Ebrei 8
§3. La superiorità del Sacerdozio di Cristo considerata nell'opera da esso compiuta. Ebrei 8:1-10:18

Nel primo paragrafo della seconda Parte dell'Epistola Ebrei 4:13-5:10 lo scrittore ha mostrato la realtà del sacerdozio di Cristo, chiamato da Dio e capace di simpatizzare cogli uomini. Nel secondo paragrafo Ebrei 5:11-7:28 ha mostrato in Cristo il Sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec, preannunziato dalla parola profetica, il sacerdote che dimora in eterno perchè possiede la pienezza della vita e della perfezione morale, il sacerdote ch'è superiore a quelli levitici quanto il cielo è più alto della terra. Nel paragrafo terzo, la dimostrazione della superiorità del sacerdozio di Cristo giunge al suo punto culminante. Cotesto sacerdote che, quanto alla sua persona, è il Figlio di Dio incarnato, ch'è perfetto e dimorante in eterno, compie un'opera sacerdotale perfetta, che raggiunge pienamente il fine cui mira.
In una prima sezione, l'autore espone come il Cristo, qual sacerdote del santuario celeste e mediatore del nuovo e miglior Patto, compie un ministerio ch'è in armonia colla sua eccelsa posizione, un ministerio infinitamente superiore a quello dei sacerdoti del Patto antico e caduco Ebrei 8.
In una seconda sezione Ebrei 9:1-14 mostra come Cristo ha aperta al suo popolo la via al trono stesso di Dio, coll'offrir sè stesso in sacrificio perfetto e d'infinito valore.
In una terza sezione, espone come a render valido il Nuovo Patto di cui Cristo è Mediatore fosse necessaria la morte cruenta di Lui, sofferta una volta per sempre Ebrei 9:15-28.
In una quarta ed ultima sezione, lo scrittore dimostra come il sacrificio di Cristo preannunziato come dovendo, sostituire gl'imperfetti sacrificii tipici è di tale efficacia da assicurare ai credenti vera ed eterna remissione dei peccati Ebrei 10:1-18.

Sezione A. Ebrei 8:1-13. CRISTO, QUALE MEDIATORE DEL PATTO MIGLIORE DI GRAZIA, MINISTRA NEL SANTUARIO CELESTE.

L'eccelsa dignità e la perfezione della persona del Sacerdote del Nuovo Patto, traggono di necessità con sè la perfezione del ministerio ch'egli compie a favore del popolo di Dio. Vi è perfetta armonia tra l'essere e l'opera di lui. Come nella antica economia al santuario figurativo, rispondevano i sacerdoti peccatori e mortali che vi compievano dei riti inefficaci, così nella nuova economia al Sacerdote perfetto, rispondono il Santuario celeste in cui ministra e l'opera sacerdotale perfetta ch'egli vi compie Nella prima suddivisione del capitolo, Ebrei 8:1-5, abbiamo il seguente concetto: Cristo ministra nel vero Santuario ch'è il celeste. Nella seconda suddivisione Ebrei 8:6-13 il suo ministerio è di tanto superiore a quello dei sacerdoti legali, di quanto il Nuovo Patto è migliore dell'antico.

Ebrei 8:1-5. Cristo ministra nel vero Santuario.

Ora, il punto capitale di quello che stiam dicendo [è questo]: che noi abbiamo un sommo sacerdote il quale si è posto a sedere alla destra del trono della maestà nei cieli.

Il termine Kefálaion (κεφαλαιον) adoperato qui e in Atti 22:28 può significare somma, sunto, e così lo rendono varie versioni. Ma l'essere la parola qui connessa con un participio presente (le cose che si stan dicendo) e colla preposizione επι (sopra) rende preferibile l'altro senso del vocabolo, quello, cioè, di «punto capitale» che emerge sopra gli altri per la sua importanza. Il punto capitale nell'esposizione che l'autore sta facendo del sacerdozio di Cristo, è quello della esaltazione sua gloriosa alla destra di Dio, esaltazione che il Salmi 110:1 descriveva: «L'Eterno ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra finchè io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi»; e che si è avverata storicamente nell'ascensione di Cristo. L'allusione al Salmo è forse il fatto che ha indotti diversi interpreti a dare alla prep. un senso che non si può giustificare con esempi tolti dal N.T., traducendo come il Diodati «oltre alle cose dette». Comunque sia di ciò, l'essere il sommo sacerdote dei cristiani elevato in tale posizione da godere non solo della presenza gloriosa di Dio, ma da partecipare alla sua sovrana autorità regale, appare all'autore un fatto d'importanza capitale. Non si tratta più qui di un misero mortale che ministra miseramente in un meschino santuario terreno. Si tratta del Re-Sacerdote divino il cui santuario è il cielo stesso, ed il cui ministerio non può essere che perfetto. L'amplificazione alla destra del trono della maestà o grandezza [di Dio] nei cieli mira a far sentire quanto e alta la gloria in cui siede il nostro sommo Sacerdote.

Ministro del santuario e del vero tabernacolo che il Signore, e non un uomo, ha piantato.

Nel cielo ove siede sul trono della potenza, Cristo ministra come sacerdote a favore dei suoi. La sua maestà stessa è al servizio del suo amore.

regnando, e regna servendo» (Westcott). Nel santuario vero egli funge come sommo ed anche unico sacerdote dei credenti. La parola λειτουργος (ministro o liturgo) è stata spiegata Ebrei 1:7, e quanto al termine tecnico che incontriamo qui per la prima volta e frequentemente in seguito ta aghia (τα αγια), esso è di genere neutro (Cfr. Ebrei 9:1-3,8,12,24-25; 10:19; 13:11) e va tradotto non «cose sante», ma «luoghi santi» ch'è quanto dire santuario. Si applica specialmente alla prima stanza del tabernacolo detta il luogo santo; mentre a designare il santissimo si adopera il superlativo ebraizzante ἁγια ἁγιων «santo dei santi». Qui designa il santuario nel suo insieme. Questo santuario è inoltre chiamato il vero tabernacolo o tenda, perchè è quello che risponde all'ideale d'una abitazione di Dio. Si tratta dei cieli ove Dio manifesta la sua gloria in modo speciale e che sono fattura non dell'uomo, come il tabernacolo del deserto, ma di Dio stesso. Il termine ha piantato è immagine tolta dal modo di costruzione delle tende terrene.

Come ministro del santuario celeste, Cristo offre anch'egli qualcosa che corrisponde ai doni e sacrificii dei sacerdoti terreni.

Perocchè ogni sommo sacerdote è stabilito per offrire doni e sacrificii; per cui [era] necessario che anche questi avesse qualcosa da offrire.

Anche riguardo all'opera, sacerdotale, il Cristo possiede i requisiti stabiliti da Dio ed ha un'offerta da presentare. In che cosa consiste il sacrificio suo, l'autore lo dirà più oltre, come pure dimostrerà la necessità del sacrificio del Messia. Per ora si limita ad introdurre l'idea preparando il terreno per un ulteriore svolgimento. L'importanza del fatto che il santuario in cui ministra il Cristo è celeste, appare da questo che sulla terra non ci sarebbe luogo ad altri sacerdoti che non siano aaronidi.

Se dunque fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote, non che sommo sacerdote, essendovi quelli che presentano le offerte secondo la legge;

e non ci possono essere due ordini di sacerdoti terreni da Dio istituiti e fungenti simultaneamente. Da questo versetto si deduce come cosa altamente probabile l'esistenza del tempio e del servizio rituale israelitico, al tempo in cui l'autore scriveva la nostra lettera. Notevole qui una domanda di Teodoreto (V sec.) la quale, se attesta un principio di sacerdotalismo nella chiesa del suo tempo, dimostra però ch'egli non nutriva idee erronee sulla natura della S. Cena. «Perchè, dice, i sacerdoti (?) del N. Patto compiono essi il mistico servigio? È manifesto che non offriamo un altro sacrificio, ma facciamo la commemorazione di quell'unico e salutare sacrificio. Questo infatti ordinò il Padrone: 'Fate questo in rammemorazione di me', affinchè per la contemplazione, noi ci ricordiamo la viva immagine dei patimenti sofferti per noi e ravviviamo l'amore per il Benefattore ed aspettiamo con perseveranza il godimento dei futuri beni». I sacerdoti levitici compivano un servizio meramente tipico in un santuario tipico.

I quali ministrano [in un santuario] ch'è la figura e l'ombra del celeste, secondo il divino avvertimento ricevuto da Mosè quando stava per costruire il tabernacolo: «Guarda, gli fu detto, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte».

I dativi ὑποδειγματι και σκια (alla figura ed all'ombra...) non sono da intendersi dell'oggetto del culto, come quando si tratta di servire a Dio (τω θεω Ebrei 9:14), e neppure del modo di ministrare (ministrano in figura ed ombra), ma piuttosto, stando al contesto, del luogo in cui ministrano i sacerdoti, come nella versione che ne diamo. La stessa costruzione s'incontra in Ebrei 13:10: «coloro che ministrano al tabernacolo (τη σκηνη)» cioè, manifestamente, nel tabernacolo, in connessione con esso. Cfr. per un concetto analogo Ebrei 9:23-24. A mostrare che il santuario terreno non era se non la figura imperfetta e come l'ombra del vero ch'è il celeste, lo scrittore cita la parola in Esodo 25:40 ove Mosè riceve per istruzione di costruire il tabernacolo secondo il modello, mostratogli sul monte. Da questo cenno trae la conclusione che Mosè ha dovuto avere sul Sinai la visione del santuario celeste ch'è la gloriosa abitazione di Dio e di cui quello terreno non doveva essere che una miniatura imperfetta. Certo è che abbondano in tutto l'Antico Testamento i passi ove s'insegna che l'Eterno non abita in santuari fatti di mano d'uomini. Cf. 1Re 8:27 e segg. la preghiera di Salomone. Or Cristo ministra nel vero santuario ed il ministerio sacerdotale ch'egli vi compie non è una semplice figura, ma è qualcosa di reale e di efficace.

Ebrei 8:6-13. Cristo è mediatore del patto di grazia.

Il ministerio sacerdotale di Cristo si compie nel vero santuario e serve al Patto migliore e definitivo ch'è il patto di grazia. Esso è quindi proporzionatamente più eccellente di quello dei sacerdoti del patto transitorio, nel santuario terreno.

Ma ora egli ha ottenuto un ministerio (o servigio sacro) tanto più eccellente ch'egli è mediatore d'un patto ch'è anche migliore, stabilito com'è sopra migliori promesse.

Si potrebbe tradurre: «gli è toccato» un ministerio... Cristo è mediatore del patto nuovo, anzitutto perchè egli ne è il Rivelatore agli uomini da parte di Dio di cui è l'Inviato. Cf. Ebrei 3:1; 1:2. Egli è in pari tempo colui che lo rende possibile compiendo l'espiazione dei peccati del mondo col sacrificio della propria vita. Rappresentante di Dio presso gli uomini e rappresentante degli uomini innanzi a Dio, egli è il vero e l'unico mediatore (μεσιτης che sta in mezzo) tra Dio e gli uomini 1Timoteo 2:5. Sul senso della parola διαθηκη (patto) vedi Ebrei 7:22. Il patto nuovo è chiamato migliore perchè stabilito per legge sopra migliori promesse, regolato da condizioni più favorevoli al peccatore. Esso è infatti il patto in cui Dio promette il suo perdono eterno ed il rinnovamento del cuore a chiunque accetta con fede la grazia offerta in Cristo. Questo patto migliore colle promesse su cui è fondato e annunziato di già nei profeti, il che prova che fa parte del disegno di Dio. Anzi, il fatto che un patto nuovo è promesso per un dato tempo avvenire dimostra di per sè che, nell'intento divino, il primo patto era meramente preparatorio. Dio non ha mutato il suo disegno; il patto definitivo è quello di grazia accennato nelle promesse fatte ad Abramo; ma era necessario che la scuola del patto legale insegnasse l'impotenza dell'uomo e la necessità della grazia.

Perocchè, se quel primo [patto] fosse stato senza difetto, non si sarebbe cercato luogo per un altro.

Se il patto cui apparteneva il santuario figurativo, colle istituzioni legali, fosse stato capace di rispondere veramente ai bisogni dell'uomo, assicurandogli il perdono di Dio ed innalzandolo alla vita di comunione con Lui, non si sarebbe mai parlato di un patto migliore. Dio non avrebbe annunziato che il vecchio sarebbe un giorno sostituito da un patto nuovo. Ora è un fatto che fin dai tempi di Geremia e di Ezechiele, Dio, per consolare il popolo gemente in cattività, dischiude ad esso gli orizzonti più lieti dei tempi messianici. E l'autore ne adduce nella citazione che segue, tolta da Geremia 31:31-34, una prova lampante.

Infatti [Dio] censurandoli, s'intende gl'Israeliti di quei tempi, dice: «Ecco i giorni vengono, dice il Signore, che io concluderò con la casa d'Israele e con la casa di Giuda, cioè col popolo tutt'intero, un patto nuovo, non come il patto ch'io feci coi padri loro nel giorno ch'io li presi per la mano per condurli fuori del paese d'Egitto, poichè essi non sono perseverati nel mio patto ed io, alla mia volta, non mi sono curato di loro, dice il Signore; poichè questo è il patto che io stabilirò colla casa d'Israele dopo quei giorni, dice il Signore; porrò le mie leggi nel loro intendimento e le scriverò sui loro cuori e sarò loro Dio ed essi mi saranno popolo, e non insegneranno già ciascuno il suo concittadino (testo em.) e ciascuno il suo fratello dicendo: «Conosci il Signore», perocchè tutti mi conosceranno dai piccoli fino ai grandi d'infra loro, perchè io sarò propizio di fronte alle loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati».

Il patto stabilito col popolo d'Israele quando Dio lo trasse d'Egitto assicurava al popolo il favore dell'Eterno, ma a condizione ch'esso osservasse fedelmente la legge. «Fa' queste cose e viverai». In caso diverso, si traeva addosso le punizioni e le maledizioni divine. Nella pratica che cosa è avvenuto? Che le infedeltà d'Israele l'hanno condotto, di castigo in castigo, fino alla catastrofe della deportazione in Babilonia che segnò la reiezione, per parte di Dio, della massa del popolo eletto. Dio non si è curato di loro più oltre e li ha abbandonati ai loro oppressori. L'esperienza avea dunque dimostrato come il regime della legge fosse inefficace a dar pace e vita all'uomo peccatore. Al popolo ch'è prostrato sotto alle conseguenze dei propri falli, Geova annunzia perciò l'avvicinarsi di giorni migliori, in cui Egli stabilirà con esso un patto di genere diverso (καινη) da quello del Sinai, un patto di grazia gratuita offerta a chi crede.

10 Le migliori promesse su cui è fondato il nuovo patto si riducono a, due principali secondo la profezia di Geremia e sono:
a) una rivelazione superiore che Dio farà di sè e della propria volontà, al suo popolo e
b) il perdono assoluto dei loro peccati.
La rivelazione che Dio farà di sè sarà più interna ed efficace dell'antica; sarà in pari tempo più universale. La legge del Sinai era stata fatta udire agli orecchi del popolo ed era stata scritta in un libro e scolpita nelle tavole di pietra. La volontà di Dio, sotto al nuovo Patto, sarà fatta penetrare nello intendimento e sarà scritta sul cuore stesso dell'uomo, talchè non solo l'intenderà e ne apprezzerà la bellezza, ma l'amerà e troverà il suo diletto nel metterla ad effetto. Come avverrà ciò? Il profeta Ezechiele in una visione analoga a quella del suo contemporaneo Geremia lo spiega quando riferisce questa promessa dell'Eterno «...e vi darò un cuor nuovo e metterò uno spirito nuovo dentro di voi e rimoverò il cuor di pietra dalla vostra carne e vi darò un cuor di carne; e metterò il mio Spirito dentro di voi e farò che camminerete nei miei statuti e che osserverete e metterete ad effetto le mie leggi...» Ezechiele 36:26-27. Lo Spirito che trasfigura l'uomo col rinnovargli la mente, gli fa «conoscere per esperienza la volontà di Dio ch'è buona, accettevole e perfetta». Cf. Gioele 2 per la promessa dello Spirito. Quando la mente comprende ed il cuore ama ed osserva la volontà di Dio, allora si realizza la comunione spirituale, intima tra Dio ed il suo popolo.

11 La rivelazione interna di Dio sotto il nuovo Patto sarà più universale che non l'antica. Non saranno più i soli sacerdoti, profeti e poeti privilegiati a conoscere intimamente Dio e la sua volontà. Lo Spirito di luce e di vita sarà sparso su tutti i fedeli, ed il popolo di Dio intero sarà un popolo di sacerdoti e di profeti. «Tutti saranno insegnati da Dio» e per conseguenza tutti conosceranno Iddio, talchè non ci sarà più bisogno che i pochi istruiscano i molti nella conoscenza del Signore. Cotesto stato ideale si va realizzando gradatamente dopo la Pentecoste, lo Spirito essendo promesso a chiunque lo domanda. Quanto più è larga l'effusione dello Spirito tanto meglio si realizza l'ideale dell'economia nuova ch'è l'economia dello Spirito. La perfezione verrà quando «conosceremo come siamo stati conosciuti» e «lo vedremo quale egli è».

12 La seconda miglior promessa del nuovo Patto sta nel perdono completo ed assoluto dei peccati. Questa grazia è anzi indicata come il fondamento di tutte le altre, poichè essa è il motivo o la ragione ultima di esse. Il testo dice infatti: «Farò questo... poichè io sarò propizio...» Egli è perchè Dio è riconciliato col suo popolo ch'egli spande su di esso le grazie del suo Spirito. Sarò propizio alle loro iniquità viene a dire sarò disposto a perdonarle, come chi è placato e clemente. L'immensità del perdono sarà quella che farà meglio conoscere l'intima natura del Dio che «è amore». e che susciterà nel cuore l'amore riconoscente. Il carattere completo e perpetuo del perdono divino è espresso colle parole non mi ricorderò più dei lor peccati.

13 Nel dire «nuovo» [patto] egli ha antiquato il primo; ora quel che sta diventando antico e vecchio è vicino a sparire.

L'osservazione di cui l'autore fa seguire la citazione profetica relativa al nuovo patto promesso, si riannoda a quella con cui l'aveva introdotta a Ebrei 8:7. Là dall'annunzio d'un nuovo patto avea tratta la conseguenza che il primo era difettoso; qui ne deduce ch'esso era destinato a sparire in breve. Parlando d'un patto nuovo che ha da subentrare al vecchio, Dio ha proclamato la caducità, anzi la prossima sparizione di quest'ultimo. Il verbo attivo πεπαλαιωκεν reso dalla vulg. veteravit e dal Diodati ha anticato, torna a dire «ha dichiarato antiquato». Or se i giorni del patto legale erano contati fin dall'epoca di Geremia, se fin d'allora avea fatto il suo tempo e i secoli che gli rimanevano di vita erano il periodo della sua vecchiaia e decrepitezza, non dovevano gli Ebrei dopo la venuta di Cristo considerare come definitivamente abrogate istituzioni connesse coll'antico patto ed a cui molti restavano ancora superstiziosamente attaccati.

Ammaestramenti

1. Ci sono nella dottrina cristiana delle verità che hanno una importanza capitale come ce ne sono di secondarie. E compito dell'insegnante cristiano l'inculcare le verità essenziali per modo che tutti le conoscano e comprendano. L'autore nostro non si stanca di porre in rilievo la grandezza e la perfezione del sommo Sacerdote del Nuovo Patto. È il punto capitale della sua lettera e vorrebbe che i cristiani usciti dal giudaismo ne intendessero e sentissero l'alta importanza. Quando dinanzi agli occhi della loro fede splenderà nella sua gloria il Sacerdote perfetto, svanirà del tutto l'attrattiva che le vecchie, imperfette istituzioni ancora esercitano su di essi. Sono, è vero, tradizionali, parlano ai sensi colle pompe esterne; ma il loro carattere imperfetto, convenzionale, la loro incapacità di soddisfare ai bisogni della coscienza e di avvicinar l'uomo a Dio è cosa troppo evidente. Ciò ch'è perfetto ecclissa e fa sparire ciò ch'è imperfetto. I sacerdoti peccatori, deboli e mortali, ministranti in un tabernacolo terreno con dei sacrificii di animali, non possono sostenere il confronto con Colui ch'è seduto alla destra della Maestà di Dio, che è stabilito sacerdote in virtù della perfezione di vita santa e indissolubile ch'ei possiede, che ministra nel vero santuario, che offre un sacrificio d'infinita efficacia, ch'è il Mediatore del patto migliore e definitivo. Non altrimenti succederà nella cristianità degenere quando alle anime sarà presentato nella perfezione della sua persona e dell'opera sua l'unico Sacerdote e Mediatore della religione cristiana. In quel giorno, cadrà da sè la fede nei mediatori terreni e nei loro sacrifici di pasta. Chi ha Gesù per suo Sacerdote non ha più bisogno di santi, nè di preti, nè di messe. Chi invece si affida ai sacerdoti umani ed ai loro pretesi sacrificii, mostra di non far caso del solo vero e grande Sacerdote che ministra del continuo nel santuario celeste.

2. L'esperienza della incapacità in cui trovasi l'uomo naturale d'osservare la legge di Dio è stata fatta dall'Israele antico: «per le opere della legge niuna carne sarà giustificata innanzi a Dio». A noi non è aperta altra via che la grazia gratuita di Dio manifestata ed offerta in Cristo, assicurata a chiunque l'accoglie con fede. Il nuovo Patto è patto di grazia offerta e da accettarsi. In Cristo ci è garantito il perdono spontaneo, completo ed eterno dei peccati nostri da parte di Dio. È particolarmente cara l'immagine contenuta nel «non mi ricorderò più». «La remissione dei peccati, nota il Martini, appartiene alla nuova legge, ed ella si ottiene e pel battesimo e pel sacramento della penitenza». il cattolicismo ha infatti ridotto il nuovo Patto ad un nuovo sistema legale in cui la grazia dipende dall'osservanza di nuovi riti, compiuti da una nuova casta sacerdotale. Secondo le Scritture unica condizione posta al perdono di Dio sono il ravvedimento e la fede che sono atti del cuore. I sacramenti, quando sono autentici cioè istituiti da Cristo, non sono che il simbolo e l'esterno suggello della grazia. L'interna certezza ed allegrezza del perdono è opera dello Spirito che ripete al cuore credente le parole di Gesù: «I tuoi peccati ti sono rimessi... Vattene in pace, la tua fede ti ha salvata».

3. L'ideale dell'Israele di Dio sotto al nuovo Patto è quello d'un popolo nato ad una vita nuova, composto di persone che sono state illuminate nella mente dallo Spirito di Dio così da conoscer Dio e da intendere la sua volontà; di persone che sono state dallo Spirito rinnovate nel loro cuore così da trovare il loro diletto nel praticare la volontà di Dio buona, accettevole e perfetta; di persone che vivono in comunione figliale con Dio da cui hanno ricevuto il perdono e ch'esse servono con amore: di persone che sono tutte quante, dal minore al maggiore, senza eccezione, entrate in relazione personale e vivente con Dio.
Egli è fin troppo evidente che con un tale ideale contrasta dolorosamente lo stato presente della cristianità. Facciamo almeno di avvicinarcene individualmente, e nelle nostre famiglie e nelle nostre chiese. La Parola di Dio è aperta dinanzi a noi per ammaestrarci. Lo Spirito di luce e di vita e promesso a chiunque lo domanda al Padre. Poniamo ciascuno al servizio dei nostri fratelli la conoscenza l'esperienza ed i doni che il Signore ci ha concessi. Ed affrettiam colle nostre preghiere le finali effusioni dello Spirito «sopra ogni carne». «Oh se questa promessa, esclama un pio espositore, fosse adempiuta ai nostri giorni! Oh se la mano di Dio fosse coi nostri ministri, acciocchè un gran numero credesse e si convertisse al Signore»!
La perfezione di cotesto ideale di conoscenza, di santità e di comunione con Dio, ideale ch'è il sospiro dell'anima cristiana, sarà raggiunta quando sarà compiuto il regno di Dio ed i suoi redenti lo vedranno a faccia faccia.

4. «La promessa del Nuovo Patto è di convertire una legge esterna impotente in una potente vita interna; di scriverla nel cuore per modo che diventi la sua vita più intima. La ghianda crescendo diventa spontaneamente una quercia perchè la legge della quercia è scritta nel cuore della ghianda. La vita di ogni creatura si svolge con gioia secondo la legge del suo Creatore, ch'è la sua natura intima. Così Dio promette che la sua, legge egli la metterà nelle nostre menti e la scriverà nei nostri cuori per modo ch'ella diventi la nostra interna natura, la. nostra vita stessa; talchè l'operare in conformità con essa ci sia cosa naturale come il pensare ed il vivere; talchè possiamo dire come il suo Figlio: La tua legge è dentro al mio cuore; io mi diletto nel fare Ta tua volontà, o Dio... Lo Spirito pentecostale che trasfuse nuova vita e forza nei primi discepoli, può inondare i nostri cuori di quell'amore ch'è, l'adempimento della legge» (A. Murray).