1 3. Romani 3:1-8 La condanna del Giudeo infedele non annulla il privilegio concesso ad Israele; ma d'altra parte, sussiste, nonostante che dalla infedeltà d'Israele Dio abbia saputo trarre la sua gloria.
Da quanto Paolo era venuto esponendo in Romani 2, pareva ch'egli non, facesse caso alcuno dei privilegi concessi al Giudeo. La legge non gli conferisce alcun privilegio dinanzi al giudicio, anzi aggrava la sua colpa; la circoncisione non gli giova, se trasgressore, più della incirconcisione. Ma dunque, è nullo ogni privilegio? Non c'è egli vantaggio ad appartenere al popolo di Dio? O se c'è, in che consiste esso? Paolo prevede l'obbiezione che sorgerà nella mente dei lettori e la presenta egli stesso per toglier di mezzo le false conseguenze che potrebbero trarsi dal suo insegnamento. Solo, la risposta ad una prima obbiezione ne solleva un'altra, e questa, a sua volta, una terza. Il nesso dei pensieri è così espresso dal Godet: 1a Obbiezione: Se il Giudeo dev'esser giudicato assolutamente come il pagano, che vantaggio ha egli dunque su di lui? Risposta: Il Giudeo è stato messo in possesso degli oracoli di Dio Romani 3:12. 2a Obbiezione: Ma se questo possesso non ha raggiunto lo scopo cui dovea servire, la fedeltà di Dio verso quel popolo non è ella annullata da questo risultato? Risposta: Niente affatto. Essa ne riceverà anzi, maggior gloria. 3a Obbiezione: Ma se Dio si serve così del peccato dell'uomo (specialmente del Giudeo) per glorificar sè stesso, come può egli ancora far del peccatore (specie del Giudeo) l'oggetto dell'ira sua? Risposta: Se il bene che Dio trae dal peccato dell'uomo gl'impedisse di punire i peccatori, il giudicio finale del Mondo sarebbe impossibile. Se le cose stanno come Paolo ha detto alla fine del Romani 2, Qual'è dunque il vantaggio del Giudeo? Cosa ha egli di più del pagano? Una priorità del Giudeo l'Apostolo l'ha riconosciuta, (cfr. Romani 1:16; 2:10); ma in che sta? o qual'è la utilità della circoncisione? Una utilità della circoncisione l'ha affermata Romani 2:25; ma qual'è, se non consiste nella esenzione dal giudicio divino?
2 Il vantaggio è reale ed è grande per ogni maniera; cioè sotto ogni aspetto: religioso, morale, sociale. In Romani 9:4, enumererà vari aspetti del privilegio del Giudeo; ma qui si limita ad accennare al principale, cioè al deposito sacro della Rivelazione. prima di tutto, perchè a loro furono affidati gli oracoli di Dio. (cfr. Atti 7:38; Ebrei 5:12; 1Pietro 4:11), cioè l'insieme delle rivelazioni divine, fatte ad Israele e conservate nelle S. Scritture. Dice propriamente che furono, scelti quali persone di fiducia per ricevere e conservare il deposito della Rivelazione, in ispecie delle premesse messianiche. Più che semplici custodi, essi hanno ad essere attori nello svolgimento del piano di Dio. Ma l'affermazione che il popolo resta il depositario e implicitamente l'oggetto delle promesse divine, solleva una obbiezione. Questo atto di fiducia di Dio, non è egli stato invalidato, annullato dalla incredulità di una parte che è poi la maggioranza, del popolo? Si può egli parlare ancora d'Israele come popolo eletto di fronte al «crucifigge», pronunziato dai Giudei contro al Messia? L'incredulità del popolo non ha essa sciolto Dio da ogni sua promessa? No, risponde l'Apostolo.
3 Infatti, che vuol dire se alcuni sono stati increduli? Forsechè l'incredulità loro annullerà la fedeltà di Dio? s'intende: alle sue promesse. Il Nestle punteggia: E che? Se alcuni sono stati increduli la loro incredulità annullerà essa... Il senso non è diverso da quello della costruzione seguita dal Tischendorf.
4 Così non sia. lungi da noi un tal pensiero. Dieci volte è adoperata nella nostra Epistola questa energica forma di denigrazione. Dio resta fedele, e nonostante l'incredulità passata e recente di molti suoi membri, sussiste il privilegio da Lui concesso al popolo d'Israele. Questo afferma l'Apostolo recisamente togliendo ad imprestito alcune parole del Salmi 116:11. Anzi, sia Iddio riconosciuto verace, ed "ogni uomo bugiardo". Sia sempre, in ogni caso, Iddio proclamato verace, che altrimenti non può essere, mentre se c'è mancanza di lealtà e di fedeltà, essa non può spettare che all'uomo. Dallo svolgimento, attraverso i secoli, del piano di Dio, ha da risultare luminosamente dimostrata la fedeltà dell'Eterno alle sue promesse; mentre risulterà non meno evidente la universale infedeltà umana (Cfr. Romani 11 fine). Siccome è scritto: Affinchè tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole, e resti vincitore quando sei giudicato. La citazione è tolta da Salmi 51:4. È fatta secondo la versione dei LXX. L'ebraico legge propriamente: «Affinchè tu sia [riconosciuto] giusto nel tuo parlare e puro nel tuo giudicare». La LXX contiene piuttosto l'idea di una vittoria riportata da Dio in un processo, a dir così, intentatogli dagli uomini che accusano d'ingiustizia il suo procedere. Per lo scopo dell'Apostolo, questa variante della traduzione non importa, tanto più che non è contraria al pensiero essenziale di Davide in quella parte del Salmi. Egli ha peccato gravemente contro agli uomini; ma quel che gli fa parer soprattutto grave il suo peccato, è la sua infedeltà verso Dio che lo ha scelto per re del suo popolo e ricolmo di tanti privilegi. E questo aspetto più grave del suo peccato egli lo confessa pubblicamente, affinchè si sappia da tutti ch'egli, per il primo, riconosce, la giustizia del castigo annunziatogli dal profeta Natan, e niuno pensi ad accusar Dio d'infedeltà verso il suo eletto, quando vedrà ch'Egli fa scender su lui, come padre e come re, le maggiori umiliazioni e sciagure. Dio dev'esser riconosciuto giusto in tutto quel che pronunzia; Dio deve uscir vittorioso (senso della LXX) da ogni temeraria accusa. Cosicchè dalla confessione penitente del re teocratico esce una voce che proclama la gloria immacolata di Dio. «Ho peccato contro a te [e lo confesso così apertamente] affinchè, in ogni evento, tu sii riconosciuto giusto...».
5 Sussiste adunque il vantaggio del Giudeo, nonostante l'incredulità di alcuni (cfr. Romani 9-11) e quanto Paolo ha insegnato sulla condanna del peccatore giudeo non toglie nulla alla realtà della vocazione speciale d'Israele. Ma qui sorge un'altra obbiezione. Se perdura la fedeltà di Dio, se anzi, come nel, caso di Davide, dall'infedeltà dell'uomo esce, più mirabile la giustizia e santità di Dio, che si deve concludere da questo? Ma se la nostra ingiustizia morale, che include la menzogna e, l'incredulità prima mentovate, fa risaltare la giustizia, la perfezione morale, di Dio, facendola apparire più grande e più mirabile, che diremo noi? Iddio è egli ingiusto quando dà corso alla, sua ira? quando fa pesare l'ira sua sui peccatori, pagani o Giudei condannandoli? (cfr. Romani 2:8; 1:18). E affinchè niuno pensi che egli ragioni così per proprio conto, Paolo si affretta a notare: (Io parlo umanamente) lett. secondo l'uomo, cioè secondo il modo di parlare e di pensare dell'uomo naturale sempre pronto a trovar da ridire a quanto Iddio fa, e a cercare scuse per il proprio peccato 1Corinzi 3:3; 15:32. L'Apostolo avea, senza dubbio udita molte volte una si empia logica, nelle sue discussioni coi Giudei.
6 Egli la respinge come cosa moralmente inammissibile, col suo: Così non sia. E ne dà per ragione che, se così fosse, se Dio fosse ingiusto quando punisce il peccato perchè peccato, Egli non potrebbe più giudicare il mondo. perchè, altrimenti, come giudicherà Iddio il mondo? Sarebbe reso impossibile quell'universale e giusto giudicio che tanto la Rivelazione quanto la coscienza naturale attestano. Che la gloria di Dio rifulga di più viva luce nel contatto e nel contrasto col peccato umano, che la sua sapienza tragga un bene dal male che l'uomo commette, è un fatto; ma che questo converta il male in bene è una falsità. Non è merito di Giuda se la morte del Cristo ch'egli tradì ci è fonte di salvezza. A lui il tradimento, a Dio la sapienza che fa volgere il male degli uomini all'adempimento dei suoi disegni. Se il bene che Dio sa trarre dal male, annullasse la colpa del peccato, nessuno dovrebb'esser più sottoposto a giudicio.
7 Se, infatti, la verità di Dio o la sua veracità, per effetto e merito de la mia menzogna, è abbondata a sua gloria, perchè (potrebbe ognuno domandare) sono anch'io che ho contribuito ad un tanto risultato, giudicato ancora come peccatore? La connessione di Romani 3:7 con Romani 3:6 mediante il γαρ (infatti dei codd. B D E G K L P, Vulg. Sir.) è migliore assai di quella che si ha col δε (ma se... dei codd. Sin. A, Tisch. Nestle, Rived.). Romani 3:7-8 sono la dimostrazione, in forma personale, che il giudicio di Dio non ha più ragione di esistere se si accetta la massima, qui ripetuta, che il peccato non è più peccato quando fa risaltare la, fedeltà di Dio e accresce la sua gloria. «Una tal supposizione, se spinta alle sue estreme conseguenze, non solo sopprimerebbe ogni giudicio di Dio, ma rovescierebbe dalle fondamenta l'intera vita morale dell'uomo» (Alford).
8 E, spingendo il falso principio alle sue estreme e più mostruose conseguente pratiche, perchè (secondo la calunnia che ci è lanciata e la massima che taluni ci attribuiscono) perchè non "facciamo il male affinchè ne venga il bene?" - Gente di cui la condanna è giusta. La calunnia colpiva principalmente i dottori cristiani che, come Paolo, predicavano la salvazione per grazia. Egli non confuta l'assurdo principio morale che gli viene attribuito. Per i suoi lettori la cosa è superflua. A dimostrare l'energia colla quale lo respinge, gli basta dichiarare calunniatori coloro che lo attribuiscono ai Cristiani, e giusta la sentenza che li attende. Ad ogni modo, sussiste dunque la condanna del Giudeo, trasgressore della legge, nè c'è sofisma che la possa allontanare.
RIFLESSIONI 1. Se Paolo si è mostrato apprezzatore serio e profondo della degradazione pagana nella sezione precedente, non si è però mostrato meno largo apprezzatore dei doni intellettuali, delle capacità religiose, e della conoscenza morale esistente fra i pagani. Ed in questa sezione, quel ch'egli insegna della legge morale scritta nei cuori, e degli atti moralmente nobili compiuti da pagani, è nuova dimostrazione della larghezza, di mente e di cuore dell'Apostolo delle Genti. Lo scorgere accanto ai lati ributtanti anche i lati belli, attraenti nobili degli uomini è per chi annunzia loro l'Evangelo, ed in genere per il Cristiano, fonte di conforto e di coraggio. 2. I privilegi più alti, il possesso della Rivelazione colla maggior conoscenza che ne deriva, la missione più elevata possono facilmente esser occasione d'orgoglio 1Corinzi 8:1, di giudizi spietati verso i nostri simili, di falsa sicurezza, di acciecamento sul nostro proprio stato morale e spirituale. Quello che si è verificato presso al popolo di Dio antico, si verifica, pur troppo, presso i Cristiani, specie se di nome soltanto. Il conoscere il Vangelo, l'aver una fede intellettuale nelle verità di esso, l'essere stati battezzati, l'aver celebrata, la S. Cena, il praticar le cose esterne d'ella religione, ingenera facilmente quello stesso orgoglio e quello stesso accecamento che Paolo rimproverava ai Giudei. Generalmente il declinare della vera pietà, va di pari passo coll'esagerata importanza data ai riti e alle cerimonie. Il giudaismo degenerò in farisaismo; e quanto al Cristianesimo, può vedere ognuno a che sia stato ridotto nella nostra patria ed altrove. Perciò, serva il giudicio di Dio sul popolo giudeo di avvertimento alla Cristianità, anzi ad ognuno che porta il nome di cristiano. 3. È stato detto con verità, che dei precetti morali alla stregua dei quali noi giudichiamo i nostri simili, si potrebbe fare un eccellente trattato di morale. Ma se questo attesta, in ognuno, una conoscenza morale più o meno estesa, va ricordato altresì che la regola che noi applichiamo agli altri; sarà applicata a noi stessi (Matteo 7:1-5). Così avviene per lo più che nel giudicar gli altri, condanniamo noi stessi. 4. Il metter l'uomo alla presenza del giusto giudicio di Dio, ch'è secondo la realtà della condotta, che non ammette eccezione, nè parzialità a favor di alcuno, che «abbraccia tutti gli uomini e tutto l'uomo» esterno ed interno, è il mezzo migliore per destar la coscienza sopita. Può parer crudele questo tagliare che fa Paolo ogni sostegno ed appoggio su cui si riposa il Giudeo; può perfino parere uno sprezzar quel che Dio ha ordinato (culto, sacramenti,) ecc. ma è la crudeltà del chirurgo che apre gli ascessi che avvelenano; il sangue e producono la morte. Non è crudele chi ci apre gli occhi sul nostro vero stato davanti a Dio, affinchè vi cerchiam rimedio mentre siamo in tempo. La predicazione del giusto giudicio di Dio fa parte dell'Evangelo del Signor Gesù e dei suoi Apostoli. Paolo che espone i tesori inesauribili, della grazia di Dio, parla eziandio del tesoro d'ira che si ammassa sul capo di chi sprezza la bontà e pazienza di Dio. 5. Se le infedeltà dei Giudei hanno recato disonore al nome di Dio nell'antico mondo pagano, che si dovrà dire di quelle dei Cristiani nel mondo moderno? Non sono esse una delle cagioni per cui il mondo si mostra alieno dal Vangelo, anzi da ogni religione? I peccati di chi ha missione d'insegnar gli altri sono peccati che insegnano più delle loro parole. 6. Del vero Cristiano si può dire quel che Paolo dice del vero Giudeo: non è quello ch'è tale esternamente, ma che lo è, dal fondo del cuore. Se la vita interna era di già cosa essenziale per il Giudeo, quanto più per il Cristiano? Parimente si può dir del Battesimo quel che Paolo dice della circoncisione Romani 2:28-29. Non è il battesimo esterno, d'acqua, che è il vero, ma è quello dello Spirito Santo che rinnova il cuore 1Pietro 3:20-21; Matteo 3:11. 7. Se Paolo conta come primo e principale privilegio del Giudeo, non il sacerdozio, non la discendenza, da antenati gloriosi e pii, ma l'esser depositario degli oracoli di Dio, si può da, questo arguire quanto è grande il privilegio di chi possiede nella propria casa, le Sacre Scritture dell'Antico e Nuovo Testamento, dei paesi ove la conoscenza della Rivelazione è largamente sparsa. Il vantaggio però trae seco una maggiore responsabilità. 8. «L'uomo si agita e Dio lo conduce». Al di sopra del peccato dell'uomo, vi è la infinita sapienza di Dio che non abbandona i suoi disegni, nè li lascia annientare dalla infedeltà e dall'incostanza degli uomini. Però, nè il bene che Dio sa trarre dal male, nè il momentaneo successo ottenuto con mezzi riprovevoli, alterano la natura del male stesso, nè cancellano la responsabilità dei suoi autori. Il risultato ultimo della storia sarà la gloria delle perfezioni di Dio che uscirà dalla bocca stessa degli uomini. Però la predicazione della grazia è andata in tutti i secoli soggetta a calunnie: così nei tempi apostolici, come al tempo della riforma e dei grandi risvegli religiosi. Certo, una dottrina che conduca a risultati immorali è condannata ipso facto. Ma i frutti morali e religiosi del Vangelo della grazia sono sufficiente risposta ai calunniatori di esso. Da tali calunnie non si è Paolo lasciato scoraggiare, nè tampoco distogliere, dalla sua alta, vocazione.
9 SEZIONE C Romani 3:9-20La condannazione universale attestata dalle Scritture
Paolo ha dimostrato, coi fatti a tutti noti, lo stato di peccato e di condannazione in cui giace il mondo pagano Romani 1:18-32. Ha fatto vedere, che anche, il Giudeo, è, trasgressore della legge e quindi sottoposto ad ira Romani 2:1-3:8. Ora conchiude con le dichiarazioni stesse, di Dio, le quali attestano la universale e profonda corruzione dell'umanità. Talchè non c'è da sperare giustificazione per via di opere conformi alla legge.
Che dunque? Abbiamo noi qualche superiorità? Dati i privilegi reali di cui abbiam goduto, noi Giudei, e dato l'uso che ne abbiam fatto, siamo noi moralmente più avanzati o più eccellenti dei pagani? Siamo noi in condizione migliore davanti al giudicio di Dio, meno perduti, meno bisognosi di salvezza degli altri? Affatto. risponde l'Apostolo; davanti alla santità di Dio, noi siamo dei peccatori come gli altri. Poichè, abbiamo dianzi provato che tutti, così Giudei come Greci, sono sotto il peccato, Il dianzi si riferisce alla esposizione fatta da Romani 1:18-3:8. Il greco dice propriamente: abbiamo accusato Giudei e Greci, abbiamo contro di essi formulato, poggiandola su fatti e su ragioni, l'accusa d'esser tutti quanti, senza eccezione, sotto l'impero e quindi sotto la condannazione del peccato Romani 7:14; Giovanni 8:34. Questa conclusione l'Apostolo la conferma con numerose citazioni bibliche tratte dai Salmi e dal profeta Isaia. Quelle contenute nei Romani 3:10-12 sono dirette a provare la universalità del peccato; mentre quelle dei Romani 3:13-18 dimostrano la profondità della corruzione nell'uomo. Non solo tutti gli uomini sono sotto il peccato; ma tutto quanto l'uomo è sotto l'impero di esso e da esso guasto.
10 Le dichiarazioni Romani 3:10-12 sono tolte da Salmi 14:1-3 e sono fatte secondo la versione dei LXX: salvo lievi varianti. Talvolta Paolo riassume in una, la sostanza di varie parole. siccome è scritto: Non v'è alcun giusto, neppur uno. Non v'è alcuno che abbia intendimento che ricerchi Dio. S'intende: non v'è alcuno che abbia discernimento spirituale, che possegga quella sapienza il cui capo è il timor del Signore. Il ricercare Iddio implica la brama di conoscer Lui e la sua volontà, per conformarvisi (cfr. Romani 2:7).
12 Tutti si sono sviati, hanno abbandonato la via della verità e del bene per prendere quella dell'errore e del peccato. Tutti quanti son divenuti inutili come una cosa guasta, che non serve più all'uso cui era destinata. Non v'è alcuno che pratichi la bontà, che sia intento a far del bene, no, neppure uno.
13 La loro gola è un sepolcro aperto; con le loro lingue hanno usato frode; v'è un veleno d'aspidi sotto le loro labbra. La loro bocca è piena di maledizione e d'amarezza. Le parole di Romani 3:13 sono tolte da Salmi 5:9 e da Salmi 140:3. Il paragone della gola con un sepolcro aperto, inteso da alcuni come allusione alle minacce di ruina profferite dai peccatori, sembra accennare piuttosto alle parole corrotte e corruttrici che escono dalla bocca come le, esalazioni pestifere da una fossa aperta. Il veleno d'aspidi s'intende delle maldicenze, delle diffamazioni e calunnie che escono dalle labbra dopo aver covato nel cuore.
14 Romani 3:14 è citazione di Salmi 10:7 secondo la LXX, la quale deve aver letto un po' diversamente una parola del testo ebraico che significa frodi e ch'essa rende «amaritudine». Maledizione ed amarezza sono ambedue espressioni dell'odio ch'è più contenuto quando esala amarezza, e versa fiele; più violento, quando impreca maledizione.
15 Dopo le varie espressioni (gola, lingue, labbra, bocca) indicanti la corruzione umana com'è manifestata dal perverso uso del dono della parola, vengono citate altre parole bibliche che denotano come la corruzione si palesi negli atti. Son veloci i lor piedi per spargere il sangue. Tolto da Isaia 59:7-8, con abbreviazioni. La velocità dei piedi indica non solo la facilità con cui attentano alla vita del prossimo, ma il gusto che ci prendono, sia che si tratti di vendetta, o di assassinio, o di rissa (cfr. Genesi 4).
16 Sulle lor vie è rovina e calamità, e non hanno conosciuto la via della pace, Dovunque vanno o passano, seminano ruina e calamità a danno del prossimo. E quanto alla via della pace, cioè dello stare in pace e del procacciar la pace, non l'hanno conosciuta, perchè non ci sono mai entrati.
18 Perchè non hanno essi riguardo al bene altrui, nè scrupolo di nuocergli? Perchè Non c'è timor di Dio dinanzi agli occhi loro Salmi 36:1. Non si propongono per regola di vita di camminare in modo da non offendere Dio. Rotto quel freno supremo, la lor vita è in balla delle passioni.
19 Or noi sappiamo che tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge (lett. nella legge). Le dichiarazioni citate contengono manifestamente la dottrina che l'uomo, finchè rimane estraneo alla grazia di Dio, è sotto il dominio del peccato. Or questo insegnamento a chi è rivolto ed a chi è esso destinato? Per consenso di tutti, al Giudeo, poichè a lui mirano anzitutto le S. Scritture qui designate sotto il nome: la legge, perchè contengono la rivelazione della volontà e dei disegni di Dio e sono intese a servir di norma alla vita dell'Israelita (cfr. Giovanni 10:34, con Salmi 82; 12:34; 15:25, con Salmi 35:69; 1Corinzi 14:21, con Isaia 28). Delle dichiarazioni scritturali citate, la maggior parte si riferivano ai Giudei ribelli e infedeli. Quanto a Salmi 14, l'Antico Testamento «non contiene un solo passo che dipinga con sì vivi colori la universalità e la profondità dell'umana corruzione» (Hengstenberg). Se poneva mente alle suo Scritture, il Giudeo dovea dunque, non altrimenti che il pagano, turarsi la bocca e riconoscersi anche lui colpevole davanti a Dio. Dice propriamente: affinchè ogni bocca sia turata e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio cioè riconosciuto colpevole dinanzi a Dio. «Vi è grande solennità in queste ultime parole: Tutto il mondo e: di Dio il cui contrasto colpisce. Da una parte, Dio sul suo tribunale, dall'altra l'umanità tutta quanta, inclusi i Giudei, che china il capo per ricevere il colpo della giustizia» (Godet).
20 Tutto il mondo è esposto alla condanna divina perchè dalle opere della legge non può venire giustificazione per alcun uomo Poichè per le opere della legge nessuno (lett. niuna carne) sarà giustificato al suo cospetto, cioè riconosciuto e dichiarato giusto davanti al tribunale di Dio; giacchè mediante la legge è data la conoscenza del peccato. Si parla di «opere della legge» nelle Epistole ai Romani e ai Galati. L'espressione non significa: opere. prodotte dalla legge, bensì opere richieste, ordinate dalla legge (cfr. Romani 2:15). Non, si applica dunque solamente alle pratiche rituali o cerimoniali, ma a tutto quanto prescrive la legge considerata nel suo insieme. Indica tutto lo sforzo morale, tutto il far dell'uomo lasciato a sè stesso in presenza della santa legge di Dio. Da questo non può venir giustificazione davanti al giudicio di Dio che investiga i cuori, mentre gli uomini possono venir ingannati dalle apparenze. E questo è vero per ogni carne, cioè per ogni creatura umana Salmi 143:2. «Carne» designa l'uomo considerato dal lato dell'elemento materiale della sua natura resa ora mortale dal peccato. Non implica di necessità, in questo suo uso, l'idea di peccato. (cfr. Giovanni 1:14): «Il Verbo è divenuto carne». Il perchè dalle opere della legge non può scaturire giustificazione per alcuno, sta in questo: che ben lungi dal dimostrare conforme alla volontà di Dio la condotta dell'uomo la legge ne rivela il carattere riflette lungi dal provare il suo stato di giustizia, la legge gli dà la conoscenza più chiara e più esatta del suo peccato, della natura, della gravità e profondità di esso. «L'Apostolo è così giunto al termine della dimostrazione annunziata Romani 1:18. L'ira di Dio si rivela sullo stato attuale del mondo, Egli non ha fatto distinzione tra grandi e piccoli peccatori, tra buoni e cattivi. In genere, la tendenza di tutto questo paragrafo non è di provar la corruzione degli individui, ma di dimostrare il cruccio divino sospeso sul mondo intiero, giudeo e pagano. Quanto agli individui, Paolo lascia loro la cura di applicare a sè stessi quei grandi quadri relativi alle nozioni di cui fanno parte, e ciò nella misura che la lor coscienza fisserà. Il risultato è questo: Le due categorie di cui componesi l'umanità dal lato religioso, hanno ugualmente bisogno di salvezza. Or questa salvezza è ben diversa da quella che i Giudei si figuravano. Essi immaginavano che bastasse estendere ai pagani quel regime legale ch'essi aveano ricevuto da Mosè. Paolo invece dice loro terminando: Propagar la legge è un dare al mondo il mezzo di meglio scorgere la sua sozzura, non già quello di purgarsene, È questo oggi un luogo comune, grazie alla nostra Epistola stessa. Ma quando essa venne scritta, questa verità era un raggio divino che dovea, illuminare il mondo di novella luce» (Godet).
RIFLESSIONI
1. L'esser privilegiati per doni intellettuali, per facilità d'istruzione ed educazione, come per eccezionali mezzi di grazia, non vuol dir sempre essere moralmente migliori. 2. Niun libro come la S. Scrittura, svela così completamente e sicuramente l'universalità e la profondità del male morale dell'umanità. E ciò senza riguardi per il popolo eletto, nè per gli uomini sommi di esso. In questo si palesa veramente come il libro ispirato dal Dio di santità. 3. Ogni dottrina, nella predicazione evangelica dev'essere non solo conforme alle S. Scritture, ma debitamente stabilita da prove scritturali. Solo, le citazioni non vanno fatte a caso, per mera coincidenza di espressioni, ma in modo conforme al pensiero dei testi citati. 4. Il Vangelo non abbassa il livello delle esigenze della legge di Dio; le riconosce in tutta la loro ampiezza. È questa anzi la ragione per cui è dichiarata impossibile la giustificazione per mezzo delle opere dell'uomo. La legge non può che rivelare il peccato e condannarlo. Più uno fissa lo sguardo in quello specchio perfetto, e meglio riconosce il bisogno, che ha di salvezza. Per questo suo ufficio, di rivelator del male, la legge è pedagogo a Cristo. 5. Quando l'uomo, confuso per i suoi peccati, chiude la bocca innanzi a Dio e si riconosce colpevole, allora gli può giunger preziosa la Buona Novella della gratuita salvazione in Cristo. Come la dottrina della giustificazione ha la sua base nello stato di ruina morale dell'umanità, così la fede in Cristo Salvatore ha la sua base nel personale sentimento del peccato.
21 §2 - La giustificazione per fede procurata al mondo intiero (Romani 3:21-5:21)
Dopo averne mostrata la necessità assoluta, l'Apostolo viene ora a parlare di quella «giustizia» di Dio a cui aveva accennato nell'enunziare l'argomento dell'Epistola Romani 1:16-17. La descrive anzitutto nei suoi caratteri essenziali Romani 3:21-26; la. considera quindi nei suoi rapporti, colle anteriori dispensazioni divine Romani 3:27-4:25, e ne celebra infine il trionfo sulle conseguenze del peccato introdotto dal primo Adamo Romani 5.
SEZIONE A Romani 3:21-26La giustizia procurata da Dio descritta
Dalle opere della legge non può venire giustificazione, per alcun uomo: è quella una via chiusa: non rimarrebbe dunque al peccatore che attendere tremante ed in silenzio l'ora della finale sentenza. Ma la grazia di Dio benedetta in eterno ha provveduto, per altra via, un mezzo di giustificazione. Ma ora, senza la legge, all'infuori di essa e della condizione cui l'uomo non può soddisfare, indipendentemente da ogni sistema legale, è stata manifestata la giustizia di Dio la giustizia procurata da Dio Romani 1:17 all'uomo, perch'egli possa, ricevendola, rientrare nella relazione normale col suo Creatore. Tale mezzo di giustificazione, è stato manifestato, mediante l'opera espiatoria compiuta da Cristo e mediante l'avvenuta predicazione della grazia. Però, se codesta giustizia giustificante di Dio era, prima di Cristo, nascosta, non palesata chiaramente, essa non è cosa del tutto nuova e tanto meno contraria all'economia antica. Questa, anzi era destinata a prepararne l'avvento, ad adombrarla nei suoi riti e ad annunziarla colle sue profezie. Perciò dice: a cui rendon testimonianza la legge ed i profeti, cioè, in genere, le Scritture dell'Antico Testamento, secondo il detto: «Novum Testamentum in Vetere latet, Vetus Testamentum in Novo patet».
22 la giustizia, dico, di Dio, prosegue l'Apostolo, ripigliando, che viene all'uomo, non per via di opere meritorie, ma per mezzo della fede in Gesù Cristo, lett.: «fede di Gesù Cristo», avente cioè per oggetto Gesù ch'è il Cristo. Spiegherà più sotto come l'opera di Cristo sia il fondamento di questa giustizia di fede. per tutti e sopra tutti coloro che credono. Le parole «e sopra tutti» mancano in vari antichi Codici orientali e sono soppresse da molti critici e versioni moderne: Rived. ingl., franc., ital.; ma si trovano nei codd. occidentali e nelle due più antiche versioni. Esse accentuano l'universalismo, della grazia. La giustizia di Dio è destinata a tutti e ricopre tutti i credenti. Simile ad una benefica inondazione, essa si estende fino agli estremi confini dell'umanità ed è sufficiente a soddisfare ai bisogni di chiunque crede. Infatti, come non c'è distinzione riguardo al peccato, le sue onde avendo ricoperta tutta l'umanità, così non ci può essere, distinzione riguardo alla salvazione procurata da Dio. Tutti essendo nell'identico stato di peccato, non c'è per tutti che un unico mezzo di scampo: la grazia.
23 Infatti, non v'è distinzione; poichè tutti hanno peccato come dianzi è stato dimostrato, e come tali, son privi della gloria di Dio che include la sua approvazione e «quello splendore di cui rifulgerebbe attualmente, (e nell'avvenire) l'esistenza umana, qualora l'uomo fosse con Dio in relazione filiale» Romani 2:29. E siccome non hanno meriti propri, la lor salvazione non può esser che gratuita.
24 e son giustificati gratuitamente per la sua grazia, La giustificazione dei credenti è un dono, non una retribuzione, e scaturisce «dalla libera benevolenza divina che si china spontaneamente verso l'uomo per conferirgli un favore. Non vi è nell'atto, giustificante di, Dio alcun obbligo o cieca necessità; Vi è la libera ispirazione della compassione e dell'amore» (Godet). Cfr. Romani 6:23; Efesini 2:8; 2Corinzi 5:18. Per il senso del verbo giustificare, vedi nota Romani 3:26. Se la sorgente è la grazia, il mezzo è la redenzione: mediante la redenzione ch'è in Cristo Gesù. «Redenzione» (απολυτρωσις) ha talvolta nel Nuovo Testamento il senso generico di liberazione da un male: Luca 21:28; Romani 8:23; 1Corinzi 1:30; Efesini 1:14; 4:30; Ebrei 11:35. Ma del suo senso proprio e completo, vale: liberazione da un male mediante un prezzo di riscatto. Così Efesini 1:7; Colossesi 1:14; Ebrei 9:15. La stessa idea trovasi contenuta in altre espressioni, come, «comperare a prezzo» 1Corinzi 6:20; 7:23; Galati 3:13, «riscattare» (Tito 2:14; 1Pietro 1:18; cfr. Matteo 20:28: «per dar la vita sua come prezzo di riscatto, λυτρον, per molti»; Marco 10:45; 1Timoteo 2:6: «dar sè stesso qual prezzo di riscatto, αντιλυτρον»; Atti 20:28: «acquistata col proprio sangue»). Certo l'idea di un contratto commerciale col diavolo considerato come padrone, dei peccatori, va esclusa e non trova appoggio nel Nuovo Testamento. Il male da cui l'uomo è, liberato è l'ira di Dio, la condannazione. Il prezzo di riscatto ch'è Cristo stesso, o il suo prezioso sangue, viene offerto a Dio a soddisfazione e dimostrazione della sua giustizia. Togliendo l'idea di una soddisfazione data alla giustizia di Dio nel sacrificio volontario di Cristo, qual sostituto dell'umanità, si toglie ogni senso al termine «redenzione», ed a tutti gli altri analoghi. Non si, scorge più il nesso tra la giustificazione gratuita del peccatore e l'opera di Cristo. Quel nesso l'Apostolo, lo spiega più ampiamente in Romani 3:25-26 che sono stati chiamati il «midollo della teologia», «l'acropoli della fede cristiana», il «breve sommario della, sapienza divina» «in cui i pensieri più decisivi sono concentrati, in poche linee». In che sta l'efficacia redentrice, dell'opera di Cristo? Sia, risponde Paolo, nel carattere propiziatorio del suo sacrificio. Per qual mezzo l'efficacia di quel sacrificio è, essa applicata all'individuo? Per mezzo della fede nel suo sangue. In che risiede la necessità di questo sacrificio espiatorio? Nella giustizia inalienabile di Dio, il quale non può spiegare i tesori della sua grazia rinnegando la sua giustizia. Nel sacrificio di Cristo, la giustizia di Dio è ad un tempo soddisfatta e dimostrata.
25 Il quale Iddio ha prestabilito come propiziazione Invece di «prestabilito», molti traducono: «presentato», «pubblicamente proposto od esposto»; ma l'uso della parola greca, nel Nuovo Testamento, non sta in favore di questo senso. Salvo l'espressione «pani di presentazione» nei Vangeli e Ebrei 9:2, l'originale (προτιθεναι col sost. προθεσις) si applica ai proponimenti del cuore umano Romani 1:13; Atti 11:23; 27:13; 2Timoteo 3:10 e, più spesso, il proponimento eterno di Dio Efesini 1:9; Romani 8:28; 9:11; Efesini 1:11; 3:11; 2Timoteo 1:9. Se Dio ha per tanto tempo tollerato il peccato senza punirlo a rigor di giustizia, Egli lo potè fare, in vista dell'espiazione innanzi stabilita nel suo consiglio, ma da eseguirsi nel compimento dei tempi a dimostrazione della sua giustizia. «La salvazione del mondo non è stata strappata a Dio dalla mediazione di Cristo. Dio stesso è l'autore di quella mediazione» Giovanni 3:16. Parimenti, «l'espiazione non ha per iscopo di far nascere nel cuore di Dio un sentimento che non vi fosse per lo innanzi, deve solo produrre un cambiamento tale nella relazione tra Dio e la creatura, che Dio possa spiegare verso di essa il suo amore sotto forma, non di compassione soltanto, ma di intima comunione» (Godet). La parola ἱλαστηριον «propiziazione», «mezzo di propiziazione», o «vittima propiziatoria», s'incontra in Ebrei 9:5 e nella LXX, a significare il coperchio dell'arca su cui era spruzzato il sangue, delle espiazioni, e ch'è chiamato per ciò Esodo 25:17, «il coperchio propiziatorio». Parole della stessa famiglia, occorrono 1Giovanni 2:2; 4:10: «Egli è la propiziazione (ἱλασμος) per i nostri peccati»; Ebrei 2:17: «far l'espiazione dei peccati» ἱλασκεσθαι. Un sacrificio propiziatorio è un sacrificio atto a render Dio propizio, placato, atto ad espiare il peccato. Cfr. Efesini 5:2; 1Corinzi 5:7; Ebrei 9:14,28; Giovanni 17:19. Che si tratti qui di sacrificio, lo prova la menzione del sangue fatta subito dopo: mediante la fede nel suo sangue, Tale l'ordine delle parole nell'originale ed il senso è mediante fede nella virtù propiziatrice del suo sangue. Cfr. Giovanni 6:52-57. Il sacrificio espiatorio di Cristo è in sè stesso di un valore infinito 1Giovanni 2:2; 1Timoteo 2:6; ma non è efficace, secondo il disegno di Dio, che per chi se l'appropria mediante l'atto morale della fede. per dimostrare la sua giustizia, Dio ha innanzi stabilito che Gesù verserebbe il suo sangue in espiazione dei peccati affine di dimostrare, di esibire agli occhi dell'intero universo intelligente e morale, la sua giustizia, retributiva, qual mantenitore della inviolabilità della sua legge. La morte di Cristo non dimostra soltanto la misericordia di Dio; dimostra altresì la sua giustizia. Lo spiegamento di questa divina perfezione era necessario, perchè, dalla condotta di Dio durante migliaia d'anni, poteva sembrare», che la sua giustizia sonnecchiasse. Per tutto il tempo anteriore alla, venuta di Cristo, Dio avea pazientato, era passato sopra ai mancamenti. Solo in certi casi estremi era apparsa l'ira sua; ma perfino nel popolo d'Israele, e senza adeguata espiazione, il peccato era stato lasciato senza la meritata punizione. Tale lunga tolleranza rendeva, necessaria una solenne manifestazione della sua giustizia, e questa è avvenuta nella morte espiatoria del Figlio di Dio, la quale, secondo l'espressione dell'Epistola agli Ebrei «purifica la coscienza dalle opere morte» Ebrei 9:14-15. avendo Egli usato toIleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; (lett. nella pazienza di Dio). Dice: tolleranza non «remissione» come tradusse la Volgata: παρεσις non αφεσις. Mentre la prima parola esprime il metter da parte, la pretermissione, il passar sopra pazientando, la seconda significa la completa remissione.
26 per dimostrare, dico, la sua giustizia nel tempo presente, nell'epoca attuale inaugurata dalla venuta di Cristo e chiamata «gli ultimi giorni» Atti 2:17; Ebrei 1:1. ond'Egli sia giusto e giustificante colui che ha fede in Gesù. affinchè potesse, così, essere e mostrarsi in faccia all'universo, ad un tempo giusto (giudice) e giustificatore del peccatore che crede, in Cristo. «Era, nota il Godet, un gran problema, degno della sapienza divina, quello che l'uomo avea posto a Dio, col cader nel peccato. Se Dio puniva senz'altro il peccatore, ov'era la sua grazia? Egli era giusto, ma non giustificante. Se, al contrario, si contentava di, fargli grazia ove era la sua giustizia? Sarebbe stato giustificante, ma non giusto. Che ha fatto Iddio? Ha presentato alla fede del peccatore, un oggetto atto a soddisfare ad un tempo la sua grazia, e la sua giustizia. Egli ha manifestato in un fatto notorio e solenne il suo diritto di fronte al peccatore. Ma lo ha fatto in modo che, in quella manifestazione, il peccatore trovi non la propria morte ma il proprio perdono», Esser della fede di Gesù (così il greco) viene a dire: esser di quelli che, rinunziando ad ogni fiducia nelle loro opere, cercano la lor salvezza in Cristo, per fede: per i quali «la fede è l'elemento in cui si muovono e vivono» (Gess). Il verbo giustificare che già più d'una volta abbiamo incontrato, appartiene ad una famiglia largamente rappresentata nel Nuovo Testamento, poichè conta non meno di ventidue rampolli usciti dalla stessa radice. Due sensi vengono attribuiti alla parola giustificare: il senso giuridico o forense del «dichiarar giusto»; e quello morale del «render giusto moralmente, per infusione di giustizia». a) È stato dimostrato che il senso morale il fare uno giusto per creazione di vita nuova, non s'incontra mai nell'uso classico della parola. I classici adoperano l'originale greco a significare lo «stimar giusto», il «trattar secondo giustizia», accennando, per lo più, al punire uno secondo il male fatto. Cfr. il nostro «giustiziare». b) Nell'uso ebraico e della versione dei LXX, tsíddek o hitsedik significa di regola: dichiarare, riconoscer, o proclamare giuridicamente giusto. Cfr. Giobbe 32:2; 33:32; Geremia 3:11 lett. giustifica l'anima sua: Ezechiele 16:51-52; Esodo 23:7 «non giustificherò l'empio»; Deuteronomio 25:1; 2Samuele 15:4; 1Re 8:32 «giustificando il giusto»; Giobbe 27:5; Proverbi 17:15. «Chi giustifica il reo»; Isaia 5:23. Solo in Isaia 53:11 e Daniele 12:3 si può tradurre: «insegnar la giustizia», o «convertire a giustizia». Nella LXX a Salmi 73:13 «Ho giustificato il mio cuore» significa: l'ho purificato. c) Nel Nuovo Testamento la parola giustificare è adoperata 38 volte (escluso Apocalisse 22:11 ove non è autentica). Paolo l'adopera 27 volte. Nei pochi casi ove si parla di giustificare Dio Luca 7:29; Romani 3:4 o la Sapienza Matteo 11:19, o Gesù 1Timoteo 3:16, il senso è riconoscere o proclamare giusto. Nell'espressione «giustificare sè stesso» è evidente il senso di dichiarare o dimostrare sè stesso giusto, innocente» Luca 10:29; 16:15. Negli altri casi, che, sono i più, si tratta dell'atto giuridico col quale Dio dichiara e pronunzia giusto chi lo è in realtà, ovvero tiene per giusto chi crede nel Redentore. Così abbiamo due serie di espressioni. Da un lato: esser giustificato dalle proprie parole, dalle opere, per la legge, per le opere della legge, in virtù, cioè, della propria condotta perfetta. Dall'altro lato, si parla d'esser giustificato in un modo ben diverso. Dio giustifica l'empio Romani 4:5, giustifica colui ch'è della fede di Gesù Romani 3:26; si è giustificati in Cristo da tutte le cose da cui non si potè esser giustificati in virtù della legge di Mosè Atti 13:39, si è giustificati gratuitamente per grazia Romani 3: 24; Tito 3:7, nel sangue di Cristo Romani 5:9, mediante la redenzione... Romani 3:24, nel nome del Signor Gesù 1Corinzi 6:11, in Cristo Galati 2:17, per fede, mediante la fede, in virtù della fede, senza opere di legge, ecc. In tutti questi passi, il giustificare esprime quell'atto giuridico di Dio per il quale dichiara giusto e considera e tratta come tale un peccatore, non riguardando alle sue opere, ma riguardando all'opera espiatoria del Redentore a favor dei colpevoli, ed alla fede del peccatore che riceve quell'opera e se l'appropria, condannando il suo peccato e gettandosi nelle braccia della misericordia di Dio in Cristo. È impossibile applicare a quei passi il senso: render moralmente giusto, per infusione di giustizia. Tale impossibilità risulta inoltre dai seguenti fatti: Spesso si parla di giustificazione in relazione coll'ultimo, giudicio ove Dio non rende alcuno giusto moralmente Romani 2:13. «Giustizia di Dio» è opposto a «ira di Dio», a «condannazione» Romani 1:17-18; 5:18; Matteo 12:37. La giustizia giustificante è «imputata» a chi crede Romani 4:3, non infusa. Se giustificare significasse render moralmente giusto», non ci sarebbe pericolo che un tale atto si urtasse alla giustizia, retributiva di Dio (Cfr. Romani 3:26). La giustificazione viene riguardata come un atto compiuto una volta per sempre, non continuativo come la santificazione Romani 5:1; Luca 18:14 ecc.) L'Epistola ai Romani distingue chiaramente la giustificazione dalla santificazione del peccatore, pur insegnando che le due grazie si trovano in Cristo e sono inseparabilmente connesse (Cfr. 1Corinzi 1:30). Vedi nota Romani 1:17. «L'esperienza conferma i risultati dello studio esegetico. Fede nell'espiazione qual base della giustificazione da pace alla coscienza, è sorgente di verace conversione a Dio e di vita nuova. Com'è il centro della predicazione di Paolo, così è stata la parola d'ordine della Riforma» (Schaff).
RIFLESSIONI
1. Di fronte al fatto della universale corruzione e condannazione quale importanza riveste quel semplice: Ma ora... che segna l'intervento divino per la salvazione dell'uomo perduto! Altri esalti un Dio che abbandona la sua creatura alla sua sorte senza più occuparsi di essa; noi adoriamo e benediciamo l'Iddio delle infinite compassioni che, con amor di Padre, si curva verso l'uomo per rialzarlo. Come nella storia dell'umanità, così, ha da esservi in quella di ogni individuo, il decisivo: ma ora, che separa la vita senza Cristo da quella della fede in lui. 2. Com'è manifestata l'ira di Dio sul peccato, così è stata manifestata nell'Evangelo dopo essere stata preparata nelle antiche rivelazioni, la via della salvazione aperta da Dio. Se la ignoriamo, noi che viviamo in paesi cristiani, la colpa non è di Dio. 3. La giustizia procurata da Dio ha questi cinque caratteri essenziali: È condizionata non dal merito delle opere, ma dalla fede che riceve Cristo. Essa è universale in quanto, è destinata a tutti, e sufficiente per tutti coloro che credono. Essa è gratuita: data in dono, procurata per grazia. Essa è fondata sull'espiazione dei peccati compiuta da Cristo colla sua morte. Essa conci1ia le divine perfezioni: in ispecie la giustizia punitiva di Dio col suo amore. «Grazia che offre, Redenzione che procura, Fede che accetta formano dunque la sostanza del Vangelo» (Reuss) «Non siam giustificati se non da Dio, ma non da Dio senza Cristo, nè da Cristo senza la fede, nè da fede che non produca opere». 4. Le sofferenze e la morte di Cristo costituiscono il centro dell'opera sua di salvazione. Egli è stato da Dio predestinato ad essere, si, il supremo Rivelatore del Padre col suo insegnamento; è stato destinato ad essere il Re ed il Giudice supremo; ma è stato prestabilito nel piano misericordioso di Dio, soprattutto qual mezzo di propiziazione mediante la fede nel suo sangue. Il sangue di Cristo è, bensì, come, dice il Semeria, «il simbolo della sua eroica fedeltà» ai doveri dell'apostolato affidatogli dal Padre, n'è «la prova, l'espressione, la misura». Dandolo come esempio, di umiltà e di abnegazione, Paolo stesso dirà in Filippesi 2:8, che Cristo «abbassò se stesso facendosi ubbidiente, fino alla morte»; ma la morte del Cristo è altra cosa che la morte d'un martire atta a servir d'esempio e ad eccitare, eroismi. Essa è presentata qui come un sacrificio propiziatorio, e non qui, soltanto. «Mentre eravamo ancora peccatori, scrive Paolo più oltre, Cristo è morto per noi. Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue sarem per mezzo di lui salvati dall'ira... Siamo stati riconciliati con Dio, mediante la morte del SUO Figliuolo» Romani 5:8-10; 8:3. «In lui abbiam la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati» Efesini 1:7; 2:13. «Dio ha fatto la pace mediante il sangue della croce d'esso» Colossesi 1:20. «Colui che non ha conosciuto peccato, Dio l'ha fatto esser peccato per noi...» 2Corinzi 5:21. «La nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata 1Corinzi 5:7. Pietro, a sua volta, scrive: «...eletti ad esser cosparsi del sangue di Gesù Cristo... riscattati... col prezioso sangue di Cristo come d'agnello senza difetto nè macchia, ben preordinato prima della fondazione del mondo, ma manifestato, negli ultimi tempi» 1Pietro 1:2,19. Si confronti 1Giovanni 1:7; 2:2; 5:6-8; Apocalisse 5:9: «Sei stato immolato, e hai comperato a Dio col tuo sangue gente d'ogni tribù...» Apocalisse 7:14; 13:8. Il sacrificio di Cristo offerto una volta per sempre, è la dottrina centrale dell'Epistola agli Ebrei e, Cristo stesso ha parlato della sua morte come del sacrificio su cui è fondato il nuovo Patto: «Questo è il mio sangue, il sangue del Patto, il quale è sparso per molti, per la remissione dei peccati.» Matteo 26:28; cfr. Luca 22:20. «Questo saldo accordo di scritti apostolici di carattere diverso sembra dimostrare, dice il Sanday, che l'idea di sacrificio applicata alla morte di Cristo non può essere scartata come una semplice passeggera metafora, ma è parte essenziale del pensiero cristiano primitivo e scaturisce dalle parole di Cristo. Questo significa che l'idea del sacrificio è uno dei concetti che stanno al centro della religione del Nuovo Testamento, come già di quella dell'Antico Testamento». Il sacrificio di Cristo è la manifestazione suprema dell'amor di Dio («Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi... Dio non ha risparmiato il proprio Figlio...» Romani 5:8; 8:32). Ma è in pari tempo la somma dimostrazione di quella perfezione inalienabile ch'è la giustizia di Dio, giustizia che ha resa necessaria la morte di Colui che, rendendosi solidale coll'umanità, ha preso il posto dei peccatori. Nel centro della storia dell'umanità, la, croce rizzata sul Calvario proclama, dinanzi agli angeli ed agli uomini, che Dio non può cancellare il peccato col perdono, se la pena dovuta al peccatore non è stata portata dalla vittima innocente, che si è volontariamente sostituita ai colpevoli. Nei millenni precedenti il peccato ha potuto essere tollerato con pazienza in grazia della futura adeguata espiazione di cui le vittime animali immolate proclamavano la necessità, mentre la profezia ne annunziava l'avvento Isaia 53. Una volta consumato il sacrificio, la Buona Novella che dev'essere recata fino all'estremità della terra, si chiamerà la Parola della Croce e i suoi banditori non vorranno «sapere altro fuorchè Cristo ed esso crocifisso... Cristo morto per i nostri peccati, secondo le Scritture» 1Corinzi 2:2; 15:3. Vero è che, ai tempi nostri, molti trovano difficoltà ad ammettere come cosa giusta la sostituzione dell'innocente ai colpevoli; e l'obbiezione sarebbe valida se, come avveniva nei sacrifizi simbolici, la vittima fosse stata trascinata incosciente e per forza, all'altare; ma non ha più valore quando il Sostituto è il Figliuol di Dio umanato che mosso da un amore infinito, offre volonterosamente se stesso all'immolazione, «dando la sua vita qual prezzo di riscatto per molti». «Nessuno, ei dice alla vigilia del sacrificio, ha maggiore amore che quello di dar la sua vita per i suoi amici... io metto la mia vita per le pecore... Nessuno me la toglie, ma la depongo da me» Giovanni 15:3; 10:15-17. D'altra parte il beneficio della morte di Cristo, non è trasferito automaticamente ad una umanità peccatrice che non se ne curi; ma, secondo il disegno eterno di Dio, è conferito al peccatore che piange sui suoi peccati e accetta, con fede riconoscente la salvezza offertagli in Cristo. Cristo è realmente vittima propiziatoria sol per chi ha «fede nel suo sangue», per chi compie spiritualmente l'atto dell'israelita quando poneva le sue mani sul capo della vittima che stava per, essere immolata. C'è in una fede simile che unisce il credente a Cristo appropriandosi l'efficacia del suo sacrificio, il germe d'una vita nuova. Ma c'è, prima di tutto, la sorgente di una profonda pace e di una «gioia ineffabile e gloriosa». «Giustificati per fede abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore». «Chi accuserà gli eletti di Dio? Iddio è quel che li giustifica», e li giustifica senza rinnegar la sua giustizia «Chi sarà quel che li condanni? Cristo Gesù è quel ch'è morto e più che questo, è risuscitato ed è alla destra di Dio ed anche intercede per noi» Romani 8:33-34. L'innologia cristiana, espressione delle più profonde esperienze dei credenti, ripete attraverso i secoli in tutte le lingue i cantici dei redenti che celebrano, come già nell'Apocalisse, «Colui che ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati col suo sangue». E quanti, al loro letto di morte, hanno ripetuto, come fra Paolo Sarpi, la grande parola di Romani 3:25: «Dio lo ha prestabilito come propiziazione mediante la fede nel sangue d'esso» ed hanno tenuto fisso lo sguardo morente sulla croce del Calvario suprema garanzia del loro perdono!
27 SEZIONE B Romani 3:27-4:25La giustizia di fede considerata nei suoi rapporti colle precedenti dispensazioni divine
L'Apostolo ha descritta, nei suoi caratteri essenziali, la giustizia procurata da Dio al mondo affermando, in pari tempo, che ad essa rendono testimonianza la legge ed i profeti. Scrivendo ad una chiesa mista di Giudei e di pagani, ed in un'epoca che segnò il trapasso dall'Antica Economia alla Nuova, era importante il dimostrare come l'Evangelo universalistico di Paolo, se tagliava dalle radici l'orgoglioso vanto giudaico Romani 3:27-30, però non aboliva l'essenza morale della legge mosaica Romani 3:31, ed armonizzava cogli insegnamenti contenuti nell'esempio normativo di Abramo Romani 4.
Romani 3:27-30 LA GIUSTIFICAZIONE PER FEDE ESCLUDE OGNI VANTO GIUDAICO
Fin da Romani 3:22-23, Paolo ha proclamato l'uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla giustizia procurata da Dio. «Non c'è distinzione». Uguali dinanzi al giudicio di Dio che condanna i peccatori, sono uguali davanti alla, grazia che giustifica i credenti. Non vi è qui nè Giudeo, nè Greco. Come davanti al tribunale divino, l'Apostolo ha potuto domandare: Che dunque? abbiamo noi qualche superiorità sugli altri? e rispondere: Assolutamente no; così davanti alla giustificazione per grazia, mediante la fede, egli esclama: Dov'è dunque il vanto? C'è egli posto qui per il borioso vanto di superiorità del Giudeo? E risponde non meno risolutamente: Esso è stato escluso. Infatti, il metodo divino di giustificazione non ha per base alcun merito di opere compiute in ubbidienza alla legge. È metodo di grazia che ha per base la fede nel sangue di Cristo. Or la fede, che consiste nel ricevere il dono di Dio, nell'abbandono di sè a Cristo, non costituisce merito di sorte, pur essendo l'atto morale più profondo. Questo l'apostolo pone in, risalto quando esclama: Per qual legge? delle opere? No, ma per la legge della fede. Legge ha qui manifestamente il senso generico di nonna, di regime, o di metodo (cfr. Romani 7:21-23; 8:2).
28 E prosegue, secondo il testo meglio accertato: Poichè noi, riteniamo che l'uomo, chiunque egli sia, Giudeo o Greco, è giustificato per fede, senza le opere della legge. la lez. γαρ, poichè è meglio sostenuta dai MSC. che l'ουν, dunque, perciò preferibile. La «giustizia di Dio», rivelata nel Vangelo e dinanzi descritta, è giustizia di fede Romani 1:18; 3:22,26 e questo esclude ogni vanto di privilegiati. Trattandosi di ricevere una grazia offerta a tutti, tanto lo può fare il pagano come il Giudeo. La parola greca tradotta riteniamo (λογοζομεθα) occorre 19 volte nell'Epistola ed è fra quelle predilette da Paolo. Indica l'attività della ragione umana o divina ed i risultati a cui conduce. In senso assoluto, vale pensare, ragionare 1Corinzi 13:11; 1Pietro 5:12 o, con un complemento: pensare una cosa, stimare che, ritener per fermo, reputare, non mai concludere (Diod.) Romani 2:3; 6:11; 2Corinzi 3:5; 10:2; Giovanni 11:50; Romani 14:4. Occorre poi spesso con la preposizione εις a, e vale allora: contare per, mettere in conto di..., imputare a... Romani 2:26; 4:3; 9:8; 2Corinzi 5:19; 2Timoteo 4:16.
29 Iddio è Egli forse soltanto l'Iddio dei Giudei? Non è Egli anche l'Iddio dei Gentili? Certo lo è anche dei Gentili; Se, per supposto impossibile, la giustificazione dovesse farsi sulla base delle opere legali, ne risulterebbe che i pagani i quali non hanno la legge rivelata, sarebbero praticamente esclusi dalla salvazione. Dio sarebbe così l'Iddio soltanto dei Giudei e non dei Gentili Romani 3:29, un Dio nazionale, non universale, cosa che anche l'Antico Testamento esclude esplicitamente. Com'è vero che vi è un solo Dio, così è, vero ch'Egli è l'Iddio di tutti gli uomini: il che implica ch'egli «vuole che tutti gli uomini sieno salvati». Perciò la salvazione è offerta a tutti, alla stessa condizione della fede ch'è accessibile a tutti.
30 poichè vi è un Dio solo, il quale giustificherà (Lagrange traduce: renderà, giusto, invece di dichiarerà giusto) sempre, da ora innanzi, il circonciso lett. la circoncisione cioè i Giudei circoncisi, per fede ossia in virtù della fede e non delle opere ch'essi vantavano, e l'incirconciso cioè il pagano, parimente mediante la fede, la stessa fede in Cristo senza aggiunta di altra condizione. Il per (εκ) e il mediante (δια) esprimono la stessa idea, perciò s'è aggiunto l'avverbio parimente che è solo implicito nel testo.
31 Romani 3:31 LA GIUSTIFICAZIONE PER FEDE NON ABROGA LA LEGGE NELLA SUA ESSENZA
Annulliamo noi dunque la legge mediante la fede? Così non sia; anzi stabiliamo la legge. Questo versetto, per la sua estrema concisione, ha dato luogo a svariate spiegazioni di cui citiamo alcuni esempi. C'è chi lo considera come la conclusione di Romani 3:27-30. «La giustizia della fede non abolisce la legge, anzi la stabilisce perchè essa è conforme alla universale condanna pronunziata dalla legge, ed all'unità di Dio che n'è il principio fondamentale.» (Godet). C'è chi dà alla parola legge un senso generico: «Aboliamo noi un ordinamento divino come quello della legge mosaica? No, piuttosto, colla predicazion della fede noi stabiliamo l'ordinamento divino già abbozzato nello stesso Pentateuco, come dimostra la storia d'Abramo» (Weiss). Altri interpreta: «Noi non andiam contro alla legge, ma la teniamo ferma nell'ufficio assegnatole da Dio, ch'è quello di dare la conoscenza del peccato e di condur l'uomo a Cristo» (Gess). Senza dilungarsi nell'esporre le obbiezioni che possono farsi alle spiegazioni citate, ci atteniamo alla seguente: Alla dottrina della giustificazione per fede, senza opere di legge, si moveva il rimprovero di abolire la legge e d'esser così pericolosa per la morale. No, risponde Paolo, è questo un errore. Noi, è vero, non insegniamo che la legge sia capace di liberar l'uomo dalla condannazione e, dall'impero del peccato; essa non può dare che la conoscenza del peccato e produrre ira Romani 3:20; 4:15; 5:20; 7:7; ma, d'altra parte, il contenuto morale della legge, ben lungi dall'esser abrogato dalla fede, ne resta, confermato più saldamente di prima. L'Evangelo non abolisce l'obbligo di Dio solo, in spirito; nè i doveri verso il prossimo. Il sommario della legge: Ama il Signore Iddio, tuo con tutto il cuore... ama il tuo prossimo come te stesso, rimane in senso più profondo di prima; il sunto dei doveri dell'uomo (cfr. Romani 13:8-11; Galati 5:22-23; 1Corinzi 13). Gesù «non è venuto per annullare la legge od, i profeti, anzi per adempierli» Matteo 5:17. Quel ch'era impossibile alla legge nello stato attuale dell'uomo, Dio lo ha compiuto nella Redenzione di Cristo, «affinchè il comandamento della logge fosse adempiuto in noi che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo spirito» Romani 8:2-4. Ora se la fede in Cristo, oltre alla giustificazione, ci assicura anche l'affrancamento dal peccato ed una vita nuova in armonia coll'essenza morale della legge, essa non abolisce la legge, ma la stabilisce coll'assicurarne l'adempimento. La legge pronunzia ella una giusta sentenza sul peccato? La fede non la sovverte, poichè la giustificazione del peccatore non avviene a scapito della giustizia di Dio Romani 3:26. La legge adombra ella nei suoi riti dei concetti divini? La fede ne afferra la vivente ed eterna realtà in Cristo (Cfr. Ebrei 9:10). La legge dà ella corpo, nei suoi vari codici, a dei principi fondamentali e permanenti di morale? La fede comunica all'uomo una nuova potenza di vita che lo rende capace di praticarli. Lo innalza nella sfera dell'amore, alla «legge della libertà» ch'è quella del cuore rinnovato in cui è scritta, la legge di Dio Ebrei 8. Paolo si contenta, per ora, di respingere l'accusa di abolire la legge, protestando che la fede fa il contrario. Ma riprenderà più tardi, sotto altra forma, la stessa obbiezione per confutarla di proposito (cfr. Romani 6:1,15; 7:7).
Da quanto Paolo era venuto esponendo in Romani 2, pareva ch'egli non, facesse caso alcuno dei privilegi concessi al Giudeo. La legge non gli conferisce alcun privilegio dinanzi al giudicio, anzi aggrava la sua colpa; la circoncisione non gli giova, se trasgressore, più della incirconcisione. Ma dunque, è nullo ogni privilegio? Non c'è egli vantaggio ad appartenere al popolo di Dio? O se c'è, in che consiste esso? Paolo prevede l'obbiezione che sorgerà nella mente dei lettori e la presenta egli stesso per toglier di mezzo le false conseguenze che potrebbero trarsi dal suo insegnamento. Solo, la risposta ad una prima obbiezione ne solleva un'altra, e questa, a sua volta, una terza. Il nesso dei pensieri è così espresso dal Godet:
1a Obbiezione: Se il Giudeo dev'esser giudicato assolutamente come il pagano, che vantaggio ha egli dunque su di lui?
Risposta: Il Giudeo è stato messo in possesso degli oracoli di Dio Romani 3:12.
2a Obbiezione: Ma se questo possesso non ha raggiunto lo scopo cui dovea servire, la fedeltà di Dio verso quel popolo non è ella annullata da questo risultato?
Risposta: Niente affatto. Essa ne riceverà anzi, maggior gloria.
3a Obbiezione: Ma se Dio si serve così del peccato dell'uomo (specialmente del Giudeo) per glorificar sè stesso, come può egli ancora far del peccatore (specie del Giudeo) l'oggetto dell'ira sua?
Risposta: Se il bene che Dio trae dal peccato dell'uomo gl'impedisse di punire i peccatori, il giudicio finale del Mondo sarebbe impossibile.
Se le cose stanno come Paolo ha detto alla fine del Romani 2,
Qual'è dunque il vantaggio del Giudeo?
Cosa ha egli di più del pagano? Una priorità del Giudeo l'Apostolo l'ha riconosciuta, (cfr. Romani 1:16; 2:10); ma in che sta?
o qual'è la utilità della circoncisione?
Una utilità della circoncisione l'ha affermata Romani 2:25; ma qual'è, se non consiste nella esenzione dal giudicio divino?
2 Il vantaggio
è reale ed
è grande per ogni maniera;
cioè sotto ogni aspetto: religioso, morale, sociale. In Romani 9:4, enumererà vari aspetti del privilegio del Giudeo; ma qui si limita ad accennare al principale, cioè al deposito sacro della Rivelazione.
prima di tutto, perchè a loro furono affidati gli oracoli di Dio.
(cfr. Atti 7:38; Ebrei 5:12; 1Pietro 4:11), cioè l'insieme delle rivelazioni divine, fatte ad Israele e conservate nelle S. Scritture. Dice propriamente che furono, scelti quali persone di fiducia per ricevere e conservare il deposito della Rivelazione, in ispecie delle premesse messianiche. Più che semplici custodi, essi hanno ad essere attori nello svolgimento del piano di Dio. Ma l'affermazione che il popolo resta il depositario e implicitamente l'oggetto delle promesse divine, solleva una obbiezione. Questo atto di fiducia di Dio, non è egli stato invalidato, annullato dalla incredulità di una parte che è poi la maggioranza, del popolo? Si può egli parlare ancora d'Israele come popolo eletto di fronte al «crucifigge», pronunziato dai Giudei contro al Messia? L'incredulità del popolo non ha essa sciolto Dio da ogni sua promessa? No, risponde l'Apostolo.
3 Infatti, che vuol dire se alcuni sono stati increduli? Forsechè l'incredulità loro annullerà la fedeltà di Dio?
s'intende: alle sue promesse. Il Nestle punteggia: E che? Se alcuni sono stati increduli la loro incredulità annullerà essa... Il senso non è diverso da quello della costruzione seguita dal Tischendorf.
4 Così non sia.
lungi da noi un tal pensiero. Dieci volte è adoperata nella nostra Epistola questa energica forma di denigrazione. Dio resta fedele, e nonostante l'incredulità passata e recente di molti suoi membri, sussiste il privilegio da Lui concesso al popolo d'Israele. Questo afferma l'Apostolo recisamente togliendo ad imprestito alcune parole del Salmi 116:11.
Anzi, sia Iddio riconosciuto verace, ed "ogni uomo bugiardo".
Sia sempre, in ogni caso, Iddio proclamato verace, che altrimenti non può essere, mentre se c'è mancanza di lealtà e di fedeltà, essa non può spettare che all'uomo. Dallo svolgimento, attraverso i secoli, del piano di Dio, ha da risultare luminosamente dimostrata la fedeltà dell'Eterno alle sue promesse; mentre risulterà non meno evidente la universale infedeltà umana (Cfr. Romani 11 fine).
Siccome è scritto: Affinchè tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole, e resti vincitore quando sei giudicato.
La citazione è tolta da Salmi 51:4. È fatta secondo la versione dei LXX. L'ebraico legge propriamente: «Affinchè tu sia [riconosciuto] giusto nel tuo parlare e puro nel tuo giudicare». La LXX contiene piuttosto l'idea di una vittoria riportata da Dio in un processo, a dir così, intentatogli dagli uomini che accusano d'ingiustizia il suo procedere. Per lo scopo dell'Apostolo, questa variante della traduzione non importa, tanto più che non è contraria al pensiero essenziale di Davide in quella parte del Salmi. Egli ha peccato gravemente contro agli uomini; ma quel che gli fa parer soprattutto grave il suo peccato, è la sua infedeltà verso Dio che lo ha scelto per re del suo popolo e ricolmo di tanti privilegi. E questo aspetto più grave del suo peccato egli lo confessa pubblicamente, affinchè si sappia da tutti ch'egli, per il primo, riconosce, la giustizia del castigo annunziatogli dal profeta Natan, e niuno pensi ad accusar Dio d'infedeltà verso il suo eletto, quando vedrà ch'Egli fa scender su lui, come padre e come re, le maggiori umiliazioni e sciagure. Dio dev'esser riconosciuto giusto in tutto quel che pronunzia; Dio deve uscir vittorioso (senso della LXX) da ogni temeraria accusa. Cosicchè dalla confessione penitente del re teocratico esce una voce che proclama la gloria immacolata di Dio. «Ho peccato contro a te [e lo confesso così apertamente] affinchè, in ogni evento, tu sii riconosciuto giusto...».
5 Sussiste adunque il vantaggio del Giudeo, nonostante l'incredulità di alcuni (cfr. Romani 9-11) e quanto Paolo ha insegnato sulla condanna del peccatore giudeo non toglie nulla alla realtà della vocazione speciale d'Israele. Ma qui sorge un'altra obbiezione. Se perdura la fedeltà di Dio, se anzi, come nel, caso di Davide, dall'infedeltà dell'uomo esce, più mirabile la giustizia e santità di Dio, che si deve concludere da questo?
Ma se la nostra ingiustizia
morale, che include la menzogna e, l'incredulità prima mentovate,
fa risaltare la giustizia,
la perfezione morale,
di Dio,
facendola apparire più grande e più mirabile,
che diremo noi? Iddio è egli ingiusto quando dà corso alla, sua ira?
quando fa pesare l'ira sua sui peccatori, pagani o Giudei condannandoli? (cfr. Romani 2:8; 1:18). E affinchè niuno pensi che egli ragioni così per proprio conto, Paolo si affretta a notare:
(Io parlo umanamente)
lett. secondo l'uomo, cioè secondo il modo di parlare e di pensare dell'uomo naturale sempre pronto a trovar da ridire a quanto Iddio fa, e a cercare scuse per il proprio peccato 1Corinzi 3:3; 15:32. L'Apostolo avea, senza dubbio udita molte volte una si empia logica, nelle sue discussioni coi Giudei.
6 Egli la respinge come cosa moralmente inammissibile, col suo:
Così non sia.
E ne dà per ragione che, se così fosse, se Dio fosse ingiusto quando punisce il peccato perchè peccato, Egli non potrebbe più giudicare il mondo.
perchè, altrimenti, come giudicherà Iddio il mondo?
Sarebbe reso impossibile quell'universale e giusto giudicio che tanto la Rivelazione quanto la coscienza naturale attestano. Che la gloria di Dio rifulga di più viva luce nel contatto e nel contrasto col peccato umano, che la sua sapienza tragga un bene dal male che l'uomo commette, è un fatto; ma che questo converta il male in bene è una falsità. Non è merito di Giuda se la morte del Cristo ch'egli tradì ci è fonte di salvezza. A lui il tradimento, a Dio la sapienza che fa volgere il male degli uomini all'adempimento dei suoi disegni. Se il bene che Dio sa trarre dal male, annullasse la colpa del peccato, nessuno dovrebb'esser più sottoposto a giudicio.
7 Se, infatti, la verità di Dio
o la sua veracità,
per
effetto e merito de
la mia menzogna, è abbondata a sua gloria, perchè
(potrebbe ognuno domandare)
sono anch'io
che ho contribuito ad un tanto risultato,
giudicato ancora come peccatore?
La connessione di Romani 3:7 con Romani 3:6 mediante il γαρ (infatti dei codd. B D E G K L P, Vulg. Sir.) è migliore assai di quella che si ha col δε (ma se... dei codd. Sin. A, Tisch. Nestle, Rived.). Romani 3:7-8 sono la dimostrazione, in forma personale, che il giudicio di Dio non ha più ragione di esistere se si accetta la massima, qui ripetuta, che il peccato non è più peccato quando fa risaltare la, fedeltà di Dio e accresce la sua gloria. «Una tal supposizione, se spinta alle sue estreme conseguenze, non solo sopprimerebbe ogni giudicio di Dio, ma rovescierebbe dalle fondamenta l'intera vita morale dell'uomo» (Alford).
8 E,
spingendo il falso principio alle sue estreme e più mostruose conseguente pratiche,
perchè (secondo la calunnia che ci è lanciata e la massima che taluni ci attribuiscono) perchè non "facciamo il male affinchè ne venga il bene?" - Gente di cui la condanna è giusta.
La calunnia colpiva principalmente i dottori cristiani che, come Paolo, predicavano la salvazione per grazia. Egli non confuta l'assurdo principio morale che gli viene attribuito. Per i suoi lettori la cosa è superflua. A dimostrare l'energia colla quale lo respinge, gli basta dichiarare calunniatori coloro che lo attribuiscono ai Cristiani, e giusta la sentenza che li attende. Ad ogni modo, sussiste dunque la condanna del Giudeo, trasgressore della legge, nè c'è sofisma che la possa allontanare.
RIFLESSIONI
1. Se Paolo si è mostrato apprezzatore serio e profondo della degradazione pagana nella sezione precedente, non si è però mostrato meno largo apprezzatore dei doni intellettuali, delle capacità religiose, e della conoscenza morale esistente fra i pagani. Ed in questa sezione, quel ch'egli insegna della legge morale scritta nei cuori, e degli atti moralmente nobili compiuti da pagani, è nuova dimostrazione della larghezza, di mente e di cuore dell'Apostolo delle Genti. Lo scorgere accanto ai lati ributtanti anche i lati belli, attraenti nobili degli uomini è per chi annunzia loro l'Evangelo, ed in genere per il Cristiano, fonte di conforto e di coraggio.
2. I privilegi più alti, il possesso della Rivelazione colla maggior conoscenza che ne deriva, la missione più elevata possono facilmente esser occasione d'orgoglio 1Corinzi 8:1, di giudizi spietati verso i nostri simili, di falsa sicurezza, di acciecamento sul nostro proprio stato morale e spirituale.
Quello che si è verificato presso al popolo di Dio antico, si verifica, pur troppo, presso i Cristiani, specie se di nome soltanto. Il conoscere il Vangelo, l'aver una fede intellettuale nelle verità di esso, l'essere stati battezzati, l'aver celebrata, la S. Cena, il praticar le cose esterne d'ella religione, ingenera facilmente quello stesso orgoglio e quello stesso accecamento che Paolo rimproverava ai Giudei. Generalmente il declinare della vera pietà, va di pari passo coll'esagerata importanza data ai riti e alle cerimonie. Il giudaismo degenerò in farisaismo; e quanto al Cristianesimo, può vedere ognuno a che sia stato ridotto nella nostra patria ed altrove. Perciò, serva il giudicio di Dio sul popolo giudeo di avvertimento alla Cristianità, anzi ad ognuno che porta il nome di cristiano.
3. È stato detto con verità, che dei precetti morali alla stregua dei quali noi giudichiamo i nostri simili, si potrebbe fare un eccellente trattato di morale. Ma se questo attesta, in ognuno, una conoscenza morale più o meno estesa, va ricordato altresì che la regola che noi applichiamo agli altri; sarà applicata a noi stessi (Matteo 7:1-5). Così avviene per lo più che nel giudicar gli altri, condanniamo noi stessi.
4. Il metter l'uomo alla presenza del giusto giudicio di Dio, ch'è secondo la realtà della condotta, che non ammette eccezione, nè parzialità a favor di alcuno, che «abbraccia tutti gli uomini e tutto l'uomo» esterno ed interno, è il mezzo migliore per destar la coscienza sopita. Può parer crudele questo tagliare che fa Paolo ogni sostegno ed appoggio su cui si riposa il Giudeo; può perfino parere uno sprezzar quel che Dio ha ordinato (culto, sacramenti,) ecc. ma è la crudeltà del chirurgo che apre gli ascessi che avvelenano; il sangue e producono la morte. Non è crudele chi ci apre gli occhi sul nostro vero stato davanti a Dio, affinchè vi cerchiam rimedio mentre siamo in tempo. La predicazione del giusto giudicio di Dio fa parte dell'Evangelo del Signor Gesù e dei suoi Apostoli. Paolo che espone i tesori inesauribili, della grazia di Dio, parla eziandio del tesoro d'ira che si ammassa sul capo di chi sprezza la bontà e pazienza di Dio.
5. Se le infedeltà dei Giudei hanno recato disonore al nome di Dio nell'antico mondo pagano, che si dovrà dire di quelle dei Cristiani nel mondo moderno? Non sono esse una delle cagioni per cui il mondo si mostra alieno dal Vangelo, anzi da ogni religione? I peccati di chi ha missione d'insegnar gli altri sono peccati che insegnano più delle loro parole.
6. Del vero Cristiano si può dire quel che Paolo dice del vero Giudeo: non è quello ch'è tale esternamente, ma che lo è, dal fondo del cuore. Se la vita interna era di già cosa essenziale per il Giudeo, quanto più per il Cristiano? Parimente si può dir del Battesimo quel che Paolo dice della circoncisione Romani 2:28-29. Non è il battesimo esterno, d'acqua, che è il vero, ma è quello dello Spirito Santo che rinnova il cuore 1Pietro 3:20-21; Matteo 3:11.
7. Se Paolo conta come primo e principale privilegio del Giudeo, non il sacerdozio, non la discendenza, da antenati gloriosi e pii, ma l'esser depositario degli oracoli di Dio, si può da, questo arguire quanto è grande il privilegio di chi possiede nella propria casa, le Sacre Scritture dell'Antico e Nuovo Testamento, dei paesi ove la conoscenza della Rivelazione è largamente sparsa. Il vantaggio però trae seco una maggiore responsabilità.
8. «L'uomo si agita e Dio lo conduce». Al di sopra del peccato dell'uomo, vi è la infinita sapienza di Dio che non abbandona i suoi disegni, nè li lascia annientare dalla infedeltà e dall'incostanza degli uomini. Però, nè il bene che Dio sa trarre dal male, nè il momentaneo successo ottenuto con mezzi riprovevoli, alterano la natura del male stesso, nè cancellano la responsabilità dei suoi autori. Il risultato ultimo della storia sarà la gloria delle perfezioni di Dio che uscirà dalla bocca stessa degli uomini. Però la predicazione della grazia è andata in tutti i secoli soggetta a calunnie: così nei tempi apostolici, come al tempo della riforma e dei grandi risvegli religiosi. Certo, una dottrina che conduca a risultati immorali è condannata ipso facto. Ma i frutti morali e religiosi del Vangelo della grazia sono sufficiente risposta ai calunniatori di esso. Da tali calunnie non si è Paolo lasciato scoraggiare, nè tampoco distogliere, dalla sua alta, vocazione.
9 SEZIONE C Romani 3:9-20La condannazione universale attestata dalle Scritture
Paolo ha dimostrato, coi fatti a tutti noti, lo stato di peccato e di condannazione in cui giace il mondo pagano Romani 1:18-32. Ha fatto vedere, che anche, il Giudeo, è, trasgressore della legge e quindi sottoposto ad ira Romani 2:1-3:8. Ora conchiude con le dichiarazioni stesse, di Dio, le quali attestano la universale e profonda corruzione dell'umanità. Talchè non c'è da sperare giustificazione per via di opere conformi alla legge.
Che dunque? Abbiamo noi qualche superiorità?
Dati i privilegi reali di cui abbiam goduto, noi Giudei, e dato l'uso che ne abbiam fatto, siamo noi moralmente più avanzati o più eccellenti dei pagani? Siamo noi in condizione migliore davanti al giudicio di Dio, meno perduti, meno bisognosi di salvezza degli altri?
Affatto.
risponde l'Apostolo; davanti alla santità di Dio, noi siamo dei peccatori come gli altri.
Poichè, abbiamo dianzi provato che tutti, così Giudei come Greci, sono sotto il peccato,
Il dianzi si riferisce alla esposizione fatta da Romani 1:18-3:8. Il greco dice propriamente: abbiamo accusato Giudei e Greci, abbiamo contro di essi formulato, poggiandola su fatti e su ragioni, l'accusa d'esser tutti quanti, senza eccezione, sotto l'impero e quindi sotto la condannazione del peccato Romani 7:14; Giovanni 8:34. Questa conclusione l'Apostolo la conferma con numerose citazioni bibliche tratte dai Salmi e dal profeta Isaia. Quelle contenute nei Romani 3:10-12 sono dirette a provare la universalità del peccato; mentre quelle dei Romani 3:13-18 dimostrano la profondità della corruzione nell'uomo. Non solo tutti gli uomini sono sotto il peccato; ma tutto quanto l'uomo è sotto l'impero di esso e da esso guasto.
10 Le dichiarazioni Romani 3:10-12 sono tolte da Salmi 14:1-3 e sono fatte secondo la versione dei LXX: salvo lievi varianti. Talvolta Paolo riassume in una, la sostanza di varie parole.
siccome è scritto: Non v'è alcun giusto, neppur uno. Non v'è alcuno che abbia intendimento che ricerchi Dio.
S'intende: non v'è alcuno che abbia discernimento spirituale, che possegga quella sapienza il cui capo è il timor del Signore. Il ricercare Iddio implica la brama di conoscer Lui e la sua volontà, per conformarvisi (cfr. Romani 2:7).
12 Tutti si sono sviati,
hanno abbandonato la via della verità e del bene per prendere quella dell'errore e del peccato.
Tutti quanti son divenuti inutili
come una cosa guasta, che non serve più all'uso cui era destinata.
Non v'è alcuno che pratichi la bontà,
che sia intento a far del bene,
no, neppure uno.
13 La loro gola è un sepolcro aperto; con le loro lingue hanno usato frode; v'è un veleno d'aspidi sotto le loro labbra. La loro bocca è piena di maledizione e d'amarezza.
Le parole di Romani 3:13 sono tolte da Salmi 5:9 e da Salmi 140:3. Il paragone della gola con un sepolcro aperto, inteso da alcuni come allusione alle minacce di ruina profferite dai peccatori, sembra accennare piuttosto alle parole corrotte e corruttrici che escono dalla bocca come le, esalazioni pestifere da una fossa aperta. Il veleno d'aspidi s'intende delle maldicenze, delle diffamazioni e calunnie che escono dalle labbra dopo aver covato nel cuore.
14 Romani 3:14 è citazione di Salmi 10:7 secondo la LXX, la quale deve aver letto un po' diversamente una parola del testo ebraico che significa frodi e ch'essa rende «amaritudine». Maledizione ed amarezza sono ambedue espressioni dell'odio ch'è più contenuto quando esala amarezza, e versa fiele; più violento, quando impreca maledizione.
15 Dopo le varie espressioni (gola, lingue, labbra, bocca) indicanti la corruzione umana com'è manifestata dal perverso uso del dono della parola, vengono citate altre parole bibliche che denotano come la corruzione si palesi negli atti.
Son veloci i lor piedi per spargere il sangue.
Tolto da Isaia 59:7-8, con abbreviazioni. La velocità dei piedi indica non solo la facilità con cui attentano alla vita del prossimo, ma il gusto che ci prendono, sia che si tratti di vendetta, o di assassinio, o di rissa (cfr. Genesi 4).
16 Sulle lor vie è rovina e calamità, e non hanno conosciuto la via della pace,
Dovunque vanno o passano, seminano ruina e calamità a danno del prossimo. E quanto alla via della pace, cioè dello stare in pace e del procacciar la pace, non l'hanno conosciuta, perchè non ci sono mai entrati.
18 Perchè non hanno essi riguardo al bene altrui, nè scrupolo di nuocergli? Perchè
Non c'è timor di Dio dinanzi agli occhi loro
Salmi 36:1. Non si propongono per regola di vita di camminare in modo da non offendere Dio. Rotto quel freno supremo, la lor vita è in balla delle passioni.
19 Or noi sappiamo che tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge
(lett. nella legge). Le dichiarazioni citate contengono manifestamente la dottrina che l'uomo, finchè rimane estraneo alla grazia di Dio, è sotto il dominio del peccato. Or questo insegnamento a chi è rivolto ed a chi è esso destinato? Per consenso di tutti, al Giudeo, poichè a lui mirano anzitutto le S. Scritture qui designate sotto il nome: la legge, perchè contengono la rivelazione della volontà e dei disegni di Dio e sono intese a servir di norma alla vita dell'Israelita (cfr. Giovanni 10:34, con Salmi 82; 12:34; 15:25, con Salmi 35:69; 1Corinzi 14:21, con Isaia 28). Delle dichiarazioni scritturali citate, la maggior parte si riferivano ai Giudei ribelli e infedeli. Quanto a Salmi 14, l'Antico Testamento «non contiene un solo passo che dipinga con sì vivi colori la universalità e la profondità dell'umana corruzione» (Hengstenberg). Se poneva mente alle suo Scritture, il Giudeo dovea dunque, non altrimenti che il pagano, turarsi la bocca e riconoscersi anche lui colpevole davanti a Dio. Dice propriamente:
affinchè ogni bocca sia turata e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio
cioè riconosciuto colpevole dinanzi a Dio. «Vi è grande solennità in queste ultime parole: Tutto il mondo e: di Dio il cui contrasto colpisce. Da una parte, Dio sul suo tribunale, dall'altra l'umanità tutta quanta, inclusi i Giudei, che china il capo per ricevere il colpo della giustizia» (Godet).
20 Tutto il mondo è esposto alla condanna divina perchè dalle opere della legge non può venire giustificazione per alcun uomo
Poichè per le opere della legge nessuno
(lett. niuna carne)
sarà giustificato al suo cospetto,
cioè riconosciuto e dichiarato giusto davanti al tribunale di Dio;
giacchè mediante la legge è data la conoscenza del peccato.
Si parla di «opere della legge» nelle Epistole ai Romani e ai Galati. L'espressione non significa: opere. prodotte dalla legge, bensì opere richieste, ordinate dalla legge (cfr. Romani 2:15). Non, si applica dunque solamente alle pratiche rituali o cerimoniali, ma a tutto quanto prescrive la legge considerata nel suo insieme. Indica tutto lo sforzo morale, tutto il far dell'uomo lasciato a sè stesso in presenza della santa legge di Dio. Da questo non può venir giustificazione davanti al giudicio di Dio che investiga i cuori, mentre gli uomini possono venir ingannati dalle apparenze. E questo è vero per ogni carne, cioè per ogni creatura umana Salmi 143:2. «Carne» designa l'uomo considerato dal lato dell'elemento materiale della sua natura resa ora mortale dal peccato. Non implica di necessità, in questo suo uso, l'idea di peccato. (cfr. Giovanni 1:14): «Il Verbo è divenuto carne».
Il perchè dalle opere della legge non può scaturire giustificazione per alcuno, sta in questo: che ben lungi dal dimostrare conforme alla volontà di Dio la condotta dell'uomo la legge ne rivela il carattere riflette lungi dal provare il suo stato di giustizia, la legge gli dà la conoscenza più chiara e più esatta del suo peccato, della natura, della gravità e profondità di esso. «L'Apostolo è così giunto al termine della dimostrazione annunziata Romani 1:18. L'ira di Dio si rivela sullo stato attuale del mondo, Egli non ha fatto distinzione tra grandi e piccoli peccatori, tra buoni e cattivi. In genere, la tendenza di tutto questo paragrafo non è di provar la corruzione degli individui, ma di dimostrare il cruccio divino sospeso sul mondo intiero, giudeo e pagano. Quanto agli individui, Paolo lascia loro la cura di applicare a sè stessi quei grandi quadri relativi alle nozioni di cui fanno parte, e ciò nella misura che la lor coscienza fisserà. Il risultato è questo: Le due categorie di cui componesi l'umanità dal lato religioso, hanno ugualmente bisogno di salvezza. Or questa salvezza è ben diversa da quella che i Giudei si figuravano. Essi immaginavano che bastasse estendere ai pagani quel regime legale ch'essi aveano ricevuto da Mosè. Paolo invece dice loro terminando: Propagar la legge è un dare al mondo il mezzo di meglio scorgere la sua sozzura, non già quello di purgarsene, È questo oggi un luogo comune, grazie alla nostra Epistola stessa. Ma quando essa venne scritta, questa verità era un raggio divino che dovea, illuminare il mondo di novella luce» (Godet).
RIFLESSIONI
1. L'esser privilegiati per doni intellettuali, per facilità d'istruzione ed educazione, come per eccezionali mezzi di grazia, non vuol dir sempre essere moralmente migliori.
2. Niun libro come la S. Scrittura, svela così completamente e sicuramente l'universalità e la profondità del male morale dell'umanità. E ciò senza riguardi per il popolo eletto, nè per gli uomini sommi di esso. In questo si palesa veramente come il libro ispirato dal Dio di santità.
3. Ogni dottrina, nella predicazione evangelica dev'essere non solo conforme alle S. Scritture, ma debitamente stabilita da prove scritturali. Solo, le citazioni non vanno fatte a caso, per mera coincidenza di espressioni, ma in modo conforme al pensiero dei testi citati.
4. Il Vangelo non abbassa il livello delle esigenze della legge di Dio; le riconosce in tutta la loro ampiezza. È questa anzi la ragione per cui è dichiarata impossibile la giustificazione per mezzo delle opere dell'uomo. La legge non può che rivelare il peccato e condannarlo. Più uno fissa lo sguardo in quello specchio perfetto, e meglio riconosce il bisogno, che ha di salvezza. Per questo suo ufficio, di rivelator del male, la legge è pedagogo a Cristo.
5. Quando l'uomo, confuso per i suoi peccati, chiude la bocca innanzi a Dio e si riconosce colpevole, allora gli può giunger preziosa la Buona Novella della gratuita salvazione in Cristo. Come la dottrina della giustificazione ha la sua base nello stato di ruina morale dell'umanità, così la fede in Cristo Salvatore ha la sua base nel personale sentimento del peccato.
21 §2 - La giustificazione per fede procurata al mondo intiero (Romani 3:21-5:21)
Dopo averne mostrata la necessità assoluta, l'Apostolo viene ora a parlare di quella «giustizia» di Dio a cui aveva accennato nell'enunziare l'argomento dell'Epistola Romani 1:16-17. La descrive anzitutto nei suoi caratteri essenziali Romani 3:21-26; la. considera quindi nei suoi rapporti, colle anteriori dispensazioni divine Romani 3:27-4:25, e ne celebra infine il trionfo sulle conseguenze del peccato introdotto dal primo Adamo Romani 5.
SEZIONE A Romani 3:21-26 La giustizia procurata da Dio descritta
Dalle opere della legge non può venire giustificazione, per alcun uomo: è quella una via chiusa: non rimarrebbe dunque al peccatore che attendere tremante ed in silenzio l'ora della finale sentenza. Ma la grazia di Dio benedetta in eterno ha provveduto, per altra via, un mezzo di giustificazione.
Ma ora, senza la legge,
all'infuori di essa e della condizione cui l'uomo non può soddisfare, indipendentemente da ogni sistema legale,
è stata manifestata la giustizia di Dio
la giustizia procurata da Dio Romani 1:17 all'uomo, perch'egli possa, ricevendola, rientrare nella relazione normale col suo Creatore. Tale mezzo di giustificazione, è stato manifestato, mediante l'opera espiatoria compiuta da Cristo e mediante l'avvenuta predicazione della grazia. Però, se codesta giustizia giustificante di Dio era, prima di Cristo, nascosta, non palesata chiaramente, essa non è cosa del tutto nuova e tanto meno contraria all'economia antica. Questa, anzi era destinata a prepararne l'avvento, ad adombrarla nei suoi riti e ad annunziarla colle sue profezie. Perciò dice:
a cui rendon testimonianza la legge ed i profeti,
cioè, in genere, le Scritture dell'Antico Testamento, secondo il detto: «Novum Testamentum in Vetere latet, Vetus Testamentum in Novo patet».
22 la giustizia, dico, di Dio,
prosegue l'Apostolo, ripigliando, che viene all'uomo, non per via di opere meritorie, ma
per mezzo della fede in Gesù Cristo,
lett.: «fede di Gesù Cristo», avente cioè per oggetto Gesù ch'è il Cristo. Spiegherà più sotto come l'opera di Cristo sia il fondamento di questa giustizia di fede.
per tutti e sopra tutti coloro che credono.
Le parole «e sopra tutti» mancano in vari antichi Codici orientali e sono soppresse da molti critici e versioni moderne: Rived. ingl., franc., ital.; ma si trovano nei codd. occidentali e nelle due più antiche versioni. Esse accentuano l'universalismo, della grazia. La giustizia di Dio è destinata a tutti e ricopre tutti i credenti. Simile ad una benefica inondazione, essa si estende fino agli estremi confini dell'umanità ed è sufficiente a soddisfare ai bisogni di chiunque crede. Infatti, come non c'è distinzione riguardo al peccato, le sue onde avendo ricoperta tutta l'umanità, così non ci può essere, distinzione riguardo alla salvazione procurata da Dio. Tutti essendo nell'identico stato di peccato, non c'è per tutti che un unico mezzo di scampo: la grazia.
23 Infatti, non v'è distinzione; poichè tutti hanno peccato
come dianzi è stato dimostrato, e come tali,
son privi della gloria di Dio
che include la sua approvazione e «quello splendore di cui rifulgerebbe attualmente, (e nell'avvenire) l'esistenza umana, qualora l'uomo fosse con Dio in relazione filiale» Romani 2:29. E siccome non hanno meriti propri, la lor salvazione non può esser che gratuita.
24 e son giustificati gratuitamente per la sua grazia,
La giustificazione dei credenti è un dono, non una retribuzione, e scaturisce «dalla libera benevolenza divina che si china spontaneamente verso l'uomo per conferirgli un favore. Non vi è nell'atto, giustificante di, Dio alcun obbligo o cieca necessità; Vi è la libera ispirazione della compassione e dell'amore» (Godet). Cfr. Romani 6:23; Efesini 2:8; 2Corinzi 5:18. Per il senso del verbo giustificare, vedi nota Romani 3:26.
Se la sorgente è la grazia, il mezzo è la redenzione:
mediante la redenzione ch'è in Cristo Gesù.
«Redenzione» (απολυτρωσις) ha talvolta nel Nuovo Testamento il senso generico di liberazione da un male: Luca 21:28; Romani 8:23; 1Corinzi 1:30; Efesini 1:14; 4:30; Ebrei 11:35. Ma del suo senso proprio e completo, vale: liberazione da un male mediante un prezzo di riscatto. Così Efesini 1:7; Colossesi 1:14; Ebrei 9:15. La stessa idea trovasi contenuta in altre espressioni, come, «comperare a prezzo» 1Corinzi 6:20; 7:23; Galati 3:13, «riscattare» (Tito 2:14; 1Pietro 1:18; cfr. Matteo 20:28: «per dar la vita sua come prezzo di riscatto, λυτρον, per molti»; Marco 10:45; 1Timoteo 2:6: «dar sè stesso qual prezzo di riscatto, αντιλυτρον»; Atti 20:28: «acquistata col proprio sangue»). Certo l'idea di un contratto commerciale col diavolo considerato come padrone, dei peccatori, va esclusa e non trova appoggio nel Nuovo Testamento. Il male da cui l'uomo è, liberato è l'ira di Dio, la condannazione. Il prezzo di riscatto ch'è Cristo stesso, o il suo prezioso sangue, viene offerto a Dio a soddisfazione e dimostrazione della sua giustizia. Togliendo l'idea di una soddisfazione data alla giustizia di Dio nel sacrificio volontario di Cristo, qual sostituto dell'umanità, si toglie ogni senso al termine «redenzione», ed a tutti gli altri analoghi. Non si, scorge più il nesso tra la giustificazione gratuita del peccatore e l'opera di Cristo.
Quel nesso l'Apostolo, lo spiega più ampiamente in Romani 3:25-26 che sono stati chiamati il «midollo della teologia», «l'acropoli della fede cristiana», il «breve sommario della, sapienza divina» «in cui i pensieri più decisivi sono concentrati, in poche linee».
In che sta l'efficacia redentrice, dell'opera di Cristo? Sia, risponde Paolo, nel carattere propiziatorio del suo sacrificio. Per qual mezzo l'efficacia di quel sacrificio è, essa applicata all'individuo? Per mezzo della fede nel suo sangue. In che risiede la necessità di questo sacrificio espiatorio? Nella giustizia inalienabile di Dio, il quale non può spiegare i tesori della sua grazia rinnegando la sua giustizia. Nel sacrificio di Cristo, la giustizia di Dio è ad un tempo soddisfatta e dimostrata.
25 Il quale Iddio ha prestabilito come propiziazione
Invece di «prestabilito», molti traducono: «presentato», «pubblicamente proposto od esposto»; ma l'uso della parola greca, nel Nuovo Testamento, non sta in favore di questo senso. Salvo l'espressione «pani di presentazione» nei Vangeli e Ebrei 9:2, l'originale (προτιθεναι col sost. προθεσις) si applica ai proponimenti del cuore umano Romani 1:13; Atti 11:23; 27:13; 2Timoteo 3:10 e, più spesso, il proponimento eterno di Dio Efesini 1:9; Romani 8:28; 9:11; Efesini 1:11; 3:11; 2Timoteo 1:9. Se Dio ha per tanto tempo tollerato il peccato senza punirlo a rigor di giustizia, Egli lo potè fare, in vista dell'espiazione innanzi stabilita nel suo consiglio, ma da eseguirsi nel compimento dei tempi a dimostrazione della sua giustizia. «La salvazione del mondo non è stata strappata a Dio dalla mediazione di Cristo. Dio stesso è l'autore di quella mediazione» Giovanni 3:16. Parimenti, «l'espiazione non ha per iscopo di far nascere nel cuore di Dio un sentimento che non vi fosse per lo innanzi, deve solo produrre un cambiamento tale nella relazione tra Dio e la creatura, che Dio possa spiegare verso di essa il suo amore sotto forma, non di compassione soltanto, ma di intima comunione» (Godet). La parola ἱλαστηριον «propiziazione», «mezzo di propiziazione», o «vittima propiziatoria», s'incontra in Ebrei 9:5 e nella LXX, a significare il coperchio dell'arca su cui era spruzzato il sangue, delle espiazioni, e ch'è chiamato per ciò Esodo 25:17, «il coperchio propiziatorio». Parole della stessa famiglia, occorrono 1Giovanni 2:2; 4:10: «Egli è la propiziazione (ἱλασμος) per i nostri peccati»; Ebrei 2:17: «far l'espiazione dei peccati» ἱλασκεσθαι. Un sacrificio propiziatorio è un sacrificio atto a render Dio propizio, placato, atto ad espiare il peccato. Cfr. Efesini 5:2; 1Corinzi 5:7; Ebrei 9:14,28; Giovanni 17:19. Che si tratti qui di sacrificio, lo prova la menzione del sangue fatta subito dopo:
mediante la fede nel suo sangue,
Tale l'ordine delle parole nell'originale ed il senso è mediante fede nella virtù propiziatrice del suo sangue. Cfr. Giovanni 6:52-57. Il sacrificio espiatorio di Cristo è in sè stesso di un valore infinito 1Giovanni 2:2; 1Timoteo 2:6; ma non è efficace, secondo il disegno di Dio, che per chi se l'appropria mediante l'atto morale della fede.
per dimostrare la sua giustizia,
Dio ha innanzi stabilito che Gesù verserebbe il suo sangue in espiazione dei peccati affine di dimostrare, di esibire agli occhi dell'intero universo intelligente e morale, la sua giustizia, retributiva, qual mantenitore della inviolabilità della sua legge. La morte di Cristo non dimostra soltanto la misericordia di Dio; dimostra altresì la sua giustizia. Lo spiegamento di questa divina perfezione era necessario, perchè, dalla condotta di Dio durante migliaia d'anni, poteva sembrare», che la sua giustizia sonnecchiasse. Per tutto il tempo anteriore alla, venuta di Cristo, Dio avea pazientato, era passato sopra ai mancamenti. Solo in certi casi estremi era apparsa l'ira sua; ma perfino nel popolo d'Israele, e senza adeguata espiazione, il peccato era stato lasciato senza la meritata punizione. Tale lunga tolleranza rendeva, necessaria una solenne manifestazione della sua giustizia, e questa è avvenuta nella morte espiatoria del Figlio di Dio, la quale, secondo l'espressione dell'Epistola agli Ebrei «purifica la coscienza dalle opere morte» Ebrei 9:14-15.
avendo Egli usato toIleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza;
(lett. nella pazienza di Dio). Dice: tolleranza non «remissione» come tradusse la Volgata: παρεσις non αφεσις. Mentre la prima parola esprime il metter da parte, la pretermissione, il passar sopra pazientando, la seconda significa la completa remissione.
26 per dimostrare, dico, la sua giustizia nel tempo presente,
nell'epoca attuale inaugurata dalla venuta di Cristo e chiamata «gli ultimi giorni» Atti 2:17; Ebrei 1:1.
ond'Egli sia giusto e giustificante colui che ha fede in Gesù.
affinchè potesse, così, essere e mostrarsi in faccia all'universo, ad un tempo giusto (giudice) e giustificatore del peccatore che crede, in Cristo. «Era, nota il Godet, un gran problema, degno della sapienza divina, quello che l'uomo avea posto a Dio, col cader nel peccato. Se Dio puniva senz'altro il peccatore, ov'era la sua grazia? Egli era giusto, ma non giustificante. Se, al contrario, si contentava di, fargli grazia ove era la sua giustizia? Sarebbe stato giustificante, ma non giusto. Che ha fatto Iddio? Ha presentato alla fede del peccatore, un oggetto atto a soddisfare ad un tempo la sua grazia, e la sua giustizia. Egli ha manifestato in un fatto notorio e solenne il suo diritto di fronte al peccatore. Ma lo ha fatto in modo che, in quella manifestazione, il peccatore trovi non la propria morte ma il proprio perdono»,
Esser della fede di Gesù (così il greco) viene a dire: esser di quelli che, rinunziando ad ogni fiducia nelle loro opere, cercano la lor salvezza in Cristo, per fede: per i quali «la fede è l'elemento in cui si muovono e vivono» (Gess).
Il verbo giustificare che già più d'una volta abbiamo incontrato, appartiene ad una famiglia largamente rappresentata nel Nuovo Testamento, poichè conta non meno di ventidue rampolli usciti dalla stessa radice. Due sensi vengono attribuiti alla parola giustificare: il senso giuridico o forense del «dichiarar giusto»; e quello morale del «render giusto moralmente, per infusione di giustizia».
a) È stato dimostrato che il senso morale il fare uno giusto per creazione di vita nuova, non s'incontra mai nell'uso classico della parola. I classici adoperano l'originale greco a significare lo «stimar giusto», il «trattar secondo giustizia», accennando, per lo più, al punire uno secondo il male fatto. Cfr. il nostro «giustiziare».
b) Nell'uso ebraico e della versione dei LXX, tsíddek o hitsedik significa di regola: dichiarare, riconoscer, o proclamare giuridicamente giusto. Cfr. Giobbe 32:2; 33:32; Geremia 3:11 lett. giustifica l'anima sua: Ezechiele 16:51-52; Esodo 23:7 «non giustificherò l'empio»; Deuteronomio 25:1; 2Samuele 15:4; 1Re 8:32 «giustificando il giusto»; Giobbe 27:5; Proverbi 17:15. «Chi giustifica il reo»; Isaia 5:23. Solo in Isaia 53:11 e Daniele 12:3 si può tradurre: «insegnar la giustizia», o «convertire a giustizia». Nella LXX a Salmi 73:13 «Ho giustificato il mio cuore» significa: l'ho purificato.
c) Nel Nuovo Testamento la parola giustificare è adoperata 38 volte (escluso Apocalisse 22:11 ove non è autentica). Paolo l'adopera 27 volte. Nei pochi casi ove si parla di giustificare Dio Luca 7:29; Romani 3:4 o la Sapienza Matteo 11:19, o Gesù 1Timoteo 3:16, il senso è riconoscere o proclamare giusto.
Nell'espressione «giustificare sè stesso» è evidente il senso di dichiarare o dimostrare sè stesso giusto, innocente» Luca 10:29; 16:15.
Negli altri casi, che, sono i più, si tratta dell'atto giuridico col quale Dio dichiara e pronunzia giusto chi lo è in realtà, ovvero tiene per giusto chi crede nel Redentore. Così abbiamo due serie di espressioni. Da un lato: esser giustificato dalle proprie parole, dalle opere, per la legge, per le opere della legge, in virtù, cioè, della propria condotta perfetta.
Dall'altro lato, si parla d'esser giustificato in un modo ben diverso. Dio giustifica l'empio Romani 4:5, giustifica colui ch'è della fede di Gesù Romani 3:26; si è giustificati in Cristo da tutte le cose da cui non si potè esser giustificati in virtù della legge di Mosè Atti 13:39, si è giustificati gratuitamente per grazia Romani 3: 24; Tito 3:7, nel sangue di Cristo Romani 5:9, mediante la redenzione... Romani 3:24, nel nome del Signor Gesù 1Corinzi 6:11, in Cristo Galati 2:17, per fede, mediante la fede, in virtù della fede, senza opere di legge, ecc. In tutti questi passi, il giustificare esprime quell'atto giuridico di Dio per il quale dichiara giusto e considera e tratta come tale un peccatore, non riguardando alle sue opere, ma riguardando all'opera espiatoria del Redentore a favor dei colpevoli, ed alla fede del peccatore che riceve quell'opera e se l'appropria, condannando il suo peccato e gettandosi nelle braccia della misericordia di Dio in Cristo. È impossibile applicare a quei passi il senso: render moralmente giusto, per infusione di giustizia. Tale impossibilità risulta inoltre dai seguenti fatti:
Spesso si parla di giustificazione in relazione coll'ultimo, giudicio ove Dio non rende alcuno giusto moralmente Romani 2:13.
«Giustizia di Dio» è opposto a «ira di Dio», a «condannazione» Romani 1:17-18; 5:18; Matteo 12:37.
La giustizia giustificante è «imputata» a chi crede Romani 4:3, non infusa.
Se giustificare significasse render moralmente giusto», non ci sarebbe pericolo che un tale atto si urtasse alla giustizia, retributiva di Dio (Cfr. Romani 3:26).
La giustificazione viene riguardata come un atto compiuto una volta per sempre, non continuativo come la santificazione Romani 5:1; Luca 18:14 ecc.)
L'Epistola ai Romani distingue chiaramente la giustificazione dalla santificazione del peccatore, pur insegnando che le due grazie si trovano in Cristo e sono inseparabilmente connesse (Cfr. 1Corinzi 1:30). Vedi nota Romani 1:17.
«L'esperienza conferma i risultati dello studio esegetico. Fede nell'espiazione qual base della giustificazione da pace alla coscienza, è sorgente di verace conversione a Dio e di vita nuova. Com'è il centro della predicazione di Paolo, così è stata la parola d'ordine della Riforma» (Schaff).
RIFLESSIONI
1. Di fronte al fatto della universale corruzione e condannazione quale importanza riveste quel semplice: Ma ora... che segna l'intervento divino per la salvazione dell'uomo perduto! Altri esalti un Dio che abbandona la sua creatura alla sua sorte senza più occuparsi di essa; noi adoriamo e benediciamo l'Iddio delle infinite compassioni che, con amor di Padre, si curva verso l'uomo per rialzarlo. Come nella storia dell'umanità, così, ha da esservi in quella di ogni individuo, il decisivo: ma ora, che separa la vita senza Cristo da quella della fede in lui.
2. Com'è manifestata l'ira di Dio sul peccato, così è stata manifestata nell'Evangelo dopo essere stata preparata nelle antiche rivelazioni, la via della salvazione aperta da Dio. Se la ignoriamo, noi che viviamo in paesi cristiani, la colpa non è di Dio.
3. La giustizia procurata da Dio ha questi cinque caratteri essenziali:
È condizionata non dal merito delle opere, ma dalla fede che riceve Cristo.
Essa è universale in quanto, è destinata a tutti, e sufficiente per tutti coloro che credono.
Essa è gratuita: data in dono, procurata per grazia.
Essa è fondata sull'espiazione dei peccati compiuta da Cristo colla sua morte.
Essa conci1ia le divine perfezioni: in ispecie la giustizia punitiva di Dio col suo amore.
«Grazia che offre, Redenzione che procura, Fede che accetta formano dunque la sostanza del Vangelo» (Reuss)
«Non siam giustificati se non da Dio, ma non da Dio senza Cristo, nè da Cristo senza la fede, nè da fede che non produca opere».
4. Le sofferenze e la morte di Cristo costituiscono il centro dell'opera sua di salvazione. Egli è stato da Dio predestinato ad essere, si, il supremo Rivelatore del Padre col suo insegnamento; è stato destinato ad essere il Re ed il Giudice supremo; ma è stato prestabilito nel piano misericordioso di Dio, soprattutto qual mezzo di propiziazione mediante la fede nel suo sangue. Il sangue di Cristo è, bensì, come, dice il Semeria, «il simbolo della sua eroica fedeltà» ai doveri dell'apostolato affidatogli dal Padre, n'è «la prova, l'espressione, la misura». Dandolo come esempio, di umiltà e di abnegazione, Paolo stesso dirà in Filippesi 2:8, che Cristo «abbassò se stesso facendosi ubbidiente, fino alla morte»; ma la morte del Cristo è altra cosa che la morte d'un martire atta a servir d'esempio e ad eccitare, eroismi. Essa è presentata qui come un sacrificio propiziatorio, e non qui, soltanto. «Mentre eravamo ancora peccatori, scrive Paolo più oltre, Cristo è morto per noi. Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue sarem per mezzo di lui salvati dall'ira... Siamo stati riconciliati con Dio, mediante la morte del SUO Figliuolo» Romani 5:8-10; 8:3. «In lui abbiam la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati» Efesini 1:7; 2:13. «Dio ha fatto la pace mediante il sangue della croce d'esso» Colossesi 1:20. «Colui che non ha conosciuto peccato, Dio l'ha fatto esser peccato per noi...» 2Corinzi 5:21. «La nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata 1Corinzi 5:7.
Pietro, a sua volta, scrive: «...eletti ad esser cosparsi del sangue di Gesù Cristo... riscattati... col prezioso sangue di Cristo come d'agnello senza difetto nè macchia, ben preordinato prima della fondazione del mondo, ma manifestato, negli ultimi tempi» 1Pietro 1:2,19. Si confronti 1Giovanni 1:7; 2:2; 5:6-8; Apocalisse 5:9: «Sei stato immolato, e hai comperato a Dio col tuo sangue gente d'ogni tribù...» Apocalisse 7:14; 13:8.
Il sacrificio di Cristo offerto una volta per sempre, è la dottrina centrale dell'Epistola agli Ebrei e, Cristo stesso ha parlato della sua morte come del sacrificio su cui è fondato il nuovo Patto: «Questo è il mio sangue, il sangue del Patto, il quale è sparso per molti, per la remissione dei peccati.» Matteo 26:28; cfr. Luca 22:20. «Questo saldo accordo di scritti apostolici di carattere diverso sembra dimostrare, dice il Sanday, che l'idea di sacrificio applicata alla morte di Cristo non può essere scartata come una semplice passeggera metafora, ma è parte essenziale del pensiero cristiano primitivo e scaturisce dalle parole di Cristo. Questo significa che l'idea del sacrificio è uno dei concetti che stanno al centro della religione del Nuovo Testamento, come già di quella dell'Antico Testamento». Il sacrificio di Cristo è la manifestazione suprema dell'amor di Dio («Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi... Dio non ha risparmiato il proprio Figlio...» Romani 5:8; 8:32). Ma è in pari tempo la somma dimostrazione di quella perfezione inalienabile ch'è la giustizia di Dio, giustizia che ha resa necessaria la morte di Colui che, rendendosi solidale coll'umanità, ha preso il posto dei peccatori. Nel centro della storia dell'umanità, la, croce rizzata sul Calvario proclama, dinanzi agli angeli ed agli uomini, che Dio non può cancellare il peccato col perdono, se la pena dovuta al peccatore non è stata portata dalla vittima innocente, che si è volontariamente sostituita ai colpevoli. Nei millenni precedenti il peccato ha potuto essere tollerato con pazienza in grazia della futura adeguata espiazione di cui le vittime animali immolate proclamavano la necessità, mentre la profezia ne annunziava l'avvento Isaia 53. Una volta consumato il sacrificio, la Buona Novella che dev'essere recata fino all'estremità della terra, si chiamerà la Parola della Croce e i suoi banditori non vorranno «sapere altro fuorchè Cristo ed esso crocifisso... Cristo morto per i nostri peccati, secondo le Scritture» 1Corinzi 2:2; 15:3.
Vero è che, ai tempi nostri, molti trovano difficoltà ad ammettere come cosa giusta la sostituzione dell'innocente ai colpevoli; e l'obbiezione sarebbe valida se, come avveniva nei sacrifizi simbolici, la vittima fosse stata trascinata incosciente e per forza, all'altare; ma non ha più valore quando il Sostituto è il Figliuol di Dio umanato che mosso da un amore infinito, offre volonterosamente se stesso all'immolazione, «dando la sua vita qual prezzo di riscatto per molti». «Nessuno, ei dice alla vigilia del sacrificio, ha maggiore amore che quello di dar la sua vita per i suoi amici... io metto la mia vita per le pecore... Nessuno me la toglie, ma la depongo da me» Giovanni 15:3; 10:15-17. D'altra parte il beneficio della morte di Cristo, non è trasferito automaticamente ad una umanità peccatrice che non se ne curi; ma, secondo il disegno eterno di Dio, è conferito al peccatore che piange sui suoi peccati e accetta, con fede riconoscente la salvezza offertagli in Cristo. Cristo è realmente vittima propiziatoria sol per chi ha «fede nel suo sangue», per chi compie spiritualmente l'atto dell'israelita quando poneva le sue mani sul capo della vittima che stava per, essere immolata. C'è in una fede simile che unisce il credente a Cristo appropriandosi l'efficacia del suo sacrificio, il germe d'una vita nuova.
Ma c'è, prima di tutto, la sorgente di una profonda pace e di una «gioia ineffabile e gloriosa». «Giustificati per fede abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore». «Chi accuserà gli eletti di Dio? Iddio è quel che li giustifica», e li giustifica senza rinnegar la sua giustizia «Chi sarà quel che li condanni? Cristo Gesù è quel ch'è morto e più che questo, è risuscitato ed è alla destra di Dio ed anche intercede per noi» Romani 8:33-34. L'innologia cristiana, espressione delle più profonde esperienze dei credenti, ripete attraverso i secoli in tutte le lingue i cantici dei redenti che celebrano, come già nell'Apocalisse, «Colui che ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati col suo sangue». E quanti, al loro letto di morte, hanno ripetuto, come fra Paolo Sarpi, la grande parola di Romani 3:25: «Dio lo ha prestabilito come propiziazione mediante la fede nel sangue d'esso» ed hanno tenuto fisso lo sguardo morente sulla croce del Calvario suprema garanzia del loro perdono!
27 SEZIONE B Romani 3:27-4:25 La giustizia di fede considerata nei suoi rapporti colle precedenti dispensazioni divine
L'Apostolo ha descritta, nei suoi caratteri essenziali, la giustizia procurata da Dio al mondo affermando, in pari tempo, che ad essa rendono testimonianza la legge ed i profeti. Scrivendo ad una chiesa mista di Giudei e di pagani, ed in un'epoca che segnò il trapasso dall'Antica Economia alla Nuova, era importante il dimostrare come l'Evangelo universalistico di Paolo, se tagliava dalle radici l'orgoglioso vanto giudaico Romani 3:27-30, però non aboliva l'essenza morale della legge mosaica Romani 3:31, ed armonizzava cogli insegnamenti contenuti nell'esempio normativo di Abramo Romani 4.
Romani 3:27-30 LA GIUSTIFICAZIONE PER FEDE ESCLUDE OGNI VANTO GIUDAICO
Fin da Romani 3:22-23, Paolo ha proclamato l'uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla giustizia procurata da Dio. «Non c'è distinzione». Uguali dinanzi al giudicio di Dio che condanna i peccatori, sono uguali davanti alla, grazia che giustifica i credenti. Non vi è qui nè Giudeo, nè Greco. Come davanti al tribunale divino, l'Apostolo ha potuto domandare: Che dunque? abbiamo noi qualche superiorità sugli altri? e rispondere: Assolutamente no; così davanti alla giustificazione per grazia, mediante la fede, egli esclama:
Dov'è dunque il vanto?
C'è egli posto qui per il borioso vanto di superiorità del Giudeo? E risponde non meno risolutamente:
Esso è stato escluso.
Infatti, il metodo divino di giustificazione non ha per base alcun merito di opere compiute in ubbidienza alla legge. È metodo di grazia che ha per base la fede nel sangue di Cristo. Or la fede, che consiste nel ricevere il dono di Dio, nell'abbandono di sè a Cristo, non costituisce merito di sorte, pur essendo l'atto morale più profondo. Questo l'apostolo pone in, risalto quando esclama:
Per qual legge? delle opere? No, ma per la legge della fede.
Legge ha qui manifestamente il senso generico di nonna, di regime, o di metodo (cfr. Romani 7:21-23; 8:2).
28 E prosegue, secondo il testo meglio accertato:
Poichè noi, riteniamo che l'uomo,
chiunque egli sia, Giudeo o Greco,
è giustificato per fede, senza le opere della legge.
la lez. γαρ, poichè è meglio sostenuta dai MSC. che l'ουν, dunque, perciò preferibile. La «giustizia di Dio», rivelata nel Vangelo e dinanzi descritta, è giustizia di fede Romani 1:18; 3:22,26 e questo esclude ogni vanto di privilegiati. Trattandosi di ricevere una grazia offerta a tutti, tanto lo può fare il pagano come il Giudeo. La parola greca tradotta riteniamo (λογοζομεθα) occorre 19 volte nell'Epistola ed è fra quelle predilette da Paolo. Indica l'attività della ragione umana o divina ed i risultati a cui conduce. In senso assoluto, vale pensare, ragionare 1Corinzi 13:11; 1Pietro 5:12 o, con un complemento: pensare una cosa, stimare che, ritener per fermo, reputare, non mai concludere (Diod.) Romani 2:3; 6:11; 2Corinzi 3:5; 10:2; Giovanni 11:50; Romani 14:4. Occorre poi spesso con la preposizione εις a, e vale allora: contare per, mettere in conto di..., imputare a... Romani 2:26; 4:3; 9:8; 2Corinzi 5:19; 2Timoteo 4:16.
29 Iddio è Egli forse soltanto l'Iddio dei Giudei? Non è Egli anche l'Iddio dei Gentili? Certo lo è anche dei Gentili;
Se, per supposto impossibile, la giustificazione dovesse farsi sulla base delle opere legali, ne risulterebbe che i pagani i quali non hanno la legge rivelata, sarebbero praticamente esclusi dalla salvazione. Dio sarebbe così l'Iddio soltanto dei Giudei e non dei Gentili Romani 3:29, un Dio nazionale, non universale, cosa che anche l'Antico Testamento esclude esplicitamente. Com'è vero che vi è un solo Dio, così è, vero ch'Egli è l'Iddio di tutti gli uomini: il che implica ch'egli «vuole che tutti gli uomini sieno salvati». Perciò la salvazione è offerta a tutti, alla stessa condizione della fede ch'è accessibile a tutti.
30 poichè vi è un Dio solo, il quale giustificherà
(Lagrange traduce: renderà, giusto, invece di dichiarerà giusto) sempre, da ora innanzi,
il circonciso
lett. la circoncisione cioè i Giudei circoncisi,
per fede
ossia in virtù della fede e non delle opere ch'essi vantavano,
e l'incirconciso
cioè il pagano,
parimente mediante la fede,
la stessa fede in Cristo senza aggiunta di altra condizione. Il per (εκ) e il mediante (δια) esprimono la stessa idea, perciò s'è aggiunto l'avverbio parimente che è solo implicito nel testo.
31 Romani 3:31 LA GIUSTIFICAZIONE PER FEDE NON ABROGA LA LEGGE NELLA SUA ESSENZA
Annulliamo noi dunque la legge mediante la fede? Così non sia; anzi stabiliamo la legge.
Questo versetto, per la sua estrema concisione, ha dato luogo a svariate spiegazioni di cui citiamo alcuni esempi. C'è chi lo considera come la conclusione di Romani 3:27-30. «La giustizia della fede non abolisce la legge, anzi la stabilisce perchè essa è conforme alla universale condanna pronunziata dalla legge, ed all'unità di Dio che n'è il principio fondamentale.» (Godet). C'è chi dà alla parola legge un senso generico: «Aboliamo noi un ordinamento divino come quello della legge mosaica? No, piuttosto, colla predicazion della fede noi stabiliamo l'ordinamento divino già abbozzato nello stesso Pentateuco, come dimostra la storia d'Abramo» (Weiss). Altri interpreta: «Noi non andiam contro alla legge, ma la teniamo ferma nell'ufficio assegnatole da Dio, ch'è quello di dare la conoscenza del peccato e di condur l'uomo a Cristo» (Gess). Senza dilungarsi nell'esporre le obbiezioni che possono farsi alle spiegazioni citate, ci atteniamo alla seguente: Alla dottrina della giustificazione per fede, senza opere di legge, si moveva il rimprovero di abolire la legge e d'esser così pericolosa per la morale. No, risponde Paolo, è questo un errore. Noi, è vero, non insegniamo che la legge sia capace di liberar l'uomo dalla condannazione e, dall'impero del peccato; essa non può dare che la conoscenza del peccato e produrre ira Romani 3:20; 4:15; 5:20; 7:7; ma, d'altra parte, il contenuto morale della legge, ben lungi dall'esser abrogato dalla fede, ne resta, confermato più saldamente di prima. L'Evangelo non abolisce l'obbligo di Dio solo, in spirito; nè i doveri verso il prossimo. Il sommario della legge: Ama il Signore Iddio, tuo con tutto il cuore... ama il tuo prossimo come te stesso, rimane in senso più profondo di prima; il sunto dei doveri dell'uomo (cfr. Romani 13:8-11; Galati 5:22-23; 1Corinzi 13). Gesù «non è venuto per annullare la legge od, i profeti, anzi per adempierli» Matteo 5:17. Quel ch'era impossibile alla legge nello stato attuale dell'uomo, Dio lo ha compiuto nella Redenzione di Cristo, «affinchè il comandamento della logge fosse adempiuto in noi che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo spirito» Romani 8:2-4. Ora se la fede in Cristo, oltre alla giustificazione, ci assicura anche l'affrancamento dal peccato ed una vita nuova in armonia coll'essenza morale della legge, essa non abolisce la legge, ma la stabilisce coll'assicurarne l'adempimento.
La legge pronunzia ella una giusta sentenza sul peccato? La fede non la sovverte, poichè la giustificazione del peccatore non avviene a scapito della giustizia di Dio Romani 3:26.
La legge adombra ella nei suoi riti dei concetti divini? La fede ne afferra la vivente ed eterna realtà in Cristo (Cfr. Ebrei 9:10).
La legge dà ella corpo, nei suoi vari codici, a dei principi fondamentali e permanenti di morale? La fede comunica all'uomo una nuova potenza di vita che lo rende capace di praticarli. Lo innalza nella sfera dell'amore, alla «legge della libertà» ch'è quella del cuore rinnovato in cui è scritta, la legge di Dio Ebrei 8.
Paolo si contenta, per ora, di respingere l'accusa di abolire la legge, protestando che la fede fa il contrario. Ma riprenderà più tardi, sotto altra forma, la stessa obbiezione per confutarla di proposito (cfr. Romani 6:1,15; 7:7).