Tito 3
PARTE TERZA

ISTRUZIONI RELATIVE AI DOVERI DEI CRISTIANI VERSO GLI UOMINI IN GENERE.


Tito 3:1-11

Dai doveri speciali delle varie categorie di cristiani, l'apostolo passa a quei doveri generali che Tito non dovrà tralasciare d'inculcare: doveri che incombono a tutti ugualmente e che i Cretesi sono più propensi a dimenticare. Possiamo distinguere qui tre brevi sezioni.
Sez. A. Tito 3:1-2. I doveri generali da ricordare.
Sez. B. Tito 3:3-7. I motivi d'essere mansueti verso i non cristiani.
Sez. C. Tito 3:8-11. I motivi per cui Tito deve attenersi nel suo insegnamento alle istruzioni impartitegli.

Sezione A. Tito 3:1-2. I DOVERI GENERALI DA RICORDARE.

Questi doveri possono ridirsi a tre; il dovere di ubbidire alle autorità; il dovere d'essere attivi nel bene; il dovere d'essere pacifici e miti verso tutti.

Tito 3:1. L'ubbidienza alle autorità
Ricorda loro di essere sottomessi ed ubbidienti ai principati, alle autorità;
Così il testo emendato che sopprime και (e) tra le due parole con cui è designato il potere civile. Il dovere verso l'autorità civile nei suoi varii gradi (cfr. Luca 12:11 ove abbiamo i due identici termini) e nella persona dei suoi diversi rappresentanti va ricordato semplicemente ai cristiani di Candia perchè non è cosa del tutto nuova per loro. Anche la morale pagana inculcava un siffatto obbligo dei cittadini, e chi aveva annunziato l'Evangelo in Creta l'aveva senza dubbio insegnato. Ma c'erano buone ragioni per ricordarlo del continuo. "I cretesi erano, a detta degli storici, una razza turbolenta, anzi un'accolta di razze turbolenti. Non stavano in pace tra loro e mal sopportavano il dominio straniero dei Romani stabilito nell'isola da meno di un secolo e mezzo. Prima d'esser soggiogati da Cecilio Metello, nel 67 A. C., erano stati avvezzi ad un governo democratico per cui doveva parer loro tanto più duro il giogo di Roma. Inoltre c'erano fra loro molti Giudei sempre propensi alla rivolta" (Plummer). Era poi sempre da temere che venisse da taluni confusa la libertà cristiana colla licenza e si stimasse non doveroso per un figlio di Dio di prestar ubbidienza agli ordini di un governatore o di un magistrato pagano. Perciò non solo ai Cretesi ma ai cristiani di ogni regione Paolo vuol ricordato o ricorda egli stesso il dovere della sottomissione alle autorità e dell'ubbidienza in cui si estrinseca la loto missione. Così 1Timoteo 2:12 raccomanda le preghiere per le autorità come cosa accetta a Dio; e in Romani 13 espone le basi di questo dovere cristiano: l'ordine nella società civile è cosa voluta da Dio, le autorità hanno per missione d'incoraggiare il bene e di punire il male; quindi, finchè non esorbitano dalle loro attribuzioni coll'invadere il campo della coscienza e col prescrivere cose contrarie al voler di Dio, è dovere di coscienza dei cristiani di prestar loro una onesta ubbidienza. È del pari interesse loro poichè per tal modo non daranno facile pretesto ai nemici di sollevare contro di loro la persecuzione o il malvolere delle autorità (cfr. 1Timoteo 2:2; 1Pietro 2:13-17). Se Paolo non entra qui in particolari come Romani 13, si è perchè Tito non ne aveva bisogno.

La prontezza al bene
di essere pronti ad ogni buona opera.
Non è necessario collegare questo dovere coll'ubbidienza alle autorità, poichè così lo si restringe anzichè lasciargli l'ampiezza ch'esso ha. I cristiani sono "creati in Cristo Gesù per le buone opere" Efesini 2:9 e devono essere un popolo "zelante per le buone opere" Efesini 2:15; è quindi loro dovere di mostrarsi disposti sempre a intraprendere, a compiere, ad assecondare, ad aiutare ogni sorta di opere buone, nella misura delle loro forze e delle loro capacità. Il regno del loro Signore non sarà stabilito che col trionfo del bene sul male e la vita è breve e bisogna afferrare le opportunità che si offrono Efesini 5:16 di far del bene alle anime ed ai corpi dei nostri simili.

Tito 3:2. Mitezza verso tutti
di non dir male d'alcuno, d'essere alieni dalle contese.
La mitezza che Paolo raccomanda verso tutti gli nomini era virtù opposta alle inclinazioni ed alle abitudini dei Cretesi i quali andavano famosi per il loro carattere battagliero, violento ed anche crudele. Era quindi tanto più necessario che Tito insistesse su quel punto. Le quattro raccomandazioni del v. 2 possono considerarsi come quattro aspetti della mitezza evangelica. Anzitutto ella caccia via la maldicenza ch'è frutto di superbia, e di malevolenza verso il prossimo, mentre l'umiltà ricorda che non abbiamo nulla che non sia dono di Dio e "la carità è longanime, benigna.., non pensa a male, ton si rallegra dell'ingiustizia, ma si compiace della verità" 1Corinzi 13:4-7. I Cretesi potevano essere tanto più proclivi alla maldicenza ch'erano usi a dir bugie senza farne caso. La mitezza è altresì aliena dalle contese o dal battagliare, portata alla pace, mentre i Cretesi vivevano in continue contese, anche cruenti.
arrendevoli,
cioè disposti a cedere, a soffrir qualche torto o danno anzichè ad accender liti e contese per mantenere in tutto e per tutto il proprio diritto o il proprio modo di vedere,
mostrando una perfetta mansuetudine verso tutti gli uomini
Lett. ogni mansuetudine cioè una mansuetudine intera in ogni circostanza. E ciò verso tutti, credenti e non credenti, amici ed avversarii, ed anche verso i nemici ed i persecutori. Gesù proclama "beati i mansueti" ed egli stesso era "mansueto ed umile di cuore". La mansuetudine va congiunta nelle Lettere apostoliche con l'umiltà, con la longanimità, colla pazienza, coll'arrendevolezza Efesini 4:2; Colossesi 3:12; 1Timoteo 6:11; 2Corinzi 10:1.

Sezione B. Tito 3:3-7. I MOTIVI AD ESSERE MANSUETI.

I motivi della mansuetudine ai cui devono i cristiani dar prova verso tutti, si riducono qui a due: I cristiani sono vissuti anch'essi in quello stato morale in cui stanno tuttora i non credenti - e se ne sono usciti per diventare figli ed eredi di Dio, ciò non è dovuto ad alcun merito loro ma unicamente alla misericordia di Dio che li ha salvati facendo di loro delle nuove creature.
Perchè eravamo una volta anche noi insensati, disubbidienti, traviati.
Il ricordo dello stato in cui erano anch'essi prima della loro conversione, stato non diverso da quello in cui si trovano i loro connazionali pagani o giudei, era atto ad abbattere la superbia che avesse potuto nascere dalla loro presente superiorità e ad ispirar loro sentimenti di mansuetudine. Paolo ricorda spesso a propria umiliazione la condotta di Saulo, ed una infermità fisica lasciatagli da Dio aveva per iscopo di ricondurlo di tanto in tanto sulla via di Damasco. Erano stati anch'essi, come lo sono tuttora i pagani, insensati cioè senza intendimento spirituale, senza rette nozioni della natura e della volontà di Dio e ciò perchè la loro mente era oscurata dal peccato. Potevano esser intelligenti in molte cose ma nelle cose religiose e morali erano divenuti stolti ed aveano adorata e servita la creatura invece del Creatore. (cfr. Romani 1:18 e segg.; Efesini 4:17...). Erano disubbidienti o ribelli, non agli uomini soltanto, od ai genitori, od alle autorità, ma a Dio ed alla voce di lui parlante nella legge o nella lor coscienza. La Vulgata seguita da Martini traduce erroneamente "increduli". Erano traviati od erranti, poichè intellettualmente vivevano in errori grossolani di cui ora stupiscono e moralmente camminavano fuori della retta via in ogni sorta di peccati. Una parte degli interpreti spiega: "indotti in errore, sedotti" come 2Timoteo 3:13. Cfr. però lo stesso partic. med. Matteo 18:12-13; Ebrei 11:38; 1Pietro 2:25. Delle sette note caratteristiche che l'apostolo ci da della vita dell'uomo estraneo alla grazia, le tre prime, ora esaminate, si riferiscono particolarmente ai doveri verso Dio, la quarta ai doveri verso noi medesimi, e le tre ultime alle relazioni col prossimo - talchè ritroviamo qui i tre aspetti della vita morale notati in Tito 2:12.
schiavi di concupiscenze e di voluttà diverse
Lett. servendo da schiavi a... È questo l'opposto del vivere "temperatamente" come chi tiene a freno le proprie passioni. "Chi fa il peccato è schiavo del peccato" disse Gesù, poichè "uno è ridotto schiavo di ciò da cui è vinto" 2Pietro 2:19. Le concupiscenze possono intendersi in senso generale, ma l'aggiunta di voluttà o piaceri, mostra che si tratta più che altro di concupiscenze carnali. La sensualità, anche nelle sue forme più degenerate, era la cancrena della società pagana come attestano numerosi passi delle lettere di Paolo.
menando la vita nella malignità e nell'invidia, odiosi e odiandoci gli uni gli altri.
Più ancora che della giustizia è questa vita l'opposto della carità dovuta al prossimo. Chi è servo delle proprie cupidigie non può avere amore per i suoi simili. La malignità divisa e cerca il male del prossimo, l'invidia non sa darsi pace del bene altrui. Con tali sentimenti e con tale condotta si è presto antipatici, esosi, oggetto di abbominio per gli altri, e l'odio vicendevole prende il posto ch'era destinato all'amore.
"Nel tracciare quel cupo quadro della vita morale degli uomini tuttora estranei all'azione di Dio sulla loro coscienza, Paolo non esita ad usare il noi. Egli sa, infatti, per propria esperienza, che fintanto che il peccato regna da padrone sul nostro cuore, non c'è manifestazione della umana corruzione di cui possiamo crederci incapaci. Se alcuno trova esagerate le parole dell'apostolo vuol dire che non conosce il proprio cuore o che le apprezza secondo i principii della morale rilassata del mondo anzichè alla luce della legge spirituale e santa di Dio" (L. Bonnet).

Ma quando è stata manifestata la benignità di Dio nostro salvatore ed il suo affetto per gli uomini.
Dallo stato di tenebre e di corruzione dianzi descritto i cristiani cretesi sono ora usciti; ma ciò non è merito loro, anzi è dovuto alla bontà ed alla misericordia di Dio che li ha salvati. Per cui, non hanno motivo di mostrarsi superbi e sprezzanti verso chi trovasi tuttora in quel triste stato, anzi devono colla loro mitezza aiutarli ad uscirne. Tito 3:5-8 hanno per iscopo di mettere in piena luce l'opera della grazia nella salvazione dell'uomo. La causa prima della salvezza è in Dio: nella sua benignità, nel suo affetto per gli uomini, nella sua misericordia, nella sua grazia e non già nelle opere giuste fatte da noi. Il Mediatore per mezzo del quale la grazia scende a noi è Gesù Cristo che ha dato sè stesso per noi onde rendere possibile la nostra giustificazione; e l'agente che ci applica individualmente i benefizii della grazia è lo Spirito santo che rigenera e rinnova i cuori, che ci prepara per l'eterna eredità. Le due parole di cui si serve Paolo in Tito 3:4 per caratterizzare la bontà di Dio sono profondamente umane. La benignità è l'opposto della durezza, dell'asprezza, dell'austerità; è virtù "soave, dolce, blanda, tranquilla", come la definì Girolamo, fatta per il consorzio dei buoni, virtù gentile che attrae, ch'è portata a far del bene perchè sa mettersi al posto degli altri. In Dio non è esposta come negli uomini a degenerare in fiacchezza di fronte al male, a divenir cioè la negazione della santità. Il greco filantropia vale propriamente l'affetto per gli uomini, ed ha in sè un profumo di tenerezza che la parola ha perduto nell'uso odierno. Gli uomini sono creature di Dio, sono "progenie di Dio" e Gesù si è servito dell'affetto di un padre per il figlio traviato per far comprendere l'amor di Dio per i peccatori. Senza dubbio la bontà di Dio verso gli uomini non si è manifestata per la prima volta colla venuta di Cristo. Gli uomini pii dall'antico patto hanno provato e celebrato la "benignità di Dio che dura in eterno". Ma sta in fatto che la suprema manifestazione storica di essa è stata il dono dell'Unigenito Figliuol di Dio Giovanni 3:16; Romani 5:5-10. Quando l'amor di Dio in Cristo è stato fatto conoscere ai Cretesi ed è divenuto per loro un fatto di esperienza, allora sono stati salvati dallo stato di peccato in cui erano vissuti.

non in virtù di opere giuste che avessimo fatte noi, ma secondo la sua misericordia - egli ci salvò.
Essendo escluso ogni merito nostro dalla salvazione, è escluso del pari ogni nostro vanto. Dice lett.: opere in giustizia cioè fatte in istato di giustizia, da chi è moralmente giusto. Di tali opere l'uomo naturale non è in grado di farne più di quel che un albero cattivo possa dare buoni frutti. La salvazione non ha altro movente ed altra norma che la misericordia di Dio, la sua compassione per chi è perduto. L'aor. ci salvò non 'implica che la salvazione abbia di già raggiunto in chi n'è l'oggetto il suo glorioso coronamento. Paolo stesso professa d'esser lungi ancora dalla perfezione e parla altrove della salvazione come di cosa futura Filippesi 3:12-14; Romani 8:23-24; 2Timoteo 4:8,18; ma implica che sono stati tratti fuor dallo stato di condannazione e di peccato in cui erano prima, riconciliati con Dio, rinnovati nel cuore e avviati verso la perfezione e la gloria.
mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo.
Il mezzo col quale Dio li salvò dallo, stato di peccato è qui espresso. A Tito ed ai cristiani di Creta queste parole concise giungevano precedute dal commento orale dell'apostolo; mentre a noi oggi giungono accompagnate dalle spiegazioni discordi delle varie sezioni della cristianità. È noto infatti che il passo è ritenuto da molti come la prova più esplicita della rigenerazione battesimale. Converrà quindi esaminare davvicino quale sia il senso che appare meglio fondato. Il gr. λουτρον (lavacro, da λουω, lavare) può significare, come il nostro bagno, tanto il luogo, il recipiente in cui si compie la lavanda, come l'atto del lavare, del bagnarsi. Nel N.T. non lo si incontra che in Efesini 5:26: "avendola purificata col lavacro dell'acqua, in virtù della parola". Ivi si tratta dell'atto del lavare con acqua, non di conca o di tinozza da bagno. E tale, è il significato più ovvio della parola nel nostro passo. Erano coperti della sozzura dei loro peccati; Dio li ha salvati per mezzo di una lavanda, di un bagno purificatore, secondo l'immagine del profeta: "Spanderò sopra voi dell'acque pure e sarete nettati, io vi netterò di tutte le vostre brutture" Ezechiele 36:25.
La parola palingenesi (παλινγενεσια) che segue s'incontra solo qui e in Matteo 19:28 ove si tratta della restaurazione finale del mondo e dell'avvento dello stato di perfezione che sarà inaugurato dalla seconda venuta del Cristo. Qui ove si tratta dello stato morale e spirituale degli individui vale nuova nascita, rigenerazione, cioè quel mutamento radicale che avviene nelle disposizioni dell'uomo quando cessa la vita nel peccato e principia una vita nuova di pentimento, di fede, di amore, di ubbidienza alla volontà di Dio. I cristiani sono detti perciò "nati da Dio", "generati a nuovo non di seme corruttibile, ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio vivente e permanente" 1Pietro 1:23, "nati di nuovo" o nati dall'alto, "nati d'acqua e di Spirito" Giovanni 3:3,5, "vivificati", e "risuscitati" con Cristo Efesini 2:5-6.
La terza parola usata da Paolo è ανακαινωσις (rinnovamento) che si trova pure Romani 12:2: "siate trasformati dal rinnovamento della vostra mente". Mente, cuore e volontà viziati e guasti dal peccato hanno bisogno d'essere rinnovati, ossia mutati, restituiti a uno stato nuovo e migliore dalla virtù di Dio. "Se alcuno è in Cristo egli è nuova creatura, le cose vecchie son passate, ecco tutto è divenuto nuovo". Il rinnovamento dello Spirito Santo, torna a dire: di cui lo Spirito Santo è l'autore nel cuor dell'uomo e ch'egli compie per mezzo della verità divina. Se si domanda quale distinzione sia da fare tra rigenerazione e rinnovamento, si dovrà riconoscere che ambedue i termini, sotto immagini diverse, rappresentano sostanzialmente un medesimo fatto spirituale; solo, il primo è necessariamente ristretto alla produzione della vita nuova, al suo principiare in noi, mentre il secondo potrebbe estendersi anche allo sviluppo di cotesta vita per via di graduale, continua santificazione, e così difatti l'intendono alcuni interpreti. Ma la stretta connessione in cui trovasi qui con la rigenerazione e l'essere questo rinnovamento considerato come un fatto passato, collocato com'è fra due aoristi: "Ci salvò... il quale egli effuse...", induce a credere che l'apostolo abbia in mente il mutamento iniziale, fondamentale, condizione di tutti gli altri, sperimentato dai Cretesi quando si erano convertiti a Cristo ed erano entrati in un mondo nuovo sotto gl'influssi potenti dello Spirito della vita.
Essendo definito il senso delle tre parole principali della frase, sono possibili due costruzioni: quella che abbiamo dato nella traduzione e quella che fa dipendere rigenerazione e rinnovamento da lavacro: "mediante il lavacro della rigenerazione e del rinnovamento dello Sp.". E siccome mancano tutti gli articoli c'è chi legge: "Mediante un bagno di rigenerazione, e di rinnovamento di Spirito Santo". Il fatto spirituale significato dalle due ultime parole sarebbe rappresentato sotto la figura di una lavanda, di un bagno che netta il corpo dalla sozzura materiale. Tale l'effetto rinnovatore della nuova nascita, sull'anima. Essa è nettata delle sue colpe, dal perdono divino e rinnovata nelle sue disposizioni ad immagine di Dio per lo Spirito. Tuttavia, pur considerando come sostanzialmente equivalenti rigenerazione e rinnovamento, la maggior parte degli interpreti. riguarda il "rinnovamento dello Spirito" come espressione parallela alla prima ed intesa a meglio spiegare quella figurata di "lavacro della rigenerazione". Si citano come analogie l'insegnamento del Precursore sul "battesimo di Spirito Santo e di fuoco", quello di Gesù sul nascer dall'acqua e dallo Spirito. In quei casi l'espressione figurata, (o, come altri crede, il rito esterno) è accoppiata a quella letterale che ne spiega il senso.
Non abbiamo ragionato finora di battesimo perchè la parola non è qui usata da Paolo e, pur mettendo che sia cosa naturale il veder nel "lavacro della rigenerazione" una qualche allusione al battesimo, resta da vedere come sia da intendere questa espressione. I cattolici romani l'intendono senz'altro del battesimo cristiano e ci vedono insegnata la necessità del battesimo per la salvazione poichè il rito è il mezzo di cui Dio si vuol servire per comunicare all'anima il perdono dei peccati ed il rinnovamento operato dallo Spirito e che monda l'anima di tutto ciò ch'è peccaminoso. Una siffatta efficacia il battesimo rettamente amministrato l'ha sempre nei bambini e l'ha del pari negli adulti purchè abbiano l'intenzione di ricevere quel che la S. Chiesa amministra! I Luterani ed Anglicani vedono egualmente qui designato il battesimo, ma insistono sulla fede come condizione della sua efficacia rigeneratrice. Nei bambini, nulla si oppone a che il battesimo sia sempre efficace, e negli adulti credenti, più che comunicar il principio della nuova vita che esiste di già, il battesimo la suggella e la fortifica e ciò in virtù della Parola e dello Spirito di Dio che accompagnano l'elemento materiale. Per gli Anglicani il battesimo che salva è il battesimo completo che include il rito esterno e l'efficacia dello Spirito che l'accompagna o, per dirla coll'Ellicott: "è un sacramento in cui tutto ciò ch'è interno accompagna adeguatamente e completamente tutto ciò ch'è esterno"; ma anch'essi ritengono che il sacramento è il mezzo ordinario stabilito da Dio per comunicare la vita nuova. Per tutti questi interpreti "il lavacro della rigenerazione" significa dunque: il battesimo mediante il quale avviene la rigenerazione. Prese in sè stesse le parole possono manifestamente avere un tal senso e se ne vede la conferma nel modo in cui Paolo parla del battesimo altrove: Efesini 5:26 "avendola purificata (la chiesa) col lavacro dell'acqua, colla virtù della parola"; Atti 22:16: "Fatti battezzare e lavati dei tuoi peccati invocando il nome del Signore" Romani 6:3, "siamo stati seppelliti con lui per mezzo del battesimo nella morte" Galati 3:27: "Quanti siete stati battezzati in Cristo avete rivestito Cristo". Tuttavia quando si mette questa dottrina alla prova dei fatti, l'efficacia rigeneratrice del sacramento nei bambini non risulta confermata, poichè crescono peccatori e viziati, e quanto agli adulti non è il battesimo che li rigenera poichè essi sono già pentiti e credenti, nati cioè alla vita spirituale prima di riceverlo. Si potrà bensì dire che il battesimo in cui confessano apertamente la loro fede in Cristo ed entrano a far parte della sua Chiesa, sia per loro, oltrechè il simbolo, anche il suggello e il pegno esterno della grazia di Dio, ma non ch'esso la comunichi per la prima volta all'anima. Cornelio ed i suoi hanno ricevuto il battesimo dello Spirito prima di ricevere quello d'acqua ed il ladrone pentito è, entrato nel paradiso con Cristo senza il battesimo. Nel N.T. la sola condizione assoluta della salvezza è la fede nel Cristo Salvatore offerto all'anima dalla parola evangelica; ma il battesimo, pur essendo di istituzione divina e quindi doveroso, vi ha un'importanza secondaria; "Dio mi ha mandato non a battezzare ma ad evangelizzare", dice Paolo. Invece di esaltare l'importanza dei riti esterni il cristianesimo apostolico esalta l'importanza della religione interna, spirituale: "Non è giudeo colui che l'è esternamente... e la circoncisione è quella del cuore, spirituale e non letterale..." Romani 2:28-29. Cfr. 1Pietro 3:21. In questo luogo stesso il rinnovamento è opera dello Spirito Santo.
Tenendo conto di queste considerazioni, la formula "lavacro di rigenerazione" si dovrà intendere in uno di questi due modi: Se intesa del battesimo, significherà: mediante il lavacro battesimale che fu per noi il simbolo ed il suggello divino della rigenerazione e del rinnovamento operati in noi dallo Spirito. Sarebbe accennato il suggello rituale esterno unitamente alla realtà spirituale interna che segnò per loro il principio d'una vita nuova. Il rinnovamento interno segnerebbe l'entrata effettiva nella nuova vita, il lavacro esterno del battesimo segnerebbe l'entrata ufficiale e pubblica in essa. Cfr. il passo Efesini 5:26; Atti 22:16. Più semplice ancora è la spiegazione che, nel lavacro, non vede l'atto del battesimo, ma semplicemente una figura suggerita dal simbolo battesimale e frequente di già nell'Antico Testamento; figura colla quale la rigenerazione in cui l'anima è purificata dalla colpa e dalla sozzura del peccato è «assomigliata ad un lavacro d'acqua che netta il corpo dalla sozzura esterna». Il senso allora è: "Ci salvò mediante quel vero lavacro spirituale ch'è la rigenerazione, lavacro che non è altro se non il rinnovamento operato in noi dallo Spirito Santo". Il passo 1Corinzi 6:9-11 descrive con espressioni analoghe la trasformazione operata nei Corinti dalla grazia di Cristo e dalla potenza dello Spirito. "Tali eravate... ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor Gesù e per lo Spirito dell'Iddio nostro". Là come qui, trattandosi di rinnovamento morale, è indicata prima la purificazione e la santificazione dell'anima e poi la giustificazione. Ma rinnovamento iniziale, e riconciliazione e perdono sono esperienze simultanee ed inseparabili.

Il quale egli ha sparso copiosamente su noi per mezzo di Gesù Cristo nostro salvatore.
L'economia cristiana è l'economia dello Spirito. Tale l'avevano predetta i profeti; tale la caratterizzò l'ultimo di essi Giovanni Battista; nè altrimenti fece Gesù rinnovando ai suoi la promessa dello Spirito che non si limita ad accendere la fiamma della vita nuova ma l'alimenta e l'accresce. Parlando qui di effusione copiosa dello Spirito, Paolo non allude a quella pentecostale cui nè i cristiani di Creta nè lui erano presenti, ma a quelle effusioni potenti che di solito accompagnavano od anche precedevano il battesimo dei neofiti e si rinnovavano sulle assemblee dei credenti sotto forma di doni spirituali svariati, e nei cuori pii per far loro gustare la pace del perdono, la dolcezza della riconciliazione col Padre e le energie celesti della nuova vita. Lo Spirito è sparso per mezzo di G. C., cioè per la mediazione di lui che ha colla sua morte resa possibile la comunicazione delle grazie di Dio agli uomini. "Io pregherò il Padre, avea detto Gesù, ed egli vi darà un altro Consolatore"... Come il Padre, Cristo è chiamato anch'egli il Salvatore nostro, perchè egli ha tradotto in atto il disegno della bontà di Dio.

affinchè giustificati per la grazia d'esso fossimo fatti eredi secondo la speranza, della vita eterna.
Il fine ultimo per cui lo Spirito di Cristo è dato ai credenti è quello di assicurar loro la vita eterna nella sua pienezza. Questa vita è l'oggetto della speranza cristiana, ed è in sostanza l'eredità cui sono chiamati coloro che sono stati adottati quali figli da Dio ed hanno ricevuto nei loro cuori lo Spirito di adottazione che li santifica e li conforta nel presente, per risuscitarli poi e glorificarli. Figliolanza di Dio attestata al cuore dallo Spirito ed eredità celeste sono strettamente connesse in altri luoghi: Galati 4:7; Romani 8:17. Seguendo come più sicura la versione data più sopra, s'intende che sono fatti eredi di Dio, ma eredi che non sono ancora entrati in possesso della loro eredità, ma che lo sono in isperanza. Lo Spirito però ch'è loro dato come arra dell'eredità li fa certi che la speranza della vita eterna procurata loro da Cristo non è di quelle che son fallaci Romani 5:5. In un quadro succinto della salvazione era da aspettare che Paolo non tralasciasse di accennare alla giustificazione per grazia, e infatti la mentova come condizione per essere costituiti eredi di Dio. Finchè il peccatore resta sotto la condanna meritata, finchè non è assolto, dichiarato giusto in virtù della giustizia di Cristo ch'egli si appropria per fede, egli non può godere dei privilegii dei figli di Dio. Va da sè che la giustificazione va intesa qui nel senso esposto da Paolo ai Galati ed ai Romani. La grazia ch'esso può significare la grazia di Dio o la grazia di Cristo. Il pronome εκεινου (di lui) accennerebbe piuttosto a Cristo che ha dato sè stesso per pura grazia Romani 5:15; Galati 1:6; 2Corinzi 8:9 mentre il contesto mira ad esaltare la grazia di Dio padre. Per la sostanza ciò non fa differenza.

AMMAESTRAMENTI
1. I ministri come tutti gli insegnanti, sono chiamati a ripetere il loro insegnamento affin di farlo penetrare nei cuori e nella condotta pratica. L'ambiente in cui si svolge la vita dei redenti nel mondo, invece di ravvivare il senso del dovere, tende ad attutirlo od a traviarlo e, d'altronde, le inclinazioni dell'uomo vecchio non sono morte completamente nel cristiano. È quindi necessario ricordare di frequente quali siano gli obblighi dei redenti di Cristo, specialmente quando le abitudini o le tendenze della vita anteriore portino a trascurarli sopra taluni punti. "Perciò, scrive Pietro, io non cesserò di ricordarvi queste cose, sebbene le conosciate e siate saldi nella verità che possedete. Stimo tuttavia cosa giusta, finchè io sono in questo abitacolo, di tenervi desti col rimettervi le cose in memoria"... 2Pietro 1:12. Anche ai nostri giorni, di fronte alla costante affermazione dei diritti individuali senza gli obblighi corrispettivi, gioverà ricordare il dovere della sottomissione alle autorità costituite e ciò per ubbidire a quell'ordine sociale. fondato sulla giustizia ch'è cosa voluta da Dio e che garantisce alla società una quantità di preziosi beni. Saranno ben lungi ancora dall'ideale della giustizia gli ordinamenti sociali e saranno lungi dall'essere quel che dovrebbero i magistrati dello Stato; ma, salvo casi estremi e rari, il progresso sociale si conseguirà meglio coll'ubbidienza doverosa accompagnata dal costante lavoro di perfezionamento, che non colla ribellione o colla slealtà. Nè meno necessario sarà il ricordare il dovere della prontezza al bene, e quello della, benevolente mitezza dei sentimenti, delle parole e degli atti verso tutti gli uomini, mitezza aliena così dalla maldicenza e dalle contese come dalla boriosa superbia del fariseo che sprezza gli altri; mitezza ch'è riflesso della carità di Cristo, che attrae i cuori e rende amabile la pietà.
2. Nulla è più atto a disporre un cristiano ad esser mite e benigno verso gli altri uomini del ricordo del proprio stato prima d'aver creduto in Cristo. Il riandare la propria follia e disubbidienza alla volontà di Dio, la schiavitù di cui le passioni carnali l'avevano ridotto, le disposizioni che caratterizzavano le sue relazioni col prossimo, in una parola il dover ripetere, dinanzi all'altrui corruzione, salvo forse la diversità delle circostanze o delle forme, il terribile: "anch'io era una volta"... tale, non può che fiaccar l'orgoglio e disporre alla compassione, alla speranza, alla mitezza. E se a quella considerazione si aggiunga la coscienza della propria impotenza a redimere sè stesso, la profonda convinzione sperimentale che sola la grazia misericordiosa di Dio in Cristo lo ha tratto dall'abisso di perdizione per fare di lui un erede della gloria celeste, egli non dispererà più della salvazione di alcun uomo, ben sapendo che l'Evangelo è "potenza di Dio per la salvezza" anche dei più abbietti.
3. Tito 3:3-7, come già Tito 2:11-14, sono ricchi di contenuto dottrinale. L'Evangelo predicato da Paolo e insegnatogli da Cristo è qui riassunto nei suoi dommi fondamentali. Il peccato umano non è palliato nè attenuato, ma riconosciuto in tutta la sua gravità e laidezza; l'impotenza dell'uomo a meritare la benevolenza di Dio ed a redimersi dalla corruzione è del pari confessata. La salvezza dell'uomo procede dalla benignità, dall'amore di Dio per gli uomini, dalla sua misericordia, dalla sua grazia e non da merito d'opere giuste che non esistono. Chi rende possibile, compatibile colla giustizia di Dio, la giustificazione del peccatore, il suo perdono, la sua adottazione qual figlio, è Cristo il Salvatore, per la mediazione del quale è assicurato al credente, insieme col perdono, il dono dello Spirito. Lo Spirito sparso in abbondanza nel cuore di chiunque non lo respinge, rigenera l'uomo, lo netta dalle brutture del peccato come fa l'acqua pura applicata al corpo, e rinnova in lui l'immagine di Dio trasformandone i pensieri, gli affetti, i moventi, le speranze, la vita tutta. Di un tale rinnovamento spirituale operato dallo Spirito, il battesimo d'acqua non può essere che il segno ed il suggello. Così rinato ad una vita nuova e adottato dall'amor di Dio, il redento di Cristo è avviato sulla via della santificazione verso il possesso completo ed eterno della vita ch'è l'eredità destinatagli da Dio e l'oggetto della sua giuliva speranza. Tale il Vangelo che Paolo aveva predicato fin dal principio del suo apostolato, esposto largamente nelle sue grandi epistole, portato dall'Arabia fino a Roma, e ch'egli sta per suggellare col martirio. È il Vangelo rimesso in luce dalla Riforma e che sta alla base di tutti i grandi risvegli religiosi. È il Vangelo della salvazione completa procedente dalla grazia del Padre, assicurata dall'opera del Figlio, applicata al credente dallo Spirito, e che trae l'uomo dallo stato di condanna e di corruzione per portarlo fino alla gloriosa perfezione del Cristo. Felice chi, come Paolo, ha fatto l'esperienza personale di queste grandi realtà, e, dopo aver detto: "anche noi eravamo insensati"... può aggiungere: "Ma... egli ci ha salvati... ha sparso su noi lo Spirito... affinchè fossimo fatti eredi, giusta la speranza della vita eterna! "

Sezione C. Tito 3:8-11. I MOTIVI PER TITO DI ATTENERSI ALLE ISTRUZIONI DI PAOLO.

Tito 3:8-11 sono la conclusione delle istruzioni date a Tito, da Tito 2:1 in poi, circa il sano insegnamento morale da impartire ai Cretesi.
Questa parola è certa e queste cose voglio che tu le affermi con forza.
La formula: "Certa è questa parola" è propria delle Epistole pastorali ove occorre cinque volte (1Timoteo 1:15; 3:1; 4:9; 2Timoteo 2:11 e qui) e sempre in relazione con verità importanti. L'agg. πιστος (degno di fede) applicato a una parola, a un'affermazione, indica ch'essa è degna di fede perchè fedele espressione della verità. Si tratta qui delle grandi verità della salvazione compendiate nei vers. precedenti e del fine santo della grazia in Cristo. Su queste verità centrali Tito ha da essere molto positivo perchè non si tratta di questioni secondarie, dubbie, senza importanza per la vita dell'uomo; si tratta invece del midollo stesso dell'Evangelo. Chi non ha salde convinzioni da proclamare su questi punti non è fatto per essere evangelizzatore. L'affermar con forza e con costanza (δια) la grazia ed il fine di essa ch'è di affrancar l'uomo dal peccato per condurlo alla perfezione, dovrà avere per effetto di spingere i Cretesi alla pratica del bene.
affinchè coloro che hanno creduto in Dio abbiano cura di applicarsi a buone opere.
Parlando dei cristiani come di persone che hanno creduto in Dio Paolo pensa soprattutto agli ex pagani, adoratori di idoli e che sono giunti a credere nel Dio vivente e vero, nel Dio Padre e Salvatore rivelato dal Signor G. C. La lor fede deve tradursi in energia di carità, in zelo per il bene. Devono darsi pensiero delle buone opere, preoccuparsene con sollecitudine, avervi l'animo intento (φροντιζειν). Il verbo che traduciamo applicarsi (προισταναι) vale propriamente, stare innanzi, presiedere, dirigere 1Timoteo 3:4-5,12; 5:17; Romani 12:8; 1Tessalonicesi 5:12 per cui alcuni lo spiegan dell'andare innanzi a tutti, dell'essere i primi nella pratica delle buone opere. Ha però anche il senso di dirigere un lavoro, di applicarsi ad un'arte, di darsi ad essa, di attendervi con assiduità e con cura, e tale sembra essere qui e Tito 3:14, il significato da preferirsi.
Queste sono cose buone ed utili agli uomini.
Il queste enfatico si riferisce alle cose che Tito deve saldamente stabilire, cioè alle verità essenziali della salvazione colle loro pratiche conseguenze. Queste sono cose buone in sè stesse perchè vere e santificanti, e sono utili agli uomini perchè attraggono la loro attenzione sull'unica cosa necessaria e insegnano il modo di progredire verso la perfezione ch'è la mèta assegnata all'uomo. La bontà e l'utilità del sano insegnamento evangelico è contrapposta all'inutilità ed alla vanità delle questioni intorno a cui si appassionavano i cianciatori cretesi.

Ma le stolte questioni, le genealogie, le contese e le dispute legali, stattene lontano.
Le questioni stolte sono quelle che pur essendo vantate come superiore sapienza, in realtà vertono su cose senza importanza, senza certezza, senza influenza benefica sulla pietà. Ora "il principio della sapienza è il timor dell'Eterno Proverbi 9:10. Un esempio di coteste questioni stolte lo fornivano le genealogie interminabili su cui speculavano i dottori cretesi e gli efesini, come risulta dalla 1Timoteo 1:4 cui rimandiamo il lettore. Le contese (i msc. e i critici son divisi tra il plur. contese [A C K L] e il sing. contesa [alef D E F G]) sono il risultato inevitabile dell'importanza attribuita a questioni vane o curiose. Cfr. 1Timoteo 6:4. Più una questione è futile e più accese sono le contese ch'ella suscita, appunto perchè in siffatte questioni entra più il puntiglio personale che l'amore della verità. Le dispute legali sono quelle che si facevano non già sulla funzione assegnata, alla legge nella preparazione della salvazione, o sulla necessità o meno di osservarla per esser salvati - queste non sarebbero state questioni prive d'importanza come si vede dall'Epistola ai Galati e da Atti 15 - ma piuttosto su questioni minime di cibi o di bevande, o forse sopra spiegazioni strane date a talune disposizioni della legge mosaica. Da cotali questioni Tito deve tenersi lontano, o stare alla larga,
perchè sono inutili
allo sviluppo della conoscenza e della pietà
e vane
cioè senz'alcun pratico risultato; sono un correr dietro al vento.

10 Evita l'uomo settario dopo una prima ed una seconda ammonizione.
La Vulgata seguìta da molte altre versioni (Diod. Mart. Osterv.), hanno adottato tale e quale il termine greco eretico (ἁιρετικος) che occorre qui soltanto. Ma la parola coll'andar del tempo ha assunto un significato che non avea nei tempi apostolici. Oggi l'eretico è colui che professa dottrine contrarie al credo di una data chiesa; in tempi più antichi era eretico chi professava dottrine diverse da quelle riconosciute dalla Chiesa universale e si parlava degli eretici gnostici, ariani, pelagiani ecc. Agostino definiva l'eresia uno scisma inveterato; e Girolamo scriveva: "Si stima che eresia e scisma differiscano in questo che l'eresia ha un qualche dogma errato mentre lo scisma è il fatto di un vescovo dissenziente che si stacca dalla Chiesa. D'altronde ogni scisma si maschera di una qualche eresia..." Nel N.T. la parola non ha ancora il senso esclusivamente dommatico che acquistò negli scrittori ecclesiastici e si avvicina maggiormente al suo significato etimologico. Il verbo ἁιρεισθαι vale eleggere, scegliere per sè (Filippesi 1:22; 2Tessalonicesi 2:13; Ebrei 11:25; ἁιρετιζειν in Matteo 12:18); il sostantivo airesis vale elezione, scelta (Levitico 22:18; 1Maccabei 8:30 ove a proposito di un trattato fra, Romani e Giudei si stipula che se in seguito gli uni o gli altri vorranno aggiungervi o toglierne, potranno farlo a loro piacimento [lett. secondo la loro eresia]...); quindi significa il partito, la setta cui uno si affilia, e si parla, della setta dei Sadducei, di quella dei Farisei e di quella dei Nazorei o cristiani Atti 5:17; 15:5; 26:5; 24:5,14; 28:22. Lo si trova al plur. accoppiato alle scissioni e alle divisioni 1Corinzi 11:18-19; Galati 5:20 che sono frutti della carne. Il passo in cui la parola si accosta maggiormente al significato posteriore è 2Pietro 2:1: "falsi dottori introdurranno eresie di perdizione". Avendo presente l'uso della parola airesis nel N.T., dovremo definire l'eretico un uomo che, per un eccessivo attaccamento alle proprie vedute personali, è portato a, formar partiti nella chiesa, un uomo che provoca divisioni, in una parola un uomo settario. I seduttori cretesi avevano di già mostrato il loro spirito fazioso nel metter sossopra parecchie famiglie coi loro insegnamenti particolari Tito 1:11 e Paolo ingiunge ai Romani: "Badate a quelli che provocano le divisioni e gli scandali contro la dottrina che avete imparata e ritraetevi da loro" Romani 16:17. A Tito ordina di evitar l'uomo settario dopo una prima ed una seconda ammonizione in cui gli abbia rappresentato il male che fa creando delle divisioni nella società cristiana per amor di talune idee sue d'importanza affatto secondaria, se pur ne hanno alcuna. L'ammonizione dev'esser ripetuta sia per dare il tempo di riflettere, sia per renderla più completa, Se rimane senza effetto, è inutile perdere il tempo con chi è risoluto a perseverare nella sua condotta.

11 sapendo che un uomo siffatto è pervertito e pecca essendo condannato dalla propria coscienza
(o: condannato com'è dalla...) È pervertito nel cuore e nella volontà perchè si compiace nel male e pecca non per ignoranza, od errore passeggero, ma volontariamente poichè persevera dopo l'ammonizione, rifiutando di ascoltar la voce della propria coscienza che lo condanna. Quando il peccato è volontario e contro la coscienza, le ammonizioni diventano inutili e non resta che l'evitare chi è in tale stato onde mantenere contro di esso una protesta di fatto.

AMMAESTRAMENTI
1. È volontà di Dio che i banditori del Vangelo affermino con forza le grandi verità che ne sono l'essenza. È il caso di ripetere con Dante:
Non disse Cristo al suo primo convento
Andate e predicate al mondo ciance,
Ma diede lor verace fondamento.
Le verità contenute nella Rivelazione, specie nel Nuovo Testamento, le verità predicate dagli apostoli e su cui fu fondata la Chiesa, le verità che in tutti i tempi hanno appagato e sostenuto le anime pie e sono state feconde di frutti santi, sono quelle che devono formar la sostanza della predicazione. Il ministro non è un disputatore sopra questioni religiose, nè un seminatore di punti interrogativi, nè un espositore vanitoso e cocciuto di dottrinette sue particolari sopra punti privi di pratica importanza, ma è un ambasciatore di Cristo mandato a supplicar le anime di riconciliarsi con Dio per Cristo, un testimone della verità rivelata e da lui sperimentata, un banditore di verità certe e salutari, di cose buone ed utili agli uomini, di cose che appaghino i loro bisogni permanenti e profondi, e non già di favole e di questioni inutili e vane. "Satana, dice Calvino, distrae colle dispute i buoni pastori dall'applicarsi ad istruire la greggia, nè mancano loro gl'incentivi alle dispute sia nelle millanterie provocatrici di chi insulta alla verità, sia nella vanità del non darsi per vinti o del non parerlo, sia ancora nello zelo inopportuno di chi spinge i ministri ad un perpetuo battagliare".
2. Il concetto dell'eretico nel N.T. abbraccia elementi diversi. Vi è anzitutto un elemento intellettuale o dottrinale. L'eretico aderisce a certe dottrine o principii con predilezione eccessiva, esclusiva, fanatica, esagerandone l'importanza anche quando si tratta, di cose secondarie, o astruse, o futili. La stessa infatuazione delle proprie vedute gli farà in altri casi sprezzare o rinnegare non solo il consenso delle anime pie, ma l'autorità stessa degli apostoli e del Cristo per andar dietro ai proprii vaneggiamenti. Abbiamo bisogno ai nostri giorni, nello stato di confusione delle menti circa i maggiori problemi religiosi, di un discernimento speciale per distinguere, fra le dottrine, quelle che sono essenziali alla fede ed alla vita cristiana, da quelle che sono secondarie e sulle quali possono differire le menti senza che si cessi per ciò dall'essere cristiani genuini. Dal lato dottrinale non abbiamo il diritto di considerare come eretico nel senso moderno se non chi rinnega le verità centrali del cristianesimo. Ma quando siano in questione i cardini del Vangelo, non abbiamo il diritto di esser infedeli alla verità per usar dei riguardi a chi sovverte la fede degli eletti.
Accanto all'errore positivo od alla erronea valutazione di certe dottrine, c'è nell'eretico, secondo il concetto del N.T., una perversa disposizione a crear dei partiti, delle fazioni in seno alla chiesa, a romperne l'unità per formar delle sette, allorquando una maggiore umiltà, un amore più vero per la Chiesa di Dio, una più grande longanimità e tolleranza verso i fratelli, potrebbero mantener la pace e l'unione in seno alla fratellanza cristiana. Settario si rivela tanto chi esclude altri, senza motivi sufficienti, dalla società esterna dei credenti, quanto chi esce dalla fratellanza per formare, senza valide ragioni, una setta nuova.
La tirannia papale ha lanciato e tuttora lancia l'anatema contro migliaia e milioni di credenti sinceri e pii; e d'altra parte, l'individualismo protestante facendo un uso poco savio del principio giusto in sè del libero esame e della libertà di associazione, ha moltiplicato e tuttora moltiplica le chiese o i gruppi di chiese per motivi dottrinali o rituali o costituzionali d'importanza molto secondaria. Si ergono così, fra i discepoli dell'unico Signore, delle barriere che sono uno scandalo per i non credenti, una dispersione di forze ed un ostacolo all'unità di spirito tra i fratelli. Possa il vento dello Spirito abbattere quelle barriere e affrettare il tempo in cui vi sarà una sola greggia come vi è un solo Pastore.
Ad ogni modo Paolo insegna che non colla violenza o colle pene corporali vanno trattati gli uomini settari, ma colla paziente carità che ammonisce e cerca di ritrarre dall'errore chi è traviato, e solo quando siano esauriti tutti i mezzi della persuasione e sia evidente la pervicacia volontaria del settario, dobbiamo lasciarlo al giudizio della di lui coscienza e ritrarci da lui.

12 LA CHIUSURA DELLA LETTERA

Tito 3:12-15.

La chiusa contiene due commissioni a Tito ed i saluti. Paolo commette a Tito di venirlo a raggiungere a Nicopoli quando in Creta sarà stato sostituito da un altro operaio Tito 3:12. Gli commette di facilitare in ogni modo, insieme coi cristiani cretesi, il viaggio a Zena e ad Apollo versetti Tito 3:13-14. Manda infine dei saluti e invoca sui fratelli la grazia di Dio Tito 3:15.

Quando ti avrò mandato Artema e Tichico, studiati di venire a me in Nicopoli, poichè ho deciso di passare colà l'inverno.
Chi fosse Artema non sappiamo. È uno dei tanti collaboratori di Paolo di cui ci è giunto solo il nome. Una tradizione non attendibile ne fa il vescovo di Bistra. Tichico era oriundo dell'Asia proconsolare Atti 20:4 e nell'Asia fu mandato da Paolo più d'una volta. Da Roma, durante la sua prima cattività, Paolo lo manda a portare, insieme con la lettera ai Colossesi e con quella circolare agli Efesini ecc., notizie e consolazioni ai cristiani asiatici e lo chiama "diletto fratello, fedel ministro e conservo nel Signore" Colossesi 4:7-8; Efesini 6:21-22. Vediamo dalla lettera a Tito ch'egli accompagnò Paolo nel giro da lui compiuto in Oriente tra la prima e la seconda cattività. La seconda a Timoteo lo mentova un'ultima volta come mandato in Efeso a sostituirvi Timoteo. Non sappiamo se andò lui a rilevare Tito in Creta onde potesse con sollecitudine raggiungere l'apostolo in Nicopoli. Delle Nicopoli (città della vittoria) ve n'erano parecchie. È probabile però che si tratti qui non di quella di Cilicia nè di quella di Tracia, ma di quella più importante dell'Epiro edificata da Augusto nel 31 A. C. dopo la battaglia di Actium, sul luogo stesso ove s'era accampato il suo esercito la notte prima della vittoria. Situata alla estremità meridionale dell'Epiro sul promontorio che, con quello di Actium di faccia, restringe a circa un chilometro l'entrata del golfo d'Ambracia (oggi d'Arta) sul mare Jonio, favorita in ogni modo da Augusto che le avea dati i privilegi di una Colonia romana, l'avea fatta sede di una festa quinquennale con grandi gare, la nuova città raccolse gli abitanti di parecchie altre ridotte in rovine e, in poco volger d'anni divenne la città principale della Grecia occidentale. Essa offriva a Paolo, sebbene di clima poco salubre, un centro atto ad una campagna di evangelizzazione di quella parte della penisola ellenica. Si suppone da molti che ivi Paolo sia stato arrestato e quindi mandato a Roma per l'ultima volta. Nicopoli fu distrutta dai Goti e non risorse più. Estese rovine segnano oggi il sito ove giaceva, e la città di Prevesa sorta alquanto più al sud ne ha preso il posto.

13 Aiuta con premura nel loro viaggio Zena il dottor della legge ed Apollo, affinchè non manchi loro nulla.
Zena ci è sconosciuto ed il titolo di legista (νομικος) o di uomo di legge che gli è dato può significare ch'egli era stato un dottor della legge mosaica come quelli mentovati nei Vangeli, ovvero ch'egli era un giureconsulto romano divenuto cristiano. L'aver egli per compagno di viaggio Apollo l'eloquente giudeo alessandrino divenuto banditore del Vangelo rende più probabile che anche Zena fosse stato Giudeo. Quei due evangelisti, latori forse della lettera a Tito, si proponevano di percorrere l'isola per predicarvi il Vangelo; era quindi doveroso che i cristiani li aiutassero in ogni modo nel loro viaggio sia coll'accompagnarli, sia col fornir loro i mezzi di proseguire, sia col raccomandarli di luogo in luogo all'ospitalità dei fratelli. Per il verbo qui usato: mandare innanzi", o "far proseguire" cfr. Atti 15:3; Romani 15:24; 1Corinzi 16:6,11 e specialmente 3Giovanni 6. "Operi da fedele in quanto fai per i fratelli, specie se forestieri... i quali farai bene di far proseguire in modo degno di Dio. Poichè sono partiti per il nome di Cristo, senza ricever nulla dai pagani; noi dunque abbiamo il dovere di aiutare uomini siffatti affin d'essere collaboratori della verità".

14 Ed imparino anche i nostri ad applicarsi a buone opere per provvedere alle urgenti necessità, onde essi non siano senza frutto.
Tito deve fare la parte sua ma non dev'esser solo nell'aiutare i missionari cristiani ed in genere nell'esercizio di quelle buone opere d'interesse generale di cui è evidente la necessità. Anche i cristiani di Creta devono educarsi alla pratica dei doveri inerenti all'ospitalità e alla propaganda cristiana ora e poi. Nessun tralcio della vera Vite deve rimaner senza frutto. Più ne porta e più diventa capace di portarne.

15 Tutti quelli che sono con me ti salutano.
Si tratta non di tutti i cristiani che trovansi nella località donde Paolo scrive, ma dei collaboratori che Paolo ha seco e che sono ben noti a Tito.
Saluta quelli che ci amano in fede
Paolo è stato in Creta ed è quindi conosciuto ed amato dai cristiani genuini: per quanto poco ben veduto dai seminatori di favole. Egli manda un saluto a tutti quelli che a lui ed ai suoi collaboratori serbano un affetto non carnale ma fondato sulla comunanza della fede nello stesso Salvatore. Si potrebbe parafrasare così: che nella comunanza della fede ci serbano amicizia (φιλειν).
La grazia sia con tutti voi.
Sebbene diretta al solo Tito, la lettera ha per fine il bene delle chiese di Creta. Essa non rimarrà cosa segreta poichè Tito dovrà valersene come di credenziali per eseguir l'opera di cui è incaricato; d'altronde essa contiene un saluto per quelli che hanno conservato affetto per l'apostolo. È quindi naturale che nel voto finale egli invochi la grazia divina sopra tutti quei cristiani cretesi che sono stati presenti al suo spirito mentre dettava la sua lettera. L'amen manca nei più antichi codici (alef A C D). Quanto alla poscritta essa principia nei Codd. A P (5°-6° secolo) col semplice da Nicopoli ch'è già erroneo poichè, quando Paolo scriveva, egli intendeva bensì recarsi colà per l'inverno, ma non c'era ancora. Più tardi (Cod. K), la Nicopoli Tito 3:12 diventa quella di Macedonia e la poscritta si allunga nella frase seguente: "Fu scritta da Nicopoli di Macedonia a Tito che fu il primo vescovo ordinato della Chiesa dei Cretesi".

AMMAESTRAMENTI
1. L'opera di Dio nel mondo sta sempre a capo dei pensieri di Paolo, vero modello del banditore del Vangelo. Non la vuol fatta a sbalzi, ma proseguita e curata con amore mediante operai idonei, dov'essa è cominciata. Egli stesso ha lavorato ad estendere l'opera in Creta, e quando ha dovuto partire ha lasciato Tito per mettere in ordine quello che restava da regolare; ora che ha bisogno di richiamare Tito il quale non è mai stato vescovo residente in Creta, egli manderà Artema o Tichico, altri collaboratori suoi. Le opere principiate, poi trascurate, deperiscono e muoiono come le piante delicate che non sono nè annaffiate nè liberate dalle male erbe.
2. I bisogni dell'opera di Dio, come le necessità dei fratelli creano ai fedeli altrettanti doveri. L'operaio è degno del suo salario e come non si può chiedere al soldato ch'egli vada alla guerra a proprie spese, così non si può pretendere che il pastore, l'evangelista, il missionario, il colportore, provveda da sè al proprio mantenimento ed alle spese dei viaggi che deve fare per diffondere il Vangelo. È privilegio di tutti i fedeli di aiutare all'estensione del regno di Dio colle loro contribuzioni. Diventano per tal modo collaboratori di Dio e dei suoi messaggeri ed una tale prestazione va fatta con amorosa ed ilare premura.
3. La liberalità cristiana è chiamata a provvedere alle evidenti necessità dell'opera di Dio. Molto denaro è talvolta prodigato in opere che sono tutt'altro che necessarie, mentre rimangono sofferenti quelle veramente utili. Inoltre notiamo che la liberalità dei credenti ha bisogno d'essere educata: i neofiti devono "imparare ad applicarsi a buone opere" e questo non s'impara in un giorno. Ci vuole riflessione e metodo nel compiere i doveri della liberalità, e quei genitori che avvezzano a ciò i bambini fanno opera savia, come la fanno i conduttori di chiesa che cercano di destare l'interesse dei fedeli tenendo presenti al loro cuore le varie necessità dell'opera di Dio ed il dovere di non essere sterili a questo riguardo, ma di consacrare una parte di quel che Dio da loro ad opere buone.