Atti 6
8. Il diaconato (Atti 6:1-7)

In quei giorni...
Il racconto ci conduce verso l'anno 36 o 38 dell'èra volgare. È difficile precisare la data perché non si sa, per esempio, quanto tempo passasse tra i fatti narrati nel capitolo precedente e quelli narrati in questo. La morte di Stefano è generalmente ammesso che avvenisse nel 38.
Avvenne un mormorio dei Greci contro agli Ebrei perché le loro vedove erano sprezzate nel ministerio cotidiano.
Invece di Greci è meglio dire ellenisti. Gli ebrei erano quelli che parlavano il loro proprio idioma nazionale; gli ellenisti, ebrei per religione anch'essi, parlavano invece un dialetto greco, in cui si vedea però subito e chiaramente l'impronta delle lingue semitiche. Questi ellenisti sono "i dispersi fra i Greci" di cui è fatta menzione in Giovanni 7:35, e in generale "quelli della dispersione" ai quali scriveano Giacomo Giacomo 1:1 e Pietro 1Pietro 1:1. Generalmente parlando, non leggevano l'ebraico vero e proprio, ne parlavano l'usuale aramaico, e l'Antico Testamento lo leggevano nella traduzione greca, detta dei Settanta.
Il mormorio che avvenne, è spiegato nel testo: perché le vedove degli ellenisti erano sprezzate nel ministerio cotidiano: o per intenderci meglio: perché le vedove degli ellenisti erano neglette nella distribuzione giornaliera, o nelle giornaliere sovvenzioni. Come pratico effetto di quello spirito di carità fraterna che animava la Chiesa, molte persone, ed in ispecial modo le vedove e gli orfani, erano mantenute a spese della cassa comune. E nella distribuzione giornaliera, che gli apostoli faceano da sè perché a loro s'affidava il danaro Atti 4:37, era avvenuta qualche irregolarità. Si sospettava che gli apostoli, che erano galilei, avessero delle preferenze speciali per le vedove palestinesi a danno delle vedove che veniano "dalla dispersione". E più che certo che cotesto sospetto era infondato; non ci possiamo immaginare gli apostoli esercitare la carità con ispirito partigiano; e l'inconveniente lamentato dagli ellenisti potea benissimo nascere dal fatto che gli ebrei, indigeni del luogo, nella vasta città erano conosciuti di più ed erano più facilmente reperibili degli ellenisti, ch'erano sparsi dovunque e formavano una popolazione poco omogenea.

E i dodici raunata la moltitudine dei discepoli.
Il tatto e la moderazione degli apostoli sono veramente esemplari. Non si offendono del sospetto; non si preoccupano della loro difesa; ma ricordandosi probabilmente d'un precedente storico, del consiglio di Ietro a Mosè Esodo 18:13-27, chiedono che tutta quanta la Chiesa (così quelli che davano, cioè, come quelli che ricevevano il danaro dei soccorsi) prenda sulle proprie spalle l'intera responsabilità della cosa, e si elegga ella stessa dei rappresentanti adatti alla bisogna.
Lasciata la parola di Dio va inteso per: lasciata la predicazione della parola di Dio.
Ministriamo alle mense;
serviamo alle tavole. La parola tavole, mense e usata in Matteo 21:12, Giovanni 2:15 a proposito dei cambiamonete. Qui il "servizio delle mense" ci dà di figurarci la scena. Una folla clamorosa assedia la casa ove gli apostoli, alle ore stabilite, distribuiscono i soccorsi in danaro, o, forse più probabilmente, in natura, che i fratelli (suppone il Barde) "aveano recati al culto e lasciati sulla tavola della comunione". Gli apostoli, uno ad uno, o a gruppi seggono alle tavole gruppi, seggono su cui la distribuzione è fatta. Chi ha un po' di pratica di cose di beneficenza capisce a volo che i lamenti e le gelosie dovevano essere inevitabili, e che il tempo richiesto da un siffatto lavoro doveva essere enorme; ond'era più che naturale che gli apostoli, vedendo aumentare le proporzioni della cosa, cogliessero questa occasione per disfarsi di quest'ufficio nell'interesse della beneficenza stessa e dei loro più importanti doveri.

Sette uomini.
In Atti 21:8 si parla dei sette, senz'altro, in senso assoluto. Il numero sette, che le nazioni pagane consideravano come sacro, è uno dei numeri per i quali gli ebrei aveano grande rispetto e reverenza. Ogni villaggio israelitico aveva a capo sette uomini, chiamati comunemente "i sette bonomini della città". (Vedi Mishna Megillah 111. 1 e T. B. Megillah 26 a). L'Ellicott nota che L'idea dei sette può anche esser venuta dagli ellenisti di Roma, che aveano veduto in cotesta città quei Septemviri Epulones (di cui parla anche Lucano 1. 602), che formavano un corpo, un collegio di sette diaconi, o sette servi, i quali aveano l'incarico di preparare le mense per i banchetti che in giorni determinati si faceano in onore degli dei, e che aveano qualche rassomiglianza con le agapi cristiane.
Dei quali si abbia buona testimonianza;
che godano d'una buona riputazione.
I quali noi costituiamo.
Delle qualità morali e spirituali dei candidati come delle loro attitudini alla carica del diaconato, giudica prima di tutto la Chiesa; l'assemblea: il popolo; ma gli apostoli si riserbano il diritto di preporli all'ufficio mediante la preghiera e l'imposizione delle mani Atti 6:6.

Noi persevereremo...
vuol dire: noi ci occuperemo esclusivamente... ecc.
Nelle orazioni e nel ministerio della parola.
Le orazioni includono il culto pubblico, in tutta la sua varietà, e la preghiera privata; il ministerio della parola si riferisce ad ogni forma d'insegnamento religioso.

Ed elessero...
L'elezione è fatta per suffragio universale.
Di Stefano avremo a parlare fra poco Atti 6:8; 8:2; di Filippo, pure Atti 8:5-40; 21:8.
Procoro, Nicanor, Timone e Parmena ci sono affatto ignoti. I loro nomi appaiono qua e là in leggende che non vale la pena di citare, perché sono senza ombra d'autorità.
Nicolao era un proselita antiocheno; non era dunque israelita di nascita; ma è un fatto che deve aver ricevuto la circoncisione; se no, i cristiani del suo tempo non soltanto non l'avrebbero eletto diacono, ma non l'avrebbero nemmeno ricevuto nella loro comunità. Antiochia nominata ancora in Atti 11:19-20,26; 15:22,35; Galati 2:11 ecc. era una città della Siria, sul fiume Oronte, e si chiamava prima Riblat. Non è mai ricordata nell'A. T., ma spesso invece negli Apocrifi. Fu edificata da Seleuco Nicanor nel 301 avanti Cristo e si chiamò Antiochia in onore di Antioco padre del fondatore. Fu in questa città, che, come vedremo, i discepoli di Cristo vennero per la prima volta chiamati Cristiani Atti 11:26. C'èra un'altra Antiochia, che non va confusa con questa; era Antiochia di Pisidia, che è mentovata in Atti 13:14. "Se prestisi fede a S. Epifanio, dice il Martini, ai bei principii di Nicolao non corrispose il fine; imperocchè, dopo essersi per amor della castità volontariamente separato dalla moglie, tornò di poi a ripigliarla, e per l'ostinazione di difendere il proprio errore, diede in istrane ed abominevoli dottrine, le quali furono poi patrimonio degli eretici detti Gnostici e anche Nicolaiti, dal nome di questo diacono. Ma S. Clemente d'Alessandria e S. Agostino dicono che del nome di Nicolao abusarono indegnamente questi eretici per dar corso e riputazione alle loro oscenissime e mostruose invenzioni, sinistramente interpretando qualche suo detto, quantunque ed egli ed un suo figliuolo e le sue figlie risplendessero singolarmente per la loro castità". (Clem. Aless. Stromi 3. 4, p. 187; Eusebio, Istor. 3. 29). La tradizione che fa di Nicolao il capo dei Nicolaiti Apocalisse 2:6,15 è assolutamente arbitraria e falsa. Chi voglia studiare a fondo la cosa, veda la vera interpretazione che del nome Nicolaiti dà il Prof. Reuss, nel suo commento sull'Apocalisse (La Bible, Apocalypse (2.15) pag. 55).

Imposero loro le mani.
E la prima volta che nel Nuovo T. si fa menzione, nel senso del nostro testo, di quest'atto. Nell'Ant. T. è un atto frequente e simbolico, e significa
1) trasferimento di colpa: Levitico 1:4; 8:14; 16:21;
2) comunicazione di benedizione: Genesi 48:14. (Vedi anche Marco 10:16);
3) designazione ad un ufficio: Numeri 8:10; 27:18,23; Atti 13:3; 1Timoteo 4:14; 5:22.
Va notato: la imposizione delle mani, nel nostro testo, è un rito religioso di benedizione, per cui s'introduce in un ufficio ecclesiastico la persona designata dai voti dell'assemblea; non è un mezzo di comunicare lo Spirito Santo. E a che cercare di comunicarglielo se già l'avevano? Non erano essi già "pieni di Spirito Santo?" Atti 6:3,5.

Gran moltitudine eziandio dei sacerdoti
La Chiesa viveva in santa e perfetta armonia e la Parola cresceva. È un periodo di spirituale prosperità, che ci muove il cuore a santa gelosia. Il punto culminante di cotesta prosperità è in queste parole: - gran moltitudine di sacerdoti ubbidiva alla fede; si convertiva, cioè; e la conversione a Cristo di cotesti sacerdoti era dai sacerdoti stessi considerata come un atto d'ubbidienza alla volontà di Dio! Qual trionfo per l'Evangelo della grazia!

Riflessioni

1. La Chiesa, palpitante d'amor fraterno puro e sincero ed animata da un santo e celeste spirito di abnegazione, sorgeva in Gerusalemme come un eloquente monumento della grazia di Dio. Chi avrebbe detto che Satana le fosse così vicino per tenderle maliziosamente le sue reti? Eppure è così. Dopo Anania e Saffira, ecco i torbidi del sospetto e delle gelosie. Non crediamo che Satana ci perda d'occhio quando siamo vicini a Dio; che anzi, più siamo presso a Dio e più Satana ci guarda a vista. C'è un detto grafico e vero che fa proprio al caso nostro: "Quando Iddio edifica una chiesa il diavolo ci fabbrica una cappella accanto".
2. A proposito del diaconato vediamo un po' quello che dice il Martini. Al vers. 6, alle parole: fatta orazione imposero loro le mani, egli commenta così. "Gli ordinarono per il servizio dell'altare, mediante l'orazione e la imposizione delle mani, con la quale imposizione davasi ad essi lo Spirito Santo e la grazia per degnamente adempire le funzioni del ministero. Con questo rito, venuto a noi sino dagli apostoli, sono stati sempre ordinati nella Chiesa i diaconi. E queste parole di S. Luca dimostrano evidentemente che i sette diaconi non furono eletti solamente per l'amministrazione del temporale, ma anche pel ministero spirituale, e particolarmente per assistere al sacrifizio dell'altare, e per dispensare il Corpo e il Sangue del Signore ai fedeli adunati, e anche per portarlo nelle case a quelli che per malattia o altro non aveano potuto intervenire alla celebrazione dei sacri misteri come racconta S. Giustino martire, Apolog. II". Poche righe, le sono; ma gli scerpelloni ermeneutici vi si possono raccattar con la pala.
1) Gli ordinarono pel servizio dell'altare. E dove mai trova il Martini menzione d'altare nella Chiesa primitiva? Nella Chiesa di Cristo non c'è altare perché non c'è più sacrificio espiatorio da fare: Cristo ha fatto cotesto sacrificio "una volta per sempre avendo offerto se stesso" Ebrei 7:27.
2) L'imposizione delle mani dava ai diaconi lo Spirito Santo. Lo dice il Martini; non il testo; il testo dice invece che già prima dell'imposizione delle mani, i sette scelti erano "pieni di Spirito Santo" (Atti 6:3,5); onde la imposizione delle mani, non era, in questo caso, che un atto di benedizione e d'introduzione nell'ufficio. Era un atto simbolico pel quale si volea come concentrare per il momento tutta quanta l'energia spirituale della preghiera sull'individuo scelto per il diaconato.
3) Con questo rito sono sempre stati ordinati i diaconi nella Chiesa. Anche qui ci sarebbe molto da dire. C'è poco da gloriarsi d'aver mantenuto la forma d'un rito quando si è radicalmente alterata la sostanza della istituzione. Il cattolico romano che non ha paura dei documenti sacri ed ispirati, legga in 1Timoteo 3:8-13 quel che si riferisce al diaconato e poi mi sappia dire se il diaconato della sua chiesa sia proprio quello che dovrebb'essere.
4) Le parole di S. Luca dimostrano evidentemente che i sette diaconi non furono eletti solamente per l'amministrazione del temporale ma anche pel ministero spirituale. Invece, elleno dimostrano evidentemente che furono eletti solamente per l'amministrazione del temporale. I vers. Atti 6:2-4, non lasciano ombra di dubbio su quanto io dico. Quello che impedisce agli apostoli di darsi interamente al ministerio della Parola è l'amministrazione della beneficenza; ed è appunto per disfarsi di questo incarico, che propongono l'istituzione del diaconato: ai diaconi, la beneficenza Atti 6:3; a noi, il culto pubblico, l'orazione privata e l'insegnamento religioso in tutte le sue forme Atti 6:4.
5) Il "sacrifizio dell'altare", il "dispensare il Corpo e il Sangue del Signore ai fedeli raunati" è una terminologia estranea al Nuovo T. I primi cristiani non ci avrebbero capito nulla e noi ci troviamo il risultato d'una corrotta speculazione teologica posteriore. Il "portare il Corpo e il Sangue del Signore a casa dei malati o degli assenti quando si celebravano i sacri misteri" è terminologia che il Nuovo T. ignora ed accenna ad un fatto di cui non c'è traccia nel testo.
3. Osserviamo, concludendo, che quando la Chiesa vive in pace ed in perfetta armonia e quando gli operai del Signore, liberati da ogni cura estranea al loro ministerio, si consacrano interamente alla preghiera, alla cura delle anime ed all'insegnamento del Vangelo, il Regno di Dio fa dei progressi sorprendenti e conquista a Gesù gli animi più restii ed i cuori più riottosi.

4. LA PRIMA PERSECUZIONE UFFICIALE DELLA CHIESA (Atti 6:8-8:4)

La quarta sezione ha quattro parti:

1. LA CATTURA DEL DIACONO STEFANO (Atti 6:8-15);
2. IL DISCORSO DI STEFANO (Atti 7:1-53);
3. IL MARTIRIO DI STEFANO (Atti 7:54-8:2);
4. LA DISPERSIONE DEI CREDENTI DIVENTA UN MEZZO PROVVIDENZIALE DI EVANGELIZZAZIONE (Atti 8:3-4).

1. La cattura del diacono Stefano (Atti 6:8-15)

Prodigi e segni
(Vedi Atti 2:22).

La sinagoga dei Liberti.
Questi Liberti erano discendenti di giudei che erano stati condotti a Roma in ischiavitù da Pompeo nel 63 e da altri, e che poi erano stati affrancati in cotesta città. Filone dicea d'aver trovato a Roma un quartiere intero popolato da cotesti liberti; e Tacito (Annali 11:58 confr. anche Svetonio, Tib. 36), che Tiberio ne relegò 4000 in Sardegna a motivo del loro culto che non avea la legittima approvazione delle autorità. Dal nostro testo sappiamo ch'essi aveano fondato a Gerusalemme una sinagoga speciale per sè e per le loro famiglie.
Dei Cirenei.
Cirene era in Africa, a mezza via tra Cartagine ed Alessandria. Strabone, citato da Giuseppe Flavio (Antich. 14:7 § 2), dice che i giudei ne formavano il quarto della intera popolazione. Simone il Cireneo Matteo 27:32 dev'essere stato un membro di questa sinagoga, e probabilmente un bel frutto di conversione a Gesù. Più tardi, e senza dubbio come risultato della predicazione di Stefano, troveremo i cirenei sulla breccia a predicare l'evangelo ai pagani in Antiochia Atti 11:20; e chi sa se fra loro non si trovò Simone stesso con i suoi due figliuoli Alessandro è Rufo? Marco 15:21
Degli Alessandrini.
Alessandria era la capitale dell'Egitto, fondata da Alessandro il Grande. I giudei v'erano numerosi; ce n'erano più di centomila; vivevano in un quartiere assegnato loro da Tolomeo Filadelfo e vi si governavano a mo' di repubblica (Giuseppe Flavio Antich. 14, 7, § 2). In Alessandria era stata fatta la traduzione greca così detta dei Settanta, che tutti gli ellenisti usavano e che era largamente letta anche in Palestina. In questi tempi viveva in Alessandria, onorato e famoso, il celebre Filone.
Di Cilicia.
La Cilicia era una provincia dell'Asia Minore, sul mare, al nord di Cipro. La capitale di questa provincia era Tarso. Anche in Cilicia i Giudei erano numerosi; discendeano da quelle duemila famiglie giudaiche, che Antioco il Grande vi avea cacciate dalla Palestina. Saulo, uno dei più accaniti nemici di Stefano, facea parte di questa sinagoga.
D'Asia.
L'Asia è qui, come da per tutto nel N. T., l'Asia proconsolare, che aveva Efeso per capitale. Esisteva in Gerusalemme un gran numero di sinagoghe per la celebrazione del culto. La tradizione talmudica ne fa salire il numero a 480. Fra tutte queste sinagoghe, quelle nominate nel nostro testo - servivano di luogo di riunione ai giudei stranieri, pellegrini di passaggio o domiciliati nella città, i quali aveano disimparato l'ebraico a causa della prolungata residenza delle loro famiglie in province lontane dell'impero..
Disputando con Stefano.
Disputare, è qui discutere, far delle domande, e simili; è la stessa parola usata in Marco 8:11; 9:14.

11 Ragionamenti di bestemmia contro Mosè e contro a Dio.
Le cose predicate da Stefano non ci sono note; ma è facile e naturale l'intendere dal testo che il grande uomo di Dio insegnava che la gloria del tempio stava per tramontare; che con la caduta del tempio anche il culto levitico era destinato a sparire; che la Legge mosaica dovea lasciare il posto ad una rivelazione più sublime e più completa; alla rivelazione della volontà di Dio, che Cristo avea recata agli umani; e che i privilegi del popolo eletto doveano esser presto assorbiti dalle benedizioni, di cui l'Eterno volea benedire la Chiesa universale, che Gesù avea fondata e stabilita nel mondo. Si capisce che tutte coteste, per i giudei, doveano essere delle bestemmie contro Mosè per mezzo di cui fu data la legge, e contro Dio, che avea ordinato il Tempio. Per tutti i giudei, dico; ma in ispecial modo per i farisei, che basavano tutta quanta la loro vita nazionale su quella legge, che li tenea così distinti e divisi da ogni popolo pagano.

12 Lo rapirono;
s'impossessarono di lui; lo portaron via.

13 Dei falsi testimoni.
Vedi il processo di Gesù dinnanzi al Sinedrio Marco 14:56-60.
Contro a questo santo luogo (il tempio), e la legge (di Mosè).

14 Gesù il Nazareo distruggerà... e muterà...
ecc. Ecco qui la predicazione di Stefano. Egli annunziava la decadenza del tempio e della legge. Ei predicava quello che Gesù avea più d'una volta detto più o meno apertamente Marco 14:58; Matteo 24:2; 26:61; Giovanni 2:19; e i testimoni diceano, fino ad un, certo punto, la verità; "fino ad un certo punto", perché è evidente che travisavano completamente lo spirito dell'evangelo di Stefano.

15 Riflessioni

1. Il diaconato era stato istituito per "il servizio delle mense" Atti 6:2-3; ossia, per la distribuzione dei soccorsi. Ciò non vuol dire che un diacono non potesse annunziare L'Evangelo, quando a farlo si sentisse spinto dallo Spirito di Dio. E come non dee far meraviglia che un apostolo si occupi di collette per i poveri 1Corinzi 1:2; 2Corinzi 8, così non per far meraviglia che dei diaconi, come Stefano e Filippo (Atti 8:5 e seg.) si occupino di annunziare la Parola del Signore. Nel Regno di Dio la divisione del lavoro non annulla né limita l'esercizio dei doni dello Spirito.
2. La predicazione di Stefano mette in evidenza un nuovo elemento del Vangelo. Le parole di Gesù relative alla distruzione del tempio Matteo 26:61; Marco 14:58 erano senza dubbio note a tutti gli apostoli; ma è a Stefano che si dee pel primo l'intuizione profonda e vivente di coteste parole che accennano al tramonto d'un antico ordine religioso di cose ed al sorgere d'un ordine sublime di cose nuove. Finora, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, gli apostoli mettono in sodo questa verità: che Gesù è il Cristo, il Messia; ma non vanno più in là. Stefano non discute più sulla messianità di Gesù; ma analizza l'opera messianica di Gesù; sviscera le relazioni di cotest'opera col giudaismo antico e mostra che il cristianesimo non è un giudaismo rattoppato e verniciato alla meglio. ma un sistema religioso nuovo, che deve addirittura sostituire l'antico. Per queste idee che accennano alla emancipazione completa del cristianesimo dai ceppi del legalismo giudaico, Stefano diventa il legittimo e glorioso precursore di Paolo, il quale si varrà più tardi, almeno in due occasioni, delle parole stesse di lui (confr. Atti 7:53 con Galati 3:19, e Atti 7:48 con Atti 17:24).
3. Il popolo è furibondo Atti 6:12; i giudici di Stefano si sa da quali sentimenti siano animati; ma Stefano parla per lo Spirito, e trionfa Atti 6:10; chi mai potrebbe resistere quando è "lo Spirito del Padre" che parla nei testimoni della fede? Matteo 10:19-20 In mezzo all'ostile assemblea del sinedrio, egli è calmo, sereno, ha coscienza viva della grandezza del suo compito, e lo Spirito di Dio che lo assicura intimamente del trionfo della causa ch'egli perora e rappresenta, lo transfigura dinnanzi agli occhi degli avversari. Cotesta transfigurazione è un'arra della vittoria avvenire.