1 Corinzi 2
1Corinzi 2:1-5 La debolezza del messaggero

Al metodo di Dio, Paolo si è uniformato nella sua condotta. Dio ha, nell'opera della salvazione, fatto senza della sapienza umana; e Paolo, nel bandire quella salvazione, non ha voluto valersi delle arti dei rètori e dei filosofi.
Ed io, fratelli,
che fui l'istrumento umano della chiamata rivolta alla maggior parte di voi, io,
quando venni da voi, non venni già con eccellenza di parola o di sapienza,
con eloquenza di retore e con speculazioni da filosofo,
ad annunziarvi la testimonianza di Dio,
vale a dire quello che Dio ha attestato e ordina ai suoi servitori di attestare intorno a Gesù Cristo, il Salvatore del mondo.

Infatti, io risolvetti di non sapere altro fra voi se non Gesù Cristo, ed esso
(lett. «e quello»)
crocifisso.
Questo per la sostanza del messaggio ch'egli ha recato. Nel sacrificio espiatorio di Cristo, è la salvezza dei peccatori; ed a questo fatto centrale del Vangelo, Paolo, di proposito, non ha voluto mescolare alcuna filosofica speculazione 1Corinzi 1:17. L'ha voluto esporre con ogni franchezza, semplicità e fedeltà, pur sapendo che un Cristo crocifisso era «scandalo ai Giudei e pazzia per i Greci». Questo non significa che l'Apostolo non abbia parlato d'altro in Corinto. Ma gl'insegnamenti da lui dati sull'unico vero Dio Atti 17, sullo stato morale dell'uomo innanzi a lui, sul giudicio avvenire, ecc., miravano a condurre i peccatori contriti e credenti alla croce di Cristo ch'è stata sempre il centro della sua predicazione Galati 3:1; Atti 17:18. Quanto al modo in cui la salvazione in Cristo è stata presentata ai Corinzi, Paolo fa notare che nè la persona, nè la parola del predicatore hanno avuto nulla di esternamente attraente.

Ed io sono stato presso di voi in [uno stato di] debolezza, di timore e gran tremore!
Siccome nella 2a Ep. Paolo allude ripetutamente alla «meschina sua presenza corporale» 2Corinzi 10:10, ad una infermità che lo affliggeva 2Corinzi 12:7-10;Galati 4:13, crediamo che colla parola debolezza egli faccia allusione alla poco attraente ed imponente sua presenza fisica, alle sue infermità corporali e fors'anche all'umile condizione di operaio a cui si sottopose quando venne in Corinto. Il timore ed il tremore (che denota una assorbente, intensa apprensione), derivano dall'ansietà prodotta nell'Apostolo dal vivo senso della propria responsabilità e della propria insufficenza. Si tratta di «quel misterioso e pauroso timore che assale i grandi predicatori di tutte le età... e che accompagna quasi sempre la potenza spirituale del ministerio» (Edwards). «Qual contrasto tra codesta attitudine umile, timida perfino, dell'Apostolo, e l'ardita confidanza del rètore greco che si avanza in mezzo all'udienza da uomo ch'è sicuro del successo della sua persona e del suo discorso!» (Godet).

E la mia parola
in genere
e,
in ispecie,
la mia predicazione
pubblica,
non [hanno consistito] in discorsi persuasivi di sapienza
(testo emend.) mondana,
ma in dimostrazione di spirito e di potenza.
L'efficacia della predicazione di Paolo non derivava dall'abilità dialettica od oratoria con cui sapesse abbagliar le menti, svolgendo sapienti elucubrazioni; risiedeva bensì nella potenza intrinseca della verità resa evidente alla mente dallo Spirito di Dio, e fatta penetrare nella coscienza e nel cuore da una forza sovrumana. Una convinzione ch'è frutto dell'abilità d'un uomo, può essere distrutta da un'abilità contraria; ma quando lo Spirito di Dio apre gli occhi della mente facendola capace di contemplar la verità, una tale dimostrazione non può più venire cancellata. «Dimostrazione di spirito e di potenza» viene a dire: dimostrazione operata dallo Spirito ed avente per carattere la potenza che non solo illumina la mente, ma risveglia la coscienza e rinnova il cuore, e trasforma la vita Giovanni 16:8-11; Efesini 1:17-18; 1Tessalonicesi l:5. Non pare che Paolo intenda alludere alla testimonianza dei miracoli, sebbene ne abbia operato anche in Corinto 2Corinzi 12:12. Il fine della predicazione è di produrre la fede in Cristo. Ma se questa fede avesse per fondamento l'umana sapienza abilmente presentata, poggerebbe sopra una base poco sicura e stabile. Se invece poggia sopra una potente dimostrazione divina che, mentre convince, converte e crea nuova vita, essa diventa allora salda e irremovibile. «Una cosa so, rispondeva il cieco guarito ai Farisei, che, essendo io stato cieco, ora veggo» Giovanni 9:25.

Perchè fosse sana e robusta la fede dei Corinzi, Paolo ha annunziato la salvazione in Cristo crocifisso, con onesta franchezza e semplicità, contando sull'azione potente dello Spirito per renderne efficace l'annunzio: acciocchè, dice egli,
la vostra fede non fosse [fondata] in sapienza d'uomini, ma in potenza di Dio.

AMMAESTRAMENTI

1. Paolo riguarda la funzione dell'evangelizzare come assai più importante di quella più esterna del battezzare. Se fosse vera la dottrina della rigenerazione per mezzo del battesimo, avrebbe a dirsi il contrario. Ed infatti dovunque regna l'idea che il battesimo rigenera, il missionario ed il pastore di un gregge sono assai più occupati ad amministrare dei sacramenti che non a predicare l'Evangelo che crea e nutre la fede. Ed i semplici fedeli non si preoccupano di pascersi della Parola di Dio, ma di essere dalla culla fino alla tomba, debitamente «sacramentati».
2. Nella 2Timoteo 4:2, Paolo prescrive al suo giovane collaboratore di riprendere «con ogni longanimità e dottrina». Egli stesso ne dà qui l'esempio quando combatte lo spirito di parte dei Corinzi. Non si limita a condannare il male, ma lo studia nelle sue vere cause e quelle cerca di rimuovere. Ha fatto intendere di già che se i cristiani tengono lo sguardo fiso in Cristo il loro comune ed unico Salvatore e Signore, lo spirito di parte riceverà un colpo mortale. Ma non ignora che fra le cause del male che cerca di guarire «'è il malsano entusiasmo di molti per i discorsi eloquenti e filosofici; e perciò, riferendosi al modo da lui tenuto nell'annunzio del Vangelo a Corinto, dimostra come la predicazione della croce di Cristo e la sapienza mondana non possano stare insieme. Così farà a 1Corinzi 3 e in 1Corinzi 4 combattendo altre cause del male che travaglia la chiesa. Dovunque, egli si sforza di eliminare nozioni false coll'esporre la verità in modo paziente e convincente. È questo l'unico metodo capace di dare dei risultati sicuri e durevoli, così nelle chiese come negli individui.
3. Se si può dire con verità che Cristo è il centro del Vangelo, si deve dire ugualmente che l'espiazione dei peccati compiuta sulla croce, è il centro dell'opera di Cristo, e quindi il midollo della predicazione apostolica. Un Vangelo da cui venisse eliminata la croce di Cristo non sarebbe più la Buona Novella della salvazione, ma un semplice sistema filosofico o morale da mettere accanto a tutti gli altri. Ora siccome la croce di Cristo sarà sempre scandalo agli uni e follia per gli altri, i credenti, ed in ispecie i ministri del Vangelo, devono stare in guardia contro la tentazione di adattare il messaggio della salvazione ai gusti malsani dell'epoca e della società in cui vivono. Si può «render vana» la croce sia col coprirla dei fiori d'una mondana rettorica che attragga gli sguardi sul predicatore anzichè sul suo solenne messaggio: sia col togliere al sacrificio di Cristo il suo valore espiatorio a furia di speculazioni; sia col non darle nella predicazione il posto prominente che le compete; sia col sostituirle altri mezzi di espiazione inventati dagli uomini. «quello che distingue e distinguerà sempre il Cristianesimo da tutte le filosofie è il fatto ch'esso presenta agli uomini: non un sistema di verità che la mente deve comprendere, ma una persona in cui si deve fidare... È la visione della croce che produce pentimento e fede. Fate veder Cristo agli uomini: ponete il Crocifisso chiaramente innanzi a loro colla narrazione dei fatti, anzichè con dei ragionamenti e delle teorie - e voi non avrete bisogno di dir loro di pentirsi e di credere. Se quella vista non li conduce a pentimento, nessuna vostra parola ve li condurrà» (M. Dods).
Si deve dunque condannare, dirà qualcuno, ogni sforzo diretto a rendere l'Evangelo più accessibile all'intelligenza, alla coscienza ed al cuore? Rispondiamo colle parole di L. Bonnet: «Esempi splendidi stanno a provare che lo spirito filosofico può esser posto al servizio della fede e che la cura data alla forma. Quando questa non sia se non la più elevata e la più pura espressione della vita interna, non rende vana la croce di Cristo. La questione sta tutta nel sapere su qual terreno uno si trova, a qual fonte egli attinge. Sapienza umana e sapienza di Dio, ecco i due termini che non sono conciliabili mai... Sola la «sapienza di Dio» concilia le contraddizioni profonde che esistono nelle relazioni tra l'uomo e Dio e nell'uomo stesso. Essa sola è la chiave dei misteri del peccato e in genere della vita umana. Ogni filosofia che vuol fare a meno della redenzione, poggia sopra un errore che rende falso l'intero sistema». Il mondo antico vanta menti acute e profonde; eppure il risultato del lavorio della ragione umana abbandonata a sè, si riassume in queste meste parole: «Non han conosciuto Iddio».
4. Alle chiese evangeliche italiane dell'oggi ben potrebbe applicarsi la descrizione dell'Apostolo: «non molti savi secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili». Nè questo dev'essere motivo di scoraggiamento quando si rifletta che vi è a questo una ragione divina. Fu spesso rimproverato ai cristiani nei primi secoli di esser per lo più persone del volgo, donne e schiavi. Eppur venne il tempo in cui le più superbe altezze si sono piegate, come dice il poeta, «al disonor del Golgota». «Beati voi, poveri» ha detto Gesù «poichè, il regno di Dio è vostro» Luca 6:20. «Tu hai nascoste queste cose ai savi ed intendenti e le hai rivelate ai piccoli fanciulli» Matteo 11:25. «L'evangelo è annunziato ai poveri» Matteo 11:5. «Intelletto, educazione, nascita, ricchezza, doni preclari, quando non siano posti sull'altar di Dio, tendono ad allontanare dal Vangelo; mentre la sventura, il bisogno conducono molti a gridare a Dio per ricevere aiuto» (Beet).
5. Quale inesauribile pienezza di grazia trova il credente in Cristo! Abbiam bisogno di verità: egli è la nostra sapienza. Abbiam bisogno di rientrare in relazione normale con Dio: egli è la nostra giustizia e per la sua morte otteniamo il perdono e la riconciliazione. Abbiam bisogno di una potenza di vita che ci affranchi dall'impero del peccato: egli è la nostra santificazione e nella comunione con lui siamo trasformati gradualmente alla sua immagine. Sospiriamo dietro alla gloriosa libertà dei figliuoli di Dio affrancati per sempre, anima e corpo, dalla «servitù della corruzione»: egli è la nostra redenzione compiuta e definitiva. «A chi dunque ce ne andremmo noi» se non a Cristo? Od in chi ci potremmo gloriare, se non in Lui?
O Gesù, Tu sei la vite
di soave umor feconda;
Tenga ognor la fede unite,
L'alme nostre a Te, Signor.
6. Impariamo da 1Corinzi 2:1-5, che il vero metodo per convertire gli uomini è di predicare la verità intorno alla persona ed all'opera di Cristo. Qualunque altro mezzo ha da esser subordinato a questo: Che le disposizioni con cui dev'esser predicato l'Evangelo sono il sentimento della propria debolezza, una grande ansietà e sollecitudine per le anime. Che l'efficacia del Vangelo non dipende dall'abilità del predicatore, ma dalla dimostrazione dello Spirito. Il fondamento della fede non sta principalmente negli argomenti rivolti alla ragione, ma nella potenza di Dio esercitata sul cuore dallo Spirito e per mezzo della Parola. (Abbreviato da C. Hodge). Paolo predica Cristo con ferma convinzione personale. Egli crede che il Vangelo è la «testimonianza di Dio». Chi crede con tutto il cuore quel che predica ha fatto la metà dell'opera per comunicar ad altri la fiamma della sua fede. Paolo predica con uno spirito di abnegazione senza preoccuparsi della propria reputazione. Cristo deve crescere ed il suo Apostolo diminuire. Predica in uno spirito di personale abbassamento, sentendo la sua debolezza, senza mettere avanti la sua autorità. Così ogni ministro deve esibire la sua apostolica successione predicando Cristo con apostolica fedeltà, sincerità, e mansuetudine. (Da F. Robertson).

Sezione C 1Corinzi 2:6-3:4LA SAPIENZA EVANGELICA

Coloro che, a Corinto, considerano come troppo elementare l'insegnamento di Paolo, dimenticano ch'egli è in grado, mercè la rivelazione dello Spirito di Cristo, di esporre le sapienti profondità del piano di Dio per la Salvazione 1Corinzi 2:6-16; ma non lo può fare utilmente se non davanti a Cristiani pervenuti ad una certa maturità spirituale. Or questo non era da principio, e neppure al presente è ancora, il caso dei Corinzi 1Corinzi 3:1-4.

1Corinzi 2:6-16 La sapienza per gli uomini maturi

Paolo ha predicato in Corinto le verità fondamentali del Vangelo con ogni semplicità, senza alcun apparato rettorico o filosofico. Ciò non vuol dire però che l'Evangelo sia incapace di soddisfare i più alti bisogni dell'intelligenza umana. Quando si tratta di crear la fede, i banditori d'esso ne proclamano i fatti essenziali; quando si tratta di nutrir una fede già salda, il loro insegnamento può assumere un carattere più profondo e più completo ed esporre la divina filosofia contenuta nei fatti.
Una sapienza, però, noi
(banditori del Vangelo)
l'esponiamo fra coloro che sono compiuti.
Non sempre stiamo agli elementi; ma quando ci troviamo in mezzo a cristiani avanzati, a uomini spiritualmente maturi 1Corinzi 3:1-2; 14:20; 13:10; Efesini 4:13; Ebrei 5:11-14; 6:1, noi ragioniamo loro (lett. parliamo) di una sapienza più vera e più profonda di quella che voi andate bramando;
ma una sapienza che non è di questo secolo
(di questo mondo)
nè dei principi di questo secolo che son ridotti al niente.
L'Evangelo contiene bensì la soluzione dei più alti problemi che possano affacciarsi alla mente, ma la sua sapienza non ha la sua origine nello sforzo della mente umana, anche se si prendono i sommi suoi rappresentanti nel campo del pensiero, come in quello della potenza politica. Questi, che il mondo considera come i suoi capi, svaniscono con la loro sapienza dinanzi alla rivelazione di Dio in Cristo. Nel nuovo ordine di cose inaugurato dal secondo Adamo, i loro principi, i loro metodi, i loro ideali son destinati a sparite come le tenebre dinanzi al sole 1Corinzi 1:19-20.

Noi, anzi, esponiamo
(lett. parliamo),
come cosa misteriosa, la sapienza di Dio, occulta;
La sapienza che noi esponiamo appartiene a Dio, ha la sua origine in Lui. Si tratta, infatti, del suo piano per la salvazione dell'uomo. Coi cristiani più maturi noi ne possiamo esporre con maggior ampiezza il meraviglioso insieme, il graduale svolgimento nel tempo, attraverso le varie economie, ed il glorioso compimento. Ma ne ragioniamo, in misterio (cfr. per l'uso della parola μυστηριον 1Corinzi 13:2; 14:2; 15:51; Efesini 5:32; 3:3-9; Romani 11:25; 16:25; Matteo 13:11, cioè non come se si trattasse di elucubrazione nostra, ma come di cosa che la mente umana non può conoscere se non le è rivelata da Dio. Infatti quel piano di Dio è rimasto in gran parte occulto anche a chi possedeva la rivelazione dell'Ant. Test. Si potrebbe tradurre ancora (v. traduz. Revel): «esponiamo una sapienza di Dio, misteriosa ed occulta»:
la quale Dio ha predeterminata
(o predestinata)
innanzi i secoli, a nostra gloria.
Efesini 1:5; Romani 8:29. Ab eterno, anche prima della creazione, Dio prevedendo la caduta dell'uomo, ha formato e stabilito il piano della salvazione che ha per fine ultimo di render l'uomo partecipe della gloria divina, traendolo dalla perdizione, e trasformandolo all'immagine di Cristo:

la quale (sapienza) niuno dei principi di questo secolo ha conosciuta; poichè, se l'avessero conosciuta,
se avessero conosciuto compreso il piano di Dio per la salvazione,
non avrebbero crocifisso
(ignominiosamente, come un malfattore)
il Signor della gloria:
il Signor Gesù che possiede la gloria divina in tutto il suo splendore Giovanni 17:5; Ebrei 1:3. Con quell'atto, i rappresentanti del sapere e della potenza mondana, i capi Giudei, Erode, Pilato, hanno mostrato quanto erano ignari del disegno di Dio il cui centro è appunto la persona e l'opera del Cristo Atti 2:17; Luca 23:34.

Ma, siccome è scritto, [son] cose che occhio non ha vedute, orecchio non ha udite e che non son salite in cuor d'uomo, cose che Dio ha preparate per quelli che l'amano.
La citazione dell'A. T. non è testuale, ma è ricavata principalmente da Isaia 64:4 (confr. Isaia 65:17; 55:8-9), ove si tratta delle meraviglie inaudite operate da Dio a favor del suo popolo per trarlo a salvamento dall'Egitto in Canaan. Nella salvazione degli uomini per mezzo di Cristo, si può dire, con maggior ragione ancora, che Dio ha operato in modo assolutamente superiore a quel che l'uomo avrebbe potuto immaginare coi mezzi naturali di conoscenza di cui dispone. La salvazione con i suoi beni, è preparata da Dio per quelli che lo amano, perchè ha per condizione la fede del cuore che si abbandona all'amor di Dio in Cristo e genera l'amore per Dio Romani 8:28. Le cose da Dio divisate e compiute per «salvar ciò ch'era perduto», i grandi ingegni non le hanno conosciute, ma gli umili banditori del Vangelo sono in grado di esporle perchè Dio le ha loro rivelate.

10 Ma, a noi Dio [le] ha rivelate per mezzo dello Spirito
(cfr. Matteo 16:17; Galati 1:12,16), s'intende lo Spirito suo, che ci è stato dato quale Spirito di verità per «insegnarci ogni cosa», per «guidarci nella verità tutta intera» Giovanni 14:26; 16:13-15.
Lo Spirito
[di Dio],
infatti, investiga ogni cosa,
penetra e conosce a fondo ogni cosa nelle creature e nel Creatore,
eziandio le cose profonde di Dio,
quello cioè che di più segreto e recondito vi è nei disegni di Dio Romani 11:33-36.

11 A provare come solo lo Spirito di Dio può conoscere e rivelare le profondità del consiglio divino, Paolo reca l'analogia dello spirito umano che, solo, è in grado di conoscere l'interno dell'uomo.
Perciocchè chi sa, d'infra gli uomini, le cose dell'uomo,
i suoi sentimenti, i suoi pensieri, i suoi propositi,
se non lo spirito dell'uomo ch'è in lui?
Se lo spirito umano che conosce l'interno dell'uomo, ossia di sè stesso, non lo rivela ad altri per mezzo della parola, nessuna creatura lo può penetrare.
Così, niuno conosce le cose di Dio,
i disegni suoi,
se non io Spirito di Dio.

12 Ora, noi abbiamo ricevuto, non lo spirito del mondo, ma lo Spirito che procede da Dio.
Lo «spirito del mondo» è la personificazione delle capacità naturali dell'uomo lasciato a sè. Può, con queste, giungere a risultati splendidi nel campo delle scienze fisiche, naturali, storiche, matematiche; ma è incapace di arrivare alla conoscenza della verità religiosa, della via della salvazione. Se avessero i soli lumi che il mondo può dare, gli Apostoli non potrebbero esporre la sapienza di Dio, ma hanno ricevuto lo Spirito che procede da Dio,
affinchè,
soggiunge,
noi conosciamo le cose che ci sono state date per grazia da Dio,
vale a dire i benefici della salvazione in Cristo.

13 Le quali ancora esponiamo, non con parole insegnate dall'umana sapienza, ma con parole insegnate dallo Spirito, adattando cose spirituali a cose spirituali.
Lo Spirito non solo rivela la sostanza della verità, ma coll'interno suo insegnamento rende la mente capace di dare alla verità la forma che meglio la può esprimere. «L'ispirazione è come la lingua della rivelazione. È questo il segreto dello stile particolare ed unico delle Scritture» (Godet). Per tal modo i banditori del Vangelo possono adattare alle verità spirituali che insegnano, quella forma spirituale che meglio lor conviene. Le ultime parole di 1Corinzi 2:13 si possono anche rendere: «adattando cose spirituali a uomini spirituali», ma il senso da noi preferito è quello che si connette più direttamente alla prima parte del versetto.

14 L'uomo naturale, però, non riceve le cose dello Spirito di Dio.
Per un insegnamento la cui sostanza è rivelata dallo Spirito e la cui forma è insegnata dallo Spirito, non tutti sono terreno adatto. Per uomo naturale s'intende colui che non ha lo Spirito di Dio Giuda 19, il cui spirito umano non è stato destato, vivificato, compenetrato dallo Spirito di Dio: la cui vita quindi si muove tutta nella sfera inferiore delle facoltà e delle affezioni dell'anima. Di solito la Scrittura non distingue che due elementi nella natura dell'uomo: quello inferiore, materiale, che chiama il corno, e quello superiore, non materiale, che chiama talvolta l'anima e talvolta spirito (cfr. 1Corinzi 2:11; Matteo 10:28; 2Corinzi 12:15; Ebrei 6:19; 10:39; Giacomo 1:21; 1Pietro 1:9; 2:11; Ecclesiaste 12:9; 1Corinzi 5:3,5; 7:34; Giacomo 2:26). Tuttavia, in alcuni luoghi, si distinguono tre elementi: il corpo, l'anima e lo spirito 1Tessalonicesi 5:23; Ebrei 4:12. In tal caso, l'anima è considerata come la sede degli affetti naturali, terreni, mentre lo spirito è l'organo superiore destinato agli affetti religiosi, capace di entrare in comunione con Dio. Soltanto, nello stato di peccato, quest'organo è paralizzato, atrofizzato, ed ha bisogno d'essere chiamato in attività dall'influenza vivificatrice dello Spirito di Dio. Finchè ciò non sia avvenuto, l'uomo rimane psichico, o, come traduce la vulgata, animale, inquanto non s'innalza al disopra delle affezioni dell'anima, della vita naturale. In tale stato, non riceve le cose dello Spirito, non fa loro buona accoglienza;
perciocchè gli sono pazzia, e non le può conoscere,
non ne può discernere la verità, l'eccellenza, la sapienza,
poichè si giudicano spiritualmente,
ossia coll'organo dello spirito illuminato dall'alto. In lui quell'organo non esiste ancora: egli è come il cieco dinanzi alla luce del sole.

15 Ma lo spirituale,
l'uomo rigenerato dallo Spirito e da esso fatto crescere nella conoscenza della verità,
giudica di ogni cosa,
è in grado di esaminare le cose della vita naturale come quelle della vita spirituale, e di recare su di esse un giudizio competente:
mentre egli stesso non è giudicato da alcuno
che non sia ammaestrato dallo Spirito. «Dal piano superiore uno può guardare dentro al piano inferiore, ma non viceversa» (Godet). Cfr. 1Giovanni 2:20; 4:1.

16 Infatti,
per poter giudicare con competenza l'uomo spirituale, bisognerebbe essere alla sua altezza in fatto di conoscenza e di esperienza religiosa. Ma, fra gli uomini del mondo, per dirla col profeta Isaia Isaia 40:13,
chi ha conosciuta la mente del Signore per poterlo ammaestrare?
Neanche i più grandi ingegni.
Ma noi possediamo,
per la rivelazione fattaci dallo Spirito,
la mente di Cristo,
cioè il pensiero di lui ch'è la nostra sapienza.