Giovanni 15
1 CAPO 15 - ANALISI
1. La parabola della vite. Il Signore descrive l'unione che deve esistere fra lui stesso e il popolo suo, mediante la figura della vite, dei suoi tralci e dei suoi frutti. L'unione dei tralci col fusto non è più essenziale alla vita, alla crescenza, alla fertilità della vite, che non sia per i credenti l'unione con Cristo, mediante la fede, affinché possano crescere in santità ed abbondare nei frutti della giustizia. Una mera professione esterna di cristianesimo diverrà tosto così evidente come un ramo disseccato in un albero, e, se non si trasmuta in vivente unione, condurrà chi se ne rende colpevole al destino medesimo che vien riserbato ai rami disseccati: egli sarà gettato nel fuoco e bruciato Giovanni 15:1-8.
2. Cristo rivela ai discepoli l'intensità del suo amore, e fa conoscere in che modo essi e noi possiamo conservai: quell'amore per la nostra felicità. Questo faremo osservando i suoi comandamenti, e proponendoci come costante esempio la sua ubbidienza in tutte le cose al Padre suo Giovanni 15:9-11.
3. L'amor di Cristo per i suoi vien presentato come un incitamento all'amor fraterno. La maggior prova di amore che un uomo possa dare a quelli ch'egli ama si è di dar la vita sua per salvare la loro. Egli non penserebbe mai a darla per un estraneo, o per uno schiavo. Dando la vita sua per loro, come stava per fare, Gesù dichiara nel modo più evidente che egli non considera i suoi discepoli, e con essi tutti i credenti futuri, come estranei né come servi, bensì li tiene in conto di amici teneramente amati, da lui stesso eletti per portar frutti alla sua gloria, e comanda loro di amarsi gli uni gli altri, essendo questo il mezzo principale di dar lode al suo nome Giovanni 15:12-17.
4. Rapporti dei discepoli col mondo; trattamento che i veri discepoli di Cristo devono aspettarsi da un mondo privo di ragione. Due non possono camminare insieme, se prima non si sono convenuti l'uno coll'altro. Se l'unione con Cristo non producesse differenza alcuna in quanto a sentimenti, moralità, scopi ed intenti della vita, e portamento giornaliero, fra il mondo e i discepoli suoi, il mondo non avrebbe ragione alcuna di odiare i cristiani; ma siccome Cristo è oggetto, per parte del mondo, dell'odio più inveterato, i discepoli che egli ha scelti dal mondo, devono in ogni tempo ed in ogni età aspettarsi di venir trattati come il loro Maestro, e perseguitati per amor di lui. Quest'odio del mondo per Cristo non ha scusa alcuna, perché è affatto volontario, e non già frutto dell'ignoranza. Il Signore dichiara di "esser venuto e di aver loro parlato", e di aver "fatte tra loro opere quali niun altro ha fatte", perciò "non hanno scusa alcuna del lor peccato", e giacciono sotto giusta condanna Giovanni 15:18-25.
5. Cristo promette due testimoni che parleranno a suo favore. Colla venuta dello Spirito Santo, il promesso Avvocato e Consolatore, Gesù dichiara che due saranno le testimonianze a favor suo, contro la inimicizia del mondo, cioè: quella della parola predicata dai suoi discepoli, che erano stati i testimoni oculari della sua vita e dei suoi insegnamenti fin dal principio del suo ministerio, e quella dello Spirito, che farebbe penetrare nei cuori e nelle coscienze degli uomini quella parola annunziata con forza e potenza Giovanni 15:26-27.
Giovanni 15:1-27. CONTINUAZIONE DEL DISCORSO DI GESÙ NELLA STANZA PASQUALE
1. Io son la vera vite,
Questa similitudine ricorda quelle della porta e del buon pastore Giovanni 10:1-42; essa spiega l'unione dal punto di vista interno; le altre due dal punto di vista esterno. Quelli che credono Gesù incapace di avere una qualsiasi idea propria, ma vogliono che sempre le tolga in prestito da oggetti vicini, si sono affaticati a cercar l'origine di questa allegoria. Chi sostiene che fu pronunziata dopo che Gesù e gli apostoli furono usciti dalla stanza della Pasqua la dice suggerita al Signore da una vigna che forse si attraversava scendendo il pendio della valle del Kedron, o ancora dalla vite dorata che ornava una delle porte del Tempio, dove, secondo alcuni, Gesù e i suoi discepoli avrebbero fatto un'ultima visita quella sera, prima di andare in Ghetsemane. Quelli che ritengono che Gesù pronunziasse tutto questo discorso nella stanza stessa dove avevano celebrato la Pasqua, suppongono che l'idea della vite fu suggerita al Signore o dal vino bevuto a cena, o da qualche pampano che adornava la stanza. Protestiamo contro tutte queste spiegazioni materialiste come disdicevoli all'onniscienza di Gesù. In questo caso specialmente, era facile al Signore trovare nei ricordi dell'Antico Testamento un'allegoria che così bene risponde ai suoi rapporti coi suoi discepoli. Nell'Antico Testamento infatti è tipo d'Israele la vigna, piantata dall'Onnipotente per adornare e vivificare la terra Salmi 80:1-19; Isaia 5:1; Ezechiele 19:10. Ma Israele si è "mutato in tralci tralignanti di vite strana" Geremia 2:21, mentre Gesù dichiara di essere egli stesso la vera vite, sorgente di vita spirituale, che riunisce in sé tutto il suo popolo, e con questa figura esprime, nel suo senso più perfetto, la parentela spirituale che esiste fra lui e tutti i suoi. Quelle che Paolo dice della unione mistica del Redentore e della sua Chiesa trova la sua espressione più completa in questo passo di Giovanni, poiché la vite e i tralci sono molto più intimamente uniti che non il pastore e le pecore, o il vignaiolo e le viti, e rappresentano piuttosto il capo e le membra legati dalla medesima organizzazione, e penetrati della medesima vita Efesini 5:23,30; Colossesi 2:19.
e il Padre mio è il vignaiolo.
Il nome greco che Gesù dà qui al Padre suo non è "ampelurgos", che è quello di un lavorante ordinario nelle vigne, ma "georgos", ossia il padrone del terreno, che coltiva la vite colle proprie mani. Gesù ci presenta dunque il Padre suo come il sommo padrone della vigna, il Signore del regno spirituale. Come tale, egli ha piantato la vigna nel terreno della umanità, e la sorveglia con cura divina; e nella sua qualità di padrone, a lui spetta vegliare sui rapporti della vite coi tralci, dei redenti con Cristo, poiché ha il diritto di aspettare, e con ansietà aspetta, i frutti.
PASSI PARALLELI
Giovanni 1:9,17; 6:32,55; 1Giovanni 2:8
Genesi 49:10-11; Salmi 80:8-19; Isaia 4:2; 5:1-7; Geremia 2:21; 12:10; Ezechiele 15:2-6
Osea 10:1; Zaccaria 3:8; Matteo 21:33; Luca 13:6
Cantici 7:12; 8:11-12; Isaia 27:2-3; 60:21; 61:3; Matteo 20:1; Marco 12:1; 1Corinzi 3:9
2 2. Egli toglie via ogni tralcio che in me non porta frutto ma ogni tralcio che porta frutto egli lo rimonda acciocché ne porti vie più.
"V'ha qui una specie di giuoco di parole fra i due verbi 'togliere via', e 'rimondare', e non è possibile trasportarlo in un'altra lingua. Esso però spiega l'uso alquanto insolito di 'rimonda', relativamente ad un albero da frutta, l'una parola avendo evidentemente suggerito l'altra" (Brown). Il Signore qui dichiara che in lui, qual vera vite, trovansi due qualità di tralci: una sterile, fertile l'altra; quindi annunzia in che modo ciascuna verrà trattata dal gran vignaiolo. Seguendo lo stesso suo ordine, cerchiamo prima di tutto quali sieno i tralci infecondi. Essi formano una classe di cristiani, poiché Gesù dichiara che sono "in lui", ma in lui solamente come l'innesto morto che riman pur sempre attaccato al ramo, benché non congiunto col medesimo in unione vitale, così da derivarne il succhio che solo lo può rendere fruttifero. Son persone che fan professione esterna di cristianesimo, che sono state battezzate nel nome di Gesù, credono le verità dell'Evangelo, ed appartengono alla Chiesa visibile di Cristo; ma non hanno fede vivente in lui, non desiderano la sua salute, non aprono l'anima alla vita spirituale di cui egli è sorgente, non hanno unione vitale con lui. Chiunque si trovi in tal condizione è così incapace di portar frutti alla gloria di Dio, come l'innesto morto, benché rimasto unito alla vite, è impotente a portar grappoli d'uva. "Ma qui", dice Calvino, "nasce una questione: Può chiunque è innestato con Cristo rimanere infruttuoso? Rispondo: Di molti, gli uomini suppongono che essi sono nella vite, mentre in realtà non hanno radice in essa". Il portar frutto è la prova di una unione vivente con Cristo. L'altra classe di persone, che Cristo dice essere "in lui", sono quelli che portano frutto. Questa unione con Cristo è unione vitale, non meramente esterna e meccanica; essa consiste nell'avere comune con lui la vita dello spirito, essendo egli la fonte dalla quale la loro vita spirituale è derivata. Di tali Gesù dice: "Perciocché io vivo, e voi ancora viverete" Giovanni 14:19; mentre di Cristo essi dicono: "Vivo, non più io, ma Cristo vive in me; e ciò che ora vivo nella carne, vivo nella fede del Figliuol di Dio, che mi ha amato, e ha dato sé stesso per me" Galati 2:20. Tali sono le due classi di persone mentovate in questo versetto. Osserviamo ora in che modo Iddio opera relativamente ad ognuna di esse. Quelli che sono morti e non fanno che una professione esterna di religione, Dio li toglie, come il fico sterile Luca 13:6-9, perché non sieno più di ostacolo agli altri; ciò egli fa in vari modi: coll'ognor crescente amore al mondo nei loro cuori, col timore della persecuzione, colla disciplina della Chiesa, od anche colla morte. "Toglie via" indica semplicemente il taglio del legame che univali a Cristo, affinché la vera vite più non sia deturpata da rami infruttiferi, non già la sorte loro finale Giovanni 15:6. Ma anche quelli che son veramente di Cristo e lo provano mediante i frutti della vita loro, abbisognano di disciplina spirituale, e il vignaiolo li rimonda o li pota "acciocché ne portino vie più. "I metodi ordinari di coltura ci spiegano queste parole di Cristo. In molti alberi avviene che il succhio è assorbito da rami superflui, che non portano frutto, e tolgono l'alimento ai rami fruttiferi. Il vignaiolo, o coltivatore accorto, fa uso in quei casi del coltello, e non rifugge dal sacrificare quello che, ad un occhio inesperto, può parer bello e di gran promessa, affinché il succhio vitale vada nei rami che hanno i frutti. Questi rami inutili rappresentano quanto rimane tuttora nel credente della corruzione sua naturale, quello che Paolo chiama "le opere della carne" Galati 5:19, che impoveriscono la vita spirituale, e ne arrestano il progresso. E come fa il vignaiolo colla vite, così Dio, con cura e tenerezza al tempo stesso, con metodi pieni di grazia e di bontà, colla sua Parola, colla sua provvidenza, col suo Spirito, colle stesse prove che ci dispensa, o con qualsiasi altro mezzo che giudica meglio adatto al caso, pota e rimonda i rami superflui, che tolgono vigore ai rami fruttiferi, affinché questi ultimi crescano di valore col divenire ognor più fruttiferi. La prima parte di questo versetto è grossolanamente pervertita da alcuni, i quali vogliono che insegni la possibilità, per un vero credente, per un vero tralcio della vite spirituale, per un membro del corpo di Cristo, di perdere ogni grazia e di ricadere infine nella perdizione. "È l'arma favorita di tutti gli Arminiani, di tutti quelli che mantengono un nesso inseparabile fra la grazia ed il battesimo, di tutti quelli che negano la perseveranza in fede dei credenti" (Ryle). Ma la dottrina della ricaduta dei credenti è direttamente contraria ai seguenti passi della Scrittura: Giovanni 10:27-29; Filippesi 1:6; 1Pietro 1:5.
PASSI PARALLELI
Giovanni 17:12; Matteo 3:10; 15:13; 21:19; Luca 8:13; 13:7-9; 1Corinzi 13:1; Ebrei 6:7-8
1Giovanni 2:19
Giobbe 17:9; Salmi 51:7-13; Proverbi 4:18; Isaia 27:9; 29:19; Osea 6:3; Malachia 3:3
Matteo 3:12; 13:12,33; Romani 5:3-5; 8:28; 2Corinzi 4:17-18; Filippesi 1:9-11
1Tessalonicesi 5:23-24; Tito 2:14; Ebrei 6:7; 12:10-11,15; Apocalisse 3:19
Giovanni 15:8,16; Galati 5:22-23; Filippesi 1:11; Colossesi 1:5-10
3 3. Già siete voi mondi per la parola che io vi ho detta.
Il Signore applica quì ai discepoli quanto aveva detto nel vers. precedente dichiarando che essi già erano mondi, giustificati, rigenerati ed in parte santificati, mediante il suo insegnamento in generale, benché "la parola che io vi ho detta" possa intendersi specialmente del presente suo discorso. Non vuol dire che i discepoli fossero già puri da ogni peccato; ma fino ad un certo punto già erano purificati, mediante quella parola che è "una lampada al nostro piè, e un lume al nostro sentiero" Salmi 119:105; però devono tuttora pensare al giornaliero "lavacro dei piedi", comandato in Giovanni 13:10, affin di poter essere del tutto netti.
PASSI PARALLELI
Giovanni 13:10; 17:17; Efesini 5:26; 1Pietro 1:22
4 4. Dimorate in me, ed io dimorerò in voi;
Il verbo "dimorerò" non si trova nell'originale; lo aggiunge Diodati in corsivo, prendendo l'ultima parte del vers. come una promessa, e così fanno pure Calvino, Beza, Meyer e Luthardt; ma con Bengel, Tholuck, Webster e Wilkinson, Brown e Plummer, preferiamo considerar tutto il versetto come un comando od una esortazione: "Fate in modo che dimoriate in me, e che io dimori in voi", che è la duplice condizione della fertilità spirituale. La durata della purità cui eran giunti dipendeva da quella, della loro comunione con Gesù. La forma imperativa di questo vers. dimostra che una tal comunione con Cristo si mantiene facendo un uso fedele dei mezzi che Dio ci offre, per questo scopo medesimo. Se ci sforziamo sinceramente di abitare in Cristo, egli abiterà in noi. Quanto dipende adunque dall'umano volere!
siccome il tralcio non può portar frutto da sé stesso, se non dimora nella vite, così neanche voi, se non dimorate in me.
Il Signore toglie nuovamente dalla vite una illustrazione di quella nostra necessità di dimorare in lui. Il tralcio non fruttifica se non a condizione di ricevere il succo vitale che il tronco gli comunica. Tagliato, o divelto da quello, si dissecca e muore. Così è di Cristo e dei suoi. Essi non possono portar frutti cristiani, né condurre una vita cristiana, se non a condizione di mantenersi in intima unione e comunione con lui. Sono tali la nostra tardanza, la nostra pigrizia, la nostra avversione per quanto richiede sforzo o sacrificio, che, anche dopo avere assaggiato la dolcezza della comunione con Gesù, abbiam bisogno di venir continuamente esortati ed incoraggiati a perseverare in essa, e lo, provano queste insistenti esortazioni di Cristo ai suoi discepoli.
PASSI PARALLELI
Giovanni 6:68-69; 8:31; Cantici 8:5; Luca 8:15; Atti 11:23; 14:22; Galati 2:20; Colossesi 1:23
Colossesi 2:6; 1Tessalonicesi 3:5; Ebrei 10:39; 1Giovanni 2:6,24-28; 2Giovanni 9; Giuda 20-21
Giovanni 6:56; 14:20; 17:23; Romani 8:9-10; 2Corinzi 13:5; Efesini 3:17; Colossesi 1:27
Isaia 27:10-11; Ezechiele 15:2-5; Osea 14:8; 2Corinzi 12:8-10; Galati 2:20; Filippesi 1:11
5 5. Io sono la vite, voi siete i tralci; chi dimora in me, ed io in lui, esso porta molto frutto;
In sostanza, la verità contenuta in questo vers. è quella del vers. precedente; ma Gesù rimuove ogni possibile dubbio dei discepoli, dichiarando che essi sono "i tralci", mentre egli è la "vite". Qual degnazione è quella di Gesù nel riconoscere dei peccatori quali tralci di sé medesimo, derivanti la loro vita da lui! Questo versetto aggiunge però qualcosa al precedente, poiché mentre quello dice che, separato dalla vite, Cristo, il tralcio rimane affatto sterile, questo dice che, unito a lui, porterà molto frutto.
conciossiaché fuor di me non possiate far nulla.
Il Signore non dice qui semplicemente: "Senza il mio aiuto", benché anche questa sia una verità importante, ma: "separati da me", in uno stato di disunione da me", in opposizione al "dimorate in me" del vers. precedente. Benché l'uomo possa, per dovere o per filantropia, compiere atti morali e lodevoli, se non è unito con Cristo, non potrà compier mai nulla che sia spiritualmente buono, che Dio consideri ed accetti come tale. "Ma se Cristo è talmente tutto che il fedele nulla può fare senza di lui, non ne risulta egli che questi potrà far molto, se rimane unito a lui" (Godet).
PASSI PARALLELI
Romani 12:5; 1Corinzi 10:16; 12:12,27; 1Pietro 2:4
Giovanni 12:24; Proverbi 11:30; Osea 4:8; Luca 13:6-9; Romani 6:22; 7:4; 2Corinzi 9:10; Galati 5:22
Efesini 5:9; Filippesi 1:11; 4:13,17; Colossesi 1:6,10; Giacomo 1:17; 2Pietro 1:2-18; 3:18
Atti 4:12
Giovanni 5:19; 9:33; 2Corinzi 13:8; Filippesi 4:13
6 6. Se alcuno non dimora in me, è gettato fuori, come il sermento, e si secca;
In opposizione alla grande fecondità spirituale di quelli che sono uniti con lui, il Signore ci mette, subito dopo, dinanzi agli occhi la sorte finale di quelli che gli appartengono solo per professione esterna, ma non sono mai stati uniti a lui come redenti. A questo scopo egli fa ancora uso della figura della vite e dei tralci Giovanni 15:2. I tralci staccati dalla vite appassano e muoiono per mancanza del succo vitale, poi i servi; del vignaiolo li raccolgono e li bruciano. Che le parole: "Se alcuno non dimora in me" possano, come sostengono alcuni, indicar persone le quali hanno fatto veramente la sperienza della nuova nascita, e sieno quindi decadute dalla grazia, non si può ammettere per un momento; sarebbe questo un negare che la espiazione di Cristo, e l'opera santificatrice dello Spirito, sieno complete e perfette Giovanni 10:27-30; 17:12; 1Giovanni 2:20,27-28. Tipo di quelli che non dimorano in Cristo è Giuda Iscariot, che fu discepolo ed apostolo, membro visibile della famiglia di Cristo, ma non ebbe mai parte alcuna con lui. O meglio essi sono quelli che ricevono la semenza in un terreno pietroso, i quali in sulle prime l'accolgono con grande allegrezza, ma presto sono riarsi, "perciocché non avevano radice", Vedi Nota Marco 4:16. La cosa che il Signore sembra avere in vista si è la morte e la sparizione di tutto ciò che una conoscenza meramente esterna di Cristo può dare di apparenze religiose a quelli che pure sono sprovvisti di una reale e vivente pietà.
poi cotali sarmenti son raccolti e son gettati nel fuoco,
Dal fatto che questi due verbi sono all'aoristo, par probabile che, nel pronunziare questa sentenza, il Signore si trasportasse col pensiero all'ultimo giorno. Come i servi del vignaiolo raccolgono i sermenti disseccati per bruciarli, Così nella parabola delle zizzanie Matteo 13:41-42, il Signore ci dice che, all'ultimo giorno, "il Figliuol dell'uomo manderà i suoi angeli, ed essi raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e gli operatori d'iniquità; e li getteranno nella fornace del fuoco".
e si bruciano.
Questo verbo, a differenza dei precedenti, è al tempo presente ed indica un bruciare che continua per sempre. Vien qui dichiarato che completa ed eterna rovina è la conseguenza del non essere uniti a Cristo. "La vite non serve che a portar frutti. Se divien sterile non è buona ad altro che a servire di combustibile. Questo è molto chiaramente indicato nella parabola di Ezechiele 15:1-8" (Brown). Ammonimenti come questi, relativamente alle terribili conseguenze dell'apostasia, sono utili ai veri cristiani, per spingerli a fare assiduamente uso dei mezzi di grazia e a dar giusto peso alle considerazioni che la Scrittura ci mette dinanzi agli occhi Ebrei 6:8; 10:26. Non iscordiamo mai che il dimorare in Cristo ci fa portar molti frutti in questa vita, e ci conduce alla felicità eterna nella vita avvenire. Il separarci da lui conduce al fuoco inestinguibile dell'inferno.
PASSI PARALLELI
Giobbe 15:30; Salmi 80:15; Isaia 14:19; 27:10; Ezechiele 15:3-7; 17:9; 19:12-14
Matteo 3:10; 7:19; 13:41; 27:5; Ebrei 6:7-8; 10:27; 2Pietro 2:20; 1Giovanni 2:19
Giuda 12-13; Apocalisse 20:15; 21:8
7 7. Se voi dimorate in me, e le mie parole dimorano in voi,
È quì nuovamente comandato il dimorare in Cristo; solo, invece della frase correlativa "ed io in lui", qui abbiamo: "le mie parole dimorano in voi". Il senso è lo stesso; però ci vien quì più chiaramente spiegato in qual maniera Cristo può dimorare in noi, ed al tempo stesso ci vien fatta una promessa importante e piena di grazia, se sapremo far tesoro delle parole di Cristo nel nostro cuore, in modo che divengano il nostro cibo preferito e costante. Siccome siamo "rigenerati per la parola di Dio viva e permanente in eterno" 1Pietro 1:23, "mondi per la parola" Giovanni 15:3, "santificati per la parola" Giovanni 17:17, così Cristo dimora in noi per le sue parole che sono "spirito e vita" Giovanni 6:63; meditandole, "cresciamo nella grazia e conoscenza del Signore e Salvator nostro Gesù Cristo" 2Pietro 3:18, e mediante lo Spirito, giungiamo a godere sin d'ora la comunione col Padre e col Figlio Giovanni 14:23; Apocalisse 3:20. L'averla parola divina dimorante in lui era l'ardente desiderio del Salmista. "Io ho riposta la tua parola nel mio cuore, acciocché io non pecchi contro a te" Salmi 119:11. Ai cristiani di Colosse, Paolo scriveva: "La parola di Cristo abiti in voi doviziosamente, in ogni sapienza" Colossesi 3:16, ed in tutti i tempi, il dimorare delle parole di Cristo in quelli che si professano suoi, è al tempo stesso il mezzo e la prova del loro dimorare in lui. Ci guardi Iddio dal credere che in queste parole altro non ci venga comandato che una religione mistica e vaga, un indolente dimorare in lui. Le sue parole devono ardere come fuoco nel nostro cuore, ed influenzare costantemente il nostro carattere e la nostra vita.
voi domanderete ciò che vorrete, e vi sarà fatto.
Al "portar molto frutto" Giovanni 15:5, si aggiunge quì un'altro benefizio di valore incomparabile, prodotto esso pure dall'unione con Cristo, quello cioè di esser certi dell'esaudimento delle nostre preghiere, qualunque cosa domandiamo, purché sia conforme al suo volere. Questa promessa venne fatta prima di tutto agli apostoli, per confortarli nella solitudine in cui li lascerebbe la partenza del loro Maestro, ma nulla dice che fosse fatta ad essi soli. Come tutte le altre Scritture, neppur questa è "di particolare interpretazione" 2Pietro 1:20; appartiene a tutti i credenti in ogni tempo ed in ogni luogo. Non v'ha egli limite alcuno posto per impedire che si abusi di questo privilegio? nessun freno alle possibili stravaganze del fanatismo? La sola limitazione qui espressa è sufficiente a guidare le nostre preghiere in modo da renderne sicuro l'esaudimento. Se "noi dimoriamo in Cristo, e le sue parole dimorano in noi", "ogni mente", "lett. ogni pensiero", rimane talmente "cattivata all'ubbidienza di Cristo" 2Corinzi 10:5, che non sorgeranno desideri, né si offriranno preghiere, che non sieno pienamente conforme alla volontà di Dio. Gesù non ci promette neppure che saranno esauditi desideri mondani e peccaminosi. Col suo dimorare in Cristo, la volontà del credente si va assimilando alla volontà di Dio, sicché diviene una con quella, in proporzione della intimità della unione fra il redento e il suo Salvatore, e i suoi desideri, nella medesima proporzione, si conformano sempre più a quelli di Dio. In quella posizione il credente si diletta in Dio, prende piacere nelle cose che sono conformi alla volontà di, Dio, e i suoi desideri essendo conformi a quella, non possono mancare di venire esauditi.
PASSI PARALLELI
Giovanni 8:37; Deuteronomio 6:6; Giobbe 23:12; Salmi 119:11; Proverbi 4:4; Geremia 15:16; Colossesi 3:16
1Giovanni 2:14,27; 2Giovanni 1-2
Giovanni 15:16; 14:13; 16:23; Giobbe 22:26; Salmi 37:4; Proverbi 10:24; Isaia 58:8; Galati 4:2; 5:16
1Giovanni 3:22; 5:14
8 8. In questo è glorificato il Padre mio, che voi portiate molto frutto; e così sarete miei discepoli.
Alcuni riferiscono le parole "in questo", all'esaudimento delle preghiere nel vers. precedente, quasiché Gesù dicesse che per esso Iddio è glorificato; ma Diodati e con esso la Volgata, e le versioni inglese e francese (Osterwald), nonché il maggior numero dei commentatori li uniscono alle parole "che voi portiate molto frutto" e ciò sembra più naturale. L'aoristo "è glorificato", indica qui, come in Giovanni 10:4, un atto adempiuto in qualsiasi momento, e vuol dire che, nella dispensazione spirituale, la cosa accade ordinariamente così. Il Signore dà quì due altre ragioni perle quali i suoi discepoli devono dimorare in lui, e sforzarsi di portar molti frutti. La prima è che ciò ridonderà a gloria del loro Padre Celeste. Le loro buone opere onoreranno la religione che professano, e condurranno il mondo ad onorare l'Iddio che essi servono. Siccome lo scopo supremo di Dio nel provveder la "vera vite", e nel far degli uomini tralci viventi della medesima, era di ottenerne i frutti; siccome egli rimonda ogni tralcio che porta frutto, affinché ne porti vie più, è evidente che il nostro portar molto frutto, non può che tornare a gloria sua. Infatti Paolo ci esorta ad esser "ripieni di frutti di giustizia, che son per Gesù Cristo alla gloria e lode di Dio" Filippesi 1:11. L'altra ragione per dimorare in lui e portar molto frutto "si è che così mostreremo al mondo di esser veri e genuini discepoli. "Li riconoscerete dai loro frutti" Matteo 7:20: questo è il vero criterio del carattere, il quale si conosce, non dalle professioni esterne, ma dalla vita. Si fu dalle loro opere che gli apostoli vennero riconosciuti come coloro "ch'erano stati con Gesù" Atti 4:13. A questo comando di Cristo, gli Apostoli ubbidirono non solo col menare una vita santa, ma pure col predicar l'Evangelo, sforzandosi di condurre tutti gli uomini alla conoscenza della verità. Ed il tempo è venuto per tutti i cristiani di imitare l'esempio della loro santa vita e del loro zelo, nel recare le buone nuove della salvezza, fino alle più lontane estremità della terra.
PASSI PARALLELI
Salmi 92:12-15; Isaia 60:21; 61:3; Aggeo 1:8; Matteo 5:16; 1Corinzi 6:20; 10:31
2Corinzi 9:10-15; Filippesi 1:11; Tito 2:5,10; 1Pietro 2:12; 4:11
Giovanni 8:31; 13:35; Matteo 5:44; Luca 6:35
9
9. Come il Padre mi ha amato, io altresì ho amati voi; dimorate nel mio amore.
L'amor di Dio Padre per l'unigenito suo Figliuolo è l'affetto più elevato che possiamo immaginare Matteo 3:17; 17:5. È l'amore di Dio per uno che è uguale a lui, e simile a lui in ogni cosa, che sempre gli compiacque, e sempre si dimostrò pronto a qualsiasi sacrificio, a qualsiasi fatica, per adempiere i disegni della divina misericordia. Non possiamo farci idea adeguata di quanto sia profondo, intenso, intimo ed immutabile un tanto amore. Eppure egli è alla stregua di quello che Cristo misura l'amor suo pei suoi redenti; questo pure è un amore immenso, profondo, immensurabile, un amore che "sopravanza ogni intelletto". Il Figlio ha amato, ed ama i suoi, ed in questo suo amore comanda loro di dimorare. Alcuni spiegano l'ultima clausola di questo versetto: "dimorate nel mio amore", come se volesse dire: "continuate nel vostro amore per me", quasiché il Signore parlasse qui di quell'amore che nel cuore dei discepoli dovrebbe rispondere al suo. Ma benché un tale amore non si possa assolutamente escludere, poiché è la conseguenza dall'altro, ci par chiaro dal contesto, che il Signore parla qui dell'amor suo per i suoi, piuttosto che del loro per lui. Mentre con gratitudine ed adorazione cerchiamo di comprendere e di realizzare la misura di quell'amore del quale Cristo ci ha amati, rimanga profondamente scolpito nella nostra memoria che la nostra felicità presente ed eterna dipende dal dimorare nel suo amore.
PASSI PARALLELI
Giovanni 15:13; 17:23,26; Efesini 3:18; Apocalisse 1:5
Giovanni 15:11; 1Giovanni 2:28; Giuda 20
10 10. Se voi osservate i miei comandamenti, voi dimorerete nel mio amore; siccome io ho osservati i comandamenti del Padre mio, e dimoro nel suo amore.
Gesù anticipa la domanda che doveva naturalmente salire alle labbra dei discepoli: "Signore, in che modo possiamo noi dimorare nel tuo amore?" e spiega loro in questo versetto che il mezzo pratico di dimorare nell'amor suo è di osservare i suoi comandamenti. Già lo aveva detto Giovanni 14:21; ora però spiega meglio il suo concetto, adducendo il proprio esempio, e proponendolo alla loro imitazione. L'amor del Padre per il suo Figliuolo è da ogni eternità; l'incarnazione di Cristo, anziché diminuirlo, aprì la strada a nuove manifestazioni di quell'amore, ed ogni atto della sua umana ubbidienza, rendendolo maggiormente degno di affetto agli occhi del Padre, diede origine a nuove manifestazioni della compiacenza e dell'amor suo. Gesù, col fare tutta la sua volontà in terra, dimorò nell'amore del Padre, perfino nel momento supremo in cui la debolezza umana lo costrinse ad esclamare dall'alto della croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai lasciato?" Matteo 27:46. Ed ora Gesù dice ai discepoli suoi di tutti i tempi, che se vogliono dimorare nel conscio godimento dell'amor suo, non devono scordare mai che tutto il segreto consiste nell'ubbidire ai suoi comandamenti. "Non mancherà mai il sole dell'amor mio di risplendere sulle anime vostre, sol che vi comportiate in un medesimo spirito di ubbidienza verso di me, come io verso il Padre" (Brown). Corre è vero una distanza grandissima fra l'ubbidienza di Cristo e la nostra, e la coscienza che ne abbiamo spesso riempie i nostri cuori di dubbi penosi e di incertezze; ma mentre ci umiliamo nel sentimento delle nostre mancanze, ci sia lecito consolarci col pensiero che l'ubbidienza dei credenti resa a Cristo non è la causa, bensì l'effetto della continuazione del suo amore.
PASSI PARALLELI
Giovanni 14:15,21; 1Corinzi 7:19; 1Tessalonicesi 4:1; 2Pietro 2:21; 1Giovanni 2:5; 3:21-24; 5:3
Apocalisse 22:14
Giovanni 4:34; 8:29; 12:49; 14:31; 17:4; Isaia 42:1-4; Matteo 3:15-17; Ebrei 7:26
Ebrei 10:5-10; 1Giovanni 2:1-2
11 11. Queste cose vi ho io ragionate, acciocché la mia allegrezza dimori in voi, e la vostra allegrezza sia compiuta.
Nei versetti Giovanni 15:9-10, il Signore avea fatto conoscere ai discepoli la grandezza dell'amor suo, e il modo in cui sempre ne potrebbero aver coscienza nei loro cuori. Qui egli dichiara lo scopo che in tutto questo egli si era sempre prefisso, quello cioè di renderli partecipi della sua felicità, facendo si che alla loro gioia non manchi mai più nulla. Tale è pure il senso della preghiera di Paolo per i Romani: "Or l'Iddio della speranza vi riempia d'ogni allegrezza e pace, credendo" Romani 15:13. Per "queste cose" non dobbiamo intendere il presente discorso di Gesù nel suo insieme, ma quanto aveva pure allora detto dell'amor suo, e del loro dimorare in lui, come egli dimorava nell'amore del Padre. Le parole "la mia allegrezza" non significano: "acciocché io possa avere allegrezza 'in voi', ma indicano la gioia che al cuore di Gesù sempre arrecò la coscienza dell'amore del Padre suo, e che lo sostenne in mezzo a tutte le sue sofferenze. Questo medesimo conforto egli desidera che l'abbiano pure i suoi discepoli in mezzo alle difficoltà ed ai pericoli della loro carriera. Quella sua gioia nell'amor del Padre aveva per fondamento la sua ubbidienza alla volontà paterna, e così pure la loro allegrezza sarà resa perfetta se sapranno mettere in pratica i precetti del loro Maestro. La felicità umana non può salir più in alto che il prender parte alla gioia che fu quella di Cristo, nel sapersi amato dal Padre, e nell'ubbidire ai suoi comandamenti.
PASSI PARALLELI
Isaia 53:11; 62:4; Geremia 32:41; 33:9; Sofonia 3:17; Luca 15:5,9,23,32; 1Giovanni 1:4
Giovanni 16:24,33; 17:13; Romani 15:13; 2Corinzi 1:24; Efesini 5:18; Filippesi 1:25; 1Tessalonicesi 5:16
1Pietro 1:8; 2Giovanni 12
12
12. Quest'è il mio comandamento: Che voi vi amiate gli uni gli altri, come io ho amati voi. 13. Niuno ha maggiore amor di questo: di metter la vita sua per li suoi amici.
Vedi note Giovanni 13:14; Giovanni 13:15.
L'enfasi qui non è sopra "amici", bensì sopra "metter la vita". La forza dell'amore si riconosce dai sacrifici cui esso ci spinge a pro di quelli che amiamo; quello che supera di gran lunga tutti gli altri è il dar la vita per gli amici. In quel modo Gesù stava per provare l'amor suo non solo per gli amici, cui rivolgeva quelle parole, ma pure per quanti, fino alla fine del tempo, "faranno tutte le cose che egli comanda" Giovanni 15:14. Da questa prova dell'amore del Salvatore per i suoi amici, l'evangelista altrove conclude che "ancora noi dobbiamo porre le anime per i fratelli" 1Giovanni 3:16. Alcuni hanno sollevato inutili difficoltà, pretendendo che le parole del Signore, in questo passo, contraddicono l'asserzione di Paolo in Romani 5:6-8. Ma qui Gesù parla a degli amici, per incoraggiarli, e dichiara che la più gran prova d'amore che uno possa dare agli amici suoi si è di morire in loro vece; egli non ha occasione di dir nulla di una prova anche maggiore di amore, quella cioè che consiste nel dar la vita per peccatori e nemici. Non vi ha con tradizione fra i due passi, poiché in quello che stiamo studiando non è questione di nemici. Cristo, parlando a degli amici, dice qual'è la più gran prova d'amore ch'Ei possa dar loro; Paolo invece parla di quelli che erano nemici di Dio per natura e per opere, ed asserisce giustamente che il morire per tali costituiva, per parte di Cristo, non solo la prova più forte dell'amor suo per i peccatori, ma pure tale una prova di carità che non aveva l'uguale fra i più nobili sacrifici adempiuti dagli uomini, a pro dei loro simili. Non esiste neppure qui difficoltà dottrinale alcuna, imperocché Gesù non asserisce punto di dar la vita solo per i suoi amici; ma si contenta mettere avanti quel lato speciale dell'opera sua, per dare un esempio ai suoi discepoli.
PASSI PARALLELI
Giovanni 13:34; Romani 12:10; Efesini 5:2; 1Tessalonicesi 3:12; 4:9; 2Tessalonicesi 1:3; 1Pietro 1:22; 3:8; 4:8
1Giovanni 2:7-10; 3:11-18,23; 4:21
Giovanni 10:11,15; Romani 5:6-8; Efesini 5:2; 1Giovanni 4:7-11
14 14. Voi sarete (siete, non sarete) miei amici, se fate tutte le cose che io vi comando.
Abbiam qui l'applicazione pratica della dichiarazione generica contenuta nel versetto precedente. L'accento sta sulla parola: "voi siete i miei amici". Gesù aveva parlato di quello che l'amore di un uomo può portarlo a fare per i suoi amici, e subito dopo aggiunge: "Quella è la posizione che occupate riguardo a me. Io vi considero come i miei amici. Voi siete di quelli di cui ho pur ora parlato, e per i quali sto per dare la prova maggiore del mio amore". Havvi però una condizione dalla quale dipende quel suo amore, "e questa già l'abbiam trovata in Giovanni 15:10, e in Giovanni 14:15 cioè: "Se fate tutte le cose che io vi comando". Non c'illudiamo: se non osserviamo i comandamenti di Cristo, non possiamo essere suoi amici. È degno di nota quante volte il Signore torna su questo grande principio, che l'ubbidienza è la pietra, di paragone del Cristianesimo vero e vitale, che le, opere, sono il segno infallibile della fede. Chi dice di appartenere al Signore, mentre vive nel peccato, e trascura i comandamenti di Cristo, è nella via larga che conduce alla perdizione.
PASSI PARALLELI
Giovanni 14:15,28; 2Cronache 20:7; Cantici 5:1; Isaia 41:8; Matteo 12:50; Luca 12:4; Giacomo 2:23
Giovanni 2:5; 13:17; 14:21; 1Giovanni 5:3
15 15. Io non vi chiamo più servi,
Gesù aveva chiamati servi i discepoli durante il loro tempo di prova Giovanni 12:26; 13:13; Matteo 10:24-25, ed in un certo senso, come aventi un mandato da lui, ed obbligati ad osservare i suoi comandamenti, continueranno sempre ad esser tali; ma il Signore ora dichiara che, sotto un altro aspetto, in quanto cioè egli aveva messo in essi ogni fiducia ed amore, dovevansi considerare come sollevati ad un rango superiore: cessavano di esser servi, per divenire amici.
perciocché il servo non sa ciò che fa il suo signore; ma io vi ho chiamati amici, perciocché vi ho fatte assapere tutte le cose che ho udite dal Padre mio.
La differenza fra il rango di servi, da essi fino a quel momento occupato, e quello di amici, al quale venivano ora promossi, consiste in questo: che laddove i servi nulla sanno dei progetti e dei motivi del padrone, ma semplicemente ricevono ed eseguiscono gli ordini suoi come avevano fatto essi medesimi fino a quell'ora agli amici invece si concede fiducia; si ammettono a conoscere i disegni, non meno che a cooperare alla loro esecuzione; e questo fu per l'appunto il privilegio accordato agli apostoli, quando il Signore tornò in cielo, e di là mandò su di loro lo Spirito Santo. L'ultima parte di questo versetto significa adunque: "Vi ho ammessi in una comunione libera e senza limiti; non occultandovi nulla di quanto mi era stato dato per comunicarvelo, o di quanto voi siete capaci di sopportare".
PASSI PARALLELI
Giovanni 15:20; 12:26; 13:16; 20:17; Galati 4:6; Filemone 16; Giacomo 1:1; 2Pietro 1:1; Giuda 1
Apocalisse 1:1
Giacomo 2:23
Giovanni 4:19; 17:6-8,26; Genesi 18:17-19; 2Re 6:8-12; Salmi 25:14; Amos 3:7; Matteo 13:11
Luca 10:23; Atti 20:27; Romani 16:25-26; 1Corinzi 2:9-12; Efesini 1:9; 3:5; Colossesi 1:26
1Pietro 1:11
16 16. Voi non avete eletto me, ma io ho eletti voi;
Non è molto chiaro il nesso di questo versetto col precedente. Secondo Alford sarebbe che Cristo mentova come una prova di più dell'amor suo il fatto di averli eletti, e con questo avvalora il comandamento loro imposto di amare gli uni gli altri. Secondo Hengstenberg, Gesù ricorderebbe di averli eletti lui stesso, per provare il suo diritto di dettare le condizioni del loro apostolato. Westcott crede che la stabilità dell'amicizia fra il Signore e i suoi discepoli venga resa più sicura dal fatto che essa trae la sua origine dalla sua scelta di essi. Webster e Wilkinson vedono in questo versetto un ammonimento ai discepoli di non considerare la loro ubbidienza quali discepoli, come l'origine dell'amor suo per essi, o della loro partecipazione nell'opera sua. Brown vede in queste parole un salutare ammonimento a non inorgoglirsi, dopo le altissime cose che Gesù aveva loro annunziate. Ciascuna di quelle supposizioni offre un nesso più o meno appropriato con quanto precede. Ma, tenendo in mente che Cristo aggiunge qui l'amor fraterno, fra i discepoli, queste parole ci sembrano contenere piuttosto l'avviso di non considerarsi come i loro propri padroni, come se essi avessero eletto, Cristo, e fossero per conseguenza liberi di vivere in armonia coi loro fratelli, o in modo indipendente da loro: "Ricordatevi, che lungi dall'aver voi eletto me, io ho eletti voi, e perciò vi comando di amarvi gli uni gli altri". La parola "eletto" è quella di cui fa uso la Scrittura per indicare la predestinazione eterna, e può darsi che il Signore avesse in vista anche questa verità dicendo: "Io ho eletti voi". Però egli parla specialmente qui della scelta che aveva fatta di essi come suoi discepoli, destinati ad esser più tardi i testimoni dinanzi al mondo intero di quanto egli aveva operato e detto, durante il suo ministerio terreno. Le parole che vengono immediatamente dopo confermano questo modo di vedere, imperocché subito dopo ricordata la loro elezione come discepoli, Gesù ricorda pure di averli costituiti apostoli, per andare e testimoniare di lui a tutti gli uomini Matteo 28:19-20, "ho costituiti", include l'averli arricchiti di luce e di potenza spirituale sì da abilitarli ad esercitare il loro apostolato, Vedi Giovanni 20:22.
acciocché andiate,
Queste parole indicano una separazione dalla presenza corporea del loro Maestro, di colui che aveva guidato tutte le loro opere fino a quel momento. Dovevano ora andar fuori nel mondo, al posto suo.
e portiate frutto, e il vostro frutto sia permanente;
Questo portar frutto era la grande opera della loro vita, ed essi dovevan vegliare a che fosse frutto buono; non frutto ingannevole, perituro, bello esternamente come i pomi di Sodoma, e corrotto di dentro; bensì frutto piacevole, sano, permanente, atto a dar gloria a Dio 1Corinzi 3:12,14. In che consiste questo frutto? Primieramente nel predicar Cristo crocifisso per la salvezza dei peccatori, nello spargere l'Evangelo nel mondo, e nel raccogliere la messe delle anime per Cristo. Speciali benedizioni vengono promesse a quelli che portano di tali frutti Daniele 12:3; Giacomo 5:19,20. Ma ciò non è tutto. Oltre ai frutti esterni dell'attività cristiana, è chiaro che si tratta qui pure della pietà personale, attiva e caritatevole, per la quale i redenti di Gesù, come Abele, anche "dopo esser morti, parlano ancora" Ebrei 11:4; della perseveranza in tutte quante le opere dello Spirito, e specialmente in quel frutto prezioso che si chiama l'amor fraterno, e che Giovanni 15:17 ci mostra essere il soggetto speciale di Gesù in questo luogo.
acciocché qualunque, cosa chiederete al Padre nel mio nome, egli ve la dia.
"Questa clausola", dice Westcott, "in un senso è subordinata alla precedente, e nell'altro è coordinata ad essa. Dalla fruttifera ubbidienza nasce la consumazione della fede, e dall'altra parte quella ubbidienza coincide coll'esaudimento della preghiera". In Giovanni 15:7, Cristo aveva detto che le preghiere loro, fatte mentre perseveravano nella sua parola, verrebbero esaudite; qui dice di averli scelti e costituiti appunto affinché domandino e ricevano. Egli è per mezzo di preghiere esaudite che essi porteranno i frutti che Gesù aspetta da loro. Epperciò quanto domanderanno nel suo nome per il suo servizio e per la sua gloria, verrà loro certamente concesso.
PASSI PARALLELI
Giovanni 15:19; 6:70; 13:18; Luca 6:13; Atti 1:24; 9:15; 10:41; 22:14; Romani 9:11-16,21
1Giovanni 4:10,19
Giovanni 20:21-23; 21:15-17; Isaia 49:1-3; Geremia 1:5-7; Matteo 28:18-19; Marco 16:15-16
Luca 24:47-49; Atti 1:8; Romani 1:5; 15:15-16; 1Corinzi 9:16-18; Galati 1:15
Efesini 2:10; Colossesi 1:23; 1Timoteo 2:7; 2Timoteo 1:11; 2:2; Tito 1:5
Giovanni 15:8; Proverbi 11:30; Isaia 27:6; 55:10-13; Michea 5:7; Romani 1:13; 15:16-19
1Corinzi 3:6-7; Colossesi 1:6; Giacomo 3:18
Genesi 18:18; Salmi 71:18; 78:4-6; 145:4; Zaccaria 1:4-6; Atti 20:25-28; Romani 15:4
1Corinzi 10:11; 2Timoteo 3:15-17; Ebrei 11:4; 1Pietro 1:14-21; 3:2,15
Giovanni 15:7; 14:13-14; 16:23-24; Matteo 21:22
17 17. Io vi comando queste cose, acciocché vi amiate gli uni gli altri.
Queste parole, ripetute da Giovanni 15:12, riassumono tutto il sin qui detto dell'amore che i discepoli di Gesù devono nutrire gli uni per gli altri, ed introducono un nuovo argomento che rende più stringente che mai l'osservanza di un tal comandamento. Di fronte alla mortale opposizione del mondo, essi avranno bisogno di tutta la forza derivante dall'amore fraterno, e tal mutuo amore "in quanto almeno si appartiene a mezzi umani" è precisamente l'armatura colla quale meglio resisteranno all'odio del mondo.
PASSI PARALLELI
Giovanni 15:12; 1Pietro 2:17; 1Giovanni 3:14-17
Giovanni 15:18-25
18
18. Se il mondo vi odia, sappiate ch'egli mi ha odiato prima di voi.
La forma ipotetica di queste parole non significa già che l'odio del mondo pei discepoli di Gesù sia cosa problematica ed incerta; ma ha per scopo di fissare la loro attenzione sopra uno stato di cose di cui non avevano avuto esperienza alcuna, mentre erano sotto la cura protettrice del loro Maestro. Allorquando l'odio del mondo si volgerà appieno verso di loro, Gesù li esorta a non essere sorpresi e scorati "come se loro avvenisse cosa strana" 1Pietro 4:12; bensì a ricordarsi che il loro Maestro era passato per la persecuzione, prima di essi, ed era stato più di loro, "prima di voi" può intendersi del rango non meno che del tempo Giovanni 1:15,30, oggetto dell'odio del mondo. Poco prima aveva loro detto: "Il principe di questo mondo non ha nulla in me Giovanni 14:30. In conseguenza di ciò, Satana lo odiava, ed aveva acceso pure gli uomini di questo mondo dell'odio suo contro il Principe della gloria. Ora comanda loro, "sappiate è un imperativo", di ricordarsi, quando cadrà su di essi l'odio del mondo, che non calcano una via sconosciuta. Il culmine dell'odio del mondo verso Gesù fu raggiunto quando gli uomini lo inchiodarono in sulla croce; ma durante tutto il corso del suo ministerio, il mondo, rappresentato dalla nazione Giudaica, gli si era sempre dimostrato più o meno ostile. I ricchi, i dotti, gli uomini altolocati non meno che il volgo, avevano ripetutamente cospirato contro di lui, senza però riuscire, mai ad arrestarlo nella sua carriera. Si ricordino i discepoli che un tale odio non era dovuto a nessuna colpa da essi commessa, ma che "basta al discepolo di essere come il suo Maestro, e al servitore di esser come il suo Signore" Matteo 10:25.
PASSI PARALLELI
Giovanni 15:23-25; 3:20; 7:7; 1Re 22:8; Isaia 49:7; 53:3; Zaccaria 11:8; Matteo 5:11; 10:22
Matteo 24:9; Marco 13:13; Luca 6:22; Ebrei 12:2; Giacomo 4:4; 1Giovanni 3:1,3,13
19 19. Se voi foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che sarebbe suo; ma, perciocché voi non siete del mondo, anzi io vi ho eletti dal mondo, perciò vi odia il mondo.
Il Signore dà qui ai discepoli un altro motivo di conforto, sotto il peso dell'odio del mondo: quell'odio è prova che essi non appartengono al mondo, ma son veri seguaci di Cristo. Il ragionamento di Gesù è il seguente: "il mondo, nel suo egoismo, ama ciò che s'assomiglia ad esso, e amerebbe voi pure, se solo il vostro ideale di religione e di moralità tosse simile al suo. L'odio del mondo adunque è sicura prova che siete miei discepoli". Altro punto degno di nota in questo versetto si è che Gesù attribuisce l'odio del mondo per i suoi al fatto che egli li ha "eletti dal mondo". Questo non può intendersi della mera separazione esterna degli undici per il loro apostolato, poiché Giuda era stato egli pure messo da parte in quel modo, e può riferirsi solo ad un'opera interna di Gesù, in loro, per la quale erano stati fatti del tutto diversi in carattere ed in ispirito dal mondo, epperciò erano divenuti gli oggetti dell'odio suo" (Brown). Appena entrati nella comunione di Cristo, divengono ipso facto antipatici al mondo, ed una prova così chiara della loro buona condizione dovrebbe essere per loro un incoraggiamento, anziché una sorgente di sorpresa e di perplessità.
PASSI PARALLELI
Luca 6:32; 1Giovanni 4:4-5
Giovanni 15:16; 17:14-16; Efesini 1:4-11; 2:2-5; Tito 3:3-7; 1Pietro 2:9-12; 4:3; 1Giovanni 3:12
1Giovanni 5:19-20; Apocalisse 12:9,17; 20:7-9
20 20. Ricordatevi delle parole che io vi ho dette: Che il servitore non è dappiù del suo Signore; se hanno perseguito me, perseguiranno ancor voi; se hanno osservate le mie parole, osserveranno ancora le vostre.
Gesù si servì spesso di questo detto proverbiale Giovanni 13:16; Matteo 10:24; Luca 6:40, e, coll'eccezione di Giovanni 13:16, nel qual caso lo applicò alla condotta dei discepoli, sempre nel medesimo senso che in questo passo, cioè riferendolo al trattamento che si dovevano aspettare dal mondo. Per questa ragione, benché le parole di Giovanni 13:16 fossero state pronunziate dacché si erano seduti a tavola, crediamo che col dir loro: "Ricordatevi delle parole che io, vi ho dette, "Gesù facesse allusione a quanto aveva loro annunziato la prima volta che li mandò a predicare. In breve, questo versetto significa che, accettasse o ricusasse il mondo la l'oro predicazione, essi altro non farebbero che dividere la sorte del loro Maestro. Essendo una stessa cosa con lui, avevano i medesimi suoi doveri, erano esposti alle medesime prove, e dev'essere riuscito molto incoraggiante per loro il parallelismo fra le loro parole e le sue. Il mondo li tratterebbe come avea trattato lui, come Gesù lo spiega col contrasto delle due parti di questo proverbio. Non v'è ragione alcuna per dare, come fa Bengel, ai verbi e il senso di spiare ostilmente, come se le due parti del proverbio esprimessero il medesimo senso ostile, invece di essere opposte l'una all'altra. Un tal senso non vien mai dato da Giovanni alla frase: "osservare la parola" che ricorre così frequentemente nel suo Vangelo, nella sua prima Epistola e nell'Apocalisse. Egli ne fa sempre il sinonimo di osservare i comandamenti, Confr. Giovanni 8:51-53; 9:16; 14:23-24; 17:6; 1Giovanni 2:3-5; 3:22,24; 5:2-3; Apocalisse 1:3; 2:26; 3:3. Tutti questi passi dimostrano che non è lecito prender questo "osservate" in senso ostile.
PASSI PARALLELI
Giovanni 5:16; 7:32; 8:59; 10:31; 11:57; 13:16; Matteo 10:24; Luca 2:34; 6:40
Atti 4:27-30; 7:52-60; 1Tessalonicesi 2:15
1Samuele 8:7; Isaia 53:1-3; Ezechiele 3:7
21 21. Ma vi faranno tutte queste cose per il mio nome; perciocché non conoscono colui che mi ha mandato.
In "tutte queste cose" è racchiuso quanto può venir prodotto dall'odio e dalla persecuzione. Si fu perché portavano il nome di Cristo, e lo amavano più della vita, che Giacomo, Pietro, Paolo e gli altri apostoli subirono il martirio, che i cristiani primitivi andarono soggetti a persecuzioni violenti e a morti sanguinose, e che tuttodì i seguaci di Cristo sono derisi e calunniati da coloro che non lo conoscono Atti 5:41; 2Corinzi 12:10; 2Timoteo 3:12. Ma in questo versetto Gesù dà ai suoi redenti perseguitati un motivo di più di perduranza, ed è che non soffrono solo con lui, ma pure per amor di lui, acquistando così gli onori che egli riserba a tali: "Ogni uomo che mi avrà riconosciuto davanti agli uomini, io altresì lo riconoscerò davanti al Padre mio, e davanti a agli angeli del cielo" Matteo 10:32; Luca 12:8. "Se moriamo con lui, con lui altresì regneremo" 2Timoteo 2:11-12. L'origine di quest'odio del mondo, "rappresentato dai Giudei", pei discepoli di Gesù, si trova nel fatto che gli uomini sono estranei di niente e di cuore al Padre che lo ha mandato. Non solo non riconobbero che Gesù era mandato da Dio, ma neppur conoscevano Iddio stesso, poiché era radicalmente erroneo il concetto che si facevano di lui. Non compresero, e tuttora ricusano di comprendere, che il suo carattere, la sua giustizia e la sua legge richiedevano che mandasse il Figlio suo a morire quaggiù. Il loro orgoglio si ribellava ad un piano di salvezza così umiliante per l'uomo, e ricusarono di crederlo, per quanto evidenti fossero le prove di esso. Da ciò il loro odio per Gesù e pei suoi seguaci. Il Signore vuole evidentemente che il cristiano perseguitato si conforti col pensiero che egli soffre per amore del suo Maestro. Egli sta "compiendo nella sua carne ciò che resta ancora a compiersi dell'afflizione di Cristo" Colossesi 1:24, "portando il vituperio di Cristo" Ebrei 13:13, e certamente "egli non perderà il suo premio" Matteo 10:42.
PASSI PARALLELI
Giovanni 16:3; Salmi 69:7; Isaia 66:5; Matteo 5:11; 10:18,22,39; 24:9; Luca 6:22; Atti 9:16
1Pietro 4:13
Giovanni 8:19,54; Atti 17:23; 28:25-27; Romani 1:28; 1Corinzi 2:8; 15:34; 2Corinzi 4:3-6
2Tessalonicesi 1:8; 1Giovanni 2:3-4
22 22. Se io non fossi venuto, e non avessi lor parlato, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa alcuna del lor peccato.
Da questo punto fino alla fine di Giovanni 15:25, il Signore si applica a dimostrare che quell'odio del mondo verso di lui non ha giustificazione né scusa alcuna. Col dire: "non avrebbero alcun peccato", il Signore non intende dire che fossero immuni da qualsiasi colpa all'infuori di quella della incredulità, o che gli uomini non fossero peccatori prima che egli venisse nel mondo; bensì che tutti gli altri peccati sono leggeri a paragone dell'odio verso di lui. Quel che rendeva inescusabile il loro peccato di odiarlo e di rigettarlo, erano la sua venuta in carne, l'annunzio che egli aveva dato loro della verità divina in modo così chiaro, che avrebbero dovuto rimanerne convinti, se pure avessero voluto ascoltarlo, e le prove che egli aveva fornite loro della sua missione divina. Senza queste sue rivelazioni di sé medesimo, il peccato loro sarebbe appartenuto a quei "tempi dell'ignoranza", che Dio aveva "dissimulati" Atti 17:30. Sarebbe stata la colpa negativa di chi non sa; ora è la trasgressione positiva di chi, pur conoscendo la verità, ostinatamente ricusa di riceverla; è colpa inescusabile che merita la sorte tremenda di quelli che deliberatamente rigettano Cristo.
PASSI PARALLELI
Giovanni 3:18-21; 9:41; 12:48; 19:11; Ezechiele 2:5; 33:31-33; Luca 12:46; Atti 17:30
2Corinzi 2:14-16; Ebrei 6:4-8; Giacomo 4:17
Romani 1:20; 2:1; 1Pietro 2:16
23 23. Chi odia me odia eziandio il Padre mio.
Per comprendere appieno questo versetto, dobbiamo confrontarlo con Giovanni 5:23 e col 18 di questo Giovanni 15:18. Nel primo di quei due passi, è detto esser volere di Dio che "tutti onorino il Figliuolo, come onorano il Padre; chi non onora il Figliuolo, non onora il Padre che l'ha mandato". Nel secondo, Gesù dichiara che il mondo odia i suoi discepoli perché odia primieramente lui stesso, e, proseguendo lo sviluppo di questo pensiero, egli qui espone il risultato logico dell'odio del mondo verso di lui: quell'odio deve condurre necessariamente ad odiare anche il Padre suo. L'odio contro i discepoli è odio contro il Maestro che rappresentano; l'odio contro il Figlio è odio contro il Padre che egli rappresenta. La reità del peccato raggiunge quì il suo limite estremo. "Dio è amore", e il cuore che può odiare l'amore è senza dubbio indurito a segno di essere in procinto di commettere il peccato irremissibile.
PASSI PARALLELI
Giovanni 8:40-42; 1Giovanni 2:23; 2Giovanni 9
24 24. Se io non avessi fatte tra loro opere quali niuno altro ha fatte, non avrebbero alcun peccato; ma ora essi le hanno vedute, ed hanno odiato me e il Padre mio.
In Giovanni 15:22, Gesù aveva dimostrato infondato l'odio dei suoi nemici, fondandosi sull'essere egli venuto ed aver loro rivelato i disegni misericordiosi del suo Padre Celeste; quindi aggiunge un'altra aggravante, che cioè egli aveva compiuto sotto gli occhi loro miracoli più grandi e più meravigliosi che nessuno avesse fatti mai, eppure essi perseveravano nella loro incredulità. Alla grande prova fornita dai suoi miracoli rispondevano che egli era posseduto dal demonio, e "cacciava i demoni, per Beelzebub, principe dei demoni" Matteo 12:24. Quindi, come già aveva dichiarato in Giovanni 15:22, dichiara qui pure che gli altri loro peccati erano leggeri a paragone di questo, perché ricusare di riceverlo, dopo essere stati obbligati di riconoscere Giovanni 11:47, che i suoi erano veri miracoli, e che per conseguenza egli doveva esser mandato da Dio, era un peccar deliberatamente contro una verità di cui erano convinti. Le opere di Gesù erano evidentemente le opere del Padre in lui, epperciò chiunque, dopo esserne stato testimone, continuava ad essergli ostile, odiava pure il Padre, ed era meritevole di condanna.
PASSI PARALLELI
Giovanni 3:2; 5:36; 7:31; 9:32; 10:32,37; 11:47-50; 12:10,37-40; Matteo 9:33; 11:5
Matteo 11:20-24; Marco 2:12; Luca 10:12-16; 19:37-40; 24:19; Atti 2:22; 10:38
Ebrei 2:3-4
Giovanni 6:36; 12:45; 14:9; Matteo 21:32
Esodo 20:5; Deuteronomio 5:9; Salmi 81:15; Proverbi 8:36; Romani 1:30; 8:7-8; 2Timoteo 3:4; Giacomo 4:4
25 25. Ma questo è acciocché si adempia la parola scritta nella loro legge:
Le scritture dell'Antico Testamento avevano tre nomi diversi, secondo i volumi nei quali erano raggruppate per il servizio della Sinagoga: la Legge, i Profeti e i Salmi Luca 24:44, ma qui come in Giovanni 10:34, il Signore applica il termine "Legge" all'Antico Testamento tutto intiero. L'odio dei Giudei, dice qui Gesù, ben lungi dall'esser casuale e non premeditato, già erasi manifestato contro Davide, ed era stato da lui predetto Salmi 35:19; 69:4, come il trattamento che il "Figliuolo di Davide e Signore di Davide" riceverebbe dai malvagi; sicché in ciò pure si adempiva la profezia. Il pronome "loro", prefisso a "legge", è un'allusione al vanto dei Giudei perché gli oracoli di Dio "erano stati loro affidati, e al rispetto esterno, al preteso loro affetto per essi. Quella descrizione di loro non era contenuta in qualche libro misterioso e raro, bensì trovavasi nelle loro proprie scritture, in quel libro che veniva letto ogni sabato nelle loro sinagoghe, e che i loro scribi investigavano del continuo.
Mi hanno odiato senza cagione.
Le parole "senza cagione" esprimono il senso dell'ebraico in Salmi 69:4, da cui probabilmente vien presa questa citazione. Il greco segue la versione dei Settanta, che dice piuttosto: inutilmente, invano. Questa però non è l'idea del contesto. In tutto questo passo, Gesù vuol dire che l'odio dei Giudei verso di lui non aveva ragione alcuna, e scaturiva liberamente dai loro propri cuori malvagi, mostrando così quanto fosse profonda l'umana pravità.
PASSI PARALLELI
Giovanni 10:34; 19:36; Luca 24:44; Romani 3:19
Salmi 7:4; 35:19; 69:4; 109:3
Matteo 10:8; Romani 3:24; 2Corinzi 11:7; Galati 2:21; 2Tessalonicesi 3:8; Apocalisse 21:6; 22:17
26
26. Ma, quando sarà venuto il Consolatore, il quale io vi manderò dal Padre, che è lo Spirito della verità, il qual procede dal Padre mio,
All'odio del mondo, Gesù contrappone ora la testimonianza del Paracleto e degli apostoli, testimonianza che darà prove novelle del divino suo carattere e della sua missione. Dall'una parte l'odio del mondo non cesserà finché duri la testimonianza dello Spirito, e dall'altra lo Spirito di verità continuerà fino alla fine a vincere l'odio del mondo. Egli è chiamato "lo Spirito della verità", non solo perché la verità è attributo essenziale di Dio, ma specialmente perché doveva rivelare, interpretare e rendere efficace la verità. "Il genitivo non indica una mera caratteristica dello Spirito, ma la materia che egli doveva trattare" (Westcott). La personalità distinta del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e la identità di natura di quelle tre persone ci vengono nuovamente e chiaramente presentate in questo versetto, Confr. Giovanni 14:16-17,26; 16:7-13. Del Paracleto Gesù dice qui due cose:
1. "il quale io vi manderò dal Padre; "
2. "il quale procede dal Padre mio",
e da queste nacque la celebre discussione se lo Spirito proceda eternamente dal Padre solo, oppure dal Padre e dal Figlio, discussione che originò lo scisma tuttora esistente fra la Chiesa di Oriente e quella di Occidente. Dapprima la Chiesa antica tutta intera considerava le parole: "egli procede dal Padre, "come includenti pure la processione dal Figlio. Più tardi la Chiesa Greca le interpretò come significanti che, nelle eterne relazioni della divinità, lo Spirito procede dal Padre, mediante il Figlio, e cercò di far prevalere questa dottrina; ma la Chiesa Latina e le Chiese Occidentali mantennero che lo Spirito procede ugualmente dal Padre e dal Figlio, e fecero introdurre nel Simbolo Niceno la famosa parola filioque, "e dal Figlio". Se l'eterna processione dello Spirito deve basarsi unicamente su queste parole di Cristo, saremmo propensi ad ammettere la interpretazione della Chiesa Greca, ma paragonandole con Giovanni 16:15, e con Romani 8:9; Galati 4:6; Filippesi 1:19; 1Pietro 1:11 dove lo Spirito Santo è chiamato "lo Spirito di Cristo", come altrove è detto "lo Spirito di Dio", ci sembrano che vi sieno prove sufficienti per ritener come ortodossa, la dottrina secondo la quale lo Spirito procede dal Figlio come dal Padre. Ma non pochi critici moderni sostengono che le parole di Gesù in questo vers. non si riferiscono alla persona o all'essenza del Santo Spirito, bensì al suo ufficio ed alla sua opera, e se hanno ragione, come siam disposti a credere, quella grande controversia teologica nulla ha che vedere con questo versetto. A sostegno di tale opinione, Westcott osserva che altra è la preposizione che indica l'origine, altra quella che indica una missione. Per la prima si usa "lat. ex, fuori di"; per la seconda sta invariabilmente "lat. a, da". Così della missione di Cristo leggiamo Giovanni 16:27; 17:8, "io son proceduto da Dio". Or siccome nel vers. che ci occupa troviamo due volte la preposizione è evidente che qui si tratta della missione temporanea, non della origine eterna dello Spirito. Brown dichiara molto dubbio che si tratti qui di altro che dell'aspetto storico della missione che lo Spirito ebbe dal Padre, per mezzo del Figlio. Accettando questa come la vera esposizione i questo vers., le parole, "il qual procede dal Padre mio", ci paiono, come a Milligan, dette da Gesù per accertare i discepoli che, come egli era proceduto dal Padre, così procederà pure dal Padre colui che deve prendere il posto suo presso a loro.
esso testimonierà di me.
Lo Spirito testimonia in ogni tempo di Cristo, convertendo le anime, ed aggiungendo giornalmente alla Chiesa i salvati; ma il Signore parla qui specialmente degli effetti gloriosi della effusione dello Spirito alla Pentecoste, dell'influenza irresistibile ottenuta in pochi giorni dal Vangelo in Gerusalemme, a dispetto della opposizione collegata dei Farisei e dei Sadducei.
PASSI PARALLELI
Giovanni 14:16-17,26; 16:7,13-14; Luca 24:49; Atti 2:33
Giovanni 8:42; Apocalisse 22:1
Giovanni 16:14-15; Atti 2:32-33; 5:32; 15:8; 1Corinzi 1:6; Ebrei 2:4; 1Giovanni 5:6-10
27 27. E voi ancora ne testimonierete, conciossiaché dal principio siate meco.
Secondo Deuteronomio 19:15, occorrevano due testimoni per stabilire legalmente un fatto; perciò allo Spirito mentovato nel vers. precedente, il Signore aggiunge qui gli apostoli, per completar quella testimonianza, che niente al mondo può invalidare. Accanto allo Spirito, gli apostoli hanno la parte loro speciale nella testimonianza da rendersi a Cristo; essi posseggono soli la conoscenza. storica del ministerio di Cristo dal suo principio alla sua chiusa. Da un lato parlano mossi dallo Spirito che li riempie; dall'altro parlano per la loro propria esperienza di Cristo: "testificano quello che hanno veduto ed udito" 1Giovanni 1:1. E questa testimonianza erano abilitati a renderla per essere stati fatti discepoli di Cristo fin dal principio del suo ministerio. In Atti 1:21-22, trattandosi di eleggere un successore a Cristo, vien data una importanza speciale a questa, indispensabile qualificazione per l'apostolato, che cioè la scelta deve cadere sopra uno che fosse stato nella loro compagnia in tutto il tempo che il Signor Gesù è venuto fra noi; cominciando dal battesimo di Giovanni, fino "ch'egli fu accolto in alto". Da ciò segue mente che l'ufficio apostolico non doveva essere permanente nella Chiesa, poiché la qualifica indispensabile per esercitarlo cessò colla morte dell'ultimo della piccola comitiva, e che la tanto vantata "successione apostolica" della Chiesa romana, e di quella parte della Chiesa anglicana che propende al romanesimo, è mera illusione. "Gesù mette al presente i due verbi di questo versetto, 'testimoniate' 'siete', per indicare che la preparazione degli apostoli, cioè l'osservanza di quanto egli aveva operato quaggiù, essendo ora compiuta, essi costituivano già virtualmente per il suo nome, una schiera di testimoni eletti" (Brown).
PASSI PARALLELI
Giovanni 21:24; Luca 24:48; Atti 1:8,21-22; 3:15; 4:20,33; 10:39-42; 13:31
Atti 18:5; 23:11; 1Pietro 5:1,12; 2Pietro 1:16-18; Apocalisse 1:2,9
Marco 1:1; Luca 1:2-3; 1Giovanni 1:1-2
RIFLESSIONI
1. In questo capitolo, il Signore istruisce i suoi discepoli di ogni tempo intorno a tre cose:
a) I loro rapporti con lui: devono dimorare stretta mente uniti a lui, come i tralci alla vite.
b) I loro rapporti gli uni cogli altri devono amarsi di amor profondo e sempre pronto al sacrificio di sé, come li aveva amati il Maestro.
c) I loro rapporti col mondo: da questo non devono aspettarsi che odio, né possono meravigliarsene; ma non lo devono temere, anzi devono esser preparati a sopportarlo con pazienza.
2. I rapporti della Chiesa col suo capo ci sono spiegati mediante un'allegoria. La, similitudine di una vigna, rappresentante la Chiesa, e piantata da Dio, si trova spesso nell'Antico Testamento Salmi 80:8-19; Isaia 5:1-7; Geremia 2:21; Ezechiele 19:10; ma qui Gesù dichiara di essere egli stesso la vite, cioè la radice e il fusto, di cui la Chiesa, ossia i redenti, sono i tralci. Il nesso fra la vite e i rami è il più intimo che si possa immaginare. La medesima vita anima entrambi; la vita dei tralci dipende da quella della vite, e questo ci fornisce la consolante verità che la Chiesa è sicura in Cristo, poiché quanto essa richiede, egli lo compie mediante la sua vita, e la sua forza, nelle quali essa deve dimorare. La vita cristiana ci è qui messa innanzi nei suoi principi nascosti e nei chiarissimi suoi doveri.
3. Quelli che fanno professione di religione e dicono di appartenere a Cristo non gli appartengono tutti nel medesimo modo. Moltissimi cristiani di nome sono uniti a Cristo, in modo puramente, esterno e visibile e sono rami inutili e sterili, da tagliarsi e gettarsi nel fuoco. Ma quelli la cui professione di religione corrisponde alla realtà, sono in Cristo per fede avendo comunione interna e spirituale colla sua persona, e lo provano, portando del continuo, frutti a gloria di Dio.
4. In Malachia 3:3, il Signore è rappresentato "struggendo e purgando l'argento"; Cristo ci presenta qui suo Padre Sotto immagine di un vignaiolo che pota i tralci, acciocché portino molto frutto. I rami fruttiferi sono spesso imperfetti, in quanto che producono troppo fogliame, che ne impoverisce il prodotto; e quando così accade nei credenti, il Signore li rimonda mediante le prove. Colle prove, egli li divezza dal mondo, li attira alla Bibbia ed alla preghiera, rivela loro il proprio cuore, li fa umili, e così li rende atti a portar frutti maggiori. Non dimentichiamo l'insegnamento di questo passo, e non mormoriamo sotto la prova. Iddio "ci castiga per utile nostro, acciocché siamo partecipi della sua santità" Ebrei 12:10.
5. dicendo "Se voi dimorate in me, e le mie parole dimorano in voi" Giovanni 15:7, il Signore ebbe senza dubbio in vista la conservazione per iscritto della sua Parola, e volle che, oltre alla verità generale contenuta nel suo insegnamento, la forma recisa nella quale quell'insegnamento verrebbe fissato, fosse considerata ed amata dal popolo suo come prezioso tesoro. Indi l'importanza della promessa: lo Spirito "vi rammemorerà tutte le cose che io vi ho dette" Giovanni 14:26. "Indi il pericolo di quelle vedute incerte riguardo alla ispirazione, che tenderebbero a mettere in dubbio la forma delle parole di Cristo, quali sono contenute nell'Evangelo, per attenersi a quello che si chiama lo spirito o il senso generale delle medesime, quasiché anche di questo si potesse esser certi, una volta che la forma precisa in cui fu espresso vien considerata come incerta" (Brown).
6. Benché ne avesse parlato già più sopra, il Signore ritorna in Giovanni 15:12 sul soggetto dell'amor fraterno, e ne fa una solenne ingiunzione, obbligatoria per la coscienza dei cristiani: "Quest'è il mio comandamento". Di più, ci presenta come modello l'amor suo per noi. Quanto di questo amore trovasi fra i cristiani? Fino a che punto li caratterizza egli? È forse dall'amore reciproco che li riconosce il mondo? Oimè! si guardi alle Chiese o agli individui, è giocoforza confessare che le manifestazioni evidenti di un tal sentimento sono l'eccezione anziché la regola: E se applichiamo a questo dovere tanto trascurato, le parole del Signore al ver. 10: "Se voi osservate i miei comandamenti, voi dimorerete nel mio amore", sapremo da dove proviene gran parte della nostra incertezza d'essere accettati in Cristo o no.
7. "Vivere conformemente ad un mondo che giace nel maligno è sicuro indizio che c'è nella religione di un tal uomo qualcosa di radicalmente erroneo. Non appena il cristiano scorge il peccato ed il pericolo di una vita carnale, egli l'abbandona. Non solo sente di dovere ubbidire al comandamento: 'Dipartitevi, uscite di là, non toccate cosa alcuna immonda' Isaia 52:11; ma sente che colle nuove sue credenze, egli non può mantenersi in comunione col mondo, più che nol possano la luce colle tenebre, Cristo con Belial. Perciò egli non cammina più nella via larga che conduce alla perdizione, ma nella via stretta che conduce alla vita. Ciò reca grave offesa al mondo, perché, abbandonando le sue vanità, il cristiano dichiara in pericolo quelli che in esse perseverano, come Noè condannò i peccatori del suo tempo, col costruire l'arca, e Lot denunziò l'iniquità di Sodoma col fuggirsene da essa. Da ciò nasce l'odio del mondo pei discepoli di Cristo. Ma il Signore ci accerta che quella opposizione e quell'odio, i suoi discepoli li incontrano per amore del loro Maestro; e sono invero una prova che essi gli sono discepoli. Perciò li esorta ad esser pazienti e di buon cuore, imperocché egli l'ha vinto il mondo".
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