1 Corinzi 6
§2 Le liti tra cristiani 1Corinzi 6:1-11
Corinto era città commerciale ove, per la moltitudine degli affari che vi si trattavano, non dovea mancar materia alle liti. Da questo inveterato difetto dei Greci non si erano spogliati ancora del tutto i cristiani, cosicchè Paolo è costretto a censurare la triste abitudine che perdurava in molti membri della chiesa d'intentare delle liti ai lor fratelli davanti ai giudici pagani, invece di ricorrere al giudizio di arbitri cristiani 1Corinzi 6:1-6. E siccome questo rivelava, oltre alla scarsa cura dell'onore del Vangelo, anche una tendenza a violare, negli affari, le norme della giustizia, Paolo ammonisce che gl'ingiusti, non meno di altre categorie di peccatori, non possono, restando tali, eredare il regno di Dio 1Corinzi 6:7-11.

1Corinzi 5:1-6 La censura principia in modo brusco

Ardisce alcun di voi, quando ha una vertenza per affari con un altro, piatire davanti agli ingiusti e non davanti ai santi?
Dal contesto risulta che codesto tristo coraggio d'intentare processi ai fratelli per questioni d'interesse, dinanzi ai tribunali pagani, non l'aveva soltanto qualche individuo isolato, ma l'avevano molti, specialmente fra i proseliti venuti dal paganesimo. Nelle colonie giudaiche, invece, usavasi ricorrere all'arbitrato dei correligionari. Col chiamare i pagani ingiusti, cioè trasgressori delle leggi riguardanti Dio e gli uomini, Paolo lascia intendere ch'essi erano moralmente meno atti a giudicare rettamente, di quel che lo fossero i santi, cioè coloro che, per la potenza del suo Spirito, Dio avea tratti dalla corruzione per farne dei membri del popolo a lui consacrato. Chi è stato illuminato dalla verità divina deve percepire il giusto con coscienza più delicata ed incorruttibile.

Ovvero
(testo emend.), se avete quel tristo coraggio,
non sapete voi che i santi giudicheranno il mondo?
Più d'una volta la Scrittura accenna nelle sue descrizioni del futuro, alla gloria dei santi, ossia dei redenti, quando avranno parte al regno di Cristo sul mondo Daniele 7:18,22; Matteo 19:28; Luca 22:30; Apocalisse 2:26-27; 20:4. Quanto al precisare il tempo ed il modo di questa, funzione giudiciale, la rivelazione non ci fornisce dati sufficienti per farlo. Ad ogni modo, se i santi sono chiamati ad essere assessori di Cristo nel reggere e giudicare il mondo, essi non devono dai loro fratelli venir stimati indegni ed incapaci di dare una sentenza arbitrale in questioni riflettenti interessi materiali di poco momento.
E se, per mezzo vostro, vien giudicato il mondo, siete voi indegni dei minimi giudicii?

Non sapete voi che giudicheremo
perfino
degli angeli?
Associati alla gloria regale di Cristo, i suoi santi giudicheranno non solo le creature di questo mondo terrestre, ma perfino delle creature del mondo superiore. L'Apostolo pare accennare, non agli angeli fedeli, ma agli spiriti ribelli che saranno ridotti all'impotenza e sottoposti alla meritata condanna. E se siamo chiamati a tanto,
non [potremmo dare un giudizio su] cose, di questa vita?

Se dunque avete delle vertenze intorno a cose di questa vita terrena, [prendete] coloro di cui si fa minor conto nella chiesa, per stabilirli giudici:
prendete i più ignoranti, i meno dotati dei cristiani, stabilite quelli per arbitri, e vedrete che la sapienza morale e la rettitudine che lo Spirito dà a questi minimi membri del corpo di Cristo, è ancora superiore a quella dei giudici pagani. Altri, dando alla frase forma interrogativa, intendono per «quelli di cui non si fa conto nella chiesa», i giudici pagani, ma una tale idea non collima con l'insegnamento generale di Paolo sui magistrati Romani 13:1,3, nè col seguito della frase qui.

Ve lo dico per [farvi] vergogna. Così, non v'è egli fra voi,
che vi vantate savii 1Corinzi 4:10, alcun savio, alcun cristiano dotato di discernimento pratico e di autorità morale,
il quale possa dare un giudizio tra un suo fratello e l'altro?

Invece
di scegliere questa lodevole via dell'arbitrato cristiano,
un fratello piafisce
(o litiga)
col fratello e questo davanti a degli infedeli,
ossia davanti a dei giudici non credenti, i quali non possono, al pari del pubblico, che trarne conseguenze sfavorevoli al Vangelo.

1Corinzi 6:7-11
Il male, però, non sta soltanto nel modo in cui fanno le liti, ma sta nel fatto stesso dell'averle: fatto che denota, da un lato, la insofferenza anche dei minimi torti e dall'altro il poco scrupolo nel recarli ad altri.
Del tutto già
[testo emend.], se si riguarda alla cosa in sè, senza più considerare il modo sconveniente in cui si manifesta,
è un difetto in voi l'avere delle liti gli uni cogli altri.
Così facendo, restate al di sotto di quello che dovete essere come cristiani.
Perchè non vi lasciate piuttosto far torto
(od ingiustizia?). E trattandosi d'interessi,
Perchè non vi lasciate piuttosto recar danno?
Questa disposizione a sopportare una ingiustizia, una perdita materiale, anzichè compromettere la pace coi fratelli e l'onor dell'Evangelo è in armonia coi precetti di Cristo Matteo 5:39-41.

Ma se pecca chi manca di pazienza, di fronte ai torti, pecca più gravemente chi fa torto al suo fratello violando, non solo la carità, ma la giustizia. Ma (e questo è il peggio),
siete voi che fate torto e che recate danno, e questo a dei fratelli!
Perchè una tal cosa avvenga, bisogna che i Corinzi abbiano dimenticato una verità fondamentale qual'è quella della necessità del pentimento per la salvezza Matteo 3:7-10; Marco l:15.

Non sapete voi che gl'ingiusti,
quelli cioè che restano tali, anche dopo essersi professati seguaci di Cristo,
non erederanno il regno di Dio?
«Considerato nella sua perfezione, quale oggetto della speranza cristiana, il regno di Dio è quello stato di cose beato in cui sarà pienamente realizzata la volontà di un Dio santo, pieno d'amore, che tutto ristora, che rende felici» (Kling). Cfr. 2Pietro 1:11; 2Timoteo 4:l; 4:18; 1Tessalonicesi 1:5; 1Tessalonicesi 2:12; Galati 5:21; 1Corinzi 15:50. «Eredare» è espressione frequente nell'Antico e nel Nuovo Testamento (cfr. Matteo 25:34). Implica un diritto conferito per grazia al credente ed accenna al godimento tranquillo e perpetuo della eredità incorruttibile ed «eterna nei cieli».
Non v'ingannate:
lett. non siate indotti in errore, nè dal vostro proprio cuore nè dagli altrui ragionamenti o cattivi esempi 1Corinzi 15:33; Galati 6:7; Giacomo 1:16. Risulta da molti indizi che i cristiani di Corinto correvano pericolo di non prendere sul serio gli obblighi morali inerenti alla fede in Cristo, di rimanersi paghi della conoscenza intellettuale, senza l'energia santificante della grazia. Perciò Paolo, trovandosi di fronte ad uno dei sintomi di questa rilassatezza, estende il suo ammonimento in modo da abbracciare le forme diverse dei due peccati che dominavano in Corinto: la licenza dei costumi e l'ingiustizia.
Nè i fornicatori, nè gl'idolatri
mentovati in connessione coi peccati carnali perchè il culto degli idoli, in ispecie il culto di Venere, era associato ad atti d'impudicizia,
nè gli adulteri, nè gli effeminati, nè coloro ch'usano coi maschi
(Vedi per questi vizi contro natura Romani 1:24-28).

10 nè i ladri, nè gli avidi di guadagno
che accrescono il loro avere senza troppi scrupoli,
nè gli ubbriaconi, nè gl'insultatori, nè i rapaci
che non indietreggiano davanti alla violenza, per avere l'altrui,
non erederanno il regno di Dio.
S'intende: finchè restano tali e non interviene, col ravvedimento, il perdono divino ed il mutamento della vita. La grazia divina può, difatti, trasformare il più abbietto peccatore in un figlio di Dio, in un erede della gloria. I Corinzi ne avevano fra loro stessi delle prove.

11 E tali eravate; alcuni di voi,
non tutti, poichè della chiesa facevano parte persone la cui condotta esterna era stata corretta, per quanto anch'essi fossero stati davanti a Dio peccatori Filippesi 3:6;
ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor Gesù Cristo e per lo Spirito dell'Iddio nostro.
Se non fossero stati perdonati e fatti nuove creature, o se, dopo sperimentata la grazia, tornassero ora indietro a voltarsi nel fango di prima Ebrei 6:4-12, sarebbero esclusi dal regno di Dio. Ma per chi è in Cristo «le cose vecchie son passate: ecco, son divenute nuove» 2Corinzi 5:17. Erano, prima della lor conversione, coperti delle sozzure del peccato: ne sono stati lavati, nettati dalle acque del perdono divino e del rinnovamento Atti 22:16. L'immagine del lavare si applica nelle Scritture tanto al perdono che cancella le colpe Isaia 1:18; Salmi 54:7; Apocalisse 7:14 quanto alla interna purificazione del cuore Giovanni 3:5; Tito 3:5; Efesini 5:26; Giovanni 13:10. Non c'è ragione per riferirla qui all'una piuttosto che all'altra cosa. Essa esprime il lato negativo dell'opera della grazia che cancella la colpa e sradica il peccato. Molti credono che Paolo con questa parola, alluda al battesimo dei Corinzi; ma egli nei tre verbi che adopera, ricorda tre atti di grazia che avevano scavato un abisso tra il loro stato passato ed il presente. Dicendo: foste lavati, egli ha in mente la grazia divina piuttosto che l'esterno simbolo di essa. Ma non è stata soltanto cancellata la loro passata sozzura. Essi, che prima erano alieni da Dio, sono stati ancora santificati cioè consacrati a Lui come membri del suo popolo Efesini 2:11-22. Internamente, lo Spirito ha rinnovato il lor cuore, e nel battesimo sono stati arruolati nella «nazione santa». Sono quindi detti «santificati» e «santi» in 1Corinzi 1:2. Non già che siano arrivati alla perfezione; ma sono stati avviati per la via che vi conduce. Erano sotto la condanna di Dio, per i lor peccati, sono stati giustifìcati, cioè, secondo il senso costante della parola negli scritti di Paolo (Romani e Galati), sono stati dichiarati, costituiti giusti, non per merito loro, ma in virtù dell'opera espiatoria di Cristo Romani 3:24. In Cristo, Dio li considera e tratta come giusti, li riguarda come il popolo a lui consecrato, e puro delle passate sozzure. Perciò Paolo, accennando al come sia avvenuto un tale mutamento nella loro situazione, soggiunge: «nel nome del Signor G. C.» la cui opera è il fondamento della loro riconciliazione con Dio e: «per lo Spirito dell'Iddio nostro» ch'è l'agente divino il quale purifica e rinnova il cuore.

AMMAESTRAMENTI
1. Il N. T. riconosce come istituzione divina lo Stato di cui è funzione principale l'amministrazione della giustizia civile e penale. Il nostro paragrafo non contiene parola che sia in contraddizione con un tale insegnamento. Non si dice neppure che al cristiano non sia lecito, in alcuna circostanza, il ricorrere ai tribunali. Paolo stesso si è appellato al tribunale di Cesare. È questione qui, unicamente, della condotta che i cristiani devono tenere nelle divergenze che sorgono tra loro per questioni d'interesse. Paolo ricorda che al disopra degli interessi materiali, ve ne sono altri dell'ordine spirituale che importa salvaguardare: tali sono l'onor del Vangelo di fronte alla popolazione pagana e la pace tra i fratelli. Il principio inculcato dall'Apostolo trova la sua applicazione dovunque i credenti nel Vangelo vivono in mezzo a popolazioni le quali, anche se cristiane di nome, sono in realtà estranee alla fede in Cristo.
2. Se è reale la superiorità della legge morale evangelica su di ogni codice umano, se è reale il rinnovamento del cuore prodotto dallo Spirito nel credente, se è reale l'alta destinazione del cristiano nel compimento del regno di Dio, vi dev'essere nella Chiesa di Cristo quanto è necessario per risolvere equamente le questioni relative ad interessi materiali. Non si tratta infatti per la Chiesa di stabilire nel suo seno un tribunale ecclesiastico di fronte a quello civile. Cristo ricusò di erigersi a giudice in questioni di proprietà terrena. Neppur si tratta, per il cristiano, di scegliere fra tribunali ecclesiastici e tribunali civili, ma semplicemente, come osservò F. Robertson, di scegliere «tra Legge ed equità, tra Liti ed Arbitrato... Legge è una cosa, equità è un'altra cosa». Quel che Paolo vuole è che i cristiani procacciano le cose che tendono alla pace ed all'onor del Vangelo. A questo fine risponde l'arbitrato di persone giuste ed intelligenti che applichino secondo coscienza i principii dell'equità, anzichè gli articoli del Codice. E se è dovere per gl'individui cristiani il ricorrere ad un arbitrato per regolare i loro dissidi materiali, non lo sarà meno per le comunità e per le nazioni che si chiamano del nome di Cristo.
3. Per la sua coltura speciale, per la posizione sua di consigliere privato nelle cose materiali, l'avvocato cristiano può fare opera altamente benedetta. «Egli è spesso, dice il Dott. Dods, in potere dell'uomo di legge di dare ad un cliente un consiglio che lo salverà da un pungente rimorso, che recherà conforto invece di amarezza in una famiglia, agiatezza invece di povertà... È parte dell'alto suo compito l'insistere sull'uso coscienzioso da farsi del denaro, l'indicarci quali sono gli altrui diritti su di noi, il farci scorgere il giusto e l'ingiusto nei nostri affari ordinari, il far così scender giustizia e misericordia dal cielo sulla piazza del mercato. Perciò molti fra i più nobili caratteri e fra gl'intelletti più acuti si sono dati e sempre si daranno a quella professione».
4. Dalla nozione che Paolo ci dà del regno di Dio, risulta chiaramente la necessità della rigenerazione e della conversione per entrarvi. Risulta del pari la necessità della santificazione progressiva mediante la quale siamo preparati a quella celeste e gloriosa attività che Dio tiene in serbo per i suoi, e di cui ci è dato appena d'intravedere la natura e l'estensione.
5. L'opera della grazia di Dio ci è presentata in 1Corinzi 6:11, in tutta la sua ricchezza ed in poche parole. Essa si estende ai più abbominevoli viziosi, come agli uomini esternamente costumati. Essa cancella le loro colpe, rinnova il cuore corrotto, e consacra a Dio tutte le energie che già servivano al peccato. Il portare un uomo dagli abissi del vizio fino sul trono ove sederà quale assessore di Cristo nel giudicare il mondo e perfino gli angeli, non è opera indegna del Padre che l'ha ideata e preparata, del Figlio che l'ha resa possibile col suo sacrificio, nè dello Spirito che la compie nel cuore dei credenti.

12 §3 La fornicazione 1Corinzi 6:12-20
Gradualmente l'Apostolo si avvicina a quella fra le questioni morali ch'egli tratterà con maggiore ampiezza: la libertà cristiana. Ma prima di giungervi egli tocca due questioni in cui poco o nulla entrava la libertà e che si riferivano alle relazioni illegittime o legittime tra i sessi. Dato l'ambiente morale di Corinto, si comprende che la fornicazione vi fosse da taluni, anche membri della chiesa, considerata come cosa, se non lecita, per lo meno di poca gravità. Da ciò l'avvertimento 1Corinzi 6:9: «Non v'ingannate...» e quello che riassume il presente paragrafo: «Fuggite la fornicazione» 1Corinzi 6:18.

Ogni cosa mi è lecita.
Era questa la formula della libertà cristiana insegnata da Paolo e ch'egli applicava alle prescrizioni di carattere temporaneo della legge mosaica 1Corinzi 10:23. Pare che a Corinto ci fossero di coloro che abusando del principio della libertà, ne facessero «occasione alla carne» (Galati 5:13-14; cfr. 2Pietro 2:18-19). Il principio che, in Cristo, il credente è emancipato dal giogo e dalla tutela della legge mosaica e, fatto figlio di Dio, trova nella sua nuova natura stessa, nella sua comunione col Padre, e col Figlio mediante lo Spirito, la norma e l'ispirazione della sua vita, Paolo non lo rinnega; ma lo difende dalle torte applicazioni che ne facevano gli uomini carnali. «Ogni cosa mi è lecita», sì,
ma non ogni cosa è vantaggiosa
per il conseguimento così del mio proprio come dell'altrui supremo bene.
Ogni cosa mi è lecita ma io non ho da esser dominato da alcuna.
Ogni cosa è in mia podestà, ma lo stesso, non devo essere sotto la podestà d'alcuna cosa; sono libero, ma non lo sono per alienare la mia libertà e tornare sotto alla schiavitù delle passioni: - servo non devo esserlo ormai che di Dio nel cui servizio sta la vera libertà. Ecco enunziati due principi atti a regolare l'applicazione della libertà cristiana: 1o la considerazione dell'altrui come del proprio bene; 2o la conservazione della libertà stessa 2Pietro 2:19. Ma come discernere se un dato modo d'agire sia utile al conseguimento dell'ideale cristiano? Lo si discerne se si dà ascolto alla voce della mente rinnovata e della coscienza illuminata dalla rivelazione di Dio e dallo Spirito di verità e di santità. Essa è in grado di scorgere «la volontà di Dio, buona, accettevole e perfetta» Romani 12:2; 11:l; Filippesi 1:9-10; Colossesi 1:9-10. Essa non porrà sulla stessa linea il mangiar d'un cibo piuttostochè d'un altro ed il commettere fornicazione, perchè saprà discernere il fine divino cui ciascuna cosa deve servire.

13 Le vivande sono per il ventre ed il ventre
(ossia lo stomaco)
è per le vivande:
usando liberamente dei cibi per la nutrizione sua corporale, il fìglio di Dio non va contro al fine cui sono stati destinati tanto i cibi che lo stomaco. Quando infatti i cibi hanno dato, ed il tubo intestinale ha digerito ed assorbito la parte nutritiva utile al corpo, la loro missione è compiuta. Questa è d'altronde limitata allo stato terreno, poichè, nella morte,
Dio distruggerà e quello e queste
«carne e sangue non possono eredare il regno di Dio» 1Corinzi 15:50.
il corpo però non è per la fornicazione, ma per il Signore
(Gesù)
ed il Signore per il corpo.
La destinazione del corpo, nel pensiero divino, non è di servire ad appetiti impuri, bensì al Signor Gesù, il quale, a sua volta, «è per il corpo», non solo perchè ne prende cura, ma perchè lo ha incluso e lo include, insieme agli altri elementi della personalità umana, nell'opera sua di salvazione, la quale avrà il suo coronamento appunto nella «redenzione del corpo» mediante la risurrezione gloriosa di esso Romani 8:11,23; Filippesi 3:21. Il corpo, infatti, considerato come vivente organo della personalità umana, non è destinato a perire.

14 E Dio, come risuscitò il Signore, risusciterà ancor noi per la sua potenza.
Il peccato nostro per cui Cristo morì, rende necessaria la morte del nostro corpo attuale Romani 8:11. ma la stessa potenza che risuscitò e trasformò il corpo di Gesù, risusciterà noi, rivestendoci d'un corpo simile al suo, adatto alla vita ed all'attività del mondo superiore.

15 Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo,
In virtù dell'unione vitale e recata dalla fede tra la persona intiera del credente e il suo Salvatore? Ciò essendo, i cristiani devono sentire come il togliere le membra di Cristo per farne le membra di una prostituta, costituisce, più che una incompatibilità, una orribile profanazione di cui respinge financo l'idea.
Toglierò io dunque le membra di Cristo per farne delle membra di meretrice? Così non sia.
L'espressione adoperata dall'Apostolo potendo parere troppo forte, egli la giustifica allegando il passo Genesi 2:24, ove la Scrittura, alludendo specialmente all'unione dei sessi, dice che marito e moglie diventano «una sola carne».

16 Ovvero, non sapete voi che chi si congiunge colla meretrice è un corpo solo con essa? "Perciocchè dice [il Signore], i due diverranno una sola carne".
L'unione dei sessi ch'è la forma più alta dell'unione coniugale, poichè da quella può prendere origine una nuova personalità, essendo consumata nella fornicazione, Paolo può applicare a quell'illegittimo accoppiamento, quello che Dio disse della unione legittima.

17 Ma chi si congiunge col Signore è uno spirito solo con Lui.
Chi si abbandona alla meretrice diventa un corpo solo con lei; ma chi si dà, per fede, al Signor Gesù, entra con esso in una unione vitale superiore, diventando con esso un solo spirito. E siccome l'anima, sede degli affetti naturali, ed il corpo, strumento dell'attività esterna, dipendono dallo spirito, ne risulta che chi è unito spiritualmente al Signor Gesù non può unitisi carnalmente con una prostituta. C'è assoluta incompatibilità tra due unioni così opposte. Onde il grido in cui si sente tutto l'orrore che Paolo prova per quel peccato:

18 Fuggite la fornicazione.
Ed alle ragioni addotte, aggiunge altre ragioni ancora.
Ogni [altro] peccato che l'uomo commetta è fuor del corpo; ma chi fornica pecca contro al proprio corpo.
Altri peccati, come l'ubbriachezza e la ghiottoneria sono, in un senso, compiuti dentro al corpo e per mezzo del corpo; ma sono però un eccesso nell'uso, in sè legittimo, di cose estranee al corpo, come sarebbero i cibi e le bevande, un effetto prodotto sul corpo dall'abuso di quelle. Non così la fornicazione ch'è in opposizione colla vera destinazione del corpo. Per essa, quell'organismo vivente e vivificante ch'è l'organo della personalità umana viene degradato, prostituito al peccato.

19 O non sapete voi che il vostro corpo è tempio dello Spirito santo ch'è in voi, il quale avete da Dio?
Allo scopo di mettere sempre più in rilievo il carattere sacro del corpo del credente, Paolo lo chiama un tempio dello Spirito Santo. Esso è tale in quanto è l'organo dello spirito umano compenetrato dallo Spirito che ci è dato da Dio. Quanto più grande è l'onore cui è innalzato il corpo umano nell'essere scelto ad abitacolo di Dio, tanto è maggiore il sacrilegio allorquando il corpo viene fatto servire alla immoralità. Il tempio dello Spirito Santo dev'essere conservato in santità.

20 E non è soltanto la maestà e la santità dell'ospite divino in noi che viene offesa dalla fornicazione, ma è violato altresì il diritto di proprietà che Dio ha sul nostro corpo in virtù della redenzione fatta della nostra persona intiera, per mezzo di Cristo. Quindi l'Apostolo soggiunge:
e che voi non vi appartenete? Siete stati infatti comperati con prezzo,
cioè col prezioso sangue di Cristo che liberandovi dalla condannazione sotto cui eravate, e dal giogo del peccato, vi ha acquisiti a Dio. Già eravate suoi per diritto di creazione, lo siete ora doppiamente in virtù della vostra redenzione.
Glorificate adunque Iddio nel vostro corpo,
non solo col fuggire il peccato che lo disonora ed offende, ma col «presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio» Romani 12:1. «Affin di servire alla gloria di Dio, la vita religiosa deve passar dalla sfera del pensiero e del sentimento, a quella dell'azione» (Edwards). L'ultima parte del versetto come si legge nel testo ordinario, manca nei cinque più antichi manoscritti e nelle versioni del 2o secolo. È una chiosa passata dal margine nel testo.

AMMAESTRAMENTI
1. Il grande principio della libertà cristiana è stato, in ogni tempo, il pretesto di disordini morali. «La prima cruda applicazione di una teoria, tanto in politica come in religione, è sempre selvaggia» (F. Robertson). Paolo non cessa per questo d'insegnar la libertà cristiana, ma incessantemente ricorda com'essa non possa sussistere in un'atmosfera che non sia di santità e di carità.
2. Nell'uso della sua libertà, il cristiano non deve guardare soltanto ai suoi diritti, ma altresì agli effetti della sua condotta sui supremi interessi propri ad altrui: agli effetti ch'essa produce sulla sua libertà spirituale. Deve aver riguardo alla intrinseca rispondenza delle cose ai loro fini speciali; al valore delle cose esterne misurato alla stregua della loro durabilità. - Deve tener conto dei diritti di Dio e degli uomini: come pure del carattere sacro impresso da Dio sulle cose che sono in nostro potere (Abbrev. dal Dott. Poor).
3. Nell'insegnamento relativo al corpo, il cristianesimo si tien lontano da due opposti estremi. Esso non disprezza il corpo come se non avesse valore o fosse sede del male, evitando così l'errore degli gnostici e dei mistici. D'altra parte non ne fa un idolo cui tutto si sacrifichi secondo la tendenza dell'epicureismo materialistico. Paolo insegna che il corpo è un elemento essenziale della personalità umana, organo necessario, per quanto inferiore, dello spirito; ch'esso ha parte ai benefici della redenzione e sarà perciò risuscitato e glorificato. Gli riconosce il carattere sacro di tempio dello Spirito Santo e richiede ch'esso venga preservato dalla sozzura e consecrato al servizio di Dio. Se il ricordare cotali verità fu particolarmente necessario in una città come Corinto, non lo è molto meno in seno alla società odierna rosa dalla sete di piaceri ed inquinata dalle teorie del naturalismo che riguarda come cosa legittima per l'individuo l'appagare le proprie brame in quel tempo e modo che a lui paiono convenienti, purchè ciò non venga a nuocere alla sua salute od alla sua riputazione.
4. È da notare come, lungi dall'essere indipendente dalla religione, la morale di Paolo è cristiana nel senso più profondo, fondata cioè sulla relazione creata dalla fede tra il credente ed il Cristo. Combattendo la fornicazione, egli ricorda infatti che i corpi dei redenti sono membra di Cristo, templi dello Spirito, proprietà di Dio. Egli fa appello al prezzo della nostra redenzione pagato sul Golgota ed alla gloria eterna cui Dio ci destina. In poche righe, quali potenti motivi egli adduce, quante corde egli fa vibrare per persuadere i cristiani a fuggire la immoralità!