5 Paolo approvava la schiavitù? Qui e in Col 3:22-25 Paolo dà delle istruzioni ai padroni e agli schiavi, come anche Pietro fa in 1P 2:18-25. Inoltre, tutto il libro di Filemone parla di uno schiavo. Però in nessuno di questi brani Paolo condanna la schiavitù, invece gli schiavi sono esortati ad ubbidire al proprio padrone. Però, per capire quello che Paolo pensava della schiavitù, dobbiamo considerare tutti i principi che insegna sui rapporti fra padroni e schiavi. Con la nostra mentalità moderna, è troppo facile non renderci conto di quanto radicale era il suo insegnamento nel primo secolo. In modo particolare, ci sono due cose che dobbiamo ricordare. Prima di tutto, nell'antichità gli schiavi erano beni o oggetti, e il padrone era il loro proprietario e poteva fare quello che voleva con i suoi schiavi. Già il comando ai padroni di trattare bene gli schiavi era rivoluzionario. Secondo, i comandi agli schiavi di ubbidire, e agli padroni di dare ciò che era giusto, erano dati nel contesto di un rapporto con Gesù Cristo. Gli schiavi dovevano servire come se servisse Gesù Cristo (perché in realtà servivano Gesù). I padroni dovevano ricordare che loro e gli schiavi avevano lo stesso Signore, cioè Dio. Siccome non c'è favoritismo davanti a Dio, tutti, sia schiavo sia padrone, dovevano fare del bene agli altri. In altre parole, lo stato di schiavo o di padrone era irrilevante davanti a Dio (Gal 3:28). In questo senso, Paolo dichiarò che la schiavitù era abolita. Alzò lo schiavo al livello del padrone in quanto essere umano creato nella somiglianza di Dio; abbassò il padrone al livello del schiavo in quanto creatura che deve sottomettersi a Dio facendo la sua volontà. Anche se la Bibbia non ordinò mai ai padroni di liberare i loro schiavi, il risultato di questo insegnamento di Paolo e di Pietro fu che nel secondo secolo, quando i padroni si convertivano, spesso liberavano i loro schiavi. La realtà era che era difficile trattare uno schiavo come fratello in Cristo (File 16). Questo insegnamento sull'uguaglianza di tutti davanti a Dio fu il seme di una grande riforma sociale. La vera difficoltà di questo brano per noi non è la mancanza della condanna della schiavitù né del tentativo di abolirla, ma che i principi che Paolo insegna rovesciano non solo i valori su cui il sistema della schiavitù si basava, ma anche i valori a cui la società moderna tiene. Paolo dice che il nostro valore non dipende dall'importanza del nostro lavoro, non siamo definiti dal nostro lavoro (anche se è sempre una delle prime domande che poniamo ad uno sconosciuto per conoscerlo meglio), e il nostro comportamento a lavoro non può essere staccato dalla nostra vita spirituale, come se uno fossero per lunedì a sabato e l'altro per la domenica. Sia che siamo datori di lavoro, sia che siamo assunti, dobbiamo lavorare come se lavorassimo non per la ditta, non per la busta paga, ma per Gesù Cristo, perché in realtà serviamo Gesù. E questo è molto difficile per noi. Vedi il commento su 1Corinzi 7:17-28.
Qui e in Col 3:22-25 Paolo dà delle istruzioni ai padroni e agli schiavi, come anche Pietro fa in 1P 2:18-25. Inoltre, tutto il libro di Filemone parla di uno schiavo. Però in nessuno di questi brani Paolo condanna la schiavitù, invece gli schiavi sono esortati ad ubbidire al proprio padrone.
Però, per capire quello che Paolo pensava della schiavitù, dobbiamo considerare tutti i principi che insegna sui rapporti fra padroni e schiavi. Con la nostra mentalità moderna, è troppo facile non renderci conto di quanto radicale era il suo insegnamento nel primo secolo. In modo particolare, ci sono due cose che dobbiamo ricordare.
Prima di tutto, nell'antichità gli schiavi erano beni o oggetti, e il padrone era il loro proprietario e poteva fare quello che voleva con i suoi schiavi. Già il comando ai padroni di trattare bene gli schiavi era rivoluzionario.
Secondo, i comandi agli schiavi di ubbidire, e agli padroni di dare ciò che era giusto, erano dati nel contesto di un rapporto con Gesù Cristo. Gli schiavi dovevano servire come se servisse Gesù Cristo (perché in realtà servivano Gesù). I padroni dovevano ricordare che loro e gli schiavi avevano lo stesso Signore, cioè Dio. Siccome non c'è favoritismo davanti a Dio, tutti, sia schiavo sia padrone, dovevano fare del bene agli altri. In altre parole, lo stato di schiavo o di padrone era irrilevante davanti a Dio (Gal 3:28). In questo senso, Paolo dichiarò che la schiavitù era abolita. Alzò lo schiavo al livello del padrone in quanto essere umano creato nella somiglianza di Dio; abbassò il padrone al livello del schiavo in quanto creatura che deve sottomettersi a Dio facendo la sua volontà.
Anche se la Bibbia non ordinò mai ai padroni di liberare i loro schiavi, il risultato di questo insegnamento di Paolo e di Pietro fu che nel secondo secolo, quando i padroni si convertivano, spesso liberavano i loro schiavi. La realtà era che era difficile trattare uno schiavo come fratello in Cristo (File 16). Questo insegnamento sull'uguaglianza di tutti davanti a Dio fu il seme di una grande riforma sociale.
La vera difficoltà di questo brano per noi non è la mancanza della condanna della schiavitù né del tentativo di abolirla, ma che i principi che Paolo insegna rovesciano non solo i valori su cui il sistema della schiavitù si basava, ma anche i valori a cui la società moderna tiene. Paolo dice che il nostro valore non dipende dall'importanza del nostro lavoro, non siamo definiti dal nostro lavoro (anche se è sempre una delle prime domande che poniamo ad uno sconosciuto per conoscerlo meglio), e il nostro comportamento a lavoro non può essere staccato dalla nostra vita spirituale, come se uno fossero per lunedì a sabato e l'altro per la domenica. Sia che siamo datori di lavoro, sia che siamo assunti, dobbiamo lavorare come se lavorassimo non per la ditta, non per la busta paga, ma per Gesù Cristo, perché in realtà serviamo Gesù. E questo è molto difficile per noi.
Vedi il commento su 1Corinzi 7:17-28.