Marco 11
CAPO 11 - ANALISI
1. L'ultimo viaggio a Gerusalemme. Il guado del Giordano è distante circa 5 miglia da Gerico, e forse nel luogo istesso ove le acque si separarono ed Israele passò a piede asciutto, entrando nel paese, di Canaan. Passato ch'ebbe il fiume, Gesù si diresse verso Gerico. Quella città era stata di recente abbellita ed ampliata da Erode il grande, dimodoché, dopo Gerusalemme, era una delle più importanti della Giudea. Nell'avvicinarsene, Gesù incontrò il cieco Bartimeo, cui rese la vista; quindi, senza trattenersi in città, si affrettò a compiere un'opera più gloriosa ancora, la conversione di Zaccheo. Questi dimorava ad occidente di Gerico e probabilmente il Signore pernottò in casa sua. Di là, passando presso i fortilizi che difendevano il passo più importante dei colli della Giudea, la via va innalzandosi rapidamente fino all'alto piano del deserto di Giudea, e serpeggia fra irte rocce e massi precipitosi, negli antri dei quali i ladri si nascondevano (e lo fan tuttora), per assalire i viandanti Luca 10:30. Ad ingannar la fatica del viaggio, il Signore narrò ai suoi compagni la parabola delle dieci mine Luca 19:12. Il sesto giorno della settimana (il Venerdì), giunsero, in sul tramonto, al villaggio di Betania, ove si trattennero il Sabato per santificarlo, secondo il comandamento. Il primo giorno della settimana (la Domenica), ripresero il loro viaggio verso Gerusalemme, e passando vicino a Betfage, tolsero quivi il puledro sul quale il Salvatore fece il suo ingresso trionfale in Gerusalemme, in mezzo alle acclamazioni dei suoi seguaci e quelle di migliaia di pellegrini accampati in tende e baracche nella valle di Iosafat. L'aver Marco e Luca nominato Betfage prima di Betania, indusse alcuni antiquari ed archeologi a cercare le tracce di Betfage all'E. di Betania e non più vicino a Gerusalemme, ma senza successo. Infatti il racconto stesso degli evangelisti rende tale supposizione insostenibile, poiché i viaggiatori, avendo percorsa la via tra Gerico e Betania due giorni prima, rimaneva loro soltanto da fare un breve tratto fra Betania e Gerusalemme. Oramai il sito di Betfage è precisato; non v'è più alcun dubbio, che quel villaggio fosse posto a mezza via fra Betania e Gerusalemme, un poco a sinistra della Strada. Gesù andò direttamente al tempio, e dopo esservisi trattenuto alquanto, ritornò a Betania coi suoi discepoli, probabilmente per la via più breve, alle spalle del monte degli Ulivi Marco 11:1-11.
2. Maledizione del fico. L'indomani mattina (che sarebbe il Lunedì della settimana della Passione), tornando, senza dubbio, pel medesimo sentiero a Gerusalemme coi suoi discepoli, Gesù, veduto un bel fico, ricercò dei frutti; ma, avendolo trovato ricco di sole foglie, pronunziò la condanna di quell'albero, che simbolicamente rappresentava Israele incredulo. Proseguì quindi la sua via, e giunto nel tempio, ne scacciò, con autorità più che umana, i mercanti ed i cambia-monete che profanavano i sacri cortili col loro traffico. Le sue parole, in quel giorno, eccitarono nel popolo grande meraviglia, e nei sacerdoti un'ira tale, che essi cominciarono di bel nuovo a tramar contro la di lui vita. Il Martedì, tornando un'altra volta da Betania a Gerusalemme, gli Apostoli esterrefatti mostrarono a Gesù il fico, da lui maledetto, seccato fino alle radici; ciò che diede luogo al discorso sulla fede necessaria ai miracoli Marco 11:12-26.
3. Il Sinedrio esige da Cristo ch'egli provi il suo mandato. Al suo entrare nel tempio, lo stesso giorno, una deputazione del Sinedrio si fece incontro a Gesù, invitandolo a dichiarare qual diritto avesse di far quello che aveva fatto il giorno precedente, e da chi ne avesse ricevuta autorità. Era questo probabilmente il primo passo dei cospiratori; forse speravano in questo modo ridurlo al silenzio e liberarsi di lui, facendolo comparire agli occhi del popolo come impostore e falso profeta, ma furono delusi. Gesù ne appellò a Giovanni Battista che aveva testimoniato dell'autorità sua, e la di cui divina missione essi non potevano negare, sebbene fossero troppo astuti per confessarla Marco 11:27-33.

Marco 11:1-11. ULTIMO VIAGGIO DI CRISTO A GERUSALEMME, IL SUO INGRESSO TRIONFALE IN QUELLA CITTÀ Matteo 21:1-17; Luca 19:28-40

Per l'esposizione, vedi Matteo 21:1-17.

12 Marco 11:12-26. MALEDIZIONE DEL FICO STERILE. COLLOQUIO SULLA FEDE INDISPENSABILE PER OPERAR MIRACOLI Matteo 21:18-22

12. E il giorno seguente (cioè il Lunedì di passione), quando furono usciti di Betania egli ebbe fame;
Per rendersi conto della fame sofferta da Gesù, alcuni supposero ch'egli avesse passato la notte non in casa di Lazzaro, ma all'aria aperta, pregando, e che all'alba egli si ponesse subito in cammino, digiuno come era. La supposizione è plausibile, ma non è possibile sapere se è vera o no. Osserviamo piuttosto in questo fatto un'altra prova indubitata della natura umana rivestita dal Figlio di Dio, che volle partecipare a tutte le nostre infermità. Egli ebbe realmente fame e cercò di soddisfare quel bisogno materiale. Non volle con quell'atto fare una commedia, per trarne poi soggetto d'una lezione, come alcuni antichi eretici pretesero, ed altri moderni interpreti tuttora sostengono. Nello stesso modo che egli ebbe fame nel deserto, allorquando fu tentato dal diavolo, così egli ha pur fame in questo momento, e va attorno in cerca del nutrimento necessario alla sua vita corporea. Mirabile carità di Cristo! Egli, il Creatore di tutte le cose, colui che giornalmente supplisce ai bisogni d'ogni creatura vivente, mancò del pane quotidiano! In vero "essendo ricco, egli s'è fatto povero per noi" 2Corinzi 8:9, ed "è stato tentato in ogni cosa simigliantemente a noi senza peccato" Ebrei 4:15.

PASSI PARALLELI
Matteo 21:18-22
Matteo 4:2; Luca 4:2; Giovanni 4:6-7,31-33; 19:28; Ebrei 2:17

13 13. E, veduto di lontano un fico,
Siccome Matteo ci dice che questo fico solitario, cresceva lunghesso la strada, il senso di di lontano, in questo vers. evidentemente è che essendo ancora distante, Gesù l'osservò sulla strada davanti a sé, e non dovette allontanarsi dal sentiero per giungere ad esso.
che avea delle foglie, andò a vedere se vi troverebbe cosa alcuna; ma, venuto a quello, non vi trovò nulla, se non delle foglie; perciocché non era la stagion de' fichi.
L'ultimo inciso di questo vers. ha sollevato non poche difficoltà relativamente alla spiegazione di questo miracolo. Fu domandato come mai Cristo potesse aspettarsi dei frutti da quell'albero, mentre per la sua infinita sapienza, come Dio, dovea sapere che frutti non c'erano? Una tale obiezione può nascere soltanto dal negare o dal dimenticare il fatto che, nella persona di Cristo, eranvi due nature distinte, ciascuna delle quali possedeva le sue distinte proprietà. L'onniscienza apparteneva alla sua natura divina, ed ogni qualvolta l'occasione, lo richiedesse, si comunicava alla sua mente umana, ma non era una proprietà di questa, e probabilmente non le era comunicata nelle cose relative alle sue infermità umane. Ripugna ad ogni nostro concetto di Colui, "nella cui bocca non fu trovata frode alcuna" 1Pietro 2:22, il supporre ch'egli fingesse ignoranza su questo particolare per ingannare i suoi discepoli; né è disonore alla sua Divinità il concludere che come uomo egli realmente ignorava se ci fossero e non ci fossero frutti su quell'albero. Ma perché, si chiederà, Gesù cercò egli su quel fico frutti da mangiare, mentre sapeva che "non era la stagion de' fichi"? Per toglier di mezzo questa difficoltà, taluni vorrebbero arbitrariamente sopprimere addirittura l'ultimo inciso, sebbene stian per esso autorità incontrovertibili; ed altri vorrebbero trasportarlo immediatamente dopo le parole; "se vi troverebbe cosa alcuna". Ma non c'è ragione alcuna che autorizzi siffatta trasposizione, e qualunque difficoltà s'incontri in tale inciso, conviene scioglierla, lasciandolo come sta. La stagione del primo raccolto dei fichi in Giudea incomincia tra la metà e la fine di Maggio. La Pasqua, che segna la data della crocifissione di Gesù, cadeva verso, il principio d'Aprile, cioè sei settimane prima del principio del raccolto dei fichi. Perché dunque Gesù poteva egli aspettarsi di trovar dei fichi su quell'albero? Per rispondere a questa domanda convien ricorrere alla storia naturale del fico. Nel Talmud è fatta menzione d'una specie particolare che avea sui rami i frutti di 8 stagioni al tempo stesso, ma siccome i moderni arboristi non riuscirono finora a scoprirla, ci contenteremo di prender nota di un tal fatto. Il fico comune (Ficus carica) mette i frutti prima delle foglie, e non è per niente straordinario in un albero posto a mezzogiorno, in aprica situazione, riparata dai venti, il metter foglie e frutta prima di tutti gli altri. "C'è una specie d'albero", dice Thomson, "che porta grossi fichi di color verde la cui maturazione è assai precoce. Ne ho colti in Maggio da alberi sul Libano (150 miglia al N. di Gerusalemme), dove i frutti maturano circa un mese più tardi che al sud della Palestina; non sembra dunque impossibile che la stessa specie potesse avere fichi maturi a Pasqua, nei ben riparati aprichi burroni dell'Oliveto." Mentre adunque i fichi in generale a Pasqua cominciavano soltanto a metter le foglie, quest'uno spiegava già la pompa del fogliame, e i suoi frutti avrebbero quindi dovuto già aver raggiunto uno sviluppo proporzionato, sicché nostro, Signore aveva tutti i diritti di aspettarsi trovarvi alcuni "fichi primaticci" Geremia 24:2, se non perfettamente maturi almeno mangiabili. È importante tuttavia l'osservare che non fu semplicemente l'assenza di frutti maturi che fu causa della distruzione di quell'albero, né un sentimento vendicativo di dispetto da parte del Signore, come alcuni empiamente affermarono, ma sì la totale assenza d'ogni frutto qualsiasi, ancorché le foglie fossero cresciute rigogliosamente, e quindi i rami avrebber dovuto esser carichi di frutti più o meno avanzati in maturanza. Era un ipocrita tra gli alberi, che pasceva gli uomini di fallaci promesse con quel suo fogliame così bello a vedersi; era "un ingombro inutile del terreno" atto soltanto a deludere con la sua sterilità, non adempiendo al fine per cui Dio avealo creato Genesi 2:11. Giusta fu dunque la sentenza pronunziata contro di esso.

PASSI PARALLELI
Matteo 21:19; Luca 13:6-9
Rut 2:3; 1Samuele 6:9; Luca 10:31; 12:6-7
Isaia 5:7

14 14. E Gesù prese a dire al fico: Niuno mangi mai più in perpetuo frutto di te. E i suoi discepoli l'udirono.
Questo miracolo di distruzione è l'unico che si incontri fra tutti i misericordiosissimi miracoli di Cristo; imperocché la distruzione dei porci in Gadara, sebbene permessa da lui, non fu però, come in questo caso, un atto della sua propria. potenza divina. Molti se ne fecero pietra d'inciampo, falsamente interpretandolo, come se Gesù avesse distrutta, senza alcun motivo, l'altrui proprietà, o si fosse vergognosamente lasciato trasportare da un impeto di collera contro un povero albero innocente ed irresponsabile. Quanto alla prima obiezione, basti notare in risposta, che il fico crescente lunghesso la strada non era proprietà d'alcuno, e inoltre che, essendo sterile, non aveva alcun valore; e in quanto alla seconda, che essa nasce unicamente da mancanza di discernimento spirituale intorno alla vera natura del miracolo. Il fico sterile meritava quella punizione; ma il Signore non avrebbe mai operato un miracolo per punirlo se non avesse avuto in mente di ricavarne un insegnamento simbolico inteso a prefigurare, in primo luogo, il giudizio che colpirebbe in breve la Chiesa e la nazione giudaica, e poi, a proclamare più universalmente, che il fogliame senza frutti, che la "forma della pietà senza la potenza" ovvero la professione senza la pratica, sarebbe del sicuro maledetta. Il parallelo tra l'albero sterile che con le sue belle foglie inganna chi lo mira e i Giudei che professavano di essere "la gente santa, il popolo d'acquisto", la Chiesa dell'Iddio vivente, e ciò non pertanto eran destituiti di "tutte le cose che appartengono alla vita ed alla pietà" 2Pietro 1:8, è d'un'evidenza che salta agli occhi; e nell'improvvisa distruzione di quell'albero, il Signore ammonì simbolicamente Gerusalemme di qual sarebbe pur anche la sua fine.

15 Seconda purificazione del Tempio, Marco 11:15-19

Per l'esposizione vedi Matteo 21:12-17.

PASSI PARALLELI
Marco 11:20-21; Isaia 5:5-6; Matteo 3:10; 7:19; 12:33-35; 21:19,33,44; Giovanni 15:6
Deuteronomio 6:4-8; 11:26-31; 2Pietro 2:20; Apocalisse 22:11



20 Insegnamenti tratti dal fico disseccato, Marco 11:20-26

20. E la mattina seguente (Martedì), come così passavamo presso del fico, lo videro seccato fin dalle radici. 21. E Pietro, ricordatosi, gli disse: Maestro, ecco, il fico che tu maledicesti è seccato.
Matteo: "E subito, instanter, il fico si seccò". Sebbene il piano di Matteo non lo porti a ricordare sia la purificazione del tempio, sia questo miracolo, con la stessa minuziosa esattezza cronologica che è particolare al Vangelo di Marco, tuttavia, nella sua narrazione di questo fatto, ricorda una circostanza interessante che non era stata notata da chi fornì informazioni a Marco, cioè che un principio d'esecuzione della sentenza apparve, appena il Signore l'ebbe profferita, forse per improvviso arresto nella circolazione del succo nutritivo, per cui penzolassero illanguidite le foglie. Siccome Matteo nota i primi sintomi, così Marco descrive qui la consumazione della sentenza quale colpì gli occhi dei discepoli, quando, il mattino seguente, ripassarono di là, avviati a Gerusalemme, cioè "seccato fin dalle radici". La distruzione fu completa! le radici e le fibre, per mezzo delle quali l'albero traeva il suo nutrimento principale dall'umido terreno, erano avvizzite non men delle foglie che assorbono la rugiada del cielo; non erano già tolti gli agenti che alimentano la vita ma si era tolto all'albero il potere di trarne alcun uso o benefizio. Acconcio emblema di un peccatore, circondato ancora dai mezzi di grazia ma incapace di giovarsene, per aver trascurato il giorno della grazia, e contro il quale è stata pronunziata la sentenza "lascialo" Osea 4:17. I discepoli, mirando il fico, pur ieri così rigoglioso, ora già morto fin dalle radiche, si maravigliarono grandemente, mentre Pietro richiamò su quel fatto l'attenzione del Maestro. Quel che eccitava la loro maraviglia era la terribile rapidità con cui era stata eseguita la sentenza, piuttosto che l'averla il Maestro profferita. Dovevano esser, sino ad un certo punto, preparati ad udire pronunziare una tal sentenza, seppur non aveano interamente dimenticata la parabola del fico sterile Luca 13:1-9; imperocché questo miracolo parabolico non era altro che l'esecuzione della minaccia contenuta in quella parabola, la quale, per le circostanze in cui fu detta, ben sapevano che si riferiva alla Chiesa e alla nazione giudaica. Il non produrre alcun frutto, l'ansietà e finalmente lo sdegno del deluso proprietario, l'intercessione e le laboriose cure del vignaiuolo, l'anno di grazia, con la sentenza di distruzione, sospesa sì ma non revocata, evidentemente dimostravano che la crisi si avvicinava; quantunque la parabola si concludesse senza rivelarla. Or il miracolo operato su questo fico forniva quanto mancava a completare la parabola, e indicava esser ritirata la sospensione, esser trascorso il giorno di grazia, e presto dover la minacciata distruzione piombare inesorabilmente sulla nazione colpevole. La maledizione giustamente pronunziata contro la nazione del patto, per la sua sterilità spirituale, venne anche a cadere, per naturale conseguenza, sulla "terra promessa", in guisa che ci può essere qualche verità nell'idea di Lange che questa distruzione del fico si vuole intenderla "primariamente come un preannunzio della prossima desolazione del paese, allorquando sparirebbero le palme, i fichi appassirebbero, sarebbero suggellate le fonti, e la terra di Canaan diverrebbe un deserto"; ma le verità principali, che questo miracolo era diretto ad imprimere negli animi dei discepoli, erano la distruzione della nazione giudaica a motivo dei peccati nazionali, e l'abolizione perpetua della Chiesa levitica e cerimoniale.

PASSI PARALLELI
Giobbe 18:16-17; 20:5-7; Isaia 5:4; 40:24; Matteo 13:6; 15:13; 21:19-20
Giovanni 15:6; Ebrei 6:8; Giudici 1:12
Proverbi 3:33; Zaccaria 5:3-4; Matteo 25:41; 1Corinzi 16:22

22 22. E Gesù, rispondendo, disse loro: Abbiate la fede di Dio;
Alcuni critici tengono le parole: per un ebraicismo denotante una fede assai forte, e tale era pure l'opinione del Diodati, come è manifesto dall'inserzione della preposizione di invece di in, tra le due parole; ma "fede in Dio" è la vera traduzione, non solo richiesta dal senso, ma anche conforme a numerosi esempi tanto nei Fatti che nelle Epistole, in cui è costruito col genitivo dell'oggetto, precisamente come qui (Vedi Atti 3:16; Romani 3:22; Galati 2:20; ecc.). La fede così comandata è la fede nella potenza di Dio e nelle sue promesse, per la quale gli Apostoli doveano esser posti in grado di operare miracoli.

PASSI PARALLELI
Marco 9:23; 2Cronache 20:20; Salmi 62:8; Isaia 7:9; Giovanni 14:1; Tito 1:1
Colossesi 2:12

23 23. Perciocché io vi dico in verità, che chi avrà detto a questo monte: Togliti di là, e gittati nel mare; e non avrà dubitato nel cuor suo, anzi avrà creduto che ciò ch'egli dice avverrà; ciò ch'egli avrà detto gli sarà fatto.
Gesù non dice una parola in spiegazione del miracolo del fico; ma, lasciando che i discepoli ne trovino il motivo, pensandoci sopra, dirige piuttosto la loro attenzione sulla forza e tenacità di quella fede in Dio che era necessaria ad operare tali miracoli. Secondo Matteo, il Signore distingue tra miracoli simili alla distruzione del fico, ed altri ancor più difficili, per esempio, il toglier di mezzo il monte degli Ulivi su cui allora camminavano, come per indicare che questo miracolo richiedeva una maggior misura di fede, e uno sviluppo maggiore di potenza divina che non quello; pur nondimeno anche il miracolo maggiore è alla portata dei discepoli e li sarà dato in esaudimento della preghiera. Lo stesso disse del monte Hermon, quando ai discepoli non venne fatto di scacciare il demonio sordo e mutolo dal fanciullo appiè di quel monte Matteo 17:20. Siccome niun miracolo fisico fu operato mai su d'una scala così stupenda come sarebbe il trasportare cotali montagne, e siccome il trasportarle non solo sarebbe un esercizio inutile di mera potenza, ma non raggiungerebbe alcuno scopo razionale, sembra evidente che Gesù non intendesse che avessero a interpretarsi letteralmente le sue parole. Esse non si riferiscono ad ostacoli fisici, ma a quelli morali che impediscono il progresso del regno di Cristo, e mirano a porgere un'immagine forte ed espressiva delle maggiori difficoltà che la fede può esser mai chiamata a combattere; e la gran lezione che il Salvatore intese con ciò d'insegnare si fu questa, che nessun ostacolo potrà resistere alla fede che si confida in Dio. Il risuscitare le anime morte e l'abbattere le antiche religioni, le false filosofie, i governi tirannici e tutto quanto il regno e l'orgoglio di Satana in questo mondo, per mezzo della parola di verità e della preghiera della fede, sono "operazioni maggiori" di qualunque miracolo operato nel mondo, esteriore della natura. L'età dei miracoli fisici è passata, e Dio non dà più la fede che si richiede ad operarli; ma quella fede che toglie di mezzo ogni montagna di separazione tra Cristo e il peccatore, e che fa trionfare il credente d'ogni difficoltà, egli ha promesso di accordarla, e se tali montagne e difficoltà rimangono ancora, son veramente indizio di debolezza di fede nel credente che è meno da quelle alla prova.

PASSI PARALLELI
Matteo 17:20; 21:21; Luca 17:6; 1Corinzi 13:2
Matteo 14:13; Romani 4:18-25; Ebrei 11:17-19; Giacomo 1:5-6
Salmi 37:4; Giovanni 14:13; 15:7

24 24. Perciò io vi dico: Tutte le cose che voi domanderete pregando, crediate che le riceverete, e voi le otterrete.
È un'idea erronea che questa promessa fosse fatta esclusivamente agli Apostoli e si riferisse allo operare i miracoli. Ella è prezioso retaggio di tutti i credenti, e niuno che tale si professi, vorrebbe rinunziarvi; e molti e molti possono rendere testimonianza, per propria esperienza individuale, che tale promessa fu adempita fedelmente. Quando la promessa non si compie, non è perché Dio non voglia, ma perché la nostra fede è troppo debole per farci sicuri di ottenere ciò che chiediamo. Le parole di Giacomo 4:8, purtroppo continuano ad esser vere riguardo alla gran maggioranza di coloro che pregano, ma ben lungi dal contradire alla promessa fatta dal Salvatore in questo versetto, la confermano, perché soltanto quelle preghiere sono ascoltate in cielo le quali domandano cose conformi al volere di Dio: il Cristiano deve quindi badar bene di non chiedere se non cose lecite e giuste al cospetto di Dio. Queste parole adunque devono considerarsi come una norma universale per l'esaudimento della preghiera. Quanto pochi son quelli che comprendono ed esercitano i privilegi che Iddio concede alla preghiera, e come diverso sarebbe lo stato della Chiesa e del mondo se li intendessero e li praticassero!

PASSI PARALLELI
Matteo 7:7-11; 18:19; 21:22; Luca 11:9-13; 18:1-8; Giovanni 14:13; 15:7
Giovanni 16:23-27; Giacomo 1:5-6; 5:15-18; 1Giovanni 3:22; 5:14-15

25 25. E quando vi presenterete per fare orazione, se avete qualche cosa contro ad alcuno, rimettetegliela; acciocché il Padre vostro ch'è nei cieli vi rimetta anch'egli i vostri falli. 26. Ma, ne voi non perdonate, il Padre vostro ch'è nei cieli non vi perdonerà i vostri falli.
L'esortazione contenuta in questi versetti è già stata pronunziata da nostro Signore nel Sermone sul monte e nella parabola del Servo spietato, Vedi Note Matteo 5:23-24; Matteo 18:25. La sua ripetizione qui può considerarsi, in primo luogo, come un ammonimento specialmente indirizzato agli Apostoli, relativamente ai doni miracolosi che sarebbero concessi alla loro fede per mezzo della preghiera, che cioè questi doni non avevano da esercitarsi per vendicare offese private od anche pubblici insulti alla persona od alla religione di Cristo, come quando i figliuoli di Zebedeo volevano far scendere il fuoco dal cielo sopra i Samaritani Luca 9:54. Nostro Signore ricorda loro che la preghiera pei doni miracolosi, onde essere efficace, deve essere accompagnata da quelle stesse disposizioni morali che richiedonsi in ogni altra specie di preghiera, e specialmente dallo spirito del perdono, di cui può darsi benissimo che vedesse esser difetto in taluni di loro. Ma, senza dubbio, tale esortazione fu data anche ad insegnamento della Chiesa universale, per insegnare cioè ai cristiani di tutti i tempi che l'esser pronti a perdonare a quelli che ci hanno offeso è necessario a rendere accetta ogni preghiera, ed è tanto più indispensabile, quando maggiormente estendiamo i limiti dei nostri desiderii, chiedendo e con fiducia aspettando grandi cose da Dio. Colui che nega il perdono al suo fratello dimostra, per ciò stesso, ad evidenza, di non avere egli stesso ottenuto perdono da Dio, per quanto brillanti esser possano i suoi doni.

PASSI PARALLELI
Matteo 7:7-11; 18:19; 21:22; Luca 11:9-13; 18:1-8; Giovanni 14:13; 15:7
Giovanni 16:23-27; Giacomo 1:5-6; 5:15-18; 1Giovanni 3:22; 5:14-15

RIFLESSIONI
1. Le parole: "egli ebbe fame" contengono una delle molte prove scritturali intorno alla vera e reale umanità del Signore Gesù. Egli aveva una natura e costituzione corporea simile alla nostra in tutte le cose, fuorché nel peccato. Poteva piangere e rallegrarsi e soffrir dolore, essere stanco e aver bisogno di riposo, aver sete e sentire il bisogno di bere, aver fame e provar quello del cibo. Espressioni come questa dovrebbero insegnarci la condiscendenza di Cristo. Come ci parrà meravigliosa questa condiscendenza, se consideriamo che Colui il quale acconsentì a soffrire la fame, mentre era nel mondo, è l'Iddio eterno che fece il mondo e quanto esso contiene. È questo un gran mistero! Una bontà e un amore come questi sopravanzano l'umano intendimento. Non è maraviglia che Paolo parli delle "non investigabili ricchezze di Cristo" Efesini 3:8. Espressioni come queste ci fanno certi della simpatia che Cristo sente per i suoi, in tutte le loro prove e sofferenze terrestri. Egli conosce, per propria esperienza, i foro dolori, e può esser commosso dal sentimento delle loro infermità. Egli ha assaggiato il patire, la debolezza, la stanchezza, la fame e la sete, in una parola, egli ha fatto l'esperienza soggetto dei duri patimenti cui possa andar soggetto il corpo dell'uomo. Quando gli parliamo di queste cose nelle nostro preghiere, egli sa quel che intendiamo e non è straniero alle nostre tribolazioni. Per certo è questo il Salvatore e l'amico che fa d'uopo alla povera, addolorata, gemente umanità!
2. Furono sollevate difficoltà veramente insussistenti perché Cristo si aspettava a trovar frutti sul fico quando dovea pur sapere che non ce n'erano. Ma la stessa difficoltà potrebbe sollevarsi intorno a quasi tutti i pensieri, i sentimenti e le azioni umane del nostro Signore, che cioè se egli possedeva la scienza divina e la potenza infinita, tali pensieri, sentimenti ed azioni non hanno potuto esser reali. Cotali difficoltà potrebbero pure, mettersi innanzi relativamente alla realtà della libertà e responsabilità umana, se è vero che ogni cosa è sotto la suprema direzione del Signore di tutti. Si cessi adunque da siffatte vane speculazioni intorno a fatti che ogni animo ben regolato vede non implicare difficoltà pratica alcuna, sebbene il principio che giace in fondo ad esse oltrepassi per ora la portata della mente umana, e fors'anche d'ogni finita intelligenza.
3. L'essiccazione del fico non fu una ingannatrice dimostrazione di potenza!, senza utile risultato veruno, come i pretesi miracoli di Maometto e di altri falsi profeti; fu una potente operazione tipica, piena di profondi insegnamenti spirituali, insegnamenti di tale e tanta importanza, che ben potè giustificare la distruzione di una creatura inanimata di Dio, onde servisse ad impartirli. Ricordandoci di questo, non abbiamo maggior diritto di ridire su di essa che sulla offerta giornaliera di un agnello sotto la legge Mosaica. In quella offerta era tolta quotidianamente la vita di una creatura innocente e inoffensiva; ma il gran fine che si proponeva quell'atto, quello cioè di porle simbolicamente davanti agli occhi dell'uomo l'unico sacrifizio pel peccato, giustificava il torre la vita all'agnello. Nella stessa guisa appunto possiamo spiegarci che il nostro Signore togliesse la vita a quell'albero.
4. La miracolosa associazione di quest'albero si deve considerare come un supplemento della parabola del fico sterile Luca 13:6-9, che ne annunziava la condanna. Dal popolo ebreo il Signore era, alla lettera "venuto tre anni cercando del frutto e non trovandolo"; ogni mezzo aveva usato a renderlo fruttifero; e quanto l'anima sua si struggesse dal desiderio di trovare in essi i frutti della santità, possiamo argomentarlo dal suo pianto misericordioso sopra Gerusalemme, alla fine del suo ministerio terreno: "Oh! se tu ancora, almeno in questo giorno, avessi riconosciute le cose appartenenti alla tua pace, ma ora elleno son nascoste dagli occhi tuoi" Luca 19:42. "Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, nella maniera che la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa vi è lasciata deserta" Matteo 23:37-38. E come, senza dubbio, l'essiccazione del fico precedette d'un certo lasso di tempo l'abbatterlo ed il gittarlo nel fuoco, così ci fu un considerevole intervallo nella storia della nazione giudaica tra la condanna pronunziata nei versetti testè citati, e la catastrofe finale, quando "l'ira venne sopra loro fino all'estremo" 1Tessalonicesi 2:16. E così è da temersi che anche adesso molti inaridiscano prima che sian tagliati e gettati nel fuoco, e che vi sia un tempo determinato in cui è pronunziata la maledizione, ed in cui incomincia il deperimento che non può più arrestarsi. "Oh che gli uomini fossero pur savii, ed intendessero queste cose, e considerassero il lor fine!" Deuteronomio 32:29.
5. Magnifici incoraggiamenti e promesse si trovano in questo passo per gli evangelizzatori ed i missionarii. Non è forse stata la promessa del ver. 23 così abbondantemente adempita nel passato da dissipare tutti i nostri timori intorno al futuro? Certamente quando si Pensa alle montagne che già furon tolte di mezzo e gettate nel mare dalla vittoriosa fede dei discepoli di Cristo, ai colossali paganesimi dell'antico mondo che son caduti davanti alla Chiesa di Cristo, ben si può dire delle superstizioni dei papismo, dell'ancor più gigantesca idolatria dell'India, e di qualunque siasi altro ostacolo ai trionfi della Croce: "Che sei tu, o gran monte davanti, a Zorobabel? tu sarai ridotto in piano" Zaccaria 4:7.
6. Impariamo inoltre, da questi versetti, l'assoluta necessità di coltivare uno spirito di perdono inverso gli altri. Questa lezione ci è qui insegnata in modo assai rimarchevole. Non c'è connessione immediata tra l'importanza della fede di cui nostro Signore avea parlato dianzi e l'argomento del perdonare le ingiurie. Ma l'anello di congiunzione è la preghiera. Prima ci è detto che la fede è necessaria perché sieno esaudite le nostre preghiere, poi si aggiunge che non possono essere esaudite preghiere che vengano da un cuore che non perdoni. È questo un argomento a cui si presta meno attenzione di quel che merita. Le nostre preghiere devono essere non solo serie, fervorose, sincere e offerte nel nome di Cristo; ma devono soddisfare ad un'altra condizione ancora, devono provenire da un cuore che perdona. Noi non abbiamo alcun diritto di aspettarci misericordia se non siamo pronti ad usare anche noi misericordia ai nostri fratelli. Dobbiamo aver cuor di fratello verso il nostro prossimo sulla terra, se bramiamo che Dio sia il nostro Padre in cielo.

27 Marco 11:27-33. L'AUTORITÀ DI CRISTO MESSA IN DUBBIO. RAPPRESENTATI DEL SINEDRIO RIFIUTANO DI PRONUNZIARSI SULLA AUTORITÀ DEL BATTISTA Matteo 21:23-27; Luca 20:1-8

Per la esposizione Vedi Matteo 21:23-27.