discorso di Stefano (Atti 7:1-53)

Rendiamoci conto del filo delle idee contenute nel discorso. Prima di tutto, Stefano non intende fare un'apologia personale, non confuta le, false interpretazioni che si sono date delle sue idee, né spiega il suo metodo d'insegnamento; ei s'attiene strettamente ai fatti. Mostra da un capo all'altro del discorso, che ammette senza riserva le rivelazioni divine che erano a base della fede nazionale dei giudei; ne recapitola tutta la serie da Abrahamo fino a Mosè, e ne rileva particolarmente la evoluzione progressiva per la quale, da individuali e locali che erano da prima, coteste rivelazioni divennero a poco a poco nazionali e penetrarono in isfere sempre più alte. Nel tempo stesso egli pone in evidenza il principio che il culto del vero Iddio è indipendente da ogni forma locale; che Dio, cioè, non è mai stato confinato esclusivamente in Gerusalemme, nel tempio; difatti:
a) L'Eterno era stato con Abrahamo in Mesopotamia ed Abrahamo l'aveva adorato quivi Atti 7:2-8;
b) era stato con Giacobbe, con Giuseppe e con Mosè in Egitto, ed era stato quivi da loro adorato Atti 7:9-24,30-38;
c) era stato con Israele durante tutte le peregrinazioni del tabernacolo mobile, ed avea sempre accettato il culto del popolo Atti 7:44-46;
d) alla dedicazione del tempio, nella stessa preghiera dedicatoria era stato apertamente detto che Jahveh non è confinato nel tempio, ma che ha il cielo per trono e la terra per panchetto dei suoi piedi e non un luogo soltanto per luogo di riposo Atti 7:47-50.
Ed in tutto il discorso, con crescente energia, apostrofa il popolo che fu sempre ed ostinatamente ribelle alla volontà di Dio. Ai giorni nei quali i patriarchi vendettero il loro fratello, in Egitto, ove gli israeliti rinnegarono Mosè che s'offriva a liberarli; nel deserto, ove adorarono il vitello d'oro e le divinità siderali; nel paese di Canaan, ove perseguitarono i profeti; sempre e da per tutto, Iddio li trovò sordi alle sue esortazioni e ribelli ai suoi comandamenti. La morte di Gesù non è che un anello di più in cotesta lunga catena di atti di ribellione, che comincia appiè del Sinai, ove gli angeli stessi s'erano presentati in persona a dare autorità alle parole del profeta. A capir bene lo spirito e l'opportunità di questo discorso con cui Stefano sostiene la libertà e la spiritualità del cristianesimo, giova aver bene in mente le accuse degli avversari: essi accusavano Stefano di predicare che la fede in Gesù implicava l'abbandono del culto nel tempio e dei riti mosaici.

Innanzi che abitasse in Carran.
La vocazione d'Abrahamo è posta qui prima del soggiorno del patriarca in Haran o Charran, all'ovest dell'Eufrate. In Genesi 12:1-4 (testo ebraico) ella è posta, invece, dopo il suo soggiorno quivi. Ma in Genesi 15:7; Giosuè 24:3; Neemia 9:7 è detto che Dio trasse Abrahamo da Ur dei Caldei o dalla Mesopotamia, che è all'est dell'Eufrate. L'asserzione di Stefano è corroborata da altre di Filone (De Abrah.) e di Giuseppe Flavio (Antich. 1:7 § 1). Stefano si riferisce alla vocazione, di cui è parlato in Genesi 15:7. Abrahamo, prima, viveva in Ur dei Caldei, che probabilmente si trovava alla estremità settentrionale della Mesopotamia, presso le sorgenti del Tigri. "Il "padre dei credenti", dice il Barde, lasciò Ur di Caldea in obbedienza ad un ordine divino; cotesto ordine lo condusse a Charran ove l'ordine gli fu da Dio rinnovato." Charran o Carre dove Crasso fu disfatto ed ucciso dai Parti, era anch'ella al nord della Mesopotamia, ma al sud di Ur.

Dopo che suo padre fu morto.
Vedi Genesi 11:26-32; Genesi 12:4 ove è detto invece che Terach visse ancora sessant'anni la dopo partenza del figlio. Lo Hackett ed il Barde dànno di questa difficoltà la spiegazione seguente, che è la più ingegnosa di quante io mi conosca. Genesi 11:26 dà Abramo come primo dei tre figliuoli di Terach; or questo non vuol punto dire ch'ei fosse il primogenito; vuol dire soltanto ch'ei fu il più importante di tutti (Vedi anche Genesi 5:32 ove Iafet è nominato l'ultimo dei tre figliuoli di Noè; eppure era il primogenito). In Genesi 11:29 leggiamo che Milca, figliuola di Haran, sposa suo zio Nachor; ed è chiaro che Haran non può essere stato il minore dei tre fratelli. Supponiamo invece, ch'ei fosse il primogenito; lui, che morì il primo dei tre Genesi 11:28; e Abramo può essere stato il minore. Ammettiamo (e in cotesti tempi non era cosa straordinaria) che fra la nascita di Haran e quella d'Abramo ci fosse un intervallo di 60 anni. Terach, allora, quando Abramo lasciò Charran, sarebbe arrivato a 70 + 60 + 75 = 205 anni; vale a dire, all'anno della sua morte. In tutto questo, nulla di certo, dice il Barde; ma si tratta di cose possibili; e in questi casi, non c'è da chieder di più. Si è cercato insomma di spiegare la discrepanza per via di ogni sorta di argomenti; ma è un fatto, che la difficoltà rimane. Notiamo qui soltanto che la discrepanza cronologica non ha alcuna influenza sull'argomentare di Stefano; e di queste discrepanze parlerò poi più sotto nelle Riflessioni.

E non gli diede alcuna eredità.
Il fatto della spelonca di Machpelah Genesi 23:9-17 non può ragionevolmente esser citato come un'obbiezione al testo. La spelonca fu comprata per uno scopo speciale e non fu data in eredità.
Gli avea promesso.
Genesi 12:7; 13:15-16. Conf. Genesi 15:3; 18:12.

Iddio parlò...
Genesi 15:13-14.
Quattrocent'anni.
Stefano cita Genesi 15:13; Paolo, in Galati 3:17, cita invece Esodo 12:40 e dice 430 anni. C'erano fra i giudei due diverse tradizioni, relative a questo numero; l'una, lo riferiva, soltanto al soggiorno del popolo in Egitto; l'altra, lo estendeva al soggiorno anteriore dei patriarchi in Palestina.

Mi serviranno in questo luogo.
Non in Gerusalemme, ma qui sul monte Sinai; quindi, fino dal tempo della promessa del paese di Canaan, l'invito ad adorare Iddio non è confinato a Gerusalemme, né al tempio; come poteano dunque gli avversari accusare Stefano di bestemmia quand'egli non facea che ripetere una cosa antica e nota? Dal punto di vista critico notisi che questo passo è il risultato della sintesi di Genesi 15:17 e della libera interpretazione di Esodo 3:12. In Esodo 3:12 il τοπος ουτος è il monte di Horeb. Stefano l'applica invece alla terra di Canaan, e forse al tempio. E si osservi ancora che le parole di Esodo 3:12 furono indirizzate non ad Abramo, ma a Mosè dai misteri del pruno ardente. "Stefano, dice il Barde, nella emozione e nella, rapidità del discorso, potè senza dubbio permettersi queste transposizioni, senza dar loro grande importanza. Oppure, a coteste transposizioni ei sarà stato trascinato, pensando alla intima relazione che univa il servizio di Jahveh appiè dell'Horeb con cotesto stesso servizio in Canaan. L'idea fondamentale, insomma, sarebbe questa: come Mosè ha servito l'Eterno in Horeb, così Abramo ed i suoi discendenti gli hanno reso un culto in Canaan."

I dodici patriarcati.
Patriarca, nel suo primo significato, vale "fondatore di una famiglia, di una dinastia, di una patria". Nel N. T. è applicato ad Abrahamo Ebrei 7:4 ed ai dodici figliuoli di Giacobbe, come nel nostro passo.

E Iddio era con lui
Era con Giuseppe anche in Egitto; quindi, Giuseppe poteva adorare il suo Dio anche lungi da Gerusalemme; e perché? appunto perché il culto di Dio non è confinato in un luogo soltanto.

14 Di settantacinque anime
Il testo ebraico ha settanta Genesi 46:27: Esodo 1:5; Deuteronomio 10:22; ma i Settanta, ossia la traduzione greca dell'A. T., nel passo di Genesi 46:27, dice settantacinque; e Stefano, giudeo ellenista, cita il testo greco dei Settanta così com'è, senza curarsi d'altro.

16 E furono trasportati in Sichem
Anche qui non mancano le difficoltà. Stefano par dire che Giacobbe fu sepolto a Shechem, mentre il Pentateuco dice ch'ei fu sepolto a Machpelah, con Abrahamo ed Isacco Genesi 50:13; il libro di Giosuè dice che Giuseppe fu sepolto a Shechem Giosuè 24:32, ma l'A. T. non fa menzione della sepoltura dei fratelli di lui; Stefano dice che il campo a Shechem fu comprato da Abrahamo, e l'A. T., invece, che fu comprato da Giacobbe Genesi 33:18-19; Giosuè 24:32. Sono tre difficoltà, che si è cercato di rimuovere con ogni mezzo. Ecco quello che si può dire. Per la prima: il verbo furono trasportati in Sichem Atti 7:16 può, senza gran difficoltà, essere riferito soltanto ai padri nostri Atti 7:15 senza includervi Giacobbe, che fu sepolto a Machpelah. Per la seconda: è vero che l'A. T. non fa menzione che della sepoltura di Giuseppe a Shechem, e che non dice verbo della sepoltura dei fratelli di lui; ma una tradizione samaritana, che è viva anche ai dì nostri, accenna a Shechem come al luogo di sepoltura di tutti i patriarchi; tant'è vero, che al tempo di Girolamo (Epistola. 86), a Shechem, si mostravano ancora le tombe dei dodici patriarchi. E perché Stefano non potrebbe aver fatto uso in questo luogo della tradizione samaritana? Per la terza difficoltà, non c'è ragione che valga. Il campo fu comprato, da Giacobbe e non da Abrahamo, che comprò invece Machpelah Genesi 23; ed il testo ha un errore di nome che non si può giustificare. Quasi tutti i commentatori sono concordi in questo; e il Calvino dice addirittura: "C'è evidentemente un errore nel nome d'Abrahamo, ed il passo dev'esser corretto".
Padre di Sichem
La parola padre, che il Diodati mette in corsivo, non è nel testo; il testo dice: comperato dai figliuoli di Emmor, di Sichem; il che, come in Matteo 10:3; Luca 3:23, dev'esser tradotto: dai figliuoli di Emmor, figliuolo di Sichem. Così traducono la Vulgata, il Martini, il Reuss, e altri. La parola padre è stata introdotta per mettere il nostro testo in armonia con Genesi 33:19, e specialmente con Genesi 34:2, dov'è chiaramente detto che Emmor non era figliuolo, ma invece padre di Sichem. Come risolvere dunque il problema? Il problema si risolve facilmente. Alcuni dei migliori manoscritti, fra i quali il Vaticano ed il Sinaitico leggono: in Sichem ed applicano quindi il nome non alla persona, ma al luogo; e la difficoltà sparisce.

20 Divinamente bello
Così i Settanta rendono l'ebraico di Esodo 2:2. Giuseppe Flavio, seguendo probabilmente qualche antica tradizione (Antich. 11, 9, §6), dice che la bellezza del bambino Mosè era tale che destava meraviglia in tutti. G. Flavio dice: "La gente, per la via, si voltava a guardarlo, e tutti lasciavano i loro affari per vederlo bene quando passava".

22 E Mosè fu ammaestrato in tutta la sapienza degli Egizi
I giovani egizi e specialmente quelli che s'avviavano per la carriera ecclesiastica, frequentavano allora volentieri l'università di Eliopoli ed imparavano quivi la teologia, la medicina, il diritto, le matematiche, l'astronomia e la storia naturale. Questi dati, dice il Barde, sono stabiliti con certezza dagli studi più recenti della egittologia e ci mostrano come Mosè si preparasse, senz'accorgersene, a diventare il legislatore ed il condottiero del suo popolo non soltanto per la traversata del deserto, ma anche per i secoli avvenire.
Ed era potente nei suoi detti e fatti.
Non è una contradizione con Esodo 4:10. Mosè era meno eloquente di Aronne, ma non per questo meno potente ed efficace di lui.

23 All'età di quarant'anni.
Stefano divide la vita di Mosè in tre periodi di quarant'anni ognuno:
1) 40 anni, in Egitto;
2) 40, in Madian;
3) 40, conducendo il popolo.
Vedi Atti 7:23,30,42. Era una tradizione rabbinica, confermata però dall'A. T. Deuteronomio 34:7; Esodo 16:35; 7:7.

25 Or egli stimava che i suoi fratelli...
E un nuovo ordine d'idee. Questo stimare di Mosè non ha nulla che fare con l'uccisione dell'egizio. Non vuol dire, cioè, che Mosè s'aspettasse che dall'uccisione dell'egizio gli israeliti capissero ch'egli sarebbe stato il loro liberatore; il testo dell'Esodo 2:11-12 mostra che l'uccisione dell'egizio non avea alcun carattere simbolico o parabolico.

26 Fra loro mentre contendevano
Il testo ebraico specifica: erano due che litigavano Esodo 2:13.

27 Lo ributtò
A Atti 7:25 Stefano dice che "non intesero che Mosè era il liberatore designato da Dio; qui, ecco il liberatore respinto".. "Lo vedete? vuol dire Stefano; nella storia d'Israele ecco quello che appar chiaro come la luce del giorno; Israele ha in ogni tempo reietti i ministri ed i messaggieri, che Dio gli mandava per fargli del bene!"

30 L'angelo del signore
non è traduzione esatta; bisogna dire: un angelo gli apparve. Anche nell'ebraico e nei Settanta non c'è l'articolo determinativo: non dice, cioè: l'angelo ma: un angelo Esodo 3:2.

32 Non ardiva por mente che cosa fosse
meglio: non ardiva più rispondere.

33 Sciogli il calzamento dei tuoi piedi
Sciogli i sandali dai tuoi piedi. Levarsi le scarpe o i sandali è sempre stato ed è tuttavia, in Oriente, segno di reverenza. I sacerdoti entravano a piè nudi nel tabernacolo e nel tempio.

35 Per rettore
Rettore (αρχων), vuol dire il principe, capo.
E liberatore.
La parola dell'originale (λυτρωτης) significa, propriamente, giudice, secondo il diritto e la legge; vindice, redentore. Non è usata in altro luogo del N. T., ed è stata scelta nel discorso di Stefano per dare enfasi al parallelismo che è tra Mosè ed il Cristo. Ella è formata dal sostantivo λυτρωσις Matteo 20:28; Marco 10:45, che significa riscatto, redenzione.
per la mano dell'angelo,
per l'aiuto, con, l'assistenza dell'angelo Numeri 20:16.

36 Segni e prodigi
Vedi Atti 2:22.

37 Quel Mosè il quale disse ai figliuoli d'Israele
La citazione è tratta da Deuteronomio 18:15 che Pietro avea già usata in Atti 3:22. L'applicazione a Cristo delle parole citate, è qui solo adombrata; più sotto, ai versetti Atti 7:51-52, sarà fatta in modo chiaro e lampante.

38 Nella raunanza nel deserto
Alla lettera: nella chiesa nel deserto. "La nuova Chiesa, vuol dire Stefano, contro la quale siete tanto accaniti, non è che la evoluzione storica dell'antica Chiesa del deserto; la società dei credenti in Cristo che voi tanto odiate, è, per le sue caratteristiche e per le sue relazioni con Dio, simile all'antica società del popolo eletto, nel deserto."
Le parole viventi
sono ogni solenne espressione che Dio dà al proprio pensiero; viventi, perché Dio è vita. Queste parole, in Romani 3:2; Ebrei 5:12; 1Pietro 4:11, sono chiamate gli oracoli di Dio; ma, nell'originale, troviamo lo stesso termine; qui λογια ζωντα, nei passi citati, λογια του θεου.

39 Non vollero essere ubbidienti ecc.
Numeri 14:4; Esodo 16:3; Numeri 11:4-5. Continua il parallelismo storico. "Il popolo respinse Mosè voi respingete adesso il Cristo, quantunque ei si sia mostrato un liberatore che redime da una schiavitù più tremenda ancora di quella d'Egitto".

40 Facci degl'iddii...
Esodo 32:1-18, che è qui citato, al solito, secondo la traduzione dei Settanta.

41 Un vitello
Esodo 32:4. Confronta con Salmi 106:20; Neemia 9:18.

42 All'esercito del cielo
L'esercito del cielo è composto del sole, della luna, delle stelle Deuteronomio 4:19. Vedi anche 2Cronache 33:3,5; 2Re 17:16; Geremia 8:2; 19:13. Il peccato d'Israele consisteva in questo: invece di adorare il Creatore, "il Signor degli eserciti," adorava la creatura, gli eserciti da Dio creati.
Nel libro dei profeti.
Il passo citato è in Amos 5:25-26. Secondo l'uso rabbinico, i dodici profeti minori, Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia, formavano un libro solo; un volume soltanto, diremmo noi; quindi la frase: il libro dei profeti.

43 Moloch
Levitico 18:21; 20:2; 2Re 16:3, 23:10; Geremia 7:31; 32:35; 2Re 17:17; Ezechiele 23:37. Moloch era una divinità degli Ammoniti. I rabbini ci dicono che l'idolo così chiamato era una statua vuota, con una testa di bue e le braccia protese. Su coteste braccia si posavano i bambini vivi; sotto, o, secondo altri, dentro la statua stessa, si accendeva un gran fuoco: e il rullo dei tamburi copriva gli urli angosciosi delle vittime innocenti. Chi dice che questo Moloch non fosse altro che il pianeta, Saturno, creduto apportatore di sventura; e che i sacrifici umani offertigli, fossero intesi a rabbonirlo; chi lo assimila a Baal; chi, al sole.
Refan.
I settanta, dai quali Stefano cita, hanno dato Refan (scritto con varia ortografia) per corrispondente del Chiun del testo ebraico (Kiyun). Refan è il nome egizio di Saturno. Il caldaico Kivano significa diritto, giusto, ed i classici rappresentano l'età di Saturno come l'età dell'oro e fanno l'elogio della giustizia che vi regnava sovrana. Saturno significa l'eternità; è l'eternità personificata; il greco chronos, il tempo senza limiti. Queste divinità erano per solito rappresentate per via di figure simboliche; altre volte consistevano in semplici pietre coniche o in qualche aereolito. Si trasportavano qua e là in casse e si teneano sotto tende speciali. È da osservare che, nel testo Atti 7:42, questo culto idolatrico dell'esercito del cielo è dato come una severa ma giusta punizione della disubbidienza di cui si rese colpevole il popolo, quando adorò il vitello d'oro Atti 7:41; ed è pur da notare che il fatto di questo abbandonarsi che il popolo faceva al culto delle divinità pagane, non è mentovato nei libri mosaici, ma è però confermato, a più riprese, dal profeta Ezechiele, in ispecial modo.
Di là da Babilonia
Amos 5:27 nell'ebraico, e i Settanta dicono: di là da Damasco. Stefano, dice invece: di là da Babilonia. V'ha chi spiega la differenza dei nomi, ammettendo che Stefano, nella foga del dire e citando così a memoria, facesse un errore. Ma non c'è bisogno di ricorrere a cotesto estremo. Amos minacciava i suoi contemporanei d'una deportazione al di là di Damasco, che era la capitale del potente regno di Siria; Stefano sostituisce al nome di Damasco quello di Babilonia, che era più conosciuto dell'altro, che precisava meglio il compimento storico delle parole di Dio, e che ricordava in modo vivo e scultorio la catastrofe più tremenda della storia antica.

44 Il tabernacolo della testimonianza
Atti 7:44. Era il tabernacolo mosaico, o il santuario portatile degli antichi israeliti, che nei Settanta è sempre chiamato il "tabernacolo della testimonianza". L'espressione è facile a capirsi. La legge che Dio avea data a Mosè sul Sinai, è chiamata "la testimonianza" Esodo 25:16,21 o "le due tavole della testimonianza" Esodo 31:18; le due tavole, insomma, che erano l'attestazione chiara e solenne della volontà di Dio relativamente alla condotta dell'uomo. Coteste due tavole, come si vede in Esodo 25:16,21, erano custodite nel tabernacolo, o nel santuario portatile; ed è naturale che il tabernacolo che contenea la legge, fosse chiamato enfaticamente "il tabernacolo della testimonianza" Esodo 25:22; 38:21. Intorno al tabernacolo, intorno a questa tenda mobile, costruita secondo il modello che Mosè avea veduto sul Sinai (Atti 7:44 confr. con Esodo 25:40; Ebrei 8:5), il popolo si raccoglieva per il servizio divino. Iddio quivi si manifestava. Ed ecco l'argomento di Stefano. Se il tabernacolo era portato qua e là, e se Dio si movea con lui, e se il culto che il popolo offriva al suo Dio oggi in un luogo, domani in un altro, era culto legittimo, e voi mi ammettete che fosse tale, perché m'accusate di bestemmia quand'io affermo che Dio non è confinato in un luogo, ma è da per tutto e da per tutto lo si può adorare?

45 Con Giosuè
duce Giosuè; essendo condotti da Giosuè. A bene intendere quello che è detto qui della introduzione del tabernacolo nel paese di Canaan, basta ricordarci che la generazione la quale fece la conquista con Giosuè, non era più la generazione che era uscita dall'Egitto con Mosè. L'argomento di Stefano continua. In Canaan, il tabernacolo fu portato di luogo in luogo, fino ai tempi di Davide: quindi, il culto di Jahveh non è confinato ad un luogo solo.

46 E chiese di trovare
meglio: desiderò, bramò ecc. 2Samuele 7:2; Salmo 132:1-5.

48 Siccome dice il profeta.
La citazione è tratta da Isaia 66:1-2. La grande verità che Stefano proclama, era già stata proclamata nella stessa preghiera di dedicazione del tempio 1Re 8:27; ma ad un'autorità anche maggiore di quella di Salomone ei si riferisce; all'autorità del profeta, che chiudeva il suo ministerio ricordando appunto al popolo che, per quanto grande e glorioso fosse il Tempio di Gerusalemme, Iddio, in qualunque luogo, era sempre disposto e pronto ad ascoltare la preghiera "dell'umile e dello spirito contrito" Isaia 66:2. Stefano, come niun altri avea fatto finora, intuisce in modo divino l'insegnamento di Cristo Giovanni 4:21-23; e con l'acuto ed ispirato pensiero, precorre i concetti più elevati e le idee più larghe dell'apostolo Paolo Atti 17:24.

51 uomini di collo duro
Con queste parole comincia la veemente perorazione del discorso di Stefano. Uomini di collo duro è metafora dell'A. T. Esodo 33:3,5, 34:9.
Incirconcisi di cuore
E anch'ella metafora dell'A. T. Levitico 26:41; Geremia 9:26; Ezechiele 44:7. Nell'insegnamento di Paolo Romani 2:29 troviamo l'eco di questa esclamazione di Stefano.
E di orecchi.
Anche la incirconcisione degli orecchi è metafora ardita dell'A. T. Geremia 6:10 ad indicare lo spirito di disubbidienza di chi, come dice Geremia, "disprezza e non tiene in alcun conto la parola dell'Eterno".

52 Qual del profeti...
Vedi Matteo 5:12, 23:31-37; Luca 13:34.
Del Giusto
Vedi Atti 3:14, 22:14; Matteo 27:19; 1Giovanni 2:1.

53 Facendone gli angeli le pubblicazioni.
Meglio; Voi, che avete ricevuto la legge come ordinata da angeli; o secondo il comandamento degli angeli; o più letteralmente ancora: voi, che avete ricevuto la legge a guisa di comandamenti d'angeli. Era fede comune fra gli ebrei che la legge del Sinai fosse stata data al popolo d'Israele da Dio per mediazione d'angeli. La voce udita sul Sinai era per loro voce d'angeli. Vedi Ebrei 2:2 e Giuseppe Flavio Antich. 15.4 §3. Cotesta idea si fondava specialmente sulla traduzione dei Settanta del passo Deuteronomio 33:2, ove il greco dice: "alla sua destra (cioè alla destra di Dio) c'erano degli angeli con Lui"; e sulle "migliaia d'angeli" di cui è parlato nei Salmi 68:17, in relazione al Sinai. Paolo, scrivendo ai galati, riprodurrà queste parole di Stefano Galati 3:19. Il discorso di Stefano non è finito; egli è interrotto bruscamente dal furore del Sinedrio e della plebaglia.

Riflessioni
1. I dettagli del discorso di Stefano e le lezioni pratiche che scorgano da ciascun punto della storia israelitica citato nel discorso stesso, escono dai limiti del mio compito, e non me ne debbo quindi occupare. Per quel che riguarda il discorso in se, osserviamone prima di tutto l'intonazione alta, nobile, solenne. Stefano non è preoccupato di sè; di sè non parla; non e un'apologia personale ch'ei vuol fare; ma un'apologia di quei principi che sono la vita della sua vita, e per i quali e pronto a dar tutto se stesso. Nel commento ho cercato di mettere in evidenza i punti principali del calzante argomentare di Stefano; ed il lettore avrà notato da se, senza ch'io mi ci fermi molto il "crescendo", che è in questa stupenda apologia; un "crescendo" che va dal "piano" delle prime note del discorso al "fortissimo" della perorazione, che è perorazione degna d'un eroe della tempra dei profeti antichi e di Giovanni Battista. Per uomini di cotesta fatta non c'è possibilità di concordato: o vincono, o muoiono
2. È importante questo principio fondamentale del discorso: la Rivelazione è una; ma si evolve lentamente nell'oceano del tempo, e va dal particolare al generale. Comincia dall'individuo, dal luogo ristretto, limitato; poi l'orizzonte s'allarga, ed ecco la nazione; poi l'orizzonte s'allarga ancora, ed ecco l'universo. Gli ebrei strozzavano la Rivelazione al tempio. Il tempio era tutto; l'ideale israelitico si riduceva a questo: contemplare l'umanità intera genuflessa attorno al tempio; attorno cioè al luogo, ch'era il solo, nel mondo, in cui Dio potesse esser trovato; il grido dell'avvenire, per l'israelita, non doveva essere che tale e qual il grido che Geremia chiama grido "fallace", del presente: "questo il tempio dell'Eterno!, il tempio dell'Eterno! Il tempio dell'Eterno!" Geremia 7:4. E la pietà israelitica si cristallizza nella forma, che soffoca la vita. Guai a chi rivendicando alla pietà il diritto di vivere e d'espandersi oserà parlare di un avvenire in cui non sarà l'umanità che verrà al tempio, ma sarà Dio stesso che stringerà nelle sue braccia paterne l'umanità, ch'Egli avrà riconciliata a sè per mezzo di Cristo 2 Corinzi 5:19! Guai a chi per divino intuito delle cose dirà: il tempio non e l'ultima parola della Rivelazione; è un momento storico; è un'oasi nel deserto della vita del mondo; un'oasi, dove il passato si riposa e l'avvenire si prepara! A coteste divinazioni, alle quali i contemporanei risposero con la violenza Luca 11:48, con la croce Matteo 27:26 e con la lapidazione Atti 7:58, le generazioni avvenire risponderanno con islancio di fede e con gratitudine eterna, quando "i tempi, come direbbe San Paolo, saranno maturi" Galati 4:4. Intanto, mentre il giudaismo si fossilizza nelle sinagoghe della dispersione ed il cattolicismo, pagano nella forma e giudaico nello spirito, vivacchia per quel poco di cristianesimo puro che contiene, chi ha fior di senno ponga mente a queste cose!
3. Il lettore avrà osservato nel discorso di Stefano non poche discrepanze con i testi originali dell'Antico Testamento. Che pensarne?... Di coteste discrepanze la critica negativa s'è impadronita alacremente per impugnare l'autorità dei libri sacri. "Che ci parlate di autorità quando ei son pieni di tante inesattezze e di tanti errori!" Dall'altro lato, uomini dotti e pii si sono lambiccati il cervello ed hanno fatto degli sforzi erculei (e son caduti nell'artificiosità) per istabilire l'armonia tra le parole di Stefano ed i testi dell'Antico T., ogni volta che cotest'armonia non era perfetta. Per me, la questione è semplice.
1.) Prima di tutto s'è visto che quasi tutte quante queste difficoltà, queste discrepanze fra il discorso e la sorgente delle citazioni, si spiegano e si appianano in modo semplice e naturale, ricorrendo al testo greco dei Settanta, a qualche tradizione samaritana o giudaica, vagliando i testi, le varianti, le diverse lezioni dei codici ecc. Quindi, questo va messo in sodo; che il guaio non è così grave come si vorrebbe da taluno fare apparire.
2.) Quanto ai dettagli che completano o illustrano il testo ufficiale, che si trovano, cioè, nel discorso di Stefano, ma non esistono nel testo dell'Antico Testamento, non c'è altro da dire che questo: sono dei dettagli dovuti alla forma tradizionale della storia. Stefano non fa della critica; egli ha ben altro in vista; e i fatti che cita, li cita nella loro forma popolare; cita la storia, nella forma nella quale la s'insegnava a quei tempi nelle scuole. Tutto il Nuovo T. abbonda di cotesti dettagli. (Vedi. per es., Matteo 1:5; Giacomo 5:17; 2Pietro 2:15; 3:10; Giuda 9; Galati 3:19; 2Timoteo 3:8; Ebrei 2:2; 11:21,24,27,37 ecc.).
3.) Ed alle anime pie, che si sentono scosse per una inesattezza cronologica o per uno sbaglio di nome, io vorrei esclamare: "Excelsior! Excelsior!" "Più in alto! più in alto!" La ispirazione divina dei libri sacri, grazie a Dio, non dipende né da genealogie, né da tavole cronologiche; da ben altro ella dipende; e chi ha sperimentato, nell'intimo della sua vita morale, che l'Evangelo è veramente, come dice San Paolo, "una salutare potenza divina" Romani 1:16, non si lascerà cascar le braccia dinnanzi ad un errore di data o di nome, che un santo uomo di Dio 2Pietro 1:21 commette, quando, in bocca alla morte, nella foga del dire, cita a memoria fatti che illustrino degli argomenti che passano come palle, roventi in mezzo ad un'assemblea di gente, caparbia e crudele. Ad un'altra cosa mi fanno pensare questi errori. Chi sa, io mi dico, chi sa quanti e quanti copisti, nei secoli che furono, ebbero sotto gli occhi questi sbagli? Senza dubbio, li notarono; se ne accorsero, che erano sbagli; eppure, non li corressero: ed eccoli qui, tali e quali uscirono dalla bocca stessa di Stefano. Con tanto scrupolo ci tramandarono essi i sacri testi, che fino i nei, ch'essi avrebbero facilmente potuto correggere, ne rispettarono. E dinnanzi a cotesti scrupoli, la mia fede s'accresce; ed abbracciando in uno sguardo d'amore questi sacri documenti, io dico a me stesso: "Veramente, ei son degni della stima e dell'affetto, onde tu li circondi!"

54 3. Il martirio di Stefano (Atti 7:54-8:2)

Scoppiavano nei loro cuori.
La parola originale (διαπριω) vuol dire, propriamente, segare, fendere con la sega; qui, nel senso figurato, vale accendersi d'ira, di rabbia, rodersi internamente. È uno scoppio di rabbia frenetica, che non va, per ora, agli estremi, ma si risolve in un bestiale digrignar di denti.

55 Essendo pieno dello Spirito Santo.
Non si tratta della ispirazione del momento, ma di uno stato permanente. Stefano respira a pieni polmoni un'atmosfera, che non è più l'atmosfera viziata del mondo, ma è l'atmosfera santificata dalla continua presenza dello Spirito di Dio.
vide la gloria di Dio.
Stefano avea cominciato il suo discorso parlando "dell'Iddio della gloria" Atti 7:2 e finisce con la visione "della gloria di Dio" Atti 7:55; con una visione, che non è, dei sensi, ma dell'anima. Stefano non ode più il digrignar dei denti dei suoi nemici; non vede più il Sinedrio; dimentica ch'egli è un accusato dinnanzi a dei giudici inesorabili e parziali; lo Spirito lo porta sulle sue potenti e purissime ali verso i cieli, che si aprono dinnanzi agli occhi della fede del martire, per mostrargli Gesù in tutta la grandezza della sua divina maestà ed in atto di porgergli aiuto nell'estremo cimento.
Gesù che stava alla destra di Dio;
che stava in piedi alla destra di _Dio; è traduzione più esatta. Non seduto Matteo 26:64; Efesini 1:20, Ebrei 8:1; 10:12; Salmi 110:1; ma in piedi, in atto di porgere aiuto a quelli che soffrono per lui.

56 Il figliuol dell'uomo.
È il titolo che Gesù si dava più frequentemente d'ogni altro, durante il suo ministerio terrestre. Accenna alla umanità del Salvatore; come l'altro titolo: il figliuol di Dio accenna alla sua divinità. "Figliuol d'uomo" è la traduzione letterale del ben-adam ebraico, che esprime in modo generico la debolezza, la fragilità, della natura umana Salmi 8:4. Nel libro di Ezechiele, il profeta non meno di ottantasette volte è chiamato "figliuol d'uomo" da Jahveh; e ciò senza dubbio per ricordare a cotesto servitore di Dio, che, in mezzo alla grandezza dell'opera affidatagli, ei rimaneva pur uomo; uomo con tutte le sue debolezze, con tutte le sue infermità. Questo, per la formula generale "figliuol d'uomo"; quando diciamo "il figliuol dell'uomo" noi siamo trasportati dal reale all'ideale. Ezechiele è un figliuol d'uomo nel senso ordinario della frase; Gesù è il figliuol dell'uomo; il figliuol dell'uomo per eccellenza; il figliuol dell'uomo, insomma, in senso ideale. Questo titolo di Gesù, che si trova trentadue volte in Matteo, quattordici in Marco, ventisei in Luca e dodici in Giovanni, non si trova usato, nel resto del Nuovo T., che tre volte soltanto: nel nostro vers. Atti 7:56, e in Apocalisse 1:13; 14:14.

57 Gettando di grandi gridi... si avventarono sopra lui.
Ed eccoci agli estremi. Ogni freno è rotto e la sorte di Stefano è decisa.

58 cacciatolo fuori della città.
Ecco la scrupolosa legale osservanza della lettera, di chi cova l'omicidio nel cuore Levitico 24:10-16; Numeri 15:35-36; 1Re 21:13; Ebrei 13:12.
Ed i testimoni misero già le lor vesti.
La legge, ad accentuare il fatto della grave responsabilità che pesa sui testimoni, esigeva che questi fossero i primi a prender parte all'applicazione della pena, nei casi di condanna a morte Deuteronomio 17:7. Gesù si riferisce a quest'articolo di legge, nel fatto della donna adultera Giovanni 8:7. La veste ampia, svolazzante che i giudei portavano a modo di mantello impediva ai testimoni la libertà dei movimenti; quindi è che "le misero giù ai piedi di Saulo".
Ai piedi d'un giovane chiamato Saulo.
Ai piedi non di chi presedeva all'esecuzione, perché cotesta esecuzione non avea nulla d'ufficiale; sinedrio, anziani, plebaglia, accecati dall'ira, s'eran confusamente gettati addosso a Stefano, con l'unanime intento di torlo di mezzo; ma se Saulo non presedeva all'esecuzione, è un fatto che aveva avuto una gran parte in cotesta sciagurata tragedia. Poichè Saulo è qui nominato per la prima volta, facciamone subito la conoscenza. Raccogliamo quello che di lui si sa fino a questo punto della sua vita. Veniva dalla tribù di Beniamino Filippesi 3:5, e gli aveano dato il nome d'un re: Saul. Suo padre, probabilmente come liberto, aveva ottenuto, dopo un certo tempo di schiavitù passato a Roma, la cittadinanza romana Atti 22:28; quindi, s'era stabilito in Cilicia, a Tarso, ove Saulo nacque Atti 22:3. Il giovanetto Saulo s'ebbe, in famiglia, l'educazione" religiosa, che si riassumeva tutta nello studio dell'Antico T.; fuori, s'ebbe la educazione secolare; nelle scuole di lettere e filosofia, cioè, che a Tarso erano famose di queste sue conoscenze letterarie è qualche traccia nelle sue citazioni da Arato Atti 17:28, da Menandro 1Corinzi 15:33, da Epimenide Tito 1:12 e fors'anche, come vedremo, in Atti 14:17. A dodici anni era stato dichiarato "Figlio della Legge" (Bar Atorah) o "figlio del Comandamento" (Bar Mizzah), come si diceva. Il padre, secondo gli usi giudaici, dichiarava in pubblico che suo figlio dodicenne avea piena, conoscenza della legge, ed il figlio, da quel momento, era considerato responsabile dei propri peccati. Il giovanetto quindi seguiva un qualche corso speciale d'istruzione, s'abituava ai digiuni, alle varie cerimonie, e si dava ad imparare una qualche arte. Ed ecco di fatti Saulo passare alcuni anni a Gerusalemme alla scuola di Gamaliele Atti 22:3, e tornar quindi alla sua natia città, e darsi all'arte "delle tende o delle vele" Atti 18:3; alla manifattura, cioè, dei tessuti di pelo di capra, ch'era la principale industria di Tarso. Ai giorni dei fatti narrataci da Luca, Saulo era in Gerusalemme e facea parte della Sinagoga "di quei di Cilicia" Atti 6:9. S'era dato al partito dei farisei Filippesi 3:5; e quando ebbe udito la predicazione di Stefano che colpiva il farisaismo alle radici, uscì dal gelido riserbo consigliato dal suo maestro Atti 5:35,39, e si buttò a corpo morto nella lotta.

59 Signor Gesù, ricevi il mio spirito.
Il Figlio rimette il suo spirito nelle mani del Padre Luca 23:46; il discepolo rimette il suo nelle mani del Figlio.

60 Non imputar loro questo peccato.
Questa preghiera d'intercessione è l'eco della preghiera di Gesù crocifisso Luca 23:34. S. Agostino (Serm. 314-318) dice in modo se non esattamente vero nel fatto pur grande nell'idea, che è alle preghiere di Stefano che dobbiamo la conversione di Saulo: Si Stephanus non sic orasset, ecclesia Paulum non haberet.
Si addormentò,
Giovanni 11:11; Matteo 27:52; 1Corinzi 15:18,51; 1Tessalonicesi 4:13-14. Callimaco (Epigr. 10) avea già detto: "Il giusto muor... ma non è morte; è sonno". Quanto più vero questo fatto, da che "Cristo ha distrutta la morte ed ha prodotta in luce la vita e l'immortalità per mezzo del Vangelo!" 2Timoteo 1:10. I primi cristiani aveano ragione di chiamare i loro luoghi di sepoltura: cimiteri. Κοιμητηριον in greco, (latino coemeterium) vuol dire luogo ove si dorme; luogo dove uno riposa. Il camposanto è per il credente il luogo ove il riposo è caro perché il risveglio è sicuro.