2 Corinzi 13
Sezione B 2Corinzi 13:1-4 RISOLUZIONE DI NON RISPARMIAR PIU OLTRE I COLPEVOLI

Questa è la terza volta che vengo da voi.

L'interpretazione più semplice di queste parole conduce a riguardare la visita che Paolo sta per fare a Corinto, come la terza, non progettata, ma effettiva. Questo suppone due visite anteriori o, come dice al v.2, un essere stato di già «presente per la seconda volta». Difficilmente si potrebbe intendere che Paolo insistesse nel parlar di una «terza volta» 2Corinzi 12:14; 13:1 se in realtà la sua visita fosse poi stata la seconda.
«Per bocca di due o di tre testimoni, ogni cosa sarà stabilita».
Paolo fa sua qui una delle norme portate dalla legge di Mosè in materia giudiziaria. In Deuteronomio 19:25 si legge: «Un solo testimone non sarà sufficiente contro un uomo per stabilire un delitto od un peccato, qualunque esso sia; un fatto non si potrà stabilire (legalmente) che sulla deposizione di due o di tre testimoni». Una tale regola trovasi riprodotta nel N. T. in Matteo 18:16; 1Timoteo 5:19. Ma sul senso che Paolo le dà qui, le opinioni variano. C'è chi vi ha veduto semplicemente l'assicurazione che Paolo, dopo aver due o tre volte annunziato la sua visita, verrebbe per davvero. Altri ha scorto nei tre testimoni i tre soggiorni di Paolo in Corinto, in quanto che gli avrebbero dato il modo di accertarsi bene di ogni cosa. Altri ancora crede che si tratti degli avvertimenti dati oralmente o per iscritto da Paolo. Tutte queste interpretazioni dànno un senso molto vaporoso e figurato alla regola giudiziaria adottata da Paolo. Siccome si tratta qui appunto di procedere in via disciplinare, contro a taluni membri della chiesa, è assai più sicuro e più conforme all'uso fattone altrove nel N. T., l'intendere questa norma di giustizia nel suo senso proprio. Nell'appropriarsela, Paolo annunzia in modo secco e reciso che, nella terza sua visita, procederà senz'altro, secondo le forme legali, contro i trasgressori. Nei miei due precedenti soggiorni, vuol egli dire, sono stato paziente, perfino debole, secondo voi, ho avvertito, esortato, supplicato. Basta così; ora procederò, senza più, rigidamente. L'ebraico dice: due o tre; seguendo la LXX: Paolo dice letteralmente due e tre, cioè due e (meglio ancora se si possono avere) anche tre testi. In Corinto ove avevano infierito lo spirito di parte, le maldicenze ed i sospetti, non potevano esser troppe le precauzioni per accertare bene i fatti addebitati ad ogni persona. Anche quando trattasi di casi notorii, non è mai superflua l'osservanza delle garanzie legali.

Il v. 2 riafferma, in altra forma, il proposito di Paolo di usar con rigore dell'autorità sua apostolica.
Innanzi tratto ho detto e innanzi tratto dico, - come presente la seconda volta ed ora come assente (testo em.) a coloro che hanno innanzi peccato ed a tutti gli altri, che, se vengo di nuovo, non userò indulgenza.
Se l'Apostolo userà severità, non gli si potrà rimproverare di farlo senza aver tentato la via degli ammonimenti e senza averne prevenuto i colpevoli. Li ha avvertiti già da tempo nel suo secondo breve soggiorno e poi nuovamente colla prima Corinzi; torna ad avvertirli ancora con questa lettera alla vigilia della sua terza visita. Li ha avvertiti oralmente quand'era presente in mezzo a loro, li avverte per iscritto ora ch'è assente. In tempi diversi ed in diversi modi sono stati ammoniti del pericolo cui vanno incontro; e l'ammonimento riguarda tanto quelli che si erano resi colpevoli già prima del secondo viaggio di Paolo a Corinto, quanto coloro ch'erano caduti dopo quel fatto. Tornando a Corinto per la terza volta, Paolo è risoluto a non risparmiare (così dice lett.) i colpevoli, a non usare indulgenza. Se adopera la prima persona, ciò non vuol dire ch'egli intenda usurpare l'autorità disciplinare della chiesa. Risulta da 1Corinzi 5; 2Corinzi 10:6 ch'egli anzi vuole associarsi la comunità dei fedeli nell'esercizio della disciplina, pur presiedendola, guidandola e dando alle sentenze quella speciale sanzione ch'era riservata all'ufficio apostolico.

2Corinzi 13:3-4 dànno una ragione accessoria della severità annunziata. I Corinzi vogliono le prove che Paolo possiede veramente quei poteri disciplinari speciali di cui li ha più volte minacciati. Alcuni mostrano di dubitarne. Ebbene I Corinzi potranno convincersi ch'egli non è un vano cianciatore, bensì il portavoce di Cristo.
No davvero poichè voi cercate la prova che Cristo parla in me.
cioè si serve di me come del suo strumento ed araldo. Si tratta qui non tanto dell'insegnamento evangelico come dell'autorità disciplinare che Cristo ha conferita al suo apostolo e ch'egli è pronto a sanzionare come nel caso di Elima il mago Atti 13:11. Dice lett. poichè voi cercate. il senso riesce più evidente se si ripete la negazione con un no davvero, poichè...
il quale non si mostra debole a vostro riguardo, ma si mostra potente fra voi.
Il v. δυνατεω non s'incontra altrove nel N. T., ma significa mostrarsi potente nell'esercizio effettivo della propria forza. Non solo Cristo possiede la potenza richiesta per punire, all'occorrenza, chi persevera nella disubbidienza; ma Egli ha mostrato e continua a mostrare visibilmente la sua potenza fra i Corinzi. L'ha manifestata nella loro conversione, nei segni e prodigii operati in mezzo a loro, come pure negli abbondanti carismi distribuiti a molti 1Corinzi 1:6-7. Non è egli cosa temeraria provocare il potere punitivo di Colui che si è mostrato e si mostra tanto potente nell'ordine della grazia? «Vogliamo noi provocare il Signore a gelosia? Siamo noi più forti di lui?» 1Corinzi 10:22.

Il testo del v. 2Corinzi 13:4 presenta alcune varianti derivate probabilmente dalle apparenti difficoltà dottrinali suscitate da talune espressioni ardite di Paolo. Il testo accettato da maggiori critici corre così:
E infatti fu crocifisso per debolezza; ma vive per la potenza di Dio. E infatti noi siamo deboli in lui, ma, per la potenza di Dio viveremo con lui, rispetto a voi.
Cristo si mostra potente in mezzo ai Corinzi; e infatti c'è stato bensì, nella vita di Cristo, un periodo caratterizzato dalla debolezza, durante il quale ebbe fame e sete, fu calunniato, vilipeso, tradito, legato, schiaffeggiato, e finalmente inchiodato alla croce ove spirò. Fu il periodo del volontario abbassamento del Figliuol di Dio, allorquando annichilò sè stesso, si fece povero, prese forma di servo e si rese ubbidiente fino alla morte Filippesi 2:6-8; Ebrei 2:14-15. Ma l'abbassamento non è durato sempre. Dio colla sua potenza cfr. Romani 6:4; Efesini 1:20 lo ha risuscitato, lo ha sovranamente innalzato facendolo sedere, qual capo supremo della Chiesa e Re dei re, alla sua destra. Come tale egli vive ora della pienezza della vita celeste che si manifesta nella sua potente attività. Quale è stata l'esperienza del Capo, tale ha da essere quella delle sue membra, in ispecie dei suoi servi: e infatti essi, nella loro unione con Cristo, appaiono talvolta deboli, sia per volontaria rinunzia all'uso del potere loro conferito, sia per le sofferenze incontrate per Cristo; ma viene anche per essi, l'ora dei trionfi spirituali, l'ora di spiegar di fronte alla chiesa tutta l'autorità che tengono dalla potenza di Dio. Così Paolo che si è mostrato per un tempo debole in apparenza di fronte ai Corinzi, per via della pazienza e longanimità usata a loro riguardo, ora stima giunto il momento di porre in esercizio tutto il potere disciplinare conferitogli; ed è questo che egli chiama, per analogia coll'esperienza di Cristo, un «vivere con lui, per la potenza di Dio, rispetto ai Corinzi», cioè un mostrarsi a loro riguardo, in tutta la pienezza, in tutta la vivente energia della sua apostolica autorità. Le parole εις ὑμας (rispetto a voi) non consentono di riferire il «vivremo con lui» alla vita futura perfetta con Cristo, che d'altronde è un'idea estranea al contesto, ma rendono necessario l'applicarlo qui al pieno ed efficace esercizio dei poteri apostolici in seno alla chiesa di Corinto. Cfr. v. 2Corinzi 13:10.

AMMAESTRAMENTI
1. Cristo non è soltanto stato, nell'amore suo infinito, crocifisso per il peccato; egli attualmente regna ed opera per distruggere il regno di Satana sugli uomini; egli giudica e giudicherà chi persevera nel male. Sbaglia chi si figura che dalla bontà longanime, Cristo non possa passare alla severità del giudice e re. L'espressione paradossale dell'Apocalisse «l'ira dell'Agnello» contiene, in fondo, l'affermazione di due grandi verità chiaramente proclamate da Cristo nei suoi insegnamenti. Egli è, ad un tempo, l'ideale della bontà e l'ideale della santità e della giustizia.
2. I cristiani hanno il dovere di essere mansueti e pazienti, anche quando cotali virtù siano, come spesso avviene, qualificate come pusillanimità e debolezza. Ma la morale cristiana non consiste tutta nella «evangelica rassegnazione» di cui il mondo abusa; consiste altresì nell'odiare il male, nel combatterlo, nel riprenderlo, nell'estirparlo. C'è un tempo per la «debolezza» simile a quella del Cristo sulla croce; ma c'è pure un tempo per la forza santa della vita, analoga a quella del Cristo risorto e regnante. Questo si applica così alla sfera della vita individuale come a quella della vita della chiesa. Più è stata grande la longanimità, e meglio si giustifica la severità.
3. Nell'esercizio della disciplina ecclesiastica, ogni cosa deve farsi con lealtà e giustizia, così quando si tratta di stabilire i fatti, come quando si tratta di dare a chi è accusato ogni mezzo legittimo di difesa. Il procedere con passione, con fretta, tumultuariamente, arbitrariamente, non è conforme alle regole del Vangelo. Anche i privati giudizii dei cristiani devono essere ponderati ed informati ad equità.

Sezione C 2Corinzi 13:5-10 INVITO AI CORINZI A PROVARE SEI STESSI
I Corinzi vanno cercando la prova che Cristo parla nell'Apostolo; egli li esorta a far prova di loro stessi onde riconoscere il loro stato e rendere inutili le misure rigorose.

Esaminate voi stessi [per vedere] se siete nella fede.
Cfr. 1Corinzi 16:13; 1Timoteo 2:15. La fede introduce nell'anima la vita nuova e ne rimane il fondamento. Se cessa la fede, cessa la vita, se scema la fede, scema la vita; se si altera la fede, la vita non si svolge sana. I Corinzi, nella lor maggioranza, stavano saldi nella fede 2Corinzi 1:24; ma la minoranza cui si rivolge specialmente la terza parte dell'Epistola era meno sicura.
Provate voi stessi.
È bene provare gli spiriti e mettere alla prova anche me, vostro apostolo, ma è meglio provare prima voi stessi; se siete cristiani genuini, non può farvi difetto la prova che Cristo è in voi.
Non riconoscete riguardo a voi stessi che Gesù Cristo è in voi?
Dice lett. «Non vi riconoscete voi stessi che G. C. è in voi», ossia dentro di voi, presente ed operante in voi per mezzo del suo Spirito. Se sono nella fede, sono entrati in comunione con Cristo e Cristo è in loro come individui e poi come chiesa,
a meno che non siate [credenti] spurii,
non genuini, tali da non poter sostenere la prova. Il tradurre «riprovati» genera equivoco, essendo questo termine di solito applicato a chi non potrà sostenere la prova del giudicio avvenire. Il nesso del v. 2Corinzi 13:5 con quanto precede è variamente spiegato. Tenendo conto così del contesto immediato, come dei concetti analoghi espressi altrove dall'apostolo, si può parafrasar così: Voi mi sottoponete alla prova per saper se Cristo parla in me; non avete che a provar voi stessi e non potrete a meno di riconoscere (poichè in maggioranza siete cristiani genuini) che Cristo è in voi, vivente ed operante. Se riconoscete questo non potrete più oltre dubitare che io, il vostro padre spirituale, non sia un apostolo genuino di Cristo, poichè «la nostra lettera di raccomandazione siete voi» 2Corinzi 3:2; «voi siete l'opera mia nel Signore ed è questa la risposta che faccio a chi fa inchiesta a mio riguardo» 1Corinzi 9:1.

Spero, ad ogni modo, che voi conoscerete che noi non siamo spurii.
Qualunque sia per essere, riguardo a taluni di loro, il risultato della prova cui li invita, Paolo spera che i Corinzi abbiano a giungere tutti, ed in breve, alla chiara conoscenza del carattere genuino ed autentico dell'apostolato di colui che li aveva istruiti nel Vangelo. La grande maggioranza non ne dubita minimamente; l'esame coscienzioso ed intelligente dei fatti persuaderà di certo ancora alcuni, di coloro che sono stati traviati dai giudaizzanti; e, se non si potrà fare a meno, l'esercizio dell'autorità disciplinare apostolica finirà di convincere la chiesa. Per una via o per l'altra, essi conosceranno che Paolo non è un apostolo spurio. Il voto di Paolo, tuttavia, è ch'essi riconoscano la verità e rientrino nella retta via, senza ch'egli sia costretto a fare uso della verga.

Ma noi preghiamo Dio che voi non facciate alcun male; non già affinchè noi appariamo genuini; ma affinchè voi facciate il bene e noi siamo come spurii.
Se la chiesa tutta si mette per la via della riflessione, del ravvedimento e della santificazione, essa riconoscerà ben presto la falsità dei sospetti insinuati dai nemici contro l'autorità apostolica di Paolo, anche senza ch'egli abbia avuta l'occasione di spiegare i suoi poteri disciplinari contro ad alcuno. Questa soluzione, ch'è la migliore fra tutte, è quella che Paolo desidera. E fa voti a Dio in quel, senso; non già allo scopo di ottenere una personale soddisfazione, per quanto legittima, ma perchè mira al fine superiore della prosperità spirituale della chiesa. Brama quindi che, «non facciano alcun male», che nessuno fra loro perseveri nell'impenitenza, o s'ingolfi vie più nella ribellione sprezzando gli ultimi avvertimenti. Se essi «fanno quel ch'è bene» tornando in sè, ubbidendo alla verità, Paolo ne sarà felice, anche se non avrà l'occasione di esercitare i suoi poteri disciplinari. Si rassegnerà volentieri a «parere spurio» cioè a non potere dare ai giudaizzanti quella prova esterna e severa della propria autorità. E sarà dovere, per quanto grato, l'astenersi dal darla, poichè il potere disciplinare è dato all'apostolo per reprimere il male, non già per combattere il bene.

Poichè non abbiamo alcun potere contro la verità; bensì a favore della verità.
Se non c'è errore dottrinale, nè morale erramento da riprendere e correggere, manca per noi ogni motivo ed occasione di esercitare il nostro potere disciplinare. La verità non significa qui «la realtà dei fatti», e neppure la retta norma del giudicare», ma semplicemente l'Evangelo di Dio 2Corinzi 4:2; 6:7 considerato così sotto l'aspetto dottrinale come sotto l'aspetto morale. Dovunque è fedelmente professata la verità evangelica, e dovunque questa verità è vissuta in una condotta conforme alla professione della fede, Paolo non ha poter disciplinare da esercitare; l'ufficio suo sarà di incoraggiare, di esortare a perseveranza. Quando pure avesse la volontà di usare del suo potere contro chi è nella verità, l'atto suo sarebbe nullo, non avrebbe alcuna sanzione da parte del Signore. Cfr. quanto dice Paolo stesso Galati 1:8-9.

Non c'è pericolo, però, che Paolo voglia agire contro chi è nel vero; egli al contrario gioisce di veder trionfare il bene negli altri, anche quando ciò implichi, per sè stesso, il sacrifizio di una legittima soddisfazione
Infatti, noi ci rallegriamo quando siamo deboli,
esposti a tutte le tribolazioni, alle infermità ed ai pericoli, oggetto di calunnie e di sospetti e posti perfino in condizioni da non poter dimostrare coi fatti la nostra autorità a chi persiste nel negarla,
ma voi siete forti,
nel pieno vigore della vita spirituale in tutte le sue manifestazioni -
e per questo ancora preghiamo, per il vostro completo ristabilimento,
cioè perchè giungiate ad essere in perfetto stato, perchè sia rimosso il male esistente, siano colmate le deficienze in fatto d'armonia, di vita morale, di umiltà, ecc.

10 Perciò,
perchè nutro questi sentimenti a vostro riguardo,
scrivo queste cose,
specialmente l'ultima parte della lettera,
mentre sono assente, affinchè, quando sarò presente, io non abbia a procedere con rigore
(lett. «in modo tagliente, reciso»), s'intende in via disciplinare,
secondo l'autorità che il Signore
(Gesù)
mi ha data ad edificazione e non a distruzione
ovvero: per edificare, non per diroccare: per tirar su l'edificio della sua chiesa, accrescendo il numero dei credenti, lavorando allo sviluppo della loro conoscenza, della loro fede, della loro vita religiosa; e non per diroccare l'edificio togliendone delle pietre per via di misure disciplinari. Codesto uso del potere apostolico ha da essere cosa eccezionale, da praticarsi solo nei casi di necessità, come si fa delle operazioni chirurgiche.

AMMAESTRAMENTI
1. È facile illudersi sul proprio stato spirituale. Satana ed il cuore naturale ci spingono ad esaminare piuttosto gli altri che noi medesimi. Forse la coscienza ci avverte che un esame serio ci porterebbe a scoprire delle magagne per guarir le quali occorrerebbe il ferro delle energiche risoluzioni e dei dolorosi rinunziamenti. Ma è utile, è necessario l'esaminar noi stessi prima degli altri per vedere se siamo nella fede, se la nostra fede è sincera, se essa è fondata sulla Parola di Dio e sul Cristo ch'essa rivela, se essa è vivente ed operante ovvero morta. L'esame serio di noi medesimi ci metterà in grado di giudicare più rettamente degli altri e stimarli a noi superiori Filippesi 2:3.
2. Paolo rinunzia volentieri, quando si tratti del bene della chiesa, alla legittima soddisfazione di dimostrare a fatti la propria autorità confondendo le beffe dei suoi nemici. Il pastore cristiano, come d'altronde ogni credente, prima che ai proprii diritti, alla propria autorità, alla propria gloria, al proprio interesse, guarderà al bene spirituale e morale della chiesa di Dio ed agli interessi della causa di Cristo. «Rinunziare a sè stesso» è la legge che Cristo traccia ai suoi colla parola e coll'esempio.
3. Le minaccie ed i castighi producono salutare effetto quando partono da un cuore che ama, che vuole il bene degli altri, che prega per ottenerlo.
4. Il potere ecclesiastico, sia esso ordinario o straordinario, come negli apostoli, ha i suoi limiti tracciati dalla Parola di Dio. Gli apostoli non potevano colpir di cecità un santo o pronunziare un anatema contro ad un figliuol di Dio. I conduttori delle chiese e le chiese stesse non hanno potere alcuno contro chi è nella verità. Le loro decisioni errate, i lor giudicii ingiusti non possono mutare lo stato del credente nel cospetto di Dio più di quello che non facessero le scomuniche dei capi della sinagoga o del Sinedrio contro a Cristo o contro ai suoi discepoli 1Pietro 3:13 (cfr. C. Hodge).

11 LA CHIUSA DELLA LETTERA

2Corinzi 13:11-13

La chiusa della lettera è molto breve; contiene le ultime esortazioni, i saluti e la finale benedizione. Nel tracciare le ultime raccomandazioni ch'egli vuol mettere sul cuore dei Corinzi, Paolo riprende il tono affettuoso.

Del rimanente, fratelli, rallegratevi.
Le versioni inglesi rendono il χαιρετε come un saluto: «farewell», «valete»; ma è più conforme all'uso apostolico l'intenderlo nel senso d'una esortazione a rallegrarsi nel Signore. Cfr. Filippesi 3:1; 4:4; 1Tessalonicesi 5:16. «La salvezza in Cristo è abbastanza grande da invitare all'allegrezza anche una chiesa tanto censurata e biasimata» (Meyer).
Fate di ristabilirvi pienamente
così da essere in istato normale e perfetto. Il passivo dell'originale implica che tale è il voto dell'apostolo; ma i Corinzi devono fare quanto da loro dipende perchè lo scopo venga raggiunto. «Divenite compiuti; colmate le lacune» (Crisost.).
di consolarvi
cioè fatevi coraggio in mezzo alle difficoltà ed alle prove in cui siete o sarete. Altri rende: «lasciatevi esortare» od ancora: «Esortatevi a vicenda».
Abbiate un medesimo sentimento,
siate concordi Filippesi 2:2.
Vivete in pace
cfr. Romani 12:18; 1Tessalonicesi 5:13. La pace è la felice conseguenza della concordia e concorre a mantenerla.
E l'Iddio dell'amore e della pace sarà con voi.
L'Iddio che, nella sua essenza, è amore, che vuole stabilire nei cuori l'amore e la pace e si compiace in chi coltiva cotali sentimenti, sarà con voi per arricchirvi delle sue grazie Romani 15:33; Filippesi 4:9; 1Tessalonicesi 5:23; Ebrei 13:20.

12 Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio,
che sia come l'esterno pegno e simbolo dell'affetto fraterno reciproco 1Corinzi 16:20.
Vi salutano i santi tutti;
s'intende i cristiani della Macedonia in mezzo ai quali Paolo trovavasi. I cristiani tutti sono chiamati santi, perchè separati dalla corruzione del mondo, consecrati a Dio ed internamente santificati dallo Spirito. Mancano i saluti individuali che Tito ed i suoi compagni potevano recare. D'altronde Paolo faceva conto di rivedere fra breve i Corinzi.

13 La grazia del Signor Gesù Cristo e l'amor di Dio e la comunione del Santo Spirito siano con tutti voi.
La benedizione finale è la più completa, nella sua brevità, che troviamo nel N. T. Perciò venne usata nella liturgia, fin dai tempi antichi, sotto il nome di benedizione apostolica. Con essa Paolo invoca le grazie più essenziali della salvazione sui lettori e le invoca dalle tre persone della divina Trinità. Di fronte a passi come questo, come Matteo 28:19 (formula del battesimo) ed altri ove sono accennate in uno stesso contesto, le tre persone divine, si può ben dire che, se la dottrina della Trinità non è formulata dogmaticamente nel N. T., essa vi è però indubbiamente contenuta. La grazia del Signor G. C. è il primo bisogno dell'uomo, il dono senza del quale non si è cristiani e non si giunge alla finale completa salvazione. Essa è assicurata da Cristo mediante il suo sacrificio. Egli n'è il Rivelatore, il Mediatore e il Dispensatore agli uomini che la ricevono con fede. L'amor di Dio, in un senso, è la sorgente della grazia in Cristo Giovanni 3:16; ma è pur vero che la grazia di Cristo ricevuta dal cuore, è la condizione della riconciliazione con Dio. Quando è avvenuta la riconciliazione. Dio può compiacersi nella sua creatura e versare su di essa i tesori dell'amor suo paterno Giovanni 14:23; Romani 8:39. Per la κοινωνια (comunione) dello Spirito Santo s'intende la comunicazione che lo Spirito fa di sè stesso e delle grazie santificanti, illuminanti, consolanti, fortificanti di cui egli è l'agente nel cuore dei credenti.
L'amen del testo ordinario, manca nei codici antichi, come pure la poscritta che indica la città di Filippi come luogo d'origine della nostra epistola.