Luca 19
CAPO 19 - ANALISI
1. La conversione di Zaccheo. Gesù non sembra essersi fermato in Gerico, avendo già fissato nella sua mente da chi passerebbe la notte. La persona cui stava in serbo un tanto onore era un pubblicano, un ricco Israelita che aveva appaltato la riscossione delle tasse imposte dai Romani agli abitanti di quel distretto. Egli pagava all'autorità romana una certa somma, e si indennizzava col far raccogliere le tasse dai suoi subordinati. Affatto ignaro della benigna intenzione di Gesù, a suo riguardo, e spinto da sola curiosità a cercar di vedere il profeta la cui fama riempiva tutto il paese, uscì sulla via che conduceva a Gerusalemme, per la quale sapeva che esso dovrebbe passare. Essendo piccolo di statura, si accorse presto che la folla non gli permetterebbe mai di veder Gesù, stando come tutti, in sulla via; ma risoluto ad eseguire il suo piano, s'arrampicò su un sicomoro lì vicino, e nascosto fra il fogliame, aspettò con pazienza l'avvicinarsi del Signore. Né la posizione incomoda, né il timore del ridicolo poterono vincere il suo desiderio di veder quell'uomo, del quale avea udito cose tanto meravigliose, e soprattutto la degnazione con cui trattava quelli della disprezzata sua casta. Qual non deve essere stata la sua, confusione, il suo stupore ed al tempo stesso la sua gioia, quando Gesù, avvicinandosi all'albero, fissò gli occhi su di lui, lo chiamò per nome come un antico conoscente, e dichiarò di voler essere ospitato in casa sua in quel giorno? Quel momento segnò un'era novella nella vita di Zaccheo; pieno di gioia, e di gratitudine, egli corse a casa per ricevervi il Signore, ed al tempo stesso lo Spirito Santo gli aprì il cuore, affinché vi potesse accogliere Gesù come ospite permanente. La realtà del cambiamento che si era operato in lui fu tosto reso manifesto mediante la confessione che egli fece delle sue estorsioni passate, la risoluzione che dichiarò di volerne fare pieno risarcimento, e la liberalità inverso i poveri che prese nel cuor suo il posto della primiera avarizia. «Li riconoscerete dai loro frutti», dice il Signore. I Farisei e i loro amici nella folla cominciarono subito a mormorare, perché Gesù era entrato in casa di un pubblicano; ma Gesù giustificò la sua condotta col dichiarare che Zaccheo era divenuto in quel giorno stesso partecipe della salvezza; che era per nascita figliuolo di Abrahamo, il che gli dava, non meno che a loro, diritto ai benefizii del patto, e che la sua missione di Salvatore era specialmente diretta ai «perduti», a quelli coi quali i Farisei non volevano aver nulla da fare Luca 19:1-10.
2. La parabola delle mine V'ha tanta rassomiglianza fra questa parabola e quella dei talenti Matteo 25:14-30, che non pochi scrittori vogliono far delle due una sola. Paragonandole, si riconoscono però distinte. 1) Questa fu detta nel tragitto fra Gerico e Betania; l'altra, sul monte degli Ulivi tre giorni dopo l'entrata solenne di Gesù in Gerusalemme. 2) Questa fu rivolta non solo ai discepoli, ma a tutta la folla che li circondava; quella, ai dodici solamente. 3) Questa non parla solo di servitori i quali professano ubbidienza al loro Signore, ma pure di cittadini che non ne vogliono riconoscere la sovranità, e pei quali sta in serbo una severa retribuzione; quella non parla che di servitori; i cittadini non vi vengono mentovati. 4) In questa ogni servitore riceve la medesima somma (una mina ossia la 60sima parte di un talento), in quella ogni servitore riceve una quantità diversa di talenti. 5) In questa i servitori fedeli, benché abbiano avuto tutti la medesima somma da far fruttare, ottengono ciò nonostante risultati diversi; uno avendo fatto della sua mina, dieci, un altro cinque; mentre in quella tutti danno prova di una fedeltà uguale, raddoppiando quanto aveano ricevuto; i cinque talenti producendone cinque, i due, due ecc. 6) La lezione che questa parabola è intesa ad insegnarci si è dunque che dipende dallo zelo e dalla fedeltà di ognuno il profitto più o meno grande che si fa dei doni ricevuti; in quella dei talenti, invece, impariamo che tutti devono essere ugualmente fedeli, benché diversi sieno i doni ricevuti. Entrambe le parabole contengono però, in termini pressoché identici, la descrizione della condotta e della condanna del servo pigro ed infedele, che nascose il denaro del suo padrone, anziché farlo fruttare a suo vantaggio Luca 19:11-28.
3. Entrata trionfale di Cristo in Gerusalemme. Dal racconto di Giovanni, sappiamo che Gesù giunse in Betania, sei giorni avanti la Pasqua, e probabilmente vi si riposò in casa dei suoi amici l'ultimo Sabato suo in terra. Il fatto ricordato in questi versetti accadde il giorno dopo, il primo della settimana, quando egli entrò in Gerusalemme. Fino allora egli era sempre giunto senza ostentazione; in questa occasione però stimò opportuno dare al suo arrivo un carattere di grande, pubblicità, non solo perché, fosse adempiuta un'antica profezia a suo riguardo, ma pure affinché, in vista della sua passione, gli occhi di tutto il popolo e dei suoi rettori venissero a lui rivolti come al Re-Messia, al Figliuolo di Davide. Perciò, prima di partire da Betania, mandò innanzi due suoi discepoli al villaggio di Betfage, che si trovava in una vallata un po' a sinistra della strada, ordinando loro di prendervi un'asina ed il suo puledro, che ivi troverebbero legati e di condurglieli. Dopo aver messo sull'asinello i loro vestimenti di sopra, i discepoli vi fecero salire Gesù, e la processione si avanzò lungo il pendìo dell'Uliveto, mentre la moltitudine che lo accompagnava, ed un'altra che era uscita da Gerusalemme ad incontrarlo, spargevano sulla via vesti e rami di palme e gridavano: «Osanna al Figliuolo di Davide! Benedetto sia il Apocalisse che viene nel nome del Signore!» Ben lungi dal reprimere questa dimostrazione, Gesù rispose ai Farisei che lo invitavano a far tacere i suoi discepoli: «Io vi dico che, se costoro si tacciono, le pietre grideranno». Così fu adempiuta la profezia di Zaccaria 19:9. Ma durante tutta questa scena trionfale, i pensieri di Gesù erano occupati di ben altre cose. Quando egli giunse sul ciglio dell'uliveto, la città di Gerusalemme, ed il tempio in tutto il suo splendore si spiegarono alla sua vista. Gli si affacciò allora alla, mente la sorte terribile che colpirebbe gli abitanti di quella città, quando lo avrebbero crocifisso; egli piange su di loro, esprimendo al tempo stesso, colle più commoventi parole, il dolore del suo cuore compassionevole Luca 19:29-44.
4. La purificazione del Tempio, e l'insegnamento di Gesù in quella circostanza. Già al principio del suo ministero, egli avea scacciati i venditori che riempivano il sacro recinto di animali e di altri oggetti necessari ai sacrifizi, affin di venderli ai fedeli. Lo stesso atto autorevole lo ripete ora quando il suo ministero è giunto al suo termine, condannando così l'avarizia di quelle persone, e la loro mancanza di rispetto per la casa di Dio. I pochi giorni che tuttora restavano del suo ministerio, egli li consacrò ad insegnare il popolo nel tempio, ritirandosi la sera in Betania, e tornando la mattina in Gerusalemme Luca 19:45-48.

Luca 19:1-10. CONVERSIONE DEL PUBBLICANO ZACCHEO IN GERICO

1. E Gesù, essendo entrato in Gerico, passava per la città.
Luca solo ricorda questo fatto interessante della carriera terrestre del Signore, ed in ciò abbiamo una prova di più che il suo Vangelo, benché coincida nelle cose essenziali con quelli di Matteo e di Marco, è però affatto indipendente da quelli. È evidente da questo versetto che Gesù non stette lungamente in Gerico, benché alcuni credano che vi si fermasse una notte o forse più. Tradotto letteralmente, il Greco significa: "Essendo entrato in Gerico, egli attraversava la città".

PASSI PARALLELI
Giosuè 2:1; 6:1-25,26-27; 1Re 16:34; 2Re 2:18-22

2. Ed ecco un uomo, detto per nome Zaccheo,
Era questa la forma greca del nome ebraico Zaccai, da esser puro, che troviamo in Esdra 2:9; Neemia 7:14; e questo, aggiunto alle parole di Cristo al vers. 9, mette fuor di dubbio che egli era un Giudeo e non un Gentile.
il quale era il capo de' publicani,
significa che egli era l'appaltatore o l'amministratore delle tasse, in quel distretto; quegli cui era affidata la sorveglianza degli altri pubblicani; forse l'agente di uno degli equiti romani, che spesso occupavano la carica di pubblici esattori, Vedi note Matteo 9:9; Luca 3:12. Gerico era una città importante in quanto alle tasse, non solo a motivo della esportazione del balsamo che ivi si coltiva, ma pure per il traffico della Perea e di altri paesi anche più all'oriente, con la Giudea e l'Egitto, dimodoché vi era perfettamente giustificata la presenza di un commissario in capo delle imposte.
ed era ricco;
Dovea invero essere stato assai facoltoso di suo, per poter fornire la forte cauzione richiesta dal Governo romano per il posto di appaltatore delle tasse, e senza dubbio avea di poi accresciuto il suo censo colle solite estorsioni dei pubblicani (vers. 8). È possibile che l'Evangelista faccia menzione qui delle sue ricchezze, affin di mettere il caso suo in contrasto con quello del giovane ricco del capitolo precedente; i n ogni caso, quel contrasto non va perduto di vista. La difficoltà per un ricco di salvarsi ci è stata messa sott'occhio nel caso del giovane ricco; ora lo Spirito Santo ci mostrerà, col fatto di Zaccheo, che «niente è impossibile appo Iddio».

PASSI PARALLELI
Luca 18:24-27; 2Cronache 17:5-6

3. E cercava di veder Gesù, per saper chi egli era;
Ciascuno desidera naturalmente vedere personaggi di alto rango o quelli dei quali, per qualsiasi motivo, si parla molto, affin di ricordarsene più tardi l'apparenza e le fattezze, ed un tal desiderio s'impossessò ora fortemente del cuore di Zaccheo rispetto a Gesù, del quale avea molto udito parlare, ma che non avea mai veduto. Altro esempio consimile lo abbiamo nel caso dei Greci che erano saliti in Gerusalemme Giovanni 12:20-21. Questo desiderio di Zaccheo avea per unico movente la curiosità, accresciuta forse da quanto avea udito della bontà di Cristo verso quelli della sua classe. Notisi qui che Dio fa uso di qualsiasi affetto, della curiosità, della simpatia, dell'amore, per condurre gli uomini alla salute. Zaccheo non s'immaginava punto qual sarebbe il risultato del suo arrampicarsi sull'albero, ed altri non sanno più di lui il perché Dio li conduca in questo od in quel posto, o manda loro certe afflizioni; ma egli regola tutti gli eventi in guisa che sieno adempiuti i fini della sua grazia inverso i suoi eletti. «Farò camminare i ciechi per una via che non conoscono» Isaia 42:16.
ma non poteva per la moltitudine perciocché egli era piccolo di statura. 4. E corse innanzi, e salì sopra un sicomoro, per vederlo; perciocché egli avea da passare per quella via.
Questa descrizione di Zaccheo ci fa supporre che egli fosse proprio un nano, e che varii tentativi già fatti nella città stessa di Gerico lo avessero convinto della impossibilità per lui di veder Gesù, in mezzo ad una così gran calca di gente. Deciso però a riuscire nel suo intento, precedette la folla sulla strada dove ben sapeva che Gesù passerebbe, e senza darsi pensiero del ridicolo cui si esponeva, s'arrampicò sopra un sicomoro che cresceva lungo la strada; poi nascosto fra il fogliame si rallegrò di poter presto soddisfare il suo desiderio. (Sul sicomoro che s'assomiglia al gelso per le foglie ed al fico per il frutto, vedi nota in Luca 17:6). Il fatto qui ricordato che cioè Zaccheo corse innanzi lungo la strada che egli ben sapeva doversi seguire da Gesù per andare a Gerusalemme, conferma l'opinione che non fu in Gerico, bensì dopo esserne uscito, che Gesù giunse al sicomoro, dove il pubblicano si era nascosto, ed è molto probabile che Zaccheo abitasse in quel vicinato in uno dei numerosi edifizii che Erode il Grande avea costruiti nelle vicinanze di Gerico.

PASSI PARALLELI
Luca 5:19
1Re 10:27; 1Cronache 27:28; Isaia 9:10; Amos 7:14

5. E come Gesù fu giunto a quel luogo, alzò gli occhi, e lo vide, e gli disse: Zaccheo
Zaccheo sperava vedere e non esser veduto, ma presto fu disingannato. Colui che vide Natanaele sotto il fico, a molte miglia di distanza, sapeva, per divina intuizione, tutto ciò che concerneva quel pubblicano, e giunto vicino al suo nascondiglio fissò gli occhi su di lui e lo chiamò per nome. Secondo alcuni scrittori non vi sarebbe stato in questo nulla di sovrannaturale, l'attenzione di Gesù essendo attratta da quella parte dal veder gli occhi di tutti volgersi a quell'albero. Il suo nome gli sarebbe pure stato noto, perché tutti lo pronunziavano in quel momento. Ma il racconto ci dice chiaramente che Gesù lesse nel cuore di Zaccheo, e colui che legge i pensieri più nascosti del cuor di un uomo non può egli altresì saperne il nome, senza che gli venga suggerito da altri? «Il Signore cercava Zaccheo, non meno che Zaccheo cercasse lui. Il pastore andava dietro alla sua pecora smarrita, come lo dichiara al ver. 10. Cristo lo vide il primo e fu altresì il primo a parlare. Egli è sempre così. Nessuno va in cerca di Cristo senza trovare che Cristo era già in cerca di lui» (Jacobus). Il vedersi scoperto quando si credeva perfettamente nascosto, l'udire il suo nome pronunziato da chi non l'avea veduto mai, devono aver convinto Zaccheo che chi faceva questo era più di un mero uomo.
scendi giù prestamente perciocché oggi ho ad albergare in casa tua.
L'effetto prodotto da quella prova della divina onniscienza di Cristo fu reso ancora più profondo dal benigno ed inaspettato annunzio che le tien subito dietro. Gesù si invita da sé in casa di Zaccheo, come un re che non ha bisogno di essere invitato, e ben sapendo che quel privilegio verrebbe altamente apprezzato. È questa l'unica volta ricordata nei Vangeli che Gesù si offre ad andare nella casa di qualsiasi uomo. Il senso della parola albergare, è fermarsi non solo per un pasto, ma per la notte. Questo è confermato dalla parola del ver. 7, la quale significa sciogliere, levare dal giogo, come fanno i viaggiatori quando si fermano per la notte, ed è espressamente applicata in questo senso alla moltitudine in Luca 9:12. La forza ed il senso di devo, non son bastantemente espressi nelle parole «ho ad albergare» di Diodati. Quel vocabolo indica uno scopo divino che Gesù doveva raggiungere; egli doveva riconoscere l'albergatore che suo Padre, per un fine di misericordia, gli aveva scelto in Gerico. Oltreché il suo cibo era di far la volontà di Colui che lo avea mandato, «egli sentiva una necessità interna di non entrare in altra dimora che in quella del pubblicano; il cuore glielo comandava; la compassione ve lo costringeva» (Oosterzee).

PASSI PARALLELI
Salmi 139:1-3; Ezechiele 16:6; Giovanni 1:48; 4:7-10
Ecclesiaste 9:10; 2Corinzi 6:1
Luca 19:10; Genesi 18:3-5; 19:1-3; Salmi 101:2-3; Giovanni 14:23; Efesini 3:17; Ebrei 13:2
Apocalisse 3:20

6. Ed egli scese prestamente, e lo ricevette con allegrezza.
Si fu precisamente a questo punto che accadde la conversione di Zaccheo. Di tal cambiamento nel suo cuore abbiamo una prima prova nella prontezza con cui ubbidì all'appello del Signore, scendendo dall'albero; una seconda, nella gioia con cui lo ricevette. Anziché rifiutare, o dubitare, o far delle difficoltà nella sua mente sulla maniera di ricevere Gesù, Zaccheo si sente il cuore ripieno di gioia per l'occasione, che gli viene offerta di avvicinarsi maggiormente al Signore; per ciò ubbidisce senza ritardo, scende dall'albero e riceve il celeste suo ospite. È questo una bellissima illustrazione della profezia di Davide, come vien resa nella versione inglese ed in quella, francese di Osterwald: «Il tuo popolo sarà tutto volonteroso nel giorno del tuo potere» Salmi 90:3. Lo sguardo compassionevole di Cristo, la conoscenza che egli avea del suo nome, aveano fermato la sua attenzione, e svegliato in lui dei sentimenti di maraviglia e di ammirazione; ma furono la bontà e la condiscendenza di Gesù nell'offrirsi come ospite di uno che era odiato e disprezzato dai suoi concittadini quelle che, mediante la operazione dello Spirito Santo, completarono la conquista della sua mente e del suo cuore e produssero in lui quel cambiamento che salva. Niente è più atto a mutare il cuore dei più grandi peccatori, quanto l'annunzio inaspettato che Cristo li ama quantunque nol meritino, e si dà pensiero dell'anima loro. Quella notizia ha spesso spezzato e vinto dei cuori di pietra.

PASSI PARALLELI
Luca 2:16; Genesi 18:6-7; Salmi 119:59-60; Galati 1:15-16
Luca 5:29; Isaia 64:5; Atti 2:41; 16:15,34

7. E tutti, veduto ciò, mormoravano,
Non è probabile che questo «tutti» includa solo i Farisei e i loro fautori in quella folla. L'obbiezione che l'intera moltitudine, la quale poco prima glorifica Iddio per la miracolosa guarigione di Bartimeo operata da Gesù, non poteva così presto mutar le sue lodi in mormorii, è senza fondamento, per chi tien conto dell'odio nutrito da tutto le classi della popolazione contro i pubblicani. È probabile che il mormorio di questo istante fosse così generale come la lode di un momento prima.
dicendo: Egli è andato ad albergai e in casa di un uom peccatore.
Come abbiam notato già al ver. 5, la parola usata da questi mormoratori indica la loro convinzione che Gesù era andato a passar la notte nella casa del pubblicano. L'epiteto «peccatore», che vien qui dato a Zaccheo si riferiva probabilmente all'uffizio che copriva, benché possa pure indicare la nota malvagità del suo carattere. Se costui fosse stato Gentile, la turba scontenta avrebbe certo aggiunto questo al rimprovero fatto al Signore di entrare in casa di un peccatore. Di più la missione di Gesù era specialmente diretta «alle pecore perdute della casa d'Israele», e non leggiamo mai nei Vangeli che sia andato in traccia di un Gentile.

PASSI PARALLELI
Luca 5:30; 7:34,39; 15:2; 18:9-14; Matteo 9:11; 21:28-31

8. E Zaccheo, presentatosi al Signore, gli disse:
È poco probabile che Zaccheo così parlasse al Signore prima che fossero giunti a casa sua; né, se prendiamo alla lettera la parola «oggi» del ver. 9, possiamo adottare la teoria che venissero dette la mattina dopo, al momento della partenza di Gesù. Le si dovrebbero bensì assegnare al tempo in cui Gesù sedeva a mensa, circondato non solo dagli altri invitati, ma altresì da molti della folla, che si prevalevano della libertà orientale di entrare nella casa di un uomo all'ora dei pasti e di parlare coi suoi convitati.
Signore,
Non lo chiama Rabbi o Maestro: ma con fede, riverenza, ed affetto gli dà il titolo di Signore, in presenza di tutti, riconoscendolo così come Dio, e come l'autore del gran cambiamento avvenuto in lui.
io dono la metà di tutti i miei beni a' poveri;
È veramente straordinaria e contraria del tutto alle circostanze di quest'uomo, l'interpretazione che Godet dà di queste parole e di questa azione del pubblicano. Secondo lui, egli non farebbe altro che «proclamare una regola di condotta da lui già ammessa e praticata da molto tempo», mentre stando in piè descriverebbe la dignitosa e ferma attitudine di un uomo il cui onore è attaccato. Insomma egli direbbe: "Colui che ti sei degnato scegliere come tuo albergatore non è, come si pretende, un essere indegno della tua scelta. Non incorri disprezzo entrando in casa, benché io sia pubblicano; non è con male acquistate ricchezze che io ti fo accoglienza!" Il più orgoglioso Fariseo non avrebbe, potuto parlare con maggior superbia, e, con più aperta giustizia propria. E se tali fossero stati veramente i sentimenti di Zaccheo, Gesù non gli avrebbe mai detto in risposta: «Oggi è avvenuta salute a questa casa». Il suo parlare a quel modo è una bellissima illustrazione delle parole: «La bocca parla di ciò che soprabbonda nel cuore». «Col cuore si crede a giustizia, e con la bocca si fa confessione a salute» Matteo 12:34; Romani 10:10. La prima prova convincente della conversione di quest'uomo fu la sua pronta e giuliva ubbidienza alla chiamata di Cristo; ma essa si dimostra ancor più genuina ed indubitata dai frutti che produsse, cioè il suo sincero pentimento per il peccato passato, e la sua attiva benevolenza verso i suoi simili, specialmente se poveri e bisognosi. Qual prova più forte potrebbesi desiderare che «le cose vecchie son passate, e tutte le cose son fatte nuove» 2Corinzi 5:17? Ecco un uomo cupido di guadagno che si spoglia dei suoi beni per nutrire i poveri, un disonesto che si offre spontaneamente a far piena restituzione a tutti quelli cui ha fatto torto colle sue frodi, e le sue estorsioni. Tale risoluzione egli dichiara con gioia ed umiltà, perché lo possedeva (piuttosto incitare, compellere) l'amor di Cristo 2Corinzi 5:14. Per un uomo il cui unico scopo in vita era stato di ammassar tesori per se stesso, il dar la metà dei suoi beni ai poveri, era cosa senza esempio in quei tempi. Fra i Giudei, chi dava la quinta parte del suo reddito per opere pie si stimava che avesse raggiunto la perfezione in quanto alle elemosine; ma Zaccheo ne dà la metà. È ragionevole supporre che prima facesse restituzione a quelli cui avea fatto torto; quindi desse ai poveri la metà di quello che poteva onestamente e giustamente chiamar suo, ché altrimenti avrebbe fatto la carità con la roba d'altri.
e, se ho frodato alcuno, io gliene fo la restituzione a quattro doppi.
Chi ha tolto ad un altro il suo, sia per frode, sia prevalendosi di qualche articolo di legge, deve fare, se è Cristiano, per quanto è in poter suo, restituzione. La forma ipotetica nella quale vien fatta questa promessa, se ho frodato, non implica il convincimento per parte sua, che tali casi di frode (se mai ve ne fossero stati), furono rari nella sua vita, bensì che avea così spesso e per tanto tempo peccato in questo modo, secondo il malvezzo degli uomini della sua classe, da non poter ricordarsi, in sul momento, quanto avesse ottenuto colle sue frodi. Ma egli ora promette dinanzi al Signore, che per ogni caso, di cui potrebbe ricordarsi, di frode da lui commessa, egli farebbe ai danneggiati restituzione a quattro doppi. Con tal decisione, egli sentenzia se, medesimo secondo i più rigorosi precetti della legge mosaica. Quando la roba rubata veniva spontaneamente restituita, la legge domandava l'aggiunta solo di un quinto; solo in casi molto gravi, e quando la cosa rubata non si poteva ricuperare che per forza o per legge, domandavasi la restituzione quadruplicata Numeri 5:6-7; Esodo 22:1,4. Se si considerava come impiegato romano, è probabile che fissasse quella cifra, perché la legge imperiale sulle tasse sentenziava gli esattori ingiusti a restituire quattro volte la somma da essi malamente percepita. Quando però il soprappiù veniva restituito volontariamente, come nel caso di Zaccheo, bastava la restituzione semplice. L'ampio risarcimento che egli promette di dare a quelli cui ha fatto torto prova la sincerità del suo pentimento. Il verbo frodare, si trova in un solo altro luogo del Nuovo Testamento Luca 3:14, dove viene applicato dal Battista ai soldati che vennero a lui nel deserto, e che aveano, anche più dei pubblicani, l'occasione ed il potere di angariare la gente, vedi nota Luca 3:14. Dicesi che fosse originalmente applicato in Atene a quelli che facevano la spia a danno di coloro che esportavano illegalmente dei fichi, indi venne a significare accusare a torto, poi far danno mediante false accuse, estorcere danaro con truffa e frode.

PASSI PARALLELI
Luca 3:8-13; 11:41; 12:33; 16:9; 18:22-23; Salmi 41:1; Atti 2:44-46; 4:34-35
2Corinzi 8:7-8; 1Timoteo 6:17-18; Giacomo 1:10-11
Luca 3:14; Esodo 20:16
Esodo 22:1-4; Levitico 6:1-6; 1Samuele 12:3; 2Samuele 12:6; Proverbi 6:31

9. E Gesù gli disse:
di lui, come in Luca 12:41; 18:1,9; 18:1. Gesù parlò per confortare ed incoraggire Zaccheo, ma ciò fece mediante l'autorevole intimazione indirizzata ai convitati ed alle altre persone presenti.
Oggi è avvenuta salute a questa casa;
Con queste parole il Signore suggella il cambiamento di cuore operatosi in Zaccheo, poiché senza di quello non v'ha salvezza possibile Giovanni 3:3,5. Cristo invero è salvezza per tutti quelli che lo ricevono con fede Giovanni 1:14, ed è a motivo della fede salutare di Zaccheo che dichiarò la salute essere entrata in quel giorno in quella casa. Fondandosi su queste parole, alcuni commentatori mantengono che insieme con lui furono pure convertiti tutti quelli della, sua famiglia; ma il Vangelo non ci dice se Zaccheo avesse una famiglia o no. Negli Atti degli Apostoli, troviamo che delle famiglie intere furono battezzate, il che è tutt'altra cosa che essere salvati, però ci sembra una conclusione troppo arrischiata il dire che, con quelle parole, Gesù dichiarasse convertito ogni membro di quella famiglia. L'idea più semplice si è che la salute è entrata in quella casa, perché, una volta convertito il capo di essa, egli si sforzerebbe di promuovere la salvezza di tutti i suoi colle sue istruzioni, col suo esempio e colle sue preghiere. In questo senso genuino si può dire che la salvazione entra in ogni casa il cui capo diviene vero Cristiano.
conciossiacché anche costui sia figliuol d'Abrahamo
Questa espressione venne probabilmente usata da Gesù in risposta alle parole schernitrici dei Farisei, contro i pubblicani e i peccatori, quali indegni della vita eterna. Il Signore dichiara che Zaccheo, per quanto lo disprezzi l'orgoglio fariseo, è pur sempre un figliuolo di Abrahamo per natural discendenza, e come tale avea diritto quanto chiunque di loro al regno dei cieli che gli viene offerto. Ma oltr'acciò, Zaccheo era figlio di Abrahamo in un senso che non poteva venire applicato al Fariseo, poiché ora camminava sulle traccie di Abrahamo, in quanto alla fede ed in quanto all'opera, ed era uno con lui non solo per il sangue, ma pure per la fede.

PASSI PARALLELI
Luca 2:30; 13:30; Giovanni 4:38-42; Atti 16:30-32; 1Corinzi 6:9-11; 1Pietro 2:10
Luca 13:16; Romani 4:11-12,16; Galati 3:7,14,29

10 10. Perciocché il Figliuol dell'uomo è venuto per cercare, e per salvare ciò ch'era perito.
Alla fine Gesù si difende contro i mormorii eccitati contro di lui dal suo entrare nella casa di un pubblicano. Ben lungi dall'andare al di là della sua missione come Messia, con questo suo atto, ne curava l'adempimento; poiché se i pubblicani erano a giudizio loro non solo scomunicati ma dannati per sempre, egli era venuto nel mondo per cercare e salvare ciò che era perduto, vedi nota Matteo 18:11. Quel che avvenisse poi di Zaccheo ci è affatto ignoto.

PASSI PARALLELI
Luca 5:31-32; 15:4-7,32; Ezechiele 34:16; Matteo 1:21; 9:12-13; 10:6; 15:24; 18:11
Romani 5:6; 1Timoteo 1:13-16; Ebrei 7:25; 1Giovanni 4:9-14

RIFLESSIONI
1. Questo fatto ci fa nascere una preziosa speranza in cuore anche ai più grandi peccatori. A parere umano, nessuno aveva meno probabilità di Zaccheo di divenire partecipe della grazia divina; egli era ricco, uso a commettere estorsioni, mal disposto per la religione a motivo del modo in cui lo trattavano i suoi corregionali; ma Cristo lo cercò e lo trovò, ed è maraviglioso il cambiamento che si operò in lui. Vediamo «il cammello passare per la cruna dell'ago», il ricco entrare nel regno di Dio, il cupido esattore trasformato in un cristiano generoso! Non temiamo dunque mai di proclamare altamente che Cristo può e vuole salvare appieno, e che anche i più vili fra i peccatori saranno perdonati se solo verranno a lui. È dovere nostro offrire senza timore l'evangelo ai più corrotti degli uomini, dicendo loro: «V'ha speranza, per voi; solo pentitevi e siate sanati». Il caso di Zaccheo non fa punto un caso unico; moltissime persone, più di lui corrotte ed abbandonate ai vizii, sono state lavate nel sangue dell'Agnello.
2. «La varietà di modi in cui Gesù conduce i peccatori a pentimento si vede paragonando il caso di Zaccheo con quello del ladrone pentito, di Saulo di Tarso, di Cornelio, del carceriere di Filippi ecc. La storia di questo capo dei pubblicani ci ricorda la parabola del tesoro nascosto, e più ancora quella della perla Matteo 13:44,46. L'accoglienza che Gesù fa a Zaccheo è un commento calzante delle sue parole in Apocalisse 3:20». (Oosterzee).
3. «Mentre Zaccheo cercava di veder Gesù, non pensava probabilmente né, punto né poco a diventar suo discepolo ed una nuova creatura. Ma quella sua mera curiosità e i mezzi cui si accinse per soddisfarla, furono come delle «corde umane» Osea 11:4, che lo attirarono laddove l'occhio e la voce amorevole di Cristo poterono giungere fino a lui. Dalla sua parte tutto proveniva da moventi naturali, giornalieri; da quella di Cristo tutto era sovrannaturale e divino. Ma così è in ogni conversione. Indi l'importanza di condurre quelli che amiamo e di cui desideriamo la conversione, laddove sieno circondati di quei mezzi, e odano quelle verità, sull'ali delle quali la potenza e la grazia di Cristo giungono fino al cuore. Quante migliaia sono state in quel modo trasformate in nuove creature quando meno se l'aspettavano!» (Brown).
4. Molti nutrono pregiudizi infondati contro le conversioni istantanee, benché ne abbiamo qui un esempio notevole, come pure nei casi del ladrone morente e del carceriere di Filippi. Eppure se si considera quale è la natura della conversione, essa non può essere se non istantanea. In molti casi, può essere, stata preparata gradatamente; ma la nuova nascita, il passaggio dalla morte alla vita, il ricever Cristo come la vita dell'anima, l'arrendersi finalmente a lui del nostro cuore, tutto questo è istantaneo. La vera conversione si distingue da impressioni anche profonde, ma pur sempre passeggiere, prodotte in noi dalla grazia divina, mediante il cambiamento completo che essa opera nella vita intera, nella conversazione e nella condotta di colui che vi è andato soggetto. Di Zaccheo avaro e mondano fece un cristiano generoso, pieno di amore verso il prossimo, perché sentiva di essere stato amato il primo da Dio; di Zaccheo ingiusto ed oppressore fa un uomo scrupolosamente probo ed onorevole. Egli è mediante la conformità della vita degli uomini coi precetti dell'evangelo che «lo Spirito Santo rende testimonianza ai loro spiriti che sono figliuoli di Dio» Romani 8:16.
5. «Se la religione entra nel cuore, entrerà pure nella casa, come in quella di Zaccheo; perciocché egli è in casa che l'uomo si rivela maggiormente quale egli è; qui non fa cerimonie, qui apre il suo cuore, ed agisce quale egli è. Ma quando non c'è religione, lo si vede pure dalla casa; dove essa esiste, l'atmosfera della casa la tira fuori come profumi che i zeffiri mandano tutto attorno» (Brown). «Voce di giubbilo e di vittoria è ne' tabernacoli dei giusti» Salmi 118:15.
6. Dal modo in cui Gesù qui ci descrive la sua missione veniamo a sapere che la condizione dell'uomo quaggiù è, per natura, quella di un essere perduto; ogni uomo non rigenerato è uomo perduto; ha perduto il suo Dio, l'anima sua, la sua felicità, la sua eccellenza, la sua libertà, la sua forza. Ma ci vien detto pure che il grande scopo della venuta di Cristo in questo mondo fu di cercare e salvare i peccatori, perduti. Questo egli fa per il suo sangue, per la sua parola, per il suo Spirito e per la sua verga.

11 Luca 19:11-27. LA PARABOLA DELLE MINE

11. Or ascoltando, essi queste cose, Gesù soggiunse, e disse una parabola;
Questa parabola ci vien riferita da Luca solamente. Quella dei talenti tramandataci da Matteo le rassomiglia sotto molti riguardi, specialmente verso la fine; vi sono però differenze, troppo importanti fra le due perché possono venire identificate, Vedi Analisi, No. 2, in Luca 19:1. Dalle parole della introduzione si suppone generalmente che venisse pronunziata in casa di Zaccheo; ma è più probabile che il racconto di quanto accadde in quella casa si chiuda col ver. 9, e che quanto vien quindi narrato accadesse dopo che Gesù si fu rimesso per via. Dinanzi alla moltitudine che avea mormorato contro di lui il giorno prima, egli giustifica ora il suo modo di trattare Zaccheo, dichiarando lo scopo della sua divina missione (ver. 10), dichiarazione colla quale la seguente parabola va strettamente unita. Siccome Gerico era distante 150 stadi, ossia 20 miglia, da Gerusalemme, le parole:
perciocché egli era vicino a Gerusalemme,
sembrano confermare fortemente questo modo di vedere, senza detrarre nulla dal loro senso più largo che il suo viaggio ed il suo ministerio erano quasi compiuti.
ed essi stimavano che il regno di Dio apparirebbe subito in quello stante.
In queste ultime due clausole, il nostro Evangelista spiega le circostanze che condussero Gesù a proporre questa parabola. Prevaleva non solo fra i discepoli, ma pure fra la moltitudine che li accompagnava, l'impressione che durante la vicina Pasqua, accadrebbe in Gerusalemme un qualche evento straordinario; che Cristo si dichiarerebbe apertamente Apocalisse, ed assumerebbe il governo del tanto sospirato regno messianico. Che l'idea di un regno temporale del Messia fosse tuttora fermamente radicata nella mente dei discepoli lo prova la domanda fatta poco prima dai figli di Zebedeo Matteo 20:20, come pure da certe parole dei discepoli dopo la sua risurrezione Luca 24:21; Atti 1:6, ed è per disingannarli relativamente a qualsiasi consimile inaugurazione esterna e pomposa del suo regno, che egli pronunziò questa parabola, nella quale la sua partenza d'infra loro, ed il suo ritorno in sulla terra con regia visibile autorità solo dopo una lunga assenza, sono figurativamente ma chiarissimamente accennate.

PASSI PARALLELI
Luca 17:20; Atti 1:6; 2Tessalonicesi 2:1-3

12 12. Disse adunque un uomo nobile
Gli antecedenti della persona qui introdotta sono compendiati nella parola nobile, letteralmente ben nato cioè, distinto per natali, famiglia ed antenati dal resto del popolo, in breve uno cui per nascita apparteneva di regnare sui suoi concittadini; ma era lungamente vissuto fra di loro, senza assumere il rango ed il potere che gli erano dovuti. Qui Gesù personifica se medesimo, poiché, disceso secondo la carne da Abramo e da Davide, egli era di stirpe regia ed avea un titolo indiscutibile al trono di Davide suo padre non solo, ma pure, qual Figlio di Dio e Messia, alla promessa delle «genti per eredità e i confini della terra per la sua possessione» Salmi 2:8.
andò in paese lontano,
Questo paese lontano rappresenta il cielo dei cieli, ove Cristo salì quaranta giorni dopo la sua risurrezione, e dove ora sta alla destra del Padre, finché «i suoi nemici saranno posti per iscannello dei suoi piedi» Salmi 90:1; Ebrei 1:13, e da dove ritornerà solo al tempo del «ristoramento di tutte le cose» Atti 3:21.
per prendere la possession d'un regno, e poi tornare.
Dacché i Romani aveano unito all'impero la Siria e la Palestina, quelli che esercitavano l'autorità regia in quei paesi erano meri loro vassalli, e dovevano andar fino a Roma per ricevere l'investitura. Tal fu il caso di Erode il Grande, di Archelao e di Filippo suoi figliuoli e dei suoi nipote e pronipote che portavano il nome di Erode Agrippa, cosicché le parole del Signore relativamente al viaggio di quel nobile uomo in lontano paese, per ricevervi il suo regno, dovevano riuscire perfettamente intelligibili ai suoi uditori. In quanto a se medesimo, prendere a se stesso un regno, denota la sua istallazione nel suo potere celeste, la preparazione ed il governo del suo regno messianico in terra, mediante lo Spirito mandato a, proseguir l'opera sua nella Chiesa, e la sua investitura indicata nelle parole: «ogni podestà mi è data in cielo ed in terra» Matteo 28:18, finché non ritorni all'ultimo giorno a giudicar le genti.

PASSI PARALLELI
Matteo 25:14-30; Marco 13:34-37
Luca 20:9; 24:51; Matteo 21:38; Marco 12:1; 16:19; Atti 1:9-10
Matteo 28:18; Giovanni 18:37; 1Corinzi 15:25; Efesini 1:20-23; Filippesi 2:9-11; 1Pietro 3:22
Atti 1:11; 17:31; Ebrei 9:28; Apocalisse 1:7

13 13. E, chiamati a sé dieci suoi servitori
scelti dalla moltitudine di schiavi, domestici, lavoratori nei campi, artigiani ecc., che secondo l'uso dei tempi doveva possedere un uomo del suo rango. Non è da darsi nessun senso particolare al numero di questi servi scelti fra tutti; non si può riferirlo agli Apostoli, poiché erano dodici. Essendo 10 una cifra tonda o perfetta, Gesù l'avrà scelti unicamente per indicare una squadra sufficiente a compiere l'opera nel regno di questo nobile, benché sieno pochi di fronte alla moltitudine dei cittadini ostili, fra i quali dovevano lavorare. In un senso spirituale, i servitori chiamati a quel modo non includono solo i discepoli che Gesù avea messi da parte durante il suo ministero terreno, ma tutti quelli che ha chiamati d'allora in poi o chiamerà ancora a proclamare agli uomini che periscono la via della salvezza, e a far progredire il suo vangelo in sulla terra. «I primi», dice Van Brun, «non furono chiamati se non dopo aver ricevuti i doni che li resero atti a compiere l'opera che il Signore aveva in vista; gli altri, al contrario, trovano queste vocazioni nei doni che vengono loro conferiti alla nascita, o che egli compartisce loro dopo, mediante il suo Spirito».
diede loro dieci mine
La mina attica valeva 100 dramme, o circa 80 Lire italiane, ed è una piccola somma paragonata coi talenti di Matteo 15, ciascuno dei quali, supponendo che si trattasse del talento ebraico d'argento, valeva 60 mine, ossia L. it. 8554.68. Nella parabola di Matteo 25, il Signore parla esclusivamente agli Apostoli, che avea educati in modo speciale durante il suo ministero terreno per l'opera che intendeva affidar loro, epperciò in quella parabola vengon date ai servitori delle somme diverse secondo la diversa loro capacità; ma in questa (che fu detta prima dell'altra in quanto a tempo, e rivolta a tutto il corpo dei discepoli), si vede quel nobile mettere tutti i suoi servitori stillo stesso piede, dando a ciascuno una mina, perché Cristo intendeva insegnare che tutti devono essere ugualmente diligenti e zelanti nell'avanzare il suo regno, per quanto sieno diverse le circostanze esterne, i vantaggi, e le opportunità di ciascuno. Nella distribuzione dei premii, il Signore terrà in debito conto quelle differenze, ed allora si troverà che le più alte ricompense toccheranno forse a quelli che hanno goduto vantaggi minori quaggiù. Nell'accordarci la grazia della conversione, Gesù mette nelle mani di ciascuno la mina colla quale dobbiamo lavorare per la sua gloria; tutti partono dallo stesso punto, e quelli cui l'amore di Cristo costringa più efficacemente a lavorare con perseveranza a condurgli delle anime, saranno da lui maggiormente onorati, quando tornerà a fare i conti coi suoi servitori. «Un cavillatore», dice Trench, «fa la notevole domanda: Perché non distribuì egli delle armi ai suoi servitori? Questo sarebbe stato in quelle circostanze la cosa più naturale da farsi. La più naturale senza dubbio, e lo sentì pur Pietro quando spiccò l'orecchio del servitore del sommo sacerdote; insieme a tutti quelli che cercano di far la guerra al mondo colle sue proprie armi, per adempiere la giustizia di Dio, mediante l'ira dell'uomo. L'identificare in quel modo la Chiesa con un regno di questo mondo è stata l'idea della Chiesa di Roma e degli Anabattisti».
e disse moro: Trafficate, finché io venga.
Fra i Romani, gli schiavi non erano tutti impiegati a fare i servizii in casa, alcuni di essi ricevevano un'istruzione letteraria e venivano impiegati come maestri o come scribi; altri erano abili artefici che esercitavano per proprio conto mestieri o commerci, il capitale dei quali era provveduto dai loro padroni che reclamavano poi una parte o il totale dei profitti, vedi nota Matteo 25:14-15.

PASSI PARALLELI
Matteo 25:14; Giovanni 12:26; Galati 1:10; Giacomo 1:1; 2Pietro 1:1
Matteo 25:15; Romani 12:6-8; 1Corinzi 12:7-11,28-29; 1Pietro 4:9-11

14 14. or a suoi cittadina l'odiavano, e gli mandarono dietro un'ambasciata, dicendo: Noi non vogliamo che costui regni sopra noi.
Questo versetto fu pronunziato come un ammonimento alla moltitudine che lo circondava nel suo viaggio, e fra la quale molti non erano suoi discepoli. Esso accenna alle disposizioni ed alla condotta della massa della nazione giudaica e dei suoi capi, i quali non solo l'odiarono durante la sua vita e nella sua morte; ma dopo il suo ritorno al cielo, colsero ogni occasione col perseguitare i suoi servitori, di dichiarare che non lo volevano per re. Un incidente appropriato derivato dalla politica dei tempi serve, qui al Signore, per indicare l'ostinata inimicizia dei Giudei dopo la sua partenza. Quando si seppe in Giudea che Archelao figlio di Erode il Grande era partito per Roma affin di ottenervi da Augusto la conferma del suo diritto di regnare sopra la Giudea, i suoi sudditi, conoscendo il suo carattere e sapendo cosa si poteva aspettare da lui, mandarono a Roma un'ambasciata per protestare contro la sua nomina, e impedirla in tutte le maniere. I loro sforzi però furono vani; Archelao ritornò in trionfo. Questo fatto era tuttora presente alla mente di molti e dava alla parabola un significato molto chiaro. I messaggi che il popolo vien qui rappresentato come mandando figurativamente dietro al Apocalisse Gesù per opporsi a lui alla corte di Colui che è la fonte suprema di ogni potere ed autorità, furono numerosi abbastanza, la persecuzione dei suoi servitori, la lapidazione di Stefano, la decapitazione di Giacomo, l'imprigionamento di Pietro, le persecuzioni di Paolo, contro cui i Giudei eccitavano dovunque l'ira dei pagani, e la maledizione pronunziata contro ogni Israelita che abbraccerebbe la fede, Cristiana. Fra quei ribelli al Apocalisse che Dio «ha consecrato in Sion, monte della sua Santità», e che egli distruggerà quando verrà a giudicare il mondo, devono essere compresi quelli che in ogni tempo ricusano di riceverlo come Dio, e fanno di lui un mero maestro o profeta, e tutti i malvagi che dichiarano apertamente con parole od atti di non volergli star soggetti come loro Signore, dai tempi apostolici, fino agli «schernitori degli ultimi giorni» 2Pietro 3:3.

PASSI PARALLELI
Luca 19:27; 1Samuele 8:7; Salmi 2:1-3; Isaia 49:7; Zaccaria 11:8; Giovanni 1:11; 15:18,23-24
Atti 3:14-15; 4:27-28; 7:51-52

15 15. Ed avvenne che quando egli fu ritornato, dopo aver presa la possession, del regno, comandò che gli fosser chiamati quei servitori, ai quali avea dati i danari, acciocché sapesse quanto ciascuno avea guadagnato trafficando.
Il suo scopo era di accertarsi della operosità e del successo di ognuno. Questa parte della parabola descrive la seconda venuta di Cristo, quando egli assumerà la sua potenza ed il suo regno, e farà i conti così coi suoi servitori come coi suoi nemici. Egli allora metterà in luce dinanzi a Dio e, dinanzi agli uomini tutti i segreti moventi delle azioni umane e ne darà un giudizio universale e definitivo.

PASSI PARALLELI
Salmi 2:4-6
Luca 23
Luca 12:48; 16:2-13; Matteo 18:23-35; 25:19; Romani 14:10-12; 1Corinzi 4:1-5

16 16. E il primo si presentò, dicendo: Signore, la tua mina ne ha guadagnate altre dieci... 26. Perciocché io vi dico, che a chiunque ha, sarà dato; ma, a chi non ha, eziandio quel ch'egli ha gli sarà tolto.
C'è tanta somiglianza fra questa parte della parabola, e la porzione corrispondente di quella di Matteo 25, che già abbiamo esposta, che a quella rimandiamo il lettore, purché solo ricordi che in questa ci vengono messi dinanzi agli occhi diversi gradi di future gratuite ricompense, proporzionate alla misura della nostra fedeltà presente.

PASSI PARALLELI
1Cronache 29:14-16; 1Corinzi 15:10; Colossesi 1:28-29; 2Timoteo 4:7-8; Giacomo 2:18-26

24 24. Allora egli disse a coloro ch'erano ivi presenti:
Non erano questi i compagni dell'infedele e neghittoso servitore, ma le guardie reali, che erano lì per mantener l'ordine ed eseguire gli ordini del principe. Son qui rappresentati gli angeli che circonderanno il Figliuol dell'uomo al suo ritorno in gloria Matteo 25:31; 2Tessalonicesi 1:7. Essi raduneranno tutte le nazioni dinanzi a lui, ed eseguiranno la sentenza che egli pronunzierà contro a ciascuno secondo le sue opere Matteo 13:41-42.
Toglietegli la mina, e datela a colui che ha le dieci mine.
Osservisi che il castigo positivo minacciato in Matteo al servitore negligente vien qui omesso, forse perché il giudizio sui nemici ancora non è stato pronunziato. Ma non ne dobbiamo inferire che i Cristiani infedeli non verranno castigati all'ultimo giorno, perché la privazione dei loro privilegi ed il ritiro dei doni che avean ricevuti, descritti in questa parabola, implicano evidentemente che essi verranno scacciati per sempre dalla presenza del Signore.

PASSI PARALLELI
Luca 12:20; 16:2

25 25. (Ed essi gli dissero: Signore, egli ha dieci mine).
Questa esclamazione di sorpresa non procede dagli angeli, né, secondo noi, fa parte della parabola, benché alcuni l'attribuiscano alle miriadi che stanno aspettando la loro sentenza nel gran giorno; ma è l'espressione della profonda meraviglia della moltitudine che stava ascoltando la parabola. Sembrava loro una prodigalità eccessiva il dare ad uno che aveva già tanto. Nel versetto che segue, Gesù spiega che tale è la legge del suo regno spirituale.

PASSI PARALLELI
Luca 16:2; 2Samuele 7:19; Isaia 55:8-9

27 27. Oltre a ciò, menate qua que' miei nemici, che non hanno voluto che io regnassi sopra loro, e scannateli in mia presenza.
Questi nemici che avevano cercato di impedire la sua ascensione al trono, si erano anche adoperati a tutt'uomo, senza dubbio, per danneggiare i suoi interessi nella sua assenza; ma è giunta per essi l'ora della retribuzione, ed una rovina inesorabile li colpisce. Il nostro Signore accenna primieramente al terribile destino che aspettava i Giudei quando, nella sua provvidenza, manderebbe fra di loro l'esercito romano per eseguire le sue vendette, per distruggere la loro città e la loro nazione; ma le sue parole hanno pure in vista la perdizione finale di tutti quelli che saranno morti nell'incredulità e nella ribellione contro di lui. Ryle vede in questo versetto una terribile e segnalata punizione che aspetta al giorno del giudizio la generazione dei Giudei che resistettero a Cristo mentre era in sulla terra. «Essi saranno risuscitati», egli dice, «e condotti dinanzi al tribunale di Cristo, per ricevervi il condegno castigo dell'enorme peccato commesso nell'uccidere il Signore della gloria. Benché abbiano apparentemente trionfato al giorno della sua crocifissione, Cristo annunzia in parabola che li aspetta un giorno di retribuzione esemplare».

PASSI PARALLELI
Luca 19:14,42-44; 21:22,24; Numeri 14:36-37; 16:30-35; Salmi 2:3-5,9; 21:8-9
Salmi 69:22-28; Isaia 66:6,14; Nahum 1:2,8; Matteo 21:37-41; 22:7; 23:34-36
1Tessalonicesi 2:15-16; Ebrei 10:13

RIFLESSIONI
1. «La parabola delle dieci mine è calcolata per combattere quattro errori. La gente poteva facilmente immaginarsi che questo regno del Messia verrebbe presto manifestato. che sarebbe immediatamente visibile in sulla terra, che tutti lo riceverebbero con gioia e finalmente che non imporrebbe ai suoi sudditi altro compito che di godere nell'inazione le grazie ricevute. Alla prima idea contradice il fatto che prima deve esser fatto un lungo viaggio, e quindi che deve naturalmente trascorrere un tempo assai lungo. La seconda aspettazione è confutata dal fatto che il principe legittimo ha da ricevere altrove e non quì, le redini del governo, prima di poter esercitare la sua autorità nei proprii dominii. A distruggere il terzo errore il Signore stimò necessario descrivere l'inimicizia aperta, ostinata, senza fondamento, e finalmente inutile che fa suscitata contro a quel Apocalisse. Contrasta alla quarta opinione il mandato affidato ai dieci servitori, ossia il dovere imposto a tutti di cooperare all'avanzamento della sua causa. Partendo, non li lascia nella posizione di orgogliosi guerrieri, ma in quella di umili artefici, con un piccolo capitale da far valere, immagine calcolata a disperdere, per il momento almeno, tutte le utopie della loro immaginazione, presentando loro invece di quelle, le esigenze della più severa realtà» (Oosterzee). Vedi Riflessioni in Matteo 25:30.

28 Luca 19:28-44. ENTRATA TRIONFALE DI CRISTO IN GERUSALEMME, E SECONDA SUA LAMENTAZIONE SU QUELLA CITTÀ Matteo 21:1-11; Marco 11:1-11; Giovanni 12:12-19

28. Ora, avendo dette queste cose, egli andava innanzi, salendo in Gerusalemme.
La premura di Gesù per giungere a Gerusalemme ove dovea compiersi il suo battesimo di sangue, quella premura che già avea stupito gli Apostoli in Perea, si manifestò novamente in quest'ultimo stadio del suo viaggio, vedi note Marco 10:32. (Per la descrizione, della parte più bassa della via da Gerico a Gerusalemme, vedi note Luca 10:30.) Nella parte più elevata di quella, non rimangono rovine di villaggi distrutti, e il solo oggetto di interesse è una sorgente, mezz'ora circa ad E. di Betania., chiamata dagli Arabi Bir el Haoud, e dai moderni pellegrini «il Pozzo degli Apostoli», dove si dice che usassero riposarsi salendo a Gerusalemme, e che viene identificata col En, Shemish Giosuè 18:17, uno dei termini della frontiera meridionale di Beniamino. Giovanni ci dà nel suo Vangelo Giovanni 12:1, di quest'ultima parte del viaggio del Signore alcuni particolari interessanti, che nella concisione del loro racconto i Sinottici non ci hanno conservati, ma che vanno messi fra questo versetto ed il seguente. Ci dice che il Signore giunse in Betania sei giorni prima della Pasqua, e vi si fermò un giorno intero. Siccome la Pasqua, per ordine espresso di Dio, celebravasi il 14 del mese di Nisan, contando all'indietro sei giorni (all'infuori della Pasqua, ma compreso il giorno dell'arrivo), Gesù sarebbe giunto a Gerico l'8 di Nisan, e supponendo che il 14 fosse un giovedì, l'8 sarebbe caduto il venerdì antecedente. Prima del tramonto del sole, e del principio del Sabato, Gesù condusse il suo viaggio a termine, senza dubbio, in casa di Lazaro. Lì si riposò il sabato, secondo la legge, nella società dei suoi amici, ed è probabile che la cena in casa di Simone il lebbroso Matteo 26:6; Marco 14:3; Giovanni 12:2, ebbe luogo la stessa sera, dopo il tramonto, quando già era cominciato il primo giorno della settimana. In quello stesso giorno, 10 di Nisan, in cui l'Agnello pasquale veniva separato dal resto della greggia, per esser conservato fino al 14 Esodo 12:5-6, Gesù lasciò Betania per Gerusalemme.

PASSI PARALLELI
Luca 9:51; 12:50; 18:31; Salmi 40:6-8; Marco 10:32-34; Giovanni 18:11; Ebrei 12:2
1Pietro 4:1

29 Entrata trionfale di Cristo in Gerusalemme, Luca 19:29-40

29. E, come egli fu vicino di Betfage, e di Betania, presso al monte, detto degli Ulivi,
La menzione di Betfage prima di Betania ha indotto molti scrittori a credere che quello fosse situato ad Oriente di questo, e ad identificarlo col moderno villaggio di Abu, Dis, che si trova dall'altra parte di un piccolo ma profondo Wadì alquanto al S. E. di Betania. Ma un esame più accurato dei varii racconti evangelici, ed un poco di riflessione, avrebbero dovuto fare abbandonare una tale teoria, imperocché, secondo quella, dopo esser rimasto un giorno e due notti a Betania, il Signore avrebbe dovuto mandare i due discepoli indietro, ad un villaggio già passato, posto ad una distanza considerevole dal monte degli Ulivi, per prendervi l'asinello, e la processione trionfale avrebbe dovuto cominciare a Betania; mentreché, secondo Matteo 21:1; Giovanni 12:12,14, fu dopo essere uscito da Betania che mandò avanti due suoi discepoli per procurargli la sua cavalcatura. La teoria di Godet che Betfage fosse un distretto assegnato come luogo di accampamento all'infuori della città per le moltitudini che accorrevano alle feste solenni, e non potevan trovare alloggio dentro le mura, e che in quel distretto fosse inclusa anche Betania, non è punto più soddisfacente. La difficoltà svanisce, se supponiamo che lo Scrittore sacro, avendo parlato per l'appunto allora di Gerusalemme, enumera quei villaggi secondo la loro posizione relativamente alla capitale e non già relativamente a Gerico. La seguente descrizione dì Betfage è tolta dal mio libro La Tenda ed il Khan, scritto molti anni fa, dopo un viaggio in Palestina. «Uscendo da Betania per la strada che da Gerico sale a Gerusalemme, si trovano due ciglioni del monte degli Ulivi che si estendono assai al di là di questa strada verso il mezzogiorno, nella direzione della Valle del Kedron, Wadi en Nar; fra di essi havvi un burrone profondo, pieno di, fichi, i cui frutti hanno la rinomanza di essere i primi maturi nelle vicinanze di Gerusalemme. Giunti a quel punto dove la strada segue il primo di questi sproni di monte, si ha tuttora Betania in vista indietro, e proprio di fronte l'altro sprone che è più vicino a Gerusalemme. Per fare il giro di quel burrone, la strada fa primieramente un gran giro a N., poi torna a Mezzogiorno, seguendo i contorni della montagna. Sulla falda dello sprone più vicino a Gerusalemme, scopriamo le traccie di un antico villaggio, cisterne, vasi rotti, traccie di fondazioni di case tagliate nella solida roccia ecc., le quali corrispondono esattamente alla descrizione che gli Evangeli ci dicono di Betfage. Se il Signore avesse voluto additare Betfage ai suoi discepoli dal punto dove ci trovavamo sullo sprone più vicino a Betania, non lo avrebbe potuto fare in modo più chiaro che colle parole: "che è qui di rincontro". Eravi probabilmente allora, come ora, una scorciatoia da un promontorio all'altro, per le ripide chine di quel burrone, e quando il Signore mandò innanzi quei due discepoli, indicò loro senza dubbio di scegliere quel sentiero, e di tener l'asinello in pronto per il suo arrivo in sulla strada maestra vicino a Betfage, mentre egli seguiva le evoluzioni della strada col resto dei suoi discepoli e colle moltitudini. Betfage in ebraico significa "la casa dei fichi", ed il fatto già ricordato che in questa stretta vallata i fichi maturano più presto che altrove nel vicinato di Gerusalemme è una prova di più che quella è la vera situazione di quel villaggio».
mandò due dei suoi discepoli; 30. Dicendo: Andate nel castello, che e qui di rincontro; nel quale essendo entrati, troverete un puledro d'asino legato, sopra il quale niun uomo giammai montò; scioglietelo e menatemelo,
Matteo «E subito troverete un'asina legata e un puledro con essa, scioglieteli e menatemeli». Marco e Luca non fanno menzione dell'asina, e non riportano la profezia di Zaccaria 9:9; ma Matteo fa l'una e l'altra cosa, affin di far vedere ai suoi connazionali, a prò dei quali specialmente scriveva, come l'adempimento corrispondesse in ogni più minuto particolare alla profezia. Dice invero: «Tutto ciò fu fatto acciocché si adempiesse ciò che fu detto dal profeta: Dite alla figliuola di Sion: Ecco il tuo Re viene a te mansueto, e montato sopra un puledro, figlio di un'asina» Matteo 21:4-5. Entrambi furono presi, perché il puledro non avvezzo ad essere cavalcato, camminerebbe più tranquillamente, sentendosi vicina la madre. Marco e Luca soli ricordano che su quel puledro «niun uomo giammai montò». Secondo il cerimoniale della legge, venivano tenuti come particolarmente atti per iscopi sacri quegli animali che non erano mai stati assoggettati a qualsiasi lavoro, sia nel portare le persone, sia nel portare il giogo 1Samuele 6:7. Il cavalcare un asino non indicava né povertà, né degradazione; quella era la cavalcatura propria dei rettori d'Israele, epperciò adatta al Re di Sion nell'entrar nella capitale del suo regno. Il cavallo era emblema di guerra, e Dio ne aveva espressamente proibito la moltiplicazione nel paese d'Israele Deuteronomio 17:16, legge che fu primieramente violata da Salomone 1Re 10:25. L'asino al contrario era l'emblema della pace Giudici 10:4; 12:14.

PASSI PARALLELI
Matteo 21:1-11; Marco 11:1-11; Giovanni 12:12-16
Luca 19:37; 21:37; 22:39; 24:50; Zaccaria 14:4; Atti 1:12
Luca 19:32; 22:8-13; 1Samuele 10:2-9; Giovanni 14:29

31 31. E, se alcun vi domanda perché voi lo sciogliete, ditegli così: Perciocché il Signore ne ha bisogno.
Notisi il titolo glorioso che Gesù prende qui per sé stesso. Significa più che semplicemente: il nostro Maestro, è inteso a indicare almeno la sua dignità come Re Messia. Ma alcuni dei migliori critici sono di opinione che la parola il Signore usata in questo senso assoluto, coll'articolo, è particolarmente enfatica, e indica in Cristo il Padrone di tutte le cose, in una parola, ce lo presenta come Dio. Perché nessuno li sospettasse di voler rubare, i suoi discepoli dovevano dire: «Il Signore ne ha bisogno», e quelli cui queste parole verrebber dette avrebbero lasciato l'animale a loro volontà. In un senso, il Signore non ha bisogno degli uomini, delle loro sostanze, o dei loro servigi, perché egli è «il Signore di «tutti» Salmi 50:9-12; in un altro senso, ne ha bisogno quando per proprio volere determina di farne uso, come strumenti per adempiere i suoi disegni. Ricordiamoci pure che, per la sua umiliazione, il Figlio di Dio erasi ridotto in uno stato di bisogno, in senso letterale, poiché «essendo ricco, si era fatto povero» 2Corinzi 8:9. Gli occorreva quel puledro a quel tempo, per il suo trionfo e per l'adempimento della profezia. Matteo e Marco aggiungono: «E subito lo manderà qua». È stato supposto (ed era cosa naturale) che i padroni di quel puledro fossero amici di Gesù epperciò volentieri glielo prestassero, perché certi di riaverlo. Non dobbiamo però scordare la potenza, colla quale può rendere chi vuole ubbidiente al suo volere, e che senza dubbio è stata esercitata sopra la mente, di quelle persone.

PASSI PARALLELI
Salmi 24:1; 50:10-12; Matteo 21:2-3; Marco 11:3-6; Atti 10:36

32 32. E coloro ch'eran mandati andarono, e trovarono come egli avea lor detto. 33. E, come essi scioglievano il puledro, i padroni d'esso dissero loro: Perché sciogliete voi quel puledro? 34. Ed essi dissero: Il Signore ne ha bisogno.
A questo racconto, Marco aggiunge: «E trovarono il puledro fuori ad una porta, presso ad un capo di strada», letteralmente, al congiungimento di due strade, quella cioè per cui i discepoli eran venuti e l'altra che veniva dal villaggio, a N., per raggiungere la strada da Gerico a Gerusalemme sulla quale doveano incontrar Gesù. Dalla maggior minutezza con cui Marco riferisce questo incidente, e dall'idea generale che Pietro gli abbia fornito i materiali pel suo Vangelo, è molto probabile che Pietro medesimo fosse uno dei messaggeri di Gesù in questa circostanza. Si è pensato che l'altro sia stato Giovanni, per l'unica ragione che alcuni giorni dopo, questi due discepoli furono mandati da Gesù a scegliere il luogo dove aveano da mangiare la cena pasquale. Una gran varietà di quelli che gli uomini chiamano casi fortuiti, che la mera sagacità umana, non avrebbe potuto prevedere, son qui chiaramente profetati dal Signor Gesù, e tutti accaddero esattamente come egli avea predetto. In ciò abbiamo una delle molte prove della sua divina conoscenza. Ci conduca questo a pensare con gioia che egli conosce tuttora ogni cosa, e che tutte le cose che egli annunzia accadranno infallantemente.

PASSI PARALLELI
Zaccaria 9:9; Giovanni 10:35; 12:16; 2Corinzi 8:9

35 35. E lo menarono a Gesù; e gittaron le lor veste sopra il puledro e vi fecero montar Gesù sopra.
L'omaggio reso in questa circostanza dagli Apostoli al loro Maestro è indicato dal loro spogliarsi delle loro vesti di sopra, affin di provvedergli una sella conveniente, e dalla parola, impiegata solo da Luca, e che significa che lo sollevarono in sulle loro braccia e lo misero a cavallo. Vedi Luca 10:34 dove lo stesso verbo è usato.

PASSI PARALLELI
2Re 9:13; Matteo 21:7; Marco 11:7-8; Giovanni 12:14; Galati 4:15-16

36 36. E, mentre egli camminava, stendevan le lor veste nella via.
Si parla quì di «tutta la moltitudine, dei discepoli» mentovata, nel versetto seguente.

37 37. E, come egli già era presso della scesa dei monte degli ulivi,
La processione poteva giungere in dieci minuti dal punto in cui la via di Gerico incontrava il sentiero di Betfage, fino al ciglio che unisce il monte degli Ulivi, al N., a quello del Malconsiglio, al S., e da dove la strada scende nella valle di Giosafat, e al torrente Kedron, costeggiando il pendio occidentale del monte Uliveto. Da quel punto, si gode una delle più belle viste di Gerusalemme, e chiunque l'ha contemplata non la può mai più scordare. Il recinto del tempio (ora chiamato el Haram) si estende proprio al disotto, sul monte Moria, e Gerusalemme si estende al di là di quello, verso l'Occidente ed il Nord. Su questo bel panorama si fissò l'occhio di Gesù, giungendo in vetta a questo passo. Il tempio risplendente d'oro e d'argento, sotto i raggi del sole, deve aver presentato uno spettacolo maraviglioso. Eran tuttora vere le parole del Salmista: «il monte di Sion, il fondo verso il Settentrione, la Città del gran Re, è in bella contrada, è la gioia di tutta la terra» Salmi 48:3.
tutta la moltitudine de' discepoli con allegrezza prese a lodare Iddio con gran voce,
Matteo e Marco dànno un resoconto più particolareggiato dell'accoglienza che Gesù ricevette in questa occasione. Quest'ultimo dice Marco 11:8-9: «Molti distendevano le loro veste nella via, e altri tagliavano dei rami dagli alberi e li distendevano nelle vie. E coloro che andavano avanti, e coloro che venivano dietro, gridavano dicendo: Osanna» ecc. Giovanni 12:12, aggiunge altri ragguagli: «Il giorno seguente una gran moltitudine, ch'era venuta alla festa, udito che Gesù veniva in Gerusalemme, prese dei rami di palme, ed uscì incontro a lui» ecc. Da queste varie sorgenti veniamo a sapere che oltre alla moltitudine che accompagnava Gesù in questo suo viaggio, un'altra folla di gente, giunta già in Gerusalemme da altre parti della Giudea, si fece avanti per acclamarlo. Dobbiamo supporre che molti dei discepoli qui mentovati da Luca non erano tali in cuore. Seguivano il Signore forse in molta ignoranza, e dietro speranze i illusorie; ma il fatto mostra che fino a questo tempo Gesù era molto popolare fra la gente minuta, e che per un impulso divino tutti furono eccitati ad adempiere la profezia: «Dite alla figliuola di Sion: Ecco il tuo Re viene», ecc.
per tutte le potenti operazioni, che avean vedute,
Bartimeo che avea seguito Gesù Luca 18:43, era probabilmente fra quelle gente; la risurrezione di Lazaro era tuttora fresca nella memoria di molti che erano andati il giorno prima da Gerusalemme a Betania per vederlo, e sappiamo da Giovanni che questo contribuì molto ad accrescere l'entusiasmo della moltitudine Giovanni 12:9,18; ma le parole di questa clausola si riferiscono non ad un miracolo speciale, ma a tutti quelli che egli avea compiuti in tutto il paese. Lungi dal dividere l'empia opinione dei Farisei che cioè Gesù «non scacciasse i demoni che per Beelzebub, principe dei demoni». la moltitudine credeva che nessuno all'infuori di Dio poteva far le opere che Gesù faceva, e perciò a Dio ne davano tutta la gloria.

PASSI PARALLELI
Luca 19:20; Marco 13:3; 14:26
Luca 7:16; Esodo 15:1-18; Giudici 5:1-31; 2Samuele 6:2-6; 1Re 8:55-56; 1Cronache 15:28
1Cronache 16:4-7; 2Cronache 29:28-30,36; Esdra 3:10-13; Salmi 106:12-13
Giovanni 12:12-13

38 38. Dicendo: Benedetto sia il Re, che viene nel nome del Signore;
Matteo: «Osanna al Figliuol di Davide! Benedetto sia il regno di Davide nostro padre, il quale viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!» Giovanni: «Osanna! Benedetto sia il Re d'Israele, che viene nel nome del Signore!» Ecco alcune fra le giulive acclamazioni colle quali Cristo fu salutato in questa circostanza, secondo l'impressione che esse fecero sugli scrittori, o su quelli dai quali questi derivarono le loro informazioni Osanna significa: «Salva ora». o «Salva, te ne supplichiamo» e fatta pel loro Re era una preghiera per la sua vittoria. Sembra esser stata poi usata, come un grido trionfante di lode e di lieta accoglienza, uguale in significato alla preghiera: «Dio salvi il Re!» Essi lo acclamano figlio di Davide, come erede di Davide per discendenza, e come Messia, cui quel titolo veniva comunemente applicato. Lo chiamano pure il Re d'Israele, ed il suo regno, il regno di Davide nostro padre, dicendo di entrambi che «vengono nel nome del Signore», perché, egli avea promesso di ristabilire il caduto trono di Davide. Essi prendevano in senso temporale quello che era stato detto spiritualmente, e salutavano quel giorno come il principio di quel regno temporale che sospiravano da tanto tempo. Il senso delle loro acclamazioni è: "prosperità al regno di Davide, il quale sta per essere ristabilito, secondo la fattagli promessa, dal suo discendente il Messia così lungamente aspettato!" in queste esclamazioni vi è un ricordo evidente di Salmi 118:25, che era uno dei Salmi della Pasqua.
pace in cielo, e gloria ne' luoghi altissimi!.
Questa acclamazione trovasi solo in Luca e vuol dire: «Siano la pace ed ogni grazia dispensate da Dio in cielo, mediante la riconciliazione che il Messia viene ad effettuare fra la terra ed il cielo, ed in contraccambio diasi gloria a Dio dagli uomini coi più alti accenti, e dagli eccelsi angeli nei cieli altissimi». Questo rassomiglia al canto degli angeli la notte della nascita del Signore. Luca omette l'Osanna, forse perché non sarebbe stato intelligibile ai Gentili per cui scriveva.
Giovanni aggiunge al suo racconto dell'entrata, trionfale di Gesù in Gerusalemme una osservazione degna di nota, e che deve essere riportata qui: «Or i suoi discepoli non intesero dapprima queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, allora si ricordarono che queste cose erano state scritte di lui e che, essi gli avean fatte queste cose» Giovanni 12:16. Egli confessa che mentre erano attori e spettatori di questa scena trionfale, gli Apostoli non seppero vedervi significato più alto di uno scoppio di entusiasmo popolare, e solo dopo ricevuto lo Spirito alla Pentecoste ebbero la mente aperta per comprendere che in quel giorno aveano avuto parte all'adempimento di profezie che del Messia erano state fatte centinaia di anni avanti, nei Salmi, ed in Zaccaria. Giovanni dice di più Giovanni 12:18-19: «La moltitudine adunque che era con lui testimoniava che, egli avea chiamato Lazaro fuori del monumento, e l'avea risuscitato dai morti. Perciò ancora la moltitudine gli andò incontro, perciocché avea udito che egli avea fatto questo miracolo. Laonde i Farisei disser tra loro: Vedete, non profittate nulla; ecco, il mondo gli va dietro». Da queste parole risulta chiaramente che la fama della risurrezione di Lazaro spinse molti in questa folla ad acclamare Gesù al suo arrivo in Gerusalemme, e che i Farisei trovarono in quel miracolo un ultimo e decisivo argomento per toglier Gesù da questa vita al più presto possibile.

PASSI PARALLELI
Luca 13:35; Salmi 72:17-19; 118:22-26; Zaccaria 9:9; Matteo 21:9; Marco 11:9-10
Luca 2:10-14; Romani 5:1; Efesini 2:14-18; Colossesi 1:20
Efesini 1:6,12; 3:10,21; 1Timoteo 1:17; 1Pietro 1:12; Apocalisse 5:9-14; 19:1-6

39 39. Ed alcuni de' Farisei d'infra la moltitudine gli dissero: Maestro, sgrida i tuoi discepoli.
Questo incidente viene ricordato dal solo Luca. Alcuni di quei nemici di Gesù sembrano averlo seguito dappertutto, spiandolo sempre; non è dunque strano trovarli in mezzo a questa folla, ma grande davvero fu la loro impudenza nel rivolgersi a Gesù, perché facesse tacere i suoi discepoli. Lo tenevano più o meno responsabile dello zelo, a parer loro eccessivo, dei suoi discepoli, e s'immaginarono che una sua parola sarebbe bastata a ridurli al silenzio. Questo appello non fu prodotto unicamente dal timore di perdere il loro potere, bensì da una inimicizia disprezzante e minacciosa, quasiché dicessero: "Non lasciarti dare un titolo cui non hai diritto. Bada a te stesso. Ti avvertiamo dell'onta e del gastigo che seguiranno per certo una dimostrazione come questa". «Il loro era precisamente lo spirito del socinianismo moderno; quelle espressioni profetiche, quei titoli gloriosi applicati ad uno che per essi era un semplice "Maestro" li offendevano» (Alford).

PASSI PARALLELI
Isaia 26:11; Matteo 23:13; Giovanni 11:47-48; 12:10,19; Atti 4:1-2,16-18
Giacomo 4

40 40. Ed egli, rispondendo, disse loro: Io vi dico che, se costoro si tacciono, le pietre grideranno.
Era questa una espressione proverbiale usata dai Greci e dai Romani, non meno che dagli Ebrei. La troviamo già in uso ai tempi del profeta Abacuc 2:11. La testimonianza resa in quel giorno al suo uffizio regale era dunque stata, espressamente preveduta da Dio e predetta dai profeti; era necessario che l'attenzione di tutti quelli che si trovavano allora in Gerusalemme fosse attirata su di lui, e sul suo titolo reale, e che la colpa di crocifiggere, alcuni giorni dopo, il suo re, sapendolo tale, gravasse poi sull'intera nazione. Tale era lo scopo di questa notevolissima dimostrazione, e la risposta di Gesù significa che prima di lasciargli mancare l'onore che gli era dovuto, la natura inanimata gli avrebbe reso una testimonianza. miracolosa. Le pietre grideranno, fut., ma i più dei critici preferiscono paulo post, fut., comincerebbero subito a gridare. «In addietro, il Signore avea frenate tutte le dimostrazioni in suo favore; da qualche tempo però, avea cominciato a seguire un metodo opposto, ed in questa circostanza aprì tutta l'anima sua alla esultante ed universale acclamazione, con una soddisfazione misteriosa, considerandola come una parte così necessaria della regal dignità, colla quale come Messia entrava per l'ultima volta in Gerusalemme, che se non l'avesse offerta quella vasta moltitudine, la sarebbe venuta fuori dalle pietre stesse, anziché mancargli» (Brown).

41 Il Redentore piange sopra Gerusalemme, Luca 19:41-44

41. E, come fu presso della città, veggendola,
Questo accadde senza dubbio in vetta del ciglione che unisce il monte degli Ulivi a quello del Malconsiglio, così chiamato perché ivi Salomone edificò dei templi idolatri, per le sue mogli, pagane 1Re 11:7-8, perché da quel punto più elevato della strada egli poteva vedere il tempio e la città giacere ai suoi piedi.
pianse sopra lei,
La parola qui usata non è pianse, come in Giovanni 11:35, ma pianto unito a lamentazioni. Luca solo ci ha tramandato questo notevole e commovente incidente. Come son diverse le preoccupazioni di Gesù da quelle della moltitudine. Si avanza trionfalmente in mezzo agli osanna della folla, ma non prende, piacere attivo alcuno in quella scena, e l'ansietà che prova per gli altri gli fa scordare gli onori resi a sé stesso. Più ancora: contempla il luogo ove fra pochi giorni sa che sarà insultato, condannato e crocifisso, eppur dimentica i propri dolori, e non versa lagrime che su i mali di cui saranno tosto colpiti i suoi nemici!

PASSI PARALLELI
Salmi 119:53,136,158; Geremia 9:1; 13:17; 17:16; Osea 11:8; Giovanni 11:35
Romani 9:2-3

42 42. Dicendo: Oh: se tu ancora,
«Equivalente ad utinam novisses. Questo modo di esprimere un desiderio si usa quando esso non fu, o non può essere adempiuto» (Webster e Wilkinson).
almeno in questo giorno,
Nell'originale greco si legge: in questo tuo giorno, il che aggiunge immensamente al patetico di questa parola, quasiché al Signore fossero tornate in mente Capernaum, Betsaida e Corazin, il cui giorno di grazia già era passato, per render più vivo il suo desiderio di vedere un tal destino risparmiato alla città cui Dio avea conferito, nel passato, favori così segnalati. Questo era veramente il giorno di Gerusalemme. «L'intero periodo del ministero del nostro Signor Gesù Cristo fu un tempo di grazia preparato da ben venti secoli, ed ora, quasi diremo, concentrato tutto intero in quell'unico giorno nel quale il Signore entrò in Gerusalemme, come suo Apocalisse» (Oosterzee). Fu questo il giorno del suo più alto privilegio esterno, della sua maggior luce quando fu onorata dalla vista del Figlio di Dio come suo Salvatore e suo Apocalisse; fu questa la sua opportunità più favorevole per provvedere alla propria salvezza e felicità; momento importantissimo che già tirava al suo fine.
avessi riconosciute le come appartenenti alla tua pace:
Wettstein ed altri scorgono qui una allusione all'antico nome della città, cioè Salem, pace. La preservazione della città, la salvezza dei suoi abitanti, la loro quiete, prosperità e felicità finale, tutto questo è rinchiuso nelle «cose appartenenti alla tua pace», e questo potevano averlo solamente col ricevere Cristo qual Salvatore e Apocalisse, e col rendergli volonterosa e cordiale ubbidienza. In ogni età ed in ogni popolo, non meno che per ogni individuo, vera pace e sicurezza, benedizioni temporali e spirituali si trovano solo in lui; rigettarlo, come fecero gli abitanti di Gerusalemme, equivale a rigettar le cose appartenenti alla nostra pace.
ma ora, elleno sono nascoste agli occhi tuoi.
Da quello che avrebbe potuto essere, la mente di Gesù torna alla triste realtà, imperocché il contegno ostile dei Farisei, alcuni istanti prima, lo avea convinto che gli abitanti di Gerusalemme avevano indurito i loro cuori all'estremo, e persisterebbero nella loro impenitente incredulità; perciò procede profetando la caduta finale della loro città. La causa adunque della lamentazione del nostro Signore fu duplice: la rovina temporale che colpirebbe gli abitanti di Gerusalemme per le loro colpe nazionali, e la tremenda ed eterna condanna sotto la quale i più fra loro cadrebbero, per il loro peccato personale nel rigettare la salvezza offerta loro dal Messia, Figlio di Dio.

PASSI PARALLELI
Deuteronomio 5:29; 32:29; Salmi 81:13; Isaia 48:18; Ezechiele 18:31-32; 33:11
Luca 19:44; Salmi 32:6; 95:7-8; Isaia 55:6; Giovanni 12:35-36; 2Corinzi 6:1-2
Luca 1:77-79; 2:10-14; 10:5-6; Atti 10:36; 13:46; Ebrei 3:7,13,15; 10:26-29
Ebrei 12:24-26
Isaia 6:9-10; 29:10-14; 44:18; Matteo 13:14-15; Giovanni 12:38-41; Atti 28:25-27
Romani 11:7-10; 2Corinzi 3:14-16; 4:3-4; 2Tessalonicesi 2:9-12

43 43. Perciocché ti sopraggiugneranno giorni, nei quali i tuoi nemici ti faranno degli argini attorno,
Questa predizione si riferisce evidentemente all'assedio ed alla distruzione di Gerusalemme per opera degli eserciti romani, condotti da Tito Vespasiano. «L'alta critica» dei nostri giorni asserisce che i particolari qui enumerati di questo assedio sono così minuti che devono esser stati interpolati nel testo dopo quella catastrofe, il che equivale a negare audacemente a Gesù ogni conoscenza sovrannaturale dei futuri eventi, e ciò a dispetto dei fatti ricordati nei Vangeli che provano il contrario: come le sue predizioni relative al modo della sua morte, al tempo della sua permanenza nel sepolcro, alla sua risurrezione ed al rinnegamento di Pietro. Gli «argini», mentovati in questi versetti, erano doppi e palizzate di pali confitti in terra. per riempire quindi l'intervallo di rami e di terra, e, generalmente, fortificati per di dietro mediante un fosso ove si riparavano gli assedianti. Quando i Romani posero l'assedio a Gerusalemme, costruirono primieramente quattro immensi argini, in punti diversi; ma i Giudei fecero delle sortite notturne e li bruciarono, infliggendo perdite considerevoli agli assedianti,
e ti circonderanno, e ti assedieranno d'ogni intorno,
La minuta accuratezza di questa predizione del Signore è confermata appieno dal racconto di Flavio, che era coll'esercito romano, e, qual Giudeo, avverso al Cristianesimo, non può venir sospettato di parzialità verso Gesù. Egli ci dice che, dopo quei primi rovesci, Tito convocò un consiglio di guerra per studiare il mezzo migliore di spingere avanti l'assedio; alcuni dei suoi uffiziali proposero un assalto di tutto l'esercito alle mura, altri la ricostruzione degli argini, che erano stati bruciati; ma venne finalmente deciso di edificare un muro tutto attorno alla città, perché nessuno vi potesse più entrare, e ciò affin di ridurre gli abitanti per la fame. Questa opera stupenda della lunghezza di 39 stadii o 5 miglia, fu compiuta nello spazio incredibilmente breve di 5 giorni (Flavio Guerre Giud. 5:11,4,5; 52,1,2).

PASSI PARALLELI
Luca 21:20-24; Deuteronomio 28:49-58; Salmi 37:12-13; Daniele 9:26-27; Matteo 22:7; 23:37-39
Marco 13:14-20; 1Tessalonicesi 2:15-16
Isaia 29:1-4; Geremia 6:3-6

44 44. Ed atterreranno te, e i tuoi figliuoli dentro di te; e non lasceranno in te pietra sopra pietra;
Questa parte della profezia non fu adempiuta meno letteralmente di quella relativa agli argini, ed al muro di circonvallazione. L'esercito di Tito abbattè al suolo il tempio, e tutte le case di Gerusalemme, ad eccezione di tre torri, e di una parte del muro occidentale, requisiti per dar ricovero alle truppe, e l'imperatore Adriano completò l'opera di distruzione del suo predecessore. La parola vuol dire radere a livello del suolo, non diradicar le fondamenta; cosicché l'obbiezione che fanno gli increduli contro l'accuratezza della profezia, fondandosi sull'esistenza, anche ai dì nostri, di fondamenta nascoste sotto la superficie del suolo, cade in terra. Questo verbo applicato agli abitanti significa che i loro cadaveri essi pure verrebbero sparsi sul suolo. Per il massacro che seguì durante l'assedio di Gerusalemme vedi note Luca 13:3.
perciocché tu non hai riconosciuto il tempo della tua visitazione.
Il periodo della venuta, dei miracoli, e dell'insegnamento di Cristo e dei suoi Apostoli, tal fu il tempo della visitazione di Gerusalemme, il tempo in cui il Signore la visitò in misericordia e buon per essa se avesse saputo riconoscerlo, tenerne conto ed approfittarsene. Ma i Giudei invece chiusero i loro occhi ad ogni evidenza, trascurarono tutte le loro opportunità, anzi immolarono il Signore della gloria, gridando: «Sia il suo sangue sopra noi e sopra i nostri figliuoli» Matteo 27:25. Continuarono ad opporsi all'evangelo, epperciò vennero su di loro l'ira di Dio e la distruzione finale.

PASSI PARALLELI
1Re 9:7-8; Michea 3:12
Luca 13:34-35; Matteo 23:37-38
Luca 21:6; Matteo 24:2; Marco 13:2
Luca 19:42; 1:68,78; Lamentazioni 1:8; Daniele 9:24; Giovanni 3:18-21; 1Pietro 2:12

45 Cristo purifica il tempio, e suggella coi suoi miracoli la sua sovranità messianica, Luca 19:45-48

Per la esposizione Vedi Matteo 21:10-17. Luca tace la commozione prodotta nella città dall'arrivo di Cristo, e ricorda soltanto la seconda purificazione del tempio, fatta da Gesù collo scacciare i cambiamonete e i venditori di bestie dal sacro recinto.

45. Poi, entrato nel tempio, prese a cacciarne coloro che vendevano, e che comperavano in esso, 46. Dicendo loro: Egli è scritto: La casa mia è casa d'orazione; ma voi ne avete fatta una spelonca di ladroni.
«È stato notato che anche quando purifica il tempio da ogni uso profano, il Signore giustifica la sua condotta con un testo della Scrittura. Qualsiasi riforma nelle Chiese dovrebbe venir basata sulla Parola di Dio» (Ryle). Luca omette pure gli osanna coi quali i bambini riuniti nei cortili del tempio accolsero il Signore, adempiendo così la profezia di Salmi 8:3.

PASSI PARALLELI
Salmi 93:5; Isaia 56:7; Geremia 7:11; Ezechiele 43:12; Osea 12:7; Matteo 23:14

47 47. Ed ogni giorno egli insegnava nel tempio. E i principali sacerdoti e gli Scribi, e i capi del popolo cercavan di farlo morire. 48. E non trovarono che cosa potesser fare; perciocché tutto il popolo pendeva dalla sua bocca, ascoltandolo.
Oosterzee riassume nel seguente mirabile modo il contenuto di questi due versetti: «Ecco una descrizione vivace e calzante dei fatti di questo critico momento. Nel Signore vediamo impavido coraggio, tranquillità di spirito, e vigor di mente (avrebbe potuto aggiungere amore per le, anime che periscono), dimodoché ogni giorno appariva in pubblico. Nei suoi nemici, malvagità implacabile, desiderio costante della sua morte. Nel popolo, brama insaziabile di udirlo, sulla quale i disegni astuti dei suoi avversari ancora non poteva nulla. La gente pendeva dalle sue labbra; più egli parlava, più essi desideravano udire».

PASSI PARALLELI
Luca 21:37-38; Matteo 21:23; Marco 11:27-33; Giovanni 18:20
Matteo 26:3-4; Marco 11:18; 12:12; 14:1; Giovanni 7:19,44; 8:37-40; 10:39
Giovanni 11:53-57
Luca 20:19-20; 22:2-4; Matteo 22:15-16
Nehemia 8:3; Giovanni 7:46-49; Atti 16:14

RIFLESSIONI
1. «Le circostanze della entrata del Signore in Gerusalemme prese nel loro insieme sono così lontane da ciò che uno potrebbe aspettarsi da gente che avesse inventato un tal fatto, che nessuna mente non pregiudicata può ritenerlo come non accaduto. È facile dimostrare che i tre racconti sinottici sono affatto indipendenti l'uno dall'altro (ciascuno di essi andando d'accordo cogli altri, e scostandosene solo in piccoli dettagli senza importanza), eppure egli è solo dai quattro vangeli riuniti che possiamo avere il racconto completo di tutto il fatto. Non abbiamo noi in ciò la prova più convincente della, realtà storica di quanto stiamo leggendo? Nessuna maraviglia adunque che migliaia di lettori e di uditori di questi fatti meravigliosi, in tutta la cristianità, così fra le classi colte come fra il comun popolo, li ricevano come storia vivente ed indubitabile, senza bisogno di argomentazioni laboriose per sostenerli» (Brown).
2. Negli ordini che Gesù diede relativamente all'asina ed al suo puledro, abbiamo una mirabil prova della sua prescienza. Quegli ordini non avrebbero potuto essere più minuti e più accurati, se tutto questo affare fosse stato preventivamente combinato. Parla come uno al quale tutte le cose sono aperte e palesi. Questa prescienza di Gesù è spesso ricordata nei Vangeli. In un posto ci è detto che «Egli conosceva i pensieri» dei suoi nemici; altrove che «Egli sapeva quello che c'è nell'uomo», in un terzo luogo che «Egli conosceva fin dal principio chi fossero coloro che non credevano, e chi fosse colui che lo tradirebbe» Matteo 12:25; Giovanni 2:25; 6:64. Tale prescienza è attributo divino, e ci prova che «Cristo è sopra tutti Iddio benedetto in eterno». Il fatto che egli conosce ogni cosa, e che «non vi è oscurità né ombra di morte alcuna, ove si possan nascondere gli operatori d'iniquità» Giobbe 34:22 dai suoi occhi, dovrebbe allarmare tutti i peccatori e svegliarli a pentimento; e quella medesima verità dovrebb'essere di conforto a tutti i cristiani, quando il mondo non li comprende o li schernisce, e dovrebbe stimolarli ad ognor crescente diligenza nelle buone opere. L'occhio del Maestro è sempre su di loro.
3. Tutto il racconto dell'ultima e pubblica entrata del Signore in Gerusalemme differisce notevolmente dal tenore generale della sua vita. In altre occasioni lo vediamo sfuggire le dimostrazioni pubbliche, ritirarsi nei deserti, ordinando a quelli che avea guariti di non dire a nessuno la, grazia ricevuta. Ora tutto è mutato: Gesù mette da parte ogni riservatezza, e sembra cercar di esser veduto dagli uomini. La ragione di questo cambiamento, in questa crisi del suo ministero, non fu solo di adempiere la profezia relativa al suo rango reale, ma pure di attirare su di sé gli occhi dell'intera nazione giudaica, al momento in cui l'opera sua come il gran profeta (per quanto almeno riguarda il suo ministero terreno) era compiuta, e stava per principiare l'opera sua sacerdotale, consistente nell'offerir se stesso in sacrifizio per il peccato, come il sostituto dei peccatori. Era conveniente che il vero suo carattere come Messia fosse sì largamente conosciuto da rendere l'intero popolo ebreo responsabile della sua morte. «Deve essere un soggetto di universal gratitudine che la morte del Signor Gesù sia stata un evento così pubblico e così palese all'universale. Se egli fosse stato lapidato subitaneamente in qualche tumulto popolare, o decapitato privatamente in carcere, come Giovanni Battista, non sarebbero mancati increduli Giudei e Gentili per negare che il Figlio di Dio sia mai morto. La saviezza divina ha ordinato gli eventi in modo da rendere impossibile un tal diniego. Pensino cosa vogliono gli uomini della dottrina della morte espiatoria di Cristo, nessuno potrà negare il fatto che Cristo è morto in croce» (Ryle).
4. Nell'accoglienza che Gesù ricevette in questa circostanza, nelle acclamazioni della folla, nell'entusiasmo popolare, un semplice avventuriere politico avrebbe trovato molte ragioni per indurlo a cogliere al volo l'occasione di mettersi alla testa di un gran movimento nazionale. Come sarebbe stato facile per Gesù di approfittarsi delle false idee e delle vane speranze di quelle migliaia riunite in Gerusalemme e nei suoi dintorni, per farsi riconoscere come il loro capo, e creare una commozione che lì per lì non avrebbe potuto venir sedata. Ma di ben altra cosa sono occupati i suoi pensieri. Una sublime compassione occupa il suo cuore, riempie i suoi occhi di lagrime, e gli fa proferire il più patetico lamento.
5. Il lamento di Gesù sopra Gerusalemme c'insegna chiaramente la sua compassione per tutti i peccatori che corrono spensieratamente alla loro rovina. È un grande errore il credere, che Gesù si dia pensiero solo del suo popolo credente. La sua compassione abbraccia l'umanità intera. Non ha meno pietà per l'uomo che continua nel suo peccato, che amore per la pecora la quale ode la sua, voce e lo segue. Non è sua volontà che alcuno perisca, e si affligge quando gli uomini rimangono sordi alle sue chiamate. Per questa ragione, avrà la bocca chiusa il peccatore impenitente nel giorno del giudizio Proverbi 1:24-27.
6. «Questa profezia della rovina di Gerusalemme, pronunziata in sul luogo medesimo (questo è un errore dell'autore), ove i Romani più tardi piantarono il loro primo campo, è stata sempre considerata come una delle più forti prove della infallibile e divina, prescienza del Signor Gesù. Paragonar questa profezia col racconto di Flavio è sempre cosa da consigliarsi agli apologeti del cristianesimo. Né si dovrebbe al tempo stesso dimenticare il vano tentativo dell'imperatore Giuliano per riedificar Gerusalemme» (Oosterzee).
7. La scacciata dei mercanti e dei cambiatori dal tempio è atta ad insegnare che si deve un rispetto speciale alla casa di Dio, che «la santità è bella nella sua casa in perpetuo» Salmi 93:5. La ragione che Gesù dà per questa espulsione si è: «la mia casa è casa, d'orazione». «Una casa deve certamente derivare il suo nome dalla cosa più importante che in essa vien fatta, il chiamar la casa di Dio casa di orazione implica dunque che la preghiera è la cosa principale che ivi deve venir fatta. Pure badiamo a non far contrastar l'una coll'altre le cose ordinate da Dio per il suo culto; non facciamo dell'una un idolo per avvilir quell'altra, ma rispettiamole tutte e nutriamo divota riverenza per ogni istituzione divina. Qui, in questa sua casa di orazione, il benedetto nostro Salvatore predicava ogni giorno alla gente, al tempo stesso che pregava con essa, e tutto il tempo stava così attento ai suoi sermoni che perseverante alle sue preghiere. Se vogliamo glorificare Iddio, dobbiamo onorare tutte le sue istituzioni, ed approfittarcene in ogni circostanza» (Burkitt).