Giovanni 5
CAPO 5 - ANALISI
1. La guarigione di un paralitico alla piscina di Betesda, occasione di crescente antagonismo dei Giudei contro Cristo. Nei tre precedenti capitoli, l'Evangelista ci ha raccontato come Gesù si offrì qual Salvatore, a persone che rappresentavano la discendenza di Abrahamo, così in Giudea come in Galilea, nonché ai Samaritani. Con questo capitolo egli comincia ad esporre la lotta fra la fede e l'incredulità riguardo alla persona e all'opera del Signore lotta che terminò colla vittoria dei rettori dei Giudei, e colla crocifissione di Gesù. Giovanni connette lo sviluppo di questa incredulità e di quell'odio crescente dei Giudei contro Gesù con tre notevoli miracoli compiuti dal Salvatore in Gerusalemme: la guarigione del paralitico di Betesda Giovanni 5:1-47, la vista data al cieco nato Giovanni 9:1-41, e la risurrezione di Lazzaro Giovanni 11:1-57; e siccome la prima aperta manifestazione di quell'odio accadde in seguito al miracolo che vien ricordato in questo capitolo, è naturale che tal miracolo ci venga raccontato prima degli altri. La potenza sanatrice manifestata nella immediata guarigione di un uomo, il quale per circa quarant'anni avea sofferto senza speranza, era cosa da non potersi mettere in dubbio. Ma quando si vuole ad ogni modo accusar qualcuno, non è difficile trovare il pretesto; ed in questo caso, il pretesto fu che il miracolo era stato compiuto, e l'uomo guarito aveva avuto l'ardire di portare il suo letto in giorno di Sabato. Par certo che il Signore scegliesse appositamente il Sabato, per operar questa guarigione, affin di aver così l'occasione di predicar le grandi verità contenute nel resto del capitolo. Più tardi i rettori seppero che il miracolo era stato operato da Gesù, e il delitto del paralitico guarito fu scordato nella loro indignazione contro il suo glorioso benefattore. Subito cospirano per ucciderlo, tanto più che, in risposta alle loro persecuzioni, egli avea dichiarato che "Dio era suo padre", "facendosi", come stimavano, "uguale a Dio" Giovanni 1-19.
2. Gesù si proclama Figlio di Dio, in virtù della sua natura e delle sue prerogative. Egli asserisce (a) la perfetta unità ed armonia fra il Padre e il Figlio, in pensieri, in disegni, in volontà; (b) la sua propria onnipotenza divina, imperocché nulla vien fatto dal Padre suo, che non possa fare egli pure; (c) la propria divina onniscienza, poiché "il Padre gli mostra tutte le cose ch'egli fa"; (d) il potere di dar vita, che abita in lui così pienamente come nel Padre, poiché "il Figliuolo vivifica coloro ch'egli vuole"; (e) finalmente egli annunzia che "tutto il giudizio è stato dato al Figliuolo", non solo per il governo del mondo, ma pure per richiamare i morti dal sepolcro, e pronunziare l'irrevocabile sentenza dei buoni e dei malvagi all'ultimo giorno Giovanni 5:19-30.
3. La testimonianza addotta in appoggio dei suoi diritti. A norma della legge giudaica, la testimonianza di un solo non poteva venir ricevuta. Gesù dunque concede ai suoi uditori che, se quanto aveva detto riposasse sulla sua sola parola, essi avrebbero il diritto di rigettarla, come insufficiente, "non verace" secondo la loro legge dei testimoni. Ma il Signore prova che tal non è il caso; anzi adduce testimonianze indipendenti e complete, "due o tre testimoni" Deuteronomio 17:6; 1Timoteo 5:19; Ebrei 10:28, di quanto egli ha asserito cioè: il Battista; i miracoli che egli ha compiuto, mediante i quali suo Padre stesso gli rende testimonianza; e le Scritture di verità, scritte da Mosè e dai profeti Giovanni 5:31-47.

Giovanni 5:1-18. LA GUARIGIONE MIRACOLOSA ALLA PISCINA DI BETESDA, E IL CRESCENTE ANTAGONISMO DEI GIUDEI CONTRO A GESÙ, CUI ESSA DIEDE OCCASIONE

Cristo guarisce un paralitico a Betesda, Giovanni 5:1-9

1. Dopo queste cose v'era una festa del Giudei; e Gesù salì in Gerusalemme
Alla fine del capitolo precedente la scena dei lavori del Signore era la Galilea, dove lo ritroviamo al cap. 6, predicando e facendo miracoli. Nell'intervallo, egli era salito in Gerusalemme per una festa dei Giudei. L'Evangelista non ci dice di qual festa speciale si trattasse; se così avesse fatto, non avremmo avuto tante discussioni per identificarla, imperocché la festa qui mentovata è uno dei punti di partenza per determinare la durata del ministero del Signore. Nel corso di questo Vangelo, Giovanni fa menzione di tre Pasque: la prima poco dopo il principio del suo ministero Giovanni 2:13; la seconda alla quale Cristo non fu presente Giovanni 6:4; la terza nella quale egli fu crocifisso Giovanni 11:55; se dunque la "festa" di questo versetto fosse stata anch'essa una Pasqua, il ministero del Signore avrebbe durato tre anni ed alcuni mesi; nel caso contrario, due anni ed alcuni mesi solamente. È questa una questione meramente speculativa, di nessunissima importanza per la fede, e che non si potrà mai decidere con certezza matematica; ma che non si può passare affatto sotto silenzio. La base dalla quale partono tutti i calcoli su questo soggetto si trova nelle parole di Gesù ai suoi discepoli, vicino al pozzo di Giacobbe: "Non dite voi che vi sono ancora quattro mesi infino alla mietitura?" Si dice, che siccome Giovanni specifica, in altri passi, la festa dei Tabernacoli Giovanni 7:2; della Dedicazione Giovanni 10:22, e le feste della Pasqua Giovanni 2:13; 6:14; 11:55, mentre questa è lasciata senza nome, e perfino senza articolo determinativo, è impossibile che si tratti della Pasqua, la più importante di tutte le solennità giudaiche; e, rigettata quella, non v'è festa nel calendario giudaico in cui qualche commentatore non abbia voluto ravvisare quella che ci occupai Keppler suggerisce la festa di Purim, e dopo di lui, quelli che rigettano l'opinione che la festa di cui è parlato in questo versetto fosse la Pasqua, hanno accettato la sua teoria. Secondo Godet, il Signore salì a Gerusalemme per la festa di Purim e l'intento di rimanervi fino alla Pasqua; ma il conflitto che seguì la guarigione del paralitico lo consigliò a tornarsene subito in Galilea, e a star lontano da Gerusalemme per la Pasqua seguente, Giovanni 6:4 non tornandovi che per la festa dei Tabernacoli, alla fine di Settembre. Per chi sostiene questa teoria, la Pasqua del cap. 6 fu la seconda durante il ministerio di Cristo. La festa di Purim, così detta dal trarre la sorte Pur, Ester 3:7, fu istituita in Susan, per commemorare la grande liberazione della nazione giudaica per opera della regina Ester e di Mardocheo, quando Haman ne avea tramato l'eccidio generale. Si osservava per due giorni, il 14 e 15 Adar, cioè Marzo Ester 9:22, 26-27. Non era una festa religiosa, ma meramente politica; era espressamente proibito celebrarla di Sabato, e le tribù non erano tenute di concorrere a Gerusalemme per osservarla, potendosi essa celebrare in ogni città, villaggio, o casa isolata in tutto il paese, mediante conviti, danze ed altri divertimenti mondani. E molto improbabile che Gesù abbia scelto una festa di quel genere per salire in Gerusalemme, considerando specialmente che essa non riuniva nella capitale nessun concorso straordinario di popolo, e che due mesi dopo doveva aver luogo la Pasqua. Benché i sostenitori della festa di Purim mantengano che il Sabato non era necessariamente uno dei giorni della festa, chi legge senza preconcetti, il passo tutto intero, Giovanni 2-9, deve arrivare alla conclusione opposta; poiché, se non fosse stato per quanto accadde in quel giorno, non c'è ragione perché Giovanni avesse parlato di "una festa". Le obbiezioni principali al ritener questa festa per una Pasqua, sono:
1) L'assenza dell'articolo dinanzi alla parola "festa"; ma, benché l'articolo manchi nel maggior numero delle versioni e dei MSS antichi, lo si trova nel Sinaitico e in altri otto MSS unciali, in due dei migliori fra i corsivi e in due antiche Versioni egizie; oltre a che, i più fra i commentatori primitivi "Ireneo, del secondo secolo fra gli altri", ritengono che la festa qui mentovata fosse una Pasqua. "Di più", osserva Brown, "Middleton (L'articolo Greco), ha provato che precisamente in casi come il presente, se l'articolo è omesso, esso è sottinteso, e quindi si ha il senso definito".
2) Si obbietta poi che, se questa festa fu una Pasqua, un anno intero deve esser trascorso fra questa e la Pasqua ricordata nel capitolo seguente, e sembra incredibile che l'Evangelista abbia passato interamente sotto silenzio i fatti occorsi durante un così lungo periodo. Questa obbiezione avrebbe molto peso se l'intento di Giovanni fosse stato, come quello dei Sinottici, di raccontarci il ministero di Gesù in Galilea; ma scrivendo egli per completare le loro narrazioni, e limitandosi al ministero di Cristo in Giudea e in Perea, "coll'eccezione dei due miracoli di Cana, della moltiplicazione dei pani, ed il discorso che ne fu il seguito al cap. 6" Giovanni 6:1-71, tale obbiezione non ha più fondamento alcuno. È probabile che il Signore ritornò in fretta in Galilea a motivo del contegno ostile dei Giudei Giovanni 5:18, e che da questa stessa Pasqua venisse contato il giorno, Sabato secondo primo, nel quale i discepoli svelsero le spighe di grano nel Sabato, Vedi note Luca 6:1. In tali circostanze era affatto naturale che risorgesse la controversia coi Farisei, riguardo all'osservanza del Sabato.
3) Un altro argomento per provare che questa festa non era una Pasqua consiste nel dire che, siccome Gesù rimase certamente in Galilea per la Pasqua seguente Giovanni 6:4, e ritornò in Gerusalemme solo per la festa dei Tabernacoli nel Settembre susseguente, egli sarebbe stato assente da Gerusalemme un anno e sei mesi, il che non si concilia colla sua rigorosa osservanza della legge giudaica; ma una risposta convincente si trova nelle parole di Giovanni 7:1 "Gesù andava attorno per la Galilea, perciocché non voleva andare attorno perla Giudea, conciossiaché i Giudei cercassero d'ucciderlo". Dopo avere accuratamente pesate le prove delle due parti, inchiniamo decisamente a credere che "la festa" qui accennata fu una Pasqua, cioè la seconda delle quattro che occorsero durante il ministero di Gesù.

PASSI PARALLELI
Giovanni 2:13; Esodo 23:14-17; 34:23; Levitico 23:2-4; Deuteronomio 16:16; Matteo 3:15; Galati 4:4

2. Or in Gerusalemme, presso della porta delle pecore, v'è una piscina detta in Ebreo Betesda (casa di misericordia), che ha cinque portici
Neemia mentova ripetutamente questa porta delle pecore, nel suo racconto della ricostruzione delle mura di Gerusalemme, ma non in modo così chiaro da permetterei di determinarne con certezza la situazione. È probabile che per essa si giungeva direttamente in quella parte del cortile esterno del tempio nella quale i sacrifici venivano uccisi. Infatti una tal porta tuttora esiste nel lato. N. E. dell'attuale Haram vicinissimo all'antico Pretorio, e chiamasi ancora, secondo alcuni, porta delle pecore. Due luoghi ci vengono ora presentati in questi giorni, come essendo la piscina di Betesda. Uno è chiamato "fonte della Vergine", e si trova nella parte inferiore della valle di Kedron. Si crede che venga alimentata dai serbatoi che si trovano sotto al tempio, e scarica le, sue acque, mediante un piccolo acquedotto, scavato sotto la collina di Ophel, nella piscina di Siloè. Le acque di questa fonte della Vergine si alzano e si abbassano, tuttodì, di un piede all'incirca, ad intervalli irregolari. Chi scrive, trovandosi sul posto, prese le note seguenti: "È situata in una profonda fessura della roccia, il livello dell'acqua essendo di ben 15 piedi più basso di quello della valle. Il bacino è di circa 15 piedi di lunghezza per 6 di larghezza; l'altezza della volta naturale, formata dalla roccia, essendo press'a poco di 6 piedi. Gli abitanti la chiamano Ain. Umed Deraj, Fonte della madre dei gradini, a motivo di una scala di 26 piedi per la quale si scende alle acque. Suppongono molti che questa sia la 'Fontana del Re', mentovata da Neemia Nehemia 2:14 nel suo circuito notturno di Gerusalemme. Non c'è traccia di rovine vicino all'entrata, e le strette dimensioni della fonte, e la ripidezza delle sue sponde rendono impossibile che dei 'portici' sieno mai stati costruiti attorno ad essa. Queste ragioni bastano per convincerci che l'Ain Umed Deraj non può mai essere stata la piscina di Betesda" La Tenda e il Khan. Un'altra località, e probabilmente la vera, che viene additata come essendo questa piscina è il profondo serbatoio o trincea, scavato nella solida roccia, subito al di fuori del muro settentrionale del tempio e del presente Haram, detto dai nativi: Birket Israil. Le sue dimensioni attuali sono di 360 piedi di lunghezza, 130 di larghezza, e 75 di profondità. Che fosse anticamente pieno di acqua lo prova il rivestimento di piccole pietre unite da cemento che copre tuttora la parte inferiore delle sue pareti. All'estremità occidentale si vedono due grandi ed alti archi, i quali, benché quasi pieni di rottami, si estendono ben 100 piedi più ad O. del Birket, dandogli così una lunghezza uguale alla metà del recinto settentrionale del Tempio. Ma più ad O. ancora, e di fronte alla Torre Antonia, Flavio, Bell.; Giudici Lib. 5:2, c'informa che si trovava una piscina che egli chiama Sirutheus; sicché, al tempo del Signore, vi doveva essere in questa parte di Gerusalemme, o un immenso serbatoio lungo ben 1000 piedi, o più probabilmente due piscine separate, con framezzo una porta per la quale si entrava nel tempio. Questa era probabilmente la Porta delle Pecore, ricordata da Neemia, come non essendo lontana dalla "alta sala del cantone", o, come traducono altri, dalla "salita del cantone", N. E. del tempio Nehemia 3:32, e ci permette di identificare il Birket Israil colla piscina di Betesda. Il fatto che Giovanni ce ne parla come esistente ancora al momento in cui scriveva, è stato da taluni considerato come una prova convincente che questo Vangelo fu scritto prima della distruzione di Gerusalemme; ma né da Flavio, né da qualsiasi altro scrittore può ricavarsi prova alcuna della distruzione di questa piscina per opera dei Romani, ed è assai più probabile che la conservassero per i bisogni del loro esercito; d'altra parte Brocardo, Anselmo, L'Itinerario di Gerusalemme, A.D. 333, Eusebio ed altri scrittori susseguenti asseriscono che, ai giorni loro, la piscina era piena d'acqua e si chiamava Betesda. Se dunque questo serbatoio è la piscina di Betesda, Giovanni aveva perfettamente ragione di scrivere alla fine del primo secolo: "V'è una piscina" ecc. e l'obbiezione fondata su quella parola, riguardo alla data di questo Vangelo, è insostenibile. I cinque portici costruiti attorno ad essa per dar ricovero agli infermi ci fanno credere che la piscina fosse assai grande.

PASSI PARALLELI
Nehemia 3:1; 12:39
Isaia 22:9,11

3. in essi giaceva gran moltitudine infermi, di ciechi, ci zoppi, di secchi, aspettando il movimento dell'acqua
Qualunque ne fosse la causa, è chiaro che le acque di questa piscina, in certi momenti, si mettevano in ebollizione, aumentando al tempo stesso di volume; altrimenti "la gran moltitudine" ivi riunita, si sarebbe presto o tardi persuasa non esser di nessun vantaggio aspettare il ripetersi di quel fenomeno. Molti scrittori vogliono cancellare l'ultima parte di questo versetto, dicendo che non fa parte del racconto di Giovanni, ma tolte queste parole, l'Evangelista lascerebbe affatto senza spiegazioni il concorso della moltitudine, e Giovanni 5:7 "che tutti ammettono come genuino", rimarrebbe parimenti inesplicabile.

PASSI PARALLELI
Matteo 15:30; Luca 7:22
1Re 13:4; Zaccaria 11:17; Marco 3:1-4
Proverbi 8:34; Lamentazioni 3:26; Romani 8:25; Giacomo 5:7

4. Perciocché di tempo in tempo un angelo scendeva nella piscina, ed intorbidava l'acqua; e il primo che vi entrava, dopo l'intorbidamento dell'acqua, era sanato, di qualunque malattia egli fosse tenuto
I più fra gli editori moderni omettono non solo l'ultima clausola di Giovanni 5:3 ma pure tutto il vers. 4, considerandolo come una glossa inserita nel testo, in epoca, "lo ammettono volentieri", molto antica, poiché Tertulliano vi fa allusione alla fine del secondo secolo. La ragione per trattare in tal modo questo passo è che noli si trova nei codici Sinaitico e Vaticano, che sono i due più antichi manoscritti conosciuti del Nuovo Testamento, né in alcuni altri MSS. e versioni, mentre vi è diversità nelle parole in quei MSS. che lo riportano. Dall'altra parte lo si trova nel codice Alessandrino, "di data appena posteriore ai due più antichi, e, nell'opinione di alcuni fra i migliori critici, di autorità pressoché uguale" (Brown); in 10 altri manoscritti unciali, nella Peshito, "attribuita alla fine dello o al principio del 110 secolo", e in tutte le versioni siriache, una sola eccettuata, nonché nell'Itala, "vecchia Italica", e nella Volgata. L'evidenza esterna per ritenere questo versetto, presa in sé stessa, non è debole per verun modo; e se a quella si aggiunge l'evidenza interna, non vi può esser dubbio che il passo tutto intero è genuino. Alcuni fra quelli che l'ammettono, sostengono che Giovanni fece semplicemente uso del linguaggio popolare dei Giudei nel descrivere questo miracolo, al quale egli però non prestava fede; ma una simile teoria è profana, mentre insulta alla sincerità dell'Evangelista. Altri mantengono che l'effervescenza periodica dell'acqua, lungi dall'essere miracolosa può spiegarsi con cause naturali; ma vi sono gravi ragioni in contrario:
1) Non si tratta di un miracolo isolato, bensì di una successione di miracoli, operati periodicamente.
2) Quei miracoli accadevano solo quando l'acqua era intorbidata.
3) Un solo malato veniva guarito ogni volta, cioè il primo che entrava nell'acqua.
4) Le malattie erano guarite istantaneamente, cosa che nessun'acqua minerale opera mai.
5) La guarigione si estendeva ad ogni maniera di malattie, le più varie, le più contrarie fra loro Giovanni 5:3, e chi mai ha udito parlare di un'acqua le cui proprietà naturali sieno così efficaci?
6) Che le guarigioni fossero operate da un agente soprannaturale non è né improbabile né incredibile, poiché, in quell'epoca, le forze spirituali erano all'opera sulla nostra terra, così per il servizio degli angeli, Vedi Matteo 4:11; 28:5; Luca 1:13,26; 2:10; 22:43; Giovanni 20:12; Atti 5:19; 8:26; 12:8; 27:23, come per l'impero che agli spiriti immondi era lecito esercitare sui demoniaci, Vedi Matteo 4:24; 8:31 e passim.
7) "Il trovare in questo Vangelo il racconto di un miracolo come il presente si può spiegare solo col dire che esso era vero e noto a tutti, e che l'Evangelista lo ha riferito con candore, tanto più che esso deve sembrare piuttosto contrario all'assunto di Giovanni, quello cioè di provare la missione divina di Cristo mediante i suoi miracoli, poiché indica che, a quel tempo dei miracoli si facevano anche all'infuori di lui" (Webster e Wilkinson).
8) Se le guarigioni non fossero state reali, l'inganno sarebbe stato presto proclamato dalla folla disillusa che si riuniva sotto i portici, e anche al tempo in cui fu scritto questo Vangelo dovevano trovarsi tuttora a Gerusalemme migliaia di persone in posizione di dichiarare la falsità di questo versetto, se tali guarigioni miracolose non fossero avvenute alla piscina di Betesda.
Per queste ragioni riteniamo per genuini così il versetto come il miracolo di cui esso ci parla. "Quando principiò questo miracolo singolare, che cosa gli diede origine, perché non ce ne venga più parlato, in che modo l'angelo scendesse, son tutte questioni alle quali non si può rispondere; ma una volta ammessa l'esistenza degli angeli, e il loro ministero in terra per eseguire i disegni di Dio, nulla v'ha più in questo passo che ci debba apparir strano. Il vero segreto di alcune delle obbiezioni che si fanno a questo versetto e la tendenza moderna a considerare tutti i miracoli come vecchiumi, che si devono togliere dal racconto sacro, ogni volta che, tal cosa è possibile" (Ryle).

PASSI PARALLELI
Salmi 119:60; Proverbi 6:4; 8:17; Ecclesiaste 9:10; Osea 13:13; Matteo 6:33; 11:12
Luca 13:24-28; 16:16
2Re 5:10-14; Ezechiele 47:8; Zaccaria 13:1; 14:8; 1Corinzi 6:11; 1Giovanni 1:7

5. Or quivi era un certo uomo, ch'era stato infermo trentotto anni
La natura della sua malattia non ci è dichiarata, benché da Giovanni 5:7 sembri essere stata o atrofia o paralisi parziale. Noli è specificato neppure da quanto tempo egli giacesse sotto quei portici, poiché i trentotto anni devono intendersi solo del tempo dacché era caduto malato.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:14; 9:1,21; Marco 9:21; Luca 8:43; 13:16; Atti 3:2; 4:22; 9:33; 14:8

6. Gesù, veduto costui giacere, e sapendo che già lungo tempo era stato infermo, gli disse: Vuoi tu esser sanato?
Il Signore fece scelta di lui, non dietro ad una inchiesta, come han suggerito alcuni, ma per intuizione, ben conoscendo le circostanze sue, mediante quella conoscenza sovrumana di cui abbiamo un esempio così notevole nel caso della donna, di Samaria. Questa domanda del Signore fu forse dettata dal fatto che egli scorgeva in quell'uomo, in seguito ai continui disinganni patiti, mancanza di energica volontà. Checché ne sia di ciò, il Signore volle, prima di tutto, attrarre su di sé l'attenzione di quel meschino, poi fargli sentire più profondamente la propria impotenza conducendolo ad esporre i particolari del suo male, e finalmente, colla singolarità stessa della domanda, risvegliare nel cuor suo disilluso la speranza della guarigione.

PASSI PARALLELI
Giovanni 21:17; Salmi 142:3; Ebrei 4:13,15
Isaia 65:1; Geremia 13:27; Luca 18:41

7. L'infermo gli rispose: Signore, io non ho alcuno che mi metta nella piscina, quando l'acqua è intorbidata; e, quando io vi vengo, un altro vi scende prima di me
L'infermo non risponde direttamente alla domanda del Signore; ma la spiegazione che egli dà degli ostacoli che si erano fino a quel momento opposti alla realizzazione delle sue speranze, mostra quanto vivo fosse il suo desiderio di venir guarito. Certo non era per mancanza di volere da parte sua, se ancora non aveva ottenuto la guarigione. Era povero; non poteva pagare un assistente; non aveva, questo è chiaro, né parenti né amici, altrimenti costoro non avrebbero avuto il cuore di abbandonarlo. In quanto agli indifferenti che andavano e venivano sotto quei portici, nessuno avea offerto di aiutarlo. Le parole di quel poveretto sono una condanna enfatica della indifferenza, della durezza del cuore umano, in contrasto con la bontà di questo straniero, nel quale l'infermo trova per la prima volta uno che par disposto ad aiutarlo ad entrar nell'acqua. Dal racconto non appare chiaro se egli credesse possibile la guarigione in qualsiasi altro modo. Da un punto di vista spirituale, il Signore rivolge sempre la stessa domanda a chiunque ode l'Evangelo. Egli ci vede malati e miseri a motivo del nostro peccato, e ci dice: "Vuoi tu esser sanato?"

PASSI PARALLELI
Deuteronomio 32:36; Salmi 72:12; 142:4; Romani 5:6; 2Corinzi 1:8-10
Giovanni 5:4; 1Corinzi 9:24

8. Gesù gli disse: Levati, togli il tuo letticello, e cammina. 9. E in quello stante quell'uomo fu sanato, e tolse il suo letticello, e camminava
Se l'infermo sperava che Gesù lo aiutasse ad entrar nell'acqua, s'ingannava. Il Signore non mise neppur la mano sopra lui. In queste, come in altri casi, è chiaro che la virtù sanatrice accompagnò il comandamento di Gesù. Si confrontino i casi dell'uomo dalla mano secca Marco 3:5, dei dieci lebbrosi Luca 17:14, e del figlio dell'uffiziale reale Giovanni 4:50. La scienza umana avrebbe proclamato l'impossibilità per quest'uomo di alzarsi e inutile pei lebbrosi tuttora coperti di ulceri di presentarsi ai sacerdoti; ma in Cristo abita una potenza senza limiti, ed egli sempre dà, a chi vuole ubbidire ai suoi comandamenti, la forza necessaria per farlo. Di più, quest'ordine suo fu dato per mettere alla prova la fede e l'ubbidienza di quest'uomo. Egli credette, e la sua guarigione fu istantanea e completa: Si alzò e camminò, robusto come nei suoi primi anni, e portò via sulle proprie spalle il lettuccio sul quale era giaciuto per tanto tempo, come prova a quanti lo conoscevano di completa guarigione.

Conseguenze dell'essere stato questo miracolo operato di sabato Giovanni 5:9b-16

Or in quel giorno era sabato

Non v'ha dubbio alcuno che questa non fu una mera coincidenza accidentale. Come Gesù aveva scelto nella folla degl'infermi di Betesda quest'uomo speciale per farne l'oggetto della sua grazia, così egli scelse deliberatamente, e in vista di quanto stava per accadere, il giorno di sabato per compiere questa guarigione. In questo modo ei volle entrare in aperta discussione coi rettori del popolo, affin di costringerli a udire il suo insegnamento, e a rendersi conto della sua missione.

PASSI PARALLELI
Matteo 9:6; Marco 2:11; Luca 5:24; Atti 9:34
Giovanni 5:14; Marco 1:31,42; 5:29,41-42; 10:52; Atti 3:7-8
Giovanni 5:50-12; 7:23; 9:14; Matteo 12:10-13; Marco 3:2-4; Luca 13:10-16

10 10. Laonde i Giudei
Questo termine non è mai, "salvo un caso o due al più", applicato da Giovanni al comun popolo, alla moltitudine, ma sempre ai rettori e ai loro partigiani, che egli ci presenta come rappresentando l'intera nazione, nella sua reiezione del Messia.
dissero a colui ch'era stato sanato: Egli è sabato; non ti è lecito di togliere il tuo letticello
Alcune persone in autorità lo incontrarono e gli mossero quel rimprovero. In circostanze ordinarie la ragione stava dalla parte loro, perché, così le glosse dei Farisei, come la legge stessa di Dio, Vedi Esodo 31:13-17; Nehemia 3:15-19; Geremia 17:21-22, proibivano di portar carichi di qualsiasi specie in giorno di sabato. Però questo atto avrebbe potuto venir considerato come una di quelle opere di necessità e di misericordia, che erano riconosciute come eccezioni alla legge Matteo 12:11; Luca 13:15.

PASSI PARALLELI
Esodo 20:8-11; 31:12-17; Nehemia 13:15-21; Isaia 58:13; Geremia 17:21,27
Matteo 12:2-8; Marco 2:24; 3:4; Luca 6:2; 13:14; 23:56

11 11. Egli rispose loro: Colui che vai ha sanato mi ha detto: Togli il tuo letticello, e cammina
È notevole che, nella sua risposta, il paralitico guarito non mette avanti a sua difesa circostanze eccezionali; egli si pone sopra un terreno più elevato, e, convinto che la sua guarigione era dovuta alla potenza divina, asserisce che non fa peccato alcuno, perché colui stesso che lo avea guarito aveagli detto altresì: "Togli il tuo letticello e cammina". La potenza di Dio lo avea guarito; un ordine dato da chi esercitava un tal, potere non doveva certo essere una trasgressione della legge divina (Miligan).

PASSI PARALLELI
Giovanni 9:16; Marco 2:9-11

12 12. Ed essi gli domandarono: Chi è quell'uomo che ti ha detto: Togli il tuo letticello, e cammina?
Essi evitano del tutto l'argomento logico di quell'uomo, e dimostrano la loro malevolenza, cambiando il soggetto del discorso. Non gli domandano, il che sarebbe stato perfettamente naturale: "Chi ti ha guarito? bensì: "Chi ti ha detto: togli il tuo letticello?" Molti hanno notato che non si curavano di sapere che cosa dovevano ammirare qual'opera di misericordia; ma piuttosto quale accusa potevan portare contro qualcuno!

PASSI PARALLELI
Giudici 6:29; 1Samuele 14:38; Matteo 21:23; Romani 10:2

13 13. Or colui ch'era stato sanato non sapeva chi egli fosse; perciocché Gesù s'era sottratto dalla moltitudine ch'era in quel luogo
Confinato da tanto tempo sotto ai portici di Betesda, è naturale che il povero paralitico non avesse mai udito il nome di Gesù, del profeta di Nazaret; è certo che, dopo la sua miracolosa guarigione, egli conosceva solo il potere, non il nome del suo benefattore, Gesù essendosi perduto nella folla, prima che egli avesse avuto il tempo di parlargli, non poté adunque soddisfare la curiosità dei suoi interlocutori. Lo scopo del Signore nel nascondersi in quel modo era di evitare il rumore e l'entusiasmo carnale che i suoi miracoli suscitavano nella folla; ma non c'è ragione alcuna di intendere le parole: "s'era sottratto", come indicanti una sparizione miracolosa come quella di Nazaret Luca 4:30; poiché,in una così folta moltitudine Gesù poteva facilmente sparire, entrando fra la gente.

PASSI PARALLELI
Giovanni 14:9
Giovanni 8:59; Luca 4:30; 24:31

14 14. Di poi Gesù lo trovò nel tempio, e gli disse: Ecco, tu sei stato sanato; non peccar più, che peggio non ti avvenga
Le parole "dopo queste cose", indicano un intervallo di più che alcune ore fra il miracolo e l'incontro qui descritto. In uno dei giorni della festa, il paralitico guarito salì al tempio, nel quale da sì lungo tempo più non era entrato, forse per offrir un sacrificio, o almeno per render grazie al nome del Signore per l'ottenuta guarigione. Quivi la cercò il Signore, e si fece conoscere a lui come Gesù di Nazaret; ciò fece non solo per proseguire il suo piano di fronte ai rettori giudei, ma pure per svegliare la gratitudine di quell'uomo, e far sopra lui durevole impressione. In questo caso, come in quello della donna di Samaria. abbiamo un esempio notevole della conoscenza perfetta e divina che il Signore possiede così del passato come del futuro. Egli conosceva la causa della infermità di quell'uomo. La esortazione: "non peccar più", non è generica e indefinita; implica che la sua malattia aveva avuto per causa il peccato, forse un vizio prediletto di gioventù. Il caso del paralitico di Luca 5:20 sembra analogo a questo. Vi sono peccati che portan seco la loro punizione nel corpo; tale era probabilmente quello di quest'uomo, benché non ci sia lecito trarre da questo passo la conclusione che ogni sofferenza ha per origine un peccato speciale. Il Signore stesso corregge un tal pregiudizio Giovanni 9:3; Luca 13:2-5. L'ammonimento che segue quella esortazione è molto solenne: "che peggio non ti avvenga". Se il Signore vuol parlar qui di castigo temporale, si tratterebbe di una infermità più grave ancora di quella che lo avea tormentato per 38 anni; ma è più probabile che Gesù abbia in mente la perdizione eterna. Chi è stato liberato da tal condizione fugga da quei vizi distruttivi come dalla morte. Lo domanda la gratitudine verso Colui che lo ha liberato, e che odia il peccato; lo richiede la speranza della vita eterna, poiché quelli che continuano nel peccato "procederanno in peggio", e le concupiscenze della carne faranno lor far naufragio in quanto all'anima 2Pietro 2:20-22.

PASSI PARALLELI
Levitico 7:12; Salmi 9:13; 27:6; 66:13-15; 107:20-22; 116:12-19; 118:18
Isaia 38:20,22
Giovanni 8:11; Esdra 9:13-14; Nehemia 9:28; 1Pietro 4:3
Giovanni 5:5; Levitico 26:23-24,27; 2Cronache 28:22; Matteo 12:45; Apocalisse 2:21-23

15 15. Quell'uomo se ne andò, e rapportò a Giudei che Gesù era quel che l'avea sanato
Un tale atto per parte del paralitico guarito, a prima vista, sembra ingratitudine e tradimento; ma così non è, poiché vien chiaramente detto che nel dar loro quella informazione egli non adotta punto il linguaggio dei rettori Giovanni 5:12, anzi ripete la sua asserzione che Gesù "lo ha sanato". Non è probabile, come si è supposto, che agisse così per spargere la conoscenza di Gesù fra i Giudei, o per sfidare i rettori, proclamando un'autorità superiore alla loro. Il movente della sua condotta si deve cercare nell'obbligazione in cui si sentiva di ubbidire ai rettori del popolo suo, e fors'anche nel timore di esser punito per aver violato il sabato, colpa che si castigava persino colla morte. Era naturale che egli cercasse di metterai, a questo riguardo, sotto l'egida di uno che certo avrebbe potuto difenderlo, come già avea potuto guarirlo. Qualunque sia stato il suo motivo, egli fu nella sua proclamazione il inconscio strumento di Cristo per far scoppiare l'ormai inevitabile suo conflitto coi rettori, il conflitto fra la miscredenza e la verità. Milligan osserva che "Giovanni vede in quest'atto una missione divina, e in quell'uomo un messaggero per ammonire i colpevoli Giudei".

PASSI PARALLELI
Giovanni 4:29; 9:11-12; Marco 1:45
Giovanni 5:12; 9:15,25,30,34

16 16. E perciò i Giudei perseguivano Gesù, e cercavano d'ucciderlo; perciocché avea fatte quelle cose in sabato
Sin dalla sua prima visita a Gerusalemme, i rettori guardavano Gesù con sospetto; ma fino a quel momento non avevano manifestato apertamente la loro ostilità. Il miracolo ch'egli compì in giorno di sabato, e il comandamento che lo segui, dieder loro un pretesto plausibile per muovergli guerra aperta; da quel momento o lo perseguitarono, ossia cercarono ogni mezzo di screditarlo e di nuocergli. Le parole "e cercavano di ucciderlo" sono omesse da vari critici; ma quelle di Giovanni 5:18 "cercavano vie più d'ucciderlo", che tutti ritengono nel testo, presuppongono la clausola qui messa in dubbio, e sono un fortissimo argomento in suo favore. In conferma di ciò troviamo che il Signore più tardi parla di questo stesso miracolo di Betesda, come essendo quello che aveva eccitato l'ira dei Giudei, e per ragion del quale essi cercavan d'ucciderlo Giovanni 7:19, 23. Per giustificare la loro linea di condotta, i Giudei maliziosamente suggeriscono che Gesù, quasi per gittar discredito sulla legge, usava far queste cose di sabato. "L'avea fatte" di Diodati non è una traduzione esatta dell'imperfetto "egli faceva", col quale si vuole insinuare che tali violazioni del sabato erano l'abitudine costante di Gesù.

PASSI PARALLELI
Giovanni 15:20; Atti 9:4-5
Giovanni 5:13; 7:19-20,25; 10:39; Matteo 12:13; Marco 3:6; Luca 6:11

17 Giovanni 5:17-47. DISCORSO DI GESÙ IN RISPOSTA ALLE OBBIEZIONI DEI GIUDEI PER ESSER STATA FATTA QUESTA GUARIGIONE IN GIORNO DI SABATO

"Avendo, di proposito deliberato, dato questa occasione ai suoi avversari di entrare in pubblica discussione con lui, affin di aver L'occasione di proclamare dinanzi ad essi la sua missione, Gesù si alza di volo all'altezza di quella, in una affermazione che per solennità, peso e chiarezza, è superiore a quasi tutto quello che egli ha detto mai ai suoi nemici" (Brown).

17. Ma Gesù rispose loro:
Questo discorso fu pronunziato in Gerusalemme e probabilmente in uno dei cortili esterni del tempio.
il Padre mio opera infino ad ora, ed io ancora opero
Un confronto fra i vari Vangeli ci fa vedere che Gesù rispose in tre modi all'accusa fattagli dai suoi avversari, di trasgredire il sabato. Una volta dimostrò che egli non metteva da parte la legge stessa, bensì le tradizioni colle quali essa era stata aggravata Matteo 12:10-12; Luca 13:14-16; 14:2-6. Un'altra volta asserì che, nella sua qualità di Figliuol dell'uomo, egli era Signore del sabato, e che quel comandamento deve essere spiegato dal suo scopo e dal suo oggetto Marco 2:23-28. Ma qui si eleva a maggiore altezza e giustifica l'atto suo, dicendo che egli è uguale a Dio, e che l'opera sua non dipende da quella del Padre, ma è coordinata coli essa. Egli dichiara che Dio, lungi dal cessare dall'opere sue, quando si riposò dell'opera del creato al settimo giorno, "giorno che il sabato rappresenta esternamente", mai non aveva discontinuato, fino a quel momento stesso, di operare, così in giorno di sabato, come negli altri giorni, "portando tutte le cose colla parola della sua potenza", provvedendo a tutte le sue creature il necessario, e adempiendo il piano, dell'amor suo per la loro redenzione" come dunque, dice egli, "l'attività di mio Padre non si è mai fermata in giorno di sabato dal creato in poi, né può fermarsi, così non conosce cessazione la legge della mia operosità. "Dio e Cristo qual Dio" è superiore ad ogni legge che egli prescrive alle sue creature; egli opera in giorno di sabato, senza violare il sabato, e può far quel che gli piace, senza che alcuno abbia il diritto di domandargliene conto. Queste parole non dicono solamente che egli seguiva l'esempio di suo Padre, "benché anche questa idea vi sì trovi", ma dicono assai più: proclamano che Egli e il suo Padre sono uno in essenza, dignità e autorità, perciò qualunque cosa il Padre faccia, il Figlio pure ha il diritto di farla e la fa. Da questa dichiarazione emerge la lezione pratica che il sabato non deve essere un giorno di pigrizia, di dissipazione, e di cessazione da ogni opera necessaria. Il Signore lo istituì per il bene, il conforto, ed il vantaggio nostro. Egli non intese mai proibire in tal giorno quelle opere di misericordia e di necessità, che son necessarie alla esistenza stessa dell'uomo, ma solo le occupazioni regolari per cui ci ha assegnati sei giorni sopra sette.

PASSI PARALLELI
Giovanni 9:4; 14:10; Genesi 2:1-2; Salmi 65:6; Isaia 40:26; Matteo 10:29; Atti 14:17; 17:28
1Corinzi 12:6; Colossesi 1:16; Ebrei 1:3

18 18. Perciò adunque i Giudei cercavano vie più d'ucciderlo; perciocché non solo violava il sabato, ma ancora diceva Iddio essere suo Padre (il proprio suo Padre), facendosi uguale a Dio
Gli Ariani e i Sociniani mantengono che Gesù è detto Figlio di Dio solo in un senso subordinato e come suo servitore; ma i rettori Giudei intendono quell'appellativo, "Padre mio", nel suo vero senso, e vi vedono la pretesa per parte di Cristo di essere della essenza stessa della divinità, uguale a Dio, col pieno diritto di fare tutto ciò che fa suo Padre. Lungi dal confutare tale loro idea, come avrebbe dovuto fare se essa fosse stata il risultato di un malinteso, Gesù la conferma nei versetti seguenti; dimodoché "abbiam qui senza nessun dubbio l'asserzione di una figliolanza speciale e personale, ossia di una partecipazione alla natura essenziale del Padre". Se il Signore avesse chiamato Dio nostro Padre, i Giudei non avrebbero punto trovato strano che si chiamasse egli stesso figlio di Dio Giovanni 8:41; ma l'appropriazione singolare contenuta nella parola "mio", venne da loro considerata come una bestemmia, e diede nuovo vigore alla loro risoluzione di farlo morire, per il duplice crimine di lesa maestà contro la legge di Mosè, e di bestemmia contro a Dio. Cristo si proclama Figlio di Dio per la sua natura e le sue prerogative Giovanni 5:19-30. Non occorre immaginare come fanno alcuni, che sia trascorso qualche tempo fra le parole di Giovanni 5:17 e il discorso essenzialmente apologetico che comincia qui, poiché il Signore avea condotto le cose in modo da obbligare i Giudei ad ascoltare la esposizione che intendeva far pubblicamente dei suoi diritti, li riconoscessero poi o no. Di più l'idea di Giovanni 5:17 cioè la relazione che passa tra le opere del Padre e quelle del Figlio, è pure il tema che egli svolge in questo discorso. L'ostilità che già regnava nel cuore dei suoi uditori si manifestò senza dubbio subito e nella presenza di Cristo, con parole di ira e di contumelia; ma quanto è detto in Giovanni 5:18 serve pure a descrivere la loro condotta posteriore.

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:19
Giovanni 7:22-23; Matteo 12:5
Giovanni 5:23; 8:54,58; 10:30,33; 14:9,23; Zaccaria 13:7; Filippesi 2:6; Apocalisse 21:22-23
Apocalisse 22:1,3

19 19. Laonde Gesù rispose, e disse loro: in verità in verità, io vi dico che il Figliuolo non può far nulla da sé stesso (da sé medesimo), ma fa (ammenoché, eccettoché) ciò che vede fare al Padre; perciocché le cose ch'esso fa, il Figliuolo le fa anch'egli simigliantemente
Come in un caso precedente Giovanni 3:5, l'opposizione alle sue parole Giovanni 5:17 conduce il Signore a ripetere con maggiore enfasi e in termini più chiari la medesima verità. Se i suoi avversari avean creduto che egli si proclamava indipendente da Dio, o suo rivale, le parole di questo versetto smentiscono un tal concetto, primieramente in modo negativo, quindi in modo positivo. L'asserzione negativa consiste nel dire che l'identità stessa di essenza e di volere del Padre e del Figlio rende impossibile, che il Figlio abbia interessi diversi da quelli del Padre, o agisca indipendentemente da lui, imperocché egli "fa ciò che vede fare al Padre", e se non agisce indipendentemente dal Padre, tanto meno agirà in modo contrario a Lui. È evidente dall'accusa Giovanni 5:18 cui risponde, che Gesù qui non parla tanto della sua perfetta ubbidienza, quale Figliuol dell'uomo, al volere di Dio, quanto della unità essenziale del Figlio di Dio col Padre. "Il Figliuolo non può, perché egli è Figliuolo, far nulla da sé. La stessa sua figliolanza presuppone che la volontà e il consiglio del Padre sono pure suo consiglio e sua volontà, e che di tal consiglio e di tal volontà egli possiede una conoscenza perfetta. Essendo in essenziale unità con Dio, il Figlio, anche divenuto uomo, non poteva peccare, non poteva, a mo d'esempio, trasgredire il sabato, imperocché tutto l'essere e tutto l'operato suo è in Dio" (Alford). Nell'ultima parte del ver. troviamo il diniego positivo che egli operasse indipendentemente da Dio. Non solo egli non fece altre opere se non quelle che, "essendo nel seno del Padre", vide fare da Lui; ma tutto ciò che il Padre ha fatto, lo ha fatto pure il Figlio, entrando così in modo positivo nell'opera del Padre, non quale strumento subordinato, ma come co-possessore di ugual potere, sapienza, libertà ed autorità, dimodoché non fu colpevole di rapina nel "farsi uguale a Dio" Filippesi 2:6. La parola "simigliantemente", significa col medesimo piano e metodo, dimodoché è impossibile ogni discordia, ma dev'esservi completa unità. Le parole: "le cose che esso fa", hanno un senso illimitato, abbracciano tutte le opere della creazione, della provvidenza e della salute tutto quanto il Padre fa, il Figlio lo fa pure simigliantemente. La conclusione alla quale non si può sfuggire si è che, se il Figlio fa tutto ciò che fa il Padre, egli pure deve essere onnipotente, onnisciente, onnipresente, infinito in ogni perfezione. Come potrebbe Gesù più chiaramente pretendere di essere uguale al Padre? Non solo egli fa qualunque cosa è, fatta dal Padre, ma la fa nel medesimo modo, eppure sempre in perfetta conformità alla relazione naturale di Padre e di Figlio. Tutto origina dal primo, tutto è messo in opera dal secondo. Diodati osserva su questo versetto: "Non può, non per impotenza, ma per cagione dell'unità dell'essenza e della perfetta unione di volontà e d'operazione di me col Padre, il quale è la fonte, e come il primo esemplare di tutte le ragioni suddette. Vede, termine figurato per accennar l'ineffabile comunione di volontà, sapienza e potenza fra il Figliuolo e il Padre, nell'ordine interno della Santissima Trinità, o la perfetta dipendenza e conformità della volontà di Cristo come Mediatore a quella di Dio suo Padre".

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:24-25; 3:3
Giovanni 5:30; 8:28; 9:4; 12:49; 14:10,20
Giovanni 14:16-23; Genesi 1:1,26; Isaia 44:24; Colossesi 1:16

CONFRONTA Giovanni 5:22 con
Salmi 50:6; 2Corinzi 5:10; Giovanni 2:19; 10:18
Atti 2:24; Romani 6:4; 1Corinzi 15:12; 1Pietro 3:18
Giovanni 5:21,25-26
Efesini 1:18-19; 2:5
Giovanni 5:28-29; 11:25-26
Romani 8:11; 2Corinzi 4:14; Filippesi 3:21; 1Tessalonicesi 4:14; Salmi 27:14; 138:3; Isaia 45:24
2Corinzi 12:9-10; Efesini 3:16; Filippesi 4:13; Colossesi 1:11; Esodo 4:11; Proverbi 2:6
Luca 21:15; Geremia 17:10
Apocalisse 2:23

20 20. Conciossiaché il Padre ami il Figliuolo, e gli mostri tutte le cose ch'egli fa;
Nel vers. precedente il rapporto degli atti del Figlio con quelli del Padre è indicato dal la parola vede; quì dalla parola corrispondente mostri applicata al Padre. Il principio della relazione fra Padre e Figlio, principio dal quale sorge questa comunione, è l'amore, un eterno ed ininterrotto amore, che è la base di unità fra l'opera del Padre e quella del Figlio. Come la relazione di Figlio implica l'impossibilità morale di far cosa alcuna senza il Padre, così la relazione di Padre implica la necessità morale di tutto comunicare al Figlio. Il vocabolo greco qui usato per "ami" è quello che indica specialmente un affetto personale, basato sulla parentela, mentre indica il compiacersi nel carattere e nell'opera della persona amata. La manifestazione di questo amore consiste nella rivelazione completa dei pensieri e dei sentimenti Giovanni 15:15. Il Padre comunica al Figlio ogni suo consiglio e quello che al Figlio è stato in quel modo mostrato, vien da lui eseguito nel suo carattere di mediatore. A noi, come già agli apostoli e ai profeti, riman celata non piccola parte dei disegni di Dio; al Figlio nulla è nascosto; egli adunque possiede l'onniscienza, poiché a nessuna mente finita potrebbesi impartire la conoscenza di tutte quante le opere di Dio.
ed anche gli mostrerà opere maggiori di queste,
Il mostrar quello che egli fa chiaramente implica, per parte del Padre, l'affidarne la esecuzione al Figlio. Il tempo futuro in questa clausola non indica cambiamento alcuno nella relazione del Padre col Figlio; ma solo che il piano eterno di Dio per la salute della umanità si svolge nel tempo, e che il Salvatore ha qui in vista gli stadi successivi dell'opera sua, quali si sviluppano nella storia del mondo. Le "opere maggiori di queste", non saranno miracoli più straordinari di quelli compiuti fino a quell'ora, come il calmare gli elementi, lo scacciare i demoni, il risuscitare i morti ecc. perché le opere meravigliose che Gesù compì in sulla terra sono incluse nella parola "queste", e la Scrittura non distingue i miracoli di Gesù in maggiori o minori. Quali sieno quelle opere "maggiori di queste", il Signore stesso ce lo indica nei versetti che seguono, quando parla di dar vita spirituale ad anime morte, della risurrezione dei morti e del giudizio finale.
acciocché voi vi meravigliate
I nemici di Cristo inchinavano a far poca stima dei suoi miracoli ad attribuirli al potere di Satana; ma l'opere che egli ora annunzia li riempiranno di sorpresa e di terrore, non la sorpresa dell'ammirazione e della fede, ma la maraviglia dello stupore e dello spavento. Che i Giudei fossero in tal modo meravigliati e confusi il giorno di Pentecoste, lo sappiamo dagli Atti degli Apostoli; e che essi, insieme a tutti quanti rigettano Cristo qual Salvatore, debbano esser colpiti dal più profondo terrore quando egli chiamerà i morti dal sepolcro, e pronunzierà sopra ciascuno la sentenza dovuta alle opere sue, è cosa chiaramente dichiarata in Apocalisse 6:15-17. Importa tenere in mente che le espressioni dei ver. 19 e 20: "ciò che vede fare al Padre; ami il Figliuolo"; "gli mostri tutte le cose", "gli mostrerà opere maggiori", sono tutte misurate alla debole nostra capacità. Esse sono intese a spiegare la relazione che passa fra gli Esseri divini, i quali, pure essendo due Persone, sono uno in essenza uno di mente e di volere, benché due in manifestazione uguali in ogni cosa per quanto spetta alla Divinità, quantunque il Figlio sia inferiore al Padre a motivo della sua umanità. Immensa deve dunque essere la difficoltà nel trovar parole che possono esprimere qualsiasi idea della relazione che passa fra queste due Persone; perciò dobbiamo far uso del linguaggio del nostro Signore, con prudenza e con rispetto (Ryle).

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:35; 17:26; Matteo 3:17; 17:5; 2Pietro 1:17
Giovanni 1:18; 10:32; 15:15; Proverbi 8:22-31; Matteo 11:27; Luca 10:22
Giovanni 5:21,25,29; 12:45-47

21 21. Perciocché, siccome il Padre suscita i morti, e li vivifica; così ancora il Figliuolo vivifica coloro ch'egli vuole
In questo versetto Gesù comincia a spiegarci quali sono le "opere maggiori" di Giovanni 5:20. Egli fa uso del tempo presente, perché alcune di esse già erano cominciate, benché la completa loro manifestazione fosse ancora una cosa da venire. Il suscitare e il vivificare i morti sia che queste parole indichino due stadi della risurrezione dei corpi, come affermano alcuni, ovvero la risurrezione fisica distinta dalla spirituale, come par più probabile dal tenore di Giovanni 5:24-29, ci vengono presentati, nell'Antico Testamento, come un attributo essenziale e particolare del Padre Deuteronomio 32:39; 1Samuele 2:6, o i Giudei ritenevano fermamente una tale dottrina. La prima clausola è dunque una dichiarazione generica che il dar vita corporea o spirituale è senza contestazione l'attributo speciale di Dio; Gesù quindi afferma, nella seconda clausola, che la stessa prerogativa appartiene ugualmente a lui; che il Figlio ha autorità, secondo il suo volere, "la cui esecuzione non può mai mancare", di dar vita spirituale o corporale, con la stessa potenza irresistibile del Padre. Non solo compie il medesimo atto divino, ma lo compie, non già come strumento, bensì come agente principale, in virtù del proprio volere, nel modo stesso in cui opera il Padre. Le parole "coloro che egli vuole", indicano la sua uguaglianza col Padre, messa in questione in Giovanni 5:18. "Esse sono di immensa importanza riguardo ai miracoli di Cristo, separandoli da tutti i miracoli compiuti dagli apostoli e dai profeti i quali erano adoperati a compiere atti soprannaturali come strumenti umani, mentre Cristo fece ogni cosa come servo mandato da suo Padre è vero, ma al tempo stesso nell'esercizio del proprio assoluto diritto di azione" (Brown).

PASSI PARALLELI
Deuteronomio 32:39; 1Re 17:21; 2Re 4:32-35; 5:7; Atti 26:8; Romani 4:17-19
Giovanni 11:25,43-44; 17:2; Luca 7:14-15; 8:54-55

22 22. Conciossiaché il Padre non giudichi alcuno, ma abbia dato tutto il giudicio al Figliuolo;
La traduzione letterale delle parole: non è conciossiaché, ma perché neanche il, Padre giudica alcuno, il che implica la cosa medesima che già era stata detta nel vers. precedente del "suscitare i morti" entrambi quegli atti, essendo compiuti, non già separatamente dal Padre, eppoi dal Figlio, ma dal Padre mediante il Figlio, quale volonteroso suo agente. In questo vers. il Signore passa ad un'altra delle "cose maggiori" mentovate in Giovanni 5:20, cioè al giudicio, il quale, nel senso più vasto, viene affidato alle sue mani. È evidente che colle parole: "il Padre non giudichi alcuno", il Signore non vuol punto dire che il Padre non giudica più in modo assoluto, imperocché Iddio non può mai spogliarsi di, uno qualsiasi dei suoi attributi essenziali. Egli non può voler dire che il giudicare è un'opera colla quale il Padre, per natura sua, non ha nulla che fare, perché, in quel caso, il Figlio neppure la potrebbe eseguire, senza entrare in contraddizione con Giovanni 5:19 bensì che il Padre in persona non giudica, avendo interamente affidato quell'opera al Figlie, quale esecutore dei suoi voleri, e "carattere della sussistenza d'esso". Questo vien pure insegnato chiaramente da Paolo agli Ateniesi Atti 17:31. Il vocabolo del Nuovo Testamento indica ordinariamente la condanna e il giudizio dell'ultimo giorno, quando Cristo sederà Giudice dei vivi e dei morti; ma vien pure impiegato secondo l'uso Ebraico per indicare l'esercizio dell'autorità e del potere. "Giudicare" nell'Antico Testamento è sinonimo di "governare", e in questo senso l'usa il Signore nella sua promessa ai dodici: "Voi sederete sopra dodici troni, giudicando le dodici tribù d'Israele" Matteo 19:28; Luca 22:30; parole che implicano che ad essi verrebbe affidato il governo di tutta la Chiesa Cristiana. Le parole: "Tutto il giudicio" indican dunque dominio, sovranità assoluta su tutti gli uomini, e su tutte le cose; v'ha qui più che la semplice esecuzione del giudizio finale; vi ha l'amministrazione universale, tutta l'opera di ordinare, governare e decidere qualunque affare del regno di Dio, il che conduce naturalmente al giudizio finale. Che tale sia il senso delle parole di Gesù in questo passo lo confermano la dichiarazione del Padre al Figlio: "Chiedimi, ed io ti darò per eredità le genti, ed i confini della terra per tua possessione" Salmi 2:8, le parole di Gesù ai suoi discepoli: "Io altresì vi dispongo il regno, siccome il Padre mio me l'ha disposto" Luca 22:29; e l'enfatica sua dichiarazione, al momento di salire in cielo: "Ogni podestà mi è data in cielo ed in terra" Matteo 28:18.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:27; 3:35; 17:2; Salmi 9:7-8; 50:3-6; 96:13; 98:9; Ecclesiaste 11:9; 12:14; Matteo 11:27
Matteo 16:27; 25:31-46; 28:18; Atti 10:42; 17:31; Romani 2:16; 14:10-12
2Corinzi 5:10; 2Tessalonicesi 1:7-10; 2Timoteo 4:1; 1Pietro 4:5; Apocalisse 20:11-12

23 23. Acciocché tutti onorino il Figliuolo, come onorano il Padre;
Lo scopo per il quale il Padre ha commesso ogni autorità e giudicio al Figliuolo come universale Signore e Dominatore, secondo queste parole, si è, che tutti gli uomini gli tributino onore, ubbidienza e culto, nella stessa proporzione, che al Padre stesso. Se con queste parole Gesù non ci ha insegnato che, dobbiamo adorarlo come uguale al Padre, non sapremmo trovare nel linguaggio degli uomini espressioni che più chiaramente contengano una tal verità. Ne dobbiamo derivare che il Figlio non è inferiore al Padre, che egli è uguale al Padre in dignità ed autorità, e deve essere adorato sopra un piede di perfetta uguaglianza con lui.
chi non onora il Figliuolo, non onora il Padre che l'ha mandato
Queste parole si applicano perfettamente al caso dei rettori giudei, ai quali Gesù le rivolgeva. Nel loro zelo ignorante per la gloria di Dio, essi lo accusavano di bestemmia; ma egli rivolge a loro quell'accusa medesima, e mostra, che coll'agire nel modo in cui agivano, oltraggiavano il Padre nella persona del Figlio, poiché egli è solo nel Figlio, che gli uomini possono veramente onorare il Padre, poiché esso solo lo ha rivelato Giovanni 1:18. Queste sono parole piene di ammonizione per i Deisti, i Sociniani e quanti, anche ai dì nostri, per ignoranza, orgoglio od incredulità, trascurano o disprezzano Cristo, pur professando di onorare Iddio. Ben lungi dall'onorarlo, essi gravemente l'offendono, imperocché egli non accetta da loro culto alcuno che non sia ugualmente tributato al suo Figliuolo. "La chiusa di questo versetto: 'che l'ha mandato' segna la transizione dal concetto del Figlio nella sua essenza, a quella del Figlio rivelato mediante la incarnazione" (Westcott).

PASSI PARALLELI
Giovanni 14:1; Salmi 146:3-5; Geremia 17:5-7; Matteo 12:21; Romani 15:12; 2Corinzi 1:9
Efesini 1:12-13; 2Timoteo 1:12
Salmi 2:12; Isaia 42:8; 43:10; 44:6; Matteo 28:19; Romani 1:7; 1Corinzi 1:3; 2Corinzi 13:14
1Tessalonicesi 3:11-13; 2Tessalonicesi 2:16-17; Ebrei 1:6; 2Pietro 3:18; Apocalisse 5:8-14
Matteo 10:37; 22:37-38; 1Corinzi 16:22; Efesini 6:24; Luca 12:8-9; Romani 6:22; 14:7-9
1Corinzi 6:19; 10:31; 2Corinzi 5:14,19; Tito 2:14; Isaia 43:11; 45:15,21; Zaccaria 9:9
Tito 2:13; 3:4-6; 2Pietro 1:1
Giovanni 15:23-24; 16:14; 17:10; Matteo 11:27; Romani 8:9; 1Giovanni 2:23; 2Giovanni 9

24 24. In verità, in verità, io vi dico, che chi ode la mia parola, e crede a colui che mi ha mandato,
Nei tre vers. precedenti, Cristo avea parlato dell'opera che suo Padre gli aveva data da fare, cioè: "vivificare e giudicare"; in questo, egli parla di quell'opera stessa, riguardo ai suoi e effetti sui credenti. In altre parole, egli passa dal considerare la relazione del Padre col Figlio, a considerar quella di Cristo cogli uomini, ripetendo la ben nota formula che dà enfasi alle sue parole. "La mia parola" comprende tutta la sua dottrina e il suo insegnamento, riguardo a sé stesso, riguardo al Padre e riguardo alla salute che egli è venuto ad operare quaggiù per i peccatori. La parola "ode" significa assai più che il semplice atto esterno di udire, od anche di ascoltare; suona udire col cuore, udire con fede, udire e divenire ubbidiente discepolo; è equivalente a "credere", nelle parole che seguono. La disposizione del cuore qui accennata è l'opposto di quella che nella parabola del seminatore Luca 7:5-15, viene indicata dal terreno lungo la via, "o dal terreno pietroso", o dalle spine; è quella di coloro i quali, avendo udita la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono. "C'è parallelismo fra l'espressione: chi ode la mia parola" di questo versetto, e: "morti udiranno la voce" ecc. di Giovanni 5:25 e da ciò deriviamo che questo è un udire che risveglia a vita. Ma, oltre a questo ricevere con fede la sua dottrina, Gesù aggiunge esser necessario credere che il Padre stesso lo ha mandato, e che perciò le sue parole sono veramente un messaggio divino.
ha vita eterna, e non viene in giudicio; anzi è passato dalla morte alla vita
"lett.: è uscito dalla morte per entrar nella vita" Questa gloriosa dichiarazione è vera così della morte spirituale, come della morte eterna. L'uomo il quale, con fede proveniente dal cuore, abbraccia Gesù, qual Dio in natura umana, qual Salvatore "che può salvare appieno coloro i quali per lui si accostano a Dio Ebrei 7:25, è nato da Dio, entra subito in possesso della vita eterna, e non verrà mai più sotto condanna, perché "non vi è alcuna condannazione per coloro che sono in Cristo Gesù" Romani 8:1. Il sangue della espiazione cancella fin da ora la sua colpa Isaia 38:17; Geremia 31:34; Michea 7:19; Atti 10:43. Egli non ha più nulla da temere dal giudizio dell'ultimo giorno. Molti suppongono erroneamente che i credenti entrano in possesso della vita eterna solo all'ora della morte, o nel giorno del giudizio; ma una tale teoria è in diretta opposizione all'insegnamento di Cristo, e pregiudizievole al conforto e alla gioia dei credenti in questa vita, imperocché la vita eterna non è che la crescenza, l'espansione e la perfezione di quella vita spirituale che lo Spirito di Dio impianta nel cuore al momento della conversione, e che riceverà la sua consumazione nella gloria. Gesù ci dice qui che il vero credente è già in possesso della vita eterna, durante il suo pellegrinaggio terrestre: "Egli HA vita eterna". E 1Giovanni 5:13 rende enfatica testimonianza alla medesima verità. Come è meraviglioso e sublime il destino riserbato al credente! Egli è un verme, il cui corpo deve per un tempo "tornare nella polvere dalla quale è stato tratto"; ma il cui spirito già è in possesso di una vita imperitura, da spendersi in gioia e gloria senza fine!

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:16,18,36; 6:40,47; 8:51; 11:26; 12:44; 20:31; Marco 16:16; Romani 10:11-13
1Pietro 1:21; 1Giovanni 5:1,11-13
Giovanni 10:27-30; Romani 8:1,16,17,28-30,33-34; 1Tessalonicesi 5:9; 2Tessalonicesi 2:13-14; 1Pietro 1:5
1Giovanni 3:14

25 25. In verità, in verità, io vi dico, che il ora viene, e già al presente è, che i morti udiranno la voce del Figliuol di Dio; e coloro che l'avranno udita viveranno
I vers. di Giovanni 5:21-22 ci parlarono del potere di vivificare i morti e di giudicare, posseduti dal Figlio; Giovanni 5:24 ci parlò in modo generico del risultato di quel potere nel liberare dalla morte del peccato, e nel dare la vita eterna a quelli che crederebbero in lui come Dio; nei versetti seguenti Gesù entra più minutamente in quei medesimi soggetti presentandoci sé stesso come "la risurrezione", ossia colui che vivifica, così dalla morte del corpo, come da quella dell'anima, e come il giudice dei viventi e dei morti. Che Cristo parli in questo versetto della vita spirituale, impartita a coloro che per natura sono "morti nei falli e nei peccati, è evidente così dall'omissione della parola monumenti", che si trova in Giovanni 5:28, come dall'aggiunta: "e già al presente è" che rendono impossibile l'applicarlo all'ora della risurrezione e del giudizio finale. Quell'ora, con tutta la sua pienezza di benedizioni benché non fosse distante, ancora non era giunta, quando Cristo parlava. Il gran risveglio, di color che son morti spiritualmente parlando, doveva avverarsi alla Pentecoste; ma fin d'allora era principiato in quelli i quali aveano udito la parola del Signor Gesù dalla stessa sua bocca, durante il suo ministerio, e aveano creduto in lui. Nel vers. precedente era stata usata l'espressione: "la mia parola"; qui troviamo l'espressione più potente: "La voce del Figliuol di Dio", perché si tratta i parlare ai morti. La parola finale del vers. "viveranno", deve intendersi nel suo senso più largo, come in Giovanni 5:24 ma, "tutti coloro che l'avranno udita", non indica tutti i "morti". La voce è indirizzata alla classe tutta intera; ma a quelli solo che l'odono in fede, viveranno. Nulla vi ha in queste parole che autorizzi la teoria di Dishausen, secondo la quale Giovanni 5:2 si dovrebbe intendere della risurrezione spirituale, e Giovanni 5:25 di una prima risurrezione corporale dei credenti, la quale, prendendo alla lettera le parole: "Beato e santo è colui che ha parte nella prima risurrezione", in Apocalisse 20:6, si fisserebbe alla venuta di Cristo, al principio del millennio; mentre Giovanni 5:28 si riferirebbe alla risurrezione generale dell'ultimo giorno. Il Signore avrebbe senza dubbio indicato in modo più decisivo una distinzione di tanta importanza.

PASSI PARALLELI
Giovanni 4:23; 13:1; 17:1
Giovanni 5:21,28; Luca 9:60; 15:24,32; Romani 6:4; Efesini 2:1,5; 5:14; Colossesi 2:13; Apocalisse 3:1

26 26. Perciocché, siccome il Padre ha vita in sé stesso, così ha dato, (lett.diede), ancora al Figliuolo d'aver vita, in sé stesso
Il nesso fra Giovanni 5:25; 5:26 è questo: i morti udiranno la voce dei Figliuol di Dio e viveranno, perché il Figlio ha vita in sé, e può impartirla ad altri. Ma questo ver. spiega pure ed amplifica Giovanni 5:21. In quello ci vien parlato dell'esercizio di quel potere; qui ce ne vengon dichiarate la esistenza e la sorgente, le quali trovansi ugualmente nel Padre e nel Figlio. Solo un Essere assoluto può aver vita in sé come la possiede Iddio. Ma siccome non possono esistere due Esseri indipendenti, vien qui usata la parola dato per esprimere una distinzione di persona, non di essenza. Dissentono i critici sulla questione di sapere se il Signore parli qui della sua natura essenziale quale Figlio, prima del principio del tempo, o dello scopo del Padre che questa vita essenziale risiedesse nella persona dell'incarnato su Figlio e in quel modo si manifestasse al mondo. Posson citarsi nomi illustri in appoggio di entrambe quelle teorie; ma Brown suggerisce una Spiegazione soddisfacente della difficoltà, e a quella noi aderiamo. Egli scrive: "Come tutto ciò che Cristo dice nella sua relazione essenziale col Padre ha per scopo di spiegare e di esaltare la sua funzione mediatoria, così quì pure quella sembra essere nella mente e nelle parole del nostro Signore il punto di partenza di questa". Il tempo passato, "diede", ci trasporta indietro prima del tempo, ma si applica pure alla incarnazione, mediante la quale il Figlio di Dio divenne altresì il Figliuolo dell'uomo. Nel versetto seguente, alla sovranità della vita tien dietro l'autorità di giudicare Giovanni 5:27.

PASSI PARALLELI
Esodo 3:14; Salmi 36:9; 90:2; Geremia 10:10; Atti 17:25; 1Timoteo 1:17; 6:16
Giovanni 1:4; 4:10; 7:37-38; 8:51; 11:26; 14:6,19; 17:2-3; 1Corinzi 15:45; Colossesi 3:3-4
1Giovanni 1:1-3; Apocalisse 7:17; 21:6; 22:1,17

27 27. E gli ha data, (diede), podestà eziandio di far giudicio, tu quanto egli è Figliuol d'uomo
Atanasio osserva che espressioni come "dato al Figlio dal Padre" vengono usate allo scopo espresso di contraddire all'eresia Sabelliana, che il Padre e il Figlio sieno una sola e medesima persona. la frase: "di far giudicio", pur, includendo governo, ogni amministrazione e governo, fa pensare al giorno grande e solenne in cui seguirà il giudicio finale, e di cui tratta Giovanni 5:28. Siccome Dio è "il giudice di tutti" Ebrei 12:23, tale è pure essenzialmente il Figlio; ma qui Cristo mette un enfasi speciale sul fatto che il giudicio gli è stato dato perché egli è Figliuol d'uomo. Il titolo "il Figliuol dell'uomo", con i due articoli, è uno che Gesù spesso si dà come Mediatore; ma in questo passo i due articoli sono omessi, ed egli si chiama semplicemente "figlio d'uomo", forma sotto la quale salvo in Apocalisse 1:13; 14:14 quel nome non è mai usato nel Nuovo Testamento, affin di far comprendere ai suoi uditori che la sua incarnazione è la ragione per cui il giudicio viene eseguito dal Figlio e non dal Padre. Eleggere un giudice che possegga la nostra propria natura è uno dei più augusti e dei più mirabili decreti della sapienza divina, nell'opera della redenzione. È conveniente che il nostro giudice sia uno che possiede la nostra natura, che ha sofferto per noi, che ha fatto praticamente l'esperienza delle nostre infermità, che rappresenta la natura e i sentimenti dell'uomo non meno che quelli di Dio, "che è stato tentato in ogni cosa simigliantemente a noi, senza peccato" Ebrei 4:15, e può aver compassione di noi in tutte le nostre tentazioni. A tutte queste qualificazioni pensava Iddio quando affidò ogni giudicio al Figliuolo Giovanni 5:22. "A motivo della sua alleanza colla natura umana, del suo sentire le infermità dell'uomo, di tutto quanto ha fatto e sofferto per amor nostro quale Figliuolo dell'uomo, il Figlio è fra le tre persone della Trinità, il più atto a giudicare, al tempo stesso che il più degno di farlo" (Burgon, citato da Ryle).
La Peshito, ossia la più antica versione siriaca, seguita da Crisostomo, da Eutemisio e da pochi altri, separa l'ultima clausola dal versetto 27 per unirla col 28 e legge: "Perché egli è Figliuol d'uomo non vi meravigliate" ecc. Ma questa lezione non va d'accordo col contesto, mentre la parola "questo" in Giovanni 5:28 sta in appoggio del nesso ordinariamente accettato.

PASSI PARALLELI
Salmi 2:6-9; 110:1-2,6; Atti 10:42; 17:31; 1Corinzi 15:25; Efesini 1:20-23
1Pietro 3:22
Daniele 7:13-14; Filippesi 2:7-11; Ebrei 2:7-9

28 28. Non vi meravigliate di questo; perciocché l'ora viene, che tutti coloro che son ne' monumenti udiranno la sua voce; 29. Ed usciranno,
Questa è un'altra delle "opere maggiori" delle quali Cristo parlava alla ostile sua udienza Giovanni 5:20. Se quanto avea già detto li riempiva di stupore, egli avea cose più meravigliose ancora da rivelare. Tale è il senso delle parole: "non vi meravigliate di questo". In Giovanni 5:25 avea parlato della risurrezione delle morte anime a vita spirituale; ma le parole di questo versetto si riferiscono senza contraddizione alla risurrezione generale dei morti, quando sarà chiusa la storia di questo mondo. Questo risulta evidente:
1) perché manca in questo passo la frase: "e già al presente è",
2) perché vi è fatto menzione dei "monumenti",
3) perché ci è una distinzione fra il numero limitato dei risuscitati in Giovanni 5:25 "coloro che avranno udito la sua voce" e l'universalità dei morti in questo versetto: "Tutti coloro che son nei monumenti udiranno" ecc.
4) perché la risurrezione a vita, o la risurrezione a condannazione sono annunziate per tutti quelli che nella tomba udranno, "lo vogliano o no", la voce del Giudice Giovanni 5:28.
Qui la risurrezione è il risultato inevitabile della sola azione divina, "tutti udiranno"; Giovanni 5:25 era il prodotto non solo della chiamata divina, ma pure della fede che accettava quella. La dottrina della risurrezione di tutti, accompagnata dal giudicio universale, quale viene insegnata dal Salvatore in questo versetto, è corroborata da molti altri passi della Scrittura, e segnatamente in Daniele 12:2; Matteo 10:28; 25:23; Giovanni 11:24; Atti 17:31; Romani 2:6-9; 2Corinzi 5:10; 2Tessalonicesi 1:7-10; Apocalisse 20:12-13. Una conseguenza di tale dottrina è la condanna di molte idee assai prevalenti ai giorni nostri, per esempio che non c'è né futuro castigo, né inferno, né condanna dei malvagi, perché Dio è troppo misericordioso per condannare e distruggere qualsiasi sua creatura; o ancora che la risurrezione è il privilegio speciale dei soli credenti, mentre i malvagi saranno puniti, mediante il completo loro annichilamento alla morte. Le parole di Matteo 25:41-46, si applichino esse a membri ipocriti della Chiesa di Cristo, o agli empi in generale, scalzano dalle fondamenta entrambe quelle teorie. Il Signore non ci permette di dubitare che la medesima voce, la quale chiamò nel principio l'universo all'esistenza, sveglierà all'ultimo giorno i dormienti in ogni tomba, sulla terra o in fondo al mare, ma del modo nel quale la sua voce sarà udita egli non ci dice nulla. San Paolo dichiara in 1Corinzi 15:52 che "la tromba sonerà e i morti risusciteranno", ed in 1Tessalonicesi 4:16 che "il Signore con acclamazione, con voce di arcangelo e con tromba di Dio, discenderà dal cielo"; al di là di questo, tutto è mera supposizione.

29 coloro che avran fatto bene, in risurrezion di vita, e coloro che avran fatto male, in risurrezion di condannazione
Le parole: "avranno fatto bene... male" indicano in modo generico i caratteri opposti dei due partiti che devono comparire in giudizio; ma le parole greche relative ad ognuno, non sono le stesse: rappresentano la fede, quindi tutti i frutti di santificazione, che da quella derivano; l'atto stesso della incredulità, poi tutte le sue immorali conseguenze, Vedi Nota Giovanni 3:20. Notiamo che qui, come altrove, quando vien parlato di giudicio secondo le opere, s'intende parlare della grande ed universale risurrezione dell'ultimo giorno. Come differivano la vita e le opere di ognuna di quelle classi, così sarà pur differente la sorte finale di ognuna di esse nel giorno del giudicio: per, l'una vi sarà "la risurrezione di vita, per l'altra" la risurrezione di condannazione. La differenza nelle espressioni usate relativamente a ciascuna di quelle classi ha condotto alcuni scrittori alla conclusione che i credenti non andranno in giudicio, ma entreranno subito nella gloria; mentre altri sostengono che vi saranno due risurrezioni, una anteriore al millennio l'altra alla sua chiusura, e che la "risurrezione di vita" è la stessa che la "prima risurrezione" di Apocalisse 20:5. La descrizione che il nostro Signore stesso dà in Matteo 25:34-40 dell'apparizione dei santi dinanzi al suo trono di giudice, contiene la più completa contraddizione della prima di quelle teorie; e d'altra parte crediamo che l'interpretazione data alla "prima risurrezione" proviene da un concetto erroneo del passo dell'Apocalisse, il quale parla del trionfo dei principi e delle dottrine delle "anime disotto all'altare, degli uomini uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza dell'Agnello, la quale aveano" Apocalisse 6:9. La "risurrezione di vita", congiunta qui coll'uscita dei corpi dalla tomba, indica la concessione in completa perfezione a tutto l'uomo all'anima beatificata e al "corpo spirituale", di quella vita eterna, che Dio nella sua carità mandò suo Figlio a preparare per tutti quelli che credono nel suo nome Giovanni 3:16, e di cui, secondo quanto ci dice questo medesimo Apostolo, quelli che erano prima "morti nei falli e nei peccati" sono stati messi in possesso, quando hanno accettato Cristo per la loro giustizia. "Io ho scritto queste cose a voi che credete nel nome dei Figliuol di Dio, acciocché sappiate che avete la vita eterna 1Giovanni 5:13. La "risurrezione di condannazione", benché tal non sia la traduzione letterale. "di giudicio" ne esprime però appieno il concetto, perché sta in contrasto colla "risurrezione di vita". "L'ira di Dio si palesa dal cielo sopra ogni empietà ed ingiustizia degli uomini" Romani 1:18, e siccome tutti gli uomini sono peccatori, tutti sono "di natura figliuoli d'ira" Efesini 2:3, e giacciono per tutta la vita sotto questa condanna al castigo eterno Giovanni 3:18, ammenoché ne sieno liberati, mediante una fede vivente nella giustizia di Gesù Cristo Romani 8:1 degli uomini corrisponderà al loro carattere e alla loro condotta quaggiù. Se muoiono sotto la dannazione, il giudicio pel quale risorgeranno all'ultimo giorno porterà pure necessariamente lo stesso castigo, cioè la morte eterna. Il Signor Gesù lo chiama "pene eterne" Matteo 25:46; e Paolo: "la perdizione eterna dalla faccia del Signore, e dalla gloria della sua possanza" 2Tessalonicesi 1:9.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:20; 3:7; Atti 3:12
Giovanni 6:39-40; 11:25; Giobbe 19:25-26; Isaia 26:19; Ezechiele 37:1-10; Osea 13:14
1Corinzi 15:22,42-54; Filippesi 3:21; 1Tessalonicesi 4:14-17; Apocalisse 20:12

30 30. Io non posso da (da) me stesso far cosa alcuna; io giudico secondo che io odo; e il mio giudicio è giusto; perciocché io non cerco la mia volontà, ma la volontà del Padre che mi ha mandato
Questo, che chiude la prima parte del discorso di Gesù, e forma una transizione colla seconda, è in sostanza la ripetizione di Giovanni 5:19 - Per l'esposizione, Vedi Nota Giovanni 5:19. Gesù dichiara di non poter far nulla senza il Padre o in opposizione a lui, o per qualsiasi interesse proprio e personale. Il verbo "odo" corrisponde a vedo Giovanni 5:19 ed il senso è che il giudicio del Figlio si fonda sulla sua conoscenza dei pensieri del Padre, come già la sua azione avea per base la perfetta visione delle opere di Lui. I suoi giudici non possono dunque essere erronei, perché già li ha pronunziati anticipatamente la mente del Padre, al quale egli ha continuo accesso, e perché egli vive per il solo ed unico fine di mettere ad effetto "la volontà del Padre che lo ha mandato". Notisi pure in questo versetto che parlando di sé stesso, egli passa dalla terza persona alla prima, e in questa continua ad esprimersi nel rimanente del discorso. Così lo sprezzato profeta di Nazaret identifica sé stesso col Figlio di Dio; non è più il Figlio, "ma "l'io" che fa queste cose.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:19; 8:28,42; 14:10
Giovanni 8:15-16; Genesi 18:25; Salmi 96:13; Isaia 11:3-4; Romani 2:2,5
Giovanni 4:34; 6:38; 8:50; 17:4; 18:11; Salmi 40:7-8; Matteo 26:39; Romani 15:3
Osea 10:7-10

31 La realtà della unione del Padre e del Figliuolo confermata da altre testimonianze così umane come divine Giovanni 5:31-40

31. Se io testimonio di me stesso, la mia testimonianza non è verace
Qui il Signore va incontro ad una obbiezione che forse già nasceva nella mente dei suoi uditori, e alla quale uno di essi diede espressione più tardi Giovanni 8:13, "le tue dichiarazioni non hanno valore, perché niente le conferma". Di questa obbiezione egli riconosce la forza. Secondo la legge di Mosè non bastava la parola di un sol testimonio dinanzi ad un tribunale, ne occorrevano tre o due almeno, per stabilire un'accusa Deuteronomio 17:6; 19:15 e, questa regola venne estesa, anche ad altre materie contestate. Le parole: "non è verace", non vogliono dire che la testimonianza di Gesù a sé stesso fosse assolutamente falsa, ma solo che mancavano le prove necessarie a renderla evidente. Benché quello che Gesù diceva di sé stesso fosse vero, egli riconosce che la sola sua parola non era testimonianza sufficiente a convincere i suoi uditori, e che essi avevano il diritto di domandarne la conferma, mediante altre prove che egli ora si accinge a dar loro.

PASSI PARALLELI
Giovanni 8:13-14,54; Proverbi 27:2; Apocalisse 3:14

32 32. V'è un altro che rende testimonianza di me,
Crisostomo, seguito da molti altri, riferisce questo "un altro" a Giovanni Battista; ma questo è un errore:
1) perché in Giovanni 5:24 il Signore dichiara di non ricevere testimonianza da alcun uomo,
2) perché la testimonianza di Giovanni Giovanni 5:33 "già era stata data", ed ora egli era o morto o in prigione, mentre la testimonianza di questo "altro" continuava a venirgli resa al momento in cui parlava. Il nesso fra questo versetto e quello che segue non lascia dubbio alcuno che il testimonio qui introdotto sia Dio suo Padre.
ed io so che la testimonianza ch'egli rende di me, è verace
Queste parole non sono una attestazione della veracità del Padre, cosa da tutti ammessa, bensì l'espressione del profondo sentimento che il Figlio aveva della propria dignità e della sua unione col Padre, cui il Padre stesso rende esterna testimonianza. Così Gesù conforta il proprio spirito, sotto la nuvola di opposizione umana, che già si addensava sopra il suo capo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:36-37; 1:33; 8:17-18; 12:28-30; Matteo 3:17; 17:5; Marco 1:11; Luca 3:22
1Giovanni 5:6-9
Giovanni 12:50

33 33. Voi mandaste a Giovanni, ed egli rendette testimonianza alla verità
Questo cenno di Giovanni e della sua testimonianza forma una parentesi, il cui scopo è di mostrare che "un altro" di Giovanni 5:32 non era. Giovanni medesimo, benché il Signore ne riconosca la testimonianza, e renda, una volta di più, un nobile tributo a quel fedele servitore Luca 7:24-28. Il fatto cui qui allude il Signore è senza dubbio quello che vien ricordato in Giovanni 1:19-28, quando cioè una deputazione venne mandata dal Sinedrio per esaminar la dottrina e le pretese del Battista, e dinanzi a quella egli rese piena testimonianza ad, uno maggiore di lui, il quale già trovavasi in persona nella folla. Benché il Signore non avesse l'intenzione di basare sulla testimonianza del Battista i suoi diritti divini, egli però mette una certa enfasi sulle parole: "voi mandaste a Giovanni", da voi siete andati a cercar la sua testimonianza, perciò dovreste crederla, perché è verace. Tutta l'importanza qui data al Battista consiste in questo che egli rese testimonianza alla verità.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:19-27
Giovanni 1:6-8,15-18,29-34; 3:26-36

34 34. Or io non prendo testimonianza da uomo alcuno; ma dico queste cose, acciocché siate salvati
Cioè: "io non dipendo da una testimonianza umana, per quanto sia degna di fede. Non tengo dunque conto del Battista; ho semplicemente parlato di lui per il vostro bene, e col sincero desiderio che dando retta alla sua testimonianza, possiate ancora credere in me ed essere salvati".

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:41; 8:54
Giovanni 20:31; Luca 13:34; 19:10,41-42; 24:47; Romani 3:3; 10:1,21; 12:21; 1Corinzi 9:22
1Timoteo 2:3-4; 4:16

35 35. Esso era una lampana ardente e lucente; "lett. la lampana che è accesa e che luce"
Questa descrizione del Battista contrasta con quella che vien data di Cristo Giovanni 1:5, 7-8. Eccetto in Apocalisse 21:23, Cristo non vien mai designato coll'umile titolo quì dato a Giovanni. Egli è LA LUCE, nel senso più assoluto; Giovanni non fu che la lampana che è stata accesa a quella, non avente che una luce derivata, e che si consumava mentre riluceva. La figura qui usata è quella della lampana di casa Matteo 5:15, che, accesa quando la notte vien "messa sopra il candeliere, e dà luce a tutti coloro che sono in casa", finché se ne ha bisogno. Questo fa risaltare la eminenza dell'insegnamento, del Battista paragonato a quello di altri profeti, ma ne fa pur vedere la transitorietà: brillava ieri ed oggi non più. I due imperfetti di questo versetto sembrano indicare che la sua luce già si era spenta nel carcere o nella morte.
e voi volentieri gioiste, per un breve tempo "per un'ora " alla sua luce
Nel principio del suo ministerio, Giovanni acquistò in Giudea una popolarità pressoché universale; gente di ogni rango e di ogni condizione corse nel deserto per udirlo, e siccome egli si proclamava precursore del Messia, nel quale aspettavano un potente monarca temporale, i Giudei gli andarono dietro in sulle prime con grandissimo piacere. Una visita al deserto era un'escursione di piacere, una festa! Ma quando egli cominciò ad accusarli dei loro vizi e ad esortarli al pentimento, come condizione necessaria per ricevere il Messia, presto si stancarono di lui e gli voltarono le spalle; la novità era passata, e la severità della dottrina del profeta li offendeva. In Luca 7:31 ecc. il Signore descrive il carattere noncurante dei Giudei riguardo alle cose divine, paragonandoli a dei frivoli bambini che si divertono sulla piazza. Una consimile figura è evidentemente presente alla mente sua in questa occasione, quella cioè di bambini che si divertono con inezie nel breve tempo in cui la lampada brilla, anziché utilizzare quei momenti preziosi, per adempire qualche dovere importante e di grande premura. "È impossibile", dice Godet, "caratterizzar meglio la vana ed infantile soddisfazione che l'orgoglio nazionale avea per un momento trovato nell'apparizione di quell'uomo straordinario, e l'assenza dei frutti seri di pentimento e di fede che quell'apparizione medesima era destinata a produrre".

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:7-8; Matteo 11:11; Luca 1:15-17,76-77; 7:28; 2Pietro 1:19
Giovanni 6:66; Ezechiele 33:31; Matteo 3:5-7; 11:7-9; 13:20-21; 21:26; Marco 6:20
Galati 4:15-16

36 36. ma io ho la testimonianza maggiore di quella di Giovanni;
cioè una testimonianza più nobile e più degna di fede, benché quella del precursore fosse stata buona ed utile al posto suo. Queste parole non si devono intendere come un indizio che Gesù stava per mettere avanti qualche testimonianza addizionale del genere medesimo, benché di peso maggiore che quella di Giovanni; esse significano che il testimonio, al quale egli ora fa appello, appartiene ad un ordine affatto diverso; non è umano, ma divino. Quella testimonianza era quella di suo Padre, resa in due modi, cioè mediante le opere che gli aveva dato il potere di compiere, e mediante la rivelazione storica dell'Antico Testamento, la quale tutta si riferisce a lui.
conciossiaché l'opere, che il Padre mi ha date ad adempiere, quelle opere, dico, le quali io fo, testimoniano di me, che il Padre mi ha mandato
Molti scrittori sostengono che queste "opere" sono tutto ciò che è stato indicato in Giovanni 5:20-30, cioè il vivificare, il risuscitare, il giudicare, in breve tutto ciò che il Figlio fa o farà, finché non sia adempiuto il disegno del Padre, e la redenzione del mondo. Ma benché tutte queste cose possano venir comprese sotto quel nome, non v'è dubbio che qui esso indica propriamente i miracoli che Gesù operava, e che testificavano ai sensi dei suoi uditori, la sua missione divina. In Giovanni 17:4, al singolare e coll'articolo: io ho adempiuto l'opera indica, senza dubbio l'opera sua messianica tutta intera, colle sue manifestazioni individuali, e non già i suoi miracoli nel loro assieme; ma quando la parola si trova usata al plurale, come qui, un tal senso non le si confà così bene come quello che la restringe ai soli miracoli. Oltre a questo passo Giovanni 10:25,32-38 e Giovanni 14:11 sono chiaramente in favore di questo modo di vedere. Il ragionamento di Godet su questo passo è molto stringente: "I miracoli sono indicati da una parte come dei doni del Padre a Gesù, e dall'altra, come opere di Gesù medesimo. E invero egli è in forza di questo duplice carattere che essi costituiscono una testimonianza previsione è da Dio. Se il Figlio li avesse adempiuti in virtù del proprio potere, essi non sarebbero una dichiarazione da Dio, e se Dio li avesse prodotti direttamente, senza valersi di suo Figlio, come di suo strumento, questi non avrebbe potuto derivare da essi qualsiasi autenticazione personale". La obbiezione che la parola "adempiere" non si possa applicare ai miracoli, perché ciascuno è finito al momento in cui viene operato, non ha peso alcuno, poiché questo verbo non si riferisce al completamento di qualsiasi miracolo isolato, ma ai miracoli nel loro complesso, e questo era il pensiero di Cristo. Si fu per convincere i suoi avversari che la sua dottrina era da Dio, che egli aggiunse ad essa la convincente testimonianza di miracoli che Dio solo poteva adempiere.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:32; 1Giovanni 5:9,11-12
Giovanni 3:2; 9:30-33; 10:25,37-38; 11:37; 14:10-11; 15:24; 17:4; Atti 2:22
Matteo 11:4

37 37. Ed anche il Padre stesso che m ha mandato, ha testimoniato di me;
Questa è la seconda testimonianza che il Padre rende a suo Figlio; la prima era quella dei miracoli che gli avea dato il potere di fare, quale Figliuolo dell'uomo; questa è la testimonianza diretta della sua parola scritta, delle scritture dell'Antico Testamento, come appare, secondo noi, dal nesso di questo versetto coi vers. Giovanni 5:38-39. Questa è l'opinione di Cirillo, Teofilatto, Calvino, Tholuck, Alford, D. Brown, Luthardt, Westcott, Lange e molti altri. Però altre spiegazioni, sostenute da nomi di autorità incontestabile, indicano che c'è qui una sentita difficoltà, non essendo chiaro a qual "testimonio del Padre" Gesù si riferisce in questo passo. Agostino, Neander, Stier, Milligan ed altri considerano questa testimonianza, non come nuova, ma come una semplice continuazione di quella "delle opere" Giovanni 5:36. Il cambiamento dal tempo presente: di quel vers. al perfetto del 37, ci pare una risposta sufficiente a tale teoria. La testimonianza dei miracoli continuava tuttora" ma quest'altra testimonianza era chiusa da molto tempo. Crisostomo, Bengel, Baxter, Lampe, Burkitt, Henry, Godet ed altri pensano che questa testimonianza fosse costituita dalle parole che il Padre fece udire in mezzo alla sua gloria eccellente, al momento del battesimo di Cristo nel Giordano; e alcuni di essi, dimentichi della cronologia, aggiungono a quelle la dichiarazione che echeggiò sul monte della Trasfigurazione! Ma ci pare un'obbiezione capitale a questa teoria che la voce del Padre fu probabilmente udita al Giordano dal solo Battista, e alla trasfigurazione dai soli Pietro, Giacomo e Giovanni; in ambo i casi fu dunque una testimonianza privata, e di nessuna utilità per il popolo giudeo in generale.; Deuteronomio Wette e Olshausen, vedono in questo ver. la divina testimonianza nel cuore del credente, la voce interna colla quale Dio rende testimonianza al Vangelo nel cuore dell'uomo Giovanni 6:44. Ma con tale veduta è impossibile spiegare l'uso del tempo perfetto: "ha testimoniato", né le parole che vengono subito dopo quelle, e che sembrano riferirsi ad una manifestazione personale:
voi non udiste giammai la sua voce, né vedeste la sua sembianza
La spiegazione di queste parole ha offerto grandi difficoltà. Alcuni vi scorgono un rimprovero di Cristo ai suoi uditori, come se dicesse: "Nelle mie parole è, il Padre che ha parlato", se non fosse stato per la vostra incredulità, avreste riconosciuto la sua voce. Nei miei atti è il Padre che si è dato a conoscere, e se non foste stati privi dell'occhio spirituale avreste veduto Iddio. Altri, riferiscono queste parole alle teofanie e visioni dell'Antico Testamento; altri ancora alla voce e all'apparizione di Dio, quando Cristo fu battezzato. Calvino le considera come espressioni figurate, mediante le quali Gesù dichiara che i Giudei erano affatto estranei alla conoscenza di Dio. Diodati osserva su questo passo: "Non v'ha da meravigliarsi che questa testimonianza del Padre sia di così poco peso per voi, poiché la sua parola vi è altrettanto incognita ed oscura, quanto la sua faccia gloriosa in cielo". Le parole come stanno son perfettamente intelligibili in sé, senza bisogno di ricorrere ai simboli o alle metafore, e denotano evidentemente una conoscenza personale immediata del Padre, conoscenza che mancava agli uditori di Gesù. Il Signore fa uso di una formula consimile Giovanni 6:45,46 per mettere in contrasto la sua conoscenza personale di Dio, con ogni conoscenza puramente umana: "Non già che alcuno abbia veduto il Padre, se non colui che è da Dio; esso ha veduto il Padre" Confr. Giovanni 1:18. Preferiamo dunque intenderle, con Godet, non già come un rimprovero della insensibilità religiosa dei Giudei, bensì come una dichiarazione della impotenza naturale dell'uomo di innalzarsi alla conoscenza immediata e personale di Dio. "Benché la costruzione della frase non corrisponda con precisione al pensiero", come spesso accade in Giovanni, "il senso sembra essere: 'quantunque non possiate avere nessuna comunicazione diretta e personale col Padre, poiché non avete udito la sua voce, né visto il suo sembiante, avete la sua parola, nella quale è rivelata la sua testimonianza; ma oimè! essa non dimora in voi'" (Tholuck).

PASSI PARALLELI
Giovanni 6:27; 8:18; Matteo 3:17; 17:5
Giovanni 5:32
Giovanni 1:18; 14:9; 15:24; Esodo 20:19; Deuteronomio 4:12; 1Timoteo 1:17; 6:16; 1Giovanni 1:1-2
1Giovanni 4:12,20

38 38. E non avete la sua parola dimorante in voi conciossiaché non crediate a colui ch'egli ha mandato
Questo notevole pensiero della parola di Dio che prende dimora nella mente, e forma la mente in cui dimora, s'incontra solo in Giovanni Giovanni 15:7; 1Giovanni 2:14,24; 3:9. I Giudei avevano bensì la parola di Dio; ma essa non era una potenza che dimorasse di continuo in loro. La rinchiudevano con gelosa cura nell'arca o nella sinagoga; ma non le davano luogo nella loro vita più intima essa non aveva potere sulle loro azioni. Se fosse stata in loro, i loro spiriti, plasmati dalla divina parola, avrebbero ricevuto LA PAROLA di Dio, che ora trovavasi in mezzo a loro. Rigettando Colui che il Padre aveva mandato, provavano quanto fossero ignoranti degli oracoli di Dio, dei quali pure erano i custodi Romani 3:2. Il Signore evidentemente insegna qui che una conoscenza reale della volontà di Dio condurrà sempre un uomo alla fede in Cristo. L'ignoranza e l'incredulità vanno insieme.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:42,46-47; 8:37,46-47; 15:7; Deuteronomio 6:6-9; Giosuè 1:8; Salmi 119:11; Proverbi 2:1-2
Proverbi 7:1-2; Colossesi 3:16; Giacomo 1:21-22; 1Giovanni 2:14
Giovanni 5:43; 1:11; 3:18-21; 12:44-48; Isaia 49:7; 53:1-3

39 Gesù svela l'incredulità, dei Giudei qual risultato della ignoranza del significato delle scritture dell'Antico Testamento Giovanni 5:39-47

39. investigate le scritture,
Il nesso fra questo versetto e il precedente prova chiaramente che, per la parola di Dio, (ver. 38) Gesù intendeva le scritture dell'Antico Testamento. Il verbo può essere imperativo, "investigate, secondo Diodati e il maggior numero delle versioni", o indicativo, "voi investigate", e ciascuna di queste traduzioni ha per sé un esercito di scrittori antichi e moderni. Crisostomo, Agostino, Teofilatto, Lutero, Calvino, Hammond, Stier, Alford, Ryle e molti altri vedono in queste parole di Gesù un comandamento di modo imperativo, e in favore di questa opinione stanno la posizione del verbo al principio della frase, e la mancanza del pronome personale. Cirillo, Beza, Poole, Tholuck, Bengel, Godet, Luthard, Westcott, Brown, Milligan, Webster e Wilkinson, e il maggior numero dei commentatori moderni adottano il modo indicativo: "voi investigate". Se si osserva che nei versetti che precedono, come pure in quelli che seguono, tutti i verbi sono al modo indicativo, quest'ultimo modo di tradurre par da preferirsi. Ai rettori dei Giudei, cui il Signore rivolgeva quelle parole, Vedi Giovanni 5:16 non occorreva comandar di "investigar le Scritture", per quanto almeno concerneva la lettera di esse, imperocché il loro giornaliero lavoro consisteva precisamente in una investigazione intensa e minuta delle scritture, fino a contar le lettere e le sillabe di ogni libro, "studio che risultò nelle interpretazioni allegoriche e mistiche del Midrash" (Westcott). Trattandosi di, gente che nutriva una riverenza così fanatica per la lettera della legge, nell'indicativo, "voi investigate", dà un senso più soddisfacente. Virtualmente Cristo dice: "Lungi dall'accusarvi di disprezzar le scritture, riconosco che ve ne occupate del continuo, benché non deriviate da quello studio benefizio alcuno".
perciocché voi pensate per esse aver vita eterna;
La parola pensate non implica che questo fosse un punto dubbio, lasciato all'opinione di ciascuno; vuol dir piuttosto che essi avevano ragione credendo che nelle scritture dell'Antico Testamento fosse indicata la via della vita eterna. Alcuni però intendono queste parole come se i Giudei stimassero avere ipso facto la vita eterna, solo perché possedevano le scritture, credenza perfettamente erronea, ma la cui esistenza fra i Giudei darebbe più forza ancora all'argomento del Salvatore.
ed esse son quelle che testimonian di me
Questa è una dichiarazione di gran peso sul valore delle scritture l'Antico Testamento, di faccia al criticismo sempre più ostile che ne impugna così l'autenticità come l'ispirazione. Il Signore della gloria espressamente dichiara: "esse testimoniano di me". Con profezie dirette, con promesse, mediante tipi di persone e di riti, tutte le scritture dell'Antico Testamento testimoniano di Cristo. Ne annunziano la venuta, la maniera di vita, la morte ignominiosa e la gloriosa ascensione.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:46; 7:52; Deuteronomio 11:18-20; 17:18-19; Giosuè 1:8; Salmi 1:2; 119:11,97-99
Proverbi 6:23; 8:33-34; Isaia 8:20; 34:16; Geremia 8:9; Matteo 22:29; Marco 12:10
Luca 16:29,31; Atti 8:32-35; 17:11; Romani 3:2; Colossesi 3:16; 2Timoteo 3:14-17
2Pietro 1:19-21
Deuteronomio 32:47; Salmi 16:11; 21:4; 36:9; 133:3; Daniele 1; 2:2; Matteo 19:16-20
Luca 10:25-29; Ebrei 11:16,35
Giovanni 5:32,36; 1:45; Deuteronomio 18:15,18; Atti 26:22-23,27; Romani 1:2; 1Pietro 1:10-11
Apocalisse 19:10
Luca 24:27,44

40 40. Ma voi non volete venire a me, acciocché abbiate la vita
"voi ricusate ", descrive l'aspetto volontario della incredulità, l'antipatia morale che ne è la vera causa. "L'uomo possiede quella libertà di decisione che lo fa responsabile" (Westcott). "La sola ragione", dice Henry, "per cui i peccatori periscono si è perché non vogliono venire a Cristo per aver vita e felicità; non è perché non possono, bensì perché non vogliono". Così termina la catena di argomenti che va dal ver. 37 al 40 Giovanni 5:37-40. "Voi non avete la parola di Dio dimorante nei vostri cuori, altrimenti credereste a colui che il Padre ha mandato. Anziché ricevere le scritture come un potere vivente interno, ne investigate e ne commentate la lettera esterna. Pensate che esse contengono la vita eterna, da ciò il vostro rispetto per esse; eppure, quantunque rendano indubitata testimonianza di me, che Sono LA VITA, ricusate di venire a me per averla".

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:44; 1:11; 3:19; 8:45-46; 12:37-41; Salmi 81:11; Isaia 49:7; 50:2; 53:1-3
Matteo 22:3; 23:37; Apocalisse 22:17
Giovanni 6:27,37,40,68-69; 7:37-38; 11:25-26; Romani 6:23; 1Giovanni 5:11-13

41 41. io non prendo gloria dagli uomini
"Non crediate che io parli così per essere personalmente offeso dalla vostra reiezione di me, perché dagli uomini non cerco né onore né gloria". La gloria del Messia risiede nella sua perfetta comunione col Padre, in ogni cosa che pretende per sé medesimo, egli cerca la gloria di suo Padre.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:34; 6:15; 7:18; 8:50,54; 1Tessalonicesi 2:6; 1Pietro 2:21; 2Pietro 1:17

42 42. Ma io vi conosco, che non avete l'amore di Dio in voi
"ma", col quale comincia questo versetto è enfatico. Benché l'esser rigettato da voi non implichi disonore personale per me, né impedisca l'opera mia, esso conferma chiaramente quello che già io sapeva, sia per le relazioni avute con voi, sia perché leggo nei vostri cuori, cioè che non avete l'amor di Dio in voi, altrimenti mi avreste ricevuto con gioia. "Dio è al tempo stesso l'autore e l'oggetto di quell'amore, ed è spesso difficile decidere se quelle parole esprimono l'amore vivificante di Dio per gli uomini, o l'amore degli uomini che corrisponde a quello di Dio" (Westcott). Probabilmente si tratta qui soprattutto di quest'ultimo. "Ama il Signor Iddio tuo con tutto il tuo cuore" era scritto sulle loro larghe filatterie; ma quell'amore non trovava posto nei loro cuori né aveva influenza alcuna sulla loro vita.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:47-49; 2:25; 21:17; Luca 16:15; Ebrei 4:12-13; Apocalisse 2:23
Giovanni 5:44; 8:42,47,55; 15:23-24; Romani 8:7; 1Giovanni 2:15; 3:17; 4:20

43 43. io son venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete;
In Giovanni 8:42 Gesù esprime lo stesso pensiero. "Riferendo ogni cosa al potere e alla presenza di suo Padre, pronto a fare in ogni cosa non la propria ma la sua volontà, desideroso in ogni tempo della gloria di suo Padre, Gesù venne quaggiù nel nome di Lui. Ed essi non lo hanno ricevuto, appunto perché di tale spirito egli era animato" (Milligan).
se un altro viene nel suo proprio nome, quello riceverete
Il contrasto fra la condotta di Cristo Giovanni 5:41, e quella dei rettori giudei ben si vede qui espresso. Il tratto distintivo del loro carattere era che "prendevano gloria dagli uomini", Vedi Note Matteo 23:4; Matteo 23:5; Matteo 23:6; Matteo 23:7, e chiunque pagava loro quel tributo, esso volentieri ricevevano, anche se era un impostore, che veniva nel proprio nome, senza mandato alcuno. "Un cercatore di potere corrisponderebbe alla loro idea carnale del Messia. Egli li adulerebbe e renderebbe loro onore, e perciò verrebbe da essi subito ricevuto" (Watkins). In Matteo 24:24, Gesù profetizzò che falsi Cristi e falsi profeti sorgerebbero ad ingannare il popolo, e questa profezia venne in modo notevole adempiuta nella storia dei Giudei. "Dal tempo del vero Cristo fino al nostro", dice Bengel, "si contano sessantaquattro falsi Cristi, dai quali sono stati ingannati i Giudei".

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:16; 6:38; 8:28-29; 10:25; 12:28; 17:4-6; Ezechiele 23:21; Ebrei 5:4-5
Matteo 24:5,24; Atti 5:36-37; 21:38

44 44. Come potete voi credere, poiché prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da un solo Dio?
Lett. dal solo Dio. L'impossibilità di credere in lui, Gesù chiaramente l'ascrive a mancanza di onestà e di sincerità religiosa. Professavano gran zelo per il servizio di Dio, mentre in realtà non pensavano che a piacere all'uomo, e a ricever gloria gli uni dagli altri. Cercavano lodi; vivevano di orgoglio, di ambizione e di vanagloria, e non volevano rinunziare loro onori mondani per seguire il povero ed umile Gesù. Questa era la gran ragione per la quale non volevano credere in lui. La stessa ragione è vera tuttodì; se un uomo non è interamente onesto nella sua ricerca della verità, religiosa, se egli accarezza nel suo cuore un qualunque idolo che egli è risoluto a non abbandonare, se nel segreto dell'animo suo, egli si dà pensiero di qualsiasi cosa che non sia la gloria che viene da Dio, la mancanza di sincerità del cuor suo è una barriera insormontabile alla fede.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:20; 8:43; 12:43; Geremia 13:23; Romani 8:7-8; Ebrei 3:12
Matteo 23:5; Galati 5:19-21; Filippesi 2:3
1Samuele 2:30; 2Cronache 6:8; Matteo 25:21-23; Luca 19:17; Romani 2:7,10,29; 1Corinzi 4:5
2Corinzi 10:18; Giacomo 2:1; 1Pietro 1:7

45 45 Non pensate che io vi accusi appo il Padre;
Avendo egli dichiarato che proveniva dal Padre, essi potevano sospettarlo di essere venuto in terra per raccogliere delle prove per accusarli davanti a Dio; ma egli ha cura di dissipare un tal malinteso, come già aveva fatto con Nicodemo Giovanni 3:17. Quello non era il suo scopo, né occorreva che si facesse accusatore, poiché già li accusava uno, sul quale essi contavano come loro amico e loro scudo.
v'è chi vi accusa, cioè, Mosè, nel qual voi avete riposta la vostra speranza
Con queste parole il Signore ci addita Mosè, non solo come il rappresentante della legge base dell'Antico Testamento, ma pure come un accusatore personale, nel suo doppio ufficio di profeta e di legislatore. In questa conclusione del suo discorso, Gesù dà il colpo più grave all'incredulità dei suoi avversari, scalzando interamente il fondamento delle loro speranze Mosè, di cui con tanta fiducia menavan vanto, "perché gloriavansi di essere quant'è alla giustizia che è nella legge irreprensibili" Filippesi 3:6, vien loro rivelato come il loro accusatore dinanzi a Dio. I suoi scritti erano letti il giorno nelle sinagoghe e siccome in quelli egli testimoniava di Cristo, Vedi Luca 24:27,44, si erano una continua protesta contro alla loro incredulità. Stier e Ryle credono che vi sia pure qui un'allusione al Cantico di Mosè, nel quale egli profetizzò la incredulità del popolo, e ordinò che quel suo Cantico venisse messo nell'arca accanto al libro della Legge, affinché vi rimanesse come un testimone contro a loro Deuteronomio 31:26.

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:19; 8:5,9; Romani 2:12,17-29; 3:19-20; 7:9-14; 2Corinzi 3:7-11; Galati 3:10
Giovanni 8:5-6; 9:28-29; Matteo 19:7-8; Romani 10:5-10

46 46. Perciocché, se voi credeste a Mosé, credereste ancora a me
La sostanza dell'accusa di Mosè contro di loro era che nonostante le loro pretese di onorarlo, essi in realtà non credevano alla sua testimonianza. Prova ne sia la loro reiezione di Gesù, al quale, nei suoi scritti, egli aveva reso testimonianza come al promesso Messia.
conciossiaché esso abbia scritto di me
Il Signore non parla qui solamente di profezie speciali come quella di Deuteronomio 18:15,18; ma di tutta quanta la rivelazione contenuta nei libri di Mosè. Queste parole del Cristo, l'onnisciente Figliuol di Dio, riguardo a Mosè quale storico fedele, come pure la menzione dei suoi scritti, "parole scritte sulla carta" nel ver. seguente, sono di altissima autorità ed interesse per tutti i credenti, i quali sono disposti a prendere la parola di Dio come la loro guida, in questi giorni, in cui speculatori presuntuosi, "savi ai propri occhi", sono giunti al punto di dichiarare che, coll'eccezione di qualche frammento qua e là non una parola della Torah, "Pentateuco", fu scritta da Mosè! Certo, con queste parole di Gesù dinanzi agli occhi, è tempo di rispondere a tali maestri di errore colla domanda: "Giudicate voi, s'egli è giusto, nel cospetto di Dio, di ubbidire (credere) a voi anzi che a Dio" Atti 4:19.

PASSI PARALLELI
Galati 2:19; 3:10,13,24; 4:21-31
Giovanni 1:45; Genesi 3:15; 12:3; 18:18; 22:18; 28:14; 49:10; Numeri 21:8-9; 24:17-18
Deuteronomio 18:15,18-19; Atti 26:22; Romani 10:4; Ebrei 7:1-10:39

47 47. Ma, se non credete agli scritti d'esso, come crederete alle mie parole?
Questa è una ripetizione dei pensieri del ver. precedente, coll'aggiunta dell'antitesi fra "gli scritti" di Mosè, e "le parole" di Cristo. Sembrerebbe che il Signore dia più autorità a quelli che a queste. Fatto sta che gli uomini danno peso maggiore a quello che è scritto e conservato in un rotolo o libro, che non a mere parole uscite dalla bocca. Questo era specialmente il caso degli Ebrei, riguardo al rotolo della legge; se dunque essi non credevano le cose che Mosè aveva scritte, e che erano pervenute a loro, rese sacre per la loro antichità, come si poteva aspettare che credessero le parole pronunziate da uno al quale si dimostravano ostili? "Questa mancanza di fede in Mosè", osserva Ryle, "implica mancanza di fede in Cristo. Si cominci col rigettar Mosè col rifiutar fede ai suoi scritti, e si troverà alla fine che, per esser conseguenti, bisogna rigettar Cristo altresì. Chi non vuol l'Antico Testamento, scoprirà presto di non poter avere neanche il Nuovo. I due sono così strettamente uniti, che non è possibile separarli".

PASSI PARALLELI
Luca 16:29,31

RIFLESSIONI
1. Il miracolo compiuto alla piscina di Betesda, col quale comincia questo capitolo, sembra essere stato un fatto ben noto a tutti. Se così non fosse stato, molti vivevano ancora, al tempo in cui fu pubblicato il Vangelo di Giovanni, i quali avrebbero potuto svelare la sua impostura. Che gli angeli intervenissero miracolosamente nei primi giorni della dispensazione del Nuovo Testamento è cosa provata dai numerosi esempi che ne riferiscono i Vangeli e gli Atti Apostolici. Riguardo a quello di cui qui si tratta, l'Evangelista si limita a narrare brevemente l'accaduto, a modo di introduzione al solenne discorso del Signore che seguì; e siccome le speculazioni curiose altro non sono che una perdita di tempo, sarà più semplice e più soddisfacente, per tutti quelli che riconoscono la ispirazione dello scrittore, prendere il passo quale si trova, e considerarlo come il racconto di un fatto vero, cioè di un miracolo permanente, letteralmente adempiuto a certe epoche, forse ogni anno. La ragione può esserne stata, come credono Calvino e Rollock, che siccome il popolo giudeo era a quel tempo in gran confusione, e la presenza di Dio si era in gran parte ritirata da esso; siccome i profeti, che in altri tempi il Signore soleva suscitare in mezzo ad Israele, più non facevano udire la sua voce, Iddio, per non parere di avere interamente rigettato il suo popolo, di tanto in tanto ne guariva qualcuno, per testificare al mondo che la nazione non era ancora interamente reietta.
2. La visita di quell'angelo alla piscina di Betesda è una illustrazione di passi come Salmi 91:1,12; Ebrei 1:14; ma "in nessun caso, le ministrazioni degli angeli si estendono al di là di quanto è meramente esterno. Quello che la Scrittura ci dice di essi ci obbliga a negare che essi abbiano la missione o il potere di intervenire fra l'anima e Dio in cose puramente spirituali, o di esercitare qualsiasi influenza sulla vita spirituale, se non forse mediante qualche ministrazione esterna. Ben si sa quanto diverso da ciò sia l'insegnamento della Chiesa Romana" (Brown).
3. Il pretesto addotto dai rettori dei Giudei per perseguitar Gesù in questa circostanza fu che egli aveva violato il sabato, risanando in tal giorno il paralitico: mai però, con parole od atti, il Signore, durante tutto il suo ministerio, abolì l'obbligo di osservare il quarto comandamento. Né qui, né altrove può citarsi una sola sua parola che giustifichi l'asserto di molti, ai dì nostri, che i Cristiani non sono tenuti ad osservare il Sabato; che questa fu una istituzione meramente giudaica, oramai abolita. Tutto quello che fece il Signore si fu di porre la istituzione del sabato sulla sua vera base, purificandola dalle idee false e superstiziose dei Farisei sul modo di osservarlo, e dimostrando che le opere di necessità non costituiscono una trasgressione del quarto comandamento Vedi Riflessioni nelle Note di Matteo 12:14. L'errore dei cristiani odierni volge all'estremo opposto. Non c'è pericolo che il giorno del riposo venga troppo rigorosamente osservato; si vorrebbe anzi cancellarlo dal decalogo e abolirlo completamente. Ecco l'errore contro il quale dobbiamo stare in guardia.
4. Quelli che non sanno vedere in questo discorso l'uguaglianza essenziale del Figlio col Padre, al tempo stesso che la distinta e conscia personalità di entrambi, non le troveranno in nessun altro luogo della Bibbia, perché sarebbe impossibile esprimerle con più evidente chiarezza. Quello che occorre a tali persone non è già maggior copia di prove a sostegno della unità del Padre col Figlio, bensì una mente retta e spregiudicata, capace di dare il loro giusto peso alle prove che già possediamo. Come il Padre e il Figlio sono uguali nell'operare, così devono essere uguali nella natura o nell'essere, cioè tutti e due veramente Dio. Nell'addurre le parole di Cristo: "il Figliuolo non può far nulla da sé stesso, ma fa ciò che vede fare al Padre", qual prova che egli non è uguale al Padre, dimenticano di distinguere fra la sua divina natura che può fare ogni cosa, e il suo ufficio di Mediatore, nel quale non poteva compiere se non quello che il Padre, da cui era stato mandato, aveagli ordinato. Chi riconosce in questo discorso le distinzioni personali della Divinità, non deve scordare che in esso è pure insegnato che la loro unità di interesse non è una cosa inconscia o involontaria, bensì l'effetto glorioso della coscienza, del volere e dell'amore, di cui le persone stesse sono i convenienti oggetti.
5. Fra le prove che Gesù adduce della sua uguaglianza col Padre vi è questa, che Dio, non avendogli semplicemente dato la vita, ma avendogli concesso di aver vita in sé stesso, qual fonte di vita divina per l'umanità, egli esercita fino da ora questo suo potere nel risvegliare quelli che son morti spiritualmente, e lo eserciterà all'ultimo giorno mediante la risurrezione corporale di tutti quelli che saranno allora nel sepolcro, per quindi giudicare i vivi e i morti.
6. Tutti gli uomini sono per natura spiritualmente morti; ma Cristo, colla sua parola e col suo Spirito, li vivifica, e il nome ch'egli dà, a questa vivificazione è la nuova nascita Giovanni 3:3,5. Egli dichiara a Nicodemo che chi non diviene partecipe di questa nuova vita "non può vedere il regno di Dio". Nel loro stato di natura, gli uomini non ammettono di essere morti in tal modo. Ma quando lo Spirito ha operato con efficacia nel loro cuore, allora riconoscono in sé un cambiamento come "dalla morte alla vita". Il ricevere questa vita in Cristo è "la sola cosa necessaria", per la quale dobbiamo pregar, perché Cristo ci dice: "Chiunque vive e crede in me non morrà giammai in eterno" Giovanni 11:26.
7. Nei ver. di Giovanni 5:28-29 abbiamo una delle più esplicite dichiarazioni della Parola di Dio riguardo alla grande verità della risurrezione dei morti, la quale non sarà limitata ad alcuni, ma sarà universale. "TUTTI coloro che son nei monumenti udiranno la sua voce ed usciranno". Questi versetti condannano chiunque si figura che questo mondo è tutto, e che tutto finisce alla tomba; imperocché ci annunziano nei termini più chiari che c'è una risurrezione e una vita futura. Condannano pure quelli che cercano ora di persuaderci che non vi sarà castigo, né condanna pei malvagi, nel mondo avvenire perché l'amor di Dio è più profondo dell'inferno: ed egli è troppo misericordioso per punire qualsiasi fra le sue creature, imperocché ci dicono che vi è una "risurrezione di condannazione". Parimenti condannano quelli che insegnano l'annichilamento universale, o che la risurrezione è al più il privilegio speciale dei credenti; imperocché quì, come in Atti 24:15, ci vien detto espressamente che i malvagi risusciteranno al pari dei buoni. Finalmente questi versetti condannano quelli che si sforzano di provare che la vita e la condotta degli uomini sono di poca importanza, purché professino di credere in Cristo. Il Signore infatti mette qui per regola che le opere nostre decideranno se risorgeremo a gloria o a condannazione. Accertiamoci che la vita della risurrezione già sia impiantata in noi mediante lo Spirito, sicché "ciò che ora viviamo nella carne, viviamo nella fede del Figliuol di Dio" Galati 2:20, e quando la sua voce scoterà la terra, e chiamerà i morti ad uscir dalle loro tombe, "noi abbiamo confidanza, e non siamo confusi per la sua presenza nel suo avvenimento" 1Giovanni 2:28.
8. Si noti il grande onore che il Signore fa alle Scritture dell'Antico Testamento, e segnatamente agli scritti di Mosè, quasiché prevedesse i fierissimi attacchi contro di essi per parte dei sedicenti filosofi degli ultimi giorni. Egli dichiara: "esse testificano di me", e in esse si trova la via della vita eterna. Parla di Mosè come di una persona reale, storica, che visse e scrisse; e degli scritti suoi, dalla Genesi al Deuteronomio, come veri, genuini, meritevoli di ogni fiducia, di innegabile autorità. Dire che il Signore si acconciava al modo di parlare dei tempi suoi; ma che non professava di credere nella esistenza storica di Mosè o nell'autorità degli scritti suoi, o l'asserire non poter egli sapere che agli scritti di Mosè erano pieni zeppi di errori, è accusare colui che è enfaticamente LA VERITÀ di aperta menzogna, o almeno di prestarsi ad una bugia. Paolo parlava degli scritti dell'Antico Testamento, poiché il canone del Nuovo ancora non era formato, quando diceva: "Tutta la Scrittura è divinamente ispirata, ed utile ad insegnare, ad arguire, a correggere, ad ammaestrare in giustizia" 2Timoteo 3:16.