Giovanni 3
CAPO 3 - ANALISI
1. Nicodemo visita Gesù di notte. Fra i Giudei di Gerusalemme, della cui fede Gesù aveva motivi di dubitare, v'era un uomo il cui sincero convincimento lo soddisfaceva appieno, poiché, parlando con lui, il Signore gli diede schiarimenti completi riguardo al regno dei cieli. Nicodemo era un Giudeo istruito, membro del Sinedrio e dottore della legge; ma la sua era evidentemente conoscenza "di lettera e non di spirito". Egli aspettava, il compimento delle sue speranze dalla continuazione della dispensazione di prima, non già da un nuovo principio. Qui Gesù lo ferma subito, dichiarandogli la necessità di una nuova nascita, non solo per venire personalmente ammesso nel regno di Dio, ma pure per capirne spiritualmente le dottrine. Una, tal proposizione Nicodemo contesta come incredibile, e a parer suo impossibile. Il Signore gli spiega che se anche un uomo potesse, "essendo vecchio, nascere", questo non gli gioverebbe a nulla, poiché "ciò che è nato dalla carne è carne", egli è dunque impotente a produrre in se stesso quel gran mutamento; ma questo viene operato in lui da un potere invisibile e misterioso, cioè dallo Spirito di Dio, la cui azione, benché incomprensibile al pari di quella del vento, si manifesta però dai suoi risultati. Asserita la sua perfetta conoscenza di queste "cose terrene", delle quali Nicodemo era ignorante, nonché delle "cose celesti", che solo uno disceso dal cielo può rivelare, il Signore chiama l'attenzione del suo ascoltatore su queste ultime, facendogli conoscere i punti salienti del regno del Vangelo, cioè la persona del Figliuol di Dio; l'amor del Padre rivelato nel dono del suo Figliuolo; la propiziazione per il peccato, mediante la morte d'esso; l'universale offerta di salvezza; la felicità di quanti l'accetteranno; e termina con un'ammonizione solenne contro quella incredulità che "ama le tenebre più che la luce" Giovanni 3:1-21.
2. Il Ministerio di Gesù in Giudea, dopo la sua partenza da Gerusalemme e prima del suo ritorno in Galilea. Non sono ricordati i luoghi che egli visitò; nulla ci vien detto neppure né dei suoi insegnamenti, né dei suoi miracoli, abbenché l'Evangelista, col dirci che i discepoli di Gesù, non Gesù stesso Giovanni 4:2, battezzavano quelli che professavano di credere in lui, ci lasci comprendere che la predicazione sua ebbe del successo. Non era quello il battesimo cristiano che Gesù istituì al termine del suo ministero, bensì un battesimo di pentimento per il regno dei cieli Marco 1:5, analogo a quello di Giovanni Giovanni 3:22.
3. Ultimo cenno del ministerio del Battista, ed ultima e più nobile sua testimonianza a Cristo. Giovanni si era trasferito da Betabara ad Enon presso di Salini (luogo ora ignoto), attrattovi dall'abbondanza delle acque. Continuava il proprio ministerio, contemporaneamente a quello di Cristo, e a breve distanza da lui. Nacque una disputa fra certi Giudei, del partito fariseo, e alcuni discepoli di Giovanni, sul valore comparativo del battesimo di Giovanni e di quello di Cristo, e vedendo le turbe correre a Gesù, i discepoli di Giovanni, gelosi del suo onore, riferirono la cosa al loro maestro, insinuando che Cristo, attirando il popolo a sé, agiva da ingrato verso colui che gli aveva resa una così bella testimonianza. In risposta, Giovanni ricorda loro di aver sempre dichiarato di non esser egli il Messia, ma solo il precursore di esso, di non essere lo sposo, bensì l'amico dello sposo, il cui uffizio era di chiedere per esso la mano della sposa cosicché le nuove che gli si recavano, lungi dall'attristarlo, erano l'incoronamento della sua gioia, la prova che il suo ministero non era stato in vano. Il suo discorso non termina, come suppongono alcuni in Giovani 3:30, ma continua fino alla fine del capitolo, e gli ultimi sei versetti ci presentano il bellissimo spettacolo di un santo che progredisce nella conoscenza, a misura che si approssima il suo fine, come una luce la quale "va viepiù risplendendo, finché sia chiaro giorno" Proverbi 4:18. Nella prima parte del sito ministerio, egli avea parlato di uno che "veniva dopo di lui", e lo avea chiamato "l'agnello di Dio"; ora gli dà il titolo di "Messia"; parla di lui come del "Figliuolo che il Padre ama"; di colui che "vien dal cielo" e a cui "lo Spirito non è dato a misura"; in una parola, egli dichiara il mistero della Trinità e proclama la vita eterna, per tutti coloro che credono in lui, denunziando "l'ira di Dio" sopra ogni miscredente Giovanni 2:23-36.

Giovanni 3:1-21. NICODEMO VISITA GESÙ DI NOTTE. LA NECESSITÀ DELLA NUOVA NASCITA, E LA NATURA SPIRITUALE DEL REGNO DI DIO, SPIEGATE AD UNO CHE AVEA CREDUTO IN CRISTO, A MOTIVO DEI SUOI MIRACOLI

1. Or v'era un uomo, d'infra i Farisei il cui nome era Nicodemo, rettor dei Giudei
Questo versetto principia colle parole, e il tradurre letteralmente: "ma vi era, ecc.", avrebbe espresso assai meglio il pensiero dell'Evangelista, che cioè vi erano delle eccezioni fra i credenti superficiali da lui descritti alla fine del cap. precedente, e cita quella di un personaggio assai influente in Gerusalemme. Nicodemo è nome di origine greca; ma tali nomi non eran rari fra i Giudei ai tempi di Gesù (Vedi per esempio Stefano, Filippo, Giasone ecc.). Il Talmud parla di un Nicodemo, il quale viveva ancora quarant'anni più tardi, cioè dopo la distruzione di Gerusalemme ma par difficile che possa essere la persona di cui è parlato qui, poiché parlando con Cristo, Nicodemo gli si presenta come un uomo già vecchio Giovanni 3:4. Egli apparteneva alla setta dei Farisei, (Vedi le Sette Giudaiche al principio del volume), era membro del Sinedrio, o consiglio supremo della nazione, e al tempo stesso Rabbi, ossia Dottor della legge. Null'altro sappiamo di lui anteriormente alla sua visita di notte a Gesù. Più tardi lo vediamo prendere le parti di Cristo nel Sinedrio Giovanni 7:50-51, e aiutare Giuseppe di Arimatea (altro membro del Sinedrio), nell'atto pietoso di scendere dalla croce il corpo di Gesù, per deporlo nella tomba Giovanni 19:39.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:10; 7:47-49

2. Costui venne a Gesù di notte, e gli disse:
Non v'è dubbio che scelse la notte per timore dei Giudei (Vedi Giovanni 12:42), e ciò indica che già in questo primo soggiorno di Gesù in Gerusalemme si era manifestato contro di lui un antagonismo tale da render sospetto chiunque trattasse pubblicamente con esso. Al tempo stesso, questo atto di Nicodemo denota una pusillanimità perdonabile nei poveri e negli ignoranti, quando si sapevano minacciati di venire esclusi dalla sinagoga; ma che non ci saremmo aspettati a trovare in un "dottore di Israele", soprattutto quando Gesù appena cominciava ad essere conosciuto in Giudea. In tutte le occasioni in cui Giovanni ci parla di lui, ritroviamo le tracce di questa sua timidità. Egli difese Gesù nel Sinedrio senza però dichiararsi per lui, e non recò la sua offerta di aromati alla sua tomba, che quando già Giuseppe ne aveva ottenuto il corpo da Pilato.
Maestro,
Rabbi, è titolo d'onore che i Giudei tributavano a quei soli dottori per i quali nutrivano speciale stima. Possiamo esser certi che un membro di quella setta che scrutò con tanta cura l'autorità del Battista Giovanni 1:19-24, non avrebbe alla leggera, o per mero complimento, dato a Gesù questo titolo da esso non acquistato nelle scuole, né lo avrebbe, senza buone ragioni, salutato maestro.
noi sappiamo
Alcuni suppongono che parlando al plurale, Nicodemo si dia come il rappresentante di alcuni altri Farisei, o dei discepoli segreti mentovati alla fine del capitolo precedente. Può essere ma è più probabile, e si acconcia meglio alla timidezza del suo carattere, il concludere che parlando solo di sé, si serve del plurale come più indefinito, e per non compromettersi personalmente.
che tu sei un dottore venuto da Dio;
(letteralmente: "che tu sei venuto da Dio, un dottore"). Del Battista è detto che fu "mandato da Dio" Giovanni 1:6, ed è certo che di nessun messaggero meramente umano vien detto mai che egli è "venuto da Dio", perciò v'è chi sostiene che Nicodemo, con tali parole, riconosceva in Gesù più che un profeta; ma in tal caso, la parola dottore "sarebbe, per parte sua, una prudente attenuazione di quel suo primo detto, quasiché temesse di essersi troppo avanzato, e si affrettasse a metter Gesù allo stesso livello che qualunque uomo, i cui miracoli dimostrassero che era stato mandato da Dio.
conciossiaché niuno possa fare i segni che tu fai, se Iddio non è con lui
Riconosce che i miracoli di Gesù nessun impostore avrebbe potuto farli; ma invece di concludere da ciò, come Natanaele: "Maestro tu sei il Figliuol di Dio, il re d'Israele", termina colla osservazione assai debole; "Se Iddio non è con lui". I miracoli mostrano che un profeta o un dottore viene da Dio, perché Dio non compirebbe un miracolo per attestare una menzogna, o dare credito ad un impostore. Se egli dà ad un uomo il potere di far miracoli, ciò dimostra che egli ne approva l'insegnamento; i miracoli sono le credenziali degli ambasciatori di Dio.

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:50-51; 12:42-43; 19:38-39; Giudici 6:27; Isaia 51:7; Filippesi 1:14
Giovanni 3:26; 1:38; 20:16
Matteo 22:16; Marco 12:14
Giovanni 5:36; 7:31; 9:16,30-33; 11:47-48; 12:37; 15:24; Atti 2:22; 4:16-17
Atti 10:38

3. Gesù rispose, e gli disse: In verità, in verità (Vedi nota Giovanni 1:51) io ti dico,
Nel venire a Gesù, per conferir con uno, i cui miracoli lo dimostravano un dottore venuto da Dio, Nicodemo non metteva nemmeno in dubbio che la sua dottrina fosse la stessa che quella degli Scribi e dei Farisei e che, dopo mutue spiegazioni, egli intenderebbe, e non avrebbe difficoltà alcuna ad ammetterla. Gesù, leggendo i suoi pensieri, gli risponde ex abrupto, senza lasciargli il tempo di formularli in parole, e Nicodemo non poté se non rimanere meravigliato da quanto udì.
che, se alcuno non è nato di nuovo,
Lo scopo di Gesù era di insegnare, fin dal principio, a Nicodemo, che egli era venuto nel mondo non già per riformare o abbellire la dispensazione in allora esistente, ma per costruire un edificio nuovo dalle fondamenta. I Giudei solevano dir dei proseliti ammessi mediante il battesimo nella loro chiesa, che essi erano "nati di nuovo": queste parole non dovevano dunque riuscire incomprensibili a Nicodemo; ma l'universalità della parola chiunque, la quale rende questa nuova nascita necessaria all'Israelita quanto al Gentile, al circonciso non meno che all'incirconciso, dovea sorpassare il suo intendimento, e, se non fosse stato sincero il suo desiderio di essere istruito da questo "dottore venuto da Dio", è probabile che si sarebbe subito ritirato scandalizzato ed offeso. Il Signore gli rivela che per entrare nel regno di Dio la conoscenza non basta; è necessaria anche la vita, e che questa vita non si riceve da riti o cerimonie esterne, ma si ottiene mediante un completo cambiamento di cuore e dì vedute, che vien detto la rigenerazione o la nuova nascita. La parola Greca anothen significa di nuovo, e dall'alto, ed entrambi questi significati si attagliano molto bene al gran mutamento di cui, è qui parlato; esso è nuovo per quanto concerne quelli che ne sono l'oggetto, ed è dall'alto per la sua sorgente. In questo passo, entrambi i significati hanno avuto i loro sostenitori; ma Ryle ci dimostra che nei quattro altri passi in cui vien parlato della rigenerazione si deve tradurre "nato di nuovo" e che non è impossibile l'altra traduzione: "nati dall'alto" Vedi 1Pietro 1:3,23; Matteo 19:28; Tito 3:5 questa nuova nascita in senso corporale; ma quella di cui parla qui il Signore è veramente una nuova nascita, che muta la natura spirituale dell'uomo, e non ha se non un effetto indiretto sulla sua organizzazione fisica. Per nascita naturale, l'uomo è corrotto, peccatore; il suo peccato lo fa morto a Dio e ad ogni cosa santa Efesini 2:1,3,5; Romani 8:7; sola una nuova nascita spirituale può impiantare la vita, laddove regnava la morte. Affin di vedere, o sperimentare il regno di Cristo, il cuore deve essere cambiato, e un tal cambiamento Dio solo può operarlo. Ci vuol dunque non già una riforma esterna della vita, né una rigenerazione battesimale, ma quel completo cambiamento del cuore e di carattere che lo Spirito Santo opera nell'uomo, quando egli si pente, e crede in Cristo e diviene un vero cristiano; perciò questo cambiamento si chiama "una nuova creazione" 2Corinzi 5:17, o l'esser chiamato dalle tenebre alla sua meravigliosa luce" 1Pietro 2:9.
non può vedere il regno di Dio
Il senso di "vedere" è spiegato in Giovanni 3:5 da "entrare nel regno di Dio"; ed è che, senza questo cambiamento di cuore, l'uomo non può né comprendere, né possedere, né godere, né far qualsiasi sperienza dei privilegi e delle benedizioni del regno del Messia, sia nel suo principio quaggiù, sia nella sua consumazione dopo questa vita Matteo 25:34; Luca 16:16; Efesini 5:5. Dice Stier: "Non è possibile esaminare anticipatamente, e dal di fuori conoscere il regno dei cieli - non c'è carta che ci descriva teoricamente il dominio dello Spirito, senza che noi lo dobbiamo percorrere. Voi lo potete vedere, solo quando ci siete entrato".

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:51; Matteo 5:18; 2Corinzi 1:19-20; Apocalisse 3:14
Giovanni 3:5-6; 1:13; Galati 6:15; Efesini 2:1; Tito 3:5; Giacomo 1:18; 1Pietro 1:3,23-25
1Giovanni 2:29; 3:9; 5:1,18
Giacomo 1:17; 3:17
Giovanni 3:5; 1:5; 12:40; Deuteronomio 29:4; Geremia 5:21; Matteo 13:11-16; 16:17; 2Corinzi 4:4

4. Nicodemo gli disse: Come può un uomo, essendo vecchio, nascere?
La parola "vecchio" usata in contrasto ad un neonato, può applicarsi generalmente a chi ha raggiunto la statura dell'uomo compiuto; ma è probabile che Nicodemo parli di se medesimo, essendo egli un vegliardo. Per spiegare questa sua domanda, è stata messa avanti da certi scrittori, la fantastica idea che Nicodemo intendesse quelle parole di Gesù nel senso della dottrina pitagorica della trasmigrazione delle anime; ma anche supposto che egli conoscesse quella dottrina, la qual cosa è per lo meno dubbia, vediamo che egli è reso perplesso non da una nuova condizione dell'anima, bensì dalla ripetizione della vita del corpo. La sua domanda suggerisce naturalmente ed irresistibilmente l'idea, non già di una beffarda ed orgogliosa negazione, bensì di confusione di mente, non potendo egli vedere senso alcuno nelle parole di Gesù, se non intendendole fisicamente, e di ciò egli esprime l'impossibilità colle più esplicite parole.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:3; 4:11-12; 6:53,60; 1Corinzi 1:18; 2:14

5. Gesù ripose: In verità, in verità, io ti dico, che, se alcuno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio
Il Signore ripete qui con affermazione solenne, la grande verità fondamentale alla quale Nicodemo faceva obbiezioni; ma spiega più appieno, con altre parole, il senso della espressione "nato di nuovo"; su questo almeno quasi tutti i Commentatori vanno d'accordo. Qui però siamo sulla frontiera di una gran controversia, perché quantunque Nicodemo sembri avere inteso, alla fine, la dottrina del Signore, vi fu sempre diversità nella Chiesa visibile, riguardo all'azione reciproca "dell'acqua" e dello "Spirito", nella nuova nascita. L'espressione "nato di acqua" non si trova che qui in tutta la Bibbia; interpretarla letteralmente è impossibile, imperocché nessun uomo può nascere dall'acqua. Ma le espressioni "nato di nuovo", "nato da Dio, nato dello Spirito" ricorrono di frequente nel Nuovo Testamento, e il buon senso e il significato ordinario delle parole ci conducono alla conclusione inevitabile, che tutte esse indicano la medesima cosa (Confr. Giovanni 1:13; 3:3,5-8; 1Pietro 1:23; 1Giovanni 2:29; 3:9; 4:7; 5:1,4,18). Fra le principali interpretazioni di questa nuova nascita notiamo:
1. Una mera riforma esterna della vita, secondo regole novellamente imposte. Non occorreva che Nicodemo andasse da Cristo per imparare tal lezione; già gliela insegnavano le Scritture dell'Antico Testamento, e qualsiasi filosofo pagano avrebbe potuto ripetergliela. Un tale insegnamento non avrebbe di certo eccitato in lui quello stupore che rivelano le sue parole. È questa una definizione affatto insufficiente, e che non occorre nemmeno combattere, poiché è oramai dimenticata, salvo da alcune sette eretiche.
2. Alcuni, distinguendo fra "l'acqua" e "lo spirito", spiegano questo colla rigenerazione e colla santificazione, e quella col pentimento, quale era inculcato dal battesimo di Giovanni, o col ricevimento dell'evangelo, o colla espiazione e remissione del peccato, mediante il sangue di Cristo. Diodati è di questo ultimo parere, poiché nelle sue note egli scrive: D'acqua. Pare che additi due parti distinte di questo cambiamento; e che per acqua intenda l'espiazione e la remissione del peccato, e per lo Spirito tutta l'opera della rigenerazione e santificazione interna dell'uomo.
3. Ma una spiegazione più comunemente ricevuta delle parole "nato di acqua" si è, che il Signore voglia con esse indicare il battesimo cristiano, e quelli che sono di questo parere, lo vogliano o no, fanno dipendere interamente l'opera dello Spirito nella rigenerazione dall'opus operatum dell'uomo. Questa è l'opinione dei Padri, della Chiesa di Roma, dei Luterani, e di buon numero di ministri della Chiesa Anglicana, i quali oramai ritengono che la parola "acqua" qui usata dal Signore non può intendersi di altro che del battesimo cristiano. Non vi sarebbe profitto alcuno a far qui notare le stravaganti e talvolta quasi indecorose teorie messe avanti da certi autori per spiegare l'azione reciproca dell'acqua e dello Spirito nell'opera della rigenerazione.
Riteniamo che la rigenerazione battesimale è contraria al tenore generale delle Scritture, e in particolare all'insegnamento di Cristo in questo passo, epperò da rigettarsi, per le ragioni seguenti.
1. Il battesimo cristiano non fu istituito dal Signore se non al termine del pubblico suo ministero, al momento di tornare in cielo. È dunque inconcepibile che, al principio del suo ministero, egli insegnasse per la prima cosa, a un estraneo, non poter egli entrare nel regno dei cieli, senza sottoporsi ad un rito che non esisteva ancora, né doveva esistere per anni, e di cui gli stessi discepoli non avevano conoscenza alcuna.
2. Non c'è nella Scrittura nessun altro esempio di un rito esterno indicato come necessario alla salvezza, e se la rigenerazione non può aver luogo se non per un battesimo amministrato dall'uomo, l'opera dello Spirito resta sottomessa alla volontà dell'uomo.
3. Dato e non concesso, che "acqua" indichi in questo versetto il battesimo, vi sarebbe contraddizione fra questo passo, e tutti gli altri di questo Vangelo in cui l'Evangelista parla della nuova nascita, poiché Giovanni 1:13; 3:6,8, di questo medesimo capitolo, quella nuova nascita viene attribuita esclusivamente all'opera di Dio Spirito Santo; così pure Giacomo e Pietro non dicono mai verbo del battesimo come strumento della rigenerazione, la quale, secondo essi, avviene unicamente mediante "la Parola di Dio". Leggasi attentamente Giacomo 1:18; 1Pietro 1:23; e si osservi che Tito 3:5; 1Pietro 3:21 (che si citano a favore della rigenerazione battesimale), sono capaci di ben altra interpretazione, come vedremo più sotto.
4. L'esempio di Simon Mago e di milioni di reprobi, i quali, dopo di lui, hanno ricevuto il battesimo, ci prova che il battesimo non porta seco la grazia salutare, e non ha efficacia per "rinnovare un uomo nello spirito della sua mente" (Vedi Atti 8:21,23). E Paolo, in Corinto, non avrebbe certamente ringraziato Iddio per aver battezzato solo un piccolo numero di quei convertiti, se il battesimo solo avesse il potere di mutare i cuori 1Corinzi 1:14-16.
5. Se "l'acqua" in questo passo indicasse il battesimo, ne verrebbe qual necessaria conseguenza che chiunque muore senza battesimo è perduto per sempre, poiché è puerilità il sostenere che "il regno di Dio" significa solo la chiesa visibile. Niente prova che gli apostoli stessi abbiano mai ricevuto il battesimo cristiano, benché Cristo abbia soffiato su di loro dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo"; il ladrone in croce non lo ricevé di certo; tutti costoro adunque, secondo questa dottrina, sono periti, e nella medesima categoria vanno messi tutti i bambini morti senza battesimo, l'intera comunità dei Quaccheri che rigettano il battesimo d'acqua, e chiunque, per una ragione o per l'altra, è morto senza averlo ricevuto.
6. Nella Chiesa primitiva, come si vede dagli Atti Apostolici, il battesimo, che rappresenta simbolicamente la purificazione operata così dal sangue di Cristo, come dall'influenza dello Spirito, era amministrato, nel caso di adulti, solo a quelli che già erano stati fatti partecipi della nuova nascita qui rivelata. In tali casi, il battesimo non era che "il segno ed il suggello esterno" della "grazia interna" già ricevuta (Confr. Atti 8:12,16,36,37; 10:44,48; 17:14-15,31-33; 18:8; 19:5; notiamo però che il ver. 6 allude ai doni miracolosi dello Spirito, non alla nuova nascita).
La vera spiegazione delle parole "nato di acqua e di Spirito", secondo noi si è, che così l'acqua come lo Spirito indicano la medesima cosa, cioè lo Spirito che netta e purifica il cuore, come l'acqua purifica l'oggetto cui vien applicata; escludendosi in tal modo che il battesimo sia necessario alla rigenerazione di un peccatore. Secondo questo modo di vedere, il Signore si servirebbe di una figura per spiegare a Nicodemo che cosa egli intenda per la "nuova nascita". In appoggio, osserveremo che Giovanni Battista ha fatto uso di una figura analoga, allorquando, descrivendo per l'appunto, l'opera della rigenerazione, come quella che era specialmente riservata all'aspettato Messia, disse: "Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco" Matteo 3:11. Il fuoco non può intendersi alla lettera; esso descrive l'azione potente dello Spirito Santo nelle mani del Messia; se dunque "Spirito Santo" e "fuoco" indicano nella bocca di Giovanni la medesima cosa, cioè lo Spirito che opera come opera il fuoco nel separare le scorie dal metallo prezioso, "Spirito" e "acqua" nel nostro passo devono indicare essi pure, la cosa medesima, ossia lo Spirito che opera al modo stesso dell'acqua, quando essa purifica il corpo nostro da ogni macchia che lo deturpi. Questo vien confermato dal fatto che Giovanni 3:6, Gesù non parla più che dello Spirito, come quello che opera quanto è qui attribuito all'acqua e allo Spirito. Tale pure è il senso delle parole di Paolo Tito 3:5, "per lo lavacro della rigenerazione, e per lo rinnovamento dello Spirito Santo", sempre citate dai sostenitori della rigenerazione battesimale, come una prova infallibile di tale dottrina. Paolo al pari di Gesù, ci presenta l'opera dello Spirito sotto la figura di un lavacro d'acqua. Osservisi di più che, perfino in 1Pietro 3:21, dove si tratta evidentemente del battesimo lungi dall'insegnare la rigenerazione battesimale, l'Apostolo asserisce che "non il nettamento delle brutture della carne" è ciò che salva, non essendo quello altro che una "figura", che rappresenta una grazia celeste. Se il formalismo del suo tempo non lo avesse accecato, Nicodemo si sarebbe ricordato che i profeti avevano parlato di questa purificazione spirituale e ciò colle parole medesime qui usate dal Signore. "L'acqua e lo Spirito" sono intimamente uniti in Ezechiele 36:25-27. In quei passi, l'acqua ci rappresenta, in modo molto espressivo, la grazia dello Spirito che purifica il cuore. Tale è l'interpretazione data al vers. 5 da uomini come Calvino, Zwinglio, Wycliffe, Hatchinson, Pool, Burkitt, Gill, Ryle e Brown. Oltre a ciò, i teologi puritani ed olandesi del secolo 17. quasi tutti gli scozzesi, e molti autori rinomati di altre nazioni, benché non diano tutti lo stesso senso alla parola "acqua", concordano nel ritenere che il Signore non aveva in mente l'acqua del battesimo, quando parlò di nascita "di acqua e di Spirito". Quanto abbiamo detto nulla toglie dell'importanza e della obbligatorietà del battesimo cristiano, il quale, dopo l'ascensione di Cristo, divenne la porta per la quale si entra nella chiesa visibile, imperocché istituendolo al momento di lasciar questa terra, Cristo volle render visibile, fino alla fine del mondo, la grande verità qui enunciata che cioè chiunque vuole entrare nei regno di Dio deve essere purificato dallo Spirito Santo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:3; Isaia 44:3-4; Ezechiele 36:25-27; Matteo 3:11; Marco 16:16; Atti 2:38; Efesini 5:26
Tito 3:4-7; 1Pietro 1:2; 3:21; 1Giovanni 5:6-8
Giovanni 1:13; Romani 8:2; 1Corinzi 2:12; 6:11; 1Giovanni 2:29; 5:1,6-8
Matteo 5:20; 18:3; 28:19; Luca 13:3,5,24; Atti 2:38; 3:19; Romani 14:17
2Corinzi 5:17-18; Galati 6:15; Efesini 2:4-10; 2Tessalonicesi 2:13-14

6. Ciò ch'è nato della carne è carne; ma ciò ch'è nato dallo Spirito è spirito
In questo versetto Gesù spiega a Nicodemo le ragioni per le quali egli tanto insisteva su questa nuova nascita, o cambiamento di cuore, come cosa assolutamente necessaria per entrare nel regno di Dio. V'ha qui un principio generale che non si può né negare, né distruggere. Come è un assioma nella scienza fisica che l'acqua non può salire più in su della sua sorgente, così è un assioma nel mondo naturale che ogni cosa produce quello che è simile ad essa; il pruno non produce uva; il leone non genera l'agnello; né l'uomo può aver figli di natura superiore alla propria. In forza di questo principio, il Signore spiega a Nicodemo, che, se anche fosse stato possibile per un uomo, essendo vecchio, di "entrare una seconda volta nel corpo di sua madre e nascere", questo non gli gioverebbe a nulla, imperocché egli riceverebbe una seconda volta la medesima natura corrotta di prima, laddove una natura nuova e spirituale è condizione indispensabile per entrare nel regno di Dio. "La carne" serve spesso a designare la natura umana in genere, ma quando è opposta, come qui, allo "Spirito", essa indica l'umanità nella sua condizione corrotta e depravata, sottoposta qual'essa è alla legge della caduta, che è "la legge del peccato e della morte" Romani 8:2. La natura umana essendo in quella condizione corrotta e carnale, Nicodemo deve imparare primieramente che da quella non può venire, per generazione naturale, se non una prole carnale e corrotta. imperocché l'uomo non ha potere curativo alcuno in se stesso. "Chi può trarre una cosa monda da una immonda? Niuno" Giobbe 14:4. Dall'altra parte, l'uomo carnale e corrotto per natura, diviene santo e spirituale, sotto l'azione dello Spirito sul suo uomo interno; imperocché la medesima legge è vera anche nel mondo spirituale, e "ciò che è nato dello Spirito è spirito". "Se adunque alcuno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco tutte le cose sono fatte nuove" 2Corinzi 5:17. Il pensiero, della carne è morte. Ma il pensiero dello Spirito è vita e pace" (Romani 8:6, Versione Revel).

PASSI PARALLELI
Genesi 5:3; 6:5,12; Giobbe 14:4; 15:14-16; 25:4; Salmi 51:10; Romani 7:5,18,25
Romani 8:1,4,5-9,13; 1Corinzi 15:47-49; 2Corinzi 5:17; Galati 5:16-21,24; Efesini 2:3
Colossesi 2:11
Ezechiele 11:19-20; 36:26-27; Romani 8:5,9; 1Corinzi 6:17; Galati 5:17; 1Giovanni 3:9

7. Non meravigliarti che io ti ho detto che vi conviene nascere di nuovo
"Meravigliarsi" qui indica più che mera sorpresa o stupore: incredulità e sdegno erano sorti nel cuor di Nicodemo all'udire, per la prima volta, una così strana dottrina; ma avendogli già spiegato in che consistesse quella nuova nascita, e qual ne fosse l'imprescindibile necessità, Gesù ora lo esorta ad abbandonare il suo orgoglio e la sua incredulità, ed a confessare pienamente che una nuova nascita era necessaria, poiché il figlio non può essere se non della natura medesima del padre. La parola vi non ci, è da notarsi, perché indica che Gesù non conosceva per se medesimo la necessità della nuova nascita, essendo "separato dai peccatori" Ebrei 7:26. Era nato in carne, ma non di carne. Eredò la debolezza della carne, non già il peccato di essa ("ciò che nascerà da te Santo sarà chiamato Figliuol di Dio" Luca 1:35); il suo spirito non era, come quello degli uomini peccatori, alieno da Dio e dalla santità; perciò una seconda nascita non era necessaria per lui. "Il dono dello Spirito Santo al suo battesimo non fu una rigenerazione, ma l'incoronamento di uno sviluppo anteriore, perfettamente normale, sotto la costante influenza dello Spirito" (Godet).

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:12; 5:28; 6:61-63
Giovanni 3:3; Giobbe 15:14; Matteo 13:33-35; Romani 3:9-19; 9:22-25; 12:1-2; Efesini 4:22-24
Colossesi 1:12; Ebrei 12:14; 1Pietro 1:14-16,22; Apocalisse 21:27

8. il vento soffia ove egli vuole, e tu odi il suo suono, ma non sai onde egli viene, né ove egli va;
In Ebraico significa ad un tempo "vento" e "spirito"; in Siriaco pure vento e spirito sono designati dalla medesima parola; e benché nel Greco e nel Latino troviamo e "ventus" applicati al solo vento, vi sono in quelle lingue e "spiritus", in cui si trovano uniti i due significati - il vento e lo spirito - il soffio della vita e il lieve, zeffiro.
Siccome la parola pneuma occorre alla fine di questo versetto, come al principio, Origene, Agostino ed altri hanno sostenuto che il Signore non parla punto qui di vento, e che pneuma dovrebbe tradursi spirito in tutto quanto il versetto. Ma tale interpretazione è rigettata dai più, perché così, alla fine del versetto, chiaramente stabilisce un paragone fra due cose distinte. Di più, riesce difficile distinguere fra lo Spirito e l'opera dello Spirito, come pur dovrebbe farsi, ove quella teoria fosse corretta. Siccome il vocabolo pnei invariabilmente significa "soffia", il senso di pneuma qui deve certamente essere vento, perché non vediamo in nessun altro passo della Bibbia, che lo Spirito "soffia", né che "se, ne oda il suono". È uso comune della Scrittura personificare le cose inanimate Giobbe 38:5,35; Salmi 95:19; Luca 19:40; non si può dunque trovare strano che Gesù attribuisca al vento mente e volere. Questa figura era particolarmente bene scelta, poiché doveva richiamare alla mente di quel "dottore in Israele" una figura consimile usata dal profeta Ezechiele, nella quale il vento, che soffiava sulle ossa disseccate nella vallata, rappresentava la resurrezione spirituale d'Israele, sotto l'azione dello Spirito Santo di Dio Ezechiele 37:9. Un altro argomento per ritenere qui il senso usuale si è che, vedendo Nicodemo perplesso riguardo alla nuova nascita, era probabile che il Signor Gesù gli venisse in aiuto mediante un paragone così famigliare come quello del vento, per fargli meglio intendere quella dottrina. Certamente non v'è in natura paragone più atto ad esprimere l'azione dello Spirito. Vi sono senza dubbio delle leggi che governano il vento; ma esso non ubbidisce a nessuna legge certa e fissa, che noi abbiamo finora scoperta, "egli soffia dove egli vuole". "Voi non conoscete la causa che lo produce, le leggi che regolano i suoi movimenti; non sapete perché soffia da questa parte, anziché da quella, né quando principii o quando cessi di soffiare; eppure egli è un agente potentissimo, i cui effetti sono evidenti all'occhio e all'orecchio" (Webster e Wilkison).
così è chiunque è nato dello Spirito
Il paragone qui è irregolare nella forma, ma il pensiero del Signore è chiaro assai: così opera lo Spirito in chiunque è nato di nuovo. L'azione dello Spirito Santo sul credente è simile a quella del vento nel mondo materiale. Ne vediamo gli effetti in noi stessi e in altri che sono nati di nuovo, ma non ne possiamo scoprire il principio, né prescrivergli il suo corso. Opera in noi e ci guida; siamo consci della sua azione per gli effetti che essa produce, "convertendoci dalle tenebre alla luce"; ma "i caratteri della nuova nascita non sono meno diversi di quelli dell'uomo naturale" (Dráseke citato da Stier). Nicodemo obiettava che non poteva vedere questo cambiamento, mentre l'operava lo Spirito, né accorgersi del come esso era prodotto; ma Gesù gli insegna che il non comprendere una verità non è una ragione per rigettarla, né il non vedere una cosa, una ragione per negarne la esistenza, imperocché il vento non si vede, ma se ne sentono gli effetti, e nessuno ne mette in dubbio la esistenza o il potere.

PASSI PARALLELI
Giobbe 37:10-13,16-17,21-23; Salmi 107:25,29; Ecclesiaste 11:4-5; Ezechiele 37:9
Atti 2:2; 4:31; 1Corinzi 2:11; 12:11
Giovanni 1:13; Isaia 55:9-13; Marco 4:26-29; Luca 6:43-44; 1Corinzi 2:11; 1Giovanni 2:29; 3:8-9

9. Nicodemo rispose, e gli disse: Come possono farsi queste cose?
L'enfasi qui è sul come. Non troviamo in questa risposta traccia alcuna di quell'amarezza che alcuni ci vogliono vedere. Nicodemo più non nega la dottrina della rigenerazione esposta dal Salvatore, né mantiene che basti l'essere Israelita per entrare nel regno di Dio; però ancora non accetta la verità. Le sue parole semplicemente confessano che egli non può intendere questo mistero, che anche dopo quanto Gesù ha detto, egli è al buio come prima sulla nuova nascita. Ecco un esempio istruttivo della profonda ignoranza spirituale che può esistere nella mente dell'uomo più dotto. La storia di Nicodemo non ci permette più di meravigliarci dell'ignoranza che vediamo a noi dintorno riguardo alla, verità della salute.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:4; 6:52,60; Proverbi 4:18; Isaia 42:16; Marco 8:24-25; Luca 1:34

10 10. Gesù rispose, e gli disse: Tu sei il dottore d'Israele, e non sai queste cose?
Diodati, seguendo il greco, mette l'articolo dinanzi a dottore, quasiché Nicodemo fosse stato, qual teologo, più eminente di qualsiasi altro rabbino. Le osservazioni di Alford in proposito sono ben meritevoli di attenzione: "io credo che la nostra versione inglese ha ragione nel tradurre" un dottore, non il dottore, essendo l'articolo inserito solo perché necessario a motivo dell'articolo dinanzi "Israele", qui usato per esprimere in modo solenne che Israele è il popolo di Dio. È anche possibile che significhi semplicemente: uno dei didascaloi (dottori). Preferisco spiegar con l'una o l'altra di queste ragioni la presenza dell'articolo, anziché dargli un senso enfatico. Nicodemo non "occupava nessun posto eminente fra i rettori" (Vedi Giovanni 7:50-53). La domanda del Signore contiene un evidente rimprovero di inescusabile ignoranza per parte di Nicodemo. Egli sedeva fra i più autorevoli espositori della Parola di Dio; questa dottrina della rigenerazione era chiaramente insegnata nei Salmi e nei profeti Salmi 51:10-11; Geremia 4:4; 32:39-40; Ezechiele 11:19; 18:31; 36:25-27; eppure nemmeno la riconosceva quando venivagli presentata. Egli è per questa completa ignoranza, così pratica come teorica, per parte di uno che "sedeva nella cattedra di Mosè", ma ben potevasi chiamare "guida cieca di ciechi" che il Signore biasima Nicodemo. Ryle osserva molto a proposito: "Questo versetto fornisce un potente argomento contro l'idea che 'nato d'acqua e di Spirito' indichi il battesimo. Nicodemo non avrebbe potuto conoscere la dottrina della rigenerazione battesimale che non è rivelata in nessun luogo dell'Antico Testamento, poiché i suoi difensori stessi non pretendono trovarlo che nel Nuovo Testamento. Biasimare dunque un uomo perché non conosce 'cose' non ancora rivelate sarebbe ingiustizia manifesta e quale certo non l'usava il nostro Signore".
Dopo questo punto, per quanto almeno appare dal racconto di Giovanni, Nicodemo più non parla, e pare che abbia preso l'attitudine di un umile e docile discepolo, al quale il Signore apre tutto intiero l'animo suo.

PASSI PARALLELI
Isaia 9:16; 29:10-12; 56:10; Geremia 8:8-9; Matteo 11:25; 15:14; 22:29
Deuteronomio 10:16; 30:6; 1Cronache 29:19; Salmi 51:6,10; 73:1; Isaia 11:6-9; 66:7-9
Geremia 31:33; 32:39-40; Ezechiele 11:19; 18:31-32; 36:25-27; 37:23-24
Romani 2:28; Filippesi 3:3; Colossesi 2:11

11 11. in verità, in verità, io ti dico, che noi parliamo ciò che sappiamo, e testimoniamo ciò che abbiamo veduto;
Questo versetto e i due seguenti servono quale introduzione ad uno stadio più elevato del discorso. Il nesso fra il versetto precedente e questo è il contrasto della ignoranza dei Farisei colla perfetta conoscenza del Dottore dal quale Nicodemo era venuto ad imparare, ma dal quale pure egli era stato così lento a, ricevere la verità. Il Signore esordisce colla solenne ripetizione della formula colla quale egli suole annunziare una nuova verità. A chi si riferisce il noi di questo versetto? Vi sono su ciò varie teorie, le principali sono le seguenti: "Io e i profeti antichi"; "io e i miei discepoli"; "io e quanti sono nati dallo Spirito"; "io e il Battista"; "io e lo Spirito Santo"; "io e il Padre mio"; "Gesù stesso, parlando enfaticamente al plurale, per dar peso e dignità alle sue parole, come usano i re". Ciascuna di queste congetture è sostenuta da uomini autorevoli. Diodati, nelle sue note, intende il noi di Gesù e dei suoi discepoli. Ma il senso più probabile e più soddisfacente sembra esser quello che applica le parole a Cristo stesso. Si obietta che in nessun altro luogo del Nuovo Testamento Gesù parla di se medesimo o al plurale; ma un esempio almeno se ne trova in Marco 4:30. Le parole di Giovanni Battista Giovanni 3:32 ci paiono una sufficiente confutazione delle prime quattro teorie, poiché egli indica, come un segno speciale della superiorità di Cristo su qualsiasi altro dottore, che egli solo "testifica ciò che egli ha veduto ed udito". In quanto alla quinta e sesta, notiamo che mentre ben poteva l'incarnato Figlio di Dio dichiarare, durante il suo ministero, terreno: io parlo e testifico di ciò che ho conosciuto e veduto da ogni eternità col Padre mio, non sembra che egli possa dire, parlando di se e delle altre due persone della Trinità: "Testimoniamo ciò che abbiamo veduto". La convinzione che egli cerca di imprimere nella mente di Nicodemo si è che egli parla e testifica per quell'assoluta conoscenza e quella immediata visione di Dio, che "l'unigenito nel seno del padre" proclama sua in modo esclusivo Giovanni 1:18.
ma voi non ricevete la nostra testimonianza
Questa lagnanza, fatta in primo luogo di Nicodemo indica che tuttora rimaneva qualche dubbio nel suo cuore; ma il voi, mostra che quel rimprovero estendevasi pure a quelli dei quali egli era il rappresentante, forse il mandatario e che dividevano più o meno le sue opinioni riguardo a Gesù qual Dottore venuto da Dio. "Noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio" Giovanni 3:2, e più probabilmente ancora alla classe cui egli apparteneva, e che si era dichiarata quasi tutta contraria ai miracoli e all'insegnamento di Gesù, dal giorno in cui egli aveva purificato il tempio.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:3,5
Giovanni 3:13,32-34; 1:18; 7:16; 8:14,28-29,38; 12:49; 14:24; Isaia 55:4; Matteo 11:27
Luca 10:22; 1Giovanni 1:1-3; 5:6-12; Apocalisse 1:5; 3:14
Giovanni 3:32; 1:11; 5:31-40,43; 12:37-38; Isaia 50:2; 53:1; 65:2; Matteo 23:37
Atti 22:18; 28:23-27; 2Corinzi 4:4

12 12. Se io vi ho dette le cose terrene, e non credete; come crederete, se io vi dico le cose celesti?
V'è antitesi qui fra "le cose terrene" e "le cose celesti"; e dall'incredulità di Nicodemo riguardo alle prime il Signore conclude che egli sarà più incredulo ancora per le seconde. La parola terrene può significare così quello che è "di natura terrena", come pure verità o fatti la cui sede è quaggiù. "Egli è in quest'ultimo senso che il Signore usa qui questa parola indicando con quella, una classe di fatti e di fenomeni della vita superiore, i quali, benché di origine celeste si manifestano in terra, appartengono, per la loro realizzazione, all'esistenza presente, sono visibili nei loro risultati, come il prodotto di una nascita, e sensibili nei loro effetti, come l'azione del vento" (Westcott). In modo speciale, Cristo chiama cosa terrena "la nuova nascita", di cui avea parlato a Nicodemo, perché è cosa che si compie nell'uomo quaggiù, che fa parte della sua storia terrena, e può essere osservata dai suoi simili. Vorrebbero alcuni dare a queste parole un senso più lato, includendo in esse i discorsi di Gesù tenuti fino a quell'ora ai Giudei; ma se si considera che il soggetto dei versetti precedenti è la rigenerazione, parrà più naturale che a quella dottrina si applica la designazione di "cose terrene", colla quale il Signore qui riassume il suo insegnamento. Le "cose celesti" sono i misteri più elevati del suo regno, i segreti consigli di Dio, le grandi verità "occulte fin dalla fondazione del mondo", che egli stava per dichiarare e dichiarò nella seconda parte di questa conversazione, cioè la sua propria Divinità, il piano della redenzione del mondo per la sua morte in croce, l'amor di Dio verso un mondo perduto e la salvezza preparata per esso, la fede nel Figlio di Dio come unica, via di sfuggire all'inferno, e l'ostinata reiezione, per parte dell'uomo, della luce, la sola causa della sua condanna. Riguardo a queste cose non dobbiamo stupirci se il Signore avverte il suo uditore che molto probabilmente egli ed altri troverebbero a riceverle difficoltà anche maggiori che per la verità precedente, poiché qui tutto si basa sulla fiducia riposta nella testimonianza del Rivelatore. Si rigetti la sua parola, e la scala per cui l'uomo potrebbe alzarsi alla conoscenza delle cose celesti è rotta, ed ogni accesso ai segreti di Dio gli rimane chiuso per sempre.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:3,5,8; 1Corinzi 3:1,2; Ebrei 5:11; 1Pietro 2:1-3
Giovanni 3:13-17,31-36; 1:1-14; 1Corinzi 2:7-9; 1Timoteo 3:16; 1Giovanni 4:10

13 13. Or niuno è salito in cielo, se non colui ch'è disceso dal cielo, cioè, il Figliuol dell'uomo, ch'è nel cielo
Il nesso fra questo versetto e il precedente è forse la domanda che presentavasi alla mente di Nicodemo: "Come puoi tu dirmi le cose celesti?" Rispondendo a quella, Gesù rivela la sua divinità, e al tempo stesso che confuta quella supposta obbiezione, comincia a rivelare "le cose profonde di Dio". Alcuni asseriscono che il linguaggio di questo versetto è figurativo, e che Gesù vuole semplicemente dimostrare, con queste parole, la necessità di un insegnamento divino per comprendere le verità spirituali. Altri gli dànno un senso anche più improbabile, e vi vedono l'impossibilità di entrare nei cieli, in virtù di meriti umani, poiché quella entrata ci è aperta unicamente dal Salvatore incarnato, sceso dal cielo per adempiere ad ogni giustizia. Ma in presenza di una applicazione letterale e perfettamente intelligibile di queste parole, e della frequente loro ripetizione per parte di Gesù in altre circostanze Giovanni 6:33,38; 8:26,28, quelle spiegazioni figurative (benché inappuntabili in quanto alla dottrina), sono inammissibili. I Sociniani, nel loro desiderio di rovesciare la dottrina della preesistenza di Cristo, si valgono di questo passo come se dimostrasse che Gesù, durante la sua vita terrena, fu segretamente trasportato in cielo per esservi iniziato nelle cose celesti, quindi tornò in terra per rivelarle agli uomini; ma quella teoria è insostenibile di fronte alla esplicita dichiarazione del Signore: "Niuno è salito in cielo". Brown dice con verità: "Può sembrare paradossale il dire: 'niuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo, cioè colui che è al tempo stesso in cielo e sulla terra'"; ma crediamo con lui, che queste parole erano intese a fermare l'attenzione del suo uditore e a costringerlo a pensare che nella persona di Gesù dovevano incontrarsi misteriosissimi elementi. "Il cielo", in tutto questo versetto, va preso nel senso di quella immediata e peculiare presenza di Dio, nella quale nessun uomo può vivere, se prima non ha rivestito l'immortalità. Così la descrive Paolo: "il qual solo ha immortalità, ed abita una luce inaccessibile; il quale niun uomo ha veduto, né può vederlo" 1Timoteo 6:16; mentre l'Onnipotente stesso dichiarò a Mosè: "Tu non puoi veder la mia faccia, perciocché l'uomo non mi può vedere e vivere" Esodo 23:20. Le parole: se non, sono spesso usate in senso avversativo anziché in senso di eccezione (Vedi Matteo 12:4; Marco 13:32; Luca 4:26-27; Giovanni 17:12; Apocalisse 9:4; 21:27), e tale ne è il significato in questo passo: "Nessun uomo è salito in cielo per divenirvi atto a rivelare le cose divine; ma quello che era impossibile agli uomini è stato fatto da colui che è disceso dal cielo, cioè dal Figliuol dell'uomo" "Le parole: 'sceso dal' indicano più che una missione divina; affermano l'incarnazione di Cristo, perché includono la nozione della sua preesistenza, essendo egli conscio di esser vissuto personalmente in cielo" (Godet). Era veramente questo il luogo di parlare della umanità del Signore. Egli scese dal cielo, e divenne il Figliuol dell'uomo, per rivelare queste celesti verità, e assicurare i beni dei cieli agli uomini Giovanni 3:14-15. "Le ultime parole di questo versetto (ch'è in cielo), mancano in alcuni MSS, fra i quali il Sinaitico e il Vaticano; ma a giudizio dei più fra i critici moderni, si devono ritenere. Non si può spiegare la loro presenza mediante la inserzione fattane da qualche copista; mentre è probabile che vennero omesse a motivo della loro difficoltà" (Watkins). Il senso del versetto è dunque che l'uomo non ha, né può avere, una completa intelligenza delle cose celesti; ma che questa appartiene esclusivamente a colui che discese dal cielo nella sua incarnazione, mediante la quale egli divenne il Figliuol dell'uomo, mentre è, ed era allora in cielo, nella essenza e nella gloria della sua divina natura, e questa definizione ce lo rivela quale colui che possiede appieno tutti i consigli di Dio. "La perfetta conoscenza di Dio", dice Brown "l'uomo non la ottiene salendo in cielo per rivelarla, niun uomo è salito in quel modo; colui la cui propria dimora, nella sua natura essenziale ed eterna, è il cielo, col prendere la carne umana, è sceso qual "Figliuol dell'uomo", per rivelare il Padre, che egli, per contemplazione immediata, conosce ora nella carne non meno che prima di assumerla, essendo essenzialmente e immutabilmente nel seno del Padre" Giovanni 1:8.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:18; 6:46; Deuteronomio 30:12; Proverbi 30:4; Atti 2:34; Romani 10:6; Efesini 4:9
Giovanni 6:33,38,51,62; 8:42; 13:3; 16:28-30; 17:5; 1Corinzi 15:47
Giovanni 1:18; Matteo 28:20; Marco 16:19-20; Atti 20:28; Efesini 1:23; 4:10

14 14. E, come Mosè alzò il serpente nel deserto, così conviene che il Figliuol dell'uomo sia innalzato,
Avendo proclamato nel versetto precedente la divinità di colui che apparve sulla terra, qual Figliuol dell'uomo, il Signore rivela, l'una dopo l'altra, a Nicodemo "le cose celesti" che Giovanni 3:12 aveva già annunziate. In questi versetti Giovanni 3:14-15 vien proclamata la necessità, espressa da adempiere i consigli di Dio, della morte di questo Figliuol dell'uomo, in modo così pubblico da attrarre l'attenzione universale. Più tardi, Gesù dichiarò apertamente ai suoi discepoli che sarebbe crocifisso; ma se essi non si mostrarono preparati ad una tale rivelazione, anche dopo essere stati per anni con Gesù Matteo 16:21-22, molto meno avrebbe potuto Nicodemo comprenderla, se il Signore avesse parlato di crocifissione. Essa gli vien dunque presentata in modo velato, mediante la parola innalzato. Insieme ai suoi concittadini, egli aspettava nel Messia un potente monarca terreno, che sarebbe esaltato al trono di Davide suo padre, con pompa ed onori indescrivibili; perciò, temendo che una tale interpretazione venisse data qui alla parola "innalzato", Gesù la spiega immediatamente, ricordando un incidente, della storia antica d'Israele, ben noto a Nicodemo. Il Figlio di Dio doveva essere innalzato in ultima analisi alla gloria celeste e alla dominazione universale; ma l'innalzamento sulla croce doveva essere di quello il primo ed indispensabile gradino, e a questo Gesù rivolge l'attenzione del suo uditore mediante il tipico serpente di bronzo. Avvicinandosi gl'Israeliti al termine del loro viaggio, il Signore mandò contro di loro dei serpenti ardenti (così chiamati forse dal loro colore), per il cui morso fatale, molti fra il popolo morirono. Pentitosi ed umiliatosi il popolo, e supplicando al Signore per venire liberato da questo flagello, Dio comandò a Mosè di fare un serpente di rame, di innalzarlo sopra un'antenna sicché fosse facilmente veduto da ogni estremità del campo, e di proclamare "che chiunque sarà morso, riguardando quello, scamperà" Numeri 21:7-9. Il Signore dichiara qui, a Nicodemo, che quel fatto era un tipo; che egli stesso, innalzato in sulla croce per la salute del mondo, sarebbe, per chiunque si volgerebbe a lui con fede, fra quanti stanno morendo per la malattia mortale del peccato, quello che il serpente di bronzo era stato per gl'Israeliti nel deserto. Molti e notevoli sono qui i punti di rassomiglianza fra il tipo e l'antitipo.
(a) Per gl'Israeliti morsi dai serpenti ardenti, il rimedio divinamente provveduto era un serpente di rame, nel quale non trovavasi nemmeno una gocciola del veleno che li trascinava a morte; così pure Gesù innalzato sulla croce per la salute degli uomini, era bensì partecipe della nostra natura, essendo venuto "in forma somigliante alla carne di peccato", ma senza peccato, "santo innocente, immacolato separato dai peccatori" Ebrei 7:26, "senza difetto, né macchia" 1Pietro 1:19.
(b) In ambo i casi il rimedio vien presentato in modo a tutti visibile, nel primo sopra un'antenna, nel secondo sulla croce.
(c) In ambo i casi basta, per ottenere la guarigione, alzare gli occhi verso l'offerto rimedio: nel primo, guardando coll'occhio esterno; nel secondo, coll'occhio dell'anima, cioè colla fede.
(d) In ambo i casi i metodi di guarigione sono ordinati da Dio e per quanto possano essere incomprensibili alla ragione umana, sono abbondantemente efficaci per ottenere lo scopo suo misericordioso. Come il solo modo per gli Israeliti di ottenere sollievo dal serpente di rame era di guardarlo, così l'unico modo di derivare qualsiasi benefizio da Cristo è di guardare a lui coll'occhio della fede. Lo sguardo più languido bastava a guarire l'Israelita, e la fede più debole, purché sincera e verace, reca salvezza al peccatore.

PASSI PARALLELI
Numeri 21:7-9; 2Re 18:4
Giovanni 8:28; 12:32-34; Salmi 22:16; Matteo 26:54; Luca 18:31-33; 24:20,26-27,44-46
Atti 2:23; 4:27-28

15 15. Acciocché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna
Con queste parole Gesù dichiara a Nicodemo lo scopo per il quale il Figliuol dell'uomo doveva essere innalzato in sulla croce, e il modo nel quale il benefizio della sua crocifissione verrebbe assicurato agli uomini. Le parole non perisca ma sono omesse da alcuni Commentatori recenti, i quali le ritengono una interpolazione tolta da Giovanni 3:16, non trovandole nel Codice Sinaitico, nel Vaticano, e in varie versioni antiche, mentre essi alterano l'ordine delle rimanenti parole nel modo seguente: "chiunque crede abbia, in lui vita eterna". Ma quelle parole trovansi nel Codice Alessandrino, e nel maggior numero dei MSS.; le ritengono Webster e Wilkinson, Brown, Wheedon, Lange, Barnes e in generale i Commentatori antichi. Lungi dall'essere inutili le parole: non perisca, messe in opposizione a vita eterna, le spiegano più chiaramente. Non c'è valida ragione per considerare le prime come una interpolazione da Giovanni 3:16, mentre chi non le vuole, ritiene le seconde che si trovano pure nel medesimo versetto. Quelle parole dichiarano che, per natura, l'uomo è in pericolo di perire, vale a dire di precipitare nei tormenti dell'inferno, di esser punito colla "perdizione eterna, dalla faccia del Signore, e dalla gloria della sua presenza" 2Tessalonicesi 1:9. La vita eterna è l'opposto di ciò. Essa non è soltanto la liberazione dalla condanna e dalla morte; ma proclama che il peccatore che guarda a Gesù coll'occhio della fede riceve immediatamente nel cuore il seme della vita eterna; che essa dimora in lui, fino da ora, come arra di una vita eterna di felicità e di gloria nel cielo, della quale egli prenderà appieno possesso dopo morte. Per assicurarci così ineffabili benefizi, il Signore non ci chiede nulla di molto difficile; solo vuole che noi li accettiamo con tutto il cuore, come comprati col sangue di Cristo, e liberamente offerti "senza denaro e senza prezzo". Non c'è merito alcuno nel credere.
Erasmo fu il primo a mettere avanti l'idea, accettata dipoi da alcuni espositori moderati, che la conversazione del Nostro Signore con Nicodemo finisce qui a Giovanni 3:15, e che quanto segue Giovanni 3:16-21 è un commento dell'Evangelista alle parole del suo Maestro. Per un lettore ordinario nulla v'è nella materia o nello stile che suggerisca una transizione così subitanea, e alcune parole sono necessarie per indicare le ragioni sulle quali si fonda una teoria così improbabile.
(a) La prima si è che lo stile generale e il carattere di questi versetti ci ricordano il Prologo dell'Evangelo; ma concessa questa rassomiglianza pare assai più probabile l'opposto, poiché il Prologo fu scritto sessant'anni almeno dopo il discorso di Gesù con Nicodemo, e durante quegli anni la mente e la memoria dell'Evangelista si compenetrarono sempre più della dottrina e perfino delle espressioni del suo Maestro.
(b) Si dice che l'uso del tempo passato in hanno amate e erano di Giovanni 3:19, sembra indicare un tempo posteriore a quello della conversione di Nicodemo; ma le parole di Gesù a Nicodemo si adattavano benissimo a quei tempi passati, poiché egli parlava di cose già avvenute nel contegno freddo anzi ostile del popolo, rappresentato dai suoi capi naturali, verso il Battista e verso lui medesimo, sicché non se ne può derivare quella conclusione.
(c) Si dice pure che il titolo unigenito non è in alcun altro passo applicato da Gesù a se stesso, ed è una espressione peculiare di Giovanni 1:14,18; 1Giovanni 4:9; ma è più probabile che Giovanni, scrivendo più tardi, adottò questa espressione perché ne faceva uso il suo Maestro; e non ci pare che in forza di quell'unica parola si possa attribuire tutto questo passo Giovanni 3:16-22 a Giovanni. Sarebbe molto azzardato il concludere che, perché questo termine viene usato una volta sola, egli non appartiene al linguaggio di Gesù: Questa regola ci obbligherebbe ad escludere pure le parole: nato di nuovo, nato d'acqua, nato di Spirito, perché non si trovano in nessun altro discorso di Gesù, per non dir nulla di tutti quei vocaboli che si trovano una volta sola negli scritti di Paolo.
(d) Si dice finalmente che è uso di Giovanni commentare in quel modo le cose che egli riferisce (Vedi Giovanni 1:16; 12:37-41); ma tali esempi non calzano, perché il primo non è che la testimonianza del Battista, invocata dall'Evangelista nel corso del suo racconto; e il secondo è un commento che l'Evangelista medesimo accuratamente distingue dalle parole di Gesù mediante le ultime parole del versetto 36 Giovanni 3:36 "Queste cose ragionò Gesù, eppoi se ne andò" ecc.
Nel caso nostro invece la parola perciocché, colla quale comincia Giovanni 3:16 anziché separare le parole di Gesù da quelle dell'Evangelista, è evidentemente il nesso fra quanto Gesù avea detto fin lì, e altre gloriose rivelazioni che si accingeva a fare sull'amore di Dio, quale principio da cui derivava la necessità che "il Figliuol dell'Uomo fosse innalzato". "Chi può credere che Gesù abbia congedato in modo asciutto Nicodemo, dopo le parole del ver. 15, senza concedergli di gettare uno sguardo sugli effetti dell'opera di salvezza che eragli stata annunziata, e sulle conseguenze della incredulità della quale aveva accusato il popolo d'Israele, senza rivolgergli almeno una parola di incoraggiamento personale?" (Godet). Colla maggioranza degli espositori, e in accordo colla comune opinione dei credenti di ogni secolo, riteniamo adunque che i vers. Giovanni 3:16-21 sono la continuazione del discorso del Nostro Signore.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:16,36; 1:12; 6:40,47; 11:25-26; 12:44-46; 20:31; Isaia 45:22; Marco 16:16
Atti 8:37; 16:30-31; Romani 5:1-2; 10:9-14; Galati 2:16,20; Ebrei 7:25; 10:39
1Giovanni 5:1,11-13
Giovanni 5:24; 10:28-30; Matteo 18:11; Luca 19:10; Atti 13:41; 1Corinzi 1:18; 2Corinzi 4:3
Giovanni 17:2-3; Romani 5:21; 6:22-23; 1Giovanni 2:25; 5:13,20

16 16. Perciocché Iddio ha tanto amato il mondo, ch'egli ha dato il suo unigenito Figliuolo, acciocché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna
In questo versetto, unito al precedente dal vocabolo perciocché, il Signore rivela altre "cose celesti", facendo conoscere lo scopo misericordioso di Dio, che rendeva necessario "l'innalzamento" del Figliuol dell'uomo, allargando così e spiegando i vers. Giovanni 3:14-15, facendone l'applicazione alla vita presente e alla condotta degli uomini. Lutero chiama questo versetto la Bibbia in miniatura, e vi sono pochi versetti nella Scrittura, che ci diano in così brevi e concise parole una esposizione così completa della via della salute; che splendano sì fattamente di divino amore; che sieno più ricchi di speranza e di gioia così per i credenti, come per i peccatori risvegliati a salute. Esso è stato per milioni di uomini "a guisa di ancora sicura e ferma dell'anima ch'entra fino al di dentro della cortina" Ebrei 4:19. Esso ci dice che la liberazione del peccatore dai castighi eterni, e l'acquisto della vita eterna, sono il risultato dell'amore incommensurabile di Dio, manifestato nel dono del suo Figlio, quale cauzione e sicurtà per il peccatore. "Io ti ho amata di un amore eterno; perciò ho usata continua benignità inverso te" Geremia 31:3. Analizzando questo versetto, colpisce la nostra attenzione:
(a) L'OGGETTO dell'amor di Dio, cioè il mondo nel suo senso più vasto. Nicodemo credeva probabilmente, come i suoi concittadini, che Dio non si desse pensiero se non di Israele suo popolo eletto, per il bene, del quale esclusivamente aspettavasi il Messia. Ma Gesù dichiara qui che il Signore ama tutta quanta la discendenza di Adamo, e che chiunque crede in lui, Giudeo o Gentile che sia, avrà la vita eterna. "Cristo ha recato la vita, perché il Padre celeste ama tutta la razza umana, e non vuole che essa perisca" (Calvino).
(b) L'AMORE di Dio per questo mondo condannato alla morte, amore che può concepirsi e misurarsi soltanto dalla, grandezza e dal, prezzo del dono che da esso abbiamo ricevuto. È un amore chiaramente distinto da quello che Dio porta ai suoi santi. È amore di pietà, e di compassione (simile nella sua natura, ma superiore infinitamente nella sua misura, a quello che un padre terreno sente verso un figlio prodigo), un amore non già di approvazione o di compiacenza; ma non meno reale per questo. Le antiche profezie lo annunziano in questo modo: "Come io vivo, dice il Signore Iddio, io non prendo diletto nella morte dell'empio; anzi prendo diletto che l'empio si converta dalla sua via e che viva" Ezechiele 32:11; e Pietro 2Pietro 3:9 conferma questo amore di compassione per parte di Dio, quando dice "Il Signore... è paziente inverso noi; non volendo che alcuni periscano, ma che tutti vengano a penitenza".
(c) Vien quindi il DONO STESSO. È il Figlio unigenito di Dio, il "prossimo del Signore degli eserciti" Zaccaria 13:7, il quale dimorava da ogni eternità nel seno di Dio, e perciò il dono più prezioso e più caro che egli potesse fare ad un mondo peccatore e condannato. Al ver. Giovanni 3:14 il Signore si dà il nome di Figliuol dell'uomo, egli si proclama "il Figliuolo unigenito di Dio" affin di imprimere nella mente di Nicodemo e nella nostra, le due nature del Messia; e merita attenzione somma il fatto che riguardo ad entrambe si richiede la medesima fede. Per esser salvati, dobbiam credere in lui, come Figliuol, Dell'uomo, e come Figliuol di Dio.
(d) Consideriamo quindi il FRUTTO DI QUEL DONO MIRABILE, negativo in quanto siamo liberati dalla perdizione: "non perisca" e positivo in quanto che riceviamo "la vita eterna".
(e) Finalmente IL MODO nel quale tutto questo accade, cioè semplicemente quella grazia salutare, mediante la quale riceviamo Cristo e ci fondiamo sopra lui solo, per aver quella salute, che ci è gratuitamente offerta nell'evangelo. "La perdizione è agli occhi di Dio una cosa così terribile, tanto più tremenda che l'uomo può immaginare, che Dio non ha risparmiato il proprio Figlio piuttosto che lasciar gli uomini perire in eterno" (Jacobus).

PASSI PARALLELI
Luca 2:14; Romani 5:8; 2Corinzi 5:19-21; Tito 3:4; 1Giovanni 4:9-10,19
Giovanni 1:14,18; Genesi 22:12; Marco 12:6; Romani 5:10; 8:32
Giovanni 3:15; Matteo 9:13; 1Timoteo 1:15-16

17 17. Conciossiaché Iddio non abbia mandato il suo Figliuolo nel mondo, acciocché condanni il mondo; anzi, acciocché il mondo sia salvato per lui
Nel ver. precedente il pensiero dominante era l'amore di Dio, in questo è la missione del Figlio, e l'oggetto che essa ha in vista. L'idea universalmente prevalente fra i Giudei si era che il Messia, appena comparso nel mondo, dovesse giudicare e condannare tutte le nazioni gentili; ma, ripetendo tre volte le parole il mondo insieme alle asserzioni positive e negative di questo versetto, il Signore insegna a Nicodemo, che tale idea era affatto erronea imperocché la benevolenza divina abbraccia l'intera umanità. I timori colpevoli risvegliati da una coscienza accusatrice dovrebbero condurre quelli che non conoscono l'evangelo, quando odono che Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo, a credere che oggetto della sua venuta sia di pronunziare la condanna dei malvagi; ma tali timori sono essi pure dissipati da questo versetto. Altrove (Giovanni 5:28-29), Gesù dichiara che un giorno viene nel quale egli comparirà come Giudice, per condannare tutti gli empi, e proclamare la felicità dei giusti; ma tale non fu lo scopo della sua prima venuta; questo fu di salvare, non di condannare. Importa però notare, che se la condanna non fu lo scopo della sua prima venuta, essa purtroppo ne è per molti la conseguenza, come lo dice Giovanni 3:18. Rigettando l'offerta salvezza, decidendoci per il mondo e contro Cristo durante questa vita, prepariamo fin da ora il nostro giudizio finale. Riguardo all'ultima parte di questo versetto, Alford osserva che essa non corrisponde alla prima. Essa non dice: acciocch'egli salvi il mondo, bensì acciocché il mondo sia salvato per lui. Il libero volere del mondo, kosmos, è così chiaramente affermato, come in Giovanni 3:19-20. Non già che il Signore non sia "il Salvatore del mondo Giovanni 4:42; ma la costruzione speciale di questo versetto voleva che l'altro lato della verità fosse messo avanti"; il mondo può, se vuole, rigettar Cristo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:45; 8:15-16; 12:47-48; Luca 9:56
Giovanni 1:29; 6:40; Isaia 45:21-23; 49:6-7; 53:10-12; Zaccaria 9:9; Matteo 1:23; 18:11
Matteo 1:23; 18:11; Luca 2:10-11; 19:10; 1Timoteo 2:5-6; 1Giovanni 2:2; 4:14

18 18. Chi crede in lui non sarà (lett. non è) condannato;
La venuta del Signor Gesù, e la proclamazione della salute per lui, implicano necessariamente un giudizio, perché divide tutti quelli che l'odono in due parti: credenti ed incredenti, e questo versetto ci rivela la sorte di entrambi. Per quattro volte in questi versetti, il Signore parla di credere in lui mostrando così l'immensa importanza della fede nella giustificazione del peccatore. Benché la fede sia solamente un mezzo, è però l' unico col quale si possa ottenere la vita eterna, indi l'importanza di avere idea chiara sulla natura della fede che salva, senza qualsiasi opera o merito.
"Chi crede" vuol dire l'uomo che riceve Cristo per fede, e si riposa sopra lui solo per essere salvato, credendo a quanto egli dice di se stesso, affidandosi alla sua espiazione, abbracciando la sua giustizia, accettando la compiuta opera sua, e ricevendolo, nel suo triplice uffizio di profeta, di sacerdote e di re, come suo unico Salvatore. Contro ad un tale, la legge e la giustizia di Dio non possono più nulla - "non è più condannato". Paolo testimonia di questa preziosa verità dicendo: "Non vi è alcuna condannazione per coloro che sono in Cristo Gesù" Romani 8:1. Leggasi pure la dichiarazione più completa del Signore: "in verità, in verità, io vi dico, che chi ode la mia parola, e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna, e non viene in giudizio, anzi è passato dalla morte alla vita" Giovanni 5:24.
ma chi non crede già è condannato, perciocché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figliuol di Dio
Siccome tutti gli uomini per essere peccatori, giacciono per natura sotto condanna, quelli che di proposito deliberato rigettano il solo mezzo che Dio abbia fatto conoscere per toglierla, mediante la fede nel suo Figlio, rimangono tuttora sotto il peso della condanna originale (come lo dice in modo enfatico già), solo la sorte loro si aggrava e diviene più disperata per la loro volontaria incredulità riguardo al Figliuol di Dio. Niente merita maggiormente, l'ira di Dio che il rigettare la gloriosa salvezza che egli ha provveduto per noi. È vero suicidio per parte dell'uomo il ribellarsi all'unico rimedio che può guarire l'anima sua; il non credere in Cristo equivale a chiuderci da noi la porta del cielo. Lutero osserva: "Chi è condannato non si lagni di Adamo e del peccato originale. Il seme della donna promesso da Dio per schiacciare la testa del serpente, è venuto, ha espiato il peccato, e ha tolta la condanna. Ma se medesimo deve accusare per non aver accettato Cristo e per non aver creduto in colui che schiacciò la testa del serpente, e annientò il peccato".

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:36; 5:24; 6:40,47; 20:31; Romani 5:1; 8:1,34; 1Giovanni 5:12
Marco 16:16; Ebrei 2:3; 12:25; 1Giovanni 5:10

19 19. Or questa è la condannazione
È enfaticamente la condanna, perché non solo rivela la condanna già esistente, ma la suggella sopra quanti rifiutano di esserne liberati.
che la luce (Giovanni 1:4-5) è venuta nel mondo (nella persona di colui che parlava a Nicodemo) e gli uomini hanno amate le tenebre più che la luce; perciocché le loro opere erano malvagie
Gli aoristi indefiniti, e sono qui usati per esprimere l'idea di una successione di atti definiti, mediante i quali si forma l'abitudine di agire in un certo modo, o in altre parole, l'uso generale e lo stato degli uomini, dopoché "la luce è venuta nel mondo". Queste parole indicano chiaramente che il "non crede" del ver. precedente, significa più che una mera assenza di fede, significa l'atto continuo di rigettare la vera luce che è venuta nel mondo, nella persona di Gesù, ed è sempre presente fra gli uomini, mediante il suo vangelo. La luce ha reso le tenebre visibili, e se gli uomini hanno scelto le tenebre, si fu per un atto del loro libero volere, e a quell'atto si determinarono a motivo della malvagità delle loro opere. Le loro "opere" cioè la vita nelle sue varie manifestazioni, erano malvagie. È la stessa parola impiegata per descrivere il carattere di Satana Giovanni 17:15; 1Giovanni 3:12; parola che non indica solamente tenebre morali e mentali, ignoranza, superstizione ed irreligione, ma una malvagità volontaria positiva e ben pronunziata. Egli è della deliberata reiezione di lui medesimo che il Signore parla qui come di una cosa che rivelerebbe, in modo tremendo, la preferenza degli uomini per le tenebre.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:4,9-11; 8:12; 9:39-41; 15:22-25; Matteo 11:20-24; Luca 10:11-16; 12:47
Romani 1:32; 2Corinzi 2:15-16; 2Tessalonicesi 2:12; Ebrei 3:12-13
Giovanni 5:44; 7:17; 8:44-45; 10:26-27; 12:43; Isaia 30:9-12; Luca 16:14
Atti 24:21-26; Romani 2:8; 1Pietro 2:8; 2Pietro 3:3

20 20. conciossiaché chiunque fa cose malvagie odii la luce, e non venga alla luce; acciocché le sue opere non sieno convinte
Questo versetto e il seguente formano un'applicazione pratica di tutto ciò che il Signore aveva detto a Nicodemo. In questo viene annunziato il principio generale che fa agire i malvagi e gli empi: "essi odiano la luce". Sanno che la loro condotta non può sopportare di esser messa in luce, ed essendo risoluti a perseverare in quella, odiano la luce che la rende manifesta, e si nascondono nelle tenebre, soffocando le accuse della coscienza, per non esserne disturbati. Questo modo di agire degli empi non è solamente osservato dai loro simili; essi stessi ne sono consci; cominciano col fuggire la luce, e finiscono coll'odiarla, perché essa testifica contro loro e contro le loro opere. V'è la luce della coscienza e la, luce dell'Evangelo ma egli è se medesimo che il Signore chiama qui LA LUCE. La sua apparizione è come l'alzarsi del sole sulla terra; egli rivela tutte le azioni degli uomini nel loro vero carattere. Perciò chiunque fa il male, ed è risoluto a perseverare in quello, rifugge da Cristo e dalla sua santità. In questo versetto le parole greche: fa cose malvagie, si applicano a quelli che "odiano la luce" e Giovanni 3:21 fa opere di verità, a coloro che "vengono alla luce"; e questa medesima distinzione il Signore la fa quando parla della risurrezione e del giudizio finale: "coloro che avranno fatto bene, coloro che avran fatto male" Giovanni 5:29. L'idea principale è la pratica, l'azione naturale, quello che facciano spontaneamente e con facilità in breve, quel verbo esprime l'estensione e il carattere generale dell'attività dell'uomo. L'idea principale è l'adempimento, il risultato ottenuto e visibile d'una azione fatta con sforzo e con difficoltà. La parola senza valore, differisce pure da Giovanni 3:19, e a rigore di termini, indica non tanto quello che è positivamente malvagio quanto quello che è tale negativamente. Corrisponde alla parola cattivo, e indica ogni cosa triviale, vile e senza valore, tale insomma da non poter sopportare un serio esame. Non si intende solo di una vita immorale, ma anche di quella che è esternamente onorevole, ma manca di ogni seria realtà morale. L'uomo che fa tali cose non usa la vita per il suo vero scopo, e si rivolge indietro dalla luce che glielo farebbe conoscere; dimentica "la sola cosa necessaria", e spende tutta quanta la vita in inezie senza profitto permanente. "Sappiamo che l'immoralità teme la luce e corrompe la volontà, ottenebrando la conoscenza, e indebolendo la fede. Ma ci ricordiamo troppo di rado l'effetto letale di una esistenza senza realtà e senza oggetto, che non è veramente una vita" (Watkins). "Convinte" Giovanni 8:9,46; 16:8. L'idea morale vien qui illustrata dall'azione della luce, che rende manifesto il male, e obbliga la coscienza a vederlo; ne risulti il pentimento o l'induramento del cuore. Egli è attraverso questa prova che l'uomo passa dalle tenebre alla luce; ed è perché hanno paura di quella prova che gli uomini rifuggono dalla luce (Confr. Efesini 5:11-17).

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:7; 1Re 22:8; Giobbe 24:13-17; Salmi 50:17; Proverbi 1:29; 4:18; 5:12; 15:12
Amos 5:10-11; Luca 11:45; Giacomo 1:23-25
Efesini 5:12-13

21 21. Ma colui che fa opere di verità viene alla luce, acciocché l'opere sue sien palesate; perciocché sono fatte in Dio
Questo versetto ci presenta il carattere opposto a quello descritto nel precedente. Per verità devesi intendere il bene morale conosciuto mediante la coscienza, ossia quello che è moralmente vero, perché consonante colla regola divina del bene. L'uomo che il Signore descrive come "facendo opere di verità", è colui che si prefigge di non far, nella vita, se non quello che può sopportar la luce; affinché tutto quanto egli è, e fa, essendo appieno giudicato dalla luce, sia trovato conforme alla volontà di Dio. Paolo descrive tali persone, come fa qui il Signore, cioè dalle loro opere, le quali sono il frutto della loro conoscenza della verità: "La vita eterna a coloro che, con perseveranza in buone opere, procacciano gloria, onore, ed immortalità" Romani 2:7. C'è affinità naturale fra verità e luce; chi è fedele alla verità che ha ricevuta, per la forza stessa di quella, è spinto verso colui che è la Luce. Il suo scopo, nel mettere in luce le opere sue, non è già di glorificare se stesso, bensì di accertarsi, venendo in più intimo contatto colla luce, che tutte le sue opere sono state fatte in Dio. Egli ama la luce, poiché tutte le cose che essa condanna egli pure abborre, e tutto quanto egli può derivare dalla luce divien parte della verità che è l'anima della sua vita. il Signore cominciò la sua conversazione con Nicodemo costatando la necessità della nuova nascita e la chiude ora con una descrizione della vita e delle opere dell'uomo che è nato di nuovo, il cui grande scopo è che il suo cuore e i suoi atti sieno retti dinanzi a Dio. Siccome Cristo è LA LUCE, ogni uomo convertito, non solo abbraccerà l'evangelo, ma si sforzerà di vivere in intima comunione con Cristo, affin di poter dire con Paolo: "Cristo vive in me; e ciò che ora vivo nella carne, vivo nella fede del Figliuol di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" Galati 2:20. L'Evangelista nulla ci dice dell'effetto prodotto sopra Nicodemo da questo suo trattenimento con Gesù, ma con perfetta naturalezza lascia che ce lo rivelino alcuni incidenti narrati più avanti nel suo Vangelo Giovanni 7:50-51; 19:39.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:47; 5:39; Salmi 1:1-3; 119:80,105; 139:23-24; Isaia 8:20; Atti 17:11-12
1Giovanni 1:6
Giovanni 15:4-5; Isaia 26:12; Osea 14:8; 1Corinzi 15:10; 2Corinzi 1:12; Galati 5:22-23; 6:8
Efesini 5:9; Filippesi 1:11; 2:13; Colossesi 1:29; Ebrei 13:21; 1Pietro 1:22; 2Pietro 1:5-10
1Giovanni 2:27-29; 4:12-13,15-16; Apocalisse 3:1-2,15
3Giovanni 11
RIFLESSIONI
1. Dal modo in cui Giovanni ci presenta questo episodio della prima parte del ministero di Gesù, sembrerebbe che il Signore fosse solo con Nicodemo; ma la vivacità grafica del racconto ci autorizza a credere che quella conversazione avesse almeno un uditore, (se pure i tre discepoli prediletti non erano tutti presenti), e quell'uditore non può essere stato che l'Evangelista Giovanni medesimo. "Qual penna, se non quella di un testimone oculare ed auricolare avrebbe potuto raccontarci una scena, i cui minuti particolari e i vividi tratti così colpiscono gli stessi bambini che la leggono, da non esserne mai più dimenticati, mentre le profondità e le altitudini delle cose rivelate tengono per sempre occupate le menti più mature? Se questo Vangelo fu scritto alla data che gli viene attribuita, (la fine del primo secolo), sessant'anni e più devono essere trascorsi fra il fatto stesso e il racconto che Giovanni ne scrisse per tutte le età. Eppure come fresco, vivente e sempre nuovo è quel racconto, quasiché l'Evangelista ne avesse scritto ogni parola quella notte stessa, subito dopo la partenza di Nicodemo!" (Brown).
2. La conversazione fra Cristo e Nicodemo è uno dei passi più importanti di tutta quanta la Bibbia. In nessun altro posto trovansi affermazioni così chiare e così forti riguardo alla nuova nascita, e alla salvezza per fede nel Figlio di Dio, senza le quali nessun uomo può essere salvato. Le epistole scritte dagli Apostoli alle chiese, non fanno che confermare e amplificare, dettagliandole, le potenti verità che Gesù qui rivela 2Corinzi 5:17; Galati 6:15; 1Pietro 1:23; 1Giovanni 3:9. Entrambe queste dottrine sono spiacenti all'uomo naturale; l'orgoglio lo spinge a ricusare una salvezza, nella quale egli non ha merito alcuno; e la cecità della sua mente l'impedisce di riconoscere quanto sia necessaria la nuova nascita. "L'uomo animale", non comprende le cose dello spirito di Dio, perciocché gli sono pazzia, e non le può conoscere, conciossiaché si giudichino, spiritualmente" 1Corinzi 2:14. È gran parte della corruzione del giudizio degli uomini e causa della loro ignoranza, che essi concepiscono le cose spirituali in modo carnale, e non voglion credere quelle cose che non sembrino probabili alla loro ragione. Così si presenta la rigenerazione alla mente di Nicodemo, ed egli la giudica impossibile.
3. "Il cambiamento, che il Signore qui ci dice necessario alla salute, non è un mero cambiamento superficiale, e soprattutto non è un cambiamento che possiamo produrre da noi. Non consiste solo di una riforma o di un emendamento morale, o di una mutazione esterna di vita; è una rinnovazione completa del cuore, della volontà, del carattere. È una risurrezione, una creazione nuova; è un, passare dalla morte alla vita; è un nuovo principio di vita impiantato dall'alto nei morti nostri cuori. È la chiamata all'esistenza di un essere novello, con natura nuova, abitudini rinnovate, con gusti, desideri, appetiti, criteri, speranze, timori che prima il cuore umano non conosceva. Lettore, hai tu subito questo mutamento nel tuo uomo interno? Prova te stesso, imperocché senza quello, lo ha dichiarato colui che è LA VERITÀ, non puoi essere né un vero membro del regno spirituale in terra, né un abitante del regno della gloria" (Ryle).
4. Parlando della via della salute, Paolo dice: "Noi adunque conchiudiamo che l'uomo è giustificato per fede senza le opere della legge" Romani 3:28. La fede nel Signor Gesù Cristo è la chiave della salvezza. Chi l'ha, possiede la vita, chi non l'ha, neppure ha la vita. Nessuna cosa oltre la fede è necessaria alla completa nostra giustificazione; ma nessuna cosa che non sia la fede può farci partecipi della salute in Cristo. La morte di Cristo è la vita del Cristiano; la morte di Cristo in sulla croce ci dà diritto al cielo. Cristo innalzato in sul Calvario è la scala per cui solamente si può entrare nel "luogo santissimo".
5. Cristo, che diede volonterosamente se stesso per salvare il mondo, non fu solo ad amare l'uomo perduto; quell'amore esisteva pure nel Padre, e lo spinse a mandar suo Figlio a soffrire e ad adempiere l'opera mediatrice, acciocché egli potesse far sentire agli uomini i benefici effetti della sua misericordia, senza offendere la sua giustizia. Iddio amava il mondo, anche prima di dargli il suo Figlio; anzi quell'amore fu la causa di quel dono. Un tal dono per parte di Dio, e la nostra partecipazione in esso, ci provano il suo amore più di qualsiasi benefizio che egli abbia mai fatto all'uomo 1Giovanni 4:9, e ci sono pegni sicuri di tutte quelle altre grazie, che ci potranno essere necessarie Romani 8:32.

22 Giovanni 3:22-36. CRISTO SI RITIRA DA GERUSALEMME, PER PROSEGUIRE IL SUO MINISTERO NELLE CAMPAGNE DELLA GIUDEA. IL BATTISTA. TUTTORA LIBERO, CONTINUA L'OPERA SUA. LA SUA ULTIMA E PIÙ NOBILE TESTIMONIANZA AL SUO MAESTRO

22. Dopo queste cose,
Questa frase non è un nesso immediato col discorso precedente, quasiché con quello, Gesù sospendesse per un tempo il suo ministero in Gerusalemme; essa abbraccia tutto il tempo della sua dimora in quella città, senza precisarne la durata. Avendovi proclamato la sua divinità, mediante un segno significativo, che non fu capito, o capito male, ed essendosi accertato che gli abitanti di Gerusalemme non erano in generale disposti a ricevere la sua dottrina, Gesù si ritrasse dalla città, e prese posizione come semplice profeta, in Giudea, come più tardi in Galilea.
Gesù, coi suoi discepoli, venne nel paese della Giudea; e dimorò quivi con loro,
Il "paese di Giudea" non indica tutta la provincia, il che includerebbe anche Gerusalemme come capitale, ma la campagna in opposizione alla città. Passarono probabilmente alcuni mesi fra la, Pasqua di Giovanni 2:13, e la visita a Samaria, benché due fatti soli di quel periodo ci sieno ricordati; checché ne sia di ciò, le parole dimorò e battezzava dimostrano, che, dopo aver lasciato Gerusalemme, il Signore dimorò per qualche tempo nelle campagne della Giudea,
e battezzava
Stava battezzando o continuava a battezzare non personalmente però, ma per mezzo dei suoi discepoli, come viene spiegato in Giovanni 4:2. L'atto morale solo apparteneva a Gesù, l'esecuzione materiale era lasciata ai suoi discepoli. L'Evangelista ricorda questo fatto per mostrare che la cosa veniva fatta sotto la responsabilità di Cristo, e per spiegare come questo suo atto non poteva mancare di dar luogo ad un paragone fra Giovanni e lui. I discepoli ancora non amministravano il battesimo cristiano nel senso completo della parola; l'opera loro era un'opera preparatoria, come quella di Giovanni. Il battesimo dello Spirito era ancora da venire. È chiaramente provato che Giovanni già battezzava prima che Gesù cominciasse il suo ministero, e che i discepoli di Cristo battezzarono anche dopo la chiusa di quello; ma è da osservarsi che questo è il solo passo nel quale Gesù autorizzi il battesimo durante la vita sua. L'opinione della Società degli Amici (Quakers), che cioè non abbiam d'uopo di riti esterni sotto l'evangelo, si concilia difficilmente con questo passo. Questo versetto è il solo indizio di un'opera fatta in Giudea, durante al quale non pochi degli abitanti di quel paese subirono l'influenza della predicazione di Cristo Giovanni 3:26, e furono battezzati dai suoi discepoli Giovanni 4:2, e dalla quale l'opposizione dei Farisei l'obbligò a ritirarsi, per passare in Samaria Giovanni 4.

PASSI PARALLELI
Giovanni 2:13; 4:3; 7:3
Giovanni 3:26; 4:1-2

23 23. Or Giovanni battezzava anch'egli in Enon, presso di Salim; perciocché ivi erano acque assai; e la gente veniva, ed era battezzata
Né l'una né l'altra delle due località qui mentovate è stata fino ad ora identificata in modo soddisfacente. Il vocabolo familiare ain, significa una sorgente o una polla d'acqua, la forma ainan, è da Meyer ritenuta come una contrazione di la fonte della colomba; ma l'opinione più generale si è che Enon è la forma oggettiva di ain, e significa "abbondante di sorgenti", e questa spiegazione è la più soddisfacente, riguardo soprattutto al contenuto di questo versetto. Le parole acque assai, indicano probabilmente molte fonti, ruscelli, o stagni di acqua. Eusebio e Gerolamo mettono Enon e Salim ad Ovest del Giordano. sui confini della Samaria e della Galilea, da sei a otto miglia al Sud di Betsan (Scythopolis). Gli esploratori inglesi della Palestina riferiscono di avere scoperto un luogo detto Aynnan. a breve distanza ad oriente di Nablusa; ma siccome entrambe queste località si trovano nella Samaria, mentre il Signore e Giovanni erano ora in Giudea, è impossibile che Aynnan sia l'Enon di questo versetto. Ewald, Godet, Alford ed altri cercano di identificare Enon e Salim, colle due città limitrofe di Shilhim e Ain, a mezzodì della Palestina, da Giosuè assegnate alla tribù di Giuda Giosuè 15:32; ma in quell'arida regione non si trovano sorgenti abbondanti, e, per giunta, essa rimane affatto all'infuori dalla cerchia ben nota del ministero così di Gesù come di Giovanni. Tentativo più recente di identificazione è quello fatto dall'americano Dott. Barclay (Città del grande Re). Egli trova Salim nel Wady Selein, ed Enon, nelle copiose sorgenti e negli stagni di Ain Farah, valle remota a cinque miglia N. E. di Gerusalemme, la quale si congiunge al gran Wady Fowar disopra di Gerico. In favore di questa località stanno la similarità dei nomi, e l'abbondanza delle acque, e pare (fino a nuove scoperte), la più soddisfacente; ma occorrono ulteriori conferme prima che possa venire definitivamente adottata. Perché Giovanni continuò egli a battezzare, dopo che Gesù ebbe cominciato l'opera sua? Non già perché Gesù non si fosse ancora manifestato come il Messia (Meyer), ma semplicemente perché Giovanni non considerava ancora come appieno esaurito il suo uffizio di precursore, benché il Messia fosse comparso. Iddio aveagli affidato un compito speciale, né egli credevasi lecito di ritirarsene da sé, bensì aspettava le direzioni del Signore, le quali dopo poco tempo, si fecero evidenti.

PASSI PARALLELI
Genesi 33:18
1Samuele 9:4
Geremia 51:13; Ezechiele 19:10; 43:2; Apocalisse 1:15; 14:2; 19:6
Matteo 3:5-6; Marco 1:4-5; Luca 3:7

24 24. Conciossiaché Giovanni non era ancora stato messo in prigione
Queste parole dell'Evangelista ci provano l'accuratezza del suo racconto. Al tempo stesso egli correggeva un errore che pare essere stato prevalente nella Chiesa, quando egli scriveva. I Sinottici cominciano il loro racconto col principio del ministerio del Signore in Galilea, dopo l'incarceramento di Giovanni Matteo 4:12; Marco 1:14; Luca 4:14, e questo fece credere che il Battista fosse stato incarcerato poco dopo il battesimo di Cristo, e prima che il Signore si fosse manifestato in pubblico. Qui vien corretta questa falsa conclusione, poiché sei mesi circa dopo il principio del ministerio di Gesù, troviamo il Battista che prosegue pur sempre l'opera sua. L'intenzione evidente di Giovanni è di distinguere l'uno dall'altro, i due ritorni di Cristo in Galilea, e la si scorge dal modo in cui parla del miracolo di Cana Giovanni 2:11, e da quello in cui racconta la guarigione del figlio dell'ufficiale reale Giovanni 4:54. "Deriviamo da questo versetto", dice Godet, "una conclusione importante relativamente alla posizione nella Chiesa dell'autore del quarto Vangelo. Chi se non un Apostolo, e un Apostolo di primo rango, avrebbe potuto assumere questa attitudine sovrana di fronte ad una tradizione erronea ricevuta nella Chiesa? Per introdurre, con un tratto di penna, una modificazione così importante egli deve essersi sentito in possesso di un'autorità perfettamente indiscutibile!"

PASSI PARALLELI
Matteo 4:12; 14:3; Marco 6:17; Luca 3:19-20; 9:7-9

25 25. Laonde fu mossa da discepoli di Giovanni una questione coi Giudei
La vera lezione è senza dubbio con un Giudeo, invece di chi fosse questo Giudeo non sappiamo affatto: alcuni suppongono che fosse un Fariseo, avversario al tempo stesso di Gesù e di Giovanni, e desideroso di nuocere all'opera di entrambi, provocando delle dissensioni fra loro; altri, un Giudeo, il quale, avendo ricevuto il battesimo da un discepolo di Gesù, manteneva dinanzi ai discepoli di Giovanni, la superiorità del battesimo che aveva ricevuto sopra quello del loro Maestro. Il fatto che i discepoli di Giovanni si offesero delle sue parole mostrerebbe che egli parlò con poco rispetto del Battista.
intorno alla purificazione
il soggetto della disputa fu la purificazione ossia il battesimo, il senso simbolico del lavacro di acqua essendo qui dato al posto dell'atto medesimo Giovanni 2:6. Dal fatto che Gesù e il Battista trovavansi a breve distanza l'uno dall'altro, la disputa fra i loro rispettivi seguaci si aggirò probabilmente sul valore e la efficacia dei loro due battesimi.

PASSI PARALLELI
Giovanni 2:6; Matteo 3:11; Marco 7:2-5,8; Ebrei 6:2; 9:10,13-14,23; 1Pietro 3:21

26 26. E vennero a Giovanni e gli dissero: Maestro, ecco colui ch'era teco lungo il Giordano a cui tu rendesti testimonianza, battezza, e tutti vengono a lui
I discepoli di Giovanni rifiutano di considerare il battesimo del loro Maestro come meno efficace di quello di uno che era stato battezzato da lui; ma, non potendo impor silenzio al loro avversario, si affrettano a riferire la cosa a Giovanni medesimo. Che fossero altamente sdegnati si scorge dal modo in cui parlano di Gesù, senza neppur degnarsi di nominarlo; le loro parole lo accusano implicitamente di ingiustizia, di ingratitudine e di rivalità! "Colui che venne a chiedere il battesimo a te, che deve la sua posizione attuale alle tue costanti raccomandazioni di lui, si dimostra ora ingrato, facendo un'opera rivale della tua, e perfino superandoti, poiché tutti vanno a lui". Vi ha in quest'ultime parole una esagerazione ben naturale nel loro stato di eccitazione; ma senza dubbio esse richiamarono alla mente del Battista, le sue proprie predizioni relativamente a colui del quale egli era il precursore: "Colui che vien dietro a me è più forte di me, le cui suole io non sono degno di portare" Matteo 3:11; Marco 1:7; Luca 3:16. In risposta a quell'appello appassionato dei suoi discepoli, il Battista rende al suo Signore e Salvatore l'ultima e più nobile sua testimonianza.

PASSI PARALLELI
Numeri 11:26-29; Ecclesiaste 4:4; 1Corinzi 3:3-5; Galati 5:20-21; 6:12-13; Giacomo 3:14-18
Giacomo 4:5-6
Giovanni 1:7,15,26-36
Giovanni 1:7,9; 11:48; 12:19; Salmi 65:2; Isaia 45:23; Atti 19:26-27

27 27. Giovanni rispose, e disse: L'uomo non può ricever nulla, se non gli è dato dal cielo
Giovanni non divide per nulla la loro gelosia per i suoi diritti, e la sua risposta non scioglie il problema che gli era stato proposto; ma egli stabilisce un principio generale, che si applicava così a lui medesimo come a Gesù Cristo, benché alcuni scrittori lo vogliano applicare a lui solo. La parola significa "ricevere" e "prendere", e forse quest'ultimo è il suo vero senso in questo luogo. Il principio è che nessun uomo può prendere o assumere legittimamente e con successo, per se medesimo, niente che Dio non gli abbia dato dal tesoro della sua grazia. Come Giovanni aveva ricevuto la sua missione e il suo successo da Dio, così l'onore e la posizione di cui ora godeva Cristo, gli venivano dall'alto; non poteva dunque esservi fra loro gelosia o rivalità. La sua idea è: Ogni uomo mandato da Dio ha un'opera e una sfera assegnategli dall'alto. Cristo stesso è soggetto a questa legge Giovanni 14:10, 24; Matteo 15:24; Ebrei 5:4; cosicché non avrebbe potuto ottenere quei grandi successi se non gli fossero stati accordati da Dio. È una lezione applicabile in ogni età. I successi gli onori, l'influenza sono tutti doni che Dio tiene nelle sue mani. Se la popolarità di un ministro fedele diminuisce, mentre aumenta l'influenza di un altro, la cosa procede da Dio, e dobbiamo ai suoi decreti giuliva sottomissione.

PASSI PARALLELI
Numeri 16:9-11; 17:5; 1Cronache 28:4-5; Geremia 1:5; 17:16; Amos 7:15; Matteo 25:15
Marco 13:34; Romani 1:5; 12:6; 1Corinzi 1:1; 2:12-14; 3:5; 4:7; 12:11; 15:10
Galati 1:1; Efesini 1:1; 3:7-8; 1Timoteo 2:7; Giacomo 1:17; 1Pietro 4:10-11
Ebrei 5:4-5
Matteo 21:25; Marco 11:30-31

28 28. Voi stessi mi siete testimoni ch'io ho detto: io non sono il Cristo; ma ch'io sono mandato davanti a lui
Giovanni appella alla memoria dei suoi discepoli, che in tutto il suo ministero egli non aveva mai preteso il posto più elevato, non aveva mai detto di essere il Cristo; ma si era contentato dell'umile rango di precursore. Una tal dichiarazione in simili circostanze era una splendida testimonianza a Gesù come Messia. Tutto quello che Giovanni aveva detto fino allora vien dimenticato dai suoi discepoli, dal momento che il loro credito e la loro posizione sembrano loro diminuire con quello del loro Maestro. Quando Gesù cominciò a ricevere maggiori onori, e il loro proprio partito scemò in paragone di quello di Cristo, essi si offesero.

PASSI PARALLELI
Giovanni 1:20,25,27
Giovanni 1:23; Malachia 3:1; 4:4-5; Matteo 3:3,11-12; Marco 1:2-3; Luca 1:16-17,76; 3:4-6

29 29. Colui che ha la sposa è lo sposo;
È questo il solo caso nel Vangelo di Giovanni in cui troviamo quella similitudine, così frequente altrove, delle nozze. Nelle profezie dell'Antico Testamento essa serve a descrivere i rapporti di Jehova col suo popolo Osea 2:19; Ezechiele 16:8-14; Malachia 2:11; nel Nuovo Testamento viene applicata a Cristo e alla sua Chiesa Matteo 9:15; 22:2; 25:1-13; Luca 5:34; Efesini 5:25-32; Apocalisse 19:7; 21:2,9; 22:17. Il Battista fa uso di questa figura per spiegare i rapporti che passavano fra Cristo e lui, e dei quali, come amico dello sposo, egli era appena contento. Nella prima parte di questo versetto, egli spiega perché tutti vengono a Cristo, causa di tanta offesa pei suoi discepoli, egli è perché Cristo è lo sposo, e a lui solo la sposa la Chiesa, appartiene per diritto esclusivo, diritto che Giovanni non aveva mai invidiato, né messo in questione. La sua idea è: "La sposa non è mia; perché dunque starebbe la gente con me? il mio dovere è di additare a quelli che vengono da me "l'Agnello di Dio"; perché dovrei dolermi se ubbidiscono alla mia parola e corrono a lui?"
ma l'amico dello sposo,
Così Giovanni descrive la sua posizione spirituale di fronte a Gesù; è una di alto onore; egli non è lo sposo, ma il suo primo compagno. "L'amico delle sposo", chiamato dagli Ebrei Shosben, e dai Greci Paranymfos, era incaricato di tutti i preliminari del matrimonio. Domandava la mano della sposa, stringeva il contratto, faceva le parti dello sposo nel fidanzamento, preparava e presiedeva le feste nuziali. L'onore era tanto maggiore quanto lo sposo era di rango più elevato.
che è presente (sta), e l'ode, si rallegra grandemente (ebraismo: per rallegrarsi con gioia) della voce dello sposo;
La parola sta ce lo dipinge in atto di aspettare, pronto a mettere ad effetto ogni desiderio del suo amico, e intanto egli ascolta la sua voce e ne gioisce. Il Battista parla solo di udire, non di vedere, il che Godet spiega colla probabile supposizione che Andrea, Pietro e Giovanni, già suoi discepoli, trovandosi ora vicini al loro vecchio Maestro, erano venuti a trovarlo, e avevano riempito il suo cuore di gioia, rapportandogli le cose che avevano udite dalle labbra di Gesù, Vedi note Matteo 9:15.
perciò, questa mia allegrezza è compiuta
Lungi dall'essere afflitto o invidioso per le notizie riferitegli dai suoi discepoli, Giovanni, quale amico dello sposo celeste, dichiara che tutto procede secondo i suoi desideri, e che il calice della sua gioia era pieno fino all'orlo.

PASSI PARALLELI
Salmi 45:9-17; Cantici 3:11; 4:8-12; Isaia 54:5; 62:4-5; Geremia 2:2; Ezechiele 16:8
Osea 2:19; Matteo 22:2; 2Corinzi 11:2; Efesini 5:25-27; Apocalisse 19:7-9; 21:9
Giudici 14:10-11; Salmi 45:14; Cantici 5:1; Matteo 9:15
Isaia 66:11; Luca 2:10-14; 15:6

30 30. Convien ch'egli cresca, e ch'io diminuisca
I suoi discepoli dovevano dunque restare contenti con quanto accadeva, non solo perché ciò riempiva di gioia il cuore del loro Maestro, ma pure perché era cosa voluta da Dio. La parola conviene nel Nuovo Testamento indica ordinariamente il volere di Dio. È ordinato che Cristo deve crescere, attraendola sé non solo quelli che fino ad ora sono andati a Giovanni; ma in seguito, tutte le nazioni, tribù e lingue dalla terra. Gesù conferma queste parole di Giovanni dicendo: "Ed io, quando sarò levato in su dalla terra, trarrò tutti a me" Giovanni 12:32, Vedi pure Filippesi 2:9-10. La crescenza di Cristo doveva necessariamente produrre la decrescenza dell'opera preparatoria di Giovanni, come la stella mattutina perde il suo splendore quando si alza il sole; imperocché egli era stato mandato ad annunziare la venuta di Cristo, ad additarlo al popolo, quindi doveva scomparire. Tale era il piano di Dio. Ogni fedele ministro dell'evangelo, il cui scopo è di annunziare Cristo e di esaltarlo, dovrebbe, come il Battista, accettare le umiliazioni, purché il suo Signore sia ricercato e glorificato dagli uomini. Nello stesso modo che molti commentatori fanno terminare bruscamente il discorso del Signore con Nicodemo al ver. 15, considerando i versetti 15-21 come un commento dell'Evangelista alle parole del suo Maestro; così non pochi critici moderni sostengono che la testimonianza del Battista a Gesù si chiude col versetto 30, e considerano il resto del capitolo, come delle riflessioni dell'Evangelista. Così fanno specialmente perché i sentimenti di questi ultimi versetti paiono loro in disaccordo col tempo e colla posizione del Battista, e perché il loro stile è proprio quello dell'Evangelista. Ma chiunque, ricordandosi che il Battista parlò "essendo sospinto dallo Spirito Santo", studia attentamente lo sviluppo della sua dottrina, dalle prime notizie datene dai Sinottici, alla sua sublime proclamazione di Gesù quale "l'Agnello di Dio" Giovanni 1:29,36, troverà di lieve peso la prima di quelle ragioni; imperocché la sua testimonianza di Cristo e delle benedizioni che egli reca con sé, sempre più chiara ed elevata, è proprio quella che si doveva aspettare da uno che "cresceva nella conoscenza di Cristo", sotto l'influenza dello Spirito Santo, e il cui "sentiero è come la luce che spunta, la quale va vieppiù risplendendo, finché sia chiaro giorno" Proverbi 4:18. In quanto alla somiglianza dello stile di questi versetti con quello dell'Evangelista, basti l'osservare la mancanza di qualsiasi indizio che il narratore prenda il posto di colui del quale riferisce le parole; né, in quanto segue, nulla troviamo che supponga una tale transizione. Al contrario, l'uso ripetuto del tempo presente Giovanni 3:31-32,34, è chiaro indizio che Giovanni riferisce le parole del Battista; mentre l'interna coerenza del discorso, nel quale il Maestro spiega ai suoi discepoli perché il Cristo doveva crescere, mentre egli medesimo si eclissava è grandemente in favore della sua continuità.

PASSI PARALLELI
Salmi 72:17-19; Isaia 9:7; 53:2-3,12; Daniele 2:34-35,44-45; Matteo 13:31-33
Apocalisse 11:15
Atti 13:36-37; 1Corinzi 3:5; 2Corinzi 3:7-11; Colossesi 1:18; Ebrei 3:2-6

31 31. Colui che vien da alto è sopra tutti;
Il Battista dichiara qui su che fondavasi la sua asserzione del ver. 30, mettendo in contrasto la celeste origine di Cristo, colla propria sua origine terrena. "vien da alto" non può intendersi se non della preesistenza di Cristo, della origine dell'essere suo, in opposizione a quella di Giovanni, "che è da terra", benché Gesù lo abbia proclamato "il maggiore fra quanti sono nati da donna". Le parole "sopra tutti" indicano, in generico, che egli è il sovrano universale; ma in senso ristretto, sono evidentemente applicate qui ai servitori di Dio. Come Iddio, egli è infinitamente al disopra di tutti i suoi ministri e servitori; come Creatore, egli è superiore a tutte le creature. "Di sopra, molto più in su", ad ogni principato e podestà e potenza e signoria, ed ogni nome che si nomina, non solo in questo secolo, ma ancora nel secolo avvenire" Efesini 1:21.
colui ch'è da terra è, di terra, e di terra parla;
Le parole tre volte ripetute "di terra" indicano chiaramente la sfera alla quale il Battista appartiene, e al disopra della quale non può alzarsi. "La prima volta", dice Godet, "esse si riferiscono all'origine e indicano un semplice uomo; la seconda, hanno tratto al suo modo di esistenza, egli rimane terreno in tutto il suo pensare, il suo sentire, l'essere suo insomma; la terza volta, esse indicano il suo insegnamento. Vedendo le cose dal cielo solo dal disotto, dalla terrena sua dimora, secondo la sua intelligenza e la sua capacità limitate, egli parla, anche nei momenti di estasi più sublime, come un essere terreno. Siccome egli è di terra e dalla terra, non può parlare delle cose celesti che da un punto di vista e secondo una norma terrena.
colui che vien dal cielo è sopra tutti;
Le parole dal cielo in, questa frase tolgono ogni dubbio sul senso di da alto, nella precedente, e ci danno l'espressione corrispondente a da terra. Le espressioni vien da alto, vien dal cielo sono chiaramente le stesse che "colui che è disceso dal cielo" Giovanni 3:13, e tutte e tre additano Gesù. Il Battista sentiva, così fortemente il contrasto che esiste fra Cristo e tutti gli altri dottori, compreso egli stesso, che, secondo il suo costume, quest'ultima clausola è una ripetizione della prima. Benché molti altri abbiano ricevuto la loro missione dall'alto, uno solo è disceso dall'alto, e per ciò egli è sopra tutti. È impossibile tracciare una linea di separazione più decisa fra Cristo e qualsiasi maestro umano, anche mandato da Dio, e animato dallo Spirito Santo!

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:13; 6:33; 8:23; Efesini 1:20-21; 4:8-10
Giovanni 1:15,27,30; 5:21-25; Matteo 28:18; Atti 10:36; Romani 9:5; Efesini 1:21
Filippesi 2:9-11; 1Pietro 3:22; Apocalisse 19:16
Giovanni 1:12; 1Corinzi 15:47-48; Ebrei 9:1,9-10
Giovanni 6:33,51; 16:27-28

32 32. E testifica ciò ch'egli ha veduto ed udito;
Taluni critici moderni propongono di omettere le tre ultime parole del ver. 31 e la prima del 32, e di leggere: colui che vien dal cielo testifica ecc. Ma quella omissione non è appoggiata, da autorità di valore, ed è sostenuta da pochi. Anche ritenendo quelle parole, il senso è chiaro, cioè che, siccome Cristo venne dal cielo, centro di immediata conoscenza e di luce divina, la sua testimonianza si fonda sulla sua conoscenza personale di cose che e lui stesso ha vedute ed udite, nella pienezza della sua filiale comunione col Padre (Confr. Giovanni 3:13). Niun dottore umano può vantare un tanto onore, un si alto privilegio.
ma niuno riceve la sua testimonianza
È questo il giudizio, espresso iperbolicamente, formatosi dal Battista in opposizione a quello dei suoi discepoli: "tutti vengono a lui" Giovanni 3:26. Non intende che nessuno, alla lettera, abbia ricevuto la testimonianza di, Cristo, come è evidente dal ver. 33, ma che, in paragone colle "migliaia d'Israele" che avrebbero dovuto affollarsi intorno al Messia, e ricevere con gioia la buona notizia ch'egli recava dal cielo, si sarebbe detto che nessuno si curava della sua predicazione. La propria esperienza lo ammoniva forse che tutt'altra cosa è l'eccitamento momentaneo col quale si ascolta un predicatore popolare, e tutt'altra il ricevere seriamente nel cuore la verità dal medesimo predicata, con la fede operosa che ne è la conseguenza. Oltre a ciò, il concorso di uditori intorno a Gesù, benché riempisse di gioia il cuore del Battista, non poteva accecarlo alla incredulità del mondo in generale. Plummer nota che le dichiarazioni contrarie di Giovanni 3:26,32, messe così vicino l'una all'altra, confermano la nostra fiducia nell'Evangelista, qual fedele relatore delle parole che furono attualmente pronunziate in tale occasione, senza attenuarle, per farle comparire più plausibili.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:11; 5:20; 8:26; 15:15
Giovanni 3:26,33; 1:11; Isaia 50:2; 53:1; Romani 10:16-21; 11:2-6

33 33. Colui che ha ricevuta la sua testimonianza
Questa dichiarazione qualifica quella del ver. 32. Il Battista medesimo, Andrea e Pietro, Giovanni e Natanaele e forse altri parecchi fra i seguaci di Gesù, avevano ricevuto, cioè accettata e creduta, la dottrina che Gesù presentava come proveniente direttamente da Dio, e così facendo, essi avevano glorificato Iddio, come essendo LA VERITÀ.
ha suggellato
Nei tempi antichi, quando pochi sapevano scrivere (come pure fra gli Arabi ai dì nostri), mettere un suggello a un documento era il modo ordinario per dichiarare che se ne accettava il contenuto. Il suggello confermava in forma solenne quanto era scritto. Quest'uso spiega l'espressione qui impiegata, tanto più che subito dopo leggiamo che la testimonianza ossia la predicazione di Cristo giungeva con tal forza al cuore dei credenti suggellarli, cioè da renderli appieno conti che quella era la volontà di Dio, e che da ora innanzi era loro serbato il privilegio di cooperare con Dio, in quanto egli parla mediante il suo Profeta. La fede è il suggello che l'uomo, per parte sua, pone alla testimonianza di Dio, riconoscendola qual vera. L'idoneità morale del Cristianesimo per soddisfare ai bisogni spirituali degli uomini, la sua potenza morale sulla vita umana nelle condizioni più varie, han suscitato in ogni secolo un esercito santo di testimoni che hanno messo il loro suggello alla divina sua verità.
che Iddio è verace
La spiegazione di queste parole può essere
1. che quantunque un profeta possa essere infedele al suo mandato, le parole di Gesù sono parole di Dio medesimo; egli è "proceduto dal Padre", egli ha dichiarato quanto ha "veduto" ed "udito" appo il Padre; il non credere a lui equivale adunque a non credere a Dio; proclamarlo verace, è riconoscere la veracità di Dio stesso. Questo è con fermato dalle parole del nostro Evangelista 1Giovanni 5:10: "Chi crede nel Figliuol di Dio ha quella testimonianza in se stesso; chi non crede a Dio, lo fa bugiardo; conciossiaché non abbia creduto alla testimonianza, che Iddio ha testimoniato intorno al suo Figliuolo"; ovvero
2. che chi riceve Cristo dichiara che Dio è fedele alla sua parola, che egli ha mantenuto la promessa fatta ad Adamo, ad Abrahamo, a Davide, in breve che ogni promessa di Dio trova il suo, adempimento in Cristo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:11; 5:20; 8:26; 15:15
Giovanni 3:26,33; 1:11; Isaia 50:2; 53:1; Romani 10:16-21; 11:2-6

34 34. Perciocché, colui che Iddio ha mandato parla le parole di Dio;
Per quanto sia vero che tutti i profeti furono mandati da Dio, le parole: "che Iddio ha mandato", si applicano a Cristo nel senso più assoluto, poiché egli è "l'Angelo del Patto", il messaggero celeste per eccellenza, essendo tutti gli altri messaggeri terreni. Le parole greche: le parole di Dio, si devono pure intendere in senso assoluto, come la completa e svariata manifestazione del messaggio divino la rivelazione assoluta di Dio.
conciossiaché Iddio non gli dia lo Spirito a misura
Benché la lezione "Iddio", sia di dubbia autorità, perché mancante in alcuni MSS. essa esprime chiaramente il senso del Battista; in ogni caso se la si rigetta dovrebbe usarsi il pronome "egli", perché ben si sa che Dio solo accorda il dono dello Spirito a tutti quelli che sceglie per messaggeri suoi. Il pronome gli, neppure è nel testo; perciò alcuni contendono (contrariamente all'insegnamento di Paolo Romani 12:6; Efesini 4:7), che abbiam qui semplicemente una affermazione generica che "Dio non dà lo Spirito suo a misura ai suoi ambasciatori". Altri poi sostengono che lo Spirito è qui il soggetto, e che si deve leggere: "lo Spirito non dà a misura", lasciando al lettore di sottintendere: come in tutti gli altri casi. Ma che sia giusto inscrivere qui il pronome gli si vede:
1. dal perciocché, che unisce questo versetto al precedente;
2. dall'asserzione che segue;
3. dall'analogia col ver. 31; e
4. dalla differenza con tutti gli altri, ai quali lo Spirito è dato a misura, e non con pienezza Romani 12:3; 1Corinzi 12:7-11; Efesini 4:7.
Le parole "mandato" e "dia", in questo versetto, indicano chiaramente che l'Evangelista parla qui di Cristo nella sola sua natura umana, come profeta, sacerdote e re del suo popolo; imperocché, per quanto fosse uomo, egli non cessò mai di esser Dio, e come tale sempre si trovò in intima unione collo Spirito. "Lo Spirito abitava in lui, non come in un vaso, ma come in una fonte, come in un oceano senza fondo" (Henry). Qui pure abbiamo una distinzione chiarissima fra Cristo, e tutti i dottori umani anche ispirati. Questi hanno lo Spirito in un certo grado 1Corinzi 12:2; a lui, Dio non lo dà a misura. Il tempo presente, è una bella indicazione della sempre rinnovata comunicazione dello Spirito, dal Padre al Figlio di una corrente continua di potenza vitale. Chi accetta una tale interpretazione di questo versetto, vi troverà pure una prova indiretta della dottrina della Santa Trinità.

PASSI PARALLELI
Giovanni 7:16; 8:26-28,40,47
Giovanni 3:17; 1:16; 5:26; 7:37-39; 15:26; 16:7; Numeri 11:25; 2Re 2:9; Salmi 45:7
Isaia 11:2-5; 59:21; 62:1-3; Romani 8:2; Efesini 3:8; 4:7-13; Colossesi 1:19; 2:9
Apocalisse 21:6; 22:1,16-17

35 35. Il Padre ama il Figliuolo, e gli ha dato ogni cosa in mano
Qui il Battista non solo afferma che lo Spirito venne dato a Cristo senza misura, perché il Padre si dilettava in lui, nella sua persona, nel suo carattere, nell'opera sua mediatrice; ma indica pure colle parole: "gli ha dato ogni cosa in mano", che l'amore del Padre non si limitò al dono dello Spirito, ma risplendé inoltre nell'arricchire il Figlio, qual mediatore, della pienezza di ogni podestà. Questo è più che il dono dello Spirito; è la direzione e il governo di "tutte le cose in terra e in cielo", per compiere l'opera redentrice quaggiù e restituire il regno a Dio suo Padre, nell'ultimo giorno. Prima di salire in cielo, il Signore confermò questo detto del Battista, dicendo ai suoi discepoli: "Ogni podestà mi è data in cielo, ed in terra" Matteo 28:18, e Paolo rende testimonianza alla medesima verità Efesini 1:20-23; Filippesi 2:9-10; 1Corinzi 15:24-27. "In Matteo 11:27 tutte le cose sono date pure nelle mani del Figlio; ma qui ci vien, per di più, dichiarato che la causa prima di quell'atto augusto sta nell'ineffabile amore del Padre per il suo Figliuolo" (Brown). Essendo il Battista familiare con passi come Salmi 2:7,12; Isaia 9:6, nei quali il titolo di Figlio è indubbiamente dato al Messia, non vi sarebbe nulla di strano o di improbabile in questo suo linguaggio relativamente a Cristo; e tanto più deve apparirci naturale, sapendo che le sue sono parole dettate dallo Spirito Santo.

PASSI PARALLELI
Giovanni 5:20,22; 15:9; 17:23,26; Proverbi 8:30; Isaia 42:1; Matteo 3:17; 17:5
Giovanni 13:3; 17:2; Genesi 41:44,55; Salmi 2:8; Isaia 9:6-7; Matteo 11:27; 28:18; Luca 10:22
1Corinzi 15:27; Efesini 1:22; Filippesi 2:9-11; Ebrei 1:2; 2:8-9; 1Pietro 3:22

36 36. Chi crede nel Figliuolo ha vita eterna;
Concludendo la sua testimonianza a Cristo, il Battista si eleva all'altezza la più sublime della dottrina evangelica proclamando l'importanza della fede in lui. Poiché egli è il Figlio di Dio, il diletto del Padre; poiché "ogni cosa gli è stata data in mano", ed egli ci vien presentato come, l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo; ne segue necessariamente che chi crede di cuore in lui riceve la vita, poiché diviene. uno, per fede, con colui che è LA VITA. Questa vita è eterna, è impiantata nell'anima, e la morte naturale, che vince e tiene per un tempo soggiogato il corpo, nulla può su di essa; essa cola in noi da Cristo "che vive e regna per sempre", e che ha dato questa immutabile promessa ai suoi credenti, cioè alle sue pecore: "Io do loro la vita eterna, e giammai in eterno non periranno, e niuno la rapirà di man mia Giovanni 10:28. Si osservi che nel passo ora citato Cristo usa il tempo presente, io do, lo stesso fa qui il Battista, e lo stesso fa l'Evangelista nella prima Epist. 1Giovanni 5:13. Questa vita eterna è un possesso presente ed indistruttibile del credente non già un bene che egli riceverà all'ora della morte, o all'alba della risurrezione. Verrà allora completata e resa perfetta; ma essa è fino da ora il dono prezioso e duraturo di Cristo a chiunque crede in lui, e dal momento in cui ha creduto Giovanni 1:12.
ma chi non crede al Figliuolo, non vedrà la vita,
Il vocabolo tradotto qui "non crede" non è quello usato al principio del versetto. Non lo si trova altrove nei Vangeli; ma in altri passi (Atti 14:2; Romani 2:8; 1Pietro 2:8; 3:1,20) vien tradotto: "disubbidiente" e questo pure è il vero suo senso in questo passo: "Uno che non ubbidisce al Figlio". Esso esprime il lato volontario della incredulità, rivolta, rifiuto di sottomettersi al Figlio, e per contrasto insegna che la fede, mentovata nella prima parte del versetto, è la sottomissione della volontà al Figlio, nelle cui mani il Padre ha dato ogni cosa. Il cambiamento di espressione da "fede" a "disubbidienza" in questo versetto, deriva dall'autorità e dal potere attribuiti a Cristo nel precedente; perciò quelli che non lo ricevono per fede sono colpevoli di disubbidienza alla sua autorità, e il castigo di quelli che perseverano in quella ribellione sarà di "non veder la vita", cioè di non entrare nella vita eterna, per gustarla e possederla. Non entreranno mai nel cielo Salmi 2:12; Romani 2:8-9.
ma l'ira di Dio dimora sopra lui
In queste parole vien descritta la disapprovazione divina del peccato, e il finale castigo che aspetta tutti i peccatori nel giorno del giudizio. Nell'Apocalisse 6:16, all'ira di Dio si aggiunge "l'ira dell'Agnello". Quest'ira non è né una passione crudele, né un odio implacabile; ma il contegno che l'amore, la santità e la giustizia devono necessariamente assumere verso quelli che rigettano l'amore e perseverano nel peccato. Non c'è detto che quell'ira si avventi su di loro, ma che "dimora sopra essi". Questa infatti è la situazione dell'uomo peccatore dinanzi alla giustizia di Dio: l'ira di Dio riposava su di lui dalla sua nascita Efesini 2:3, e non essendo stata tolta, nell'unico modo in cui potesse venire rimossa, cioè per "la fede nel Figlio", essa rimane sopra lui, come la naturale sua eredità. Godet considera questa spiegazione delle parole: "l'ira di Dio dimora sopra lui", come debole e poco naturale; preferisce scorgervi: "l'ira provocata dal rifiuto di ubbidienza, e che cade sull'incredulo come tale". È questa una verità importante per quanto concerne la misura dell'ira di Dio; ma non inconciliabile colla spiegazione che abbiamo data, della parola dimora. Supporre, come fanno alcuni, che l'uomo, il quale aveva delle vedute così chiare della natura e della missione del Nostro Signore, potesse dipoi dubitare se Gesù era il Cristo, è supporre cosa altamente improbabile. Il messaggio che Giovanni, dal suo carcere, mandò a Gesù, egli lo mandò per l'istruzione dei suoi discepoli, non per la propria soddisfazione.

PASSI PARALLELI
Giovanni 3:15-16; 1:12; 5:24; 6:47-54; 10:28; Habacuc 2:4; Romani 1:17; 8:1; 1Giovanni 3:14-15
1Giovanni 5:10-13
Giovanni 3:3; 8:51; Numeri 32:11; Giobbe 33:28; Salmi 36:9; 49:19; 106:4-5; Luca 2:30; 3:6
Romani 8:24-25; Apocalisse 21:8
Salmi 2:12; Romani 1:18; 4:15; 5:9; Galati 3:10; Efesini 5:6; 1Tessalonicesi 1:10; 5:9; Ebrei 2:3
Ebrei 10:29; Apocalisse 6:16-17

RIFLESSIONI
1. Il fatto che Giovanni continuò a battezzare ad Enon, anche dopo che Gesù ebbe cominciato il suo ministero, c'insegna, che è dovere dei ministri di perseverare nella loro vocazione, per quanto il Signore possa usare altri strumenti nell'opera sua. Se egli suscita, altre luci più brillanti, ciò non deve scoraggiare ministri fedeli dal compiere il loro dovere, perché dovunque chiama i suoi servitori a lavorare, il Signore darà loro sempre qualche misura di successo. Lo Spirito "distribuisce particolarmente i suoi doni a ciascuno, come egli vuole"; quelli adunque ai quali è affidato l'evangelo, continuino con zelo l'opera loro, senza lasciarsi andare né all'invidia, né allo scoraggiamento, imperocché il Signore ricompenserà ognuno secondo le sue opere.
2. Lo spirito manifestato dai discepoli di Giovanni è purtroppo assai comune nelle chiese di Cristo. Non mancano fra quanti fan professione di religione, quelli che si danno maggior pensiero dell'accrescimento del loro partito che non di quello del cristianesimo e non possono rallegrarsi dei progressi della verità, se essi non sono fatti per mezzo della loro denominazione speciale. All'infuori di quella, non sanno vedere il bene, e chiuderebbero il cielo a chiunque vi voglia entrare con altra bandiera che la propria. Ogni vero Cristiano stia in guardia contro quello spirito gretto e poco caritatevole, e preghi per venirne liberato. Esso è molto insidioso, molto contagioso e molto dannoso alla causa della religione. Paolo ci dà un esempio dello spirito contrario in Filippesi 1:18.
3. I rapporti di Cristo e della Chiesa ci sono spesso presentati nella Scrittura sotto la figura di quelli dello sposo e della sposa, denotando così l'intimità della loro unione, e il grande amore di Gesù per il popolo suo (Vedi Isaia 62:5; 2Corinzi 11:2; Efesini 5:25-27,32; Apocalisse 21:2,9; 22:17). Qual bello ed alto concetto del ministero è quello che fa di ogni ministro "l'amico dello sposo" Giovanni 3:29, colui che conduce la sposa allo sposo, ugualmente interessato in entrambi, e nella loro unione; pieno di, gioia alla voce dello sposo, quando rivela il suo volere e la sua legge! Non ci può esser gioia maggiore per ministri di Cristo che di vedersi onorati da lui quali strumenti per preparargli un popolo, ed unirlo a lui 2Tessalonicesi 2:19-20; 3:7-8.
4. "Quando Cristo parla le parole di Dio", non lo fa semplicemente perché è "la Parola fatta carne"; ma pure perché ha ricevuto la pienezza dello Spirito, e perché Dio "lo ha unto d'olio di letizia sopra i suoi conservi" Salmi 45:7. Questa pienezza conveniva a Cristo come uomo, qual tempio della divinità, quale capo universale della Chiesa, e sorgente di ogni grazia per il suo popolo. Ma per stare in guardia contro l'abuso di questa verità, quasiché Cristo differisse da altri dottori solo inquantoché lo Spirito gli venne dato in copia, maggiore, faremo bene di osservare che i Padri della Chiesa trovarono necessario di esser molto gelosi su questo punto, allorquando, avendo da combattere simili abusi, decretarono, in uno dei loro concili, che chiunque direbbe che il Cristo parlò e operò miracoli per un potere estraneo a lui medesimo sarebbe da condannarsi" (Brown).
5. "Quanto sono pochi, anche fra i credenti, quelli che vivono avendo sempre presenti il privilegio e l'onore che vengon loro conferiti nelle parole: Chi crede nel Figliuolo ha la vita eterna! Un tale non deve sospirare con cuore ansioso un privilegio ancora lontano; la vita eterna è sua dal momento che egli crede. Il perdono, la pace e l'assoluto diritto alla vita eterna divengono il suo possesso, dall'istante che egli ha posto in Dio la sua fiducia. Questa è una delle più gloriose verità dell'evangelo. Non vi sono opere da fare, condizioni da adempiere, prezzo da pagare, anni di noviziato da compiere, prima che un peccatore possa venire accettato da Dio. Creda in Cristo, e subito riceve il perdono, e diviene possessore di una vita che non avrà mai fine Giovanni 10:18-29" (Ryle).
6. Dalle ultime parole del ver. 36 vediamo che il contegno di Dio verso gl'increduli, è quello "dell'ira", cioè del giusto dispiacere, la cui espressione giudiziale è chiamata "vendetta". Eppure con tale insegnamento nei loro orecchi, molti audacemente sostengono che in Dio nulla, v'ha, né mai vi fu, né potrebbe esservi contro i peccatori, che Cristo debba togliere; nell'uomo solo vi ha qualcosa da cambiare verso Iddio. Essendosi fatte certe idee dell'amore e dell'immutabilità, di Dio, idee che essi stimano incompatibili in lui coll'ira verso il peccatore, sconvolgono la Scrittura per metterla d'accordo colle loro nozioni, anziché conformare le loro vedute al suo infallibile insegnamento. Ma nessuno che ritenga la Bibbia come autorevole e indisputabile, può, di fronte alle ultime parole di questo capitolo, negare che Dio o sarà riconciliato col peccatore, ammettendolo alla vita eterna, o continuerà ad essere giustamente irritato contro di lui, escludendolo dalla vita, secondo che il peccatore avrà creduto o no nel Figliuol di Dio (Brown). "Signore", esclama Burkitt, "che triste sorte è l'esser qui sotto condanna! ma come sarà intollerabile trovarsi in inferno per sempre, sotto il peso della condannazione il dover vivere in eterno in quel misterioso fuoco, la cui strana proprietà è di tormentar sempre, senza uccider mai, o di uccider sempre, senza mai consumare; imperocché dopo milioni di anni, l'ira di Dio sarà pur sempre un'ira a venire, e per quanto l'empio abbia già patito, 'l'ira di Dio dimora sopra lui'". Ognuna di queste parole suona morte e terrore. E ira, non collera; non è ira d'uomo, ma di Dio, ai cui rimproveri tremano i demoni; essa non scoppia come la folgore, ma dimora e pesa su tutto quanto l'uomo, anima e corpo.