Apocalisse 1
PARTE PRIMA

Il MESSAGGIO DEL CRISTO VIVENTE ALLE SETTE CHIESE


Apocalisse 1-3

Il libro dell'Apocalisse è chiamato una profezia Apocalisse 1:3; 22:18-19 e risponde infatti al concetto biblico della profezia che non è soltanto annunzio di cose future, ma è pure vibrante esortazione relativa al presente. Apocalisse 4-22 si riferiscono quasi interamente all'avvenire del regno di Dio, mentre Apocalisse 1-3 contemplano lo stato presente delle chiese che furon le prime destinatarie dell'Apocalisse. Questa prima parte è preceduta da un preambolo che indica il contenuto generale del libro e contiene il saluto dell'Autore ai destinatari Apocalisse 1:1-8. Seguono la Visione del Cristo glorioso in mezzo ai candelabri raffiguranti le chiese Apocalisse 1:9-20 e infine i messaggi del Cristo a ciascuna delle sette chiese dell'Asia proconsolare Apocalisse 2-3.

Sezione Prima. Apocalisse 1:1-8. IL CONTENUTO DEL LIBRO ED IL SALUTO DELL'AUTORE AI DESTINATARI

Apocalisse 1:1-3 sono come il titolo amplificato del libro; ne caratterizzano la natura, ne indicano lo scopo, ne nominano l'autore umano e ne proclamano l'utilità spirituale. Siccome vi si parla dell'Autore in terza persona ed al passato, alcuni critici considerano questi versetti come posti in capo all'opera dagli editori, ossia dai divulgatori di essa. Costituirebbero una specie di raccomandazione simile a quella che trovasi alla fine del Vangelo di Giovanni Giovanni 21:24. La cosa non è impossibile; ma il carattere intimo dei dati che qui si leggono circa l'autore della Rivelazione e il modo in cui è stata comunicata a Giovanni, rendono l'ipotesi poco probabile.

La rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli ha data.

Il termine greco apocalypsis vale propriamente l'atto di scoprire una cosa prima nascosta, poi anche la cosa stessa da cui è stato rimosso il velo. Lo si trova usato nel Nuovo T. in relazione col piano divino della salvazione che sarebbe rimasto un 'mistero' per la mente umana se non fosse stato rivelato Romani 16:25-26; Galati 1:12; Efesini 3:3. Qui la rivelazione concerne «le cose che devono avvenire in breve», cioè le sorti future del Regno di Dio sulla terra. Autore di essa è Gesù Cristo ch'è quanto dire Dio stesso, giacchè a lui è stata data da Dio. Ripetutamente Gesù dichiara nel Vangelo di Giovanni che la sua parola procede dal Padre: 'Io non ho parlato di mio; ma il Padre che mi ha mandato, mi ha Egli stesso comandato quel che debbo dire e di che debbo ragionare'. 'Le parole che tu mi hai date, le ho date a loro' Giovanni 12:49; 7:16-17; 14:10; 17:8.

per mostrare ai suoi servitori le cose che debbono avvenire in breve;

Tale è lo scopo dell'Apocalisse. Servitori di Dio o di Cristo sono tutti i cristiani Apocalisse 2:20; 7:3, in modo speciale gli strumenti di cui Dio si serve per comunicare agli altri la sua verità, per esemp. gli apostoli ed i profeti. Cfr. Apocalisse 10:7; 11:18. In armonia colla benedizione pronunziata in Apocalisse 1:3 su chi legge e su chi ascolta le parole di questa profezia, va preferito qui il senso più generale. Nel caso attuale, d'altronde, è stato uno solo, Giovanni, il servo speciale di cui Cristo si è valso per istruire la moltitudine dei servi di Dio, esposti alle insidie ed alle persecuzioni, intorno alle vicende future del Regno di Dio. L'essere avvertiti delle mosse del nemico e resi certi della vittoria finale serve ad accrescer la vigilanza, la fermezza ed il coraggio dei combattenti. Gesù avea promesso ai suoi apostoli che lo Spirito li guiderebbe in tutta la verità e annunzierebbe loro le cose a venire Giovanni 16:13. Le cose rivelate che debbono avvenire in breve (cfr. Apocalisse 22:6) abbracciano tutto il quadro dell'avvenire descritto nelle visioni da Apocalisse 6 in poi; e siccome nel quadro son compresi i mezzi provvidenziali che Dio adopra per estendere il suo regno, le svariate manifestazioni dell'odio satanico contro Cristo, i giudici sempre più severi di Dio sui suoi nemici, il trionfo del Vangelo durante un periodo di mille anni, il giudicio finale, l'avvento dei nuovi cieli e della nuova terra, ne segue che l'espressione in breve va intesa non di poche diecine d'anni, ma del periodo ultimo della storia, sempre, breve di fronte all'eternità, breve dal punto di vista di Colui per il quale mille anni sono come un giorno. Cfr. Luca 18:8.

ed egli l'ha fatta conoscere

(lett. significata, parola che occorre Giovanni 12:33; 18:32; 21:19)

mandandola per mezzo del suo angelo al suo servitore Giovanni;

Sebbene il Signore stesso apparisca a Giovanni (Apocalisse 1:13...) ordinandogli di scrivere in un libro le cose che gli saranno rivelate e dettandogli le lettere alle sette chiese; sebbene più oltre altri personaggi istruiscano il veggente Apocalisse 6:1; 7:13; fin da Apocalisse 10:9 il ministero di un angelo è esplicitamente mentovato ed esso appare in tutta la sua efficienza nelle grandi visioni della fine; tanto che in Apocalisse 22:16 il Signore stesso dice: «Io Gesù ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese». Cfr. Apocalisse 17:1,7,15; 19:9; 21:9; 22:1,6-10. Giovanni si chiama servitore nel senso più ristretto come organo e banditore della rivelazione. Vedi, per quanto concerne l'autore dell'Apocalisse, l'Introduzione [Apocalisse - L'autore dell'Apocalisse].

il quale ha attestato la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, tutto ciò ch'egli ha veduto.

Si è visto in queste parole come un riassunto dell'attività apostolica di Giovanni qual testimone della vita di Cristo colla predicazione e cogli scritti, particolarmente col suo Vangelo; ma una tale affermazione, vera in se stessa (Cfr. 1Giovanni 1:1-2; Giovanni 1:14; 21:24), non ha relazione diretta con Apocalisse 1:1 ov'è questione del modo in cui è avvenuta la rivelazione apocalittica, e non risponde all'espressione attestar la testimonianza di G. C. Più semplice e più calzante è il veder qui l'affermazione della fedeltà colla quale Giovanni ha, nel libro dell'Apocalisse, riprodotta la rivelazione ricevuta, e chiamata parola di Dio perchè procedente da Dio, testimonianza di G. C. perchè attestata da lui, «il fedel testimone», colle sue apparizioni, col suo Spirito, nonchè coll'invio del suo angelo (cfr. Apocalisse 22:16).

Giovanni ha ricevuto l'ordine: 'quel che tu vedi, scrivilo in un libro' Apocalisse 1:11,19 ed egli ha fedelmente attestato nel suo scritto tutto ciò che ha veduto nelle visioni concessegli. E poichè si tratta della parola di Dio e della testimonianza di Gesù fedelmente attestata in un libro, s'intende bene la proclamazione che segue:

Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia

lett. della profezia; ma è chiaro che si tratta della rivelazione profetica consegnata nel libro dell'Apocalisse. In Apocalisse 22:7 si legge: 'Beato chi serba le parole della profezia di questo libro'. Gli interpreti scorgono generalmente qui un'allusione all'uso venuto dalla Sinagoga di leggere una porzione delle Scritture nel culto cristiano. Coll'andar del tempo quello del lettore fu riconosciuto come ufficio ecclesiastico. Al tempo di Giovanni doveano compiere l'ufficio le persone capaci e di buona volontà. Gli scritti apostolici furono gradatamente associati a quelli dell'Antico T. nella lettura pubblica e la benedizione qui pronunziata sopra chi comunica all'assemblea, leggendole, le parole della profezia, e sopra chi le ascolta, mostra che il libro è posto alla pari con quelli degli antichi profeti. Ascoltare, però, non basta; giacchè lo scopo della rivelazione è pratico e quindi si aggiunge:

e serbano le cose che sono scritte in essa, poichè il tempo è vicino.

Serbare è l'opposto del non far caso, del Trascurare, del lasciar perdere, e implica il prestare attenzione alle cose scritte, il ritener nel cuore gli avvertimenti, le consolazioni, le speranze gloriose qui contenute, il mettere in pratica le esortazioni a ravvedimento, a perseveranza, a pazienza, a fedeltà fino alla morte. Il tempo è vicino: i cristiani vivono nell'ultimo periodo della storia; son vicini, anzi sono in corso di già gli assalti delle potenze del male e si faranno vie più temibili; ma è vicino pure l'intervento sempre più potente del Re di gloria che vincerà.

Apocalisse 1:4-8 contengono il saluto dell'Autore alle chiese che furon le prime destinatarie dell'Apocalisse e che doveano essere garanti dell'autenticità del libro presso le altre. Al saluto va congiunta una dossologia in onore di Cristo salvatore e re nonchè una proclamazione della onnipotenza di Dio che conduce a compimento tutti i suoi disegni.

Giovanni alle sette chiese che son nell'Asia

Nel suo Vangelo Giovanni designa sè stesso come 'il discepolo che Gesù amava'; qui egli declina, il proprio nome, perchè la profezia non può essere anonima. Nell'Antico Test. sono anonimi i libri storici perchè compendiano documenti più antichi, ma non lo sono i libri profetici che compendiano i messaggi affidati dall'Eterno ai singoli suoi servitori. Il loro nome autentica il loro messaggio, così il nome di Giovanni riguardo all'Apocalisse. Questo però presuppone che chi scrive alle chiese d'Asia firmando col semplice suo nome, non era un Giovanni qualunque, ma era un uomo ben noto alle chiese della regione le quali ne riconoscevano l'autorità morale e religiosa. Solo il nome di Giovanni apostolo risponde a questi requisiti. L'Asia nel Nuovo T. è sempre l'Asia proconsolare, ossia la provincia romana che abbracciava le regioni occidentali dell'Asia Minore (Frigia, Misia, Caria, Lidia) colle vicine isole del mare Egeo, ed era governata da un, proconsole. Formata nel 130 a. C. era stata completata nel 116 e contava buon numero di città importanti fra cui Efeso e Smirne. Dalla dicitura: alle sette chiese che sono nell'Asia parrebbe che non esistessero in allora nella provincia che le sette chiese nominate in Apocalisse 1:11; invece sappiamo che ve n'erano parecchie altre, per esemp. Mileto e Troas mentovate in Atti 20, Colosse e Laodicea cui Paolo rivolse una lettera, Ierapoli Colossesi 4:13, Tralli e Magnesia mentovate da Ignazio. Perchè sono scelte quelle sette? S'è detto: Perchè erano quelle più specialmente note all'apostolo Giovanni; ma è questa una supposizione poco probabile giacchè alcune fra le tralasciate erano assai più vicine ad Efeso, residenza abituale di Giovanni secondo la tradizione storica, che non fossero per es. Pergamo e Tiatiri. La ragione più probabile va ricercata nel carattere sacro del numero sette che ricorre così spesso nell'Apocalisse, nonchè nella varietà degli stati spirituali offerti da queste chiese, varietà che le rendeva atte a rappresentare le chiese tutte della cristianità.

Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene

Grazia e pace sono il voto ordinario che Paolo manda ai fedeli cui scrive, voto tanto più opportuno nel caso delle chiese d'Asia, delle quali alcune erano turbate da seminatori d'errore e altre stavano per soffrir persecuzione. Giovanni implora su di esse grazia e pace da Dio Padre, dallo Spirito per mezzo del quale Dio agisce nel modo e da Gesù Cristo. Paolo suole implorar grazia e pace da parte di Dio e del Signor G. C.; ma in 2Corinzi 13:13 invoca la grazia del Signor G. C., l'amor di Dio e la comunione dello Spirito S. sopra tutti i cristiani di Corinto. Cfr. la formula del Battesimo prescritta da Gesù Matteo 28:19 Dio Padre è designato con una parafrasi del nome Iahveh, come Colui che è (Io son Colui che sono, o ancora: Io sono Esodo 3:14), l'Ente assoluto, immutabile ed eterno, che era prima di ogni cosa creata, che è stato attivo fin dal principio e attraverso tutte le età passate, che ha manifestato nelle promesse i suoi disegni riguardo all'umanità e ne ha avviata l'esecuzione, e che viene, coll'opera sua costante nel corso della storia e in ispecie col suo intervento nella persona del Figlio per stabilire il suo regno e debellare i suoi nemici. Nel Targum i rabbini chiamano Iahveh: 'Colui che è, che fu, e che sarà', e qualche pensatore pagano (Pausania) è giunto a dir di Giove che era, è e sarà. La pienezza dell'essere, la immutabilità, la eternità sono inseparabili dal concetto di Dio. Giovanni, però, nel definir come fa l'essenza di Dio non si preoccupa di metafisica, ma mira ad uno scopo pratico. Nella essenza immutabile e costantemente attiva di Dio sta la garanzia della fedeltà colla quale Egli veglia in ogni tempo sui suoi e conduce a compimento i suoi disegni d'amore. Col fine analogo di rinsaldar la fede degli Israeliti oppressi, Mosè ricordava loro che il loro. Dio si chiamava Iahveh, Colui che è. Per rispettare l'inviolabilità del nome divino, l'Autore viola qui a bella posta le regole della grammatica conservando il nominativo invece del genitivo.

e dai sette Spiriti che non davanti al suo trono

Alcuni hanno veduto, qui i sette angeli della teologia giudaica, altri semplicemente sette angeli eccelsi come Apocalisse 8:2. Ma gli angeli non sono mai designati come 'spiriti' nell'Apocalisse e sono ripetutamente chiamati i conservi dell'apostolo e dei profeti, quindi non meritevoli di adorazione, la quale spetta a Dio solo Apocalisse 19:10; 22:8-9. Come mai sette di loro sarebbero presentati quali fonte di grazia e di pace al pari di Dio Padre e di Gesù C.? La cosa è tanto inammissibile che il Charles ad esemp. preferisce appigliarsi all'ipotesi disperata dell'interpolazione di questo inciso. Senza ricorrere a soluzioni arbitrarie, notiamo che negli altri luoghi ove si parla dei Sette Spiriti Apocalisse 3:1; 4:5; 5:6 son chiamati 'Spiriti di Dio' il che sembra indicare ch'essi partecipano dell'essenza divina; inoltre sono raffigurati come i 'sette occhi' dell'Agnello, il che indica una unione come a dire organica col Cristo. Sono da lui 'mandati per tutta la terra' il che accenna ad una attività universale, se non addirittura all'onnipresenza. Son raffigurati come 'sette lampade ardenti' davanti al trono di Dio, il che ricorda le sette lampade che ardevano nel luogo santo, e che rappresentavano una pluralità di manifestazioni e di azione procedente da una unica fonte: il candeliere d'oro dai sette rami, il quale potevasi designare, secondo i casi, col singolare 'il candeliere', o col plurale: 'le sette lampade'. Siamo pertanto condotti a ravvisare nei sette Spiriti una designazione simbolica intesa a significare lo Spirito santo nella infinita varietà e pienezza (il numero sette) della sua azione nel mondo e nella Chiesa. Cfr. 1Corinzi 12:4-11. Giovanni sembra aver presenti innanzi agli occhi le visioni riferite in Zaccaria 4.

e da Gesù Cristo il fedel testimone,

s'intende non della sola rivelazione apocalittica come in Apocalisse 1:2 ma dell'intera rivelazione evangelica. Rispondendo a Pilato Gesù stesso, che si è proclamato la luce del mondo, dichiara esser «venuto nel mondo per testimoniare della verità» Giovanni 18:37. La sua testimonianza è fede degna perchè parla di quel che sa e testimonia di quel che ha veduto. Egli è l'Unigenito Figliuolo che ci ha fatto conoscere il Padre Giovanni 3:11; 1:18. Dinanzi al popolo come davanti al Sinedrio giudaico e davanti a Pilato, egli ha proclamato la verità a costo della propria vita.

il primogenito dei morti

Cristo lo è in ordine di tempo, giacchè egli è il primo che sia risuscitato per non tornar più in potere della morte, mentre quelli ch'egli stesso avea risuscitati non erano tornati in vita che per un breve tempo. Egli è perciò chiamato 'la primizia' di tutti coloro che, come lui e perchè uniti a lui, saranno vittoriosi sulla morte. All'idea di primato quanto al tempo va unita l'idea di primato quanto a dignità. 'Egli è il principio, il primogenito dai morti, onde in ogni cosa abbia il primato' Colossesi 1:18.

e il principe dei re della terra.

Il Cristo risorto è salito al cielo ed «è alla destra di Dio, dove angeli, principati e potenze gli son sottoposti» nei cieli, e quanto più sulla terra. La dignità e potenza regale del Messia era prefigurata e predetta nell'Ant. Test. Salmi 2; 89:27; Isaia 11; Geremia 23; Daniele 7:13-14. «Gli fu data la potenza e la gloria ed il regno; tutti i popoli, nazioni e lingue devono servirlo; la sua signoria è una signoria eterna che non trapasserà...». Cfr. Matteo 28:18. Come testimone della verità Gesù può impartire alle chiese la grazia d'esser fedeli alla verità; come primogenito dai morti egli può dare ai suoi martiri la grazia della vita che trionfa della morte; e come principe dei re della terra dare alla sua Chiesa la grazia di non venir meno di fronte agli assalti delle potenze avverse, sapendo che il Cristo trionferà di tutto.

La menzione di Cristo testimone della verità, vincitore della morte, sedente alla destra di Dio, trae dal cuore di Giovanni un inno di riconoscenza e di lode a Colui che si è abbassato fino alla morte per liberar noi dai nostri peccati e trarci in alto con se.

A lui che ci ama,

che ci ha amati, come portava il testo ordinario, e non cessa di amarci, come indica il presente del testo emendato,

e ci ha liberati dai nostri peccati col suo sangue

cioè mediante l'espiazione da lui compiuta colla sua morte. Non è facile decidere quale sia da preferire delle due lezioni offerte dai manoscritti: λυσαντι: che ci ha liberati o sciolti, e λουσαντι: che ci ha lavati. La prima poggia sui msc più autorevoli ed antichi (A C alef) e rappresenta il peccatore come avvinto dalle catene del peccato, sottoposto alla condanna ed alla schiavitù di esso; la seconda lo rappresenta contaminato dalla sozzura del peccato e purificato dalla virtù espiatrice e santificante del sacrificio di Cristo. Nella 1Giovanni 1:7 si legge: «e il sangue di Gesù suo Figliuolo ci purifica da ogni peccato». Dei redenti si legge Apocalisse 7:14 che «hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell'Agnello». Cfr. Giovanni 13:8-10; 1Corinzi 6:11; Efesini 5:26. Nell'A.T. è frequente l'immagine dell'abluzione come simbolo di perdono e di santificazione Ezechiele 36:25. L'idea fondamentale è la stessa nelle due immagini.

e ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti all'Iddio e Padre suo,

Non solo Cristo ci ha tratti dallo stato miserando di schiavitù (o di sozzura) in cui ci aveva ridotti il peccato, ma unendoci a se ci ha portati in uno stato glorioso: ci ha fatti membri del regno di Dio, di quel regno ch'è composto di sacerdoti, cioè di persone che si accostano liberamente a Dio per offrirgli i loro corpi in sacrifizio vivente Romani 12:1, per presentargli le loro preghiere e le loro intercessioni. All'Israele antico Dio avea detto: «Se osservate il mio patto, voi sarete per me un regno di sacerdoti, una nazione santa» Esodo 19:6; questa promessa si adempie, mercè l'opera di Cristo, nell'Israele secondo lo spirito 1Pietro 2:5-10. I redenti cantano: «Hai comprato a Dio, col tuo sangue, gente d'ogni tribù.., e ne hai fatto per il nostro, Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra» Apocalisse 5:9-10. Nella loro unione con Cristo, il Sommo Sacerdote eterno, i credenti son tutti sacerdoti e partecipano tutti ugualmente alla sua gloria regale, poichè regneranno per sempre con lui Apocalisse 3:21; 2:26-27; 20:6; 22:5; Daniele 7:27.

a lui siano la gloria e l'imperio nei secoli dei secoli. Amen.

Egli è degno di averli e li avrà. La sua gloria e la sua potenza sono per ora velate come da una nuvola; ma presto appariranno, in tutto il loro splendore.

E il veggente che ha contemplate le visioni descritte nel libro, esclama come se già vedesse il Cristo nella gloria della sua seconda venuta:

Ecco, egli viene colle nuvole

che sono come il carro del re quando viene ad esercitare il giudicio. Nel discorso escatologico di Gesù Matteo 24:30 si legge: «Allora apparirà nel cielo il segno del Figliuol dell'uomo; ed allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio, e vedranno il Figliuol dell'uomo venir sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria», Cfr. Daniele 7:13. Il presente 'egli viene' può esprimere l'imminenza della venuta, secondo la parola di Apocalisse 22:7: «Ecco io vengo tosto»; ovvero può contener l'idea di un venir costante nel corso della storia, idea che trovasi nella dichiarazione solenne di Cristo davanti al Sinedrio: «... Vi dico che da ora innanzi vedrete il Figliuol dell'uomo sedere alla destra della Potenza e venir sulle nuvole del cielo (greco: sedente... e vegnenteMatteo 26:64. Ogni intervento segnalato del Re celeste è un venire che prepara e preannunzia la sua Venuta finale per glorificare i suoi e distruggere fin l'ultimo dei suoi nemici.

e ogni occhio lo vedrà;

poichè la sua apparizione non sarà di natura invisibile, come taluni credono;

lo vedranno anche quelli che lo trafissero

si tratta dei Giudei nemici i quali, per mezzo dei soldati pagani, gli forarono le mani e i piedi e gli trafissero il costato con una lancia, come narra Giovanni stesso nel Vangelo Giovanni 19:37, ricordando un passo di Zaccaria da lui tradotto dall'ebraico in modo diverso dai LXX e al modo stesso che incontriamo qui.

e tutte le tribù della terra faranno cordoglio per lui. Sì, amen.

Il profeta Zaccaria 12:10 predice che gli Israeliti volgeranno un giorno lo sguardo verso Colui che han trafitto e verseranno per il peccato commesso amare lagrime di pentimento. Qui il pensiero è allargato; non Israele soltanto, farà cordoglio in occasion della venuta del Giudice, ma tutte le tribù della terra, le quali saranno state invitate ad accogliere il Cristo come Salvatore; e i segni del cordoglio non saranno soltanto segni di pentimento, ma di terrore e di disperazione Apocalisse 6:16-17 da parte di coloro che l'avranno respinto. Col greco rispondente all'amen ebraico, Giovanni esprime ad un tempo la sua convinzione che così è giusto che avvenga e il suo sospiro verso il regno che il Cristo viene a stabilire.

Io son l'Alfa e l'Omega, dice il Signor Iddio che è, che, era e che viene, l'Onnipotente.

Queste parole sono come il suggello di Dio alla proclamazione di Apocalisse 1:7. L'Iddio ch'è il principio di ogni cosa, che ha creato il mondo, sarà anche la fine, cioè colui che chiuderà il ciclo della storia, e colla sua onnipotenza condurrà a compimento ogni suo disegno. L'alfa è la prima e l'omega l'ultima lettera dell'alfabeto greco; il senso è quello espresso dalla chiesa non autentica qui, ma che si legge Apocalisse 21:6; 22:13: il primo e l'ultimo, 'il principio e la fine'. Gli Ebrei esprimevano anch'essi l'idea di totalità col dire dall'alef al tau, la prima e l'ultima lettera del loro alfabeto. La parola παντοκρατωρ (onnipotente o dominator di ogni cosa) è quella usata talvolta dai LXX per render l'ebraico Iahveh Tsebaoth, l'Eterno degli eserciti.

AMMAESTRAMENTI

1. I primi versetti, ci fanno conoscere la natura del libro dell'Apocalisse, ed il suo scopo. Esso non è il frutto semplicemente delle meditazioni dell'apostolo relegato in Patmo, non è il prodotto delle sue personali congetture sull'avvenire della Chiesa, non è un centone di frammenti apocalittici raccolti e cuciti insieme da un autore ignoto; ma è una rivelazione fatta da Cristo al suo servo Giovanni per via di visioni simboliche. È moralmente impossibile che Giovanni abbia dato come rivelazione di Cristo, come «parole fedeli e veraci» le sue congetture personali. «Lo spirito di menzogna, nota F. Godet, è incompatibile coll'alito divino di santità e di verità che pervade tutte le pagine dell'Apocalisse». Come, allorchè stava per cessare la rivelazione in seno all'antico Israele, Dio concesse a Daniele delle visioni atto a gettar luce sui tempi difficili che dovevano scorrere fino alla venuta del Messia, così sullo scorcio del secolo apostolico, Dio volle dare una rivelazione che rischiarasse l'aspra via della sua Chiesa durante i secoli che dovean precedere la seconda Venuta di Cristo. L'Apocalisse non mira ad appagar la curiosità dei credenti, ma come la profezia biblica in genere, essa ha per iscopo di dare salutari avvertimenti di fronte ai pericoli, e conforto di speranza sicura in mezzo alle prove. Più volte, durante il suo ministerio, Gesù predisse ai suoi discepoli che incontrerebbero odio e persecuzione, e ciò egli fece onde non fossero scandalezzati quando la cosa avverrebbe. Qui abbiamo un, quadro più completo degli sforzi di Satana e del mondo, contro al regno di Dio; ma il libro termina descrivendo il trionfo completo di Cristo su tutti i suoi nemici.
S'intende quindi che venga proclamato beato chi legge o beati quelli che ascoltano e serbano le parole di un tal libro. «Quale errore grave per dei cristiani, scrive il Kelly, il ritenere, di fronte a una simile dichiarazione, inutile il libro o per lo meno una parte di esso e il metterlo tranquillamente da, parte come troppo difficile ad intendersi o, se lo si comprende, come privo d'influenza sulla vita pratica. A veder come sia specialmente raccomandato, sembra che il Signore abbia voluto prevenire coi suoi avvertimenti la negligenza, con cui sarebbe trattato il libro... Fatto sta ch'Egli, non ostante il disprezzo degli uni e le interpretazioni erronee degli altri, non ha mai cessato di renderne benefica la lettura, specialmente nei tempi più calamitosi». La veduta ch'esso apre ai cristiani sul corso del regno di Dio, li ha aiutati a lavorare, a soffrire ed anche a morire per la causa di Cristo.

2. All'infuori della formula trinitaria che incontriamo Matteo 28:19; 2Corinzi 13:13, abbiamo in Apocalisse 1:4-8 sotto altra forma, lo stesso insegnamento circa la Trinità. Il Padre è Colui che era, che è e che viene, l'Ente assoluto, eterno, il principio d'ogni cosa, l'onnipotente compitor dei suoi disegni, l'alfa e l'omega; il Figlio partecipa all'essenza divina poichè, se non qui in Apocalisse 1:17; 2:8; 22:13 egli è chiamato al pari del Padre, 'il primo e l'ultimo', 'l'alfa e l'omega'; egli nella sua incarnazione è divenuto il Profeta supremo, il testimone fedele della Verità, è divenuto colla sua morte espiatoria il Sommo Sacerdote che ha col proprio sangue purificato il suo popolo dai lor peccati; colla sua risurrezione, ascensione, e sessione alla destra del Padre egli ha vinto la morte ed ha preso possesso del regno, innalzando i suoi alla dignità di sacerdoti di Dio e di re. Verrà nella sua gloria a giudicare il mondo. Lo Spirito santo è presentato nella varietà e perfezione della sua attività nel mondo. È dolce al credente che si sente debole, che trascorre la vita. fuggevole in mezzo agli assalti nemici, abbandonarsi nelle mani dell'Eterno, dell'Onnipotente, affidar la propria sorte all'amore costante di Colui che versò il suo sangue per liberarlo dai suoi peccati e innalzarlo fino a Dio.

3. 'Ogni occhio lo vedrà'. 'Tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Cristo'. I sentimenti che la Venuta gloriosa di Cristo desterà negli uomini, dipenderanno dal modo in cui sarà stato accolto il Cristo quando faceva giungere ai peccatori il suo messaggio: «Ravvedetevi e credete all'evangelo». «Venite a me voi tutti che siete stanchi e carichi ed io vi darò riposo». «Quelli che piangono ora sui loro peccati» e ricevono con fede il Salvatore, non avranno da far cordoglio nel gran giorno e saluteranno con gioia il loro Liberatore; essi 'amano la sua venuta' e sospirano: 'Vieni Signor Gesù' Apocalisse 22:20!

Sezione Seconda. Apocalisse 1:9-20. LA VISIONE DI CRISTO IN MEZZO AI CANDELABRI

Come gli antichi profeti narrano le circostanze in cui Dio li ha chiamati a parlare al popolo in nome suo, così Giovanni espone in quali circostanze il Cristo vivente gli ha fatto le rivelazioni consegnate nel suo libro: quelle anzitutto relative alle sette chiese d'Asia, poi quelle relative alle sorti future del popolo di Dio. Resta così giustificato il titolo del libro: 'Rivelazione di Gesù Cristo'.

Io, Giovanni, vostro fratello e partecipe con voi della tribolazione, del regno e della costanza in Gesù,

È la terza volta che Giovanni, ad autenticare la profezia apocalittica, declina il suo nome e lo farà una quarta volta in Apocalisse 22:8: «Io Giovanni son quello che udii e vidi queste cose». Così, prima di lui e con identica forma, avea fatto l'autore dell'Apocalisse dell'Antico Testamento, Daniele: Quant'è a me, Daniele' - 'Io Daniele ebbi una visione... ' (Daniele 7:28; 8:1; 9:2; 10:2 ecc.). Alieno com'è dal mettere innanzi il suo titolo d'apostolo, Giovanni, dovendo rivolgersi a delle chiese tribolate e parlar loro di future tribolazioni, preferisce chiamarsi loro fratello e partecipe fin d'ora della tribolazione che attende ogni credente quaggiù, secondo la parola del Maestro: 'Voi avrete tribolazione nel mondo' (Giovanni 16:33; Cfr. Atti 14:22; 2Timoteo 2:12; Colossesi 1:24). Giovanni, come accenna nel v. seguente, si trovava infatti relegato nell'isola di Patmo per ordine dell'imperatore Domiziano. Ma se ha parte alle afflizioni, egli sa che sarà un giorno partecipe del regno, cioè della gloria e del potere regale di Cristo. In Apocalisse 3:21 Cristo stesso dice: «A chi vince io darò di seder meco sul mio trono.» Vi è invero una condizione senza la quale il credente non giunge al regno ed è la costanza nel portar la propria croce. Il testo emend. parla di tribolazione, di regno, e di costanza in Gesù ch'è quanto dire nell'unione nostra con Gesù. Lamentazioni tribolazione in Gesù è quella a cui sono esposti i cristiani per cagion della loro fede, o per il nome di Gesù; il regno in Gesù è quello cui saranno innalzati come membra di Cristo e la costanza in Gesù è il paziente perseverare nella fede anche in mezzo alle prove, stando uniti a Gesù. «Certa è questa parola, scrive Paolo, che se muoiamo con lui, con lui anche vivremo; se abbiam costanza nella prova, con lui altresì regneremo; se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà» 2Timoteo 2:12.

ero nell'isola chiamata Patmo, a motivo della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.

Patmo chiamata anche Palmosa e Patino è un'isoletta rocciosa, senza importanza, quasi senza abitanti, situata nel gruppo delle Sporadi ad ovest della costa dell'Asia. Plinio attesta che i Romani ne avevano fatto una colonia penale. E quelli che vi erano confinati dovevano lavorare nelle miniere o nelle cave di marmo. Gli scrittori ecclesiastici del secondo secolo riferiscono che l'apostolo Giovanni vi era stato relegato a motivo della sua fedeltà e del suo zelo nel predicar la parola di Dio e in ispecie nel render testimonianza a Cristo qual Figliuolo di Dio e Salvatore del mondo. In Apocalisse 20:4 si parla di quelli che sono stati decollati «per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio». Si tratta nei due passi non della testimonianza resa da Gesù come ad esemp. Apocalisse 1:2, ma della testimonianza resa intorno a Gesù. Cfr. Atti 1:8. La rivelazione di Patmo è stata fatta a un apostolo perseguitato, per esser comunicata anzi tutto a delle chiese esposte a dure prove ed è stata nel corso dei secoli sempre meglio compresa e più apprezzata dai cristiani tribolati come furono ed esemp. i Valdesi, gli Ussiti, gli Ugonotti ecc.

10 Fui rapito (lett. fui) in ispirito.

L'espressione (Cfr. Apocalisse 4:2; 21:10) non vuol dir soltanto che fu ispirato, ma che, sotto l'influenza dello Spirito di Dio, egli fu elevato in uno stato in cui lo spirito suo soltanto, ossia l'organo superiore atto a percepir le cose divine, si trovava attivo, mentre il corpo ed i sensi erano come in istato di letargia. Un tale stato è chiamato altrove nel N.T. l'estasi che vale propriamente un 'esser fuori' dello stato normale, cosciente. Così di Pietro si narra Atti 10:10 che «fu rapito in estasi e vide il cielo aperto...» e Paolo, parlando delle visioni e rivelazioni avute, dice, 2Corinzi 12:2, che fu rapito fino al terzo cielo, ma non sa dir se «col corpo o senza il corpo». Cfr. altro esempio di estasi Atti 17:17-18.

nel giorno del Signore

ossia nel giorno consacrato al Signor Gesù perchè ne ricorda la risurrezione. Non si tratta della festa di Pasqua ma della Domenica, dies dominicalis, che gradatamente nel secolo apostolico prese, presso ai cristiani, il posto del sabato giudaico come giorno di riposo e di culto. È questa la prima volta che s'incontra, nella letteratura cristiana, il nome di Domenica che poi prevalse; ma negli Atti 20:7 vediamo in Troas i cristiani «radunati nel primo giorno della settimana per rompere il pane», e nella 1Corinzi 16:2 Paolo consiglia ai Corinzi di metter da parte «ogni primo giorno della settimana» quel che potranno per i poveri di Gerusalemme. Nel secondo secolo si legge nella Didachè 14:1. 'Radunati nella Domenica del Signore, rompete il pane'. Nell'Ep. d'Ignazio ai Magnesi: 'Non osservando più il sabato, ma la domenica in cui anche sorse la Vita nostra'. Melitone di Sardi ha scritto un trattato intitolato, secondo Eusebio, 'Della Domenica'; Dionisio di Corinto la chiama 'il santo giorno del Signore' e nell'Ep. di Barnaba si dice dei cristiani che 'trascorrono l'ottavo giorno nell'allegrezza, poichè in esso Gesù risuscitò dai morti'. Tertulliano afferma che 'nel giorno del Signore (die dominico) i cristiani non credono permesso il digiuno'.

e udii dietro a me una gran voce come d'una tromba!

La voce squillante e chiara sarebbe quella d'un angelo, secondo alcuni; ma il seguito e specialmente Apocalisse 1:19 inducono a credere che sia la voce del Cristo stesso e non si può dire che a ciò si opponga Apocalisse 4:2 ove la stessa voce chiama come qui il Veggente a contemplare una visione in cui figura il Cristo stesso. L'espressione ricorda Ezechiele 3:12.

11 
che diceva: Quel che tu vedi, cioè, che stai per vedere, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea.

Il libro è l'Apocalisse per intero, non le sole lettere di Apocalisse 2-3 che non contengono la visione delle cose a venire Apocalisse 1:1,19. Il libro ha dovuto essere scritto in Patmo stessa sotto l'impressione immediata delle rivelazioni ricevute. Le chiese sono enumerate seguendo una linea che va dal Sud al Nord fino a Pergamo e poi volge dal Nord al Sud fino a Laodicea. «È molto probabile, nota il Bonnet, che quelle chiese furono scelte a quel modo perchè ciascuna di esse formava un centro in mezzo ad altre chiese... o si trovava in uno stato religioso che la rendeva atta a rappresentare taluni tratti permanenti della Chiesa cristiana; in guisa che, insieme riunite, esse ne offrono, per tutti i tempi, un'immagine fedele.» «Il numero sette indica qui, come sempre, una totalità: ma si tratta, secondo il pensiero del libro, d'una, totalità simultanea e non successiva come vogliono quelli che vedono nelle sette chiese la rappresentazione delle fasi principali della storia della Chiesa» (Godet).

12 E io mi voltai per veder qual fosse la voce che mi parlava.

Lett. veder la voce che... la voce essendo presa per la persona da cui procede.

e come mi fui voltato, vidi sette candelabri d'oro

Nel luogo santo dell'antico Tabernacolo c'era un candelabro d'oro, dal cui tronco si partivano tre bracci a destra e tre a sinistra. Le sette lampade così ottenute simboleggiavano probabilmente la missione d'Israele. Qui i candelabri sono separati perchè ciascuno rappresenta, come dirà in Apocalisse 1:20, una chiesa locale. Gesù avea detto ai suoi: 'Voi siete la luce del mondo... non si accende una lampada per metterla sotto il moggio; anzi la si mette sul candeliere...' Matteo 5:14-15. E Paolo esortando i Filippesi a tenere una condotta irreprensibile in mezzo a una generazione corrotta, aggiunge: «nella quale voi risplendete come luminari nel mondo tenendo alta la Parola della vita». Tale è la missione d'ogni chiesa cristiana, missione gloriosa come l'indica il fatto che sono d'oro i candelieri.

13 e in mezzo ai candelabri Uno somigliante a un figliuol d'uomo,

Nelle sue visioni, Daniele vede venir sulle nuvole l'uno simile ad un figliuol d'uomo, al quale è dato il regno che non trapassa Daniele 7:13. L'espressione qui si applica non ad un angelo, come stimò Bossuet, ma al Cristo stesso divenuto simile all'uomo in ogni cosa salvo nel peccato, abbassatosi fino alla morte ed ora glorificato d'una gloria di cui danno una qualche idea i simboli che seguono:

vestito d'una veste lunga fino ai piedi e cinto d'una cintura d'oro all'altezza del petto.

La veste talare di lino è segno esterno in Oriente di alta dignità. In Apocalisse 15:6 sette angeli escon dal tempio «vestiti di lino puro e risplendente e col petto cinto di cinture d'oro». I sacerdoti ed i re indossavano la veste talare. La cintura d'oro era usata dai re. In Daniele 10:5 l'angelo che parla con Daniele è vestito di lino ed ha sui fianchi una cintura d'oro fino di Ufaz. Il Cristo che fa dei suoi redenti dei sacerdoti e dei re è egli stesso il Sacerdote ed il Apocalisse perfetto ed eterno. Egli è il Capo invisibile ma sempre presente della sua Chiesa Matteo 28:20: la conosce a fondo, la conforta, la protegge, la guida, la corregge ed anche la castiga e giudica. Perciò è rappresentato come stando in mezzo ai candelabri e camminante fra loro Apocalisse 2:1.

14 E il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come candida lana, come neve;

Il capo è qui la parte coperta dai capelli, giacchè il volto è nominato a parte Apocalisse 1:16. Sul significato di questo simbolo gl'interpreti non sono d'accordo. Tutti ricordano che in Daniele 7:9 l'Antico dei giorni, quando si pone a seder sul trono, è descritto con immagini analoghe: 'il suo vestimento era candido come neve e i capelli del suo capo simili a lana netta'; ma gli uni vedono qui l'emblema della santità di Cristo, altri della sapienza, e altri ancora dell'eternità ch'è l'attributo divino raffigurato in Daniele ove Dio è chiamato 'l'Antico dei giorni'. Certo si è che in Apocalisse 1:17; 2:8 Cristo chiama se stesso «il primo e l'ultimo» come in Apocalisse 22:13 si chiama 'l'Alfa e l'omega'. Nel Vangelo Giovanni 1:1, Giovanni scrive: «Nel principio era la Parola e la Parola era con Dio o la Parola era Dio».

e i suoi occhi erano come una fiamma di fuoco;

emblema della onniscienza che tutto investiga e tutto penetra, nei cuori e nelle chiese, e che denunzia e folgora tutto ciò che non è santo e buono. L'emblema è ripetuto nella lettera alla chiesa di Tiatiri Apocalisse 2:18, di cui Cristo conosce le opere, loda il bene e punirà il male, «e tutte le chiese, aggiunge Apocalisse 1:23, conosceranno che io son colui che investigo le reni e i cuori e darò a ciascun di voi secondo le vostre opere».

15 e i suoi piedi eran simili a terso rame, arroventato in una fornace.

La derivazione e il senso esatto del greco calcolibano restano incerti. Gli uni lo considerano come una specie d'incenso, ma l'incenso non si mette nella fornace; altri come una lega d'argento e d'oro, e altri con maggior probabilità, date le analogie con Daniele 10:6; Ezechiele 1:4; 7:27; 8:2, come una specie finissima di rame rovente e scintillante. In Apocalisse 10. si legge d'un angelo potente che «i suoi piedi erano come colonne di fuoco». In tutta la persona splende la gloria del Figliuol dell'uomo.

e la sua voce era come la voce di molte acque

cioè come l'alto fragore delle onde del mare. Quando Ezechiele (Ezechiele 43:2 ebraico) contempla la gloria del Dio d'Israele, egli dice: «La sua voce era come il romore di grandi acque e la terra era illuminata dalla sua gloria». Il tuono è chiamato nell'A.T. la voce dell'Eterno Salmi 29; Giobbe 37:2-5; Isaia 30:30:31. L'immagine è atta a dare un'idea della potenza gloriosa di Colui al quale ogni potestà è data nel cielo e sulla terra.

16 Ed egli teneva (lett. aveva) nella sua man destra sette stelle

le quali secondo Apocalisse 1:20 rappresentano gli angeli delle sette chiese. Il tenerli nella mano è simbolo di potere assoluto su di essi, sia che si tratti di dar loro degli ordini, o di proteggerli, o di rivolger loro rimproveri e minacce.

e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, acuta.

Il deutero-Isaia esclama Isaia 49:2: 'Ha resa la mia bocca simile ad una spada acuta' e nell'Ep. agli Ebrei 4:12 si legge che «la parola di Dio è vivente ed efficace, e più affilata di qualunque spada a due tagli e penetra fino alla divisione dell'anima e dello spirito... e giudica i sentimenti ed i pensieri del cuore». Nella descrizione del Re-messia in Isaia 11:4 è detto che giudicherà i poveri con giustizia, ma «percoterà la terra colla verga (nella LXX: colla parola) della sua bocca e ucciderà l'empio col soffio delle sue labbra». La spada che esce dalla bocca di Cristo rappresenta qui la parola di verità e di santità colla quale egli, taglia nel vivo delle magagne delle chiese, come ad esemp. nelle lettere che seguono; rappresenta pure le giuste sentenze ch'egli pronunzia ed eseguisce con potenza sopra i suoi nemici. Alla chiesa di Pergamo dice: «Ravvediti dunque; se no verrò tosto a te e combatterò contro a loro (i Nicolaiti) con la spada della mia bocca». In Apocalisse 19:21 è detto dei seguaci della bestia che «furono uccisi con la spada che usciva dalla bocca» del Fedele e Verace il cui nome è: la Parola di Dio.

e il suo volto era come il sole quando splende nella sua forza.

Che la parola οψις qui usata possa significare il volto è provato dal passo Giovanni 11:14 ove si parla del volto di Lazzaro. Quando Gesù fu trasfigurato «la sua faccia risplendè come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce» Matteo 17:2. Era quella una fugace anticipazione della gloria permanente ch'egli ora possiede e che l'occhio mortale non può contemplare. Il sole splende nella sua forza nelle ore centrali d'una giornata senza nubi.

18 E quando l'ebbi veduto caddi ai suoi piedi come morto;

Giovanni, il discepolo che Gesù amava, era stato in relazione intima col Maestro; ma il contemplarlo ora nello splendore della sua gloria celeste, oltrepassa le forze della sua natura terrena ed egli cade tramortito e preso dal timore che assale la creatura peccatrice in presenza di Dio. Così Daniele quando gli appare Gabriele, impallidisce, perde ogni forza e cade a terra (Daniele 10:8-11. Cfr. Ezechiele 1:28; 3:23; Isaia 6 ecc.).

ed egli mise la sua man destra su di me, dicendo: Non temere;

Così avea fatto l'angelo a Daniele; e il Salvatore stesso, quando alla trasfigurazione, presi da gran timore i discepoli eran caduti a terra, si era accostato, li avea toccati dicendo: Levatevi, non temete Matteo 17:6-8. Col toccare il suo vecchio servitore, il Cristo gli comunica nuove forze fisiche; col dirgli: 'Non temere', infonde coraggio nell'animo di lui. Cfr. Daniele 10:19: 'Non temere, uomo gradito, pace sia teco, fatti animo, fatti animo'. Giovanni è chiamato a ricever rivelazioni tremende intorno alle future tribolazioni del popolo di Dio; ma troverà conforto nel pensiero che Cristo è il Apocalisse eterno, il Vivente, il padrone della morte.

Io sono il primo e l'ultimo

«In lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili..., tutte le cose sono state create per mezzo di lui ed in vista di lui ed egli è avanti ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui». Così Paolo ai Colossesi 1:16-17. In Isaia 44:6; 48:12 ebraico, l'Eterno è chiamato il primo e l'ultimo. Il Figliuol di Dio partecipa all'essenza divina e come tale è al principio di tutte le cose e sarà anche l'ultimo cioè sussisterà immutato quando saranno stati inabissati tutti i suoi nemici, quando i cieli e la terra attuali saranno passati ed egli avrà compiuto interamente il disegno di Dio.

19 e il Vivente, e fui morto, ma ecco son vivente per i secoli dei secoli,

Il Cristo possiede la vita assoluta, divina, al pari del Padre. Nell'A.T. Jahveh è chiamato spesso l'Iddio vivente e la forma usuale del giuramento è: 'Com'è vero che l'Eterno vive...'. È vero che Cristo colla sua incarnazione si sottopose alla morte fisica per amore degli uomini e Giovanni l'avea veduto pender dalla croce; ma la vita ha trionfato della morte colla risurrezione, talchè ora, nella sua persona glorificata di uomo-Dio, egli possiede una vita che non è più soggetta alla morte, una vita ch'egli può comunicare alle membra del suo corpo mistico Giovanni 14:19.

e tengo le chiavi della morte e del soggiorno dei morti.

Il tener le chiavi che aprono e chiudono un luogo equivale ad esserne il padrone Isaia 22:22. Morte e Hades o soggiorno dei morti, esprimono lo stesso concetto. Si parla delle porte della morte in Giobbe 38:17; Salmi 9:13; delle porte dell'Hades in Matteo 16:16; Isaia 38:10. Cristo non apre le porte della morte ai suoi prima che abbiano compiuta l'opera ad essi assegnata. Egli è entrato nell'Hades da vincitore per predicare agli spiriti la Redenzione compiuta (1Pietro 3:18...); egli ne trarrà a suo tempo i redenti che avranno parte alla prima risurrezione Apocalisse 20:4-6; e alla risurrezione universale la morte e lo Hades dovranno rendere i loro morti e saranno inabissati per sempre Apocalisse 20:13-14.

20 Scrivi dunque,

così fortificato,

le cose che hai vedute,

cioè la visione ora contemplata,

e quelle che sono,

ossia lo stato presente delle chiese e del mondo quale risulta dalle lettere alle sette chiese. I profeti dell'A.T. hanno sempre avuto che fare collo stato attuale del popolo al quale comunicavano la rivelazione divina.

e quelle che devono avvenire in appresso

e che ti saranno mostrate nelle visioni che seguiranno (Apocalisse 6-21).

il mistero delle sette stelle che hai vedute nella mia destra e dei sette candelabri d'oro.

È più semplice il far dipendere queste parole dal verbo: 'Scrivi' che il farne il principio di una nuova frase, quasi dicesse: 'Quanto al mistero... le sette stelle sono...'. Mistero vale qui: il senso recondito, segreto dei simboli contemplati. In genere indica nel N.T. una cosa che l'intelligenza umana non può scoprirà o capire da se, e che ha bisogno di esser rivelata, o spiegata.

Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese e i sete candelabri sono le sette chiese.

Lasciando da parte interpretazioni di minor valore circa il senso da dare agli angeli delle chiese, restano in presenza due opinioni principali: quella che vede negli angeli degli spiriti celesti alle cure dei quali ciascuna chiesa sarebbe affidata, e quella che vede negli angeli delle chiese i conduttori umani di esse. Si fanno valere in favor della prima opinione il fatto che altrove nell'Apocalisse gli angeli sono sempre degli spiriti celesti, il fatto che Gesù ha parlato, Matteo 18:10, di angeli preposti a custodia dei bambini (Cfr. Atti 12:15), che in Daniele 10:21; 12:1 si parla di angeli protettori di popoli, il che lascia supporre che possano esserlo anche delle chiese. Si obietta tuttavia che la cosa non trova conferma in alcun passo del N.T.: che Giovanni riceverebbe l'ordine di scrivere ad uno spirito celeste cose destinate alla chiesa della vicina Efeso, a quella di Smirne, ecc., il che appare strano. Inoltre non di vede come un angelo potrebbe esser tenuto responsabile dei mali esistenti in una chiesa, invitato a pentirsi, o esortato a rimaner fedele 'fino alla morte'. In favore dell'opinione secondo la quale gli angeli delle chiese designano i conduttori di esse, si chiamino essi vescovi o presidenti del consiglio degli anziani, stanno le seguenti ragioni: I sovrintendenti delle chiese occupano di fronte ad esse una posizione di autorità significata dal simbolo della stella e sono i naturali rappresentanti delle chiese cui sono preposti. La loro responsabilità circa lo stato di esse è innegabile e grande, per quanto necessariamente limitata. Cfr. le lettere di Paolo a Timoteo e il suo discorso agli anziani-vescovi-pastori di Efeso in Atti 20. cfr. 1Pietro 5. Quanto al nome di angeli ossia inviati, si osserva che in Ecclesiaste 5:5 si chiama 'inviato' il sacerdote, in Aggeo 1:13; Malachia 3:1 si chiamano angeli o inviati dell'Eterno il profeta Aggeo e il Precursore. Pietro chiama 'vostri apostoli' coloro che avevano annunziato il Vangelo ai lettori della sua epistola 2Pietro 3:2; non deve dunque parer strano che in un libro come l'Apocalisse siano chiamati stelle e angeli gli uomini che Cristo manda alle chiese per recar loro il messaggio del Vangelo e che, in seno ad esse, devono far brillar la luce della verità colla loro parola e col loro esempio. Le chiese stesse son raffigurate come candelabri perchè hanno da Dio la missione di concentrare e di far risplendere dinanzi al mondo la luce spirituale.

AMMAESTRAMENTI

1. Col relegare l'apostolo Giovanni nell'isolotto di Patmo, l'autorità pagana ha creduto di troncare la sua attività religiosa nell'Asia proconsolare; invece, il re celeste si è valso di quest'esilio per allargare oltremodo la cerchia di quell'attività. Non solo Giovanni scriverà ancora alle chiese d'Asia, ma riceverà delle rivelazioni che serviranno a istruire, a confortare, a confermare nel corso di molti secoli le chiese del mondo intero. Così Dio sa trarre il bene dal male.

2. Le circostanze in cui il Veggente di Patmo ricevette le rivelazioni consegnate nell'Apocalisse posson dare degli utili suggerimenti a chi voglia crescere nella conoscenza e nell'intelligenza dei disegni di Dio.
Giovanni è relegato perchè è stato fedele nel testimoniar di Cristo. Chi è fedele nella parte dell'opera affidatagli, sarà in grado di comprender sempre meglio il piano generale di Dio.
Giovanni ha studiato con cura i profeti dell'Ant.T.; ha meditato le dichiarazioni profetiche di Gesù ai suoi discepoli. Il suo linguaggio è pieno di ebraismi, saturo di allusioni a istituzioni, a fatti, a figure, a promesse dell'Ant.T. Lo studio delle profezie anteriori ha preparato l'apostolo a ricever le nuove che riassumono, chiariscono e completano le antiche. Senza lo studio delle Sacre Scritture i disegni di Dio quali si svolgon nella storia restano un mistero impenetrabile.
Sullo scorcio del secolo apostolico, Giovanni medita sullo stato della Chiesa cristiana. La persecuzione di Nerone è passata da tempo; ma l'autorità pagana si mostra sempre più avversa ai cristiani; le chiese sono qua e là invase da errori o cadute nell'indifferenza. Che ne sarà della Chiesa di Dio? delle promesse di Cristo? La sua venuta è ella imminente? A cotali angosciose preoccupazioni rispondono le visioni concessegli. Chi è più preoccupato di sè che delle sorti del regno di Dio, non è in condizione di comprendere i disegni divini.
Giovanni è rapito in ispirito nel giorno del Signore, nel giorno che ricorda la risurrezione, che è consacrato al riposo, alle pie meditazioni, all'adorazione, alla preghiera. Daniele Daniele 9 e Paolo Atti 22:17 han ricevuto comunicazioni divine mentre erano in preghiera. Chi non trascura il giorno del Signore e vive in comunione con Dio, è in contatto colla luce e ne avrà illuminati e la mente e il cuore.

3. Nè Cristo nè gli apostoli hanno scorta alcuna contraddizione tra la seconda venuta gloriosa, visibile di Cristo e la sua costante presenza invisibile in seno alla Chiesa. «Ecco egli viene... ogni occhio lo vedrà», dice Apocalisse 1:7; e la visione Apocalisse 1:12-20 lo descrive come il Vivente che cammina invisibile in mezzo alle, chiese, che penetra col suo sguardo oltre le apparenze e le forme fino in fondo ai cuori, attivo sempre nell'incoraggiare il bene, nel confortare, nel riprendere ed anche nel punire. Non di un vicario visibile di Cristo ha bisogno la Chiesa; bensì di ricordare sempre il glorioso, per quanto invisibile, Presente, per ascoltar la sua voce, ubbidire ai suoi comandi, per temerlo ed amarlo come colui che morì per noi e ci vuol far partecipi della sua gloria ineffabile.

4. Come il candelabro riceve la luce e la fa risplendere davanti a tutti, così la Chiesa deve attingere la verità dalle Sacre Scritture e dalla comunione col Cristo luce del mondo, e la deve professare nella sua purezza, non tenerla nascosta al popolo, ma insegnarla ai piccoli ed ai grandi e recarla fino alle estremità della terra. In seno alle chiese hanno speciale ufficio e responsabilità i conduttori che come stelle devon brillar di luce più viva mediante una conoscenza più profonda della Rivelazione e mediante una vita che sia di esempio agli altri. Sono infatti servi di Cristo in senso particolare: stanno nella sua mano, a sua disposizione.