1 §3 - Lo stato di grazia in Cristo assicura al credente l'abitazione dello Spirito che comunica la vita, ed è arra della gloria a cui Dio ha destinati i suoi figli (Romani 8)
Dopo aver affermato Romani 6:1-14 che l'entrata, per fede, nello stato di grazia implica un morir al peccato ed un risuscitare a vita nuova; dopo aver dimostrato come lo stato di grazia implichi una volontaria sottomissione alla giustizia ed una intima appartenenza al Cristo vivente, mentre lo stato legale ci lasciava miseri schiavi del peccato e della morte Romani 6:15-7:25, l'Apostolo viene, in questo paragrafo, a dichiarare più esplicitamente qual'è la forza di vita nuova che viene comunicata al credente insieme col perdono dei peccati. Non si tratta di una forza impersonale, ma della comunicazione dello Spirito stesso di Dio che viene ad abitare nel cristiano. Ecco il sunto delle tre sezioni in cui si può dividere il Cap.8: Sezione A - In Cristo, il credente riceve lo Spirito, che lo affranca dall'impero del peccato e della morte Romani 8:1-11; Sezione B - In Cristo, il credente è fatto partecipe dello Spirito che lo accerta della sua adottazione a figlio di Dio, e gli è arra della gloria cui è, da Dio predestinato Romani 8:12-30; Sezione C - In conclusione, la finale salvazione degli eletti, voluta dal Padre, garantita dall'opera del Figlio, suggellata nel cuore dallo Spirito, è assicurata contro gli avversi sforzi di qualsiasi creatura Romani 8:31-39.
SEZIONE A Romani 8:1-11In Cristo il credente riceve lo Spirito che lo affranca dall'impero del peccato
Il miserando stato di schiavitù e di morte in cui si dibatte l'uomo lasciato a sè stesso, non è il solo che Paolo abbia sperimentato. L'Evangelo di Cristo ha risposto al suo grido di angoscia Romani 7:24. Il tempo in cui era «venduto schiavo al peccato» è passato. In Cristo, egli ha fatto esperienze più consolanti ch'egli ora espone, in un linguaggio spirante la gratitudine, la pace e l'intima certezza di cui è ripieno il suo cuore. Perciò la sua esposizione ha la maestà di un inno di vittoria Cfr. Romani 5. Le prime parole del cap. 8 costituiscono ad un tempo un contrasto ed una conclusione: un contrasto tra lo stato presente di Paolo, (ora... in Cristo) e lo stato passato di lotta disperata, senza Cristo Romani 7:7-25; una conclusione (dunque) in cui l'apostolo si rifà a quanto ha, esposto nei capitoli precedenti circa la giustificazione dei credenti e la loro vitale e santificante unione col Cristo risorto. Non v'è dunque ora alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù; Il rimanente del versetto manca nella maggior parte dei manoscritti e si ritiene, generalmente, come chiosa tolta da Romani 8:4, ov'è autentico. Fuor di Cristo, il peccato non può esser nè cancellato, nè vinto; quindi, l'uomo non ha altra prospettiva che la condannazione nei suoi successivi gradi di morte spirituale sempre più profonda, di morte corporale e di morte eterna Romani 6:23; 7:5,10,13,24. Per coloro che sono in Cristo, cioè a lui uniti per quella fede che li fa porre in lui il fondamento della loro vita, tutto è mutato. Non vi è più luogo, ad aspettazione paurosa di alcuna specie di condanna. In tutte le sue forme è tolta ed ogni traccia ne dovrà sparire. E infatti, in Cristo, non solo abbiamo giustificazione; ma una nuova potenza di vita, comunicata dal suo Spirito, ci affranca dal triste impero del peccato.
2 perchè, la legge dello Spirito della vita, in Cristo Gesù, la nuova forza regolatrice e motrice della vita morale, impiantata dallo Spirito creatore della vita spirituale Giovanni 3:6-8, in coloro che sono uniti a Cristo per fede, mi ha affrancato dalla legge del peccato e della morte cioè dalla potenza che dominava la mia vita di prima. Il peccato è di per sè una morte, perchè separa l'anima da Dio; esso poi ingolfa l'uomo nella morte in tutti i sensi. Ove regna il peccato, regna la morte. Ma, dall'impero del peccato, Paolo è stato liberato. Certo egli non è giunto alla perfezione Filippesi 3; egli macera il suo corpo e lo riduce in servitù 1Corinzi 9:27. Egli sa che all'infuori della grazia non può nulla, non è nulla. Ma, come ha sperimentato la potenza del peccato, così ha sperimentato dipoi la potenza liberatrice dello Spirito di Cristo. Una variante antica sostenuta dai codd. Vaticano e Sinaitico, ed accettata da Tischendorf, Westcott-H., Nestle, Lagrange, ecc., porta, in Romani 8:2: «ti ha affrancato...», lezione dovuta probabilmente all'inavvertenza d'un copista che ha ripetuto l'ultima sillaba del verbo greco. Nulla infatti giustifica l'introduzione della seconda persona in un contesto ove Paolo ha parlato e parla di sè. Cfr. Romani 7:24-25: Misero me... chi mi trarrà... Chiunque si mantiene, come Paolo, in unione intima con Cristo, farà una consimile esperienza. L'opera santificante dello Spirito non è il fondamento della giustificazione del credente; ma è la garanzia di fatto che la condanna è allontanata per sempre e non tornerà più, poichè lo Spirito ne sta estirpando la causa, cioè il peccato.
3 Romani 8:3-4 spiegano perchè la potenza liberatrice dello Spirito sia «in Cristo Gesù». Essa ha il suo fondamento nella morte e nella risurrezione di Cristo, la cui virtù è applicata, dallo Spirito, al credente. Infatti, quel ch'era impossibile alla legge, in quanto era senza forza per via della carne, Dio [l'ha fatto]. Si può, col Diodati, chiudere in una parentesi la prima parte di Romani 8:3. Ma si rende meglio l'energia del pensiero scomponendo in due la frase concisa di Paolo, e supplendo qualche parola. L'impotenza della legge nell'estirpare il peccato è stata dimostrata nel cap. 7. La presenza e la vitalità della natura corrotta., colle sue carnali inclinazioni, rendeva vane le prescrizioni e le minacce della legge. Ma quel che la legge non potea fare, la grazia di Dio lo ha compiuto. Mandando il suo proprio Figliuolo, dal cielo ov'egli era ab eterno appo il Padre, sulla terra ov'egli si è incarnato in carne simile a carne di peccato (lett. in somiglianza, di carne, di peccato), assumendo una natura umana simile alla nostra attuale, salvo il peccato Luca 1:35, e a motivo del peccato, cioè per espiarlo e per distruggerlo, ha condannato il peccato nella carne. In che modo? Col mostrare, mediante la vita santa di Gesù, che il peccato non è cosa inerente alla natura umana? Così rispondono alcuni. Guardando, però, a quanto l'Apostolo ha esposto in Romani.6:1-10, il pensiero suo pare essere il seguente: Nella morte di Cristo, il nuovo Adamo che rappresenta l'umanità, non solo è stata espiata la colpa, ma la podestà del peccato sull'uomo è stata sentenziata a morte, affinchè il credente corpo e anima appartenesse a Dio. E questa sentenza di morte sul peccato, lo Spirito la realizza in ogni individuo che per fede si unisce a Cristo.
4 Infatti, Paolo aggiunge: affinchè la giustizia prescritta dalla legge si compiesse in noi che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito. È questo lo scopo ultimo dell'incarnazione di Cristo: distruggere il dominio del peccato, per stabilire, in sua vece, quello della giustizia., portando così l'uomo a quell'ideale di santità ch'era nella mente di Dio. Quest'ideale si viene effettuando in coloro che, fatti nuove creature, non si conducono più secondo le inclinazioni della natura corrotta, ma secondo le aspirazioni nuove create dallo Spirito di santità e che costituiscono l'essenza morale della legge. Scriviamo di solito Spirito colla S maiuscola, in questa sezione perchè si tratta dello Spirito Santo che, venendo ad abitare nello spirito umano, vi crea e vi perfeziona la vita nuova, in opposizione alle peccaminose disposizioni carnali. Fin da Romani 8:2, Paolo parla della «legge dello Spirito della vita»; e in Romani 9-11 egli mentova ripetutamente lo Spirito di Dio, lo Spirito di Cristo. Altri adoperano la s minuscola in Romani 8:5-9 perchè stimano che si tratti dello spirito, umano, compenetrato però dallo Spirito di Dio. La differenza non è sostanziale. In Romani 8:10, ove lo spirito è contrapposto al corpo, è chiaro che tratta dello spirito umano.
5 Senza il rinnovamento interno che ha mutata la direzione della vita; che le ha dato un nuovo principio informatore, non sarebbe stato mai possibile di giungere all'adempimento della volontà di Dio: Poichè, quelli che sono secondo la carne, che sono carnali, dominati dagli impulsi della natura carnale, hanno l'animo alle cose della carne; I loro pensieri, le loro preoccupazioni, i loro affetti si volgono alle cose, atte a soddisfare le inclinazioni carnali. ma quelli che sono secondo lo Spirito, di cui lo Spirito ha mutate le disposizioni, han l'animo volto alle cose dello Spirito. che sono in armonia colla legge, «spirituale,» di sua natura «Lo stato morale determina, l'aspirazione, l'aspirazione informa la condotta» (Godet).
6 A caratterizzare in una parola le aspirazioni o le tendenze della carne, l'Apostolo dice: Perchè ciò a cui la carne ha l'animo è morte: morte in quanto allontana sempre più l'anima da Dio e conduce infine alla morte definitiva. Ma le aspirazioni dello Spirito sono conformi alla volontà di Dio ed al supremo bene dell'uomo: ma ciò a cui lo Spirito ha l'animo è vita e pace; è vita in sè e conduce alla pienezza della vita; è pace perchè è in armonia con Dio e non conturba l'anima. «La quiete interna che accompagna lo sviluppo della vita in noi, è contrapposta al malessere ed al turbamento profondo che accompagnano il dichinare verso la morte».
7 La ragione di questo carattere funesto delle aspirazioni carnali, come del carattere vitale delle aspirazioni dello Spirito, viene spiegata nei versetti che seguono. poichè ciò a cui la carne ha l'animo è inimicizia contro Dio, perchè non è sottomesso alla legge di Dio, e neppure può esserlo; e quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio. Le aspirazioni carnali menano alla morte perchè per la loro natura sono inimicizia contro Dio, La carne essendo ribelle alla legge di Dio, nè potendo essere altro, a meno di rinnegar sè stessa, di suicidarsi. Data questa essenza dell'aspirazione carnale, è evidente che coloro la cui vita si svolge in quell'ambiente e sotto una tale dominazione, non possono piacere a Dio.
9 Ma tale non è lo stato dei lettori cristiani cui Paolo scrive: Ma voi non siete nella carne, bensì nello Spirito. la vostra vita è, dallo Spirito: egli ne è l'alito vivificatore se pur lo Spirito di Dio abita in voi come nella sua dimora e non è escluso da una volontaria persistenza nel male; ma se uno non ha lo Spirito di Cristo (ch'è anche di Dio), egli non è di lui. non gli appartiene, non è del numero di coloro, che sono a lui uniti per fede.
10 Se, invece, Cristo è in voi, per mezzo del suo Spirito, il vostro stato e le vostre prospettive sono vita in Dio e con Dio. ben è il corpo morto a cagion del peccato; il Cristiano è sottoposto alla penosa necessità della morte del corpo, a motivo del peccato di Adamo e suo. La redenzione in Cristo non ha altro effetto presente sul corpo che di strapparlo al peccato e di farlo servire, per quanto imperfettamente a giustizia. Non è più «corpo di peccato», «corpo di questa morte», ma è posto al servizio di Dio 1Corinzi 6:20; Romani 12:1; Filippesi 1:20. Però resta mortale Romani 8:11 e dichina rapidamente al suo disfacimento. Non già che la morte fisica dei credenti sia loro inflitta come manifestazione d'ira. Non c'è più alcuna condannazione per loro; riconciliati con Dio, essi sono liberati dalla paura della morte che li faccia soggetti a schiavitù per tutta la vita Ebrei 2:14-15; possono perfino desiderare di morire «per esser col Signore Filippesi 1:23. Sussiste, ciononostante, anche per loro, la necessità della morte. Perchè? Perchè il corpo quale lo crediamo e quale lo rendiamo, è «saturo di un virus morale da cui non sarà liberato se non polverizzato nel sepolcro» (Chalmers). (Cfr. 1Corinzi 15:51-54; Filippesi 3:21). È adatto alla vita psichica terrestre, ma non alla vita superiore. Quindi, una volta che lo spirito umano è vivificato dal divino, anche il suo involucro e strumento deve, nel disegno di Dio, aver parte alla vita. In fondo, il disfacimento della vecchia casa contaminata disadatta ai bisogni della nuova vita, è un avviamento al sorgere della nuova (cfr. 2Corinzi 5) che avverrà nella risurrezione. Mentre vive quaggiù, il figlio di Dio deve continuare nel corpo «terreno», come fece Cristo, però senza, peccato. A suo tempo rivestirà il corpo «celeste», come già lo riveste il secondo Adamo nella gloria (cfr. 1Corinzi 15). Il corpo terreno dunque muore. ma lo spirito umano compenetrato, da quello di Dio, è vita, è compenetrato dalla vita vera nella comunione con Dio a cagion della giustizia. cioè, come molti spiegano, «a cagion della giustizia procurata da Cristo e ai credenti»; o meglio: a cagion della giustizia che Cristo infonde per lo suo Spirito in coloro che sono stati di già per i suoi meriti (cfr. Romani 8: 4,6). A misura che il credente cresce nella Morale somiglianza a Cristo, egli realizza, in sè la vita di cui pienamente nello stato di perfezioine. I due concetti si possono d'altronde unire in questo passo.
11 Però, se lo Spirito di Cristo abita in loro, non è soltanto lo spirito, ma tutto l'essere loro che dovrà essere un giorno partecipe della pienezza della vita. I redenti sono da, Dio destinati ad esser «conformi all'immagine del suo Figliuolo» Romani 8:29. Quindi, l'Iddio che risuscitò dai morti il «Capo», il «primogenito fra molti fratelli», le «primizie», farà lo stesso per coloro che gli sono uniti, vivificando i loro corpi, onde «quel ch'è mortale sia assorto dalla vita 1Corinzi 15. E se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali, per mezzo del suo Spirito che abita, in voi. Buona parte dei codici e delle antiche versioni, invece di: per mezzo del suo Sp... (δια του), legge: a motivo del suo Sp... (δια το), La prima lezione accettata da Tisch. Nestle, Sanday, ecc., accenna allo Spirito della vita come all'agente vivificatore, non solo degli spiriti, ma anche dei corpi dei credenti. La seconda, sostenuta da Godet, Soden, Kühl, ecc., accenna all'abitazione dello Spirito come al motivo per cui Dio risuscita anche il corpo che n'è stato il tempio. La persona, umana ch'è stata fatta degna dell'abitazione dello Spirito di Dio, dev'essere tutta quanta permeata dalla vita dello Spirito e rivestire, per conseguenza, un corpo «spirituale» che sia, cioè, organo adatto della vita superiore. Si noti che Paolo parla della risurrezione del corpo, non della carne che ha da esser distrutta quando designa la natura corrotta; e anche quando designa semplicemente la parte materiale dell'uomo, essa non è adatta alla vita celeste secondo l'insegnamento di Paolo 1Corinzi 15:50.
RIFLESSIONI 1. L'esperienza di Paolo, nelle sue varie fasi, è tipica di quelle per cui passa ogni cristiano. Dopo un periodo di relativa incoscienza morale, in cui era «senza legge» Romani 7:9, egli era venuto a reale contatto colle esigenze morali di essa ed avea principiato a conoscere il suo stato di peccato. Riconoscendo, nella legge, il bene da praticare, egli si era posto animosamente all'opera, ma colle sole sue forze; ed avea dovuto, come più tardi Melantone, riconoscere che «il vecchio Adamo era troppo forte per il giovine Melantone». Il sunto di quella esperienza sta in quel grido di dolore e d'impotenza. Misero me uomo! chi mi libererà? Ma ora spuntato finalmente il sole sulla via di Damasco; Cristo avea recato, col perdono, la vita nuova, e Paolo può esclamare ora: «La legge dello Spirito della vita mi ha affrancato dalla legge del peccato e della morte». Per stadi consimili passa ogni redento. 2. «Non c'è sicurezza, nè santità per coloro che sono fuori di Cristo. Nessuna sicurezza, perchè sono sotto la, condanna della legge; nessuna santità, perchè soltanto coloro che sono uniti con Cristo hanno lo Spirito di Cristo; nessuna felicità, poichè l'esser nella carne è morte» (Hodge). 3. Il fondamento della santificazione è la creazione di una nuova vita, per opera dello Spirito della vita. Senza questo germe vitale, invano si cercherà di produr l'albero ed i frutti. «Fate l'albero buono ed il suo frutto sarà buono». Il cercarle di migliorare e di correggere l'uomo vecchio è opera vana. «Esso non può esser santificato, ma dev'esser crocifisso» (Olshausen). «Quel ch'è nato dalla carne è carne; ma quel ch'è nato dallo Spirito è spirito» Giovanni 3:6. 4. Vogliamo noi sapere se siamo «nella carne» o «nello Spirito»? Vediamo in quale direzione volgonsi le nostre aspirazioni, le nostre preoccupazioni: quali cose ci recano maggior soddisfazione; qual fine hanno i nostri progetti ed i nostri sforzi. Miriamo noi a soddisfare appetiti carnali, ambizioni, brama di ricchezza, egoismo? È segno che siamo ancor nella carne. 5. Chi, è nella carne è in stato d'inimicizia con Dio. «È questa la spiegazione del fanatismo ateo di una generazione» (Godet). 6. Lo Spirito è chiamato in questi versetti: Spirito di Cristo, Spirito di vita. Questo si spiega solo quando si riconosca la divinità di Cristo e dello Spirito; l'unità d'essenza e la distinzione delle persone nella Trinità. D'altronde, se lo Spirito non fosse Dio non potrebbe esser Creatore di vita nuova. Ma si tratta di vedere ch'Esso «abiti in noi». Il portar il nome di Cristo, il praticare le forme del Cristianesimo non è prova certa che «siam di Cristo». «Chi non ha lo Spirito di Cristo non, è di lui». 7. La morte del corpo non è più per il cristiano il «re degli spaventi». È un deporre l'abito logoro, la tenda provvisoria, per rivestire l'abito nuovo del corpo celeste, per entrar nell'edificio preparato nei cieli 2Corinzi 5. Nella vita dello Spirito sta la garanzia della trasformazione o della resurrezione del corpo. L'essere umano è una unità che non può scindersi per sempre. Il corpo dove perciò, nel disegno di Dio, partecipare alla vita celeste.
12 SEZIONE B Romani 8:12-30In Cristo, l credente è fatto partecipe dello Spirito che lo accerta della sua adozione a figlio di Dio, e gli è arra della gloria alla quale è da Dio predestinato
L'Apostolo ha mostrato come lo Spirito di Cristo sia nei credenti, fonte di libertà e di vita che comincia nello spirito umano quaggiù, e si estenderà anche al corpo nella gloriosa risurrezione. Prima di raggiungere una tanta meta, i credenti devono lottare contro il peccato che resta in loro; devono soffrire per il nome di Cristo e pazientare; ma il risultato finale è certo, e questo li deve sostenere (cfr. Romani 5:1-11). Questa certezza la spande nei loro cuori lo Spirito che li rende sicuri della loro adozione a figli di Dio e della eredità ch'è riservata ai figli. I sospiri stessi ch'Egli forma nei cuori e che fan riscontro al gemito della natura, attestano che il compimento non sarà raggiunto se non quando i figli di Dio saranno resi conformi al loro fratello maggiore, Cristo. È quello infatti il coronamento del piano divino della redenzione. Romani 8:12-13 contengono la conclusione pratica di quanto è stato detto, e sono il punto di partenza della sezione che segue. Così dunque, fratelli, giacchè lo Spirito è per noi sorgente di vita, mentre la carne è fonte di morte, noi siamo debitori non alla carne, per viver secondo la carne; poichè non possiamo aver degli obblighi verso quel ch'è la nostra rovina presente ed eterna.
13 perchè, se vivete secondo la carne, voi morrete; Il termine ultimo a cui conduce necessariamente la vita carnale è la separazione eterna da Dio, ch'è la «morte che non muore più, nella geenna» (Ecumenio). (Cfr. Romani 6:21; Matteo 10:28). Paolo pareva voler continuare la frase col dire: «Siamo invece debitori allo Spirito, per vivere, ecc.». Egli la compie in altra forma, ma senza mutar la sostanza. Il viver secondo lo Spirito, implica infatti il far morire la carne. Ma se, mediante lo Spirito. colla forza di vita che lo Spirito comunica al vostro spirito, fate morire gli atti del corpo, voi vivrete; Dice: gli atti o le pratiche del corpo, poichè sotto l'impulso della carne, il corpo è l'istrumento del peccato. Se alla carne viene sostituito lo Spirito quale principio di vita, viene a cessar la forza motrice che determinava l'attività peccaminosa; muoiono gli atti del corpo, il quale diventa strumento di giustizia. La morte della vita carnale è la vita vera dell'uomo, e mena alla vita eterna. La santificazione, del credente non si compie senza il suo concorso. Lo Spirito sorgente di vita gli è dato, ma deve adoperare quella forza divina, non resistere ai suoi impulsi. Ed alla quotidiana lotta deve sentirsi animato guardando al glorioso fine cui lo conduce lo Spirito: la vita. Tale risultato non è problematico, ma certo, perchè coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, più che schiavi affrancati, sono figli di Dio; e, come tali, sono destinati ad arrivare, al di là delle sofferenze del presente, alla conformità con Cristo.
14 Viverete della vita perfetta nella gloria, dice Paolo, poichè, tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio, sono figliuoli di Dio. (lett. quelli son figli...). Nell'Antico Patto, il popolo d'Israele era l'oggetto dell'adozione divina e chiamato «figlio di Dio» Deuteronomio 14:1; Osea 1:10. Nel Nuovo Patto, l'adozione è individuale ed ha per condizione la fede in Cristo Giovanni 1:12; Galati 3:26. Lo Spirito non trascina l'uomo a forza, nè opera su lui dal difuori; lo guida o conduce, illuminando la mente, persuadendo il cuore, inclinando la volontà. Coloro, che di fatto, si piegano alle ispirazioni dello Spirito dimostrano d'esser figli di Dio, poichè in loro vi è l'alito del Padre celeste Galati 4:6. Il possesso dello Spirito è come il suggello della loro adozione. Lo Spirito del Padre non abita che nei figli.
15 E in vero, voi non avete ricevuto uno spirito di servitù, lo spirito proprio degli schiavi, che nutre sentimenti di schiavi, per ricader nella paura, come quando tremavate dinanzi a Dio per paura dei suoi giudici (cfr. Esodo 20; Galati 3;4). Tanto i Giudei sotto l'economia legale, come i Gentili dinanzi alle loro corrotte nozioni della divinità, provavano i sentimenti degli schiavi dinanzi ai loro padroni; erano mossi non dall'amore, ma dalla paura del castigo. Solo in casi eccezionali, la pietà israelitica s'ispirava a sentimenti più elevati; spirito equivale qui a disposizione, a mentalità. ma avete ricevuto uno spirito di adozione, uno spirito che appartiene allo stato di chi è in relazione filiale con Dio, che sviluppa sentimenti di fiducia, di libertà, d'amore, di abbandono, ai quali diamo espressione nelle nostre preghiere quando, rivolgendoci a Dio, lo chiamiamo col dolce nome di Padre; per il quale o: nel quale, sotto al cui impulso gridiamo: Abba Padre. Abba è la forma aramaica dell'ebraico Ab che vuol dir padre. La si ritrova in Marco 14:36; Galati 4:6. Siccome varie altre parole sono passate dall'aramaico, o dall'Ebraico nella lingua divozionale della primitiva chiesa (es. Alleluia, Hosanna, Amen, Maranata), si suppone ch'esse sieno state dapprima comunemente adoperate dai cristiani usciti dal giudaismo, per i quali erano formule della lingua materna, apprese dall'infanzia, e sieno dipoi passate nell'uso generale, anche presso i cristiani etnici. Però, affinchè gli estranei potessero comprendere le preghiere, si soleva aggiungere all'aramaico Abba, il suo equivalente greco: padre.
16 Lo Spirito stesso che ha creato in noi lo spirito filiale, che ci spinge a chiamar Dio nostro Padre, ci assicura egli stesso, da parte di Dio, che siam veramente figli a lui diletti: Lo Spirito stesso attesta anch'Egli al nostro spirito che noi siamo figliuoli di Dio. L'originale ha qui, per esprimere l'idea di figliuolanza, un'altra parola (τεκνα) che accenna all'intimità affettuosa anzichè alla dignità di, una tale relazione. Lo Spirito ci porta a dire a Dio: Tu sei mio Padre, e da parte di Dio dice al nostro spirito: si, tu sei mio figlio diletto. «Mentre, le nostre braccia si stendono per afferrare il Dio che si dà a noi in Cristo, le sue braccia anch'esse ci circondano e ci attraggono sul suo seno» (Godet).
17 Il possesso dello Spirito ci rende adunque certi della nostra posizione di figli; ma l'esser figli di Dio implica, cose gloriose riguardo al nostro avvenire. E se siamo figliuoli, siamo anche eredi, poichè le due cose non si possono disgiungere Galati 4:7; Marco 12:7: eredi di Dio chiamati ad entrar in possesso dei beni che Dio, il quale non muore, tiene in serbo per i suoi figli. A render più concreto questo pensiero, l'Apostolo aggiunge: e coeredi di Cristo, destinati a dividere quella gloria nella quale è entrato il nostro fratello maggiore (cfr. Romani 8:29; 1Giovanni 3:1 e segg.; Giovanni 14:3). Però siccome prima di dividere l'eredità di gloria c'è da dividere quaggiù l'eredità delle sofferenze Giovanni 12:24-26; Matteo 16:24-25; 2Timoteo 2:12, se ricusiamo la nostra parte di quest'ultima, non avremo parte all'altra. Quindi la restrizione: se pure soffriamo con lui affinchè siamo anche glorificati con lui 2Timoteo 2:5-6. Le sofferenze sono, nell'intento divino, la via inevitabile che mena alla gloria Filippesi 3:10-11; 2Corinzi 1:5-7. Una meta così splendida è ben fatta per render loro lievi le sofferenze che la fede cristiana trae con sè nella vita presente 1Pietro 4:14-16. E che la gloria sia il fine verso il quale sono avviati ed al quale hanno da giungere i figli di Dio, lo attestano: a. il sospiro della natura inanimata verso uno stato migliore Romani 8:19-22; b. il sospiro dei figli di Dio che già hanno in sè, a guisa di profezie, lo Spirito Romani 8:23-25; c. il sospiro dello Spirito stesso nella preghiera ineffabile Romani 8:26-28; e in ultimo: d. il fatto che, nel piano divino della redenzione, la conformità con Cristo è lo scopo finale al quale tutto è diretto Romani 8:28-30.
18 La condizione del soffrir con Cristo affin di giungere ad esser glorificato, con lui non è grave, poichè non c'è paragone tra le lievi sofferenze del presente e la grandezza della gloria avvenire. Perchè io stimo che le sofferenze del tempo presente, il tempo che precede la venuta di Cristo in gloria, e durante il quale i fedeli hanno da soffrir non solo i dolori comuni a tutti gli uomini: infermità, privazioni, lutti, ma le persecuzioni cagionate dalla loro fede in Cristo. Cfr. Romani 8:35-39; 2Corinzi 11:23-33. Cotali sofferenze sono chiamate, in 2Corinzi 4:17, «la nostra momentanea leggera afflizione» che «ci produce un sempre più grande smisurato peso eterno di gloria». Qui Paolo dice: non sono punto da paragonare con la gloria che ha da essere manifestata a nostro riguardo e che ora è nascosta Colossesi 3:3-4. Con queste parole sulle labbra spirava Calvino nel 1564. La grandezza, ad un tempo, e la certezza di quella gloria come coronamento da Dio prestabilito dell'opera redentrice, sono attestate dal fatto che ad essa tutto tende, tutto anela, dalla creazione inferiore che geme inconscia, fino allo Spirito che forma nei cuori dei fedeli dei sospiri ineffabili. Quest'aspirazione che Dio stesso suscita, è egli mai possibile che non risponda al disegno di Dio? No; e difatti sappiamo per la rivelazione, che quello è il fine a cui Dio conduce i suoi figli.
19 Poichè la creazione con brama intensa aspetta la manifestazione del figliuoli di Dio. Per esprimere questa intensa aspettazione, l'originale ha una, parola composta che esprime graficamente l'aspettare sporgendo il capo e fissando lo sguardo verso il punto d'onde ha da venire l'oggetto atteso. «Un artista potrebbe fare una statua della speranza con questa parola greca» (Godet). Il creato o creazione, accenna, qui alla natura inferiore all'uomo. Essa, attende la rivelazione dello stato glorioso dei figli di Dio perchè, tra l'uomo e la creazione inferiore, esiste un legame di solidarietà stabilito da Dio. La natura fu fatta per l'uomo e posta sotto al suo dominio. Il progresso spirituale dell'uomo avrebbe indubbiamente avuto un felice contraccolpo non solo sul suo corpo, ma ancora sulla natura esterna. La caduta dell'uomo ha invece recata sentenza di morte sul corpo e di maledizione sulla natura. Ma la redenzione dell'uomo affrancherà non solo lo spirito, ma il corpo; non solo il corpo, ma la natura, esterna dalla legge della caducità e del deperimento (cfr. Isaia 4:2; 11; 30:23-26; 65:17; Matteo 19:28; Atti 3:21; Apocalisse 21; 22). È chiaro che in questi versetti Paolo personifica la natura e con animo simpatizzante di figlio di Dio, ne interpreta i sospiri e ne raccoglie il muto linguaggio guidato dalla luce della rivelazione.
20 La creazione, infatti, è stata sottoposta alla vanità di creature che non raggiungono intieramente il loro fine, che cadono e deperiscono prima del tempo. «Dovunque, abbiamo sotto gli occhi immagini di morte o di deperimento. Il flagello della sterilità, fuor degli elementi, gli istinti distruttori delle le leggi stesse che reggono la vegetazione tutto dà alla natura una tinta cupa e attrista il mortale che, in quanto lo circonda, non vede se non il riflesso della propria fragilità. Il male fisico ch'egli incontra dappertutto, gli pesa come un carico immenso». (Reuss). Il motivo però della sentenza che grava sul creato non è già una qualche colpa morale di cui è invece la inferiore, ma è la disubbidienza dell'uomo. La natura soffre e soffre suo malgrado, per la colpa, del suo re. Infatti, in Genesi 3:17, leggiamo: «La terra sarà maledetta per cagion tua». In questo sta la spiegazione della parola di Paolo: non di sua propria volontà ma a cagione di colui che ve l'ha sottoposta, cioè non di Dio che non fu la cagion del male, nè di Satana che ne fu solo l'istigatore, ma dell'uomo che, peccando, trascinò seco la natura sotto alla maledizione. Tuttavia, se la natura è stata solidale coll'uomo nel male, ha da esserlo eziandio nel bene. E siccome fin dall'Eden Genesi 3:15 Dio fece spuntare il raggio della speranza per l'uomo, così anche il creato fu sottoposto a vanità,
21 non senza speranza però (lett. in isperanza) che colla redenzione dell'uomo, la creazione stessa sarà anch'ella liberata dalla servitù della corruzione, cioè da quello stato di schiavitù che consiste nell'esser sottoposta alla legge del deperimento, della dissoluzione, per [entrare] nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio. ossia in quello stato di libertà di cui godrà il creato allorquando i figli di Dio saranno glorificati. «La libertà è uno degli elementi dello stato glorioso, il solo al quale possa partecipare, la natura. S'intende con questa libertà lo sviluppo senza impedimenti, il libero svolgimento di tutte le energie di vita, di bellezza, di perfezione di cui sarà dotata la natura rinnovellata; mentre la gloria è lo splendore della vita celeste dell'umanità santificata, sul teatro di quella natura restituita a libertà» (Godet).
22 Per ora, quello stato è una speranza; Poichè sappiamo che, fino ad ora, tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio come la donna che soffre dolori di parto in attesa della sua prossima liberazione. Quanto volte i poeti non hanno essi, nei loro canti malinconici, interpretato quel gemito che sale, dalla natura nel suo stato di sofferenza? «Sembra che la vecchia natura porti in sè il germe d'una natura più perfetta e senta balzar nel proprio seno un mondo nuovo» (Godet). «Vibra nelle parole di Paolo una intensa simpatia colla natura. Egli è uno di quelli ai quali, come a S. Francesco d'Assisi, è stato dato di leggere, a dir così, il pensiero delle piante e degli animali. Pare accostare l'orecchio alla terra e il confuso lamento ch'egli ha per lui un senso: è l'anelito della creazione verso quello stato più felice al quale era destinata e di cui è stata defraudata» (Sanday-II).
23 La natura non è sola ad anelare verso lo stato perfetto. I figli di Dio sospirano anch'essi dietro alla piena salvezza. e non solo essa, ma anche noi che abbiamo le primizie dello Spirito, che abbiamo cioè, a guisa di primizie o di caparra, lo Spirito di adottazione che ci garantisce la futura eredità 2Corinzi 1:22; Efesini 1:14 e ce ne fa pregustare i beni, pure, anche noi stessi gemiamo in noi medesimi aspettando l'adozione, cioè l'entrata nel pieno possesso dei privilegi spettanti ai figli di Dio. Dell'adozione, è vero quel che Paolo dice più sotto della salvazione, in un senso, è cosa presente Galati 4:5; nell'altro, è oggetto di speranza 1Giovanni 3:1-2. Siamo fin d'ora figli, ma non goderemo, della pienezza dei diritti conferitici se non più tardi. Per non lasciare equivoco, circa il suo pensiero, l'Apostolo soggiunge: la redenzione del nostro corpo; s'intende dalla morte, mediante la gloriosa risurrezione.
24 Poichè noi siamo stati salvati in isperanza; inquantochè la pienezza della salvazione è cosa avvenire e non cade ancora sotto agli occhi nostri. Vedere e sperare sono due termini che si escludono a vicenda. or la speranza di quel che si vede, non è speranza; difatti quello che uno vede, perchè lo spererebbe egli ancora? Ma se, com'è il caso, non possiamo ancora vedere e dobbiamo contentarci di sperare, sappiamo però che la nostra speranza non è di quelle che fanno capo a una delusione.
25 Ma se speriamo quel che non vediamo, noi lo stiamo aspettando con pazienza (o costanza). Non ci lasciamo scoraggiare nè dal lungo aspettare, nè dalle sofferenze cui ci espone la nostra speranza cristiana.
26 Parimente, anche lo Spirito sovviene alla nostra debolezza. Al pari della natura e dei figli di Dio, lo Spirito anch'esso, nel recar sollievo alla nostra debolezza, fa salire a Dio un sospiro più sublime dei due primi. L'Apostolo distingue così (cfr. Romani 8:16) il sospiro dei fedeli dietro alla redenzione del corpo da quello dello Spirito in loro. Il cuore rinnovato può arrivare fino a un certo grado d'intelligenza e di sentimento spirituale, ma, nel caso migliore, rimane sempre in debolezza; conosce confusamente discerne, sente, aspira, ma come lo può fare il bambino (cfr. 1Corinzi 13:9-12). E, nelle crisi più penose, quando è oscura la via, difficilmente discerne qual sia il suo vero bene.. In questo stato di debolezza, gli viene in aiuto lo Spirito di Dio; e quegli slanci più sublimi del cuore verso Dio, che la mente è incapace di tradurre in parole, sono i sospiri dello Spirito. Hanno qualcosa di sovrumano in essi di superiore alla imperfezione presente della vita spirituale. L'originale del «sovviene», significa propriamente: «divide con noi il carico affin di recarci sollievo» (cfr. Luca 10:40). Il testo emendato legge debolezza al singolare. Come esempio dello stato presente di debolezza, Paolo ricorda quel che avviene nella preghiera in cui, appunto, si esprimono le aspirazioni del cuore. In molte circostanze ci accade di non veder ben chiaro quel che dobbiamo domandare 2Corinzi 12:7-9; Filippesi 1; Giovanni 12:27-28; Matteo 26:39. Perchè noi non sappiamo domandar quel che si conviene, nella preghiera, quello ch'è conforme alla volontà di Dio; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi nel nostro cuore, con sospiri ineffabili o inesprimibili a parole (Cfr. 1Pietro 1:8; 2Corinzi 9:15; 2Corinzi 12:4). Questi sospiri salgono a Dio come l'aspirazione più sublime dell'anima verso lo stato perfetto.
27 E Colui che investiga i cuori 1Samuele 16:7; 1Re 8:39 conosce qual sia il sentimento dello Spirito, perchè esso intercede per i santi secondo Iddio. in armonia, cioè, col suo disegno eterno. «Quale dimostrazione, esclama il Godet, dell'inesprimibile malessere che pesa ancora sulla creazione, e dell'imperfezione, in cui essa rimane anche dopo la venuta di Cristo e dopo compiuta la redenzione spirituale! La natura intera ne ha il sentimento confuso e sale dal suo seno un lamento continuo che reclama, dal cielo una rinnovazione. I riscattati stessi partecipano a questo sospiro e aspettano il loro proprio rinnovamento che sarà il segnale della restaurazione universale; e infine, lo Spirito che conosce i piani di Dio per la nostra gloria 1Corinzi 2:7 e che contempla l'ideale da noi soltanto intraveduto, ne reclama con ardore la realizzazione». A quel sospiro conforme alla sua, volontà, e formato, dal suo Spirito, Iddio non può mancare di rispondere; quindi l'esistenza stessa di un tal sospiro serve ad accertarci che alla gloria finale tutto converge.
28 Questo, d'altronde, sappiamo per via di rivelazione più diretta e più chiara circa il piano di Dio. Or noi sappiamo che tutte le cose, le prospere come le avverse Romani 5:3-5, cooperano insieme nella lor molteplice varietà, al bene vero ed eterno, di coloro che amano Iddio, da cui sono stati per i primi amati in Cristo. Il loro sospiro è volto alla gloria e sanno che a quel fine Dio fa tutto volgere, perchè il suo proponimento è di condurvi i suoi. Le loro braccia, sono tese verso la riva beata che intravedono; e vi giungeranno, perchè sanno che il Comando superiore ha assegnato appunto quella destinazione alla lor nave e che il Capitano manovra assiduamente per giungervi, valendosi anche dei venti contrari. Infatti, a spiegare perchè Dio fa tutto volgere al loro bene, l'Apostolo soggiunge: i quali sono chiamati secondo [il suo] proponimento. Sono, cioè, nel numero di coloro che hanno ricevuta ed accettata la vocazione celeste, e vi si trovano perchè questo entra nel piano eterno di Dio, stabilito innanzi ai secoli 2Timoteo 1:9; Romani.9:11; Efesini 1:11; 3:11; vedi anche Efesini 3:25. Chiamati da Dio, secondo un proponimento eterno, egli li condurrà sicuramente alla meta gloriosa cui li ha destinati, e che consiste nella conformità con Cristo.
29 Perchè quelli ch'Egli ha preconosciuti... Le parole preconoscere, preconoscenza s'incontrano nel Nuovo Testamento greco, in Atti 26:5; 2Pietro 3:17, ove si tratta di precedente conoscenza umana; in Atti 2:23; Romani 11:2; 1Pietro 1:2,20, ove si tratta della preconoscenza di Dio. Secondo questi passi, le persone oggetto della preconoscenza di Dio (Cristo, il popolo d'Israele, i cristiani), son presenti, fin dall'eternità, innanzi alla mente ed al cuore di Dio. Su di loro è fissato il suo sguardo di amore (si confr. il senso di conoscere in Matteo 7:23; 1Corinzi 8:3; Galati 4:9; Amos 3:2). Se si domanda perchè i credenti sono oggetto di questa preconoscenza, convien ricordare che l'argomento è troppo al disopra della mente nostra per non essere avvolto in oscurità. Gli uni rispondono con Agostino e Calvino: Perchè così piace a Dio sol savio, e sovranamente libero. Altri come Lutero, Arminio, e moltissimi moderni: Perchè Dio, a cui tutte le cose stanno innanzi agli occhi anche prima che accadano, discerne l'uso che faranno della lor libertà, quando l'Evangelo sarà loro presentato: essi accetteranno la grazia in Cristo, non la respingeranno. «Dio ha conosciuti e con ciò stesso amati e scelti eternamente come suoi, coloro che crederebbero... Non vi sarà dunque nulla d'arbitrario nel decreto della volontà divina, di cui Paolo parla in questo Passo, perchè poggia sopra un atto di intelligenza. È un decreto dettato dalla divina sapienza; non un puro atto d'amore. L'amore non fondato sopra una conoscenza, non sarebbe neanche dell'amore» (Godet). La nozione di preconoscenza è distinta da quella di elezione in 1Pietro 1:2; da quella di proposito in Atti 2:23; da quella di predestinazione nel nostro, passo. Ad ogni modo, l'esistenza del piano eterno della redenzione presuppone la prescienza della caduta dell'uomo, e «la difficoltà di conciliare la sovranità di Dio colla libertà umana s'incontra da chiunque ammetta l'esistenza d'un Dio personale. Non è dunque una difficoltà speciale al cristianesimo e, meno ancora, ad un sistema particolare di teologia cristiana» (Schaff). Il fine glorioso, al quale Dio ha innanzi determinato di condurre i credenti, viene indicato dalle parole: li ha pure predestinati ad essere conformi all'immagine del suo Figliuolo. Egli è il nuovo Adamo in cui si è realizzato il tipo umano perfetto ch'essi devono riprodurre nella santità e nella gloria. Come il Figlio è l'immagine del Padre 2Corinzi 4:4; Colossesi 1:15, così il cristiano ha da riflettere l'immagine del suo Signore mediante una graduale assimilazione di mente e di carattere che farà capo ad una finale assimilazione della di lui gloria» (Sunday). Il Redentore non è destinato a restar isolato; anzi dev'essere il capo e il prototipo della nuova famiglia umana dei figli di Dio: ond'egli sia il primogenito fra molti fratelli. Primogenito in quanto egli è il primo, per ordine di tempo, che offra il tipo di un'umanità santa e glorificata di cui è la primizia 1Corinzi 15:23,49; 2Corinzi 3:18. Primogenito, ancora, per la dignità superiore ch'egli possiede qual capo della Chiesa Colossesi 1:18.
30 e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati. Preconosciute le persone nella lor fede, predeterminato il fine glorioso cui devono giungere, a misura ch'esso arrivano sulla scena del mondo, Dio, nell'ora e nel modo migliori, li chiama colla predicazione del Vangelo e colle interne sollecitazioni ed influenze del Suo Spirito. Essi, a quella chiamata rispondono colla fede in Cristo e sono, in conseguenza, giustificati, dichiarati giusti per imputazione dei meriti di Cristo. Ed infine, coloro che sono giustificati ed in virtù della loro unione con Cristo, fatti partecipi di una vita nuova, Dio li glorifica, facendo sparire ogni traccia, della passata condannazione o servitù, e rendendoli conformi al Cristo glorioso. I verbi sono messi al passato, perchè Paolo contempla le cose dal punto di vista della compiuta effettuazione del, piano di Dio, abbracciando così, in un solo sguardo, l'insieme degli eventi che si vanno svolgendo attraverso i secoli. Quello che fa parte del disegno di Dio, si può d'altronde considerare come compiuto, perchè n'è certa la realizzazione. Se l'apostolo ne mentova esplicitamente la fede colla quale i salvati rispondono all'appello divino, nè la santificazione ch'è la via per la quale i giustifìcati giungono alla gloria celeste, ciò dipende verosimilmente dal fatto che, nei cinque anelli della gloriosa catena: preconoscenza, predestinazione chiamata, giustificazione, glorificazione, si tratta di altrettanti atti divini, mentre fede e santificazione presentano la salvezza dal lato delle sue condizioni umane.
RIFLESSIONI 1. Se fate morire... vivrete. L'Evangelo non insegna morale utilitaria; ma la via ch'esso addita al credente: la mortificazione della carne mediante lo Spirito, è conforme ai veri interessi dell'uomo, poichè mena alla vita. «Chi perde la sua vita, la ritroverà». 2. Le grazie ricevute, e possedute di già, nel presente, sono una garanzia, di fatto di quello che sono oggetto di speranza. L'aver ricevuto lo Spirito, l'esser condotti dallo Spirito, l'esser passati da uno stato servile e pauroso alla comunione, filiale con Dio, il poterlo chiamar Padre e sentirsi suoi figli, sono grazie tali che ne implicano di più gloriose ancora. Il Signore non lascia incompiuta l'opera incominciata. 3. Il cristiano che serve a Dio più con timore, di schiavo che con amore e fiducia di figlio: il cristiano che vive in un dubbio perpetuo circa la sua adozione, non trovasi in istato normale. Lo stato di minorità spirituale in cui, specialmente il cattolicesimo, educa e mantiene le anime, è proprio dell'economia legale, ma priva il cristiano dei suoi più dolci privilegi e rende la sua testimonianza debole e monca. 4. «I termini scelti dall'Apostolo Romani 8:14-16,26-27 ci mostrano che, anche dopo ricevuto lo Spirito Santo, il nostro spirito rimane distinto da esso. Dio abita nell'uomo col suo Spirito, lo dirige, lo santifica; ma la personalità umana non viene mai a fondarsi e sparire in Dio. D'altra parte, lo Spirito Santo, ch'è dono di Dio all'uomo resta distinto dall'anima umana. Nulla è più opposto al cristianesimo degli errori del panteismo che tendono a negare la realtà e la permanenza della personalità, tanto in Dio che nell'uomo» (Bonnet). 5. Per crucem ad lucem è la via tracciata al discepolo dall'esempio stesso del suo Maestro. Prima dell'esser glorificata con Cristo, c'è il soffrir con lui. Ogni vita cristiana ha i suoi dolori e le sue, prove particolari, anche allorquando n'è tranquillo esternamente, il corso e non rugge la tempesta delle violente persecuzioni.. Ma quali sorgenti di consolazione ci offre la fede in Cristo! Il saper che le sofferenze non ci vengon dal caso, ma sono dispensate dalla mano del Padre, che tutto fa volgere, al bene dei suoi figli Romani 8:28, - la grandezza infinita e la certezza della gloria che ha da seguire le brevi e lievi sofferenze, - sono altrettanti cordiali che ci sostengono nell'ora della prova. Non piangiamo come quelli che non hanno speranza. 6. L'eredità dei figli di Dio non è come quella lasciata da, un padre terreno e di cui ognuno non riceve che una parte «Simile alla, luce del sole di cui ognuno gode la pienezza senza levarne un raggio ad altri l'eredità celeste è destinata a tutti nella sua indivisibile perfezione. L'amore eterno n'è l'essenza e di esso può dirsi, con maggior ragione, quello che fu detto dell'amor materno: Ciascuno ne ha la sua parte e tutti lo posseggono per intiero» (Bonnet). 7. Gli effetti del peccato umano si sono estesi, non solo al corpo, ma alla natura esterna. I benefizi della Redenzione si estenderanno non solo al corpo, ma alla creazione inferiore. Nuovi cieli e nuova terra sono annunziati nella profezia. Non sarebbe completa la felicità dell'uomo se dovesse vivere in un mondo ove le creature fossero soggette al dolore ed al disordine. La prospettiva d'un mondo affrancato dalla «servitù della corruzione» rinfranca e consola. 8. «La pazienza della speranza di cui in Romani 8:25; 1Tessalonicesi 1:3 è l'atteggiamento che si conviene a coloro i quali, pur sapendo d'esser salvati, hanno il penoso sentimento di esserlo solo in parte, in quanto l'eredità loro è ancora oggetto di speranza» (Brown). 9. La preghiera Romani 8:26 è la respirazione dell'anima; ed è un valido incoraggiamento a perseverare nell'orazione il sapere che lo Spirito ci reca sollievo, nella nostra debolezza spirituale, c'insegna quello che dobbiamo domandare; e se anche non a formare che dei sospiri, Dio li intende e li esaudisce. 10. Vi è una grande consolazione nel sapere che sotto il governo del nostro Padre celeste, tutte le cose cooperano al nostro bene Romani 8:28. «Che può esserci di più magnifico? Una volta credenti, abbiamo un bel navigare sul mar grosso del tempo presente; non solo sappiamo che non v'è onda che possa inghiottirci, ma abbiamo la certezza che ognuna di esse contribuisce ad avvicinarci alla meta del nostro viaggio» (Godet). Ricordiamo, però, che questo si applica soltanto a «quelli che amano Iddio». 11. Esser conformi a Cristo, tale è la meta gloriosa cui Dio conduce i suoi: e qual meta! Si può egli trovare un ideale superiore a questo assegnato all'umanità? Ma il giungervi non è in poter dell'uomo caduto. Dio vi conduce i figli d'Adamo attraverso le umiliazioni del pentimento, le gioie del perdono in Cristo, le lotte e le sofferenze della vita nuova. Chi non vuol prender la scala di Dio sospira invano verso le alture celesti. 12. I misteri del consiglio di Dio sono troppo alti per noi. Ma, gl'inviti ch'egli rivolge ai peccatori affinchè si pentano e credano in Cristo, sono alla nostra portata. Il trascurarli od il respingerli è cosa di cui siamo responsabili.
31 SEZIONE C Romani 8:31-39In conclusione, la finale salvazione degli eletti, voluta dal Padre, garantita dall'opera del Figlio, suggellata nel cuore dallo Spirito, è assicurata contro gli avversi sforzi di qualsiasi creatura.
I versetti Romani 8:31-39 sono la conclusione di quanto l'Apostolo è venuto esponendo fino ad ora sulla salvazione. In Cristo i credenti sono stati giustificati. Fatti, in Lui figli di Dio, essi devono, per mezzo dello Spirito, giungere ad uno stato di santità e di gloria simile a quello in cui è entrato Cristo. Dalla perdizione, la grazia di Dio li conduce fino all'eterna gloria. Contemplando, nel suo insieme grandioso, quell'opera dell'amor di Dio, Paolo esce in un inno di trionfo che chiude degnamente il cap. 8 e la prima metà dell'Epistola.
Che diremo noi dunque a queste cose? in presenza, cioè, di questa catena di favori divini che parte dall'eternità e fa capo all'eternità? Quel che ne emerge, per noi, è la certezza della finale salvazione degli eletti, a cui Dio ha posto mano in tal modo. Se Dio è per noi, se egli è in nostro per salvarci, chi sarà contro di noi? Qual creatura sarà da tanto, anche se lo voglia, da mettere in forse la nostra salvazione, frustrando il disegno di Dio? Che Dio sia per noi non ne possiam dubitare, poichè ha dato per noi quel che avea di più prezioso: il proprio Figlio. Quel dono supremo ci è pegno ch'egli non vorrà negarci quelle grazie minori che sono necessarie per, condurre a compimento l'opera per cui Cristo è morto.
32 Colui che non ha risparmiato il suo proprio Figliuolo, anzi lo ha dato per tutti noi s'intende: alla umiliazione della morte. Si potrebbe rendere: «anzi ne ha fatto il sacrificio per noi tutti», come non ci donerà egli anche tutte le cose con lui? Dopo aver dato il più, non negherà il meno (cfr. Romani 5:6-10): darà la forza l'aiuto, la protezione, le consolazioni necessarie, nelle lotte di quaggiù. Se Gesù non fosse Figlio di Dio per comunanza di natura le parole dell'Apostolo non avrebbero senso, perchè non ci sarebbe sacrificio per parte di Dio, ma solo per parte dell'uomo Gesù. Ma col dire: il Suo proprio Figlio, l'Apostolo accentua la comunanza di natura del Figlio col Padre e segna la distanza che corre tra l'Unigenito e quelli che son figli per adozione. Il non ha risparmiato esprime ad un tempo l'ineffabile amore del Padre pel Figlio e la grandezza, del sacrificio nel darlo. Le parole di Paolo ricordano quelle rivolte da Dio ad Abramo: «Tu non hai risparmiato per me il tuo diletto figliuolo» (Genesi 22:12,16 nella versione dei LXX).
33 Dopo aver detto, in modo generale: Chi sarà contro di noi? Paolo fa una specie di rivista dei nemici possibili e dei generi di rivista di attacchi ch'essi ci potrebbero muovere. Chi accuserà? chi condannerà? chi ci separerà da, Cristo? Ed ogni volta, può rispondere vittoriosamente: Nessuno è in grado di farlo. Chi porterà accusa contro gli eletti di Dio? Eleggere significa scegliere fra molti Luca 6:13; Giovanni 6:70; 15:16,19; Atti 1:24; 15:7,22. Cristo è detto l'eletto di Dio Luca 23:35; 9:25. Gl'Israeliti sono stati eletti fra tutti gli altri popoli Atti 13:17. Gli angeli buoni sono chiamati angeli eletti 1Timoteo 5:21. I cristiani sono detti da Gesù «gli eletti» Matteo 20:16; 24:22,31; Marco 13:20. Sono destinati da Paolo come gli eletti, o l'elezione 2Timoteo 2:10; Tito 1:1; Romani 11:7, gli eletti di Dio (Colossesi 3:12; cfr. Romani 16:13; 2Giovanni 1:13; Atti 9:15; 1Tessalonicesi 1:4; 2Pietro 1:10). La nozione di elezione viene connessa, strettamente con quelle di prescienza e di predestinazione. L'elezione designa le persone che ne sono oggetto come prescelte fra molte; La predestinazione accenna al fine in vista del quale sono scelte. Quanto al perchè della scelta, Pietro chiama i credenti «eletti... secondo la preconoscenza di Dio...» 1Pietro 1:1-2 e, Paolo parla della, «elezione di grazia» Romani 11:5. Prescienza e grazia, determinano dunque la elezione di Dio in Cristo. Ma è il caso di ripetere: «Chi ha conosciuta la mente del Signore?» Romani 11:34. In questo versetto i cristiani sono come gli eletti di Dio per rilevare il fatto ch'essi sono l'oggetto dello speciale amore di Lui. L'accusatore personale, cui Paolo pensa potrebbero esserlo coloro che furono vittime di torti, di seduzioni o di scandalo da parte nostra, ma più specialmente Satana che nell'Apocalisse 22:4,19 è chiamato «l'accusatore dei nostri fratelli davanti a Dio». A questa, prima domanda, Paolo risponde: Dio è quel che giustifica. Dio ch'è il supremo Padrone e Giudice pronunzia, su coloro che sono in Cristo sentenza di assoluzione.
34 Chi sarà quel che li condanni? Colui che solo ne avrebbe il diritto è Dio. Ma egli non condanna coloro dei quali Cristo ha espiata la pena col suo sacrificio; la cui giustificazione è attestata dalla sua risurrezione Romani 5:25; in favor dei quali egli esercita il suo potere regale, seduto alla destra di Dio; coloro, infine, per i quali egli intercede qual Sommo Sacerdote Marco 10:37;16:19; Atti 2:33; Matteo 26:64; Ebrei 1:3; 8:1; 7:25; 9:24; 1Giovanni 2:1; Romani 5:9. Cristo Gesù è quel che è morto; e, più che questo, è risuscitato; ed è alla destra di Dio ed anche intercede per noi. «Non c'è più luogo ad alcuna ispecie di condannazione per coloro che sono in Cristo Gesù» Romani 8:1. I fatti cardinali dell'opera di Gesù in favor dei peccatori sono, secondo Paolo, la sua morte, la sua risurrezione, la sua sessione alla destra del Padre, e la sua intercessione. Alcune edizioni del testo greco con alcuni traduttori ed interpreti, punteggiando diversamente Romani 8:33-35, leggono così: «Chi accuserà gli eletti di Dio? [risposta sottintesa: Nessuno l'oserà]. È Dio che giustifica; chi condannerà? - È Gesù Cristo che è morto...; chi ci separerà dall'amor di Cristo...?». Ovvero ancora: «Chi accuserà gli eletti di Dio? Sarà egli Dio il quale giustifica? Chi li condannerà? Sarà egli Cristo Gesù che è morto...?». La sostanza generale del testo rimane la stessa e non vediamo che la forma guadagni nulla da questa punteggiatura. Anzi, che c'è di più solenne di quella serie di interrogazioni rivolte a guisa di sfida a tutti i possibili avversari, e seguite ognuna da una risposta trionfante che ripete, in varie guise, come, Dio sia veramente per noi?
35 Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Coloro che sono uniti con Cristo non hanno da temere condannazione nel giorno del giudicio. Ma il legame della fede che li unisce a Cristo, che fa di lui l'oggetto supremo della lor fiducia, e, di loro l'oggetto delle sue cure amorose, non corre esso pericolo di venir spezzato in mezzo alle tempeste della vita, ed agli attacchi perfidi e violenti dei nemici? Così rimarrebbero separati dalla fonte della loro salvezza, dall'amor di Cristo per loro (cfr. Romani 8:39). Il pericolo qui segnalato è purtroppo, reale, come ne fanno fede le frequenti esortazioni di Cristo e degli Apostoli a vegliare, a pregare, perseverare, a combattere. Ma anche qui Paolo risponde che, gli eletti di Dio non sono lasciati soli nella fornace dell'afflizione, nè in mezzo alla mischia «Io son con voi ogni giorno», «le mie pecore... nessuno le rapirà dalla mia, mano», avea detto il Cristo. «Colui ch'è in voi è più potente di colui ch'è nel mondo», dice S. Giovanni; e Paolo: «Niente ci separerà dell'amor di Dio in Cristo». Ma intanto, enumera le sofferenze di vario genere che i fedeli sono chiamati talvolta ad affrontare. Paolo avea fatto di già una tale esperienza e stava per farla ancora 1Corinzi 4:11-13; 2Corinzi 11; Atti 20 e seg., e quanto alla chiesa di Roma, cinque anni dopo ricevuta questa lettera, la doveva investire l'uragano della persecuzione di Nerone. Sarà forse la tribolazione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada? Tribolazione, distretta, indicano le sofferenze in modo generico, mentre le parole che seguono accennano a sofferenze speciali, alla persecuzione aperta, seguita da privazioni e da pericoli d'ogni genere, e spesso da morte violenta.
36 E per mostrar che questa è la sorte riservata al popolo di Dio di tutti i tempi, cita le parole di Salmi 44:22 (secondo la LXX), ove il Salmista descrive i patimenti degli Israeliti vinti dai loro nemici. Come è scritto: "Per amor di te noi siamo tutto il giorno senza posa, messi a morte; siamo stati, dai nemici considerati come pecore da macello". che si possono uccidere senza scrupolo, quando pare e piace. Tali, le sofferenze recateci dalla malvagità del mondo; ma esse non avranno tanta forza da spegnere in noi la fede e separarci da Cristo.
37 Anzi, in tutte queste cose, noi siamo più, che vincitori [o riportiamo vittoria completa], non per forza nostra, ma in virtù di colui che ci ha amati, mediante l'assistenza che ci presta, dal cielo, colui che diede per noi la propria vita. «Vi è, nell'amor di Cristo che abbraccia il credente, tale una potenza da vincere tutte le debolezze dello scoramento, tutti gli sfinimenti del dubbio, tutti i timori della carne, tutti gli orrori del supplizio» (Godet).
38 Allargando il suo pensiero, l'Apostolo esprime terminando, la convinzione, maturata in lui da una lunga esperienza di sofferenze e di trionfi della grazia, che nessuna forza avversa qualsiasi potrà rompere il legame tra Cristo e coloro che son suoi (cfr. 1Corinzi 3:21-23) qualora non lo spezzino essi stessi volontariamente. poichè io son persuaso che nè morte, nè vita, non la paura della morte e del martirio che potrebbe coi suoi dolori indurli a rinnegar Cristo; nè la vita colle sue preoccupazioni, i suoi allettamenti e le sue vanità. nè angeli, nè principati, non gli angeli ribelli colla loro intelligenza e potenza sovrumane, e coi diversi principati in cui sono spartite le loro migliaia Efesini 6:12. nè cose presenti, nè cose future non le cose che ci possono avvenire nella vita attuale, le tentazioni, le sofferenze, le seduzioni, le cadute, che sono cose presenti, nè la morte, nè il giudicio, nè alcun'altra fra le cose future,
39 nè podestà (da collocarsi qui secondo il testo emendato) terrestri o celesti che siano, nè altezza, cioè, gli eventi e circostanze atti a farci salire sulle alture della prosperità, della felicità, degli onori, ovvero anche sulle vette della conoscenza, dei successi o dei privilegi spirituali (cfr. 2Corinzi 12:1 e seg.), nè profondità per cui s'intendono gli eventi e circostanze atti a farci affondare nello scoramento, nel dubbio, nella disperazione (Cfr. Getsemane), nè alcun'altra creatura o cosa creata che non rientrasse nella enumerazione precedente. potranno separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore. Nulla, assolutamente, avrà forza da strapparci all'amor di Dio manifestato in Cristo Gesù nostro Signore, che è come il canale per il quale ci vengono i doni dell'amor di Dio, egli stesso essendo il maggior di tutti. Amor di Cristo e amor di Dio in Cristo sono in questi versetti considerati come equivalenti, perchè secondo la dichiarazione di Cristo, «Egli ed il Padre sono una stessa cosa» Giovanni 10.
RIFLESSIONI 1. Questo splendido capitolo si chiude nelle braccia dell'amore infinito, colla sicurezza che nulla nè persona potrà strappare i figli di Dio. «Gloria e lode sieno a Dio, esclama L. Bonnet, per aver fatto sì che un misero peccatore possa celebrare con un tale linguaggio la sicurezza della salvazione!». Ed il Chalmers così pregava: «Deh! che io possa fare la personale esperienza di tutte le benedizioni mentovate in questo magnifico capitolo!». 2. La certezza della salute devesi procacciare da ciascun cristiano. Non la si può aspettare prima che la fede sia stata provata; ma non la si deve reputare presunzione quando è fondata sopra la grazia di Dio e sull'opera, di Cristo. Non è privilegio speciale dagli Apostoli. Chi ha fede sincera, potente, non turbata da cattiva coscienza, può giungere a possederla al par di Paolo, poichè la giustificazione, e tutti i benefici derivanti dalla morte, come alla vita celeste del Cristo, sono destinati ugualmente a tutti i credenti. Se, come attesta il Moehler, «i cattolici non ammettono che l'uomo possa aver la piena certezza della sua eterna salvezza», ciò dipende dal fatto che, nella Chiesa romana, è stata oscurata la dottrina della salvezza per grazia, mediante la fede nell'unico Mediatore, Gesù Cristo. 3. Per quanto sia difficile, per una mente finita, il comprendere i sentimenti divini, non dobbiamo e non possiamo porre in dubbio la realtà del sacrificio compiuto da Dio quando non «risparmiò» il suo Figlio unigenito per noi. Dio ha tanto amato... ch'egli ha dato... Giovanni 3:16. In questo dono supremo sono implicitamente compresi tutti gli altri. In lui e per mezzo di lui, si manifesta, in fatti concreti, tutto l'amor di Dio, per la, salvezza dei peccatori. In lui abbiamo la nostra giustificazione Egli «è stato dato a cagione delle nostre offese ed è risuscitato a, cagione della nostra giustificazione» Romani 4:25. Egli è la nostra santificazione; uniti a lui, moriamo al peccato e viviamo per la giustizia (cap. 6). Egli sarà la nostra finale redenzione quando gli saremo resi simili nella gloria (cap. 8). 4. Quale forza deriva dalla certezza che Dio è per noi! Con lui, si affrontano e persecuzione, e privazioni, e supplizi ed ogni nemico terrestre e celeste, e si è «più che vincitori per mezzo di Colui che ci ha amati». È questa la spiegazione della vittoria dei martiri sui tormenti e sulla morte. «Alcuni anni or sono, narra il Moule, io ricordo di aver letto la chiusa di questo capitolo con alcuni amici, in una bella sera di Gennaio, nel Colosseo, al chiar di luna. Quelle parole erano state scritte da molto tempo, per esser lette in questa stessa città, da un uomo che riposa alle Tre Fontane ove fu decapitato per andarsene con Cristo; erano state scritte per uomini e donne., alcuni dei quali forse soffrirono il martirio in questo stesso anfiteatro costruito ventidue anni soltanto dopo ch'era stata scritta la Lettera ai Romani e divenuto ben presto teatro d'innumerevoli martiri cristiani. Ripetemmo le parole dell'epistola e rendemmo grazie a Colui che avea dato ai suoi santi di trionfare, in quel luogo, sulla vita e sulla morte, sulle e sugli uomini e sui demoni. Essi sapevano in chi avevano creduto... Egli viveva in loro ed essi in lui per mezzo dello Spirito a loro donato... E quindi pensammo a noi, alle nostre circostanze così diverse, eppur così simili, in fondo a quelle di quei credenti. Per vincere, abbiamo bisogno anche noi della stessa verità e della stessa Vita... Per noi pure Gesù è morto. In noi pure, egli vive mediante lo Spirito Santo». 5. «L'odio del mondo è sempre in proporzione dello splendore e della forza con cui manifestasi la verità di Dio» (Bonnet). 6. L'intiero universo con tutto quello che contiene, inquanto è buono, è l'amico e l'alleato del cristiano; ed in quanto è cattivo, è un nemico più che vinto» (Hodge).
Dopo aver affermato Romani 6:1-14 che l'entrata, per fede, nello stato di grazia implica un morir al peccato ed un risuscitare a vita nuova; dopo aver dimostrato come lo stato di grazia implichi una volontaria sottomissione alla giustizia ed una intima appartenenza al Cristo vivente, mentre lo stato legale ci lasciava miseri schiavi del peccato e della morte Romani 6:15-7:25, l'Apostolo viene, in questo paragrafo, a dichiarare più esplicitamente qual'è la forza di vita nuova che viene comunicata al credente insieme col perdono dei peccati. Non si tratta di una forza impersonale, ma della comunicazione dello Spirito stesso di Dio che viene ad abitare nel cristiano. Ecco il sunto delle tre sezioni in cui si può dividere il Cap.8:
Sezione A - In Cristo, il credente riceve lo Spirito, che lo affranca dall'impero del peccato e della morte Romani 8:1-11;
Sezione B - In Cristo, il credente è fatto partecipe dello Spirito che lo accerta della sua adottazione a figlio di Dio, e gli è arra della gloria cui è, da Dio predestinato Romani 8:12-30;
Sezione C - In conclusione, la finale salvazione degli eletti, voluta dal Padre, garantita dall'opera del Figlio, suggellata nel cuore dallo Spirito, è assicurata contro gli avversi sforzi di qualsiasi creatura Romani 8:31-39.
SEZIONE A Romani 8:1-11 In Cristo il credente riceve lo Spirito che lo affranca dall'impero del peccato
Il miserando stato di schiavitù e di morte in cui si dibatte l'uomo lasciato a sè stesso, non è il solo che Paolo abbia sperimentato. L'Evangelo di Cristo ha risposto al suo grido di angoscia Romani 7:24. Il tempo in cui era «venduto schiavo al peccato» è passato. In Cristo, egli ha fatto esperienze più consolanti ch'egli ora espone, in un linguaggio spirante la gratitudine, la pace e l'intima certezza di cui è ripieno il suo cuore. Perciò la sua esposizione ha la maestà di un inno di vittoria Cfr. Romani 5. Le prime parole del cap. 8 costituiscono ad un tempo un contrasto ed una conclusione: un contrasto tra lo stato presente di Paolo, (ora... in Cristo) e lo stato passato di lotta disperata, senza Cristo Romani 7:7-25; una conclusione (dunque) in cui l'apostolo si rifà a quanto ha, esposto nei capitoli precedenti circa la giustificazione dei credenti e la loro vitale e santificante unione col Cristo risorto.
Non v'è dunque ora alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù;
Il rimanente del versetto manca nella maggior parte dei manoscritti e si ritiene, generalmente, come chiosa tolta da Romani 8:4, ov'è autentico. Fuor di Cristo, il peccato non può esser nè cancellato, nè vinto; quindi, l'uomo non ha altra prospettiva che la condannazione nei suoi successivi gradi di morte spirituale sempre più profonda, di morte corporale e di morte eterna Romani 6:23; 7:5,10,13,24. Per coloro che sono in Cristo, cioè a lui uniti per quella fede che li fa porre in lui il fondamento della loro vita, tutto è mutato. Non vi è più luogo, ad aspettazione paurosa di alcuna specie di condanna. In tutte le sue forme è tolta ed ogni traccia ne dovrà sparire. E infatti, in Cristo, non solo abbiamo giustificazione; ma una nuova potenza di vita, comunicata dal suo Spirito, ci affranca dal triste impero del peccato.
2 perchè, la legge dello Spirito della vita, in Cristo Gesù,
la nuova forza regolatrice e motrice della vita morale, impiantata dallo Spirito creatore della vita spirituale Giovanni 3:6-8, in coloro che sono uniti a Cristo per fede,
mi ha affrancato dalla legge del peccato e della morte
cioè dalla potenza che dominava la mia vita di prima. Il peccato è di per sè una morte, perchè separa l'anima da Dio; esso poi ingolfa l'uomo nella morte in tutti i sensi. Ove regna il peccato, regna la morte. Ma, dall'impero del peccato, Paolo è stato liberato. Certo egli non è giunto alla perfezione Filippesi 3; egli macera il suo corpo e lo riduce in servitù 1Corinzi 9:27. Egli sa che all'infuori della grazia non può nulla, non è nulla. Ma, come ha sperimentato la potenza del peccato, così ha sperimentato dipoi la potenza liberatrice dello Spirito di Cristo. Una variante antica sostenuta dai codd. Vaticano e Sinaitico, ed accettata da Tischendorf, Westcott-H., Nestle, Lagrange, ecc., porta, in Romani 8:2: «ti ha affrancato...», lezione dovuta probabilmente all'inavvertenza d'un copista che ha ripetuto l'ultima sillaba del verbo greco. Nulla infatti giustifica l'introduzione della seconda persona in un contesto ove Paolo ha parlato e parla di sè. Cfr. Romani 7:24-25: Misero me... chi mi trarrà... Chiunque si mantiene, come Paolo, in unione intima con Cristo, farà una consimile esperienza. L'opera santificante dello Spirito non è il fondamento della giustificazione del credente; ma è la garanzia di fatto che la condanna è allontanata per sempre e non tornerà più, poichè lo Spirito ne sta estirpando la causa, cioè il peccato.
3 Romani 8:3-4 spiegano perchè la potenza liberatrice dello Spirito sia «in Cristo Gesù». Essa ha il suo fondamento nella morte e nella risurrezione di Cristo, la cui virtù è applicata, dallo Spirito, al credente.
Infatti, quel ch'era impossibile alla legge, in quanto era senza forza per via della carne, Dio [l'ha fatto].
Si può, col Diodati, chiudere in una parentesi la prima parte di Romani 8:3. Ma si rende meglio l'energia del pensiero scomponendo in due la frase concisa di Paolo, e supplendo qualche parola. L'impotenza della legge nell'estirpare il peccato è stata dimostrata nel cap. 7. La presenza e la vitalità della natura corrotta., colle sue carnali inclinazioni, rendeva vane le prescrizioni e le minacce della legge. Ma quel che la legge non potea fare, la grazia di Dio lo ha compiuto.
Mandando il suo proprio Figliuolo,
dal cielo ov'egli era ab eterno appo il Padre, sulla terra ov'egli si è incarnato
in carne simile a carne di peccato
(lett. in somiglianza, di carne, di peccato), assumendo una natura umana simile alla nostra attuale, salvo il peccato Luca 1:35,
e a motivo del peccato,
cioè per espiarlo e per distruggerlo,
ha condannato il peccato nella carne.
In che modo? Col mostrare, mediante la vita santa di Gesù, che il peccato non è cosa inerente alla natura umana? Così rispondono alcuni. Guardando, però, a quanto l'Apostolo ha esposto in Romani.6:1-10, il pensiero suo pare essere il seguente: Nella morte di Cristo, il nuovo Adamo che rappresenta l'umanità, non solo è stata espiata la colpa, ma la podestà del peccato sull'uomo è stata sentenziata a morte, affinchè il credente corpo e anima appartenesse a Dio. E questa sentenza di morte sul peccato, lo Spirito la realizza in ogni individuo che per fede si unisce a Cristo.
4 Infatti, Paolo aggiunge:
affinchè la giustizia prescritta dalla legge si compiesse in noi che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito.
È questo lo scopo ultimo dell'incarnazione di Cristo: distruggere il dominio del peccato, per stabilire, in sua vece, quello della giustizia., portando così l'uomo a quell'ideale di santità ch'era nella mente di Dio. Quest'ideale si viene effettuando in coloro che, fatti nuove creature, non si conducono più secondo le inclinazioni della natura corrotta, ma secondo le aspirazioni nuove create dallo Spirito di santità e che costituiscono l'essenza morale della legge. Scriviamo di solito Spirito colla S maiuscola, in questa sezione perchè si tratta dello Spirito Santo che, venendo ad abitare nello spirito umano, vi crea e vi perfeziona la vita nuova, in opposizione alle peccaminose disposizioni carnali. Fin da Romani 8:2, Paolo parla della «legge dello Spirito della vita»; e in Romani 9-11 egli mentova ripetutamente lo Spirito di Dio, lo Spirito di Cristo. Altri adoperano la s minuscola in Romani 8:5-9 perchè stimano che si tratti dello spirito, umano, compenetrato però dallo Spirito di Dio. La differenza non è sostanziale. In Romani 8:10, ove lo spirito è contrapposto al corpo, è chiaro che tratta dello spirito umano.
5 Senza il rinnovamento interno che ha mutata la direzione della vita; che le ha dato un nuovo principio informatore, non sarebbe stato mai possibile di giungere all'adempimento della volontà di Dio:
Poichè, quelli che sono secondo la carne,
che sono carnali, dominati dagli impulsi della natura carnale,
hanno l'animo alle cose della carne;
I loro pensieri, le loro preoccupazioni, i loro affetti si volgono alle cose, atte a soddisfare le inclinazioni carnali.
ma quelli che sono secondo lo Spirito,
di cui lo Spirito ha mutate le disposizioni,
han l'animo
volto
alle cose dello Spirito.
che sono in armonia colla legge, «spirituale,» di sua natura «Lo stato morale determina, l'aspirazione, l'aspirazione informa la condotta» (Godet).
6 A caratterizzare in una parola le aspirazioni o le tendenze della carne, l'Apostolo dice:
Perchè ciò a cui la carne ha l'animo è morte:
morte in quanto allontana sempre più l'anima da Dio e conduce infine alla morte definitiva. Ma le aspirazioni dello Spirito sono conformi alla volontà di Dio ed al supremo bene dell'uomo:
ma ciò a cui lo Spirito ha l'animo è vita e pace;
è vita in sè e conduce alla pienezza della vita; è pace perchè è in armonia con Dio e non conturba l'anima. «La quiete interna che accompagna lo sviluppo della vita in noi, è contrapposta al malessere ed al turbamento profondo che accompagnano il dichinare verso la morte».
7 La ragione di questo carattere funesto delle aspirazioni carnali, come del carattere vitale delle aspirazioni dello Spirito, viene spiegata nei versetti che seguono.
poichè ciò a cui la carne ha l'animo è inimicizia contro Dio, perchè non è sottomesso alla legge di Dio, e neppure può esserlo; e quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio.
Le aspirazioni carnali menano alla morte perchè per la loro natura sono inimicizia contro Dio, La carne essendo ribelle alla legge di Dio, nè potendo essere altro, a meno di rinnegar sè stessa, di suicidarsi. Data questa essenza dell'aspirazione carnale, è evidente che coloro la cui vita si svolge in quell'ambiente e sotto una tale dominazione, non possono piacere a Dio.
9 Ma tale non è lo stato dei lettori cristiani cui Paolo scrive:
Ma voi non siete nella carne, bensì nello Spirito.
la vostra vita è, dallo Spirito: egli ne è l'alito vivificatore
se pur lo Spirito di Dio abita in voi
come nella sua dimora e non è escluso da una volontaria persistenza nel male;
ma se uno non ha lo Spirito di Cristo
(ch'è anche di Dio),
egli non è di lui.
non gli appartiene, non è del numero di coloro, che sono a lui uniti per fede.
10 Se, invece, Cristo è in voi,
per mezzo del suo Spirito, il vostro stato e le vostre prospettive sono vita in Dio e con Dio.
ben è il corpo morto a cagion del peccato;
il Cristiano è sottoposto alla penosa necessità della morte del corpo, a motivo del peccato di Adamo e suo. La redenzione in Cristo non ha altro effetto presente sul corpo che di strapparlo al peccato e di farlo servire, per quanto imperfettamente a giustizia. Non è più «corpo di peccato», «corpo di questa morte», ma è posto al servizio di Dio 1Corinzi 6:20; Romani 12:1; Filippesi 1:20. Però resta mortale Romani 8:11 e dichina rapidamente al suo disfacimento. Non già che la morte fisica dei credenti sia loro inflitta come manifestazione d'ira. Non c'è più alcuna condannazione per loro; riconciliati con Dio, essi sono liberati dalla paura della morte che li faccia soggetti a schiavitù per tutta la vita Ebrei 2:14-15; possono perfino desiderare di morire «per esser col Signore Filippesi 1:23. Sussiste, ciononostante, anche per loro, la necessità della morte. Perchè? Perchè il corpo quale lo crediamo e quale lo rendiamo, è «saturo di un virus morale da cui non sarà liberato se non polverizzato nel sepolcro» (Chalmers). (Cfr. 1Corinzi 15:51-54; Filippesi 3:21). È adatto alla vita psichica terrestre, ma non alla vita superiore. Quindi, una volta che lo spirito umano è vivificato dal divino, anche il suo involucro e strumento deve, nel disegno di Dio, aver parte alla vita. In fondo, il disfacimento della vecchia casa contaminata disadatta ai bisogni della nuova vita, è un avviamento al sorgere della nuova (cfr. 2Corinzi 5) che avverrà nella risurrezione. Mentre vive quaggiù, il figlio di Dio deve continuare nel corpo «terreno», come fece Cristo, però senza, peccato. A suo tempo rivestirà il corpo «celeste», come già lo riveste il secondo Adamo nella gloria (cfr. 1Corinzi 15). Il corpo terreno dunque muore.
ma lo spirito
umano compenetrato, da quello di Dio,
è vita,
è compenetrato dalla vita vera nella comunione con Dio
a cagion della giustizia.
cioè, come molti spiegano, «a cagion della giustizia procurata da Cristo e ai credenti»; o meglio: a cagion della giustizia che Cristo infonde per lo suo Spirito in coloro che sono stati di già per i suoi meriti (cfr. Romani 8: 4,6). A misura che il credente cresce nella Morale somiglianza a Cristo, egli realizza, in sè la vita di cui pienamente nello stato di perfezioine. I due concetti si possono d'altronde unire in questo passo.
11 Però, se lo Spirito di Cristo abita in loro, non è soltanto lo spirito, ma tutto l'essere loro che dovrà essere un giorno partecipe della pienezza della vita. I redenti sono da, Dio destinati ad esser «conformi all'immagine del suo Figliuolo» Romani 8:29. Quindi, l'Iddio che risuscitò dai morti il «Capo», il «primogenito fra molti fratelli», le «primizie», farà lo stesso per coloro che gli sono uniti, vivificando i loro corpi, onde «quel ch'è mortale sia assorto dalla vita 1Corinzi 15.
E se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali, per mezzo del suo Spirito che abita, in voi.
Buona parte dei codici e delle antiche versioni, invece di: per mezzo del suo Sp... (δια του), legge: a motivo del suo Sp... (δια το), La prima lezione accettata da Tisch. Nestle, Sanday, ecc., accenna allo Spirito della vita come all'agente vivificatore, non solo degli spiriti, ma anche dei corpi dei credenti. La seconda, sostenuta da Godet, Soden, Kühl, ecc., accenna all'abitazione dello Spirito come al motivo per cui Dio risuscita anche il corpo che n'è stato il tempio. La persona, umana ch'è stata fatta degna dell'abitazione dello Spirito di Dio, dev'essere tutta quanta permeata dalla vita dello Spirito e rivestire, per conseguenza, un corpo «spirituale» che sia, cioè, organo adatto della vita superiore. Si noti che Paolo parla della risurrezione del corpo, non della carne che ha da esser distrutta quando designa la natura corrotta; e anche quando designa semplicemente la parte materiale dell'uomo, essa non è adatta alla vita celeste secondo l'insegnamento di Paolo 1Corinzi 15:50.
RIFLESSIONI
1. L'esperienza di Paolo, nelle sue varie fasi, è tipica di quelle per cui passa ogni cristiano. Dopo un periodo di relativa incoscienza morale, in cui era «senza legge» Romani 7:9, egli era venuto a reale contatto colle esigenze morali di essa ed avea principiato a conoscere il suo stato di peccato. Riconoscendo, nella legge, il bene da praticare, egli si era posto animosamente all'opera, ma colle sole sue forze; ed avea dovuto, come più tardi Melantone, riconoscere che «il vecchio Adamo era troppo forte per il giovine Melantone». Il sunto di quella esperienza sta in quel grido di dolore e d'impotenza. Misero me uomo! chi mi libererà? Ma ora spuntato finalmente il sole sulla via di Damasco; Cristo avea recato, col perdono, la vita nuova, e Paolo può esclamare ora: «La legge dello Spirito della vita mi ha affrancato dalla legge del peccato e della morte». Per stadi consimili passa ogni redento.
2. «Non c'è sicurezza, nè santità per coloro che sono fuori di Cristo. Nessuna sicurezza, perchè sono sotto la, condanna della legge; nessuna santità, perchè soltanto coloro che sono uniti con Cristo hanno lo Spirito di Cristo; nessuna felicità, poichè l'esser nella carne è morte» (Hodge).
3. Il fondamento della santificazione è la creazione di una nuova vita, per opera dello Spirito della vita. Senza questo germe vitale, invano si cercherà di produr l'albero ed i frutti. «Fate l'albero buono ed il suo frutto sarà buono». Il cercarle di migliorare e di correggere l'uomo vecchio è opera vana. «Esso non può esser santificato, ma dev'esser crocifisso» (Olshausen). «Quel ch'è nato dalla carne è carne; ma quel ch'è nato dallo Spirito è spirito» Giovanni 3:6.
4. Vogliamo noi sapere se siamo «nella carne» o «nello Spirito»? Vediamo in quale direzione volgonsi le nostre aspirazioni, le nostre preoccupazioni: quali cose ci recano maggior soddisfazione; qual fine hanno i nostri progetti ed i nostri sforzi. Miriamo noi a soddisfare appetiti carnali, ambizioni, brama di ricchezza, egoismo? È segno che siamo ancor nella carne.
5. Chi, è nella carne è in stato d'inimicizia con Dio. «È questa la spiegazione del fanatismo ateo di una generazione» (Godet).
6. Lo Spirito è chiamato in questi versetti: Spirito di Cristo, Spirito di vita. Questo si spiega solo quando si riconosca la divinità di Cristo e dello Spirito; l'unità d'essenza e la distinzione delle persone nella Trinità. D'altronde, se lo Spirito non fosse Dio non potrebbe esser Creatore di vita nuova. Ma si tratta di vedere ch'Esso «abiti in noi».
Il portar il nome di Cristo, il praticare le forme del Cristianesimo non è prova certa che «siam di Cristo». «Chi non ha lo Spirito di Cristo non, è di lui».
7. La morte del corpo non è più per il cristiano il «re degli spaventi». È un deporre l'abito logoro, la tenda provvisoria, per rivestire l'abito nuovo del corpo celeste, per entrar nell'edificio preparato nei cieli 2Corinzi 5. Nella vita dello Spirito sta la garanzia della trasformazione o della resurrezione del corpo. L'essere umano è una unità che non può scindersi per sempre. Il corpo dove perciò, nel disegno di Dio, partecipare alla vita celeste.
12 SEZIONE B Romani 8:12-30 In Cristo, l credente è fatto partecipe dello Spirito che lo accerta della sua adozione a figlio di Dio, e gli è arra della gloria alla quale è da Dio predestinato
L'Apostolo ha mostrato come lo Spirito di Cristo sia nei credenti, fonte di libertà e di vita che comincia nello spirito umano quaggiù, e si estenderà anche al corpo nella gloriosa risurrezione. Prima di raggiungere una tanta meta, i credenti devono lottare contro il peccato che resta in loro; devono soffrire per il nome di Cristo e pazientare; ma il risultato finale è certo, e questo li deve sostenere (cfr. Romani 5:1-11). Questa certezza la spande nei loro cuori lo Spirito che li rende sicuri della loro adozione a figli di Dio e della eredità ch'è riservata ai figli. I sospiri stessi ch'Egli forma nei cuori e che fan riscontro al gemito della natura, attestano che il compimento non sarà raggiunto se non quando i figli di Dio saranno resi conformi al loro fratello maggiore, Cristo. È quello infatti il coronamento del piano divino della redenzione.
Romani 8:12-13 contengono la conclusione pratica di quanto è stato detto, e sono il punto di partenza della sezione che segue.
Così dunque, fratelli,
giacchè lo Spirito è per noi sorgente di vita, mentre la carne è fonte di morte,
noi siamo debitori non alla carne, per viver secondo la carne;
poichè non possiamo aver degli obblighi verso quel ch'è la nostra rovina presente ed eterna.
13 perchè, se vivete secondo la carne, voi morrete;
Il termine ultimo a cui conduce necessariamente la vita carnale è la separazione eterna da Dio, ch'è la «morte che non muore più, nella geenna» (Ecumenio). (Cfr. Romani 6:21; Matteo 10:28). Paolo pareva voler continuare la frase col dire: «Siamo invece debitori allo Spirito, per vivere, ecc.». Egli la compie in altra forma, ma senza mutar la sostanza. Il viver secondo lo Spirito, implica infatti il far morire la carne.
Ma se, mediante lo Spirito.
colla forza di vita che lo Spirito comunica al vostro spirito,
fate morire gli atti del corpo, voi vivrete;
Dice: gli atti o le pratiche del corpo, poichè sotto l'impulso della carne, il corpo è l'istrumento del peccato. Se alla carne viene sostituito lo Spirito quale principio di vita, viene a cessar la forza motrice che determinava l'attività peccaminosa; muoiono gli atti del corpo, il quale diventa strumento di giustizia. La morte della vita carnale è la vita vera dell'uomo, e mena alla vita eterna. La santificazione, del credente non si compie senza il suo concorso. Lo Spirito sorgente di vita gli è dato, ma deve adoperare quella forza divina, non resistere ai suoi impulsi. Ed alla quotidiana lotta deve sentirsi animato guardando al glorioso fine cui lo conduce lo Spirito: la vita. Tale risultato non è problematico, ma certo, perchè coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, più che schiavi affrancati, sono figli di Dio; e, come tali, sono destinati ad arrivare, al di là delle sofferenze del presente, alla conformità con Cristo.
14 Viverete della vita perfetta nella gloria, dice Paolo,
poichè, tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio, sono figliuoli di Dio.
(lett. quelli son figli...). Nell'Antico Patto, il popolo d'Israele era l'oggetto dell'adozione divina e chiamato «figlio di Dio» Deuteronomio 14:1; Osea 1:10. Nel Nuovo Patto, l'adozione è individuale ed ha per condizione la fede in Cristo Giovanni 1:12; Galati 3:26. Lo Spirito non trascina l'uomo a forza, nè opera su lui dal difuori; lo guida o conduce, illuminando la mente, persuadendo il cuore, inclinando la volontà. Coloro, che di fatto, si piegano alle ispirazioni dello Spirito dimostrano d'esser figli di Dio, poichè in loro vi è l'alito del Padre celeste Galati 4:6. Il possesso dello Spirito è come il suggello della loro adozione. Lo Spirito del Padre non abita che nei figli.
15 E in vero, voi non avete ricevuto uno spirito di servitù,
lo spirito proprio degli schiavi, che nutre sentimenti di schiavi,
per ricader nella paura,
come quando tremavate dinanzi a Dio per paura dei suoi giudici (cfr. Esodo 20; Galati 3;4). Tanto i Giudei sotto l'economia legale, come i Gentili dinanzi alle loro corrotte nozioni della divinità, provavano i sentimenti degli schiavi dinanzi ai loro padroni; erano mossi non dall'amore, ma dalla paura del castigo. Solo in casi eccezionali, la pietà israelitica s'ispirava a sentimenti più elevati; spirito equivale qui a disposizione, a mentalità.
ma avete ricevuto uno spirito di adozione,
uno spirito che appartiene allo stato di chi è in relazione filiale con Dio, che sviluppa sentimenti di fiducia, di libertà, d'amore, di abbandono, ai quali diamo espressione nelle nostre preghiere quando, rivolgendoci a Dio, lo chiamiamo col dolce nome di Padre;
per il quale
o: nel quale, sotto al cui impulso
gridiamo: Abba Padre.
Abba è la forma aramaica dell'ebraico Ab che vuol dir padre. La si ritrova in Marco 14:36; Galati 4:6. Siccome varie altre parole sono passate dall'aramaico, o dall'Ebraico nella lingua divozionale della primitiva chiesa (es. Alleluia, Hosanna, Amen, Maranata), si suppone ch'esse sieno state dapprima comunemente adoperate dai cristiani usciti dal giudaismo, per i quali erano formule della lingua materna, apprese dall'infanzia, e sieno dipoi passate nell'uso generale, anche presso i cristiani etnici. Però, affinchè gli estranei potessero comprendere le preghiere, si soleva aggiungere all'aramaico Abba, il suo equivalente greco: padre.
16 Lo Spirito stesso che ha creato in noi lo spirito filiale, che ci spinge a chiamar Dio nostro Padre, ci assicura egli stesso, da parte di Dio, che siam veramente figli a lui diletti:
Lo Spirito stesso attesta anch'Egli al nostro spirito che noi siamo figliuoli di Dio.
L'originale ha qui, per esprimere l'idea di figliuolanza, un'altra parola (τεκνα) che accenna all'intimità affettuosa anzichè alla dignità di, una tale relazione. Lo Spirito ci porta a dire a Dio: Tu sei mio Padre, e da parte di Dio dice al nostro spirito: si, tu sei mio figlio diletto. «Mentre, le nostre braccia si stendono per afferrare il Dio che si dà a noi in Cristo, le sue braccia anch'esse ci circondano e ci attraggono sul suo seno» (Godet).
17 Il possesso dello Spirito ci rende adunque certi della nostra posizione di figli; ma l'esser figli di Dio implica, cose gloriose riguardo al nostro avvenire.
E se siamo figliuoli, siamo anche eredi,
poichè le due cose non si possono disgiungere Galati 4:7; Marco 12:7:
eredi di Dio
chiamati ad entrar in possesso dei beni che Dio, il quale non muore, tiene in serbo per i suoi figli. A render più concreto questo pensiero, l'Apostolo aggiunge:
e coeredi di Cristo,
destinati a dividere quella gloria nella quale è entrato il nostro fratello maggiore (cfr. Romani 8:29; 1Giovanni 3:1 e segg.; Giovanni 14:3). Però siccome prima di dividere l'eredità di gloria c'è da dividere quaggiù l'eredità delle sofferenze Giovanni 12:24-26; Matteo 16:24-25; 2Timoteo 2:12, se ricusiamo la nostra parte di quest'ultima, non avremo parte all'altra. Quindi la restrizione:
se pure soffriamo con lui affinchè siamo anche glorificati con lui
2Timoteo 2:5-6. Le sofferenze sono, nell'intento divino, la via inevitabile che mena alla gloria Filippesi 3:10-11; 2Corinzi 1:5-7. Una meta così splendida è ben fatta per render loro lievi le sofferenze che la fede cristiana trae con sè nella vita presente 1Pietro 4:14-16. E che la gloria sia il fine verso il quale sono avviati ed al quale hanno da giungere i figli di Dio, lo attestano:
a. il sospiro della natura inanimata verso uno stato migliore Romani 8:19-22;
b. il sospiro dei figli di Dio che già hanno in sè, a guisa di profezie, lo Spirito Romani 8:23-25;
c. il sospiro dello Spirito stesso nella preghiera ineffabile Romani 8:26-28; e in ultimo:
d. il fatto che, nel piano divino della redenzione, la conformità con Cristo è lo scopo finale al quale tutto è diretto Romani 8:28-30.
18 La condizione del soffrir con Cristo affin di giungere ad esser glorificato, con lui non è grave, poichè non c'è paragone tra le lievi sofferenze del presente e la grandezza della gloria avvenire.
Perchè io stimo che le sofferenze del tempo presente,
il tempo che precede la venuta di Cristo in gloria, e durante il quale i fedeli hanno da soffrir non solo i dolori comuni a tutti gli uomini: infermità, privazioni, lutti, ma le persecuzioni cagionate dalla loro fede in Cristo. Cfr. Romani 8:35-39; 2Corinzi 11:23-33. Cotali sofferenze sono chiamate, in 2Corinzi 4:17, «la nostra momentanea leggera afflizione» che «ci produce un sempre più grande smisurato peso eterno di gloria». Qui Paolo dice:
non sono punto da paragonare con la gloria che ha da essere manifestata a nostro riguardo
e che ora è nascosta Colossesi 3:3-4. Con queste parole sulle labbra spirava Calvino nel 1564. La grandezza, ad un tempo, e la certezza di quella gloria come coronamento da Dio prestabilito dell'opera redentrice, sono attestate dal fatto che ad essa tutto tende, tutto anela, dalla creazione inferiore che geme inconscia, fino allo Spirito che forma nei cuori dei fedeli dei sospiri ineffabili. Quest'aspirazione che Dio stesso suscita, è egli mai possibile che non risponda al disegno di Dio? No; e difatti sappiamo per la rivelazione, che quello è il fine a cui Dio conduce i suoi figli.
19 Poichè la creazione con brama intensa aspetta la manifestazione del figliuoli di Dio.
Per esprimere questa intensa aspettazione, l'originale ha una, parola composta che esprime graficamente l'aspettare sporgendo il capo e fissando lo sguardo verso il punto d'onde ha da venire l'oggetto atteso. «Un artista potrebbe fare una statua della speranza con questa parola greca» (Godet). Il creato o creazione, accenna, qui alla natura inferiore all'uomo. Essa, attende la rivelazione dello stato glorioso dei figli di Dio perchè, tra l'uomo e la creazione inferiore, esiste un legame di solidarietà stabilito da Dio. La natura fu fatta per l'uomo e posta sotto al suo dominio. Il progresso spirituale dell'uomo avrebbe indubbiamente avuto un felice contraccolpo non solo sul suo corpo, ma ancora sulla natura esterna. La caduta dell'uomo ha invece recata sentenza di morte sul corpo e di maledizione sulla natura. Ma la redenzione dell'uomo affrancherà non solo lo spirito, ma il corpo; non solo il corpo, ma la natura, esterna dalla legge della caducità e del deperimento (cfr. Isaia 4:2; 11; 30:23-26; 65:17; Matteo 19:28; Atti 3:21; Apocalisse 21; 22). È chiaro che in questi versetti Paolo personifica la natura e con animo simpatizzante di figlio di Dio, ne interpreta i sospiri e ne raccoglie il muto linguaggio guidato dalla luce della rivelazione.
20 La creazione, infatti, è stata sottoposta alla vanità
di creature che non raggiungono intieramente il loro fine, che cadono e deperiscono prima del tempo. «Dovunque, abbiamo sotto gli occhi immagini di morte o di deperimento. Il flagello della sterilità, fuor degli elementi, gli istinti distruttori delle le leggi stesse che reggono la vegetazione tutto dà alla natura una tinta cupa e attrista il mortale che, in quanto lo circonda, non vede se non il riflesso della propria fragilità. Il male fisico ch'egli incontra dappertutto, gli pesa come un carico immenso». (Reuss). Il motivo però della sentenza che grava sul creato non è già una qualche colpa morale di cui è invece la inferiore, ma è la disubbidienza dell'uomo. La natura soffre e soffre suo malgrado, per la colpa, del suo re. Infatti, in Genesi 3:17, leggiamo: «La terra sarà maledetta per cagion tua». In questo sta la spiegazione della parola di Paolo:
non di sua propria volontà ma a cagione di colui che ve l'ha sottoposta,
cioè non di Dio che non fu la cagion del male, nè di Satana che ne fu solo l'istigatore, ma dell'uomo che, peccando, trascinò seco la natura sotto alla maledizione. Tuttavia, se la natura è stata solidale coll'uomo nel male, ha da esserlo eziandio nel bene. E siccome fin dall'Eden Genesi 3:15 Dio fece spuntare il raggio della speranza per l'uomo, così anche il creato fu sottoposto a vanità,
21 non senza speranza però
(lett. in isperanza) che colla redenzione dell'uomo,
la creazione stessa sarà anch'ella liberata dalla servitù della corruzione,
cioè da quello stato di schiavitù che consiste nell'esser sottoposta alla legge del deperimento, della dissoluzione,
per [entrare] nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio.
ossia in quello stato di libertà di cui godrà il creato allorquando i figli di Dio saranno glorificati. «La libertà è uno degli elementi dello stato glorioso, il solo al quale possa partecipare, la natura. S'intende con questa libertà lo sviluppo senza impedimenti, il libero svolgimento di tutte le energie di vita, di bellezza, di perfezione di cui sarà dotata la natura rinnovellata; mentre la gloria è lo splendore della vita celeste dell'umanità santificata, sul teatro di quella natura restituita a libertà» (Godet).
22 Per ora, quello stato è una speranza;
Poichè sappiamo che, fino ad ora, tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio
come la donna che soffre dolori di parto in attesa della sua prossima liberazione. Quanto volte i poeti non hanno essi, nei loro canti malinconici, interpretato quel gemito che sale, dalla natura nel suo stato di sofferenza? «Sembra che la vecchia natura porti in sè il germe d'una natura più perfetta e senta balzar nel proprio seno un mondo nuovo» (Godet). «Vibra nelle parole di Paolo una intensa simpatia colla natura. Egli è uno di quelli ai quali, come a S. Francesco d'Assisi, è stato dato di leggere, a dir così, il pensiero delle piante e degli animali. Pare accostare l'orecchio alla terra e il confuso lamento ch'egli ha per lui un senso: è l'anelito della creazione verso quello stato più felice al quale era destinata e di cui è stata defraudata» (Sanday-II).
23 La natura non è sola ad anelare verso lo stato perfetto. I figli di Dio sospirano anch'essi dietro alla piena salvezza.
e non solo essa, ma anche noi che abbiamo le primizie dello Spirito,
che abbiamo cioè, a guisa di primizie o di caparra, lo Spirito di adottazione che ci garantisce la futura eredità 2Corinzi 1:22; Efesini 1:14 e ce ne fa pregustare i beni, pure,
anche noi stessi gemiamo in noi medesimi aspettando l'adozione,
cioè l'entrata nel pieno possesso dei privilegi spettanti ai figli di Dio. Dell'adozione, è vero quel che Paolo dice più sotto della salvazione, in un senso, è cosa presente Galati 4:5; nell'altro, è oggetto di speranza 1Giovanni 3:1-2. Siamo fin d'ora figli, ma non goderemo, della pienezza dei diritti conferitici se non più tardi. Per non lasciare equivoco, circa il suo pensiero, l'Apostolo soggiunge:
la redenzione del nostro corpo;
s'intende dalla morte, mediante la gloriosa risurrezione.
24 Poichè noi siamo stati salvati in isperanza;
inquantochè la pienezza della salvazione è cosa avvenire e non cade ancora sotto agli occhi nostri. Vedere e sperare sono due termini che si escludono a vicenda.
or la speranza di quel che si vede, non è speranza; difatti quello che uno vede, perchè lo spererebbe egli ancora?
Ma se, com'è il caso, non possiamo ancora vedere e dobbiamo contentarci di sperare, sappiamo però che la nostra speranza non è di quelle che fanno capo a una delusione.
25 Ma se speriamo quel che non vediamo, noi lo stiamo aspettando con pazienza
(o costanza). Non ci lasciamo scoraggiare nè dal lungo aspettare, nè dalle sofferenze cui ci espone la nostra speranza cristiana.
26 Parimente, anche lo Spirito sovviene alla nostra debolezza.
Al pari della natura e dei figli di Dio, lo Spirito anch'esso, nel recar sollievo alla nostra debolezza, fa salire a Dio un sospiro più sublime dei due primi. L'Apostolo distingue così (cfr. Romani 8:16) il sospiro dei fedeli dietro alla redenzione del corpo da quello dello Spirito in loro. Il cuore rinnovato può arrivare fino a un certo grado d'intelligenza e di sentimento spirituale, ma, nel caso migliore, rimane sempre in debolezza; conosce confusamente discerne, sente, aspira, ma come lo può fare il bambino (cfr. 1Corinzi 13:9-12). E, nelle crisi più penose, quando è oscura la via, difficilmente discerne qual sia il suo vero bene.. In questo stato di debolezza, gli viene in aiuto lo Spirito di Dio; e quegli slanci più sublimi del cuore verso Dio, che la mente è incapace di tradurre in parole, sono i sospiri dello Spirito. Hanno qualcosa di sovrumano in essi di superiore alla imperfezione presente della vita spirituale. L'originale del «sovviene», significa propriamente: «divide con noi il carico affin di recarci sollievo» (cfr. Luca 10:40). Il testo emendato legge debolezza al singolare. Come esempio dello stato presente di debolezza, Paolo ricorda quel che avviene nella preghiera in cui, appunto, si esprimono le aspirazioni del cuore. In molte circostanze ci accade di non veder ben chiaro quel che dobbiamo domandare 2Corinzi 12:7-9; Filippesi 1; Giovanni 12:27-28; Matteo 26:39.
Perchè noi non sappiamo domandar quel che si conviene, nella preghiera,
quello ch'è conforme alla volontà di Dio;
ma lo Spirito intercede egli stesso per noi nel nostro cuore, con sospiri ineffabili
o inesprimibili a parole (Cfr. 1Pietro 1:8; 2Corinzi 9:15; 2Corinzi 12:4). Questi sospiri salgono a Dio come l'aspirazione più sublime dell'anima verso lo stato perfetto.
27 E Colui che investiga i cuori
1Samuele 16:7; 1Re 8:39
conosce qual sia il sentimento dello Spirito, perchè esso intercede per i santi secondo Iddio.
in armonia, cioè, col suo disegno eterno. «Quale dimostrazione, esclama il Godet, dell'inesprimibile malessere che pesa ancora sulla creazione, e dell'imperfezione, in cui essa rimane anche dopo la venuta di Cristo e dopo compiuta la redenzione spirituale! La natura intera ne ha il sentimento confuso e sale dal suo seno un lamento continuo che reclama, dal cielo una rinnovazione. I riscattati stessi partecipano a questo sospiro e aspettano il loro proprio rinnovamento che sarà il segnale della restaurazione universale; e infine, lo Spirito che conosce i piani di Dio per la nostra gloria 1Corinzi 2:7 e che contempla l'ideale da noi soltanto intraveduto, ne reclama con ardore la realizzazione». A quel sospiro conforme alla sua, volontà, e formato, dal suo Spirito, Iddio non può mancare di rispondere; quindi l'esistenza stessa di un tal sospiro serve ad accertarci che alla gloria finale tutto converge.
28 Questo, d'altronde, sappiamo per via di rivelazione più diretta e più chiara circa il piano di Dio.
Or noi sappiamo che tutte le cose,
le prospere come le avverse Romani 5:3-5,
cooperano
insieme nella lor molteplice varietà,
al bene
vero ed eterno,
di coloro che amano Iddio,
da cui sono stati per i primi amati in Cristo. Il loro sospiro è volto alla gloria e sanno che a quel fine Dio fa tutto volgere, perchè il suo proponimento è di condurvi i suoi. Le loro braccia, sono tese verso la riva beata che intravedono; e vi giungeranno, perchè sanno che il Comando superiore ha assegnato appunto quella destinazione alla lor nave e che il Capitano manovra assiduamente per giungervi, valendosi anche dei venti contrari. Infatti, a spiegare perchè Dio fa tutto volgere al loro bene, l'Apostolo soggiunge:
i quali sono chiamati secondo [il suo] proponimento.
Sono, cioè, nel numero di coloro che hanno ricevuta ed accettata la vocazione celeste, e vi si trovano perchè questo entra nel piano eterno di Dio, stabilito innanzi ai secoli 2Timoteo 1:9; Romani.9:11; Efesini 1:11; 3:11; vedi anche Efesini 3:25. Chiamati da Dio, secondo un proponimento eterno, egli li condurrà sicuramente alla meta gloriosa cui li ha destinati, e che consiste nella conformità con Cristo.
29 Perchè quelli ch'Egli ha preconosciuti...
Le parole preconoscere, preconoscenza s'incontrano nel Nuovo Testamento greco, in Atti 26:5; 2Pietro 3:17, ove si tratta di precedente conoscenza umana; in Atti 2:23; Romani 11:2; 1Pietro 1:2,20, ove si tratta della preconoscenza di Dio. Secondo questi passi, le persone oggetto della preconoscenza di Dio (Cristo, il popolo d'Israele, i cristiani), son presenti, fin dall'eternità, innanzi alla mente ed al cuore di Dio. Su di loro è fissato il suo sguardo di amore (si confr. il senso di conoscere in Matteo 7:23; 1Corinzi 8:3; Galati 4:9; Amos 3:2). Se si domanda perchè i credenti sono oggetto di questa preconoscenza, convien ricordare che l'argomento è troppo al disopra della mente nostra per non essere avvolto in oscurità. Gli uni rispondono con Agostino e Calvino: Perchè così piace a Dio sol savio, e sovranamente libero. Altri come Lutero, Arminio, e moltissimi moderni: Perchè Dio, a cui tutte le cose stanno innanzi agli occhi anche prima che accadano, discerne l'uso che faranno della lor libertà, quando l'Evangelo sarà loro presentato: essi accetteranno la grazia in Cristo, non la respingeranno. «Dio ha conosciuti e con ciò stesso amati e scelti eternamente come suoi, coloro che crederebbero... Non vi sarà dunque nulla d'arbitrario nel decreto della volontà divina, di cui Paolo parla in questo Passo, perchè poggia sopra un atto di intelligenza. È un decreto dettato dalla divina sapienza; non un puro atto d'amore. L'amore non fondato sopra una conoscenza, non sarebbe neanche dell'amore» (Godet). La nozione di preconoscenza è distinta da quella di elezione in 1Pietro 1:2; da quella di proposito in Atti 2:23; da quella di predestinazione nel nostro, passo. Ad ogni modo, l'esistenza del piano eterno della redenzione presuppone la prescienza della caduta dell'uomo, e «la difficoltà di conciliare la sovranità di Dio colla libertà umana s'incontra da chiunque ammetta l'esistenza d'un Dio personale. Non è dunque una difficoltà speciale al cristianesimo e, meno ancora, ad un sistema particolare di teologia cristiana» (Schaff). Il fine glorioso, al quale Dio ha innanzi determinato di condurre i credenti, viene indicato dalle parole:
li ha pure predestinati ad essere conformi all'immagine del suo Figliuolo.
Egli è il nuovo Adamo in cui si è realizzato il tipo umano perfetto ch'essi devono riprodurre nella santità e nella gloria. Come il Figlio è l'immagine del Padre 2Corinzi 4:4; Colossesi 1:15, così il cristiano ha da riflettere l'immagine del suo Signore mediante una graduale assimilazione di mente e di carattere che farà capo ad una finale assimilazione della di lui gloria» (Sunday). Il Redentore non è destinato a restar isolato; anzi dev'essere il capo e il prototipo della nuova famiglia umana dei figli di Dio:
ond'egli sia il primogenito fra molti fratelli.
Primogenito in quanto egli è il primo, per ordine di tempo, che offra il tipo di un'umanità santa e glorificata di cui è la primizia 1Corinzi 15:23,49; 2Corinzi 3:18. Primogenito, ancora, per la dignità superiore ch'egli possiede qual capo della Chiesa Colossesi 1:18.
30 e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati.
Preconosciute le persone nella lor fede, predeterminato il fine glorioso cui devono giungere, a misura ch'esso arrivano sulla scena del mondo, Dio, nell'ora e nel modo migliori, li chiama colla predicazione del Vangelo e colle interne sollecitazioni ed influenze del Suo Spirito. Essi, a quella chiamata rispondono colla fede in Cristo e sono, in conseguenza, giustificati, dichiarati giusti per imputazione dei meriti di Cristo. Ed infine, coloro che sono giustificati ed in virtù della loro unione con Cristo, fatti partecipi di una vita nuova, Dio li glorifica, facendo sparire ogni traccia, della passata condannazione o servitù, e rendendoli conformi al Cristo glorioso. I verbi sono messi al passato, perchè Paolo contempla le cose dal punto di vista della compiuta effettuazione del, piano di Dio, abbracciando così, in un solo sguardo, l'insieme degli eventi che si vanno svolgendo attraverso i secoli. Quello che fa parte del disegno di Dio, si può d'altronde considerare come compiuto, perchè n'è certa la realizzazione. Se l'apostolo ne mentova esplicitamente la fede colla quale i salvati rispondono all'appello divino, nè la santificazione ch'è la via per la quale i giustifìcati giungono alla gloria celeste, ciò dipende verosimilmente dal fatto che, nei cinque anelli della gloriosa catena: preconoscenza, predestinazione chiamata, giustificazione, glorificazione, si tratta di altrettanti atti divini, mentre fede e santificazione presentano la salvezza dal lato delle sue condizioni umane.
RIFLESSIONI
1. Se fate morire... vivrete. L'Evangelo non insegna morale utilitaria; ma la via ch'esso addita al credente: la mortificazione della carne mediante lo Spirito, è conforme ai veri interessi dell'uomo, poichè mena alla vita. «Chi perde la sua vita, la ritroverà».
2. Le grazie ricevute, e possedute di già, nel presente, sono una garanzia, di fatto di quello che sono oggetto di speranza. L'aver ricevuto lo Spirito, l'esser condotti dallo Spirito, l'esser passati da uno stato servile e pauroso alla comunione, filiale con Dio, il poterlo chiamar Padre e sentirsi suoi figli, sono grazie tali che ne implicano di più gloriose ancora. Il Signore non lascia incompiuta l'opera incominciata.
3. Il cristiano che serve a Dio più con timore, di schiavo che con amore e fiducia di figlio: il cristiano che vive in un dubbio perpetuo circa la sua adozione, non trovasi in istato normale. Lo stato di minorità spirituale in cui, specialmente il cattolicesimo, educa e mantiene le anime, è proprio dell'economia legale, ma priva il cristiano dei suoi più dolci privilegi e rende la sua testimonianza debole e monca.
4. «I termini scelti dall'Apostolo Romani 8:14-16,26-27 ci mostrano che, anche dopo ricevuto lo Spirito Santo, il nostro spirito rimane distinto da esso. Dio abita nell'uomo col suo Spirito, lo dirige, lo santifica; ma la personalità umana non viene mai a fondarsi e sparire in Dio. D'altra parte, lo Spirito Santo, ch'è dono di Dio all'uomo resta distinto dall'anima umana. Nulla è più opposto al cristianesimo degli errori del panteismo che tendono a negare la realtà e la permanenza della personalità, tanto in Dio che nell'uomo» (Bonnet).
5. Per crucem ad lucem è la via tracciata al discepolo dall'esempio stesso del suo Maestro. Prima dell'esser glorificata con Cristo, c'è il soffrir con lui. Ogni vita cristiana ha i suoi dolori e le sue, prove particolari, anche allorquando n'è tranquillo esternamente, il corso e non rugge la tempesta delle violente persecuzioni.. Ma quali sorgenti di consolazione ci offre la fede in Cristo! Il saper che le sofferenze non ci vengon dal caso, ma sono dispensate dalla mano del Padre, che tutto fa volgere, al bene dei suoi figli Romani 8:28, - la grandezza infinita e la certezza della gloria che ha da seguire le brevi e lievi sofferenze, - sono altrettanti cordiali che ci sostengono nell'ora della prova. Non piangiamo come quelli che non hanno speranza.
6. L'eredità dei figli di Dio non è come quella lasciata da, un padre terreno e di cui ognuno non riceve che una parte «Simile alla, luce del sole di cui ognuno gode la pienezza senza levarne un raggio ad altri l'eredità celeste è destinata a tutti nella sua indivisibile perfezione. L'amore eterno n'è l'essenza e di esso può dirsi, con maggior ragione, quello che fu detto dell'amor materno: Ciascuno ne ha la sua parte e tutti lo posseggono per intiero» (Bonnet).
7. Gli effetti del peccato umano si sono estesi, non solo al corpo, ma alla natura esterna. I benefizi della Redenzione si estenderanno non solo al corpo, ma alla creazione inferiore. Nuovi cieli e nuova terra sono annunziati nella profezia. Non sarebbe completa la felicità dell'uomo se dovesse vivere in un mondo ove le creature fossero soggette al dolore ed al disordine. La prospettiva d'un mondo affrancato dalla «servitù della corruzione» rinfranca e consola.
8. «La pazienza della speranza di cui in Romani 8:25; 1Tessalonicesi 1:3 è l'atteggiamento che si conviene a coloro i quali, pur sapendo d'esser salvati, hanno il penoso sentimento di esserlo solo in parte, in quanto l'eredità loro è ancora oggetto di speranza» (Brown).
9. La preghiera Romani 8:26 è la respirazione dell'anima; ed è un valido incoraggiamento a perseverare nell'orazione il sapere che lo Spirito ci reca sollievo, nella nostra debolezza spirituale, c'insegna quello che dobbiamo domandare; e se anche non a formare che dei sospiri, Dio li intende e li esaudisce.
10. Vi è una grande consolazione nel sapere che sotto il governo del nostro Padre celeste, tutte le cose cooperano al nostro bene Romani 8:28. «Che può esserci di più magnifico? Una volta credenti, abbiamo un bel navigare sul mar grosso del tempo presente; non solo sappiamo che non v'è onda che possa inghiottirci, ma abbiamo la certezza che ognuna di esse contribuisce ad avvicinarci alla meta del nostro viaggio» (Godet). Ricordiamo, però, che questo si applica soltanto a «quelli che amano Iddio».
11. Esser conformi a Cristo, tale è la meta gloriosa cui Dio conduce i suoi: e qual meta! Si può egli trovare un ideale superiore a questo assegnato all'umanità? Ma il giungervi non è in poter dell'uomo caduto. Dio vi conduce i figli d'Adamo attraverso le umiliazioni del pentimento, le gioie del perdono in Cristo, le lotte e le sofferenze della vita nuova. Chi non vuol prender la scala di Dio sospira invano verso le alture celesti.
12. I misteri del consiglio di Dio sono troppo alti per noi. Ma, gl'inviti ch'egli rivolge ai peccatori affinchè si pentano e credano in Cristo, sono alla nostra portata. Il trascurarli od il respingerli è cosa di cui siamo responsabili.
31 SEZIONE C Romani 8:31-39 In conclusione, la finale salvazione degli eletti, voluta dal Padre, garantita dall'opera del Figlio, suggellata nel cuore dallo Spirito, è assicurata contro gli avversi sforzi di qualsiasi creatura.
I versetti Romani 8:31-39 sono la conclusione di quanto l'Apostolo è venuto esponendo fino ad ora sulla salvazione. In Cristo i credenti sono stati giustificati. Fatti, in Lui figli di Dio, essi devono, per mezzo dello Spirito, giungere ad uno stato di santità e di gloria simile a quello in cui è entrato Cristo. Dalla perdizione, la grazia di Dio li conduce fino all'eterna gloria. Contemplando, nel suo insieme grandioso, quell'opera dell'amor di Dio, Paolo esce in un inno di trionfo che chiude degnamente il cap. 8 e la prima metà dell'Epistola.
Che diremo noi dunque a queste cose?
in presenza, cioè, di questa catena di favori divini che parte dall'eternità e fa capo all'eternità? Quel che ne emerge, per noi, è la certezza della finale salvazione degli eletti, a cui Dio ha posto mano in tal modo.
Se Dio è per noi,
se egli è in nostro per salvarci,
chi sarà contro di noi?
Qual creatura sarà da tanto, anche se lo voglia, da mettere in forse la nostra salvazione, frustrando il disegno di Dio? Che Dio sia per noi non ne possiam dubitare, poichè ha dato per noi quel che avea di più prezioso: il proprio Figlio. Quel dono supremo ci è pegno ch'egli non vorrà negarci quelle grazie minori che sono necessarie per, condurre a compimento l'opera per cui Cristo è morto.
32 Colui che non ha risparmiato il suo proprio Figliuolo, anzi lo ha dato per tutti noi
s'intende: alla umiliazione della morte. Si potrebbe rendere: «anzi ne ha fatto il sacrificio per noi tutti»,
come non ci donerà egli anche tutte le cose con lui?
Dopo aver dato il più, non negherà il meno (cfr. Romani 5:6-10): darà la forza l'aiuto, la protezione, le consolazioni necessarie, nelle lotte di quaggiù. Se Gesù non fosse Figlio di Dio per comunanza di natura le parole dell'Apostolo non avrebbero senso, perchè non ci sarebbe sacrificio per parte di Dio, ma solo per parte dell'uomo Gesù. Ma col dire: il Suo proprio Figlio, l'Apostolo accentua la comunanza di natura del Figlio col Padre e segna la distanza che corre tra l'Unigenito e quelli che son figli per adozione. Il non ha risparmiato esprime ad un tempo l'ineffabile amore del Padre pel Figlio e la grandezza, del sacrificio nel darlo. Le parole di Paolo ricordano quelle rivolte da Dio ad Abramo: «Tu non hai risparmiato per me il tuo diletto figliuolo» (Genesi 22:12,16 nella versione dei LXX).
33 Dopo aver detto, in modo generale: Chi sarà contro di noi? Paolo fa una specie di rivista dei nemici possibili e dei generi di rivista di attacchi ch'essi ci potrebbero muovere. Chi accuserà? chi condannerà? chi ci separerà da, Cristo? Ed ogni volta, può rispondere vittoriosamente: Nessuno è in grado di farlo.
Chi porterà accusa contro gli eletti di Dio?
Eleggere significa scegliere fra molti Luca 6:13; Giovanni 6:70; 15:16,19; Atti 1:24; 15:7,22. Cristo è detto l'eletto di Dio Luca 23:35; 9:25. Gl'Israeliti sono stati eletti fra tutti gli altri popoli Atti 13:17. Gli angeli buoni sono chiamati angeli eletti 1Timoteo 5:21. I cristiani sono detti da Gesù «gli eletti» Matteo 20:16; 24:22,31; Marco 13:20. Sono destinati da Paolo come gli eletti, o l'elezione 2Timoteo 2:10; Tito 1:1; Romani 11:7, gli eletti di Dio (Colossesi 3:12; cfr. Romani 16:13; 2Giovanni 1:13; Atti 9:15; 1Tessalonicesi 1:4; 2Pietro 1:10). La nozione di elezione viene connessa, strettamente con quelle di prescienza e di predestinazione. L'elezione designa le persone che ne sono oggetto come prescelte fra molte; La predestinazione accenna al fine in vista del quale sono scelte. Quanto al perchè della scelta, Pietro chiama i credenti «eletti... secondo la preconoscenza di Dio...» 1Pietro 1:1-2 e, Paolo parla della, «elezione di grazia» Romani 11:5. Prescienza e grazia, determinano dunque la elezione di Dio in Cristo. Ma è il caso di ripetere: «Chi ha conosciuta la mente del Signore?» Romani 11:34. In questo versetto i cristiani sono come gli eletti di Dio per rilevare il fatto ch'essi sono l'oggetto dello speciale amore di Lui. L'accusatore personale, cui Paolo pensa potrebbero esserlo coloro che furono vittime di torti, di seduzioni o di scandalo da parte nostra, ma più specialmente Satana che nell'Apocalisse 22:4,19 è chiamato «l'accusatore dei nostri fratelli davanti a Dio». A questa, prima domanda, Paolo risponde:
Dio è quel che giustifica.
Dio ch'è il supremo Padrone e Giudice pronunzia, su coloro che sono in Cristo sentenza di assoluzione.
34 Chi sarà quel che li condanni?
Colui che solo ne avrebbe il diritto è Dio. Ma egli non condanna coloro dei quali Cristo ha espiata la pena col suo sacrificio; la cui giustificazione è attestata dalla sua risurrezione Romani 5:25; in favor dei quali egli esercita il suo potere regale, seduto alla destra di Dio; coloro, infine, per i quali egli intercede qual Sommo Sacerdote Marco 10:37;16:19; Atti 2:33; Matteo 26:64; Ebrei 1:3; 8:1; 7:25; 9:24; 1Giovanni 2:1; Romani 5:9.
Cristo Gesù è quel che è morto; e, più che questo, è risuscitato; ed è alla destra di Dio ed anche intercede per noi.
«Non c'è più luogo ad alcuna ispecie di condannazione per coloro che sono in Cristo Gesù» Romani 8:1. I fatti cardinali dell'opera di Gesù in favor dei peccatori sono, secondo Paolo, la sua morte, la sua risurrezione, la sua sessione alla destra del Padre, e la sua intercessione. Alcune edizioni del testo greco con alcuni traduttori ed interpreti, punteggiando diversamente Romani 8:33-35, leggono così: «Chi accuserà gli eletti di Dio? [risposta sottintesa: Nessuno l'oserà]. È Dio che giustifica; chi condannerà? - È Gesù Cristo che è morto...; chi ci separerà dall'amor di Cristo...?». Ovvero ancora: «Chi accuserà gli eletti di Dio? Sarà egli Dio il quale giustifica? Chi li condannerà? Sarà egli Cristo Gesù che è morto...?». La sostanza generale del testo rimane la stessa e non vediamo che la forma guadagni nulla da questa punteggiatura. Anzi, che c'è di più solenne di quella serie di interrogazioni rivolte a guisa di sfida a tutti i possibili avversari, e seguite ognuna da una risposta trionfante che ripete, in varie guise, come, Dio sia veramente per noi?
35 Chi ci separerà dall'amore di Cristo?
Coloro che sono uniti con Cristo non hanno da temere condannazione nel giorno del giudicio. Ma il legame della fede che li unisce a Cristo, che fa di lui l'oggetto supremo della lor fiducia, e, di loro l'oggetto delle sue cure amorose, non corre esso pericolo di venir spezzato in mezzo alle tempeste della vita, ed agli attacchi perfidi e violenti dei nemici? Così rimarrebbero separati dalla fonte della loro salvezza, dall'amor di Cristo per loro (cfr. Romani 8:39). Il pericolo qui segnalato è purtroppo, reale, come ne fanno fede le frequenti esortazioni di Cristo e degli Apostoli a vegliare, a pregare, perseverare, a combattere. Ma anche qui Paolo risponde che, gli eletti di Dio non sono lasciati soli nella fornace dell'afflizione, nè in mezzo alla mischia «Io son con voi ogni giorno», «le mie pecore... nessuno le rapirà dalla mia, mano», avea detto il Cristo. «Colui ch'è in voi è più potente di colui ch'è nel mondo», dice S. Giovanni; e Paolo: «Niente ci separerà dell'amor di Dio in Cristo». Ma intanto, enumera le sofferenze di vario genere che i fedeli sono chiamati talvolta ad affrontare. Paolo avea fatto di già una tale esperienza e stava per farla ancora 1Corinzi 4:11-13; 2Corinzi 11; Atti 20 e seg., e quanto alla chiesa di Roma, cinque anni dopo ricevuta questa lettera, la doveva investire l'uragano della persecuzione di Nerone.
Sarà forse la tribolazione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?
Tribolazione, distretta, indicano le sofferenze in modo generico, mentre le parole che seguono accennano a sofferenze speciali, alla persecuzione aperta, seguita da privazioni e da pericoli d'ogni genere, e spesso da morte violenta.
36 E per mostrar che questa è la sorte riservata al popolo di Dio di tutti i tempi, cita le parole di Salmi 44:22 (secondo la LXX), ove il Salmista descrive i patimenti degli Israeliti vinti dai loro nemici.
Come è scritto: "Per amor di te noi siamo tutto il giorno senza posa, messi a morte; siamo stati, dai nemici considerati come pecore da macello".
che si possono uccidere senza scrupolo, quando pare e piace. Tali, le sofferenze recateci dalla malvagità del mondo; ma esse non avranno tanta forza da spegnere in noi la fede e separarci da Cristo.
37 Anzi, in tutte queste cose, noi siamo più, che vincitori
[o riportiamo vittoria completa], non per forza nostra, ma
in virtù di colui che ci ha amati,
mediante l'assistenza che ci presta, dal cielo, colui che diede per noi la propria vita. «Vi è, nell'amor di Cristo che abbraccia il credente, tale una potenza da vincere tutte le debolezze dello scoramento, tutti gli sfinimenti del dubbio, tutti i timori della carne, tutti gli orrori del supplizio» (Godet).
38 Allargando il suo pensiero, l'Apostolo esprime terminando, la convinzione, maturata in lui da una lunga esperienza di sofferenze e di trionfi della grazia, che nessuna forza avversa qualsiasi potrà rompere il legame tra Cristo e coloro che son suoi (cfr. 1Corinzi 3:21-23) qualora non lo spezzino essi stessi volontariamente.
poichè io son persuaso che nè morte, nè vita,
non la paura della morte e del martirio che potrebbe coi suoi dolori indurli a rinnegar Cristo; nè la vita colle sue preoccupazioni, i suoi allettamenti e le sue vanità.
nè angeli, nè principati,
non gli angeli ribelli colla loro intelligenza e potenza sovrumane, e coi diversi principati in cui sono spartite le loro migliaia Efesini 6:12.
nè cose presenti, nè cose future
non le cose che ci possono avvenire nella vita attuale, le tentazioni, le sofferenze, le seduzioni, le cadute, che sono cose presenti, nè la morte, nè il giudicio, nè alcun'altra fra le cose future,
39 nè podestà
(da collocarsi qui secondo il testo emendato) terrestri o celesti che siano,
nè altezza,
cioè, gli eventi e circostanze atti a farci salire sulle alture della prosperità, della felicità, degli onori, ovvero anche sulle vette della conoscenza, dei successi o dei privilegi spirituali (cfr. 2Corinzi 12:1 e seg.),
nè profondità
per cui s'intendono gli eventi e circostanze atti a farci affondare nello scoramento, nel dubbio, nella disperazione (Cfr. Getsemane),
nè alcun'altra creatura
o cosa creata che non rientrasse nella enumerazione precedente.
potranno separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
Nulla, assolutamente, avrà forza da strapparci all'amor di Dio manifestato in Cristo Gesù nostro Signore, che è come il canale per il quale ci vengono i doni dell'amor di Dio, egli stesso essendo il maggior di tutti. Amor di Cristo e amor di Dio in Cristo sono in questi versetti considerati come equivalenti, perchè secondo la dichiarazione di Cristo, «Egli ed il Padre sono una stessa cosa» Giovanni 10.
RIFLESSIONI
1. Questo splendido capitolo si chiude nelle braccia dell'amore infinito, colla sicurezza che nulla nè persona potrà strappare i figli di Dio. «Gloria e lode sieno a Dio, esclama L. Bonnet, per aver fatto sì che un misero peccatore possa celebrare con un tale linguaggio la sicurezza della salvazione!». Ed il Chalmers così pregava: «Deh! che io possa fare la personale esperienza di tutte le benedizioni mentovate in questo magnifico capitolo!».
2. La certezza della salute devesi procacciare da ciascun cristiano. Non la si può aspettare prima che la fede sia stata provata; ma non la si deve reputare presunzione quando è fondata sopra la grazia di Dio e sull'opera, di Cristo. Non è privilegio speciale dagli Apostoli. Chi ha fede sincera, potente, non turbata da cattiva coscienza, può giungere a possederla al par di Paolo, poichè la giustificazione, e tutti i benefici derivanti dalla morte, come alla vita celeste del Cristo, sono destinati ugualmente a tutti i credenti. Se, come attesta il Moehler, «i cattolici non ammettono che l'uomo possa aver la piena certezza della sua eterna salvezza», ciò dipende dal fatto che, nella Chiesa romana, è stata oscurata la dottrina della salvezza per grazia, mediante la fede nell'unico Mediatore, Gesù Cristo.
3. Per quanto sia difficile, per una mente finita, il comprendere i sentimenti divini, non dobbiamo e non possiamo porre in dubbio la realtà del sacrificio compiuto da Dio quando non «risparmiò» il suo Figlio unigenito per noi. Dio ha tanto amato... ch'egli ha dato... Giovanni 3:16. In questo dono supremo sono implicitamente compresi tutti gli altri. In lui e per mezzo di lui, si manifesta, in fatti concreti, tutto l'amor di Dio, per la, salvezza dei peccatori. In lui abbiamo la nostra giustificazione Egli «è stato dato a cagione delle nostre offese ed è risuscitato a, cagione della nostra giustificazione» Romani 4:25. Egli è la nostra santificazione; uniti a lui, moriamo al peccato e viviamo per la giustizia (cap. 6). Egli sarà la nostra finale redenzione quando gli saremo resi simili nella gloria (cap. 8).
4. Quale forza deriva dalla certezza che Dio è per noi! Con lui, si affrontano e persecuzione, e privazioni, e supplizi ed ogni nemico terrestre e celeste, e si è «più che vincitori per mezzo di Colui che ci ha amati». È questa la spiegazione della vittoria dei martiri sui tormenti e sulla morte. «Alcuni anni or sono, narra il Moule, io ricordo di aver letto la chiusa di questo capitolo con alcuni amici, in una bella sera di Gennaio, nel Colosseo, al chiar di luna. Quelle parole erano state scritte da molto tempo, per esser lette in questa stessa città, da un uomo che riposa alle Tre Fontane ove fu decapitato per andarsene con Cristo; erano state scritte per uomini e donne., alcuni dei quali forse soffrirono il martirio in questo stesso anfiteatro costruito ventidue anni soltanto dopo ch'era stata scritta la Lettera ai Romani e divenuto ben presto teatro d'innumerevoli martiri cristiani. Ripetemmo le parole dell'epistola e rendemmo grazie a Colui che avea dato ai suoi santi di trionfare, in quel luogo, sulla vita e sulla morte, sulle e sugli uomini e sui demoni. Essi sapevano in chi avevano creduto... Egli viveva in loro ed essi in lui per mezzo dello Spirito a loro donato... E quindi pensammo a noi, alle nostre circostanze così diverse, eppur così simili, in fondo a quelle di quei credenti. Per vincere, abbiamo bisogno anche noi della stessa verità e della stessa Vita... Per noi pure Gesù è morto. In noi pure, egli vive mediante lo Spirito Santo».
5. «L'odio del mondo è sempre in proporzione dello splendore e della forza con cui manifestasi la verità di Dio» (Bonnet).
6. L'intiero universo con tutto quello che contiene, inquanto è buono, è l'amico e l'alleato del cristiano; ed in quanto è cattivo, è un nemico più che vinto» (Hodge).