Commentario abbreviato:

Luca 23

1 Capitolo 23

Cristo davanti a Pilato Lc 23:1-5

Cristo davanti a Erode Lc 23:6-12

Barabba preferito a Cristo Lc 23:13-25

Cristo parla della distruzione di Gerusalemme Lc 23:26-31

La crocifissione, il malfattore pentito Lc 23:32-43

La morte di Cristo Lc 23:44-49

La sepoltura di Cristo Lc 23:50-56

Versetti 1-5

Pilato comprendeva bene la differenza tra le forze armate e i seguaci di nostro Signore. Ma i Giudei, invece di essere inteneriti dalla dichiarazione di Pilato sulla sua innocenza e di considerare se non stessero portando su di sé la colpa di un sangue innocente, si arrabbiarono ancora di più. Il Signore porta i suoi disegni a un fine glorioso, anche per mezzo di coloro che seguono le mire del proprio cuore. Così tutte le parti si unirono per dimostrare l'innocenza di Gesù, che era il sacrificio espiatorio per i nostri peccati.

6 Versetti 6-12

Erode aveva sentito parlare di Gesù in Galilea e per curiosità desiderava vederlo. Al mendicante più povero che chiedeva un miracolo per alleviare le sue necessità non veniva mai negato; ma a questo principe orgoglioso, che chiedeva un miracolo solo per appagare la sua curiosità, viene rifiutato. Avrebbe potuto vedere Cristo e le sue opere miracolose in Galilea, ma non volle; perciò è giusto dire: "Ora vuole vederle, ma non le vedrà". Erode mandò di nuovo Cristo da Pilato: le amicizie degli uomini malvagi sono spesso formate dall'unione nella malvagità. Essi concordano in poco, se non nell'inimicizia verso Dio e nel disprezzo di Cristo.

13 Versetti 13-25

La paura dell'uomo fa cadere molti in questa trappola: farebbero una cosa ingiusta, contro la loro coscienza, piuttosto che mettersi nei guai. Pilato dichiara Gesù innocente e ha intenzione di rilasciarlo; tuttavia, per compiacere il popolo, vuole punirlo come un malfattore. Se non si trova alcuna colpa in lui, perché castigarlo? Pilato alla fine cedette; non aveva il coraggio di andare contro una corrente così forte. Consegnò Gesù alla loro volontà, per essere crocifisso.

26 Versetti 26-31

Abbiamo qui il benedetto Gesù, l'Agnello di Dio, condotto come un agnello al macello, al sacrificio. Sebbene molti lo rimproverassero e lo vituperassero, alcuni lo compiangevano. Ma la morte di Cristo fu la sua vittoria e il suo trionfo sui nemici: fu la nostra liberazione, l'acquisto della vita eterna per noi. Perciò non piangiamo per lui, ma piangiamo per i nostri peccati e per quelli dei nostri figli, che hanno causato la sua morte; e piangiamo per paura delle miserie che ci procureremo da soli, se ignoriamo il suo amore e rifiutiamo la sua grazia. Se Dio lo ha sottoposto a tali sofferenze, perché è stato fatto sacrificio per il peccato, cosa farà con i peccatori stessi, che si rendono un albero secco, una generazione corrotta e malvagia, e non sono buoni a nulla! Le amare sofferenze di nostro Signore Gesù dovrebbero farci stare in soggezione di fronte alla giustizia di Dio. I migliori santi, paragonati a Cristo, sono alberi secchi; se lui soffre, perché non possono aspettarsi di soffrire anche loro? E quale sarà la dannazione dei peccatori? Anche le sofferenze di Cristo incutono terrore ai trasgressori ostinati.

32 Versetti 32-43

Non appena Cristo fu legato alla croce, pregò per coloro che lo crocifissero. La grande cosa per cui è morto e che ci ha procurato è il perdono dei peccati. Per questo prega. Gesù fu crocifisso tra due ladroni; in essi furono mostrati i diversi effetti che la croce di Cristo avrebbe avuto sui figli degli uomini nella predicazione del Vangelo. Un malfattore fu indurito fino all'ultimo. Nessun problema da solo può cambiare un cuore malvagio. L'altro fu addolcito fino all'ultimo: fu strappato come un marchio dal rogo e divenne un monumento della misericordia divina. Questo non incoraggia nessuno a rimandare il pentimento al letto di morte o a sperare di trovare misericordia. È certo che il vero pentimento non è mai troppo tardi; ma è altrettanto certo che il pentimento tardivo è raramente vero. Nessuno può essere sicuro di avere il tempo di pentirsi alla morte, ma ogni uomo può essere certo di non poter avere i vantaggi che ebbe questo ladro penitente. Vedremo che il caso è singolare, se osserviamo gli effetti non comuni della grazia di Dio su quest'uomo. Egli rimproverò l'altro per aver infierito su Cristo. Riconosceva di aver meritato ciò che gli era stato fatto. Credeva che Gesù avesse sofferto ingiustamente. Osservate la sua fede in questa preghiera. Cristo era nel più profondo della vergogna, soffriva come un ingannatore e non era stato liberato da suo Padre. Fece questa professione prima che venissero mostrati i prodigi che rendevano onore alle sofferenze di Cristo e che fecero trasalire il centurione. Credeva in una vita futura e desiderava essere felice in quella vita, non come l'altro ladrone, per essere salvato solo dalla croce. Osservate la sua umiltà in questa preghiera. Tutta la sua richiesta è: Signore, ricordati di me; rimanda a Gesù in che modo ricordarsi di lui. Così si è umiliato nel vero pentimento e ha portato tutti i frutti del pentimento che le circostanze gli consentivano. Cristo sulla croce è grazioso come Cristo sul trono. Pur essendo nella più grande lotta e agonia, ebbe pietà di un povero penitente. Da questo atto di grazia dobbiamo comprendere che Gesù Cristo morì per aprire il regno dei cieli a tutti i credenti penitenti e obbedienti. Si tratta di un unico esempio nelle Scritture, che dovrebbe insegnarci a non disperare di nessuno e a non disperare di se stessi; ma per evitare che se ne abusi, viene contrapposto alla terribile condizione dell'altro ladrone, che morì indurito nell'incredulità, nonostante un Salvatore crocifisso gli fosse così vicino. Siate certi che in generale gli uomini muoiono come vivono.

44 Versetti 44-49

Abbiamo qui la morte di Cristo magnificata dai prodigi che l'hanno accompagnata, e la sua morte spiegata dalle parole con cui ha spento la sua anima. Egli era disposto a offrire se stesso. Cerchiamo di glorificare Dio con il vero pentimento e la conversione, protestando contro coloro che crocifiggono il Salvatore, con una vita sobria, retta e divina e impiegando i nostri talenti al servizio di Colui che è morto per noi ed è risorto.

50 Versetti 50-56

Molti, anche se non si mettono in mostra nella professione esteriore, come Giuseppe d'Arimatea, saranno molto più pronti a rendere un vero servizio, quando ce n'è l'occasione, di altri che fanno più rumore. Cristo fu sepolto in fretta, perché il sabato si avvicinava. Il pianto non deve impedire la semina. Anche se erano in lacrime per la morte del loro Signore, dovevano prepararsi a santificare il sabato. Quando il sabato si avvicina, ci si deve preparare. I nostri affari mondani devono essere ordinati in modo tale da non ostacolare il lavoro del sabato e i nostri affetti santi devono essere stimolati in modo tale da portarci avanti. In qualsiasi attività ci impegniamo, o in qualsiasi modo il nostro cuore sia coinvolto, non manchiamo mai di prepararci e di mantenere santo il giorno del sacro riposo, che è il giorno del Signore.

Commentario del Nuovo Testamento:

Luca 23

1 CAPO 23 - ANALISI

1. Gesù dato dai Giudei nelle mani del Governatore romano. Poco dopo il levar del sole, il Sinedrio co' suoi uffiziali trascinarono Gesù legato al Pretorio, ossia palazzo del Governatore romano e lo consegnarono probabilmente in qualità di prigione ai soldati romani. Difatti essi stessi non entrarono; poiché sembra che, preoccupati dell'opera loro diabolica, non avevano avuto tempo di mangiare la Pasqua all'ora debita Giovanni 18:28. Vedi nota Luca 22:14, Questione 3. La loro speranza a tutta prima era che Pilato avrebbe pronunziata la sentenza di morte dietro le loro dichiarazioni, senz'altra inchiesta Giovanni 18:30; ma quando s'accorsero ch'ei non era disposto ad essere un cieco strumento della loro vendetta e che intendeva iniziare un'inchiesta giuridica, essi accortamente celarono l'accusa di bestemmia, dietro la quale l'avevano condannato, e lo addebitarono di delitti politici, che, essi lo speravano, avrebbero spaventato Pilato, e l'avrebbero conciliato alla loro causa. Queste accuse, secondo Luca, erano in numero di tre:

1. Che per agitazione sediziosa, avea tentato di pervertire la nazione e di muoverla a ribellione;

2. Che avea tentato di proibire il pagamento dei tributi ai Romani;

3. Che avea assunto il titolo, in parte civile e in parte religioso, di re dei Giudei.

Pilato non degnò accogliere che l'ultima; e, rientrato subito nella sala del giudizio, cominciò ad esaminare Gesù, per sapere se pretendeva a quel titolo. La sostanza di questo interessante abboccamento ci è stata conservata da Giovanni 18:33-38; esso convinse pienamente il Procuratore, che gl'interessi dell'imperatore, suo Signore, nulla avean da temere da quell'uomo povero, solo, senza amici; quindi egli uscì subito al Sinedrio, ed enfaticamente dichiarò: «io non trovo alcun misfatto in lui». Questo assolvere pubblicamente la loro vittima altro non fece che infocare vie maggiormente l'ira de' suoi nemici, i quali presero ad accusarlo tumultuosamente di aver sollevato il popolo col suo insegnamento per tutto il paese, «avendo cominciato da Galilea fin qua». La menzione della Galilea sembra aver destato in Pilato la speranza che, se Gesù era un Galileo, ei potea risparmiare a se stesso d'intervenire ulteriormente in questo fastidioso affare; ed infatti, avendo comprovato che Gesù era Galileo, ordinò immantinente, che fosse condotto ad Erode, alla cui giurisdizione apparteneva. Sin dal principio l'oculato Romano vide chiaramente, che questo non era un caso da risolversi innanzi al suo tribunale, e come nota Pfenninge: «Ei conosceva troppo le speranze dei Giudei per supporre, che il Sinedrio potesse odiare e perseguitare uno che volesse liberarli dal giogo romano» Luca 23:1-7.

2. Gesù dinanzi ad Erode. Professando esternamente il Giudaesimo, il Tetrarca di Galilea era salito a Gerusalemme, come gli altri suoi compaesani, per assistere alla festa di Pasqua, ed alla sua residenza (l'antico palazzo Asmoneo sul monte Sion), Gesù viene ora condotto lungo le vie brulicanti di popolo, guardato dai soldati romani e circondato da' suoi accusatori bramosi di versare nell'orecchie di Erode le loro accusazioni contro lui, se per buona fortuna ei volesse condannarlo a morte. Se queste accuse fossero meramente di natura politica, quali erano state mosse innanzi a Pilato, oppure se, trattandosi la causa alla presenza d'un Apocalisse giudeo, si riferissero alla supposta bestemmia per cui il Sinedrio l'avea condannato, non è detto; ma Erode non diede lor retta. Pieno di curiosità di veder l'uomo, intorno al quale, avea udito cotanto, e di speranza ch'ei forse volesse operare un miracolo alla sua presenza, egli assalì Gesù di domande nella speranza di ottenere il suo intento, ma invano. Il Signore che avea risposto alle domande di Caiafa e di Pilato in udienza privata, restò muto; ed Erode ne fu tanto adirato, che insieme ai soldati prese a coprirlo di insulti e di beffe e, per mettere in canzonatura l'accusa dei suoi avversarii, lo rimandò a Pilato vestito d'abito regio come a dire che a tali pretendenti al trono di Davide, il Tetrarca di Galilea ed il Procuratore romano non avevano bisogno d'infliggere altro castigo che il ridicolo ed il disprezzo. Questo piccolo atto di cortesia per parte di Pilato fu il mezzo di conciliarsi l'animo di un principe indigeno, con cui era per l'innanzi vissuto in inimicizia, e nell'autorità del quale era venuto probabilmente e di frequente a urtarsi Luca 23:8-12.

3. Gesù condotto una seconda volta innanzi a Pilato. Benché perplesso nel vedere che novamente gli era devoluta la causa, Pilato argomentò subito, dall'abito che vestiva Gesù, che Erode condivideva la sua opinione, esser egli cioè un innocuo entusiasta, innocente de' delitti che gli venivano addebitati, e perciò risolve fare un nuovo tentativo per liberarlo. Avendo dichiarato una seconda volta che Cristo era senza colpa riguardo alle accuse mossegli contro, egli avrebbe dovuto esercitare immantinente la giustizia col pronunziare la sua completa assoluzione; ma conscio che, nel suo governo, le sue mani non s'erano conservate pure, e paventando di sollevare contro di sé lo sdegno popolare, ei cominciò a temporeggiare, proponendo prima di flagellare un uomo innocente tanto da fargli perdere l'onore con un simil gastigo; indi proponendo di rilasciarlo per grazia, secondo un uso praticato nella festa. Una terza volta ei dichiarò l'innocenza di Gesù; ma i suoi sforzi riuscirono vani; le moltitudini gridarono che fosse rilasciato Barabba (uomo noto per le sue sedizioni e macchiato di brigantaggio e d'omicidio), e che Cristo fosse crocifisso; e a malgrado della propria inclinazione a favore del suo prigione, e della solenne protestazione di sua moglie, quell'uomo infelice pronunziò dal seggio giudiziario che Cristo fosse crocifisso, secondo lo chiedevano i suoi persecutori, e che l'omicida fosse messo in libertà. Gli altri Evangelisti mentovano gl'insulti, le beffe e la tortura che vennero inflitti a Gesù dalla brutale milizia; poiché fra i Romani questi erano i soliti preliminari dell'ultima agonia Luca 23:13-25.

4. Gesù crocifisso sul Golgota. Tra le notevoli circostanze connesse alla crocifissione del Signore, Luca mentova il costringere Simone il Cireneo a portare la croce; il colloquio del Salvatore colle donne di Gerusalemme che lo seguitavano piangendo; la sua crocifissione insieme a due ladroni; la sua preghiera pei suoi uccisori; il suo colloquio col ladrone penitente; la derisione della moltitudine e le beffe dei soldati; la soprascritta della croce; le tenebre miracolose; lo strapparsi della cortina del tempio; l'affidare per parte di Cristo l'anima sua al Padre, prima che spirasse; e l'impressione prodotta sul centurione romano da quanto avea veduto Luca 23:26-49.

5. La tumulazione di Gesù. L'iniziativa, in questo affare, fu presa da uno ch'era discepolo segreto, un membro del Sinedrio che avea protestato contro tutte le loro transazioni, ed uno che possedeva un sepolcro nuovo nel vicinato. Avendo comprovato che Gesù era morto, Giuseppe di Arimatea chiese a Pilato la facoltà di seppellire il suo corpo, ed avendo il centurione di servizio redatto, come si conveniva, il suo rapporto ufficiale dell'avvenuto decesso, il governatore acconsentì immantinente alla richiesta fattagli. La deposizione dalla croce non fu opera dei soldati beffardi che lo aveano confitto; riverentemente e teneramente ei fu calato giù da Giuseppe lui stesso, assistito da un uomo la cui presenza è affatto inaspettata, cioè da Nicodemo, ch'era venuto prima a Gesù di notte e segretamente, ma che ora, senza timore, alla luce del giorno, portava la sua preziosa offerta di mirra e d'aloe per preservare il corpo. Essi lo deposero nel nuovo sepolcro in cui niun morto era mai giagiuto, mentre ogni loro movimento era osservato con ansietà e tenerezza dalle donne piangenti di Galilea, ch'erano state fra i più devoti segnaci di Cristo, e che, dimentichevoli affatto della promessa della sua risurrezione al terzo giorno, risolvettero di tornare, appena fosse trascorso il Sabato, per imbalsamare il corpo Luca 22:50-56.

Luca 23:1-5. PRIMA COMPARSA DI CRISTO INNANZI A PILATO. ACCUSAZIONI DE' SUOI NEMICI Matteo 27:1-2,14; Marco 15:1-5; Giovanni 18:28-38

Per L'esposizione vedi Giovanni 18:28-38.

6 Luca 23:6-12. PILATO MANDA GESÙ AD ERODE ANTIPA

6. Allora Pilato, avendo udito nominar Galilea, domandò se quell'uomo era Galileo. 7. E, risaputo ch'egli era della giurisdizione di Erode, lo rimandò ad Erode, il quale era anch'egli in Gerusalemme a que' dì.

Al solo Luca siam debitori di questo interessantissimo incidente del giudizio del nostro Signore. Nelle accuse versate nell'orecchie di Pilato dagli avversari di Gesù, venne fatta menzione della Galilea, come del luogo in cui avea avuto origine il suo movimento di sedizione. Può darsi, che ciò fosse detto, solo per mostrare quanto sparso fosse il male cui Pilato dovea mettere un argine, o per rammentare a Pilato quanto fosse difficile, di presentare la prova d'un delitto commesso in si remota regione, o per ricordargli che la Galilea era la culla della maggior parte fra le congiure tramate contro il governo dell'imperatore, oppure ciò fu detto colla speranza, che in seguito al ben noto dissapore esistente fra i governatori di Giudea e di Galilea, Pilato sarebbe lieto di sottoporre al proprio giudizio un uomo, che Erode poteva considerare come suo suddito. Ma qualunque fosse lo scopo che si erano proposto, la menzione di Galilea, ben lungi dal muovere Pilato a proseguire, il giudizio, gli suggerì immantinente un pretesto conveniente per declinare ogni responsabilità, e di fare al tempo medesimo, il primo passo verso una riconciliazione con Erode. Appena ebbe appurato che Gesù era Galileo, mandò il suo prigione sotto scorta di soldati e di accusatori ad Erode. Pel suo carattere privato e la sua parentela vedi note Luca 3:1; Matteo 2:1; Matteo 14:3; Marco 6:14,17-18. La capitale della sua Tetrarchia era Cesarea di Filippi, ma la sua abituale residenza, quel tempo, era il castello di Macherus presso al mar Morto, essendoché il suo esercito fosse in guerra con Areta, re di Arabia, suo suocero. Professava la religione giudaica; ma la ricerca del piacere, l'amore delle novità e la brama di contentare i suoi sudditi, piuttostoché qualsiasi sentimento religioso, lo aveano condotto a Gerusalemme, durante la celebrazione della Pasqua.

PASSI PARALLELI

Luca 13:1; Atti 5:37

Luca 3:1; 13:31

8 8. Ed Erode, veduto Gesù, se ne rallegrò grandemente; perciocché da, molto tempo desiderava di vederlo; perché avea udite molte cose di lui,

Questo desiderio avea nudrito per lungo tempo, Luca 9:9, mosso sia dalla curiosità, sia da un timore superstizioso, poiché sebbene, fosse Sadduceo di fede, egli era pervenuto alla conclusione che Gesù era Giovanni Battista risuscitato dai morti. Il suo tentativo di arrestare, il ministerio di Cristo in Perea, stimandolo egli troppo vicino alla sua residenza Luca 13:31, è affatto compatibile con una forte curiosità di vedere uno intorno a cui avea udito cotanto. Non è strano ch'egli avesse udito tante cose di Cristo, essendoché la Galilea e la Perea risonassero entrambi della sua fama; ma egli avea mezzi speciali d'informazione, poiché la moglie di Chuza suo tesoriere, era fra le donne divote che ministravano a Gesù e ai suoi discepoli della loro sostanza Luca 8:3, ed è del tutto possibile che Manaen suo fratello di latte (in appresso uno dei profeti della Chiesa d'Antiochia Atti 13:1) sia stato, a quei tempi, impiegato al suo servizio. Ma che cosa infiammò il suo desiderio e lo riempì d'allegrezza quando Cristo fu alla fine, e in modo inaspettato, condotto alla sua presenza? Se mai vi era stato tempo in cui una, coscienza aggravata aveva potuto fargli desiderare, di chiedere ad un profeta se vi fosse stato un mezzo di ottenere perdono pel sangue, innocente che aveva sparso, quel tempo era trascorso e già lontano; leggerezza nel parlare e nel comportarsi, e dissolutezza avevano molto avvilito il suo carattere; e tutto quello che ora provava era un desiderio vanaglorioso di avere un colloquio con quest'uomo singolare, la cui fama si era sparsa per tutto il paese; la brama d'una volgare curiosità, la sete di qualche brillante dimostrazione di conoscenza o di potenza!

e sperava veder fargli qualche miracolo.

Paragonato a Giovanni Battista, il nuovo profeta si era distinto coll'operar miracoli; ed Erode così ragionava in sé medesimo: "Se operò miracoli per salvarne altri, di certo ne farà per salvare se stesso": e perciò tentava ogni mezzo che venivagli in mente d'indurlo ad operare qualche prodigio alla sua presenza.

PASSI PARALLELI

Luca 9:7-9; Matteo 14:1; Marco 6:14

Luca 4:23; 2Re 5:3-6,11; Atti 8:19

9 9. E lo domandò per molti ragionamenti; ma egli non gli rispose nulla. 10. E i principali sacerdoti, e gli Scribi, comparvero quivi, accusandolo con grande sforzo.

Il modo in cui il nostro Signore tratta Erode è notevolissimo. Benché questi si fosse rivolto a Gesù e l'avesse domandato con molte parole, non ottenne in risposta neppure, una sillaba; persino le rabbiose accusazioni scagliategli contro dai suoi nemici non poterono strappargli una parola, alla presenza di quell'uomo sanguinario e dissoluto. In privato, avea parlato a Caiafa e a Pilato; perché non ad Erode? Forse perché Gesù non riconobbe in lui un giudice legittimo; ma più probabilmente perché Erode lo considerava come un accorto prestigiatore, come un oggetto di curiosità, e Gesù non voleva prestarsi a rappresentar quella parte; ma soprattutto e' si fu a motivo dello spirito e della disposizione d'Erode, durante il colloquio, nel quale non mostrò il menomo segno di penitenza né il menomo sintomo di disposizione ad ascoltare, per esser salvato. La sua condanna fa questa, che il Signore non volle schiudere il labbro per parlargli.

PASSI PARALLELI

Luca 13:32; Salmi 38:13-14; 39:1-2,9; Isaia 53:7; Matteo 7:6; 27:14; Atti 8:32

1Pietro 2:23

Luca 23:2,5,14-15; 11:53; Atti 24:5

11 11. Ma Erode, coi suoi soldati, dopo averlo sprezzato, e schernito,

Le accusazioni del Sinedrio furono impotenti a destare apprensione di serio pericolo nell'anima di Erode, come lo erano state nel caso di Pilato; e' si fu semplicemente il difetto di rispetto per se stesso, e l'irritazione della vanità mortificata manifestantesi in tutta la rozzezza della sua natura, che lo spinsero a chiamare assieme la sua guardia di corpo, e a costituirsi loro a modello nel deridere e vituperare l'uomo che era in loro potere assoluto,

lo vestì d'una veste bianca, e lo rimandò a Pilato.

Alcuni interpreti propendono a creder che questa sia la vesta di porpora che contraddistigueva gl'Imperatori romani, ma la parola bianca sembra esser qui l'esatta traduzione di poiché in Atti 10:30; Apocalisse 15:6, dove ricorre, non vi può essere alcun dubbio che questo non sia il suo significato. Notisi inoltre, che il bianco era il colore della veste usata dai re giudei; e di conseguenza quello appunto che Erode dovea scegliere se desiderava di volgere in beffa le sue pretese ad esser Apocalisse dei Giudei. Egli mostrava eziandio praticamente che a mente sua le accusazioni dei sacerdoti e degli scribi erano frivole, col trattarle come uno scherzo. Se si suppone che Gesù fu arrestato circa alle 10 pomeridiane, alle 7 del mattino avea già subito cinque interrogatorii, tre dei quali innanzi a pubblici tribunali!

PASSI PARALLELI

Atti 4:27-28

Luca 22:64-65; Salmi 22:6; 69:19-20; Isaia 49:7; 53:3; Matteo 27:27-30; Marco 9:12

Marco 15:16-20

Giovanni 19:5

12 12. Ed Erode e Pilato divennero amici insieme in quel giorno; perciocché per l'addietro erano stati in inimicizia fra loro.

La cagione dell'inimicizia fra costoro può esser stata l'uccisione ordinata da Pilato di alcuni sudditi di Erode, nel tumulto che ebbe luogo nei cortili del tempio; benché sia facile supporre che contese sopra altri punti abbiano potuto sorgere fra due governatori senza principii, e che vivevano a fianco l'un dell'altro, geloso l'uno di qualsiasi intromissione dell'altro nel suo dominio. Notevolissima tuttavia è l'occasione della loro riconciliazione, vale a dire lo scambio di cortesi ambasciate, mentre mandavano, dall'uno all'altro, prigione il Signor della gloria. È vero che né Pilato né Erode temevano Cristo o nudrivano contro lui personalmente un sentimento speciale d'odio, ma non è men vero ch'essi s'accordarono nel disprezzarlo e nell'insultarlo, e che essi non avevano ombra di fede nel diritto che faceva valere ad esser creduto e rispettato. Il fatto della loro riconciliazione in occasione del suo giudizio è pertanto significantissimo e molto istruttivo. «È certo», dice Ryle, «che questa circostanza colpì vivamente gli Apostoli. Essi la considerarono come l'adempimento d'una parte del Salmo 2. Essi mentovarono l'unione di Pilato, di Erode e dei Giudei contro il loro Maestro, nella loro preghiera a Dio» Atti 4:23-30.

RIFLESSIONI

1. «Nel caso di Erode abbiamo un mirabile esempio del corso del delitto che sempre si avanza, e si muove a precipizio, soprattutto di quel corso speciale di delitto (leggerezza e dissolutezza) cui si era abbandonato; un esempio del quanto rapidamente e del quanto completamente e un cuore umano possa indurirsi contro qualsiasi riprensione, spegnere i suoi convincimenti, vincere i suoi timori, e attrarre su di sé una condanna tale che più tremenda non c'è "Efraim è congiunto con gl'idoli, lascialo" Osea 4:17. Esser lasciati del tutto e assolutamente soli; esser consci che tutte le voci che ci parlano di Dio e del dovere; la voce della coscienza dal didentro, la voce della provvidenza dal di fuori, la voce che sgorga dalle labbra di Cristo, sono ridotte ad un silenzio non interrotto, forse eterno! Puossi concepire uno stato qualsiasi dello spirito umano più triste di questo? Eppure questa è appunto la condizione cui l'abuso delle opportunità, l'indulgenza per le passioni, il soffocar le voci quando ci parlano, conducono l'uomo naturalmente e del continuo» (Hanna).

2. Per numerose che fossero le cose riguardo alle quali Pilato ed Erode erano discordi, essi potevano unirsi nel disprezzare e nel perseguitare Cristo. In essi abbiamo un vivido emblema d'uno stato di cose che puossi in ogni tempo costatare nel mondo. Uomini dalle più discordi opinioni possono andare uniti nel contrastare alla verità; maestri delle più opposte dottrine posson far causa comune nel combattere il vangelo. Ne sian prova i Farisei e i Sadducei, i quali unirono le loro forze per allacciare Gesù di Nazaret e metterlo a morte; e, ai nostri giorni, i Romanisti e i Sociniani, gl'increduli e gli idolatri, uomini d'idee così detto liberali e i più fanatici ascetici non sono essi tutti insieme schierati contro la religione evangelica? Un odio comune li lega insieme; è l'odio contro la croce di Cristo. Essi tutti si odiano aspramente gli uni gli altri, ma tutti odiano Cristo molto più. Il vero Cristiano non deve adunque meravigliarsi se è odiato dal mondo.

13 Luca 23:13-25. SECONDA COMPARSA DI CRISTO INNANZI A PILATO, IL QUALE, DOPO VARII SFORZI PER LIBERARLO, LO CONDANNA AD ESSER CROCIFISSO Matteo 27:12-31; Marco 15:3-20; Giovanni 18:38-40; 19:1-16

Per l'esposizione vedi Giovanni 18:38-40; Giovanni 19:1-16.

26 Luca 23:26-49. CROCIFISSIONE E MORTE DEL SIGNOR GESÙ E VARIE CIRCOSTANZE AD ESSE RELATIVE Matteo 27:32-56; Marco 15:21-41; Giovanni 19:17-37

Per l'esposizione generale vedi Giovanni 19:17-37; per le circostanze particolari a Luca, vedi infra.

Simone il Cireneo angariato a portar la croce, Luca 23:26

26. E, come essi lo menavano, presero un certo Simon Cireneo, che veniva da' campi, e gli misero addosso la croce, per portarla dietro a Gesù.

Luca che scrisse il suo Vangelo pei Gentili, tace del crudele trattamento inflitto a Gesù dalla milizia romana, per non destare inutilmente i pregiudizii dei lettori gentili. Matteo tuttavia, Matteo 27:26-31, e Marco 15:15-20, ci forniscono compiuti particolari, cominciando essi dalla battitura, che sembra esser stata inflitta alla presenza di Pilato, qual preliminare solito della crocifissione. «La parola usata da Matteo per battitura implica, che non si eseguiva con verghe, virgoe, poiché Pilato non aveva dei littori, ma con quello che Orazio chiama l'«horribile flagellum», di cui il knout, usato in Russia, è l'unico moderno rappresentante» (Farrar). Dopo aver subito un sì orrendo supplizio, sarebbesi potuto supporre che Pilato, convinto siccome egli era della sua innocenza, gli avesse almeno risparmiata la sofferenza addizionale causata dai trattamenti brutali dei soldati; ma non s'intromise per nulla. Essi lo coronarono con una corona di, spine ed imitarono la beffa insolente dei soldati d'Erode col vestirlo d'un abito scarlatto, e col rendergli omaggio come se fosse stato il romano Imperatore; dopo di che lo condussero subito via per esser crocifisso. Esisteva un decreto del Senato romano, promulgato durante questo stesso regno di Tiberio, secondo il quale, la punizione di persone condannate doveva venir differita fino al decimo giorno dopo la loro condanna, ma Pilato, benché pretendesse a procedere secondo la legge romana, non fe' il menomo tentativo di farla prevalere e di arrestar così l'indegna sollecitudine dei principali d'infra i Giudei. «Senatu consulto cautum ut poena damnatorum in decimum semper diem differetur» (Sveton. Vita Tiber. 75). Mentre il luttuoso corteo lasciava il Pretorio alla volta del Golgota, la croce (o come alcuni suppongono soltanto l'asse traversale di essa) venne posta sopra Gesù Giovanni 19:17, poiché il portarla era parte del castigo implicato nella crocifissione; benché, a motivo delle fatiche cui era andato soggetto dall'ora del suo arresto in poi, della perdita del sangue e del dolore atroce prodotto dalla flagellazione, egli fosse evidentemente troppo debole per portarla. Fino alla porta della città Matteo 27:32, aveva procurato di reggere al peso; indi, le sue guardie, convinte che la sua forza era venuta meno, e mal soffrendo qualsiasi ritardo, s'impadronirono d'un forestiere che tornava dai campi e lo costrinsero, Vedi Nota Matteo 5:41, forse perché era un Africano, a diventar loro istrumento nel compiere questo lavoro da schiavo. Sembra che i soldati romani siano stati soliti ad angariar gente a portar pesi in loro voce (Epicteto, Dissert. citata da Farrar). Intorno alla condizione di costui, se fosse, un Giudeo o un indigeno di Libia, se fosse un uomo libero o uno schiavo, nulla è noto all'infuori di questo, ch'egli era da Cirene, capitale della Cirenaica e una delle principali città di Libia. Benché posta in Africa, era una città Greca e un grandissimo numero di Giudei vi avevan preso dimora, come lo si può dedurre dalla menzione fatta di alcuni di essi come presenti in Gerusalemme, il giorno della Pentecoste Atti 2:10, e dall'aver essi, in unione ad altri Giudei dell'Africa settentrionale, una sinagoga in Gerusalemme Atti 6:9; Marco 15:21, aggiunge un altro particolare intorno alla sua persona, cioè ch'era. il «padre di Alessandro e di Rufò», indicando egli chiaramente che essi erano proseliti Cristiani ben noti agli Apostoli, dal che s'induce che anche Simone si era convertito al Cristianesimo. Due uomini degli stessi nomi sono mentovati in Atti 19:33; Romani 16:13; ma non vi è alcuna prova positiva della loro identità con questi figli di Simone, benché molti la stimino probabile. Che la istessa misericordiosa virtù, che convertì il ladrone sulla croce, avesse operato efficacemente sul cuore di colui che, contro il suo volere, portava la croce, facendo di lui un vero discepolo, è oltremodo probabile; ma nulla vi è nelle narrazioni dei Sinottici a comprovare la teoria ch'egli era stato un seguace di Cristo prima d'essere angariato a portar la croce, e che essendo egli sospettato d'esser tale, la croce gli era stata imposta a guisa di vituperio. Fino al momento in cui incontrò il corteo alla porta della città, sembra esser stato ignaro del tutto di quanto era avvenuto quella mattina.

27 

Parole di Cristo alle donne di Gerusalemme, Luca 23:27-31

27. Ora una gran moltitudine di popolo, e di donne, lo seguitava, le quali ancora facevano cordoglio, e lo lamentavano.

L'incidente più commovente di quel memorabile giorno ci è stato conservato dal solo Luca, che mentova il ministrare delle donne più spesso che qualsiasi degli altri Evangelisti. Che le moltitudini fanatizzate, le quali, ad istigazione de' loro sacerdoti e governatori, aveano richiesta con grida clamorose la crocifissione di Cristo, lo seguissero per pascersi del suo supplizio, non deve recar meraviglia; ma si sarebbe difficilmente potuto aspettare l'intervento d'una moltitudine di donne in siffatto corteo; e ciò era tanto più singolare, che, secondo la tradizione giudaica, era proibito di mostrar segni di compassione per un reo condotto al supplizio. Era da aspettarsi, in vero, che le fedeli donne della Galilea, il cui diletto era stato di servir Gesù, lo avessero assistito della loro simpatia e delle loro lagrime sino alla fine, ma desse erano in piccolo numero; la maggioranza di quella moltitudine componevasi di donne che abitavano nella città, poiché Cristo le chiamò «figlie di Gerusalemme». La strana, eppure usuale curiosità di considerare le persone che stanno per morire e di vedere come si atteggino di fronte ad una morte violenta, può averle tratte a veder lo spettacolo; ma mentre guardavano il Redentore, un senso di profonda compassione s'impadronì di loro, e fe' loro versare abbondanti lacrime. Più inclinate alla compassione e meno abili degli uomini a domar le impressioni, non poterono nascondere il loro dolore e stupore in presenza delle sofferenze d'un uomo innocente. Non è probabile, da quanto ci vien detto nei due versetti seguenti, ch'esse fossero conscie de' loro peccati, od avessero fede in Gesù come nel Messia; ma a ogni modo, le loro lacrime non erano il prodotto di mero sentimentalismo o di superficiale compassione (altrimenti Gesù non le avrebbe probabilmente reputate degne di ricevere da lui parole speciali), bensì di vera simpatia per le umane sofferenze, e Cristo ben lungi dall'essere offeso o dal rigettar la tenera simpatia che gli mostrano, sente destarsi, nel suo cuore in contraccambio una simpatia più profonda per loro. È in questo modo ch'ei riconosce le loro lagrime e ne le ringrazia. È degno di nota, che il pianto delle donne è la sola cosa che, secondo la narrazione evangelica, attrasse la sua attenzione fra il Pretorio e il Calvario, e lo indusse a rompere il silenzio da lui mantenuto per tutto il cammino. Avrebbe benissimo potuto accadere che, in una crisi siffatta, i suoi pensieri fossero stati intieramente occupati delle proprie sofferenze; ma con divina compassione, dimentica sé stesso per interessarsi ai dolori altrui.

PASSI PARALLELI

Luca 23:55; 8:2; Matteo 27:55; Marco 15:40

28 28. Ma Gesù, rivoltosi a loro, disse: Figliuole di Gerusalemme. non piagnete per me; anzi, piagnete per voi stesse, e per i vostri figliuoli.

Questa era una proibizione di genere comparativo, simile alla sentenza in Osea 6:6: «Io gradisco benignità e non sacrifizio», per le quali parole non vien già proibito il sacrifizio, ma viene affermato che deve cedere il suo posto quando rivaleggia coll'esercizio della misericordia. Gesù Cristo non le invitò a cessare del tutto di piangere sopra lui, ma a considerare quanti maggiori motivi esse avessero di piangere sopra sé stesse. Ed invero, v'erano ragioni abbondanti per impartire questo consiglio. Riguardo a lui non avevano tanti motivi di piangere, poiché le sue sofferenze erano affatto volontarie; s'appressavano eziandio al loro termine; e dovevano risultare nella propria elevazione alla destra di Dio e nella salvezza d'un mondo perduto. Vi era una letizia postagli innanzi, dopo che avrebbe sofferto la croce e si sarebbe posto a sedere alla destra di Dio Ebrei 12:2, nel dominio universale promessogli e nell'avere una progenie per servirlo mentre dureranno il sole e la luna Salmi 72:5. Ma le sofferenze tenute in serbo per loro dovevano esser tali che niuno mai sulla terra ne esperimentò di consimili. Mentr'ei rivolse queste parole alle donne, la terribile imprecazione: «Sia il suo sangue sopra noi e sopra i nostri figliuoli» Matteo 27:25, risonava tuttora nel suo orecchio, ed egli si rappresentò vivamente in quell'ora, come di frequente l'avea fatto negli ultimi giorni Luca 13:34; 19:41; Matteo 23:37; 24:2, le scene di carestia, d'incendio, e di massacro che sorprenderebbero quella sfortunata città, quando sarebbe eseguita la sentenza, che sì empiamente avean chiamata sul loro capo. Molte fra loro, probabilmente, perirono nell'assedio di cui i Romani cinsero Gerusalemme quarant'anni dopo questo stesso giorno. Alcuno delle più giovani madri raggiunsero, a quell'epoca, appena il loro sessantesimo anno; i loro figli erano tutti adulti e costituivano la generazione su cui dovevano piombare le sciagura ch'egli avea descritte come la «grande afflizione qual non fu giammai, dal principio del mondo, infino ad ora, ed anche giammai più non sarà» Matteo 24:21.

PASSI PARALLELI

Cantici 1:5; 2:7; 3:5,10; 5:8,16; 8:4

29 29. Perciocché, ecco, i giorni vengono che altri dirà: Beate le sterili, e beati i corpi che non hanno partorito, e le mammelle che non han lattato.

In questo e nei seguenti versetti, Gesù mostra la ragione per cui dovrebbero piangere sopra loro stesse, col citar le parole che sarebbero sulle labbra di tutti ne' territori dell'assedio, e le grida disperate ed inutili dietro a liberazione che l'angoscia strapperebbe loro. Per ardente che fosse il desiderio delle donne ebree di aver prole, e per grande che fosse l'onta ch'esse assegnavano alla sterilità, il Signore dichiara che nei giorni della lor calamità, le sterili sarebbero da tutti proclamate beate e fortunate, e quelle gravide o allattanti sarebbero compiante come aggravate da immensa sciagura Luca 21:23, essendo esso in modo speciale disadatto a sostenere le distrette personali e relativo di quel tempo. La storia ci dice, che nell'assedio di Gerusalemme molte madri partorirono «figli all'ucciditore» Osea 9:13: e che fu adempiuta la profezia: «le mani delle pietose donne han cotti i lor figliuoli» Lamentazioni 4:10. Orribile fu certamente l'angoscia di molte madri nel vedere i loro figli morir di pestilenza e di fame o trascinati cattivi in paesi stranieri. Quindi erano relativamente felici quelle che essendo sterili erano franche di sofferenze consimili.

PASSI PARALLELI

Luca 21:23-24; Matteo 24:19; Marco 13:17-19

Deuteronomio 28:53-57; Osea 9:12-16; 13:16

30 30. Allora prenderanno a dire a' monti: Cadeteci addosso; ed a' colli Copriteci.

«Allora» si riferisce evidentemente alla stessa epoca. Le parole figurate che il Signore mette sulle loro labbra ad esprimere il più alto grado di distretta e d'incipiente disperazione sono tolte ad imprestito da Osea 10:8, dove sono usate a descrivere i giudizii che doveano avvenire all'apostata Israele. Piuttosto che di rimanere com'erano, e di affrontare ancora nuove e più orribili crudeltà per parte d'una milizia brutale e furibonda, essi griderebbero ai monti di cader sopra loro e di coprirli. Cotali invocazioni furono vane; ma essi cercarono con ansietà tutto ciò che poteva offrir loro un rifugio, poiché Flavio (Bell. Giudici. 6:9,4), ci dice che, alla fine, moltitudini si ripararono nelle fogne ne' recessi più oscuri e più sozzi della città, e di esse alcuni furono scoperti ed uccisi, mentre non meno di duemila furono sepolti sotto le rovine dei loro nascondigli. È facile il discernere, dal fatto che queste parole sono mosse in bocca dei malvagi, nell'Apocalisse 6:16-17, come pure dal linguaggio di Osea che adopra le istesse immagini, che oltre a quell'avvenimento più vicino e più limitato di cui queste donne e i loro figli dovevano essere spettatori, il Signore guardava innanzi al giudizio più esteso, che alla fine d'ogni cosa deve abbracciare tutto il mondo degli impenitenti. «È notevole», dice Oosterzee, «che il Signore, ora ch'era stata pronunziata la sentenza contro lui, cessò dal premunire gli uomini contro questa calamità (la distruzione di Gerusalemme), ma ne parlò come d'un avvenimento inevitabile, senza neppure accennare, anche da lontano, a qualsiasi mezzo di potervi per avventura sfuggire. Era passato il giorno della visitazione di Gerusalemme». E molto più impossibile sarà lo scampo quando sarà venuto il giorno dell'«ira di Dio e dell'Agnello».

PASSI PARALLELI

Isaia 2:19; Osea 10:8; Apocalisse 6:16; 9:6

31 31. perciocché, se fanno queste cose al legno verde, che sarà egli fatto al secco?

Dacché, queste parole furono pronunciate da Gesù Cristo, passarono in proverbio, come molte altre sentenze cadute dal suo labbro, ma ch'esse corressero a guisa di proverbio avanti la sua venuta, come suppongono molti interpreti, è una gratuita asserzione. Vi è un passo in Ezechiele 21:3, in cui parlasi d'un «fuoco che consumerà ogni albero verde ed ogni albero secco», significando con ciò i giusti e gli empi (ver. 8); e se non devesi supporre che queste parole ebbero la loro origine nella mente divina del Redentore, è assai più probabile ch'egli, ché in tutto il suo insegnamento onorava «la legge ed i profeti», applicasse il linguaggio figurato di Ezechiele a se stesso e al suo uditorio. Il contrasto non è fra vecchio e giovane (Bengel); e queste parole non fanno parte del grido di disperazione del ver. 30. Per l'albero verde, Gesù indica se stesso, e per l'albero secco i malvagi Giudei; e dalle sue proprie sofferenze, che erano allora incominciate, induce il tremendo castigo di quella nazione colpevole, è di tutti quelli che morrebbero senza pentimento. "Se l'innocenza deve siffattamente soffrire, che cosa ne sarà del colpevole? Se io, che porto solamente i peccati altrui, devo soffrire in questo modo, qual dovrà essere la sorte di quelli che hanno chiamato il mio sangue e i loro peccati sul loro capo e sul capo dei loro figliuoli? L'albero verde, pieno di succo, di vita e di foglie non è un buon combustibile, ma l'albero secco e inaridito è da per se stesso pronto a divenir preda delle fiamme. Se i Romani esercitano tali atti di crudeltà sopra di me, che sono un albero verde e la sorgente stessa della vita, che cosa non vi faranno essi quando vi puniranno per la vostra malvagità e diventeranno gl'istrumenti di Dio, per distruggere questa nazione peccatrice?" Dai patimenti sofferti al presente dai giusti, per amore del loro Maestro, Pietro ne induce, in modo analogo, la certezza della distruzione degli empi ed impenitenti, alla fine 1Pietro 4:17-18.

PASSI PARALLELI

Proverbi 11:31; Geremia 25:29; Ezechiele 15:2-7; 20:47-48; 21:3-4; Daniele 9:26; Matteo 3:12

Giovanni 15:6; Ebrei 6:8; 1Pietro 4:17-18; Giuda 12

RIFLESSIONI

1. «Quando leggiamo che Gesù "uscì portando la sua croce" Giovanni 19:17, e così soffrì fuori della porta, possiamo noi meravigliarci dell'invito rivolto dall'Apostolo a' suoi fratelli in fede: "Usciamo dunque a lui fuor del campo, portando il suo vituperio" Ebrei 13:13. Difatti, che cosa era ormai la città ed il tempio dopo che il loro Signore n'era stato giuridicamente scacciato n'era stato allontanato con disprezzo; e, fuori della porta, come un maledetto, era stato messo a morte sulla croce? Ecco! la loro casa era lasciata loro desolata, la lor gloria si era dipartita, ed allora, come non mai prima, potevasi udire da quelli che ancora venivano a calcare quei cortili, una volta santi, una voce che diceva loro: "Non continuate più di portare offerte da nulla; i profumi mi son cosa abbominevole... le vostre solennità mi sono di gravezza, io sono stanco di portarle. Perciò quando voi spiegherete le palma delle mani, io nasconderò gli occhi miei da voi... le vostre mani son piene di sangue" Isaia 1:13,15. Il Giudaismo avea virtualmente cessato di esistere, e tutta la grazia e la gloria che conteneva, tutta la salute ch'era dalla parte dei Giudei Giovanni 4:22, avea preso a dimorare col pugno di discepoli, dai quali (appena fosse disceso sopra loro lo Spirito Santo, il giorno di Pentecoste), doveva emergere la Chiesa una e vivente e il regno di Dio sulla terra» (Brown).

2. Benché egli fosse la vittima della malizia e dell'ira scellerata, di false accuse e di un giudizio riconosciuto ingiusto, il Salvatore non considerava la propria condizione, l'ingiustizia per la quale era sacrificato, l'agonia e il vituperio che lo aspettavano; ma apriva il suo cuore misericordioso alla distretta che in breve avrebbe soprappreso le figlie di Gerusalemme. In cotale manifestazione del carattere e dei sentimenti del nostro Signore, c'è fornito un consolantissimo pegno della simpatia che abita tuttora nel petto del nostro grande sommo Sacerdote. Se in mezzo alla più profonda distretta, che di solito stordisce i sentimenti e rende chi soffre insensibile agli altrui dolori, ei non solo era conscio delle sciagure di coloro che lo circondavano, ma sentiva per loro una compassione così perfetta come se nessuna afflizione l'avesse minacciato, come abbondante non dev'essere la sua simpatia pel suo popolo, ora ch'ei siede sul suo trono, e non v'è ostacolo che s'opponga alla piena espansione d'essa? e con quanta fiducia essi possono recare i loro lamenti a Colui, il cui orecchio è sempre aperto alle lor grida!

3. «Vi sono alcuni commentatori i quali trovano, che il Signore riprese queste donne perché piangevano, come se fosse qualche cosa di male, o almeno di non commendevole nel loro dolore. Ma non si sogni già che Gesù potesse censurare quelli che piangevano per lui. È bello a vedersi il contrasto in cui stanno queste gentildonne e i principali sacerdoti colla loro selvaggia malignità, nonché la spensierata moltitudine colle sue furibonde grida: "Crocifiggilo, crocifiggilo!" Esso sembrano aver mostrato un nobile coraggio nell'osare esprimere la loro simpatia ad uno che tutti gli altri perseguitavano a morte con tanta ferocia. Appropriarsi la sua causa, in tale circostanza, ora coraggio più che virile, e le lamentazioni con cui dimostravano simpatia a colui ch'era menato alla morte, son degne della nostra lode. Il nostro Signore accettò la simpatia ch'esse dimostrarono, e si fu solo la sua grande e disinteressata abnegazione che gli fece dire: "Risparmiate il vostro cruccio per altri dolori". Non era perché facessero male, ma perché c'era qualcosa anche più necessario da farsi che il piangere per lui» (Spurgeon).

4. Di fronte alla condotta di quelli che le circondavano, queste donne meritano la lode detta pur ora. Al tempo stesso, è importante di aver presente alla mente che, in molte di queste donne piangenti, le lagrime erano meramente il frutto d'una tenera natura, non gli effetti della fede, né proveniente da un principio di grazia; e che le parole del nostro Signore possono interpretarsi come se volessero indicare l'inutilità di quella simpatia coll'umana sofferenza che non afferra se non il dolore che vede, e si esaurisce in solo lagrime. «Affetti e dolori che si espandono in lagrime, anche se provengono da un senso dei patimenti di Cristo, non sono segni infallibili di grazia. Questi movimenti degli affetti possono essere un accesso o una disposizione passeggera, piuttostoché lo stato costante e carattere dell'anima. Vi sono tempi in cui i cuori più rozzi ed induriti possono essere meditabondi e teneri, ma questa è una passione effimera, non è il loro stato normale; perciò dal fatto che gli affetti si espandono in lacrime, non sì può indurre che un'opera di grazia si sia compiuta nel cuore. La natura vuol avere le sue variazioni, ma la grazia è stabile» (Burkitt).

32 

Cristo crocifisso sul Calvario fra due ladroni, Luca 23:32-33

32. Or due altri ancora, ch'erano malfattori, erano menati con lui, per esser fatti morire.

Questi uomini sono chiamati da Matteo e da Marco ladroni, briganti, e v'è gran probabilità che appartenessero alla banda di cui era capo quel Barabba, che corse tanto rischio di condividere la loro sorte. Flavio c'informa che, a quei tempi, la Giudea era per ogni dove infestata da banditi di questo genere, che formavano bande numerose e si rendevano colpevoli di latrocinii, di omicidii e d'ogni maniera d'atrocità. Col menare due ben noti trasgressori delle leggi ad essere suppliziati con Gesù, l'intenzione del suoi nemici era certamente di coprirlo d'ignominia, come uno colpevole di qualche delitto consimile; e, se riguardiamo al fatto, la profezia d'Isaia 53:12: «Sarà stato annoverato coi trasgressori», fu in questo modo adempiuta alla lettera, benché queste parole abbiano un significato ulteriore e infinitamente più profondo.

PASSI PARALLELI

Luca 22:37; Isaia 53:12; Matteo 27:38; Marco 15:27-28; Giovanni 19:18; Ebrei 12:2

33 33. E, quando furono andati al luogo, detto del Teschio,

cranio, traduzione in Greco della parola ebraica Golgolta, addolcito in Golgota. Alcuni suppongono che questo era il luogo destinato per le esecuzioni capitali, e derivava il suo nome dai cranii di delinquenti antecedentemente giustiziati, ch'erano sparsi qua e là. Considerando il fatto che il mero contatto accidentale d'un corpo morto od anche d'un osso umano non seppellito, rendeva chi vi era andato soggetto cerimonialmente impuro, è al più alto grado improbabile che si lasciassero giacere insepolti cranii o frammenti di scheletri, così vicino ad una popolosa città, e che il luogo traesse il suo nome da un simile uso. È assai più verosimile, che questo nome gli fosse dato per la configurazione del terreno, che sorgeva al disopra del suolo circostante come un monticello od un'altura che rassomigliava, nel suo profilo generale, ad un cranio. Non è mai chiamato un monte dagli Evangelisti o dagli antichi scrittori cristiani. Ei si fu solo dopo l'epoche delle Crociate che cominciò ad esser chiamato Monte Calvario e ad essere messo a contrasto dai teologi col monte Tabor; dove vuolsi, erroneamente, che abbia avuto luogo la trasfigurazione! Supponendo anche, che il luogo tradizionale del Calvario, entro la cinta della chiesa del Santo Sepolcro, sia assolutamente autentico, resta pur fermo che il frammento di roccia, che vi si mostra, non si eleva a più di 7 metri al disopra del suolo circostante e non può in verun modo venire elevato alla dignità di un monte. La vera ubicazione del Golgota è tuttora assai contestata e lo sarà probabilmente per sempre. Le Chiese Romana, Greca, Armena, Cofta ed altre Chiese orientali ripongono irremovibile fiducia nel luogo racchiuso entro la chiesa del Santo Sepolcro. Chateaubriand, Itinéraire, Seconde Mémoire, ha tentato di stabilire una tradizione continua di 300 anni, dalla morte, del Signore fino al regno dell'imperatore Costantino, in suo favore, ma senza successo, perché il vero sito di Golgota era intieramente sconosciuto dagli abitanti di Gerusalemme, dopo la morte della generazione contemporanea di Gesù. Difatti Eusebio, e Costantino (nella sua lettera a Macarius Vescovo di Gerusalemme) attribuiscono la scoperta del luogo a un miracolo o ad una divina indicazione, dopoché uomini profani aveano coperto il sepolcro con terra portata d'altrove, e vi avevano eretto un tempio a Venere. Eusebio, contemporaneo e testimonio oculare dell'erezione della primitiva chiesa, non mentova il rinvenimento della vera croce per opera dell'Imperatrice Elena, madre di Costantino e nol fa neppure il Pellegrino di Bourdeaux nel suo Itinerario, Itin. Hieros. A. D. 333. Questa è una favola d'età più moderna.

Oltre, all'assenza d'un'antica tradizione, vi è un'altra obbiezione all'identificare il Calvario colla chiesa del Santo Sepolcro (obbiezione validamente sostenuta da molti viaggiatori che, nel corso di questo secolo, hanno studiato accuratamente la topografia di Gerusalemme), cioè, che il luogo in cui la chiesa ora si trova, dev'esser stato ai tempi di Cristo, come lo è attualmente, DENTRO le mura di Gerusalemme; mentre dalla Scrittura sappiamo che il luogo della crocifissione era FUORI delle mura, e ciò nonostante vicino alla città Giovanni 19:17,20; Ebrei 13:12. Questa obbiezione è stata veementemente contraddetta da altri viaggiatori; ma la soluzione della questione dipende dalla direzione seguita dalle mura che, secondo la descrizione di Flavio, circondavano Gerusalemme. Ve n'erano tre: il primo e più antico circondava il monte Sion. Cresciuta la città in popolazione e in dimensioni, un secondo muro, che moveva dalla porta Gennath nel primo, correva verso il settentrione e l'oriente, circondando la città bassa o Acra (una prolungazione di monte Sion), e toccava la torre Antonia all'angolo occidentale del tempio. Coll'andar del tempo sorse un sobborgo così popolato al settentrione di questo secondo muro, che, dieci anni dopo la morte del nostro Signore, Erode Agrippa racchiuse anche quello nella città con un terzo muro, che cominciava alla torre di Ippico e raggiungeva il secondo, laddove questo prendeva a correr parallelo alla valle del Chedron (Flavio, Bell. Giudici. 5:4,1,2). Siccome il terzo muro non esisteva quando il nostro Signore fu messo a morte, tutto quel che abbiamo da dirne qui è ch'è del tutto improbabile che la crocifissione avesse avuto luogo nel mezzo d'un sobborgo popolatissimo che, dopo un lasso di tempo così breve, dovea essere circondato da quel muro. È la direzione del secondo muro che ha che fare col suo del Santo Sepolcro. Or bene, dalla molto limitata porzione della città che esso deve aver cinto se fosse corso a mezzodì della chiesa attuale, come pure da considerevoli ed autentici avanzi dell'antico muro presso alla odierna porta di Damasco e all'O. di essa (da non confondersi col terzo di Agrippa), l'autore, dopo un accurato esame fatto sui luoghi fu costretto a conchiudere che il posto occupato ora dalla chiesa del Santo Sepolcro deve esser stato, ai tempi di Cristo, dentro del secondo muro e che pertanto il Calvario deve cercarsi altrove. Egli è solo mediante scavi che, scuoprano le fondazioni di questo muro a settentrione di Sion, che questa questione può venire definitivamente risolta. Chi volesse consultare la letteratura di questo soggetto troverà gli argomenti addotti da entrambe le parti, esposti colla massima cura da Robinson, Biblical Researches, e da Williams, The Holy City. È nostro fermo convincimento che il Calvario deve cercarsi sul pendio occidentale della parte, superiore della valle di Giosafat, un po' al N. della porta orientale, Bab es Sabat, detta dai Franchi: porta di Santo Stefano.

1. perché quel suo era in tempi antichi vicino alla torre Antonia in cui era posto il Pretorio;

2. perché corrisponde al cenno che i Vangeli ci dànno intorno al Calvario, vale a dire, che era vicino alla città eppur fuori delle mura; luogo che mostra tuttora alla sua superficie varii rialzamenti a forma di cranio: mentre i loro fianchi rocciosi, in varii punti, sorgono perpendicolarmente dalla valle e contengono molti sepolcri scavati nelle loro esterne pareti, Matteo 27:60; Giovanni 19:41-42;

3. perché, mentre la chiesa del Sepolcro è situata sull'Acra (che era la prolungazione settentrionale del monte Sion), il luogo che sovrasta Jehosafat è, fuor d'ogni dubbio, una parte del monte Moria, il Monte santo Salmi 87:1, sul quale Isacco, il tipo di Cristo, venne virtualmente offerto Genesi 22:2, e dove si dovrebbe naturalmente supporre che dovesse venir consumato il sacrifizio del grande Antitipo.

crocifissero quivi lui, e i malfattori,

Il supplizio della croce era in uso, nei tempi antichi, presso gli Assiri, i Persiani, gli Egizii, gl'Indiani, gli Scizii e i Greci. Fra i Romani era inflitto ai soli schiavi o ai delinquenti della peggior classe, quali sarebbero gli assassini, i briganti e i rivoltosi. L'altezza massima della croce non oltrepassava il doppio della statura di un uomo, e, nella maggior parte dei casi, era molto minore, poiché l'unica condizione essenziale era che i piedi della vittima non toccassero il suolo. Oltre all'asse traversale cui erano inchiodate le mani, c'era una specie di sedile che sporgeva d'in mezzo alle gambe e serviva a sostenere il corpo il cui peso, senz'esso, avrebbe strappate le mani dai chiodi. La vittima, spogliata de' suoi vestimenti, all'eccezione, d'un panno intorno ai lombi, veniva inchiodata alla croce, mentre questa giaceva al suolo, per esser poi alzata e fermata col suo vivente carico, nella buca innanzi preparata; oppure veniva elevata e inchiodata alla croce, dopoché questa era stata eretta. I piedi erano assicurati al legno talvolta con corde; ma più di frequente con due chiodi distinti che li attraversavano, o con un sol chiodo, che entrambi li trafiggeva. L'allusione che Gesù fa ai suoi piedi del pari che alle sue mani, allo scopo d'essere riconosciuto da' suoi discepoli Luca 24:39, insieme alla profezia nel Salmi 22:17, non ci permettono di dubitare che fossero stati trafitti dai chiodi. Gli esecutori di questo sì orribile supplizio furono quattro soldati romani. Può darsi che un numero maggiore fosse presente, ma che un distaccamento di quattro Atti 12:4, fosse incombenzato di eseguire la sentenza è certo dal fatto che i suoi abiti furon dipoi divisi in quattro parti, una per uno Giovanni 19:23. La durata di questa tortura dipendeva dalla robustezza del crocifisso; spesso si prolungava insino al secondo ed anche insino al terzo giorno. Tutti sono unanimi nel testimoniare dell'agonia tormentosissima di questa morte. «La febbre che in breve si produceva», dice Godet, «cagionava una sete ardente; l'infiammazione crescente delle ferite nella schiena (per la flagellazione), nelle mani e ne' piedi; la congestione del sangue nel capo, nei polmoni e nel cuore; il gonfiarsi di ogni vena; un'oppressione indescrivibile; dolori atroci nel capo; la rigidezza delle membra causata dalla posizione sforzata del corpo, tutto ciò concorreva a far di questo supplizio, secondo il detto di Cicerone (in Verr. 5:64, «crudelissimum teterrimunique supplicium»). Affinché «il peccato apparisse estremamente peccante», colui che è «Iddio benedetto in eterno» Romani 9:5, nel farne l'espiazione, si sottomise alla morte più crudele ed ignominiosa che gli uomini potessero immaginare, confr. Ebrei 12:2; Galati 3:13. Lettore! Cristo si sottomise a questa morte per amor tuo, per redimerti da distruzione eterna, e non è da invidiare lo stato del tuo cuore, se la contemplazione dei suoi patimenti non strappa alle tue labbra questo tributo di riconoscenza, di lode e d'amore: «Ad esso, che ci ha amati, e ci ha lavati de' nostri peccati nel suo sangue; e ci ha fatti re, e sacerdoti, a Dio suo Padre; sia la gloria, e l'imperio, ne' secoli dei secoli. Amen» Apocalisse 1:5-6.

l'uno a destra e l'altro a sinistra.

L'ignominia fu, di proposito, versata sopra lui, col metterlo a morte insieme a colpevoli; e i suoi nemici gli assegnarono il posto di mezzo, il più cospicuo, quasi a proclamare ch'egli era un reo più grande degli altri due.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:33-34; Marco 15:22-23; Giovanni 19:17-18; Ebrei 13:12-13

Luca 24:7; Deuteronomio 21:23; Salmi 22:16; Zaccaria 12:10; Matteo 20:19; 26:2; Marco 10:33-34

Giovanni 3:14; 12:33-34; 18:32; Atti 2:23; 5:30; 13:29; Galati 3:13; 1Pietro 2:24

34 

La PRIMA de lle memorande parole di Cristo sulla croce, Luca 23:34

34. E Gesù diceva:

Vi sono sette parole pronunziate da Cristo sulla croce, delle quali una è ricordata da Matteo, tre da Luca, e tre da Giovanni. Tre furono rivolte a Dio suo Padre, e quattro a quelli che circondavano la sua croce. Quella rammentata in questo versetto fu la prima e venne detta probabilmente mentre i soldati lo stavano inchiodando alla croce, o subito dopo che questa fu alzata e fermata nel suo scavo. La sua allocuzione alle donne di Gerusalemme pose un termine all'opera sua terrena come profeta, e cominciò l'opera sua sacerdotale di sacrifizio e d'intercessione dacché fu inchiodato alla croce. Un trattamento brutale come quello cui era stato esposto Gesù, e il dolore acuto pari a quello che ne aveva risentito, tendono potentemente ad irritare chi li soffre e a renderlo indifferente a tutto ciò ch'è all'infuori delle proprie pene! Ma Gesù, quanto non s'innalza egli al disopra di questo? Nessun mormorio, nessuna minaccia, nessuna accusa, nessun lamento, nessun grido per ottenere aiuto, nessuna invocazione di vendetta, nessuna cura o preoccupazione di sé stesso, nessuno intrudersi della sua persona col perdonare egli stesso a' suoi persecutori, varca le labbra del Redentore! Il suo primo atto fu una preghiera, le sue prime parole furono una intercessione per i suoi uccisori, in cui comincia, in modo calzante, ad adempiersi, un'altra porzione della profezia d'Isaia intorno a lui Isaia 53:12: «dopoché sarà interceduto per li trasgressori».

Padre, perdona loro;

«Lachmann mette infelicemente in dubbio l'autenticità di questo versetto, che stimiamo sommamente prezioso. Ma la dimostrazione interna ed esterna a favor suo è del tutto decisiva; e Tischendorff e Tregelles entrambi lo stampano come si trova nel Testo Recepto» (Brown). «Essendoché le parole esse stesse abbiano l'impronta di realtà e di sublimità, la loro omissione deve attribuirsi ad uno sforzo esagerato di armonizzare i Vangeli sinottici ad ogni costo» (Oosterzee). Colla stessa fiducia con cui pregò sulla tomba di Lazaro: «Or ben sapeva io che tu sempre mi esaudisci» Giovanni 11:42, egli ora invoca Dio sulla croce. Non era meramente come un uomo santo, ma, a rigor di lettera, nella sua qualità di Figlio incarnato ch'ei si richiama a Dio col nome di Padre, confermando così, nel modo più umile, eppur più sublime, la sua propria dichiarazione, ch'egli è il Figlio di Dio e tale tuttora rimane sulla croce e nella sua morte espiatoria. «Notisi che benché sulla croce, non v'è alienazione, non v'è ira di condannazione fra il Padre e il Figlio» (Alford). La sostanza. della sua preghiera è il perdono del peccato, uno dei più grandi benefizi che l'uomo possa ottenere da Dio; senza la quale, invero, qualunque altra cosa riceviamo da Dio non è per noi un benefizio. Davide chiama beato quell'uomo «la cui trasgressione è rimessa e il cui peccato è coperto» Salmi 22:1. Le persone a pro delle quali intercede sono i suoi uccisori. Errano ugualmente coloro che escludono da questa domanda i quattro soldati Romani, che, dietro ordini superiori, erano gli esecutori della sentenza, e quelli che la limitano a loro. In essa includeva certamente gli esecutori che «lo beffavano», del pari che i maligni promotori della sua morte; i Gentili col loro governatore e i Giudei col loro sommo Sacerdote. In senso più largo e profondo quella preghiera compiè la grande predizione messianica Isaia 53:12, che si estende a tutti quelli i cui peccati egli portò nel suo corpo in sul legno. Qual possa esser stato l'effetto di questa preghiera sugli individui non abbiamo mezzo alcuno di saperlo, oltre alla solenne impressione prodotta sul Centurione romano e sulle «turbe che si erano raunate a questo spettacolo», al tempo in cui il Signore rendè lo spirito Luca 23:47-48 infra. Ma per quanto spetta alla nazione giudaica, questa preghiera fu esaudita nella dilazione di quarant'anni concessa loro, durante la quale il vangelo venne loro predicato per mezzo de' suoi Apostoli, per espresso comando di Cristo: «E che nel suo nome si predicasse penitenza cominciando da Gerusalemme» Luca 24:47.

perciocché non sanno quel che si fanno.

In queste parole il Signore dichiara la ragione sulla quale si basa la sua domanda di perdono. È l'ignoranza di tutta l'enormità dell'iniquità che stavano commettendo. Essi sapevano di crocifiggere uno che consideravano quale impostore. Non sapevano che crocifiggevano in realtà il proprio loro Messia, il Figlio di Dio. Pietro lo asserisce distintamente Atti 3 :17: «Io so che lo faceste per ignoranza, come anche i vostri rettori»: e così pure Paolo lo afferma riguardo ai reggitori di questo mondo: «Perciocché se l'avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signor della gloria» 1Corinzi 2:8. Ma mentre la Scrittura insegna che i peccati d'ignoranza son meno odiosi agli occhi di Dio che i peccati commessi di proposito, è importantissimo di guardarsi dal credere che l'ignoranza non sia degna di biasimo, e che persone ignoranti meritano che i loro peccati sien loro rimessi; perché l'ignoranza, anche per parte dei pagani Romani 1:21,28, è una parte del peccato dell'uomo. La colpa consiste nel rifiutare di ricercar la conoscenza mentre è alla loro portata. Gesù lo insegna chiaramente «Or questa è la condannazione, che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amate le tenebre più che la luce, perciocché le loro opere erano malvage» Giovanni 3:19. Questa preghiera abbraccia tutti coloro dei quali il Figlio onnisciente può dire (poich'egli lo sa) ch'essi non sanno quello che fanno. Fra questi è difficile l'acchiudere i principali sacerdoti e gli Scribi, Anna, Caiafa e i loro compagni, che avevano udita la sua dichiarazione fatta con giuramento ch'egli era il Cristo, il Figlio di Dio Matteo 26:63-64, e ciò nonostante lo rigettarono formalmente e lo condannarono. Vi è un peccato a morte, per cui non devesi offrire alcuna preghiera 1Giovanni 5:16. Questo peccato fu commesso almeno da Giuda, e pare anche da costoro. Non leggiamo che alcuno d'essi sia stato convertito, e la loro probabile sorte fa d'essere abbandonati a retributiva cecità e perire ne' loro peccati. «Si noti che l'unione di chiara conoscenza intellettuale col rigettarlo volontariamente col cuore, è la definizione più esatta che puossi dare del peccato imperdonabile. Paolo sembra insegnarlo in Ebrei 6: e sopratutto, egli sembra accennarvi, quando dice di sé stesso: «io lo feci ignorantemente, non avendo la fede» (Ryle).

Poi avendo fatte delle parti dei suoi vestimenti trassero le sorti.

Per l'esposizione vedi Giovanni 19:19-24.

35 Luca 23:35-38,44-49. MIRACOLI ED ALTRE CIRCOSTANZE RELATIVE ALLA CROCIFISSIONE Matteo 27:34-56; Marco 15:23-41; Giovanni 19:19-37

Per l'esposizione consecutiva di queste notevoli circostanze vedi Matteo 27:34-56; Giovanni 19:19-37.

39 Luca 23:39-43. I DUE LADRONI FRA CUI CRISTO VENNE CROCIFISSO. LA SECONDA DELLE PAROLE MEMORANDE DI GESÙ

Brown introduce egregiamente questo soggetto col dire: «Quest'episodio, proprio di Luca, è uno de' più grandiosi nella narrazione evangelica. Se solo una infernale ingegnosità poteva suggerire lo spediente di crocifiggere il nostro Signore fra due malfattori, allo scopo di mostrarlo al mondo come il peggior dei tre, d'altra parte solo quella saviezza che «prende i savii nella loro astuzia» 1Corinzi 3:9, poteva far sì che questo spediente irradiasse il Redentore, nell'ora sua più tenebrosa, di una gloria altrettanto fulgida all'occhio umano, quanto era inaspettata».

PASSI PARALLELI

Luca 13:47-48; 6:27-28; Genesi 50:17; Salmi 106:16-23; Matteo 5:44; Atti 7:60; Romani 12:14

1Corinzi 4:12; 1Pietro 2:20-23; 3:9

Luca 12:47-48; Giovanni 15:22-24; 19:11; Atti 3:17; 1Corinzi 2:8; 1Timoteo 1:13

Salmi 22:18; Matteo 27:35-36; Marco 15:24; Giovanni 19:23-24

39. Or l'uno de' malfattori appiccati lo ingiuriava,

Imitando l'esempio dei governatori e del popolo che stavano attorno alla croce beffando Gesù, costui diè sfogo alla sua rabbia, trovò forse un sollievo momentaneo ai patimenti crudeli che soffriva nel beffarsi della vittima innocente e paziente che stavagli a fianco. In lui abbiamo una prova lampante che la sofferenza e l'appressarsi della morte non bastano, se manca la grazia di Dio, a convertire un'anima. Era questa una goccia aggiunta al calice d'amaritudine che in quel giorno il nostro Signore bevè fino alla feccia, che non solo ai suoi nemici era concesso di far quel che volevano, ma che lo stesso colpevole crocifisso al suo fianco si assunse il diritto di trattarlo con disprezzo. Matteo e Marco attribuiscono questa condotta ad ambedue i ladroni, mentre Luca non parla che d'un solo. Questo può spiegarsi nell'uno o nell'altro di questi modi: sia col supporre che i due Evangelisti fecero uso del tropo chiamato enallage (o cambiamento di numero, scambiando il plurale col singolare, per la quale dicesi che una cosa è stata fatta da parecchie persone, mentre è stata fatta solo da alcuni ed anche da una sola, Confr. Matteo 14:17; Giovanni 6:8; e Matteo 26:8; Giovanni 12:4; sia coll'adottare l'ipotesi assai più soddisfacente, che, mentre entrambi cominciarono col vilipendere il Signore, uno d'essi di lì a poco subì un cambiamento di sentimento riguardo a lui e cessò le sue provocazioni, mentre l'altro perdurò in esse fino alla fine. L'ipotesi che questo ladrone penitente, dopo aver egli stesso vilipeso Cristo, si volgesse ad un tratto al suo compagno e lo riprendesse per quel che faceva, quest'ipotesi, diciamo, ben lungi dall'essere inconcepibile, come vogliono alcuni, ci pare anzi la prima e naturalissima azione d'un cuore convertito che brama di confessare il male che ha fatto.

dicendo: Se tu sei il Cristo, salva te stesso e noi.

Queste parole sono citate come un saggio delle beffe che riversava sopra Cristo, non sue proprie, ma raccolte dall'empia moltitudine Luca 23:35,37; Matteo 27:42, nel di cui cuore erano state infuse da Satana. Questa sfida manifesta la sua origine, per la calzante rassomiglianza che ha colle tentazioni cui Cristo era stato sottomesso nel deserto: «Se tu sei Figliuol di Dio», ecc. Luca 4:3,9, poiché non devesi dimenticare che, sulla croce, Gesù fu novamente e grandemente tentato dallo stesso astuto nemico che colà aveva disfatto Luca 4:13; Giovanni 14:30.

PASSI PARALLELI

Luca 17:34-36; Matteo 27:44; Marco 15:32

40 40. Ma l'altro, rispondendo, lo sgridava, dicendo:

Bengel suppone che questi fosse un Gentile, e che lo schernitore fosse un Giudeo; ma egli parla della venuta del regno di Cristo come l'avrebbe fatto un Giudeo, e le parole del nostro Signore sembrano implicare ch'ei lo era, perché difficilmente avrebbe parlato di un «paradiso» ad un Gentile. Ei si fu l'esser compromesso dalle parole del ladrone beffardo:. «Salva te stesso e noi», che lo indusse a replicare:

Non hai tu timore, non pur di Dio. essendo nel medesimo supplicio?

Le parole si traducono più esattamente Neanche tu temi Iddio? Vi è qui una tacita allusione allo spirito profano e noncurante che animava gli astanti, nelle cui bestemmie si adempì la profezia: «Hanno aperta la lor gola contro a me, come un leone ruggente» Salmi 22:14. Egli vuole evidentemente dire: "Un tale trattamento è riprovevole abbastanza in meri spettatori che vilipendono nella spensierata leggerezza dell'attuale sicurtà; ma è inescusabile in noi che siamo in condizione tanto diversa. Ti beffi tu di lui com'essi lo fanno? Una sorte comune non desta essa simpatia per lui nel tuo cuore? Non hai tu timor del Dio che dovrai così presto incontrare qual giusto giudice, che tu consenti a spendere gli ultimi tuoi momenti in modo così disdicevole?" Lo stesso spirito fedele ed affettuoso che costui dimostra verso il suo compagno di supplizio; la stessa sua preoccupazione riguardo alla salute del suo compagno che non temeva di Dio, era una prova ch'egli medesimo ormai temeva Dio, e fu la prima dimostrazione della sua conversione. Un linguaggio consimile indica che costui «conobbe e sentì allora, che oltre e al disopra della condannazione degli uomini, vi è un'altra e più grave condanna, quella del grande Iddio, del Dio dei giudizi, nelle cui mani è spaventevol cosa per l'impenitente di cadere» (Hanna). «Il medesimo supplizio» significa morte della stessa specie, non pe' medesimi delitti.

PASSI PARALLELI

Levitico 19:17; Efesini 5:11

Luca 12:5; Salmi 36:1; Apocalisse 15:4

2Cronache 28:22; Geremia 5:3; Apocalisse 16:11

41 41. «E noi di vero vi siam giustamente; perciocché riceviamo la condegna pena de' nostri fatti;

Come briganti avevano giustamente perduta la loro vita, ed ei riconosce con pentimento il delitto proprio e del compagno, innanzi a Dio e agli uomini. Tal confessione ci fornisce una seconda prova della sua conversione; e una terza trovasi nel distinguere egli chiaramente il loro caso da quello dell'altro crocifisso alla cui innocenza rese testimonianza: ma

costui non ha commesso alcun misfatto.

Il significa letteralmente fuor di luogo, improprio, sconvenevole. Questa è una notevole testimonianza, secondo la quale Gesù non si era reso colpevole di alcun delitto che meritasse la morte del colpevole, ma ch'era assolutamente «irreprensibile, sincero e senza biasimo» Filippesi 2:15. Perché costui potesse renderla, si è supposto, sia, ch'egli avesse avuto qualche anteriore conoscenza del carattere e dell'opera di Cristo, sia che avesse udito che Pilato ed Erode ambedue lo avevano dichiarato innocente. Tutto ciò è possibile, ma vi possono essere state altre ragioni, su cui questo malfattore fondò più probabilmente il giudizio che addusse in questa testimonianza, le stesse cioè che, per grazia divina, produssero la sua conversione. Queste furono tutto l'atteggiarsi e il comportarsi di Cristo dall'ora in cui l'incontrarono dapprincipio fino a quest'istante (che colpì quest'uomo, il quale conosceva a fondo i costumi, il linguaggio e la società dei delinquenti, come tanto opposto al loro), considerato assieme alla natura delle accusazioni e dei detti pungenti scagliatigli contro, mentre pendeva dalla croce. Ei l'avea osservato nell'aula del giudizio mentre «porgeva il suo corpo ai percotitori e le sue guance a quelli che gli strappavano i capelli», senza un mormorio od un lamento, adempiendo così la profezia: «È stato come una pecora mutola davanti a quelli che la tosano, e non ha aperta la bocca» Isaia 53:7. Egli avea udite le parole sì solenni e pur sì tenere da lui rivolte alle donne di Gerusalemme, e la mirabile preghiera ch'egli aveva elevata a pro' de' suoi uccisori, quando era inchiodato sulla croce, mentre la lor bocca era piena di maledizioni e di bestemmie. Il nome di Padre con cui s'era rivolto a Dio, gli aveva rivelato in lui un essere che viveva in intima comunione con Jehova, e lo condusse ad apprezzare la sua grandezza; mentre la mansuetudine con cui sopportava tutti gl'insulti versati sopra il suo capo, lo convinse sempre più ch'ei non era un mero uomo. Aggiungasi, che per bocca degli stessi suoi nemici, aveva udito ch'ei «ne aveva salvati altri»; e questa testimonianza resa alla miracolosa potenza di Cristo penetrò sino in fondo al suo cuore. Egli li avea uditi parlare di lui, deridendolo, come «del Cristo», «dell'eletto di Dio», del «Apocalisse dei Giudei»; e a conferma di ciò leggeva il titolo affisso da Pilato alla croce; e tutto ciò gli fece intendere quel che Gesù pretendeva e professava di essere, e produsse nel suo cuore il convincimento che questo illustre martire era realmente il Figliuol di Dio, il Messia, e che sebbene sospeso ad una croce era Apocalisse, e pertanto possedeva un regno; talché la preghiera della fede irruppe immantinente dalle sue labbra tremanti: «Signore, ricordati di me, quando sarai venuto nel tuo regno». Se questo colloquio avvenne in ora più inoltrata del giorno, vi furono circostanze addizionali, come l'oscurità sovrannaturale, la squarciatura della cortina, e lo spaccarsi delle roccie per un terremoto, le quali poterono rafforzare le ricevute impressioni; ed essendo egli stato condotto, per queste circostanze assieme combinate, a credere in Gesù come nel Figlio di Dio, non deve recar meraviglia che avesse con enfasi dichiarato: «Costui non ha commesso alcun misfatto». Questo prova in modo impressivo con quanta tenerezza il Padre vegliasse sull'onore del suo Figlio, che in un tempo in cui non una sola voce udivasi in suo favore, Dio avesse suscitato a testimoniare della sua immacolata innocenza, uno dei malfattori che morivano al suo fianco!

PASSI PARALLELI

Luca 15:18-19; Levitico 26:40-41; Giosuè 7:19-20; 2Cronache 33:12; Esdra 9:13; Nehemia 9:3

Daniele 9:4; Giacomo 4:7; 1Giovanni 1:8-9

Luca 23:41; 22:69-70; Matteo 27:4,19,24,54; 1Pietro 1:19

42 42. Poi disse a Gesù: Signore, ricordati di me.

Il punto decisivo della conversione di quest'uomo fu il credere che Gesù era il Cristo. Questo era precisamente il punto controverso fra la moltitudine schernitrice e il soggiogato malfattore; essi negavano, egli credeva. La sua fede, di fresco destata, non restò a lungo inoperosa; s'appigliò alla preghiera del Signore pei suoi uccisori e scoppiò in un ardente domanda di misericordia sopra se stesso. È un modello di fede individuale che s'appropria, la salute, ricordato pel conforto di tutti quelli cui travaglia una profonda e seria convinzion di peccato; è il sincero, fiducioso ricorso di un peccatore morente ad un morente salvatore. Notisi di volo, che nell'esser fatto direttamente a Cristo, abbiamo una, fra le tante prove, che il Figlio di Dio è un idoneo oggetto di culto divino. Le idee di questo malfattore intorno al carattere e all'uffizio di Cristo possono esser state oscure, ma è almeno fermamente convinto ch'egli sia il promesso Messia, una persona divina, e perciò si volge a lui come al Signore. La natura del regno può esser stata da lui imperfettamente compresa, sia in quanto al suo carattere spirituale e al tempo della sua manifestazione (e invero la domanda: «ricordati di me» sembra alludere piuttosto ad un lontano periodo), ma ei sa almeno ch'egli aveva perduto il diritto di essere ammesso a' suoi privilegi e godimenti, e che Gesù solo poteva ammettervelo, sebbene potesse sorgere nella sua mente il dubbio che, in mezzo a tutti gli splendori del suo stato reale, e seduto sul trono nel suo regno, Gesù non pensasse più a lui e non concedesse ad un peccator pari suo l'accesso ai privilegi e alle gioie del suo regno; indi la preghiera: «Ricordati di me».

quando sarai venuto nel tuo regno.

Se ancor qualche nebbia oscurava la sua percezione intellettuale, è evidente che non pensava a un regno temporale, quale l'aspettavano i Giudei, ma ad un regno spirituale, in cui potesse trovar grazia appo Dio e un'immortalità di beatitudine. Il significato di queste parole è: "nel venire nel tuo regno, nella gloria del tuo Padre". «Che un malfattore crocifisso fosse il primo a comprendere, per intiero, il senso profondo della soprascritta affissa alla croce, e diventasse il banditore della dignità regia del Signore, all'ora stessa in cui le speranze messianiche degli Apostoli erano, più che mai per lo dinanzi, profondamente scosse, questo fenomeno può veramente chiamarsi uno de' più luminosi incidenti nella storia dell'ultime ore della vita di Cristo» (Oosterzee).

PASSI PARALLELI

Luca 18:13; Salmi 106:4-5; Giovanni 20:28; Atti 16:31; 20:21; Romani 10:9-14

1Corinzi 6:10-11; 1Pietro 2:6-7; 1Giovanni 5:1,11-13

Luca 12:8; Giovanni 1:49; Romani 10:9-10

Luca 24:26; Salmi 2:6; Isaia 9:6-7; 53:10-12; Daniele 7:13-14; 1Pietro 1:11

43 43. E Gesù gli disse: Io ti dico in verità,

Interpellato come re, come re Gesù risponde, col quale, ovunque lo pronunziò suggellò qual verità immutabile le parole cui l'anteponeva e che qui erano intese ad essere «un'ancora ferma e sicura dell'anima» Ebrei 6:19, per l'ansioso supplicante.

che oggi

Questa parola è enfatica. Per essa Gesù pone a contrasto la vicinanza dell'esaudimento della preghiera allora allora pronunziata, col remoto futuro cui allude il supplicante. Consci che la parola «oggi» annienta la dottrina del Purgatorio, taluni scrittori della Chiesa Romana tentano di eludere la forza dell'argomento fornitoci da essa col combinarla colle parole precedenti, «io ti dico», in questo modo: "oggi io ti dico che, in qualche periodo dell'avvenire, tu sarai meco in paradiso"; ma una siffatta interpretazione è assurda, perché è ovvio che Gesù parlava oggi non ieridomani, e perciò non avrebbe mai potuto far uso di questo pleonasmo. In primo luogo era una promessa che invece di morire dopo una protratta agonia, ei morrebbe quel giorno stesso, insieme a lui: e in secondo luogo che, morto il suo corpo, ei sarebbe subito con Cristo nella sua gloria. Tale è il senso che questa parola dovè rivestire agli occhi del malfattore, perché gli era famigliare il detto de' suoi compaesani, riguardo ad un uomo giusto moribondo: "Oggi ei sederà nel seno d'Abramo".

tu sarai meco in paradiso.

Parkhurst, Dizion. Greco, alla parola paradiso dice: «Questa è, senza veruna contraddizione, una parola orientale. I Greci la presero ad imprestito dai Persiani, fra i quali significava un giardino, un parco o luogo chiuso, pieno di preziosi prodotti della terra. Ed è in questo senso che detta parola ricorre in Erodoto. in Senofonte e in Diodoro Siculo». La LXX l'adopera per designare il giardino di Eden in cui furono posti i nostri primi parenti. Coloro, sia Giudei che Cristiani, i quali militano a favore d'uno stato d'esistenza distinto, in cui gli spiriti privi del corpo rimangono fra la morte e la risurrezione, applicano la parola paradiso a quella parte del Sheol o Hades, in cui l'anime dei giusti stanno ora aspettando «la ristorazione di tutte le cose», vedi nota Luca 16:23. Noi crediamo, con Foote, che «quante nozioni sono state messe avanti riguardo ad uno stato d'esistenza per spiriti divisi dal corpo, che non sia né il cielo né l'inferno, sono tutte fantastiche e dannose superstizioni che non hanno fondamento alcuno nella Parola di Dio». Il senso in cui il nostro Signore usò questa parola, dev'essere determinato da quello che riveste negli altri due passi del Nuovo Testamento in cui ricorre. Il primo è 2Corinzi 12:4, dove Paolo descrive se stesso come «rapito in paradiso ove udì parole ineffabili, le quali non è lecito ad uomo alcuno di profferire»; e che questo non fosse lo Sheol o l'Hades è posto fuor d'ogni dubbio dalla ulteriore spiegazione che ne dà, come «del terzo cielo» (vers. 2) che, secondo Grozio, era la ben nota appellazione assegnata dai Giudei ai più alti cieli, la dimora dell'Altissimo. L'altro passo in cui è nominato il paradiso è Apocalisse 2:7, dove Cristo promette, nella lettera alla Chiesa di Efeso: «A chi vince io darò a mangiare dell'albero della vita, che è in mezzo del paradiso dell'Iddio mio», Conf. Apocalisse 22:1-2. Che questo non possa riferirsi allo Sheol, ma che sia una promessa della compiuta beatitudine dello stato celeste in cui Dio rivela la sua gloria, è chiaro dalla forma che la stessa promessa, in quanto alla sostanza, riveste nell'esser fatta all'altre chiese Apocalisse 2:10; 3:5,12,21. Fuor d'ogni ragionevole dubbio adunque la parola paradiso qui, com'è usata dal nostro Salvatore, era intesa a designare la stessa idea di immediata beatitudine celeste. Le parole «tu sarai meco» ci assicurano inoltre che il ladrone fu in quel giorno introdotto nel cielo stesso, e non in uno stato intermedio fra la morte e la gloria celeste, poiché altrimenti Cristo pure avrebbe dovuto rimanere in quello stato immaginario di separazione, a sostegno del quale non vi è dichiarazione alcuna nella Parola di Dio. Il passo in Giovanni 20:17, cui di frequente si ha ricorso, si riferisce all'ascensione di Cristo nel cielo nel suo corpo glorificato, non già al ritorno, al momento della morte, della sua santa anima umana al Dio che l'aveva data; esso allude non ad un atto, ma ad uno stato, in cui sarebbe praticata la comunione ch'egli avea promessa ai suoi discepoli, vedi nota Giovanni 20:17. Né puossi trarre una prova a favore di questa teoria dai passi citati generalmente a sostegno dell'articolo del Credo: «Ei discese all'inferno», poiché questi non provan nulla a motivo d'un'erronea esegesi. Dov'è Cristo, là è il cielo; esser con lui, questo è godere della sua perfetta e perpetua felicità, non quella di uno stato imperfetto e temporaneo. Ei si fa questo convincimento ben fermo che indusse Paolo, dietro divina ispirazione, a dire: «Perciocché a me il vivere è Cristo ed il morir guadagno. Avendo il desiderio di partire da quest'albergo, il che mi sarebbe di gran lunga migliore» Filippesi 1:21,23, e in linguaggio anche più fidente e trionfante: «Sappiamo, che mentre dimoriamo nel corpo siamo assenti dal Signore. Ma noi abbiamo confidenza, ed abbiamo molto più caro di partire dal corpo, e di andare ad abitare col Signore» 2Corinzi 5:6,8. La sostanza adunque di questa misericordiosa risposta al ladrone moribondo è che prima che fosse tramontato il sole di quel giorno, ei godrebbe della più completa ed intima comunione con Cristo nel cielo.

PASSI PARALLELI

Luca 15:4-5,20-24; 19:10; Giobbe 33:27-30; Salmi 32:5; 50:15; Isaia 1:18-19

Isaia 53:11; 55:6-9; 65:24; Michea 7:18; Matteo 20:15-16; Romani 5:20-21

1Timoteo 1:15-16; Ebrei 7:25

Giovanni 14:3; 17:24; 2Corinzi 5:8; Filippesi 1:23

2Corinzi 12:4; Apocalisse 2:7

RIFLESSIONI

1. La prima parola pronunziata dal nostro Signore sulla croce fa una parola di misericordiosa intercessione per quelli che lo crocifiggevano. «I frutti di questa mirabil preghiera non saranno pienamente veduti, sino al giorno in cui "i Libri saranno aperti" Apocalisse 20:12, e i secreti dei cuori manifestati. Forse non abbiamo mai considerato quante delle conversioni a Dio, avvenute a Gerusalemme durante i primi sei mesi dopo la crocifissione, possono essere state un diretto esaudimento d'essa. Essa fu, in ogni probabilità, uno de' mezzi che portarono a penitenza il ravveduto ladrone. È possibile che fosse eziandio un mezzo di commuovere il centurione che dichiarò il nostro Signore essere "un giusto"; e molti dei tremila convertiti il di della Pentecoste dovettero forse il loro mutamento a questa preghiera. "Il giorno lo paleserà". "Niente è nascosto che non abbia ad essere scoperto". Rallegriamoci di questo, che il Signore Gesù sia salito in cielo a continuarvi la sua opera mediatoria, non solo a favore di quelli che già sono il suo popolo, ma di quelli altresì che "tuttora rigettandolo, sono pronti a perire; e che il Padre sempre l'esaudisca"» Giovanni 11:42 (Ryle).

2. Nessuno incoraggi se stesso a differire di cercar Cristo, finché sia steso sul letto della morte, fondandosi sulla misericordia dimostrata al ladrone moribondo negli ultimi momenti della sua vita. È stato detto spesso e bene, che nella Scrittura è ricordato un esempio di un peccatore che trova grazia all'ultima ora, affinché nessuno disperi d'esser salvato, anche all'ultimo momento; ma che n'è ricordato un solo, affinché niuno s'affidi a un pentimento degli ultimi istanti. Anche questo esempio insegna in modo assai impressivo, che la fede che giustifica, santifica sempre; che la fede che arreca perdono ed apre le porte del cielo ad un peccatore moribondo, porta con sé una potenza rinnovante; che questa fede che dà il diritto, dà al tempo stesso, l'idoneità alla eredità celeste.

3. Dall'intiero racconto appar chiaro che il ladrone penitente morì senza battesimo. Per eludere questa difficoltà alcuni scrittori di tendenza romanista si sono appigliati all'idea suggerita da Agostino, che cioè ei fu battezzato col sangue e coll'acqua che uscirono dal fianco del nostro Signore allorché fu ferito dalla lancia! Questa asserzione gratuita ed infondata mostra le assurdità in cui si può cadere per difendere la dottrina della rigenerazione battesimale. Che cosa salvò questo malfattore penitente? Ei non fu mai asperso di alcun'acqua battesimale; mai non sedè alla tavola della Comunione, nulla sapeva della virtù che vuolsi risieda nei riti sacramentali. Ei si fu un semplice sguardo di fede d'un peccatore moribondo rivolto ad un morente Salvatore che lo salvò; ed un tale sguardo di fede non ha perduto nulla della sua potenza, poiché Cristo proclama tuttora, a mezzo della sua parola: «Riguardate a me, voi tutti i termini della terra, e siate salvati» Isaia 45:22.

4. «Dov'è il paradiso? È dov'è Cristo. Che cos'è il Paradiso? È d'esser sempre col Signore' e di assomigliarlo intieramente. Dio ci ha detto intorno al paradiso dei redenti, ch'è un paese di luce perfetta; "il giorno s'è alzato colà, e l'ombre son per sempre svanite". È un paese di perfetta beatitudine; non vi cola alcuna lagrima; non vi sorge un sol sospiro; secondo la piena misura della sua capacità ogni spirito è pieno d'una gioia compiuta e sempiterna. È un paese di perfetta santità; nulla che contamina ci entrerà; nulla che ami e commetta falsità. Ma che cosa dà a quel paese la sua luce, la sua gioia, la sua santità agli occhi dei redenti? È la presenza di Gesù! Se non vi è notte colà, è perché "l'Agnello ne è la luce". Se non vi sono lagrime, è perché "la sua mano ha asciugato ogni lacrima dagli occhi loro". Se la santità vi regna, è una santità prodotta dal "vederlo quale egli è". Essere con Gesù: esser simile a Gesù; amarlo e servirlo puramente, profondamente, senza fallo, senza esitanza, questo è il cielo del Cristiano» (Hanna).

5. Siccome Gesù non sorse solo dal suo sepolcro Matteo 27:52-53, così non entrò solo nel Paradiso. Certamente, se v'è una cosa più atta che un'altra ad illuminare di luce più radiante la misericordia e la maestà del carattere del Salvatore è questa che, mentre egli entrò trionfalmente nella gloria che lo aspettava, in presenza del suo Padre e di eserciti di angeli, egli non tolse a compagni una moltitudine di santi lungamente provati e illustri, ma fu scortato, come dal principale trofeo della sua vittoria su tutte le potenze e principalità dell'inferno, dallo spirito redento di quell'uomo stesso, che poche ore prima era il più abbietto e miserabile fra i Malfattori.

6. «È notevole come in tre parole, che si succedono, il Signore appare qual Profeta, Sacerdote e Apocalisse; qual Profeta, nel suo discorso alle donne di Gerusalemme; qual Sacerdote, nell'intercedere per ottener perdono; qual Apocalisse, nell'esser riconosciuto per tale dal ladrone penitente nell'esaudire la sua preghiera» (Alford).

44 

Le tenebre miracolose, Luca 23:44-45

44. Or era intorno delle sei ore, e si fecer tenebre sopra tutta la terra, infino alle nove. 45. E il sole scurò,

Tutti i Sinottici testimoniano di questo avvenimento, e sarebbe stato assurdo di aver scritto e messo in giro un tal racconto, così presto dopo ch'era avvenuto e nel paese in cui era accorso, se non fosse stato tanto noto da togliere ai nemici di Cristo ogni mezzo di contraddirlo. L'eccellenza del carattere generale di questi storici, e la fermezza colla quale mantennero la loro testimonianza, stabilivano in modo sommamente soddisfacente la loro vanità. Secondo la computazione giudaica, il giorno cominciava al tramonto del sole, ed era diviso in due parti di sei ore per una (più lunghe o più corte secondo il mutamento di stagione), la prima dal tramonto all'alba, l'altra dall'alba al tramonto. Il nostro Signore fu crocifisso all'ora terza dopo l'alba (cioè alle nove ant. - all'ora del sacrifizio mattutino), ed era rimasto sospeso alla croce, esposto a tutti i vituperii di cui lo coprivano i suoi nemici, per tre ore prima della discesa delle tenebre. Devesi notare inoltre che, la soprannaturale oscurità si produsse appunto nella parte più luminosa del giorno, dalle dodici alle tre pom. (l'ora in cui il sacrifizio serale veniva offerto nel tempio). È del tutto impossibile di spiegare questa oscurità a mezzo d'un eclisse di sole (benché argomentando da una menzione fatta da Flegone, e dopo lui da Thallus, di un eclisse più oscuro del solito avvenuto nella 202a Olimpiade, che sincronizza quasi coll'epoca della crocifissione, alcuni abbiano tentato di spiegarla a questo modo), poiché il primo giorno della nuova luna e il primo giorno del mese essendo identici, la pasqua, osservata il 15 di Nisan, cadde in giorno di piena luna, quando cioè un eclisse era impossibile. Le parole: «e il sole scurò» del ver. 45 non dovevano considerarsi come un segno od un miracolo distinto dall'oscurità di cui parlasi nel versetto antecedente. È meramente un'amplificazione dello stesso fatto, ed è inteso a mostrare quanto profonde e dense fossero quelle tenebre. Inquanto all'estensione di esse, i Sinottici tutti usano la stessa parola, terra, che, nel suo senso più largo, dinota l'intiero globo, orbis terrarum, ma che di frequente viene applicato dagli Evangelisti, in un senso ristretto, al paese di Giudea, vedi Luca 4:25; 21:23; Matteo 9:26; Marco 15:33. Questo sembra esser qui il suo vero significato; poiché non v'è necessità di supporre che le tenebre si estesero al di là della Palestina. Il ministerio del nostro Signore era stato specialmente diretto ad Israele, ed al paese d'Israele furono limitati tutti i miracoli connessi alla sua vita ed alla sua morte. Senza dubbio, lo scopo divino del portento fu di rivestire questa, la più tetra di tutte le tragedie, di un orrore che manifestasse il suo vero carattere. Può esser considerato come una dichiarazione divina dell'enormità del delitto che si stava allora perpetrando. Il sole nel firmamento, come se non gli fosse stato possibile di contemplar quello spettacolo, nascose la sua faccia, e la terra fu coperta di caligine. Era d'essa un idoneo esempio dell'oscurità che accecava le menti del popolo giudeo e del velo ch'era sui loro cuori; e si addiceva pure allo stato in cui trovavasi il Signor Gesù, mentre era insultato e torturato dall'uomo, tentato da Satana, privato della luce del volto di suo Padre e vicino a chiuder gli occhi alla vita. «È terribile il pensare (benché le nostre idee debbano essere inadeguate) a quel che devono esser stati i sentimenti dell'anima del Salvatore, mentre si ritraeva in se stessa, e sotto il peso di patimenti così gravi e molteplici, meditava silenziosamente in un orrore di grandi tenebre». (Foote). Ma esse erano eziandio una testimonianza resa alla missione divina dell'illustre martire. L'oscurarsi del sole nel firmamento era una prova che Gesù era «il Sole della giustizia e la luce del mondo» e testimoniava dello sdegno di Dio, per aver l'uomo rigettata quella luce.

45 

La cortina squarciata, Luca 23:45

Per l'esposizione vedi Matteo 27:51.

46 

Il terremoto e l'apertura dei monumenti, Luca 23:46

Per l'esposizione vedi Matteo 27:51-53.

47 

La testimonianza del centurione, Luca 23:47

Per l'esposizione vedi Matteo 27:54.

49 

Le donne di Galilea, Luca 23:49,55-56

Per l'esposizione vedi Matteo 27:55-56.

50 Luca 23:50-56. GIUSEPPE D'ARIMATEA DEPONE IL CORPO DEL SIGNORE NEL SUO NUOVO SEPOLCRO. FATTI CHE SEGUIRONO LA DEPOSIZIONE Matteo 27:57-66; Marco 15:42-47; Giovanni 19:38-42

Per l'esposizione vedi Matteo 27:57-66; Giovanni 19:38-42.

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