Galati 5
3. Galati 5:1-12 Il tornare sotto la legge implica un rinunziare alla grazia di Dio in Cristo. Ad una tale apostasia i Galati non sono spinti da Dio, ma da gente pervertitrice, senza scrupoli e fanatica
Questi versetti sono stati chiamati la perorazione della parte dottrinale dell'Epistola. E infatti essi contengono una stringente esortazione a restar saldi nella libertà di cui Cristo li ha dotati, perchè l'abbandonarla sarebbe un ricollocarsi sotto al patto della legge ed un rinunziare assolutamente alla grazia. I Galati non hanno compiuta ancora una siffatta apostasia, ma sono in pericolo di farlo lasciandosi trascinare dai pervertitori dell'Evangelo. Il solenne avvertimento dell'apostolo può giungere in tempo per aprir loro gli occhi. Il testo di Galati 5:1 si presenta nei manoscritti in due forme principali che non ne mutano però la sostanza. La vers. siriaca, la Vulg. con alcuni codici portano come la diodatina: State dunque saldi nella libertà della quale Cristo ci ha francati e non... (τη ελευθερια ἡ ἡμας χριστος...). Il senso e la frase si adattano perfettamente a quel che precede ed a quel che segue, ed il pronome relativo ἡ (della quale) ha potuto facilmente esser tralasciato dai copisti perchè confuso colla identica prima lettera della parola seguente (ἡμας) i critici seguono però, nella gran maggioranza, il testo che si legge nella maggior parte dei codici antichi:
È per la libertà che Cristo ci ha fatti liberi; state dunque saldi e non vi lasciate stringer di nuovo sotto il giogo della servitù.
L'opera redentrice di Cristo che li ha riscattati dalla maledizione della legge Galati 3:13 e dal giogo di essa dando loro l'adozione a figliuoli Galati 4:5, mira a collocarli in uno stato permanente di libertà, a farli vivere la vita della libertà spirituale, ch'è quella dei figliuoli di Dio. Essi non tremano più sotto la condannazione della legge, perchè «non v'è condannazione per quelli che sono in Cristo G.» Romani 5:1 ed hanno pace con Dio; essi non sono più stretti sotto il giogo d'una legge a loro imposta dal di fuori e regolante minuziosamente tutta la loro vita, nè sono più schiavi delle tradizioni e dei precetti umani; la legge di Dio è scritta nei loro cuori dallo Spirito rinnovatore; essi non menano la vita dello schiavo che trema sotto le minacce del padrone ed ha paura dei castighi e della morte, ma essi vivono come dei figli, nell'amore rispettoso e nella libertà dei figli, aspettando di passare attraverso le porte della morte nel pieno possesso della eredità che li riempie di gioia fin da ora in questo stato di libertà filiale essi devono star saldi, perseverare, resistendo alle lusinghe ed ai sofismi dei giudaizzanti che vorrebbero piegarli nuovamente sotto il giogo delle pratiche legali. Il verbo usato da Paolo vale «esser tenuti dentro» come chi è inceppato, impedito nei suoi movimenti, tenuto stretto sotto un giogo che gli toglie ogni libertà: Il giogo della servitù è quello della legge giudaica.

Ecco, io Paolo vi dichiaro che se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla.
I Galati sono dinanzi ad un bivio importante; dalla decisione che stanno per prendere verranno conseguenze religiose di cui essi non si rendono ben conto. Perciò Paolo li mette in guardia contro le illusioni di cui li pascono i falsi dottori. Secondo costoro sarebbe possibile amalgamare la salvezza per opere meritorie colla salvezza per grazia. L'opera di Cristo e le osservanze legali, quasichè la circoncisione colle altre pratiche avessero qualche valore per la salvezza o l'opera di Cristo fosse imperfetta, ovvero destinata soltanto a servir di complemento ai meriti umani. L'apostolo si sforza di dissipare cotali illusioni. Con tutta l'autorità che viene al suo nome dalla sua qualità di padre spirituale dei Galati, e dall'ufficio apostolico di cui è rivestito, ufficio di cui ha rilevato l'indipendenza dagli uomini e l'origine divina Paolo dichiara solennemente a quei cristiani che l'accettare la circoncisione implica da parte loro una vera e propria rinunzia ai beneficii che sono connessi colla persona e coll'opera di Cristo. Infatti, il farsi circoncidere non è, nel loro caso, una cosa indifferente, una mera condiscendenza opportuna, come nel caso di Timoteo Atti 16:3; ma è un riconoscer quel rito come necessario a salvezza, secondo la dottrina giudaizzante Atti 15:1; è un ritornar sotto al regime legale. Ora siccome la salvezza non si può raggiungere per due vie diverse, anzi opposte, bisogna scegliere. Se scelgono la via della legge, rinunziano alla grazia in Cristo. «Chi si dà alla legge, dice Crisostomo, non crede alla potenza della grazia e chi non crede non trae alcun profitto da una grazia a cui non crede».

E di nuovo protesto ad ogni uomo che si fa circoncidere ch'egli è in obbligo di osservar tutta quanta la legge.
I v. Galati 5:3-4 svolgono sotto altra forma l'idea che chi accetta la circoncisione come cosa necessaria alla sua salvezza, cessa d'essere cristiano. Questo attesta Paolo nel modo più solenne, come si fa quando si prende Dio a testimone della verità di quel che diciamo (Cfr. Efesini 4:17; Atti 20:26). Si tratta qui dell'essenza del vangelo rivelato all'apostolo dal Signore stesso. Il di nuovo si riferisce, secondo gli uni, all'ultima visita di Paolo, nella quale li aveva verbalmente ammoniti del pericolo che correvano; secondo altri, si riferisce semplicemente al v. antecedente: «io Paolo vi dico... e torno ad attestarvi per la 2a volta...». Vero è che la seconda dichiarazione non è verbalmente identica a quella di Galati 5:2, ma lo è per la sostanza. Egli la fa non soltanto per i Galati, ma per ogni uomo che si fa volontariamente circoncidere col fine di assicurare per tal mezzo la propria salvazione. Si tratta di un principio generale ed assoluto. Chi accetta la, circoncisione come obbligatoria entra o rientra sotto alle condizioni del patto legale ed è quindi tenuto ad osservar, non quella parte soltanto della legge che a lui talenta di scegliere, ma la legge nella sua totalità. «Maledetto è chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge per farle» Galati 3:10. I giudaizzanti stessi non osservano la legge Galati 6:13 e Paolo ben sa che nessun figlio d'Adamo è in grado di osservarla.

Avete perduto ogni diritto a Cristo voi tutti che volete esser giustificati dalla legge, siete caduti dalla grazia
Mentre da; una parte, accettando la circoncisione, si assumono tutto il carico degli obblighi legali, essi perdono dall'altra ogni diritto a valersi della grazia recata da Cristo e assicurata dall'opera sua. Non è facile rendere in italiano l'espressione di cui si serve l'apostolo. Letteralmente sarebbe: siete stati annullati via da Cristo. Le versioni per lo più non esprimono che l'idea della completa separazione da Cristo contenuta nella preposizione απο (lungi da). Così le revisioni inglese e sinodale francese, così la tedesca di Joh. Weiss, che traducono: «Voi siete separati da Cristo». Altri hanno cercato di render l'idea contenuta nel verbo passivo: siete stati annullati o ridotti al nulla (κατηργηθητε). Così il Diodati, così il Martini: «Non siete più nulla riguardo a Cristo», il Curci: «per voi Cristo non vale più nulla», il Crampon: «Non avete più nulla in comune col Cristo». Le due idee vanno ritenute: i Galati ponendosi sul terreno della salvazione per mezzo delle opere della legge si sono separati da Cristo, hanno rotto il vincolo che li univa a lui e li facea partecipi della grazia di cui è fonte, talchè Cristo non è più nulla per loro, ed essi non son più nulla di fronte a Cristo, hanno perduto ogni diritto di contare sull'opera di lui. Nel v. Galati 5:2 ha detto: «Cristo non vi sarà d'alcuna utilità». Dice propriamente: «Voi tutti che siete giustificati per mezzo della legge». Il presente però non indica nè un fatto compiuto nè un fatto possibile, ma semplicemente la fallace persuasione da cui si lasciano sedurre di poter, cioè, conseguire la giustificazione davanti a Dio per mezzo delle opere comandate dalla legge. Sono scaduti dalla grazia perchè abbandonano il terreno sul quale si erano collocati quando avevano abbracciato l'evangelo della salvezza per grazia, mediante la fede.

Nel Galati 2:21 Paolo aveva esclamato: «io non annullo la grazia di Dio; poichè se la giustizia si ottiene per mezzo della legge, Cristo è dunque morto per nulla»; e qui, tornando a definire la posizione dei cristiani autentici, in opposizione a quella dei giudaizzanti, egli aggiunge:
Poichè, quanto a noi, è in ispirito, per fede, che aspettiamo la speranza della giustizia.
Nel noi Paolo include con se i collaboratori e tutti i cristiani genuini che perseverano nella grazia e nel loro attaccamento a Cristo. In ispirito (πνευματι) s'intende dagli uni come un accenno all'opera interna dello Spirito Santo che ci convince di peccato e d'impotenza e ci fa riconoscere in Cristo colui che ci è stato fatto da parte di Dio «sapienza, giustizia, santificazione e redenzione» 1Corinzi 1:30. Il senso è allora: «coll'aiuto e per virtù dello Spirito». Dagli altri l'espressione in ispirito s'intende come contrapposta alla natura esterna, carnale delle pratiche sulle quali i legalisti fondavano la loro speranza di giustificazione. La fondavano sull'osservanza della circoncisione, della distinzione fra i cibi, dei giorni festivi ecc. I cristiani invece aspettano la giustizia sperata dall'intimo dello spirito loro, poichè lo spirito è la sede del ravvedimento e della fede in Cristo che sono le condizioni soggettiva della salvezza. Quel ch'è carnale ed esterno non ha che fare colla salvezza sotto il Nuovo Patto; è col cuore che si crede per ottener la giustizia» Romani 10:10. La fede è infatti l'unico mezzo col quale ci appropriamo la grazia di Dio in Cristo. Per fede è contrapposto al per opere o al «per la legge». La speranza della giustizia non è quel bene supremo che speriamo dalla giustificazione ricevuta, vale a dire la vita eterna. Piuttosto significa: la giustizia ch'è l'oggetto della nostra speranza. Un senso analogo del termine speranza s'incontra per es. negli Atti 24:15: «speranza ch'essi stessi pure aspettano...», in Tito 2:3: «aspettando la beata speranza...», Romani 6:24; Colossesi 1:5. Non si tratta ivi del sentimento di speranza, ma del bene sperato. La giustizia sperata non pare doversi intender qui nel senso morale che ha talvolta nel N. T. quando designa la perfetta conformità colla volontà di Dio, il bene morale perfetto (Es. 2Timoteo 4:8; 2Pietro 3:13). La perfezione morale è senza dubbio, colla gloria celeste, oggetto anch'essa della speranza cristiana; ma in questo contesto ov'è questione dell'esser «giustificati» cioè dichiarati e considerati giusti da Dio, conviene attenersi a questo concetto. L'apostolo quindi viene a dire: Noi cristiani non cerchiamo la nostra giustizia nelle opere meritorie e nelle pratiche esterne, ma dal profondo del nostro spirito, per fede, aspettiamo d'esser riconosciuti giusti in Cristo e fatti partecipi della gloria riservata ai giustificati Romani 8:30. Vero è che, per lo più, Paolo parla della giustificazione come di cosa avvenuta: «siete stati giustificati» 1Corinzi 6:11, «giustificati adunque per fede, abbiamo pace...» Romani 5:1; ma lo stesso egli fa rispetto alla salvazione che, in un senso, è passata, e in un altro senso è ancora futura. In Cristo tutto è compiuto, il credente unito a lui è quindi virtualmente salvato; ma siccome l'appropriazione effettiva dei beni della salvazione è cosa graduale nell'esperienza del cristiano, e ch'egli li possederà in tutta la lor pienezza solo nell'avvenire, Paolo può dire; «Siamo salvati in isperanza». Così, chi crede è giustificato ed introdotto nello stato di grazia; ma la sua giustificazione sarà proclamata soltanto nel giudizio definitivo. Allora non sarà più possibile decadere dalla grazia; la giustificazione del peccatore sarà eternamente sicura con tutte le sue beate conseguenze. In Filippesi 3:9 Paolo dice: «Reputo tutte queste come spazzature affinchè io guadagni Cristo e sia trovato in lui avendo non la mia giustizia proveniente dalla legge, ma quella che si ha mediante la fede in Cristo, la giustizia che vien da Dio ed è fondata sulla fede».

Giacchè, in Cristo Gesù, nè la circoncisione nè la incirconcisione ha valore alcuno, ma la fede operante per mezzo della carità.
In ispirito, per fede, sperano i cristiani la loro finale giustificazione e non in virtù di riti esterni, poichè le cose che hanno per sfera la carne, come ad es. la circoncisione, non hanno alcuna importanza, non recano vantaggio o svantaggio spirituale. In Cristo vale qui: nella sfera cristiana, in quel che concerne le relazioni dell'uomo col Messia, e quindi la salvazione e la vita religiosa. In questa sfera, l'essere o no circoncisi non ha alcuna importanza od efficacia (ισχυει); sono cosa indifferente. Quel che conta qui è la fede perchè è, la condizione sine qua non per entrare in comunione con Cristo ed aver parte ai beni della salvazione. La fede però non dev'essere una fredda adesione intellettuale, ma una fiducia ed un abbandono del cuore al Salvatore che ci ha amati e ha dato se stesso per noi Galati 2:20, una fede che manifesti la sua sincerità, la sua vitalità, la sua potenza trasformatrice mediante la carità ossia mediante l'amor riconoscente che essa desta nel cuore verso l'Iddio ch'è amore e verso gli uomini che sono creature di Dio. Il verbo usato da Paolo (ενεργουμευη) è medio e vale: operante, manifestante la propria energia ed efficacia; non passivo che sarebbe: «operata». Non ha mai senso passivo negli altri 8 passi del N. T. ove lo incontriamo. Cfr. Romani 7:5; 2Corinzi 1:6; 4:12; 1Tessalonicesi 2:13; 2Tessalonicesi 2:7; Efesini 3:20; Giacomo 5:16. Non l'amore opera fede, ma l'amore e le opere dell'amore sono il modus operandi della fede, la prova certa ch'essa non è morta. In quanto unisce il credente a Cristo, essa segna il principio di una vita nuova, la cui anima ispiratrice sarà l'amore, come l'apostolo dirà più oltre. Nelle parole: «fede operante per mezzo della carità» sta la garanzia contro gli abusi della libertà cristiana e della dottrina della salvazione per grazia. Questa formula è come il ponte che unisce il linguaggio di S. Paolo a quello di S. Giacomo Giacomo 2. Ambedue proclamano la fede qual principio di energia pratica in opposizione ad una sterile ed inefficace teoria. Come già fece notare il Bengel, ritroviamo nei v. Giacomo 5:5-6 la triade paolina: fede, speranza e carità, che costituisce l'essenza del cristianesimo apostolico. Cfr. 1Tessalonicesi 1:3; 1Corinzi 13:13; Colossesi 1:4-5 ecc.

Voi correvate bene; chi vi ha fermati inducendovi a non ubbidire alla verità? Una tal persuasione non procede da Colui che vi chiama.
L'immagine della corsa nello stadio è frequente negli scritti di Paolo. Cfr. Galati 2:2; 1Corinzi 9:24-27; Filippesi 3:14; 2Timoteo 15:7. I Galati erano entrati con entusiasmo nella via della fede in Cristo e progredivano egregiamente nella vita cristiana. Quand'ecco, è avvenuta una brusca interruzione, come quella cagionata da un ostacolo che ostruisce una via, o dalla rottura d'un, ponte, o da un fossato che ferma chi è in marcia. Il verbo del testo emendato contiene l'immagine di una rottura che taglia la via e interrompe bruscamente la corsa ai corridori. Chi aveva così fermato i Galati nel normale sviluppo della fede e della vita loro, erano stati gl'intrusi giudaizzanti; ma la forma interrogativa usata dall'apostolo attesta ad un tempo lo sdegno ch'ei sente per l'opera nefasta di quei perturbatori e lo stupore ch'egli prova per la facilità colla quale i Galati si lasciano persuadere a non ubbidire alla verità, cioè ad abbandonare l'evangelo divino della grazia che Paolo aveva loro annunziato.

Una tale persuasione, un'opera siffatta mirante a persuaderli di tornare sotto la legge, non può procedere, non può essere ispirata da Dio il quale li ha chiamati alla conoscenza della grazia. in Cristo e tuttora li chiama a salvezza. Essa procede da altra fonte.

Un po' di lievito fa lievitare tutta quanta la pasta.
Questo proverbio popolare è qui addotto per mettere in guardia i Galati contro l'opera corrompitrice dei giudaizzanti. Sebbene Gesù si sia servito del lievito per rappresentar la graduale influenza trasformatrice del suo Vangelo nell'umanità, il lievito raffigura per lo più l'azione lenta, penetrante, corrompitrice di una dottrina falsa, di un esempio cattivo; così Matteo 16:11 raffigura la dottrina dei Farisei e dei Sadducei e 1Corinzi 5:6 l'immoralità tollerata in seno alla Chiesa. Qui può riferirsi ad un tempo alla dottrina dei giudaizzanti, innocua in apparenza ma in realtà sovvertitrice dell'evangelo, ed agli spacciatori di quella dottrina, pochi di numero, ma capaci di portare lo scompiglio in tutte le chiese se non sono combattuti. Nel contesto immediato si parla della persuasione che si cerca di insinuare nei cuori, ma più ancora degli autori di quella persuasione: «Chi vi ha fermati... colui che vi turba... coloro che vi mettono sottosopra» Galati 5:10,12. «Una idea, dice Olshausen, può turbar tutto l'uomo interno; un perturbatore può sconvolgere una intera comunità».

10 lo ho questa persuasione di voi, nel Signore, che non sarete di sentimento diverso. Ma colui che vi turba ne porterà la pena, chiunque egli sia.
V'è il pericolo che le chiese siano completamente sovvertite per poco che i Galati si abbandonino all'influenza dei pervertitori. Ma questo non è ancora avvenuto e Paolo ha fiducia che non avverrà. Ha fiducia nei Galati perchè li conosce ed è istato testimone del loro nascere alla vita spirituale e dei loro primi progressi in essa; e non può persuadersi che sieno per voltar le spalle alla grazia di Cristo. La sua fiducia però non ha nulla di carnale, è fiducia cristiana e si fonda non sull'uomo che non darebbe grande affidamento, ma si fonda nel Signore ch'egli serve e nella comunione del quale ei vive. Il Signor Gesù è il Capo della Chiesa, egli ha principiata l'opera sua salutare in loro ed egli è fedele e potente da condurla a compimento tenendoli saldi nella fede. Paolo confida che non avranno sentimento diverso, s'intende: diverso da quello ch'egli è venuto esprimendo nella sua lettera riguardo all'origine divina del vangelo loro annunziato, riguardo alla via di salvazione, e al dovere di rimanere attaccati a Cristo, riguardo all'opera dei perturbatori giudaizzanti.
La fiducia ch'egli nutre circa la finale sconfitta dei perturbatori, nulla toglie alla colpa di quelli che, del male fatto, dovranno portar la pena. Il singolare colui che vi turba potrebbe intendersi come la personificazione dei perturbatori che sono indicati altrove con un plurale: Galati 1:7 «alcuni che vi turbano», Galati 5:12 «quelli che vi mettono sossopra»; però lo s'intende generalmente come designazione del loro capo che pare fosse un personaggio influente, proveniente forse da Gerusalemme e in grado di vantare colà cospicue conoscenze fra i cristiani. Chiunque egli sia, non sfuggirà al giudicio punitivo di Dio che non ha riguardo alla qualità delle persone e che «guasterà chi guasta il tempio» suo, cioè la Chiesa 1Corinzi 3:17. Il veder nella «pena» (lett. giudicio, sentenza) una semplice pena disciplinare che Paolo si appresterebbe a pronunziare, da senso troppo debole alla solenne dichiarazione dell'apostolo.

11 Quanto a me, fratelli, se predico ancora la circoncisione, perchè sono ancora perseguitato? In quel caso, sarebbe abolito lo scandalo della croce.
È chiaro che una insinuazione sleale era stata fatta contro S. Paolo da parte dei giudaizzanti, quasichè egli non fosse poi tanto contrario alla circoncisione. Avranno i suoi avversarii citato dei fatti come la circoncisione di Timoteo in Licaonia Atti 16:3, la sua osservanza della legge in Gerusalemme, l'esser egli stato Giudeo coi Giudei quando la sua condiscendenza non implicava la rinunzia ad alcuna verità del Vangelo. Paolo non si ferma a confutare la perfida insinuazione, ciò non essendo necessario presso i Galati che conoscevano lui e la sua predicazione. Si limita a, chiedere ironicamente perchè mai lo dovrebbero ancor perseguitare i Giudei, come facevano dovunque andava, con grande accanimento, se fosse vero ch'egli predicasse ancora, come avea fatto prima d'esser cristiano, la circoncisione necessaria a salvezza. In quel caso, sarebbe stato tolto di mezzo lo scandalo della croce cioè la ripugnanza che i Giudei avevano ad accettare come Salvatore un Messia crocifisso ed a riguardare al suo sacrifizio anzichè alle pratiche rituali, come all'unica fonte della lor salvezza. Contro all'insinuazione dei giudaizzanti Paolo se ne appella all'odio persistente dei Giudei.

12 Si facessero pure anche evirare coloro che vi mettono sottosopra!
Il Diodati seguito da pochi moderni, considerando come passivo il verbo (αποκοψονται) tradusse: «oh! fosser pure eziandio ricisi coloro che vi turbano!» Il nesso con quel che precede sarebbe il seguente: Se io predicassi ancora la circoncisione... sarebbe tolto di mezzo lo scandalo della croce. Oh! fossero pur anche tolti di mezzo, tagliati via quelli che vi sovvertono! E s'intenderebbe: Fossero pure dal giudicio di Dio tolti dal mondo i sovvertitori! Si obietta che un tal voto sembra poco consentaneo colla carità cristiana e soprattutto che il verbo non si trova mai usato nel N. T. nè nella LXX, al passivo, mentre è usato, tanto nella LXX che negli scrittori classici, al medio. Il senso allora è quello che diamo nella versione e che è generalmente accettato dai traduttori e dagli esegeti moderni i quali tornano così all'interpretazione degli antichi. Di fronte all'opera sovversiva che andavano compiendo nelle chiese cristiane i giudaizzanti, servendosi per i loro fini anche di mezzi sleali; di fronte al fanatismo cieco ch'essi mostravano per un rito corporale ch'essi osavano contrapporre al sacrificio del Golgota, o mettere alla pari con esso, erompe dal cuore sdegnato di Paolo un voto pieno di un'amara ironia all'indirizzo dei fanatici della circoncisione. Se son così teneri di mutilazioni corporali, non si fermino al taglio d'un po' di pelle, ma facciano quel che facevano nella città stessa di Pessinonte taluni sacerdoti della dea Cibele, si facciano addirittura evirare. Così sarà più meritorio ancora il loro fanatismo e così potranno gloriarsi più ancora «nella carne»! Lo stesso disgusto per il fanatismo ritualistico dei giudaizzanti esprime l'apostolo allorchè scrive ai Filippesi 3:2: «Guardatevi dai cani... guardatevi dalla mutilazione» e vuol dire: dai fanatici della circoncisione.

AMMAESTRAMENTI
1. La libertà spirituale è dono di Cristo al credente. Egli si è sottoposto alla legge come nostro rappresentante, ne ha soddisfatto i requisiti, ne ha portato la maledizione affini di affrancar noi dalla condanna pronunziata dalla legge e dal giogo di essa. Affrancandoci dalla legge mosaica ci ha, a maggior ragione, affrancati dal giogo delle tradizioni, leggi e imposizioni umane in materia di religione e di coscienza. Cristo ha fatto del suo popolo una società di figli di Dio, di figli maggiorenni che ubbidiscono per amore, sotto l'ispirazione e guida dello Spirito di Dio, il quale rinnova il loro cuore. «Impariamo dunque, scrive Lutero, ad esaltar questa nostra libertà la quale ci è stata acquistata non da un imperatore, da un profeta, da un patriarca o da un angelo del cielo, ma dal Figliuol di Dio, Gesù Cristo... Egli ce l'ha acquistata colla sua morte e non ci ha affrancati, da mera servitù corporale, di breve durata, ma da una servitù spirituale ed eterna sotto a quei potentissimi ed invincibili tiranni che sono la legge, il peccato, la morte e il diavolo».
La libertà cristiana è stata e sarà sempre insidiata ed osteggiata nel mondo ed anche nella Chiesa.
L'osteggiano in tutti i tempi coloro che insegnano la salvazione per mezzo delle opere. Per loro la libertà cristiana è cosa inconcepibile e pericolosa perchè la confondono con la licenza, e stimano la vita morale compromessa quando il dovere non sia imposto come giogo; mentre nulla può garantirla meglio d'un cuor rigenerato e ripieno dello Spirito di santità e di amore.
L'osteggiano i fanatici dei riti, delle tradizioni e delle formule umane dando a queste una esagerata importanza religiosa.
L'osteggiano coloro che confiscano per se il governo della Chiesa. Le gerarchie clericali oppressive che han ridotto il laicato ad un gregge muto di schiavi o di minorenni cui non resta che dire: Amen, a quanto decretano in materia di dottrina, di morale, di costituzione ecclesiastica e perfino di condotta politica, un papa, un S. Sinodo, e altri potentati tirannici.
La mette in pericolo chiunque, anche con buone intenzioni, induce il prossimo ad alienare la propria libertà con voti od impegni perpetui relativi ad, astinenze non dal male ma da cose per se stesse perfettamente lecite al cristiano.
Il cristiano ha dunque il dovere di star saldo nella libertà e di resistere a qualsiasi tentativo di curvarlo sotto il giogo della servitù. È un dovere di riconoscenza e di fedeltà, verso Cristo che ha affrancato i suoi col sacrificio di se, non affinchè si lasciassero subito appresso rapire la libertà, ma affinchè stessero saldi e perseveranti in essa. Se l'Italia libera si piegasse oggi nuovamente alla tirannide, non sarebbe questo il peggiore insulto a quei tanti che diedero la vita per la libertà della patria?
È un dovere che esige vigilanza, poichè le insidie alla libertà si presentano di solito sotto parvenze innocue, come atti di umiltà o di carità da compiere verso gli altri. È un dovere che esige forza e fermezza. «I pigri e gli assopiti non sono atti a custodire e a difendere la libertà» (Lutero). L'atmosfera della libertà è ossigenata e fresca; ci tiene sempre desti; si tratta di assumer responsabilità, di condursi virilmente come figli di Dio, e perciò l'inclinazione all'indolenza ed allo scaricar sugli altri le proprie responsabilità, le è contraria.
2. In tutte le sue epistole Paolo insegna che l'uomo è salvato per grazia e non per merito delle sue opere; ma in nessun'altra egli espone con tanta insistenza l'assoluta incompatibilità tra la salvazione per grazia e la salvazione per opere, e quindi la impossibilità di combinare insieme i due sistemi come tentavano di fare i giudaizzanti di Galazia e come spesso s'illude di poter fare la superficialità umana.
Sotto tutte le forme dichiara l'apostolo questa incompatibilità. Se accettano la circoncisione come condizione di salvezza, Cristo non sarà loro d'alcuna utilità; essi si ripongono sotto al patto legale e ne dovranno osservare appieno le condizioni, che si riassumono nell'ubbidienza perfetta a tutta quanta la legge. Cercando d'esser giustificati dalla legge perdono ogni diritto a Cristo ed all'opera sua, recidono il legame che li univa a lui, abbandonano del tutto il terreno della grazia.
Colla maggior solennità dichiara l'apostolo l'incompatibilità tra grazia e opere meritorie: Ecco, io Paolo vi dico... Da capo protesto ad ogni uomo... Non si tratta di cosa secondaria, ma dell'essenza stessa del Vangelo ch'egli annunzia e che ha ricevuto da Dio.
Perchè non si possono amalgamare grazia e opere meritorie?
Anzitutto perchè sono cose opposte per la loro stessa natura. Se Dio salva l'uomo per grazia, per mezzo di Cristo, ciò vuol dire che l'uomo è sotto condannazione ed è, incapace di liberarsi da essa e dalle catene del peccato. Se invece l'uomo si salva per le sue opere ciò implica ch'egli non è sotto condanna e che ha la capacità di soddisfare i requisiti della legge e della giustizia di Dio. Se l'una cosa è vera, l'altra non lo può essere. Il sì esclude il no, il bianco è la negazione del nero.
L'uno dei due sistemi, cioè quello della salvazione per opere, poggia sul vuoto, sul falso. Figurarsi che il male fatto dall'uomo si possa compensare con un po' di bene (o di quel che si crede tale) è una illusione. Figurarsi che un po' di sofferenza terrena possa espiare le innumerevoli offese a Dio è una seconda illusione che l'uomo si foggia da se. Figurarsi che si possa staccare dall'insieme della legge quelle parti che più garbano all'uomo per limitarsi ad osservar soltanto quelle, tralasciando tutto il resto della legge, è una terza illusione che l'uomo si crea da se arbitrariamente. E l'illusione è tanto più grave in quanto che l'uomo suole scegliere le parti della legge che sono le più facili ad osservarsi mentre tralascia le più importanti. Si eviteranno certi peccati più visibili, si praticheranno certe opere esterne come l'elemosina od il digiuno, si osserveranno taluni riti come la circoncisione od il battesimo, od altri d'istituzione umana, e si tralascieranno l'amor di Dio e l'amor del prossimo, i doveri della purezza, dell'umiltà e della santità.
Il sistema della salvezza per opere meritorie umane annulla o riduce al minino il valore dell'opera di Cristo. A che pro un Salvatore se possiam salvarci da noi? A che pro i patimenti e l'agonia e la morte atroce del Cristo se l'espiazione del peccato la possiam far da noi e se siamo in grado di soddisfare alle esigenze della giustizia di Dio? Il Figliuol dell'uomo è venuto a cercare e salvare ciò ch'era perduto; ma se l'uomo non era perduto, l'opera di Cristo è stata inutile. Nel fatto, la storia come, l'esperienza individuale dimostra che quanto più si esaltano le capacità autosalvatrici dell'uomo, tanto più si diminuiscono la persona e l'opera di Cristo, fino a ridurlo a un semplice rivelator del Padre, a un modello di pietà. Più si glorifica l'uomo e meno si glorifica Dio al quale ogni gloria appartiene. Non siamo noi che abbiamo amato Dio, ma è Dio che ha amato noi e ci ha dato un Salvatore.
Non è dunque possibile tenere il piede in due staffe e convien deciderci o per la grazia di Dio o per i meriti nostri; per le nostre misere opere e pratiche o per Cristo perfetto ed eterno Salvatore.
3. Galati 5:5-66 contengono un duplice avvertimento per i cristiani di tutti i tempi.
a) Nel cristianesimo non hanno importanza le cose esteriori: l'appartenenza ad un popolo piuttosto che ad un altro, la discendenza dagli antenati, il color della pelle, la condizione sociale, i riti e le cerimonie, l'organamento ecclesiastico ecc. Quel che ha importanza vitale è l'interiore: la fede del cuore contrito che abbraccia Cristo qual Salvatore e a lui solo si abbandona per il tempo e per l'eternità.
b) La fede che salva perchè unisce il credente a Cristo non può essere e non è una mera fede storica o intellettuale. Non è un credere certe cose di Cristo, ma è un credere in lui qual Salvatore vivente e presente. Mentre una tal fede implica di necessità una certa conoscenza di Cristo perchè non si può credere in uno quando non si sa chi egli sia, essa è, nella sua essenza, una fiducia del cuore che si abbandona a Colui che si è dato per noi. E un tale abbandono interessa a sua volta la volontà poichè il credere in Cristo Salvatore e Signore è l'atto più importante, più decisivo della vita di una creatura morale. Da esso dipende infatti l'orientamento di tutta l'esistenza e di tutta l'attività. La fede che unisce l'anima a Cristo non è dunque una fede morta come quella dei demoni o degli ipocriti, ma è fede viva perchè per essa fluisce nell'anima una vita nuova, ed essa manifesta la sua vitalità ed energia mediante l'amore cristiano e le opere dell'amore. «E questo non vuol dir altro, nota Lutero, se non che per essere veramente cristiano bisogna essere veramente credente. E uno non crede veramente se le opere dell'amore non seguono la fede. E così Paolo esclude gl'ipocriti dal regno di Cristo tanto dalla sinistra che dalla destra. Dalla sinistra i Giudei e quelli che fidano nelle loro proprie opere, quando insegna che la circoncisione e le opere quali che siano e le cerimonie non hanno valore in G. C., ma la sola fede, ad esclusione della fiducia nelle opere. Dalla destra, esclude i pigri ed oziosi che dicono: Se la fede giustifica senza le opere, non abbiamo dunque nulla da fare; basta che crediamo e poi possiam far quel che vogliamo. S. Paolo insegna altrimenti. È vero che la sola fede giustifica senza le opere, ma io parlo della vera fede, la quale non deve rimanere oziosa quando ha giustificato l'uomo, anzi è operante per mezzo della carità». (Ad Gal. V).
4. Da Galati 5:7-12 impariamo che i cristiani possono principiar bene la loro carriera spirituale e correr bene per un tempo; ma devono prepararsi ad incontrare sulla loro via degli intoppi che li fermeranno. Saranno dei seminatori di dottrine sovvertitrici del vangelo, saranno dei libri, dei giornali, degli amici che insinueranno nei loro cuori il dubbio, il turbamento, la persuasione a non perseverare nell'ubbidienza alla verità, ad allontanarsi dalla grazia e da Cristo mediator della grazia, per affidarsi alle loro forze od alla magia dei riti esterni. Chi li trae lungi da Cristo si servirà troppo spesso di mezzi poco leali: traviserà la verità del Vangelo nonchè le intenzioni e gli atti dei suoi banditori, di null'altro curandosi che di far trionfar quella speciale teoria, quella speciale forma di cui è divenuto fanatico. I credenti devono esaminare con calma ogni cosa prima di lasciarsi trascinare e soprattutto dovranno domandarsi se la persuasione che si vuol insinuare in loro è conforme alla Parola del Dio che li ha chiamati a se, e diffidare di tutto ciò che tende a separarli da Cristo e dalla sua salvezza. «A chi ce ne andremmo? Tu hai parole di vita eterna». L'anima che si separa da Cristo dopo averlo conosciuto, piomba nelle tenebre e nella morte.
5. Grande è la responsabilità cui va incontro chi arresta nel suo normale e promettente sviluppo la fede e la vita dei neofiti datisi a Cristo; chi getta nelle anime credenti e nelle chiese cristiane lo scompiglio inquinandone la fede con principii contrarii all'evangelo che gli apostoli ricevettero dal Signore; chi trae gli uomini lungi dalla grazia di Dio e dalla salvazione assicurata dall'opera di Cristo, per pascerli di teorie filosofiche, di tradizioni umane, di favole, di pratiche meritorie che lascieranno l'anima delusa e turbata.
Il giudicio di Dio colpirà chi, con mezzi anche disonesti, sovverte la verità di Dio e guasta l'opera sua nei cuori e nel mondo.
Badi chi semina di seminare il buon grano della Parola di Dio; badi chi parla, di parlar conforme «gli oracoli di Dio»; badi l'economo «a tagliar dirittamente il pane della verità» e a non dare la crusca delle sue elucubrazioni a chi ha bisogno di cibo nutritivo e sano.

13 III. PARTE PRATICA LA VITA NELLA LIBERTÀ

Galati 5:13-6:10

L'Olshausen ha intitolato questa parte dell'Epistola: «Avvertimenti contro l'abuso della libertà»; e il Godet: «Il frutto della libertà». «La libertà spirituale, dice quest'ultimo esegeta, mentre è l'affrancamento dalla legge, non è punto l'emancipazione della carne; è anzi la dominazione dello Spirito sulla carne fino alla estirpazione di questa, di modo che la vita terrestre diventa il tempo della seminagione in vista di una messe di vita eterna». L'apostolo ha mostrato come, in Cristo, il credente diventa figlio e quindi partecipe dei beni assicurati ai figli di Dio; fra questi beni il più prezioso è lo Spirito fonte di vita nuova e arra della eterna eredità di perfezione gloriosa. Nell'abitazione e nell'opera dello Spirito nel cuore sta la garanzia contro gli abusi della libertà cristiana. Reuss osserva: «Ogni emancipazione offerta o concessa a degli uomini non abbastanza preparati a farne un uso legittimo può volgere al male per via dell'abuso ch'essi ne farebbero. Parlar di libertà a degli uomini che non vedono in essa se non l'affrancamento da un freno è un esporli a buttarsi del disordine e nella licenza. Paolo ne ha fatto altrove l'esperienza 1Corinzi 6:12; 10:23. Perciò egli si affretta a prevenire ogni falsa interpretazione del suo principio... Col dichiarar abolita la legge, egli non intende abbandonar l'uomo al naturale sfogo dei proprii desiderii, senza freno alcuno. Al contrario, la legge è sostituita da una guida più potente, dallo Spirito. Ella è divenuta superflua là dove questa guida ha preso possesso della volontà».
La terza parte dell'epistola potrebbe dunque riassumersi in questa proposizione: La vita nello Spirito è la garanzia suprema contro tutti gli abusi della libertà cristiana. Paolo svolge successivamente sotto forma di esortazioni adattate allo stato delle chiese galate, questi concetti:
1) Galati 5:13-15: La vita nella libertà devo aver per norma suprema l'amore.
2) Galati 5:16-25: La vita nella libertà è vita creata e retta dallo Spirito che solo può dar la vittoria sulla carne.
3) Galati 5:26-6:10: In applicazione di cotali principii generali, devono i Galati seguir gl'impulsi dello Spirito: a) conducendosi con umiltà e con mansuetudine verso i fratelli anche se caduti; b) provvedendo generosamente ai bisogni dei conduttori ed alle opere di beneficenza.

Sezione A. Galati 5:13-15

LA VITA NELLA LIBERTÀ DEVE AVER PER NORMA L'AMORE

Invero, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; solo, non fate della libertà un'occasione per la carne, ma, per mezzo dell'amore, servite gli uni agli altri.

L'invero si riconnette con quanto precede e serve di conferma e di giustificazione allo sdegnato sarcasmo del v. Galati 5:12; quasi dicesse: Non è senza ragione ch'io parlo così, relativamente a quelli che vi mettono sossopra, perchè voi, fratelli, siete stati da Dio chiamati alla libertà dei figli ed essi vi vogliono ridurre in servitù colle loro mutilazioni carnali! Libertà però non significa licenza; e l'apostolo li mette in guardia contro il possibile abuso della libertà. Manca nel greco il verbo e va supplito: non usate, o non fate della libertà... «Può darsi, osserva il Lightfoot, che in Galazia come nella, chiesa di Corinto, un partito opposto ai giudaizzanti avesse mostrato una qualche tendenza ad eccessi antinomiani. Ad ogni modo, uno scoppio di quel genere era pur sempre da temersi in una società di pagani convertiti, sia come protesta sia come reazione contro lo stretto formalismo che il partito giudaico cercava d'imporre alla chiesa, ed in tal caso l'indole appassionata di un popolo celtico doveva accrescere i timori dell'apostolo».
Non devono fare della loro libertà cristiana che li emancipa dal giogo della legge una occasione, od un pretesto per abbandonarsi agli impulsi peccaminosi della carne cioè della lor natura corrotta, del vecchio uomo che, non morto ancora, lotta in essi contro allo Spirito. Nello stato di agitazione, di eccitazione in cui erano le chiese di Galazia, pare che i loro membri fossero portati a criticarsi, ad attaccarsi, ad accusarsi a vicenda Galati 5:15; Paolo quindi ricorda ai suoi fratelli che la loro libertà ha da esser temperata e regolata, nei riguardi del prossimo, dalla legge suprema dell'amore che riassume, in se tutti i doveri. L'amore li spingerà a ricercare, non il male ma il bene del prossimo, a rinunziare a se stessi per procurarlo, a farsi servi volonterosi gli uni degli altri alla maniera di Cristo che «non venne per esser servito ma per servire e per dar l'anima qual prezzo di riscatto per molti», che «spogliò se stesso e prese forma di servo» Matteo 20:28; Filippesi 2:7. Una esortazione analoga si legge nella 1Pietro 2:16, rivolta anch'essa alle chiese dell'Asia Minore: «Come liberi, e non facendo servir la libertà per coprir la malizia, ma come servi di Dio».

14 Tutta la legge, infatti, si adempie coll'osservar quest'unica parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso».
Stando al contesto, l'espressione tutta la legge va intesa della legge relativa ai doveri verso il prossimo riassunti nella seconda tavola del Decalogo. L'evangelo emancipa l'uomo dalla legge considerata come mezzo di conseguire la giustificazione davanti a Dio l'uomo non è in grado di portare un tal giogo; ma non lo emancipa dall'obbligo morale, ch'è la sostanza della legge, anzi accresce infinitamente per lui l'obbligo di conformarsi alla volontà di Colui che lo ha salvato; ma gliene da in pari tempo la forza. Il greco dice lett. è adempiuta in un'unica parola... Il passo Romani 13:8-10 ch'è un'amplificazione di quello dei Galati contiene lo stesso verbo: «chi ama il prossimo ha adempiuta la legge... la carità è dunque l'adempimento della legge»; ma ne contiene un altro egualmente vero quando dice che i precetti del «non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non concupire ecc.» si riassumono in questa parola: "Ama il tuo prossimo..." perchè nel comandamento di Levitico 19:18 tutti gli altri che proibiscono di far del male al prossimo sono necessariamente compresi come il meno è compreso nel più. Qui però non abbiamo che il primo verbo ed il senso è: Tutta la legge si adempie quando si adempie quell'unica parola che prescrive di amare il prossimo. Cfr. l'inno all'amor cristiano 1Corinzi 13. Per il concetto del «prossimo» Cfr. Matteo 22:34-40; Luca 10:25-37: il buon Samaritano. D'altronde l'amor del prossimo presuppone l'amor di Dio e scaturisce da quello. «L'amore, scrive S. Giovanni, vien da Dio e chi ama è nato da Dio e conosce Dio... Se uno dice: "Amo Dio e odia il suo fratello, egli è bugiardo... Ognuno che ama Colui che l'ha generato ama chi è stato generato da lui. Da questo conosciamo che amiamo i figli di Dio: se amiamo Dio e mettiamo in pratica i suoi comandamenti» 1Giovanni 4:7,20; 5:1-2.

15 Ma se vi mordete e divorate gli uni gli altri, guardate che non siate gli uni dagli altri consumati.
Mentre l'amore è benefico a chi lo nutre in cuore e a chi n'è l'oggetto, l'odio è fatale alla vita morale e spirituale di entrambi. Le immagini di cui Paolo si serve sono tolte dal mordersi e divorarsi che fanno gli animali in lotta fra loro. Lo scompiglio gettato nelle chiese dall'intrusione dei giudaizzanti deve aver fatto nascere sospetti, partiti e lotte aspre che minacciavano di distruggere in tutti la vita cristiana.

AMMAESTRAMENTI
1. Paolo, il campione strenuo della giustificazione per grazia, mediante la fede, si mostra, in tutte le sue epistole, campione non meno strenuo delle opere che sono frutto della fede. Mentre insiste sulla libertà alla quale Dio chiama i credenti in Cristo, egli non trascura d'insegnare che la libertà cristiana non è destinata a togliere ogni freno alla natura corrotta, in altri termini che libertà non è licenza.
Il proclamar la salvazione per grazia e l'inculcare i doveri dei salvati saranno sempre cosa essenziale nell'insegnamento d'ogni fedel ministro del vangelo. È necessario il primo di questi insegnamenti onde l'uomo non cerchi la salvezza fuor di Cristo; ma non è meno necessario il secondo insegnamento affinchè l'uomo non volga al male anche la grazia di Dio. Un tal pericolo non è immaginario. Fin dal tempo degli apostoli si trovarono degli uomini carnali, sotto vernice cristiana, i quali adottavano il motto: «Pecchiamo acciocchè la grazia abbondi», uomini dalla «fede morta», «empi che tramutavano in dissolutezza la grazia di Dio», che «promettevano la libertà mentre essi stessi ciano schiavi della corruzione» 2Pietro 2:19; Giuda 1:7. E di poi, ovunque è risuonato l'annunzio della grazia, non son mancati coloro che hanno abusato della grazia. «Questo male, esclama Lutero con amarezza, è molto comune ed è il peggiore fra quelli che Satana suscita contro la dottrina della fede. La carne non sa cos'è la grazia di Dio e quando sente che non siam giustificati dalle opere ma dalla sola fede, ne trae questa conclusione: Se siam liberi dalla legge viviamo come ci pare e non facciamo alcun bene... Ma noi a tali sprezzatori annunziamo come cosa certa che, se essi usano dei loro corpi e dei loro beni secondo i loro appetiti, senza assistere i poveri, senza prestare ai bisognosi; anzi trafficando per ingannare i fratelli e darsi ad ogni sorta di rapine, essi non sono liberi, no, come vantano di essere, anzi sono schiavi del diavolo, e sotto coperta di libertà sono sette volte peggiori di quel che fossero sotto la tirannia del papa. Il diavolo è tornato in loro con sette altri spiriti maligni ed il loro ultimo stato è peggiore del primo».
La libertà non è fine a se stessa, ma è mezzo per meglio raggiunger l'alto fine cui l'uomo è da Dio destinato. Il figlio di Dio non è emancipato per ribellarsi alla volontà del Padre e per disonorarlo, ma per ubbidirgli con più intenso amore. Il cristiano non è redento dal sangue di Cristo per tornare schiavo del peccato, ma per morire ad esso e vivere una vita nuova in unione con Cristo. Lo Spirito ch'è dato al credente e gl'insegna a chiamar Dio col dolce nome di Padre, non è spirito di dissolutezza ma di santità. Il coronamento glorioso della libertà cristiana è l'affrancamento completo dalla schiavitù del male ch'è la più triste e la più ignominiosa di tutte. «Chi fa il peccato, dice Gesù, è schiavo del peccato».
2. Il miglior preservativo contro l'abuso della libertà e in pari tempo la più sicura norma per il retto uso di essa sia nell'amore che si pone volontariamente al servizio del prossimo per il bene. Già nella conferenza di Gerusalemme ove si era affermata la libertà dei cristiani dalla legge giudaica, si era consigliato per un riguardo caritatevole verso i Giudei un temperamento transitorio. Più tardi, sempre quando si presenterà l'occasione, Paolo manterrà energicamente il pieno diritto della libertà; ma esorterà i cristiani a regolare l'uso del loro diritto secondo la norma della carità onde non scandalizzare i fratelli deboli. Così nella prima ai Corinti ove si tratterà della libertà di mangiare delle carni offerte agli idoli 1Corinzi 12;14, e così in Roma ove si tratterà della libertà riguardo ai cibi ed all'osservanza di giorni speciali 1Corinzi 14; 15. Paolo ha seguito egli stesso quella regola d'oro facendosi tutto a tutti come ha fatto Cristo per la nostra salvazione.
È questo un servire che non avvilisce anzi nobilita.
È questa una norma che non ha nulla di casuistico perchè è un principio generale, profondo e comprensivo che serve per tutte le circostanze e per tutti i tempi, serve per i cristiani dell'oggi come per quelli di 19 secoli fa.
Uniformandosi a questa norma ch'è un'ispirazione interna, si adempie, nella sua essenza permanente e immutabile, la legge che concerne il prossimo.
È questa una norma degna del Dio ch'è amore e dell'uomo creato ad immagine di Dio e legato agli altri uomini da legami di solidarietà naturale e talvolta anche religiosa.
3. Più è, perfetta la norma della vita cristiana e più colpisce il contrasto troppo frequente tra la norma dell'amore e la condotta pratica dei cristiani che si mordono e divorano a vicenda. È stato detto «homo homini lupus», ma spesso si potrebbe anche dire christianus christiano lupus. Le controversie sulle dottrine religiose sono state le molte volte l'occasione di aspre guerre di parole, di sentimenti ed anche di fatti tra cristiani. Gl'infiniti scismi hanno creato tanti campi separati armati in guerra gli uni contro gli altri. Le divergenze di pareri, i conflitti d'interessi, la disparità dei caratteri, la vivacità del temperamento latino, e più di tutto, l'orgoglio, aprono l'adito a dispute, a dissensi, a sospetti, a critiche, a maldicenze, a rancori, ad inimicizie che consumano il tempo, le facoltà, la pace, i buoni sentimenti, la vita spirituale stessa dei credenti; così come distruggono la buona fama delle chiese, la riputazione di superiorità del cristianesimo, compromettendone la diffusione nel mondo. Le parole e gli atti che sono improntati all'odio segreto contro i nostri fratelli fanno del male a loro, ma ne fanno altrettanto a noi e questi mali addizionati sono tutti a scapito della causa di Cristo intorno a noi e nel mondo. «Sopra ogni cosa, guarda il tuo cuore, poichè da esso procedono le fonti della vita».

16 Sezione B. Galati 5:16-25

LA VITA NELLA LIBERTÀ È VITA CREATA E RETTA DALLO SPIRITO CHE SOLO PUÒ DAR LA VITTORIA SULLA CARNE

Il servire agli altri secondo la norma dell'amore, ha detto Paolo, vi preserverà dall'abusare della libertà cristiana. Ma dove si troverà la potenza rinnovatrice che purifichi il cuore, che infonda l'amor di Dio e del prossimo nel credente emancipandolo dalla potenza dell'egoismo carnale? Essa trovasi, risponde l'apostolo, nello Spirito, non nello spirito umano e nella natura morale dell'uomo, ma nello Spirito di Dio ch'è Spirito di vita, d'amore e di santità. «La legge dello Spirito della vita ch'è in Cristo Gesù, mi ha affrancato, dice Paolo, dalla legge del peccato e della morte» Romani 6:2.
Ora io dico: Camminate per lo Spirito e voi non soddisfarete i desideri della carne.
Il greco πνευματι (per lo Spirito) è stato inteso in sensi varii: "secondo la norma o la guida dello Spirito" come a Galati 5:18 ove dice: «Se siete guidati dallo Spirito»; ovvero: "nello Spirito" che indicherebbe l'atmosfera in cui ha da muoversi la vita del cristiano. Meglio attenersi al senso strumentale più ovvio di quel dativo e tradurre: per lo spirito, ch'è quanto dire: Sia tutta la vostra condotta animata e retta dalla potenza vivificante e santificante dello Spirito che abita in voi quali figli di Dio Galati 4:6. In Galati 5:25 dirà: «Se viviamo per lo Spirito, camminiamo pure per lo Spirito;» e in Galati 5:17 lo Spirito è presentato come quel che suscita nel credente le aspirazioni più nobili e sante. Se essi si abbandonano alla potenza ispiratrice dello Spirito essi, dice letter. non adempiranno la concupiscenza della carne, cioè non tradurranno in atti i desiderii della natura corrotta. Carne non significa qui la natura fisica considerata come sede del male, bensì la natura umana quale l'ha ridotta il peccato, natura egoistica, aliena da Dio, e dalla vita spirituale, portata alle cupidigie terrene e sensuali. Si potrebbe tradurre: «E non soddisfate i desideri...»; ma il considerare il verbo come un futuro risponde assai meglio al corso dei pensieri svolti qui dall'apostolo. I Galati non devono far della libertà un'occasione per la carne... Come vi riusciranno? «Camminato, dice Paolo, spinti e retti dalla virtù potente dello Spirito Santo» e voi non adempirete le concupiscenze della carne poichè dove governa lo Spirito muore la carne, coi suoi desiderii.

17 Poichè la carne ha dei desiderii contrarii allo Spirito e lo Spirito ha dei desideri contrarii alla carne; sono cose opposte l'una all'altra così da impedirvi di fare quel che vorreste.
L'antagonismo tra gl'impulsi dello Spirito dato al credente e quelli della carne, cioè dell'uomo vecchio che conserva ancora nel cristiano una vitalità più o meno grande, non è quello descritto nel cap. VII ai Romani 8 ove si tratta del conflitto morale tra la legge della mente e la legge ch'è nelle membra, tra la coscienza desta al senso dell'obbligo morale e le inclinazioni naturali al male. Un tale conflitto esiste nell'uomo all'infuori del cristianesimo e conduce alla triste constatazione della impotenza dell'uomo a vincere il male. Qui invece si tratta di una lotta tra lo Spirito di Dio nel credente e quel che resta in lui della natura corrotta; ma il conflitto terminerà colla vittoria dello Spirito descritta in Romani 8. L'ultima parte del v. dice lett. affinchè (ἱνα με...) le cose che volete non le facciate. Alcuni interpreti vi scorgono l'idea espressa dall'Olshausen: «Il fine ultimo di questo conflitto è di ritrarre l'uomo dalla servitù al proprio volere per sottoporlo al volere dello Spirito divino». Paolo direbbe in altri termini:... «affinchè impariate a fare non la vostra propria volontà ma la volontà di Dio;» e si citano a conferma le parole di Gesù sulla necessità di rinunziare a se stessi, e quelle di Paolo Galati 2:20: Non più io vivo ma Cristo vive in me. Altri intendono la frase in senso generico: "affinchè qualunque sia, in un dato momento, il vostro desiderio, non possiate seguirlo senza un interno contrasto del principio contrario". Se vi muove l'impulso dello Spirito, ecco la carne che vi è opposta; se vi spinge la concupiscenza della carne, ecco lo Spirito che fa udir la sua voce nella vostra coscienza per distogliervi dal male. La vostra vita ha da essere lotta continua, ma se vi lasciate governare e ispirare dallo Spirito sarete vittoriosi sulla carne. Non è sostanzialmente diverso il senso cui si giunge quando si da alla ἱνα (affinchè) il significato per verità insolito di: talchè, in guisa che: «Sono cose opposte fra loro, talchè voi non potete fare senza contrasto quel che vorreste, tanto per il bene che per il male».

18 E se siete condotti dallo Spirito, non siete sottoposti a una legge.
Per l'espressione condotti dallo Spirito va confr. Romani 6:14: «Quanti sono condotti dallo Spirito di Dio, sono figliuoli di Dio». Non sono "sotto legge" perchè, guidati come sono da una potenza interna di vita nuova, non hanno bisogno di legge esterna colle sue restrizioni, proibizioni e minaccie. Hanno la legge di Dio scritta nel cuore dallo Spirito e quindi non sono più sottoposti a una legge imposta dal di fuori ed incapace d'infonder la vita. D'altronde la legge non è fatta per chi è retto dallo Spirito 1Timoteo 1:9 ed essa non condanna i frutti dello Spirito: «Contro a cotali cose non v'è legge» Galati 5:24. «Chiunque è nato da Dio, dice S. Giovanni, non pecca». Se son condotti dallo Spirito non hanno più bisogno della legge nè la legge ha più che fare con loro.

19 Ora sono manifeste le opere della carne e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza,
L'albero si conosce dai frutti e l'opposizione tra gl'impulsi della carne e quelli dello Spirito risulta evidente quando si considerino le opere che procedono dalla natura corrotta e quelle che sono frutto dello Spirito. Stando al testo delle edizioni critiche Tregelles, Tischendorf, Hort, Nestle, sono qui enumerate quindici sorte di opere della carne. Il testo ordinario ne ha 17 perchè a Galati 5:19 porta in capo all'elenco: «adulterio», parola che manca nei quattro codici più antichi ed è stata probabilmente presa dai passi analoghi; a Galati 5:21 porta, dopo «invidie»: omicidi, che manca nel Vaticano e nel Sinaitico, ma è, ritenuto da critici autorevoli quali B. Weiss. quindici termini possono formare quattro gruppi secondo il criterio dell'affinità: 1) i peccati d'impurità (tre); 2) i peccati d'idolatria (due); 3) i peccati contro la legge della carità (otto); 4) i peccati d'intemperanza (due). Quanto ai peccati d'impurità, la fornicazione è il termine più specifico accennando alle relazioni sessuali all'infuori del legittimo matrimonio. Paolo condanna dovunque energicamente quel peccato, così comune nel paganesimo antico e moderno da esser considerato come cosa indifferente e quasi necessaria (Cfr. 1Tessalonicesi 4:37; 1Corinzi 6:9-20). Impurità è più generico e comprende anche i peccati contro natura mentovati Romani 1:26-28 ed altrove. Dissolutezza cfr. Romani 13:13, Efesini 4:19 è stata definita «la sete di piaceri» ed all'idea d'impurità aggiunge quella dell'impudenza che calpesta apertamente le leggi della decenza e del pudore; è lo sfrontato libertinaggio.

20 Fra i peccati d'idolatria son mentovati:
idolatria, stregonerie,
L'apostolo scrive a degli ex pagani che vivono in ambiente saturo di paganesimo; quindi idolatria va inteso in senso proprio di adorazione degli idoli con tutto quello che di abbietto si connetteva coll'idolatria nella Galazia e nella Frigia. Invece di stregonerie Diodati ha tradotto: "avvelenamenti", ed altri: "veneficii" (φαρμακεια). Ma la parola, che accenna all'uso di droghe, può applicarsi ai medicamenti, alla confezione di veleni, od alle pratiche degli stregoni. Nella LXX come nel N. T. ha più spesso il significato di stregoneria o magia Deuteronomio 18:10; Esodo 22:18. Anche nell'Apocalisse 21:8 sono uniti gli stregoni agli idolatri. La pratica delle arti magiche e delle stregonerie sotto molteplici forme era dovunque connessa colle religioni idolatriche, ma lo era più specialmente nell'Asia Minore come risulta da Atti 19:19 e segg. Ancora nel 314 il concilio d'Ancira capitale della Galazia condannava energicamente le "farmacie" cioè le stregonerie.
Nell'enumerazione dei peccati contro la legge di carità v'è una specie di gradazione. Prima abbiamo il termine generico
inimicizie
al plurale per indicare le diverse forme in cui si manifesta il sentimento interno, le diverse persone cui può riferirsi, i diversi gradi d'intensità e di durata che può assumere. Poi
contese
che nel greco è al singolare come il seguente
gelosie
di cui è fonte l'egoismo. Quindi le
ire
(θυμοι) che sono gli sfoghi impetuosi, le escandescenze subitanee ma passeggere dell'ira o dell'iracondia; gli
intrighi di parte
o mene faziose. Secondo l'etimologia il fazioso (εριθος) è in origine uno che lavora per un salario, quindi si applica a uno che segue il partito di chi lo paga senza badare alla qualità dei mezzi che adopra. Il senso di «risse» della Vulgata e della diodatina non risponde all'uso della parola nella letteratura classica e nel N. T. Meglio intrighi di parte che dinotano invidia, spirito di contesa e disposizione alle macchinazioni.
divisioni
nei vari consorzi fatti per essere uniti e compatti,
sette
(ἁιρεσεις) cioè partiti aventi per bandiera una qualche dottrina particolare. Nel N. T. la parola eresia che originariamente vale: scelta, opinione, non ha ancora il significato che rivestì più tardi di dottrina contraria al credo della chiesa cristiana; vi si parla della «eresia» dei Farisei, dei Sadducei, dei Nazarei ossia cristiani Atti 5:17; 15:5; 24:5; 28:22. Cfr. la nota sulla parola airetikos in Tito 3:10.

21 invidie.
Lightfoot distingue zèlos, (gelosie Galati 5:20) da phtónoi (invidie) osservando che il primo, contenendo l'idea fondamentale di ardore, accenna alla brama di arrivare ad essere come un altro, mentre il secondo implica il desiderio di privare gli altri del bene ch'essi hanno. Se φονοι (omicidi) fosse autentico segnerebbe il punto più alto della inimicizia: l'attentato alla vita del prossimo.
Quanto ai peccati d'intemperanza, l'apostolo nomina solamente gli
avvinazzamenti
o l'ubriachezza, e le
orgie,
termine più generico accennante le notturne gozzoviglie o crapule, accompagnate d'ubriachezza ed altri eccessi.
e cose simili a queste, rispetto alle quali vi predico, come già vi predissi, che coloro i quali fanno cotali cose non erederanno il regno di Dio.
Coll'autorità d'un apostolo Paolo aveva prevenuto i Galati. oralmente quando era istato fra loro una prima ed una seconda volta, ed ora torna per iscritto ad avvertirli della sorte finale di coloro che si danno (πρασσω=praticare) alle opere della carne e non si ravvedono. Il giudicio di Dio li escluderà dal suo regno.

22 Ma il frutto dello Spirito è carità, allegrezza, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, mansuetudine, continenza.
Il testo non offre qui varianti degne di nota. Alle opere della carne l'apostolo contrappone un quadro succinto di disposizioni e di virtù ben diverse ch'egli chiama non più le opere dello Spirito, ma il frutto dello Spirito, il risultato lento, maturo, bello, benefico, vantaggioso all'uomo nel presente e nell'avvenire, dell'azione dello Spirito nel cuore del credente. L'immagine dell'albero e del frutto applicata all'uomo ed alle manifestazioni della sua natura è frequente nelle Scritture. Gesù parlò più volte dell'albero buono che fa buoni frutti e dell'albero cattivo che ne da di cattivi Matteo 7:17; 12:33; assomigliò i suoi a dei tralci uniti alla vite e che portano molto frutto. Paolo parla del frutto della luce che consiste in ogni bontà, giustizia e verità" Efesini 5:9, parla del "portar frutti per Dio" Romani 7:4; 6:21-22. Sono enumerati qui nove virtù che sono il contrapposto delle disposizioni carnali prima indicate. La prima è la carità o l'amore che è come la regina delle disposizioni create dallo Spirito e comprende virtualmente tutte le altre. È chiamata in Romani 15:30 la "carità dello Spirito" appunto perchè ha per autore lo Spirito di amore" 2Timoteo 1:7, Paolo la dice il legame della perfezione Colossesi 3:14 e ne celebra l'eccellenza e la permanenza eterna 1Corinzi 13. L'allegrezza non è la giovialità di temperamento, ma la gioia profonda e santa che inonda l'anima quando è fatta dallo Spirito conscia e certa dell'amore di Dio e della propria salvezza. È chiamata perciò "l'allegrezza dello Spirito Santo" 1Tessalonicesi 1:6. Quando dall'alto sorride l'amor di Dio e la coscienza si mantiene pura, la gioia sgorga anche in mezzo alle tristezze. Paolo e Sila cantano inni a Dio nel carcere di Filippi e i martiri salgono, cantando, sul rogo o sul patibolo. Cfr. 1Tessalonicesi 5:16. Pace s'intende qui della pace cogli uomini, ossia della disposizione a vivere in pace con tutti quando ciò è possibile. L'essere in pace con Dio rende più facile il vivere in pace cogli uomini. Il "regno di Dio non consiste in cibo nè in bevanda ma è giustizia, pace ed allegrezza nello Spirito Santo" Romani 14:17; Efesini 4:3; Romani 12:18. La longanimità è virtù passiva, che sopporta pazientemente i torti inflitti da altri senza lasciarsi andare all'ira o alla vendetta. «L'amore è longanime». La benignità è la disposizione d'animo benevola, amabile, servizievole. La bontà è virtù più attiva, che cerca il bene del prossimo e si adopera nel procurarlo. La beneficenza è una delle sue manifestazioni ma non la sola. La parola che segue (πιστις) può tradursi fedeltà o fede come porta il Diodati. Essa ha il senso di buona fede, di onestà, di fedeltà, in passi come Matteo 23:23; Romani 3:3 «la fedeltà di Dio», Tito 2:10 ove i servi sono esortati a mostrare «ogni buona fede» verso i loro padroni. Sembra che rivesta quel senso qui ove sta tra le parole bontà e mitezza. Altri però le danno anche qui il senso più ordinario di fede in Dio e nella verità evangelica. La mansuetudine o mitezza è l'opposto dell'irascibilità e va unita a modestia. La continenza o temperanza è, come l'indica la parola greca, la padronanza di se per contenere entro giusti limiti gli appetiti del corpo. È opposto quindi tanto ai peccati di sensualità come agli eccessi nel mangiare e nel bere.

23 Contro cotali cose non vi è legge.
La legge infatti, come ricorda l'apostolo 1Timoteo 1:9-10, non è fatta per il giusto, ma ha per iscopo di reprimere e condannare il male. Non può quindi contemplare le virtù che lo Spirito produce nei cuori dei credenti. Per essi che sono sotto una più alta e più potente guida, la legge è divenuta in certa guisa superflua e ad ogni modo non condanna i frutti dello Spirito dinanzi enumerati, nè tutti gli altri dello stesso genere.

24 Or coloro che son di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne colle sue passioni e le sue concupiscenze.
Dopo aver tracciato il quadro dei due opposti generi di vita cui conducono da una parte la carne e dall'altra lo Spirito, Paolo conclude questa sezione col ribadire l'esortazione: «Camminate nella virtù e sotto la guida dello Spirito», poichè la carne i cristiani l'hanno crocifissa quando si sono dati a Cristo. Quelli del Cristo Gesù sono coloro che gli appartengono, che «sono suoi» Romani 8:9 perchè fanno parte del popolo ch'egli si è acquistato come sua proprietà. Quelli che per fede si sono uniti al Cristo in modo da diventar suoi, hanno crocifisso la carne, cioè si sono pentiti delle opere e dei sentimenti ispirati dalla natura corrotta e vi hanno rinunziato con, atto decisivo quando hanno cercato il lor rifugio in Cristo, ed hanno confermata solennemente la loro decisione col battesimo Galati 3:27. La carne è stata da loro confitta alla croce ov'è spirato Colui che ha portato i nostri peccati sul legno». Si tratta di una crocifissione morale, virtuale, che poi ha da esplicarsi nei quotidiani atti di rinunziamento al male, di lotta colle «passioni e concupiscenze» dell'uomo vecchio. In Romani 6 Paolo svolgerà un concetto analogo mostrando come il cristiano è virtualmente morto al peccato e risorto con Cristo a vita nuova. «L'uomo vecchio è stato crocifisso con Cristo affinchè il corpo del peccato fosse distrutto». In Galati 2:19-20 ove si trattava della giustificazione, Paolo diceva: «io sono stato crocifisso con Cristo» e quindi sono morto alla legge la quale ha eseguita la sua sentenza sa di me nella persona di Cristo, il sostituto al quale io sono strettamente unito. Qui ove si tratta della santificazione, dice: «i cristiani han crocifisso la carne colle sue passioni peccaminose e le sue concupiscenze», perchè l'unione vitale con Cristo creata dalla fede implica di necessità la rottura definitiva colla vita nel peccato e la comunicazione di una nuova vita svolgentesi gradualmente fino alla perfetta somiglianza con Cristo. L'atto iniziale compiuto alla conversione indica la rotta scelta, la direzione impressa alla vita intera e nella quale si tratta di perseverare.

25 Se viviamo per virtù dello Spirito, camminiamo anche per la virtù dello Spirito.
Il dativo (per lo Spirito) è anche qui strumentale. Se la nostra vita nuova è dovuta all'opera dello Spirito che n'è il creatore, ella deve svolgersi fino al suo compimento sotto la guida e colla forza dello Spirito ch'è Spirito di vita e di santità. È questa la via logica e la sola possibile per chi vuol giungere alla meta. «Noi siamo debitori non alla carne per viver secondo la carne, poichè se voi vivete secondo la carne voi morrete; ma se per lo Spirito mortificate gli atti del corpo voi viverete» Romani 8:12-13. L'apostolo usa qui per descrivere la condotta pratica del cristiano, una parola più rara dell'ordinario περιπατειν (camminare) e che accenna ad un procedere ordinato, a un proseguir la marcia secondo una data norma Romani 6:16; Filippesi 3:16; Romani 4:12 che in questo caso è fornita dallo Spirito che abita nel credente.

AMMAESTRAMENTI
1. Lo Spirito Santo che nei capitoli precedenti appariva come il gran dono che Dio concede a tutti i credenti nel suo Figliuolo Galati 3:2-5, come la fonte dei carismi, come colui che, abitando nei cuori, vi spande la dolce certezza dell'adozione a figli di Dio Galati 4:6, in questo brano Galati 5:16-25 è considerato sotto l'aspetto dell'opera sua in relazione colla vita cristiana.
a) Egli è l'originatore della vita nuova, spirituale, nei cristiani: essi «vivono per la virtù dello Spirito» della vita, sono «nati di Spirito».
b) Egli è la guida di coloro in cui ha svegliato la vita: sono «condotti dallo Spirito»; guida non esterna nè fredda come la lettera della legge, ma interna e vivente, che parla, che illumina, che consiglia, che suggerisce, che fa risplendere dinanzi all'anima l'ideale divino, che ispira, che conforta.
c) Egli è la forza che sostiene, che fa crescere la vita nuova, che la difende contro le forze avverse che minacciano di soffocarla, che la rende capace di frutti buoni, utili, di sapor celeste, che la fa riuscir vittoriosa della carne e delle sue passioni ed opere.
Perciò, se i cristiani emancipati a libertà vogliono vivere la vita dei figliuoli di Dio e dei redenti di Cristo, se vogliono trionfar del male che ancora è in loro e adempiere la legge divina nella sua essenza morale, riproducendo in loro l'immagine di Dio, non v'è per loro che un'unica via da seguire: vivere sotto la guida e colla virtù dello Spirito.
E lo faranno se ascoltano le direzioni dello Spirito che parla per mezzo della coscienza e per mezzo delle S. Scritture da lui ispirate; lo faranno se assecondano con sincera e salda decisione, con rinunziamento a se stessi, la voce dello Spirito; se non lo contristano colla loro doppiezza di cuore, coi loro interdetti, so non ne spengono la fiamma colle loro resistenze e colle loro disubbidienze; lo faranno se invocano del continuo lo Spirito e contano sul suo aiuto più che sulle loro misere forze.
2. La vita cristiana quaggiù è una lotta non solo contro Satana e contro il mondo, ma una lotta interna del credente contro se stesso, cioè contro quel che resta in lui della natura viziata dal peccato. S. Paolo non reputava d'esser giunto alla perfezione e S. Giovanni chiama bugiardo chi dice che non v'è peccato in lui. V'è in ogni figlio di Dio un germe divino, una vita nuova, un uomo nuovo; ma, per quanto condannato, crocifisso e virtualmente distrutto, l'uomo vecchio sussiste ancora e si spegne lentamente dibattendosi in una lunga e tormentosa agonia. La carne lotta contro lo Spirito con passioni e desiderii che vorrebbe tradurre in opere. All'esterno tutto può parer tranquillo, ma all'interno perdura lo stato di guerra e talvolta infuria la battaglia.
La lotta interna, infatti, è continua. Il cristiano può illudersi di aver vinto definitivamente una speciale inclinazione peccaminosa, quand'ecco ella si ridesta d'un tratto come un nemico che stava in agguato e conviene ricominciar la pugna. Le opere della carne sono molte, il male ha inquinato tutto l'uomo: la mente coi suoi pensieri, il cuore coi suoi sentimenti, il corpo coi suoi istinti; ha inquinato la vita nelle sue varie manifestazioni: le relazioni tra i sessi e la famiglia, la vita religiosa, la vita sociale e la vita individuale. Quando è vinto da una parte, il nemico ricompare sotto altra forma da un'altra parte e fa cadere chi credeva di star saldo in piedi. Non per nulla abbondano nelle parole di Cristo e degli apostoli le esortazioni alla vigilanza.
La lotta è dolorosa. Il poeta Racine esclamava: Mon Dieu, quelle guerre cruelle! j'ai trouvè deux hommes en moi... È dolorosa perchè non possiamo compiere quel bene che pur vediamo e vorremmo raggiungere; è dolorosa perchè spesso cadiamo in modo, umiliante dopo aver fatto le più belle risoluzioni e professioni e promesse. E se anche siamo preservati da peccati scandalosi soccombiamo internamente trascinati da desiderii e sentimenti peccaminosi contrarii alla purezza, alla temperanza, all'amor del prossimo, alla gloria di Dio. Oh! se almeno le nostre cadute ci facessero persuasi e consci della nostra profonda debolezza e ci rendessero umili e vigilanti! Se ci rendessero più prezioso il Salvatore che può e vuole strapparci al presente secolo malvagio, se ci facessero ricercar con più ardore l'aiuto dello Spirito e sospirar dietro al riposo celeste!
Colla forza dello Spirito la lotta non è disperata, ma conduce alla vittoria finale. «Coloro che Dio ha innanzi conosciuti, li ha pure predestinati ad essere conformi all'immagine del suo Figliuolo..» Romani 8: 29-30. Come nella natura, i frutti crescono e maturano lentamente, così anche nell'ordine spirituale i frutti dello Spirito maturano lentamente nell'uomo, ma l'opera incominciata da Dio ha da giungere al suo compimento.

26 Sezione C. Galati 5:26-6:10

GL'IMPULSI DELLO SPIRITO IN QUANTO CONCERNE L'UMILTÀ E LA MANSUETUDINE VERSO I FRATELLI, ANCHE SE CADUTI, IL SOSTENTAMENTO DEI PASTORI E LA BENEFICENZA

La norma suprema della vita nella libertà ha da essere l'amore, la forza vitale interna che la rende vittoriosa della carne e la conduce al suo completo sviluppo è lo Spirito che abita nel credente. In applicazione di cotali principii generali, l'apostolo esorta i Galati a seguir gl'impulsi dello Spirito e la norma dell'amore cristiano in quanto concerne taluni lati speciali della vita cristiana che dovevano essere molto deboli in seno alle chiese galate.

l. Galati 5:26-6:10. Il dovere dell'umiltà e della mansuetudine verso i fratelli, anche se caduti
Non siamo vanagloriosi, provocandovi a vicenda e portando invidia gli uni agli altri.
Il ricercar con avidità una gloria vana, non vera, o semplicemente il fare stima d'una tal gloria, non sarebbe un camminar sotto la guida dello Spirito, anzi sarebbe un lasciarsi ispirare dalla carne. Lo stato di turbamento e di contesa in cui si trovavano le chiese di Galazia congiunto al carattere gallico dei loro membri spiega abbastanza l'opportunità di questa speciale esortazione. La vanagloria poi porta a provocare i fratelli sia col vantare i nostri doni, la nostra superiorità morale, reale od immaginaria, sia coll'umiliare i fratelli o col far poca stima di loro. Porta altresì a sentimenti d'invidia verso i fratelli che hanno doni più brillanti o che sono più onorati. Da ciò l'esortazione analoga ai Filippesi 2:3: «Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma per umiltà ciascuno stimi gli altri superiori a se stesso».