Commentario abbreviato:

Luca 22

1 Capitolo 22

Il tradimento da parte di Giuda Lc 22:1-6

La Pasqua ebraica Lc 22:7-18

La cena del Signore istituita Lc 22:19-20

Cristo ammonisce i discepoli Lc 22:21-38

L'agonia di Cristo nel giardino Lc 22:39-46

Cristo tradito Lc 22:47-53

La caduta di Pietro Lc 22:54-62

Cristo confessa di essere il Figlio di Dio Lc 22:63-71

Versetti 1-6

Cristo conosceva tutti gli uomini e aveva fini saggi e santi nel prendere Giuda come discepolo. Come colui che conosceva così bene Cristo arrivò a tradirlo, ci viene detto qui; Satana entrò in Giuda. È difficile dire se il regno di Cristo sia più danneggiato dal potere dei suoi nemici palesi o dal tradimento dei suoi finti amici; ma senza questi ultimi, i suoi nemici non potrebbero fare tanto male quanto ne fanno.

7 Versetti 7-18

Cristo ha osservato le ordinanze della legge, in particolare quella della Pasqua, per insegnarci a osservare le sue istituzioni del Vangelo, e soprattutto quella della Cena del Signore. Chi si affida alla parola di Cristo non deve temere delusioni. Secondo gli ordini impartiti, i discepoli si prepararono per la Pasqua. Gesù dà il benvenuto a questa Pasqua. L'ha voluta, pur sapendo che sarebbe stata seguita dalle sue sofferenze, perché era in ordine alla gloria del Padre e alla redenzione degli uomini. Egli si congeda da tutte le pasque, significando così la sua rinuncia a tutte le ordinanze della legge cerimoniale, di cui la pasqua era una delle prime e principali. Quel tipo è stato messo da parte, perché ora nel regno di Dio è arrivata la sostanza.

19 Versetti 19-20

La cena del Signore è un segno o un memoriale di Cristo già venuto, che morendo ci ha liberati; la sua morte è in modo speciale posta davanti a noi in questa ordinanza, con la quale ci viene ricordata. La rottura del corpo di Cristo come sacrificio per noi viene ricordata con lo spezzare del pane. Nulla può essere più nutriente e soddisfacente per l'anima della dottrina dell'espiazione dei peccati da parte di Cristo e della garanzia di un interesse in tale espiazione. Perciò lo facciamo in ricordo di ciò che Egli ha fatto per noi, quando è morto per noi; e in ricordo di ciò che facciamo noi, unendoci a Lui in un'alleanza eterna. Lo spargimento del sangue di Cristo, con cui è stata fatta l'espiazione, è rappresentato dal vino nel calice.

21 Versetti 21-38

Quanto è sconveniente l'ambizione mondana di essere il più grande, per il carattere di un seguace di Gesù, che ha preso su di sé la forma di un servo e si è umiliato fino alla morte di croce! Nel cammino verso la felicità eterna, dobbiamo aspettarci di essere assaliti e setacciati da Satana. Se non può distruggere, cercherà di disonorarci o di affliggerci. Non c'è nulla che faccia presagire una caduta, in un seguace di Cristo, quanto la fiducia in se stessi, la noncuranza degli avvertimenti e lo sprezzo del pericolo. Se non vegliamo e non preghiamo sempre, nel corso della giornata possiamo essere trascinati in quei peccati contro i quali eravamo più decisi al mattino. Se i credenti fossero lasciati a se stessi, cadrebbero; ma sono custoditi dalla potenza di Dio e dalla preghiera di Cristo. Nostro Signore ha dato notizia di un grande cambiamento di circostanze che si stava avvicinando. I discepoli non devono aspettarsi che i loro amici siano gentili con loro come lo sono stati finora. Perciò, chi ha una borsa, la prenda, perché potrebbe averne bisogno". Dovevano aspettarsi che i loro nemici sarebbero stati più feroci di quanto non fossero stati e che avrebbero avuto bisogno di armi. A quel tempo gli apostoli avevano capito che Cristo intendeva armi vere e proprie, ma egli parlava solo delle armi della guerra spirituale. La spada dello Spirito è la spada di cui i discepoli di Cristo devono dotarsi.

39 Versetti 39-46

Tutte le descrizioni che gli evangelisti fanno dello stato d'animo con cui il Signore affrontò il conflitto dimostrano la natura tremenda dell'assalto e la perfetta preveggenza dei suoi terrori da parte del mite e umile Gesù. Qui ci sono tre cose che non si trovano negli altri evangelisti. 1. Quando Cristo era in agonia, gli apparve un angelo dal cielo che lo rafforzò. Faceva parte della sua umiliazione il fatto che fosse così rafforzato da uno spirito ministrante. 2. Essendo in agonia, pregò più intensamente. La preghiera, sebbene non sia mai fuori stagione, è particolarmente adatta quando siamo in agonia. 3. In questa agonia il suo sudore era come se cadessero grandi gocce di sangue. Questo mostrava il travaglio della sua anima. Dovremmo pregare anche noi per essere in grado di resistere fino allo spargimento del nostro sangue, lottando contro il peccato, se mai venissimo chiamati a farlo. Quando la prossima volta vi soffermerete con l'immaginazione sulle delizie di qualche peccato preferito, pensate ai suoi effetti come li vedete qui! Guardate i suoi effetti spaventosi nel giardino del Getsemani e desiderate, con l'aiuto di Dio, odiare profondamente e abbandonare quel nemico, per riscattare i peccatori da cui il Redentore ha pregato, agonizzato e sanguinato.

47 Versetti 47-53

Nulla può essere un affronto o un dolore maggiore per il Signore Gesù che essere tradito da coloro che si professano suoi seguaci e dicono di amarlo. Ci sono molti casi in cui Cristo è stato tradito da coloro che, sotto la forma della pietà, ne combattono la forza. Gesù ha dato qui un esempio illustre della sua stessa regola di fare del bene a coloro che ci odiano, come in seguito ha pregato per coloro che ci usano male. La natura corrotta porta la nostra condotta agli estremi; dovremmo cercare la direzione del Signore prima di agire in circostanze difficili. Cristo era disposto ad aspettare i suoi trionfi fino al compimento della sua guerra, e anche noi dobbiamo esserlo. Ma l'ora e il potere delle tenebre erano brevi, e tali saranno sempre i trionfi dei malvagi.

54 Versetti 54-62

La caduta di Pietro fu il rinnegare di conoscere Cristo e di essere suo discepolo; il rinnegarlo a causa dell'angoscia e del pericolo. Chi ha detto una volta una menzogna, è fortemente tentato di persistere: l'inizio di quel peccato, come la lite, è come lo sgorgare dell'acqua. Il Signore si voltò e guardò Pietro. 1. Fu uno sguardo convincente. Gesù si voltò e lo guardò, come se dovesse dire: "Non mi conosci, Pietro? 2. Era uno sguardo di rimprovero. Pensiamo con quale sguardo di rimprovero Cristo può giustamente guardarci quando abbiamo peccato. 3. Era uno sguardo di esortazione. Tu che sei stato il più impetuoso a confessarmi di essere il Figlio di Dio e hai promesso solennemente che non mi avresti mai rinnegato! 4. Era uno sguardo compassionevole. Pietro, come sei caduto e disfatto se io non ti aiuto! 5. Era uno sguardo che indirizzava ad andare a riflettere su se stesso. 6. Era uno sguardo significativo; significava la trasmissione della grazia al cuore di Pietro, per permettergli di pentirsi. La grazia di Dio opera nella e per mezzo della Parola di Dio, la richiama alla mente e la fissa nella coscienza, dando così all'anima una svolta felice. Cristo guardò i capi sacerdoti e non fece su di loro la stessa impressione che fece a Pietro. Non fu il semplice sguardo di Cristo, ma la grazia divina che lo accompagnava, a risanare Pietro.

63 Versetti 63-71

Quelli che condannarono Gesù per un bestemmiatore, erano i più vili bestemmiatori. Egli li rimandava alla sua seconda venuta, per la piena prova del suo essere il Cristo, con loro confusione, poiché non volevano ammettere la prova della loro convinzione. Egli si dichiara Figlio di Dio, pur sapendo di dover soffrire per questo. Su questo fondano la sua condanna. Essendo i loro occhi accecati, si affrettano. Meditiamo su questa sorprendente operazione e consideriamo Colui che ha sopportato una tale contraddizione dei peccatori contro se stesso.

Commentario del Nuovo Testamento:

Luca 22

1 CAPO 22 - ANALISI

1. Congiura degli Scribi e dei Farisei per uccidere Gesù. Il Martedì, 13 di Nisan, Gesù dette l'addio al tempio, e passò i due giorni seguenti ritirato in Betania. Intanto i suoi nemici avendo preso la finale, risoluzione di farlo morire durante la, Pasqua, stavano escogitando il modo migliore di mettere ad effetto la, loro risoluzione. La maggior difficoltà proveniva dalle moltitudini riunite in quel giorno in Gerusalemme, e fra le quali Gesù godeva gran popolarità come profeta; esse avrebbero certo fatto una sollevazione se Gesù fosse stato pubblicamente arrestato. D'altra parte, non si presentava loro l'occasione di arrestarlo in segreto, e già eran quasi decisi a differire il loro attentato fin dopo la festa, dopo che il maggior numero se ne sarebbe tornato a casa, allorquando si presentò loro un aiuto proveniente da dove se lo sarebbero meno aspettato. Uno dei dodici, Giuda Iscariot, cui erano ben note le consuetudini di Gesù e del suoi discepoli, stimolato da Satana a soddisfare la sua naturale sete d'oro, si presentò spontaneamente ai cospiratori, offrendo i suoi servigi, per l'adempimento dei loro disegni. Tale offerta venne premurosamente accettata, e per la meschinissima somma di 30 monete d'argento (sicli) il traditore si accinse al nefando suo compito Luca 22:1-6.

2. Preparativi per la Pasqua; la sua celebrazione; istituzione della santa Cena, ed incidenti a quella relativi. I fatti ricordati in questi versetti accaddero il Giovedì 14 di Nisan, e nelle prime ore del Venerdì 15, tenendo in mente che il giorno cominciava, al tramonto. Gesù dà qui un altro esempio della sua, prescienza divina, simile a quello dato già Luca 19, nel caso dell'asino a Betfage, mandando Pietro e Giovanni a fare i preparativi necessari per la Cena pasquale che egli voleva mangiare insieme a tutti i suoi discepoli. Ordinò loro che, appena entrati nella città, stessero attenti e vedrebbero un uomo con un vaso d'acqua in capo; quello doveano seguitare, e domandare al suo padrone l'uso di una stanza riserbata agli ospiti in casa sua, affin di celebrarvi la Pasqua. I discepoli trovarono come il Signore aveva detto. Poco prima del tramonto, Gesù e gli altri suoi discepoli giunsero e si posero a tavola per mangiar la Pasqua, quel sacramento col quale la Chiesa dell'Antico Testamento ricordava la liberazione del popolo d'Israele dalla schiavitù di Egitto, mediante lo spruzzamento del sangue dell'agnello pasquale, mentre esso tipificava pure il sacrifizio dell'Agnello di Dio nel lontano avvenire. Durante questa celebrazione, Gesù fece conoscere ai suoi discepoli, che uno di essi lì presente stava per tradirlo, e con un segno speciale additò loro Giuda Iscariot, il quale poco dopo se ne andò d'infra loro. Benché Cristo venisse a sostituire la nuova all'antica economia, egli non aveva punto l'intenzione di abolire quei sacramenti, che sono così necessari come suggelli del patto eterno di grazia, per sostenere la fede dei credenti; epperciò non appena fu terminata la cena pasquale, senza abbandonar la mensa, prese del pane e del vino, ed istituì, in luogo di quella, la cena del Signore, osservando la, quale i suoi devono annunziar la sua morte, finché egli torni nuovamente in terra. Perfino in questo momento solenne, nacque una contesa fra gli Apostoli, su chi sarebbe il primo nel regno del Messia, e questa attirò loro un ammonimento contro l'orgoglio. Pietro venne quindi avvertito che Satana cercava con ardore di farlo cadere, e che, durante quella stessa notte, egli avrebbe rinnegato il suo Signore non meno di tre volte, ma che Gesù avea pregato perché la sua fede non venisse meno, e la triste esperienza della sua debolezza servisse a fortificare in lui e nei suoi compagni il coraggio e la fiducia in Dio Luca 22:7-38.

3. Gesù nel giardino di Getsemane. Prima di lasciare la sala in cui avevano celebrata la Pasqua, Gesù avea, pronunziato quel mirabile e consolantissimo discorso, e quella preghiera di intercessione che, ci vengono trasmessi da Giovanni solamente Giovanni 14-17, dopo di che egli ed i suoi discepoli partirono in corpo pel monte degli Ulivi. Entrati nel giardino di Getsemane, lasciò, vicino alla porta, otto dei suoi discepoli e si inoltrò accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni, e essendo preso mentre pregava da grande agonia, sudò grumoli di sangue. Nessun conforto ricevè egli dalla simpatia dei suoi discepoli, poiché, invece di vegliare e di pregare, essi si lasciarono vincere dal sonno; ma un angelo, dal cielo fortificò la sua umana natura, quando essa indietreggiava dinanzi alla terribile prova per cui dovea passare Luca 22:39-46.

4. Gesù, arrestato da una schiera condotta da Giuda, e condannato dal Sinedrio nella casa di Caiafa. Pietro rinnega il suo Signore. Questa schiera si componeva in parte dei guardiani del tempio ed in parte probabilimente, di soldati romani stazionati nella rocca Antonia, nonché di molti fra i cospiratori sacerdotali. Essa fu guidata da Giuda al luogo ove si sapeva che il Signore si sarebbe trovato. Giunto colà, s'accostò a Gesù con incredibile audacia e lo baciò. Questo era il segno innanzi concertato, per cui dovevasi far nota nell'oscurità la persona da arrestarsi. Dopo un lieve tentativo di resistenza per parte di Pietro, che tagliò un orecchio di Malco servitore del sommo Sacerdote; i discepoli tutti abbandonarono il loro maestro, che fu condotto prima alla casa di Anna, di poi a quella di Caiafa sommo Sacerdote. Pietro, avendo ottenuto di entrare nel cortile esterno, aspettò, fra i servitori e i famigliari di Caiafa, di conoscere il destino del suo Signore, durante la notte, nella quale la profezia concernente la sua caduta si verificò alla lettera in tre distinti rinnegamenti del suo maestro, pronunziati in circostanze che rendevano la colpa assai più grave. Il solo Luca ricorda lo sguardo di rimprovero e di tenera compassione che il Signore volse al suo vanaglorioso ma caduto Apostolo, sguardo che destò il suo pentimento, gli fece spargere lagrime amare lo indusse a fuggire la scena della sua tentazione. Spuntata appena l'alba, il Sinedrio venne in tutta fretta convocato nella casa di Caiafa, e gli ultimi versetti del capitolo descrivono Cristo condotto alla presenza del sommo Sacerdote e del Sinedrio; le domande postegli rispetto alla sua Messianità; il suo rifiuto di rispondere (poiché i giudici avevano determinata la sua condanna) finché gli venne porta un'occasione non solo di dichiarare, ma di giurare solennemente, ch'egli era il vero Messia, il Figlio dell'Altissimo; in conseguenza di che venne sentenziato a morte per delitto di bestemmia, e fu abbandonato, come un reo convinto, ai maltrattamenti de' suoi nemici ivi presenti e delle guardie del tempio che lo tenevano prigione Luca 22:47-71.

Luca 22:1-6. CONGIURA DEI SACERDOTI E DEGLI SCRIBI PER UCCIDERE GESÙ CONDOTTA A TERMINE PER IL TRADIMENTO DI GUIDA ISCARIOT Matteo 26:3-5,14-16; Marco 14:1-2,10-11

Per l'esposizione, vedi Matteo 26:3-5; Marco 14:10-11.

7 Luca 22:7-38. PREPARAZIONI PER LA PASQUA. SUA CELEBRAZIONE. ISTITUZIONE DELLA SANTA CENA, ED INCIDENTI AD ESSA RELATIVI Matteo 26:17-35; Marco 14:12-16; Giovanni 13:18-30,36-38

Preparazioni per la Pasqua e sua celebrazione, Luca 22:7-18

7. or venne il giorno degli azzimi, nel qual conveniva sacrificar la pasqua.

Il racconto contenuto nei versetti seguenti narra quel che avvenne il Giovedì, il giorno prima che il Signore fosse crocifisso. Secondo l'unanime testimonianza dei tre Sinottici, il primo giorno in cui i Giudei cominciavano ad usar pane non lievitato era quello in cui era legalmente obbligatoria l'uccisione dell'agnello pasquale, cioè il 14 di Nisan fra, i due vespri, vale a dire fra le 3 e le 6 pom. e ciò coincide coll'atto originale dell'istituzione contenuto in Esodo 12:8. A rigor di lettera «la festa dei pani azzimi» cominciando al tramontar del sole del giorno 14; includeva i sette giorni compresi fra il 15 e il 20 di Nisan Esodo 12:18; ma siccome tutto il lievito era accuratamente rimesso e bruciato al meriggio del 14 al più tardi, così il 14 venne naturalmente ad esser considerato come il primo giorno dei pani azzimi. Durante la maggior parte di quel giorno, Gesù stette ritirato in Betania o sul monte degli Ulivi.

PASSI PARALLELI

Luca 22:1; Esodo 12:6,18; Matteo 26:17; Marco 14:12

8 8. E Gesù mandò Pietro e Giovanni, dicendo: Andate, apparecchiateci la pasqua, acciocché la mangiamo. 9. Ed essi gli dissero: Ove vuoi che l'apparecchiamo?

Da Matteo e da Marco apprendiamo che in questa circostanza l'iniziativa fu assunta dai discepoli, che vennero al Maestro domandando. «Dove vuoi che andiamo ad apparecchiarti la pasqua?» Essi accennano solo che Gesù affidò questa incombenza a due de' suoi discepoli, mentre Luca ci dice i loro nomi. Si noti qui che Giuda Iscariot, il quale era il tesoriere della piccola comitiva ed in altre circostanze si era occupato di comprare e provvedere quanto facea di bisogno, fu lasciato, e senza dubbio, di proposito, in disparte, poiché il Signore avea risolto d'impedire, almeno fino alla sera, il proposito che avea in cuore.

PASSI PARALLELI

Marco 14:13-16

Luca 1:6; Matteo 3:15; Galati 4:4-5

Luca 22:9

10 10. Ed egli disse loro: Ecco, quando sarete entrati nella città, voi scontrerete un uomo, portando un testo (brocca d'argilla) pien d'acqua, seguitatelo nella casa ov'egli entrerà.

Matteo racconta il fatto in breve, omettendo di mentovar l'uomo che porta la brocca, ma Marco lo rammenta. A niun commentatore che non sia scettico può venire in mente di trovar qui una contraddizione. Altri vi sono che ammettono la, consistenza delle narrazioni, ma affermano che descrivono solo l'attuazione d'un piano precedentemente concertato fra Gesù ed un amico od un conoscente nella città. Ma come avrebbero potuto i discepoli pervenire, a quell'amico col seguire il primo uomo con una brocca d'acqua, che avessero incontrato? Supporre che anche questo era stato prima concertato, è un'assunzione perfettamente gratuita, indegna dell'attenzione di qualsiasi lettore spregiudicato. Puossi solo considerare come un segno profetico analogo a quello che Saulle ricevè da Samuele 1Samuele 10:1-8, e questo implicherebbe non già un preventivo accordo, ma una previsione e una direzione delle umane azioni che oltrepassa la sfera del naturale. Godet è d'opinione che questo segno d'un uomo che attinge acqua da un pozzo non è così accidentale come appare, poiché «la sera del 13 di Nisan, prima che le stelle scintillassero nel cielo, ogni padre, secondo un'usanza giudaica, doveva recarsi ad una fonte per attignere acqua pura da impastare i pani azzimi»; ma non è facile lo scorgere qual relazione vi possa, essere fra questo universale attignere dell'acqua, la sera, del 13, e il solitario portatore d'acqua che i discepoli incontrarono e seguirono, circa il meriggio del 14 di Nisan. È evidente inoltre che quell'uomo non era il padrone della casa con cui dovevansi concertare le opportune disposizioni, era solo il segno pel quale dovean trovare la via della sua casa.

PASSI PARALLELI

Luca 19:29-40; 1Samuele 10:2-7; Matteo 26:18-19; Giovanni 16:4; Atti 8:26-29

11 11. E dite al padron della casa: il Maestro ti manda a dire: Ov'è la stanza, nella quale io mangerò la pasqua co' mie discepoli?

Il Signore non mentova nome di costui, e benché possibile, è dubbio ch'egli fosse amico e discepolo di Gesù. La stessa irresistibile potenza che indusse i padroni dell'asino a Betfage ad accondiscendere subito alla sua domanda, e che trasse il portatore d'acqua nella strada mentre appunto i discepoli passavano può avere operato miracolosamente sul cuore d'un estraneo, inducendolo ad accondiscendere subito alla domanda, fattagli. Era costume degli abitanti di Gerusalemme di usare ospitalità agli stranieri che salivano alle feste, col mettere a loro disposizione una camera tenuta in disparte «come stanza da ospiti», letter. un albergo o khan Luca 11:7; quindi un coenaculum o camera da ospiti. Siccome per la moltitudine enorme presente a questa festa queste camere dovevano essere sollecitamente ricercate e ritenute varii giorni prima della festa, così abbiamo un'altra prova singolare dell'antiveggenza di Cristo nel fatto ch'ei non fece alcun tentativo di trovarne una, fino all'ora stessa in cui bisognò fare i preparativi della cena; tanto sicuro egli era che la sua domanda sarebbe stata certamente esaudita. Senza dubbio, la ragione che indusse il nostro Signore a tacere il nome dell'uomo alla cui casa mandava i discepoli, e a dar loro soltanto un segno pel quale dovessero pervenire a lui, si fu ch'ei conosceva i progetti di Giuda, il quale invigilava attentamente ogni occasione di attuarli; e ch'ei bramava sfuggire agli ostacoli che il traditore avrebbe potuto mettere sulla sua via nel condurre a termine tutto quel che avea da fare e da dire a' suoi discepoli in quella notte, se quel giorno per tempo avesse conosciuto il loro luogo di assembramento. Cristo infatti avrebbe potuto essere arrestato colà, senza tumulto, prima che la cena pasquale fosse terminata, prima che fosse istituita la Cena del Signore e ch'egli avesse pronunziato il suo memorando discorso e la sua preghiera d'intercessione.

12 12. Ed esso vi mostrerà una gran sala (greco una grande camera alta) acconcia (letter. distesa, cioè, fornita di tavole e di letti quali s'usavano pei pasti); quivi apparecchiate la pasqua. 13. Essi adunque, andati, trovarono come egli avea lor detto; ed apparecchiaron la pasqua.

Vi sono evidentemente due preparazioni per la pasqua mentovate, in questi versetti; una della stanza, già fatta, dal padron di casa, e l'altra dell'agnello, col, pane, il vino, e l'erbe amare, della quale subito i discepoli si occuparono, e che avevano terminata prima che il Signore e gli altri discepoli arrivassero.

PASSI PARALLELI

Giovanni 2:25; 21:17; Atti 16:14-15

Atti 1:13; 20:8

Luca 21:33; Giovanni 2:5; 11:40; Ebrei 11:8

14 14. E, quando l'ora fu venuta, egli si mise a tavola co' dodici apostoli.

L'ora indicata, era poco innanzi il tramonto, prima che finisse il 14 di Nisan, benché non si levassero dalla mensa sino a che non fossero trascorse alcune ore del 15 Giovanni 13:30. Il verbo greco invece di esser tradotto come nel testo «si mise a tavola». significa letteralmente si coricò, come pure il verbo usato da Matteo e da Marco. Questa era la positura, che solevasi prendere a tavola, nei tempi del nostro Signore. Ciò segnava un allontanamento evidente dall'uso primitivo e legale nel celebrare la pasqua Esodo 12:11, ma il nostro Signore lo considerò come non essenziale, altrimenti non l'avrebbe adottato. Questo è un rimprovero di fatto rivolto a coloro che, sotto una disposizione spirituale, contendono intorno ad atteggiamenti e a positure come se appartenessero alle cose più importanti del vangelo. Ci sembra che, qui sia il luogo opportuno per accennare ad alcune delle quistioni difficili che vennero assai per tempo discusse nella Chiesa primitiva e che divisero e dividono anche oggi i più esperti critici, cioè: La festa descritta in Giovanni 13 e la pasqua descritta dai Sinottici sono esse identiche? Gesù mangiò egli realmente la pasqua co' suoi discepoli? Gesù e i suoi discepoli la mangiarono essi lo stesso giorno che gli altri Giudei? Queste quistioni sorgono veramente da alcune espressioni che trovansi nel quarto Evangelo.

1. La quistione, se la cena ricordata in Giovanni 13:1 e la Pasqua rammentata da' Sinottici, quale fu celebrata la notte prima che Cristo fosse condannato e crocifisso, sieno identiche, sorge tutta dalle parole: or AVANTI la festa di Pasqua. Alcuni critici hanno interpretato avanti come se si riferisse a qualche altra cena che aveva avuto luogo forse assai tempo prima che fosse celebrata la Pasqua. Sembra tuttavia che essi stessi si creino questa difficoltà, coll'attribuire ad avanti un significato, assai retrospettivo. Essa svanisce del tutto coll'applicare avanti alle ore che precedettero immediatamente la cena pasquale, e nelle quali il Signore non solo diede ordini a' due discepoli intorno alle preparazioni esteriori, ma si preparò egli stesso solennemente a quel che dovea fare in essa, sotto l'impressione de' profondi pensieri che riempivano in allora l'animo suo. Rimossa questa difficoltà, non resta al lettore che di paragonare attentamente gl'incidenti che occorsero durante la cena pasquale descritta da Giovanni con quelli narrati dai Sinottici. per convincersi che tutti quattro trattano dello stesso avvenimento. È contrario a ragione il supporre che il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro fossero divulgati dal Signore come cose intorno alle quali i discepoli non nudrivano il minimo sospetto insino allora, se già le avesse lor dichiarate in parole quasi identiche in una precedente cena cui tutti erano convenuti.

2. La seconda quistione intorno alla quale hanno combattuto i critici, cioè se il nostro Signore mangiasse la pasqua co' suoi discepoli può molto sommariamente risolversi col ricorrere alle dichiarazioni positivamente affermative di tutti gli Evangelisti. Riesce invero difficile il comprendere come, in presenza di simili dichiarazioni, vi sia stato mai alcuno che abbia nudrito un dubbio qualsiasi intorno a questo, Cfr. Matteo 26:21,23; Marco 14:18,20,22; Luca 22:15; Giovanni 13:18,26.

3. L'ultima questione è di gran lunga la più importante: Cristo e i suoi discepoli mangiarono essi la pasqua, lo stesso giorno che gli altri Giudei? La testimonianza concorde dei tre primi Evangelisti non lascia alcuna possibilità di dubitare, che il Signore mangiasse la pasqua la solita sera ch'era stabilita per legge (14 di Nisan); ma dalle parole di Giovanni 18:28: «Essi non entrarono nel palazzo per non contaminarsi, ma per poter mangiar la pasqua», alcuni critici inducono che il popolo Giudeo in generale non mangiava la pasqua insino al 15. Siccome il distinto comandamento di Dio intorno al giorno in cui dovevasi uccidere l'agnello pasquale non era stato mai abrogato, possiamo senza tema di errare tener per cosa indubitata che un tal cambiamento per parte di tutto un popolo, non avrebbe mai potuto ricevere la sanzione degli scribi e dei farisei, i quali stavano tanto stretti alla lettera della legge. Devesi adunque cercare qualche altra spiegazione di queste parole di Giovanni; e questa ci pare molto soddisfacente che cioè esse si riferiscono solo ai membri del Sinedrio, i quali durante tutta la notte erano stati tanto attivamente occupati nel promuovere la condanna di Gesù, che non avevano avuto l'agio, al tempo determinato dalla legge, per celebrare la pasqua. Essi però intendevano farlo quello stesso giorno, appena questo affare urgente lo avesse, loro permesso, e per questo motivo si astennero dall'entrare nel Pretorio, poiché coll'entrarvi si sarebbero contaminati e resi inabili a celebrare la festa. Se la pasqua si fosse celebrata solo la sera del 15, niuna precauzione simile sarebbe stata necessaria, poiché la contaminazione legale durava solo per un giorno di dodici ore, talché ne sarebbero stati liberati la sera, anche se fossero entrati nell'aula del tribunale. Esempi di differimento delle più solenni celebrazioni sono rammentati da Flavio nella sua storia. Le osservazioni di Brown sulla relazione esistente fra il Vangelo di Giovanni e quelli de' Sinottici, riguardo alle summentovate difficoltà critiche sono degne di seria attenzione. «Per la natura stessa del fatto, un errore su questo punto (il giorno in cui il Signore celebrò la pasqua), commesso dai tre primi Evangelisti le cui narrazioni coincidono, eppure si dimostrano indipendenti l'una dall'altra, era difficilmente possibile. Inquanto al quarto Evangelista (che ebbe tanta parte in tutto questo affare e il cui Vangelo, scritto dopo che gli altri tre già da lungo tempo circolavano nella Chiesa, mostra chiaramente di esser stato scritto per completare gli altri), non è concepibile che avesse potuto cadere in qualsiasi errore. E siccome nel suo Vangelo non vi è traccia, di alcuna intenzione di correggere un errore degli altri tre su questo punto, così è giuocoforza confondere, lasciando del tutto in disparte la divina autorità de' Vangeli, che i tre primi Evangelisti ed il quarto devono essere unanimi su questo punto importante. Ora, siccome la testimonianza dei tre primi è esplicita e non si può metter da parte, mentre quella del quarto è solo generale e presuntiva, la conclusione cui ci sentiamo astretti è che la pasqua fu mangiata dal Signore e da' suoi discepoli la solita sera» Giovanni 18:28.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 16:6-7; Matteo 26:20; Marco 14:17

15 15. Ed egli disse loro:

Matteo e Marco entrambi cominciano le loro narrazioni di quel che avvenne durante la cena pasquale colla dichiarazione di Cristo che uno dei suoi discepoli lo tradirebbe; ma, secondo l'ordine armonico generalmente adottato, le parole del Signore conservateci dal nostro Evangelista Luca 22:15-18 furono le prime pronunziate in questa circostanza; segue di poi una seconda contesa intorno a preeminenza la quale sorse durante la conversazione che era generale durante tutta la durata della cena, e fa redarguita dal Signore Luca 22:24-30; indi viene il lavamento dei piedi degli Apostoli col discorso annessovi Giovanni 13:1-20; poi l'istituzione della cena del Signore, la dichiarazione del tradimento di Giuda, e l'avvertimento dato a Pietro ch'ei lo rinnegherebbe. Tuttavia questo ordine è manifestamente erroneo in un particolare, poiché la dichiarazione del tradimento di Giuda venne fatta prima che la cena pasquale fosse terminata Matteo 26:21-23; Marco 14:20; Giovanni 13:26, se non prima che sorgesse la contesa fra gli Apostoli.

io ho grandemente desiderato di mangiar questa pasqua con voi innanzi ch'io soffra,

Alford vuol che si noti il fatto che questo è l'unico esempio ne' Vangeli usato in senso assoluto come nel Credo: «Egli patì sotto Ponzio Pilato». Con qualche altra parola aggiunta lo troviamo varie volto Luca 9:22; 17:25; 24:26,46; Matteo 16:21, ecc. Il raddoppiamento della stessa parola o di parola simile è un Ebraismo che segna il grado superlativo o un modo di esprimersi che aggiungo grande forza al significato. Nehemia abbiamo qui un esempio in Greco: (letter. «con desiderio ho io desiderato») come ne abbiamo uno in Ebraico in Genesi 2:17; morendo tu morrai. Molto probabilmente questo desiderio procedeva, in parte dalla sua ansiosa preoccupazione di testimoniare sino alla fine del suo rispetto per le ordinanze della legge, poiché «Egli fu fatto sottoposto alla legge» e «gli spettava di compiere ogni giustizia» Galati 4:4; Matteo 3:15. Può riferirsi altresì a tutte le disposizioni che avea dovuto fare per assicurare la gioia di quell'ore quiete, a malgrado del tradimento del suo discepolo (Godet). Ma principalmente queste parole del Signore, pronunziate appena ebbero preso i loro posti a tavola, gettarono un'onda di luce sui pensieri che avean ripieno l'animo suo, durante l'ore anteriori alla cena, e che Giovanni riassume così: «Avendo amato i suoi ch'eran nel mondo, gli amò infino alla fine» Giovanni 13:1. Il suo affetto per loro era tanto profondo ed immutabile ch'egli era stato ripieno d'una prepotente brama d'unirsi ad essi una volta ancora, prima della sua, morte, nell'intima comunione di cui avean goduto in altre solenni feste pasquali e di confortarli con nuova dimostrazione del suo amore, in testimonianza che questa comunione rimarrebbe per sempre indissolubile. Una brama consimile dietro un ultimo scambio d'affetti sarebbe naturale nel cuore d'un uomo che fosse in atto di dire addio alla sua casa ed a' suoi parenti per andarsene in lontano paese; e quanto più naturale nel tenero e misericordioso Salvatore!

16 16. perciocché io vi dico che non ne mangerà più, finché tutto sia compiuto nel regno di Dio.

La parola tutto intromessa qui dal Diodati non ha luogo nell'originale e rende ambigua una sentenza che senza di essa è perfettamente chiara, significa letter. «finché questo sia compiuto», essendo del ver. 15 il soggetto al nominativo. La Vulgata dà il senso esatto: «Non manducabo illud donec impleatur in regno Dei», e Ostervald: «jusqu'à ce qu'elle soit accomplie». La particella finché significa semplicemente giammai sulla terra; non significa che dopo la sua risurrezione de' morti ei potesse di nuovo mangiar la pasqua; è una forma ebraica indicante che la cosa indicata non dovea mai più esser fatta (vedi un esempio in 1Samuele 15:35). Che cosa adunque significa qui ed in Marco 14:25, il «regno di Dio», ed in Matteo 26:29, «nel regno del Padre mio?» Può in prima riferirsi a quella nuova dispensazione la quale, colla sua morte, si leverebbe sulla terra, e nella cui corrispondente ordinanza egli sarebbe spiritualmente presente col suo popol credente; ma è certissimo che la piena e propria di queste parole dev'esser fatta a quel celeste regno in cui tutti i redenti, senza veruna eccezione, saranno riuniti intorno al loro Signore ed i cui godimenti sono dipinti coll'immagine d'un convito. La cena pasquale non era solo un simbolo di riscatto dalla distruzione, ma era pure una lieta riunione annua di tutti i membri di una famiglia intorno al loro padre e, capo. A questa pasqua israelitica il Signore non dovea più partecipare; ma egli indica a' suoi discepoli un tempo avvenire in cui egli ed essi e tutto il suo popol redento parteciperebbero ad una eterna festa spirituale, nella quale tutto ciò ch'era simboleggiato nella pasqua terrena. avrebbe un glorioso compimento. Questa festa egli descrive nelle parole del ver. 30: «acciocché voi mangiate e beviate alla mia tavola, nel mio regno». Riesce difficile il credere che il Signore avesse potuto parlare come ei lo fa in questi due versetti, se, come alcuni lo suppongono, non vi fosse stato un agnello arrostito sulla tavola; mentre detti versetti ci forniscono una convincentissima refutazione della teoria secondo la quale il Signore stesso non lo mangiò co' suoi discepoli.

PASSI PARALLELI

Luca 18-20

Luca 22:30; 12:37; 14:15; Giovanni 6:27,50-58; Atti 10:41; 1Corinzi 5:7-8; Ebrei 10:1-10

Apocalisse 19:9

17 17. Ed avendo preso il calice,

La parola greca qui usata è avendo ricevuto, come dalle mani d'un ministro, ed avrebbe dovuto esser così tradotta. Sembra voglia indicare che Cristo lo ricevè per berne, prima di metterlo in giro, poiché una parola del tutto diversa è usata da tutti i Sinottici riguardo alla Cena del Signore, quando egli non partecipò al pane ed il vino. La Mishna giudaica, composta sul finire del secondo o sul principio del terzo secolo A. D., contiene ragguagli completi intorno a tutte le cerimonie osservate nella celebrazione della cena. Pare che in essa siasi osservato l'ordine seguente. Primo. Pronunziata una preghiera, il padre di famiglia metteva in giro un calice di vino di cui ogni membro beveva, o versava una parte nel proprio calice; quindi l'erbe amare, simbolo de' loro patimenti in Egitto, circolavano dall'uno all'altro ed erano mangiate dopo esser state intinte in una salsa agrodolce detta Charoseth, fatta di noci, di mandorle, di datteri, e d'aceto. Secondo. Un altro calice di vino era mandato attorno, e mentre si beveva, il padre spiegava il significato della festa, a tenore del comandamento Esodo 12:26. Terzo. Il padre prendeva una delle focaccie azzime e dopo un nuovo rendimento di grazie la rompeva in due parti e dopo averla intinta nella salsa, la mangiava insieme ad un pezzo dell'agnello pasquale, mentre tutti gli astanti imitavano il suo esempio. Un terzo calice veniva allora mandato attorno, detto il «calice di benedizione», perché accompagnato da un'altra preghiera di ringraziamento; e con questo la cena, propriamente detta, era condotta a termine. I commensali però non lasciavano immediatamente la tavola. Quarto. Il padre mandava in giro un altro calice, quando si cantava l'Hallel Salmi 113-118, e talvolta un quinto calice veniva distribuito congiuntamente al canto del grande Hallel, secondo alcuni Salmi 120-127; secondo altri Salmi 135-137. Si è supposto che il calice di cui è menzione in questo versetto sia il primo, col quale avea principio la cerimonia, a motivo dell'analogia delle parole «il frutto della vigna» nel ver. 18 col ringraziamento del padre di famiglia prima di berne e di mandarlo attorno: «A Te sia lode, o Signore Iddio nostro, Apocalisse del mondo che hai creato il frutto della vigna»; ma sembra assai più probabile che fosse il terzo calice, detto «calice di benedizione», che si beveva dopo che si era mangiato l'agnello pasquale, e allorché, per quanto riguardava il suo significato sacramentale, la cena era virtualmente terminata. Matteo e Marco non accennano con una sola parola alle cerimonie della cena pasquale propriamente detta, e Luca vi dedica solo i ver. 13-18, concludendo col mentovare il calice di benedizione con cui il Signore la condusse a termine. Indi passa immantinente alla istituzione della Cena del Signore, e mentova un altro calice che d'allora in poi dovea esser chiamato nella Chiesa Cristiana il «calice di benedizione» 1Corinzi 10:16. Il primo de' calici qui nominati (ver. 17) era, secondo Alford, l'abrogazione d'un rito antico; il secondo (ver. 20) l'istituzione d'un rito nuovo.

rendè grazie, e disse: Prendete questo calice, e distribuitelo tra voi.

La distribuzione indicata da consiste in questo, che ognuno d'essi bevesse di quel calice, ovvero che ognun d'essi ne versò una parte nella, propria tazza. Da questa parola alcuni commentatori hanno erroneamente inferito che Cristo egli stesso non bevesse questo calice; ma il contrario appare evidente dal suo profondo desiderio di partecipare seco loro alla Pasqua, la quale includeva il calice nel modo stesso che l'agnello. Inoltre in quel che segue Gesù dice espressamente che ne beve.

PASSI PARALLELI

Salmi 23:5; 116:13; Geremia 16:7

Luca 22:19; 9:16; Deuteronomio 8:10; 1Samuele 9:13; Romani 14:6; 1Timoteo 4:4-5

18 18. perciocché, io vi dico che non berrò più del frutto della vigna, finché il regno di Dio sia venuto.

Il significato di queste parole, per quanto spetta al calice pasquale, è lo stesso che al ver. 16; esse si riferiscono alla eterna comunione fra Cristo e il suo popolo nel regno di gloria. Benché nell'esposizione ci proponiamo di seguire il testo del nostro Evangelista, questo sembraci il luogo opportuno di notare il probabile ordine in cui si avvicendarono, gli avvenimenti di quella memorabile notte. Matteo e Marco ne ricordano due soli, la denunzia del traditore, e l'istituzione della Cena del Signore, ed entrambi antepongono quello a questo. Luca inverte l'ordine e mette prima l'istituzione della Santa Cena. Se, come lo crediamo, questa venne istituita dopo che fu terminata la cena pasquale, è evidente che Luca non seguì l'ordine cronologico, poiché fu nel corso di detta cena che Gesù intinse il boccone e lo porse a Giuda; mentre aveva anteriormente indicato quell'atto a Giovanni come il segno nel quale avrebbe dovuto riconoscere il traditore; ed ei si fu solo dopo la fine della cena pasquale che Gesù lavò i piedi degli Apostoli, atto cui Giuda pure partecipò Giovanni 13:10-11. Giovanni invero mentova il porgere del boccone dopo il lavamento dei piedi; ma è chiaro ch'è posto quivi a motivo della sua relazione col colloquio ch'ebbe luogo fra il Salvatore e lui stesso rispetto a Giuda. Se si eccettua il lavamento dei piedi, questo è il solo incidente della cena pasquale rammentato da lui, essendoché gli avvertimenti dati a Pietro, mentovati in seguito, appartengono per comune consenso di tutti gli Evangelisti ad un periodo più inoltrato della notte. Il lavamento dei piedi dei discepoli per mano del loro maestro era una lezione d'umiltà tanto opportuna dopo la contesa ch'era sorta fra gli Apostoli, che l'ordine naturale degli avvenimenti sembra essere stato il seguente: dichiarazione che uno della compagnia presente in quel luogo lo tradirebbe; contesa fra i discepoli intorno a rango e preeminenza nel regno del Messia, che il nostro Signore biasimò non solo con parole, ma altresì simbolicamente col prendere il posto d'un servitore e col lavare i loro piedi. Indi seguì l'istituzione della Cena del Signore, l'avvertimento a Pietro, parole indicanti il dovere e il diritto della propria difesa, e il discorso contenuto in Giovanni 14-16. Il tutto è chiuso dalla preghiera sacerdotale di Cristo Giovanni 17, e dal canto dell'Hallel.

19 

L'istituzione della Santa Cena Luca 22:19-20

Avendo Giovanni scritto il suo Vangelo al termine del primo secolo, quando l'osservanza di questa istituzione era ormai universale in tutte le Chiese Cristiane allora esistenti, non deve recar meraviglia ch'egli abbia omesso questa istituzione, poiché il suo oggetto, dietro insegnamento dello Spirito d'ispirazione, era anzitutto di fornire importanti notizie riguardo al ministerio terreno di Cristo, che non erano stato ricordate dai Sinottici. Ma, siccome vi sono lievi variazioni nelle formule, quali ci vengon date da ognun di questi e da Paolo, può essere utile al lettore di trovarle poste una, accanto all'altra per poterle paragonare.

MATTEO 26:27-28

Or mentre mangiavano, Gesù prese il pane, e fatta la benedizione, lo ruppe, e lo diede ai discepoli, e disse: Prendete, mangiate; questo è il mio corpo. Poi, prese il calice, e rendute grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti; perciocché quest'è il mio sangue del nuovo patto, il quale è sparso per molti, in remissione de' peccati.

MARCO 14:22-24

E, mentre essi mangiavano. Gesù prese del pane, e fatta la benedizione, lo ruppe, e lo diede loro, e disse: Prendete, mangiate; questo è il mio corpo. Poi preso il calice, e rendute grazie, lo diede loro; e tutti ne bevvero. Ed egli disse loro: Quest'è il mio sangue, che è del nuovo patto, il quale è sparso per molti.

LUCA 22:19-20

Poi, avendo preso il pane, rendè grazie, e lo ruppe, e lo diede loro, dicendo: Questo è il mio corpo, il quale è dato per voi; fate questo in rammemorazione di me. Parimente ancora, dopo aver cenato, diede loro il calice, dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, il quale è sparso per voi.

PAOLO 1Corinzi 11:23-26

Conciossiaché io abbia dal Signore ricevuto ciò che ancora ho dato a voi, cioè, che il Signore Gesù, nella notte ch'egli fu tradito, prese del pane; e dopo aver rendute grazie, lo ruppe, e disse: Pigliate, mangiate; quest'è il mio corpo, il qual per voi è rotto; fate questo in rammemorazione di me. Parimente ancora prese il calice dopo aver cenato, dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel sangue mio; fate questo ogni volta che voi ne berrete in rammemorazione di me. Perciocché, ogni volta che voi avrete mangiato di questo pane, e bevuto di questo calice, voi annunzierete la morte del Signore, finché egli venga.

Un diligente paragone di queste narrazioni basta a convincere il lettore che le variazioni rinvenutevi non alterano in verun modo il significato della istituzione. Tutti sono perfettamente unanimi intorno alle parole: «Questo è il mio corpo»; e tutti sono sostanzialmente concordi nel dichiarare che il vino del calice rappresentava il sangue di Cristo sparso per la ratificazione del nuovo patto, nel modo stesso in cui l'antico era stato ratificato, dallo spargimento di sangue Esodo 24:8; Ebrei 9:19-22. L'unica variazione reale è l'omissione in Matteo ed in Marco delle parole «il quale è dato per voi» (Luca); «il quale per voi è rotto» (Paolo), dopo «quest'è il mio corpo»; e del precetto: «Fate questo in rammemorazione di me» contenuto nelle narrazioni di Luca e di Paolo; e la sostituzione delle parole «per voi», per opera del terzo Sinottico alle parole «per molti» dei due primi. La spiegazione di queste variazioni può benissimo essere che, avendo Paolo ricevuto una espressa rivelazione di Cristo; dopo la sua ascensione, su questo soggetto 1Corinzi 11:23, ecc., in essa il Signore aggiunse alle parole dette da lui stesso nella camera del convito, altre parole da usarsi da' suoi ministri nel distribuire la Santa Cena, parole che manifestassero chiaramente come ad essa fossero obbligati i fedeli in ogni periodo della Chiesa; e che, avendo Luca scritto pei Gentili, fosse consigliato dallo Spirito a seguire la rivelazione fatta a Paolo. Parlando della rivelazione ricevuta da Paolo, Olshausen osserva: «Abbiamo qui una dichiarazione autentica per parte del Signore stesso risorto, intorno al significato di questo sacramento; e la Chiesa ha sempre riguardato questo passo, considerato a quel modo, come l'importante spiegazione della Cena del Signore, data dal Nuovo Testamento».

PASSI PARALLELI

Luca 22:16; Matteo 26:29; Marco 14:23; 15:23

Giudici 9:13; Salmi 104:15; Proverbi 31:6-7; Cantici 5:1; Isaia 24:9-11; 25:6; 55:1

Zaccaria 9:15,17; Efesini 5:18-19

Luca 9:27; 21:31; Daniele 2:44; Matteo 16:18; Marco 9:1; Atti 2:30-36; Colossesi 1:13

19. Poi, avendo preso il pane,

La semplicità dello stesso rito, del modo in cui fu istituito e de' suoi primi ricordi ne' Vangeli, è in singolare contraddizione colle polemiche cui diede origine e colla pompa e col misterio da cui venne in seguito avviluppato. Vi sono egregii commentatori, i quali ritengono che questo atto del nostro Signore avvenne mentre pur continuava la cena pasquale, intendendo egli mischiare la nascente colla morente istituzione, per insegnare a' suoi discepoli che il significato di entrambi, era identico. Ma il disegno del Signore era evidentemente di sostituire questa a quella, e ciò venne fatto in modo più espressivo col lasciare che la cena pasquale fosse prima terminata. La loro relazione mutua era sufficientemente indicata dal fatto che la nuova ordinanza fu istituita prima che si levassero dalla tavola intorno alla quale l'antica era stata osservata. Le parole d'introduzione ne' Vangeli di Matteo e di Marco: significano solo prima che il pasto pasquale fosse terminato. Riguardo alla qualità di pane da usarsi sorse una vivace polemica fra le Chiese Latine e Greche; volendo quelle che fosse pane azzimo come era stato usato nella primitiva istituzione e come seguitano ad usarlo sino a' giorni nostri, e questo che fosse pane lievitato com'era usato in altre circostanze. Purché si ritenga l'uso del pane, è evidentemente indifferente se sia dell'una piuttostoché dell'altra qualità, e questa questione è indegna di esser discussa con tanto ardore.

rendè grazie;

In Matteo ed in Marco trovasi «fatta la benedizione», ma un atto include l'altro. «Ei rendè grazie», dice Brown, «non tanto per il pane materiale, quanto per quel cibo più elevato ch'era racchiuso sotto ad esso, ed ei lo "benedisse" come il canale stabilito per trasmettere il nutrimento spirituale». La Chiesa, seguitando l'esempio di Cristo, ha sempre osservato questo rendimento di grazie, e ne è conseguita che Eucaristia è uno de' nomi dati a questa istituzione. È degno di nota il fatto che mentre la Chiesa di Roma insegna la transustanziazione, o in altre parole, il cambiamento del pane nel corpo reale, nel sangue e nella divinità del Signore, che avviene nell'atto di benedire il pane, Gesù ruppe il pane dopo ch'era stato per tal modo consecrato.

e lo ruppe,

Questo era un atto simbolico, pieno di significato ed inteso a rappresentare i patimenti corporali di Cristo in generale, e più specialmente sulla croce; ed è perciò una parte necessaria di questo rito, e lo è per modo che laddove il pane non è rotto, quel che è mangiato non è una commemorazione del corpo rotto del Signore. Che questo rompere del pane, secondo l'esempio di Cristo, abbia continuato ad essere osservato nella Chiesa universale sino al termine del secolo SETTIMO appare evidente dalla seguente citazione, che Whitby trasse dagli atti del Concilio di Toledo A. D. 693: «Cristo col rompere il pane e col distribuirlo rotto a' suoi discepoli c'insegnò senza dubbio a fare d'allora in poi com'ei fece»; anzi che quest'uso fosse continuato nella Chiesa per più di mille anni è corto, poiché Hambertus (citato da Baronius), testifica ch'era ancora osservato dalla Chiesa Romana nel secolo undicesimo. L'ostia non rotta, ora in uso nella Chiesa Romana, non rappresenta il corpo rotto di Cristo; è in diretta opposizione alle parole di Cristo; e rende il rito imperfetto, perché viene omessa una parte necessaria di esso.

e lo diede loro, dicendo: Quest'è il mio corpo,

«Alla tanto controversa parola è non devesi impartire alcuna enfasi. Nella lingua originale (Aramaica), usata dal nostro Signore, essa non poteva esprimersi. In quella lingua questa sentenza dovè essere semplicemente "Ecco il mio corpo", cioè quello che rappresenta il mio corpo rotto. Il verbo come sta nel nostro testo è meramente la copula logica fra il soggetto questo e il predicato "il mio corpo" (Alford).

Il significato di queste parole quali, vengono applicate al pane rotto che il Salvatore aveva in mano, è tanto chiaro e semplice, che in vero desta meraviglia che verun uomo di sano intelletto abbia potuto attribuir loro un senso qualsiasi che non sia tipico o simbolico. La loro forma sorse dalle forme usate nella pasqua. Quella festa era un memoriale, e quando nelle sue cerimonie si domandava: «Che vuol dir questo servigio che voi fate?» Esodo 12:26, il padre di famiglia rispondeva: «Quest'è il corpo dell'agnello che i nostri padri mangiarono in Egitto, questa pasqua è il nostro Salvatore e il nostro rifugio». Non la stessa, ma una commemorazione di essa. Avvezzi a questo modo di esprimersi, non c'era pericolo che i discepoli fraintendessero l'idea del loro Maestro o attribuissero alle sue parole un senso qualsiasi che non fosse simbolico. E che essi non abbiano potuto intendere che il pane e il vino erano il corpo e il sangue reale di Cristo, si dimostra ad evidenza per le seguenti ragioni:

1. I loro sensi dimostravano loro che Gesù era seduto in mezzo a loro; che seco loro conversava siccome era solito; e ch'egli era un uomo perfetto mentre rompeva il pane ch'era rimasto della cena pasquale.

2. Essi sapevano per esperienza, come noi, che una, delle proprietà della materia è che non può essere in due luoghi al tempo stesso, mentre secondo la, teoria della transustanziazione lo stesso corpo è al tempo stesso vivo e morto, e può essere in milioni di luoghi completo ed integro nello stesso minuto di tempo.

3. Se, invece del pane e del vino, Gesù avesse offerto loro vera carne e vero sangue, i discepoli invece di usarne, si sarebbero ritratti con orrore dal mangiar l'una e dal ber l'altro, siccome cosa espressamente proibita dalla legge levitica; e questa proibizione gli Apostoli ebbero cura di perpetuarla nella Chiesa Cristiana Levitico 17:10,14; Atti 15:29. Una delle accuse scagliate più di frequente contro i Cristiani primitivi era che mangiavano carne umana e bevevano sangue. Or bene con che consistenza avrebbero essi potuto si sdegnosamente ripudiare l'accusa in tutto le loro «apologie», se essi realmente ricevevano il corpo ed il sangue reale di Cristo nella loro comunione d'ogni Domenica? Questa transustanziazione degli elementi nel corpo e nel sangue e nella divinità del Signor Gesù Cristo per l'orazione consecrante d'un sacerdote, è la dottrina della Chiesa Romana; talché chi ci crede ha l'intenzione di trangugiare e di far scendere nel suo stomaco il suo Dio e Redentore; ma la vista e l'odore di carne e sangue reale desterebbe tanto orrore negli uomini e li allontanerebbe per modo tanto dal farsi comunicante, che anche detta Chiesa ha stimato necessario di nasconderli sotto gli accidenti del pane e del vino: (a) Affinché l'umana pietà non possa aborrire il sacramento. «Si carnis et sanguinis humani colorem videret et separare, fidelis, humana pietas abhorreret»; (b) Affinché non fosse conosciuto a' pagani ed esposto alle loro bestemmie; affinché l'atto non sembrasse loro ridicolo, scandaloso, inumano ed esecrabile. «Nehemia scilicet infidelibus pateat ed eorum blasphemiis vilescat; neve nos judicent inhumanos et crudeles utpote humani corporis comestores et sanguinis bibitores» (Algerus, lib. 2:3).

4. I discepoli ben sapevano che spesso durante il suo ministerio il loro Maestro avea applicato a sé stesso immagini consimili, ch'essi riconoscevano perfettamente per tali, diguisaché quella di cui allora fece uso non fu da loro fraintesa; tanto più che già se l'era applicata in un periodo più remoto del suo ministerio Giovanni 6:48. Se però le parole: «Quest'è il mio corpo» devono prendersi in senso letterale, «il calice», non il vino, è «il sangue del nuovo patto in Cristo», e devonsi anche intendere alla lettera espressioni. come la vite, la porta, la via, il capo, la rocca, che Cristo applica a sé stesso o che Scrittori sacri gli assegnano.

Benché le ragioni date più sopra rendano del tutto incredibile che le parole: «quest'è il mio corpo ecc.» dovevano, a mente del Signore, essere intese alla lettera, il dogma della transustanziazione qual viene insegnato dalla Chiesa di Roma (e la cui reiezione implica dannazione), è questo, che sebbene il pane ed il vino non siano cambiati in apparenza, in gusto, in peso, od in qualsiasi altro accidente, la sostanza loro è completamente distrutta ed in suo luogo la sostanza del corpo e del sangue di Cristo, quantunque sia rivestita di tutte le proprietà sensibili del pane e del vino, è realmente presente, talché chi riceve quel ch'è stato consecrato, non riceve già pane e vino, ma, alla lettera, mangia la carne di Cristo, e beve il suo sangue. Detta Chiesa insegna empiamente che un prete col pronunziar queste parole, con buona intenzione, ha il potere di produrre un cambiamento, che equivale a far scendere, a suo beneplacito, Cristo dal suo presente stato di esaltazione alla destra di Dio, al suo stato anteriore d'umiliazione sulla terra, poiché è in questo solo che il suo sacrifizio potea venire offerto. Difatti al prete vien dato il nome di sacerdote (che in niun luogo del Nuovo Testamento viene attribuito ai ministri di Cristo), perché, col deporre il pane e il vino sull'altare, egli offre a Dio un sacrifizio, il quale (benché differisca da tutti gli altri, in quanto è senza spargimento di sangue) è un vero sacrifizio propiziatorio pe' peccati dei vivi e dei morti; essendoché il corpo e il sangue di Cristo ch'erano stati offerti sulla croce, siano nuovamente offerti nel sacrifizio della messa. Siccome vuolsi che questo sacrifizio possieda una virtù intrinseca, che non dipende dalla disposizione di chi lo riceve, ma opera immediatamente su tutti quelli che non pongono ostacolo alla sua operazione con qualche «peccato mortale», così è facile il comprendere perché l'ostia sia elevata all'altare, sia adorata per le vie, e sia portata attorno come un viatico a moribondi. Quale influenza sulle coscienze degli ignoranti e de' superstiziosi non dovranno possedere quegli uomini che pretendono aver la potenza di offrire Cristo nuovamente in sacrifizio ogni volta che la messa è celebrata? Dalla storia ecclesiastica risulta che questo dogma non fu definitivamente stabilito, se non previa molta opposizione. Johannes Scotus Erigena lo combattè coraggiosamente e così ancora fece Berengario nell'undicesimo secolo. Ei si fu solo nel secolo dodicesimo (1215) che fu inventato il nome di transustanziazione, ed essa fu dichiarata articolo di fede nel IV Concilio Lateranense sotto Papa Innocenzo 3. Non deve recar meraviglia che la Chiesa romana richieda un'adesione cieca e che non ragiona a' suoi insegnamenti, poiché niuno che consulti la Parola di Dio od eserciti la ragione che Dio gli ha data, potrà mai accettare una dottrina che per l'empie sue conseguenze refuta sé stessa. Ed intanto per averla negata migliaia e migliaia sono stati perseguitati insino alla morte!

Allorché sorse Lutero nel secolo sedicesimo, ci vide l'assurdità che vi è nel supporre che, contrariamente a' nostri sensi, il pane ed il vino sieno mutati in un'altra sostanza; ond'egli, rigettando la dottrina della transustanziazione, vi sostituì quella della consustanziazione (parola già usata da alcuni umili oppositori della dottrina romana, sin dalla fine del secolo 13esimo). Per tal modo insegnava, che il pane ed il vino restano invero, ma che insieme ad essi è presente la sostanza del corpo e del sangue di Cristo, la quale è, alla lettera, ricevuta dai comunicanti. Benché i seguaci di Lutero, a' giorni nostri, rigettino la parola di consustanziazione ed anche quella d'impanazione (perché sembrano implicare che il corpo di Cristo sia racchiuso ed allogato nel pane), essi continuano a mantenere e a dichiarare ne' libri normativi delle loro chiese, che in qualche modo, a noi non intelligibile, il corpo e il sangue del Signor Gesù sono presenti nel sacramento della Santa Cena, insieme agli elementi terreni che sono oggetti de' nostri sensi. Questa dottrina, benché scevra di alcuni fra gli assurdi della transustanziazione, racchiude tante palpabili difficoltà, che a, stento intendiamo come uomini di mente filosofica l'abbiano adottata. Bisogna pur dire, per amor d'equità, ch'essi scansano i tre grandi errori pratici della Chiesa Romana.

1. Essi non stimano che la presenza del corpo e del sangue di Cristo, insieme al pane ed al vino, infonda nel sacramento alcuna virtù fisica, talché il benefizio derivatone sia indipendente dalla disposizione di chi lo riceve.

2. Essi non stimano, che detta presenza impartisca all'istituzione la natura d'un sacrificio.

3. Essi non pensano, che per essa, il pane ed il vino siano resi oggetto di adorazione pe' Cristiani.

Le Chiese Riformate insegnano che il Signore intese che il pane e il vino fossero solo rappresentazioni figurative del corpo e del sangue suo, i quali non sono corporalmente presenti nell'ordinanza della Santa Cena, ma solo spiritualmente a quelli che per fede li discernono. Gli articoli di fede di queste Chiese si troveranno in appresso nel corso dell'esposizione.

il quale è dato per voi

part. pres. è essendo dato, come in 1Corinzi 11:24, è essendo rotto. «La passione era già cominciata; in vero tutta la vita di Cristo sulla terra fu questo dare e rompere, consumato nella sua morte» (Alford). Siccome Dio il Padre nell'amor suo infinito diede il suo Figlio Unigenito Giovanni 3:16, così il Figlio, per libera sua volontà ed elezione, diede sé stesso ai patimenti, alla morte, al sepolcro, a favore d'un mondo di peccatori, per procurar vita eterna a quanti crederebbero in lui Isaia 53:5,9. In che modo semplice e commovente questa istituzione non ci rappresenta essa, alla luce di queste parole, la dottrina dell'espiazione, quella dottrina che costituisce la sostanza stessa del Vangelo? Supponendo anche che questa preziosa verità sia oscurata od omessa negli insegnamenti della cattedra, qui almeno afferma il proprio suo posto, ed ogni qual volta queste parole son ripetute nel sacramento, la dottrina della croce, la dottrina del sacrifizio vicario di Cristo, occupa il posto più saliente, e con sé reca la vera ragione della speranza del peccatore e gli appelli più commoventi al cuore umano.

fate questo in rammemorazione di me.

Da questo parole è chiaro che il disegno grande ed informatore di questa istituzione è ch'esso fosse sempre pel popol suo un memoriale di Cristo, de' suoi patimenti e dell'amore che lo indusse a soffrirli. Ce ne fornisce una piena conferma l'allargamento di queste parole nella rivelazione che il Signore fece a Paolo: «Ogni volta che voi avrete mangiato di questo pane e bevuto di questo calice, voi annunzierete la morte del Signore, finché egli venga» 1Corinzi 11:26. Esso è invero bene adatto a tener viva la sua memoria nella Chiesa; a diffondere il suo nome per tutto il mondo; e incitare i credenti a pensare di frequente e con riconoscenza a lui come al nostro Salvatore e Signore, come a colui ch'è Dio e uomo al tempo stesso, come a colui che «muore pei nostri peccati, lui giusto per noi ingiusti, per riconciliarci a Dio»; ed a guardare innanzi con lieta anticipazione alla sua seconda venuta. La Chiesa Romana sì è travagliata per provare che queste parole significano, «offrire questo sacrifizio», e che erano specialmente intese ad essere pronunziate dai soli preti nel mentre consacrano il pane e il vino, e l'offrono come un sacrifizio nella messa; ma questo concetto non regge ad un serio esame. È un artificio destinato a spalleggiare la supremazia di una casta sopra l'intero laicato della Chiesa, supremazia ch'è empia in sé stessa, ed al più alto grado disonorante per Cristo l'unico e solo Sacerdote del Nuovo Testamento! Il sacrifizio, di cui questa istituzione è un memoriale, non può mai esser ripetuto, poiché l'efficacia sua è imperitura; dappoiché essendo stato offerto una volta per sempre, Gesù entrò col proprio sangue nel cielo, per comparirvi qual nostro Intercessore, «avendo acquistata una redenzione eterna» Ebrei 9:12,24,28. In relazione col nostro argomento, son ben degne d'essere rammentate le parole di Paolo: «E non acciocché offerisca più volte stesso, siccome il sommo sacerdote entra ogni anno nel santuario col sangue» Ebrei 9:25; quindi certamente, s'egli non offerse sé stesso una seconda volta, l'uomo che pretende di ciò fare dev'essere e un impostore e un bestemmiatore. «è una strana inversione», dice Calvino, «quando un uomo mortale cui è imposto di prendere il corpo, pretende all'uffizio di offrirlo; e così un sacerdote che è stato ordinato da Dio, gli sacrifica il proprio Figlio! lo non intendo ora investigare di quanti atti di sacrilegio abbondi la loro pretesa offerta. Al mio proposito' basta che ben lungi dall'accostarsi all'istituzione di Cristo, ad essa direttamente si opponga». Il significato naturale di queste parole è un ordine rivolto a tutti i credenti del pari: "Fate quel che ora vi ho mostrato: mantenete l'istituzione che ora ho stabilita; rompete, prendete mangiate questo pane, per tutte le età, in rammemorazione di me". In opposizione alla dottrina Romana e Luterana, Zwinglio insegna che il pane ed il vino nella Cena, del Signore sono meramente segni del corpo e del sangue assente di Cristo, e che, di conseguenza, la Cena è solo un rito commemorativo, inteso però a produrre un atto morale sul comunicante. Questa opinione si conciliava nella sua mente colla fede nella divinità di Cristo; ma in seguito essa venne adottata da' Sociniani, benché riesca difficile il comprendere qual benefizio essi pretendano ritrarre dalla commemorazione della morte d'uno ch'essi stimano un mero uomo simile ad essi.

Le Chiese Riformate concordano in parte colle opinioni di Zwinglio, credendo esse che il pane ed il vino non sono realmente il corpo ed il sangue di Cristo, ma solo de' segni esterni di essi; però ad essi aggiungono una grazia interna che ridonda a tutti i credenti, se pur ricevono degnamente gli elementi esterni. Essi tengono che Cristo è spiritualmente presente nel sacramento della Cena a quelli che per fede lo discernono, e che mentre stanno commemorando la sua morte, l' anime loro sono, per fede, cibate e vivificate col nutrirsi di colui ch'è la VITA, nel modo stesso che i loro corpi sono cibati e fortificati dal pane e dal vino. Essi intendono le parole del Signore Giovanni 6:56; «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui», come pure quelle di questo passo, in un senso spirituale, non letterale; e stimano che nel pieno significato della metafora non entrino solo le esortazioni e gl'insegnamenti che sono forniti dal credere nell'evangelo, ma ancora quell'unione intima fra, Cristo e il suo popolo, che è la conseguenza della fede, e quella comunicazione di grazia e di forza per cui crescono più santi e più atti a compiere ogni dovere. Di più, siccome una degna od indegna partecipazione a questo sacramento dipende dalla disposizione d'animo e dalla condotta esterna del comunicante, le Chiese Riformate esortano ognuno ad esaminare attentamente sé stesso, secondo il precetto di Paolo 1Corinzi 11:28, prima di avvicinarsi alla mensa del Signore, ed in particolare impongono a quelli che hanno un uffizio nella Chiesa di tenerne lontani tutti quelli la cui vita e conversazione non corrisponde alla loro religiosa professione.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:26-28; Marco 14:22-24; 1Corinzi 10:16; 11:23-29

Luca 22:17; 24:30; Giovanni 6:23; 1Tessalonicesi 5:18

Luca 22:20; Genesi 41:26-27; Ezechiele 37:11; Daniele 2:38; 4:22-24; Zaccaria 5:7-8; 1Corinzi 10:4

Galati 4:25

Giovanni 6:51; Galati 1:4; Efesini 5:2; Tito 2:14; 1Pietro 2:24

Salmi 78:4-6; 111:4; Cantici 1:4; 1Corinzi 11:24

20 20. parimente ancora, dopo aver cenato, diede loro il calice, dicendo:

La Cena cui qui si allude è la cena pasquale, non la Cena del Signore. Secondo Matteo e Marco sembra che il nostro Signore abbia reso grazie una seconda volta prima di prendere in mano il calice; ma Luca omette questo, come anche Paolo, nella rivelazione che Gesù gli aveva concessa circa il modo in cui dovevasi osservare l'istituzione

Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue.

Se vi fosse alcun dubbio circa il significato delle parole: «Quest'è il mio corpo», le parole qui usate dal nostro Signore dovrebbero per verità disperderlo, poiché prese alla lettera significherebbero che il calice è il Nuovo Testamento. Gli argomenti più sopra addotti contro l'interpretazione letterale sono applicabili a questo caso nel modo stesso che a quello. Nelle annotazioni sul ver. 17 si è espresso il parere che il calice mentovatovi fosse il «calice di benedizione» che chiudeva la cena pasquale, e che il calice nominato in questo versetto gli fosse sostituito qual «calice di benedizione» sotto la dispensazione della grazia 1Corinzi 10:16. Il mescolare acqua col vino nel calice, uso adottato da molti nella Chiesa primitiva e praticato dalla Chiesa Romana, era probabilmente un'imitazione dell'uso tradizionale invalso ne' tempi posteriori dell'economia giudaica, riguardo alla celebrazione della Pasqua; ma non c'è alcuna prova che il Signore ciò facesse prima di dare il calice a' suoi discepoli: all'opposto, se si osserva ch'ei diede istruzioni così particolareggiate riguardo al rompere il pane, è da presumersi che lo stesso avrebbe fatto riguardo al contenuto del calice. «Questo fu il principale argomento messo in campo da Origene per risolvere la quistione in favore del calice non mescolato» (Stier). Secondo Matteo e Marco le parole del Signore furono: «Questo è il mio sangue del nuovo patto», e la dottrina che insegnano è praticamente identica a quella di Luca e di Paolo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue». Benché il significato primitivo della parola sia volontà o testamento, fatto da una persona in vista della morte, e sia indubbiamente usato in questo senso in Ebrei 9:16-17, ha pure il significato di alleanza o di patto trattato fra due parti. La LXX l'usa invariabilmente in questo senso dovunque la parola ebraica berith, patto, ricorre nell'antico Testamento; e molti critici moderni affermano, che le si dovrebbe dare questo significato dovunque ricorre nel Nuovo. La parola qual'è usata dal Signore in questo caso dovrebbe probabilmente esser considerata come la riunione delle due idee; poiché i patti che Dio volle misericordiosamente stringere col suo popolo, sia sotto la dispensazione patriarcale, sia sotto l'economia levitica, furono invariabilmente ratificati e suggellati col sangue dei sacrifizii Genesi 15:9-18; Esodo 24:4-8: così l'alleanza di grazia stretta con noi in Cristo potea solo venir ratificata e suggellata collo spargimento del sangue, ma di una vittima più nobile, dello stesso «Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo»; mentre, d'altra parte, il sangue di Cristo, simboleggiato dal vino di questo calice, proclama la sua morte, per la quale ei lega a tutti i credenti i benefizii dell'alleanza di grazia, qual suo testamento irrevocabile ed eterno Galati 3:15; Ebrei 9:16-17. Questa alleanza è qui chiamata nuova, in opposizione all'alleanza levitica, co' suoi frequenti sacrifizii e le sue innumerevoli ordinanze, e con essa è posta a contrasto in Ebrei 8: come pure in Isaia 55:3; 59:21; Geremia 31:31-34.

il quale è sparso per voi.

Matteo «il quale è sparso per molti, in remissione dei peccati». Quest'ultime parole, rammentate da Matteo, refutano autorevolmente la teoria, che la parola sparso si riferisca al vino; poiché la remissione o il perdono del peccato, secondo l'uniforme insegnamento della Scrittura, puossi solo ottenere collo spargimento del sangue di Cristo. Tale era la dottrina insegnata dal cerimoniale del gran giorno dell'espiazione, quando il sangue del sacrifizio era portato dentro della cortina e spruzzato innanzi al Coperchio ch'è sopra la Testimonianza Levitico 16:2; ed essa è fuor d'ogni dubbio proclamata nel Nuovo Testamento in 1Corinzi 11:25; Efesini 1:7; Colossesi 1:14; Ebrei 9:14,22; 1Giovanni 1:7; e in molti altri passi. Nell'istituire quest'ordinanza, il Signore volle che il suo popolo avesse sempre presente alla mente che non v'è altro modo per cui Dio possa perdonare il peccato, salvo che per l'espiazione da lui compiuta, quando ei morì in luogo dei peccatori sulla croce. La morte di Cristo possedè tale incomparabile efficacia, perché è Emmanuele. Dio nella natura nostra; e di conseguenza l'obbedienza ed i patimenti della sua natura umana ricevettero un valore infinito dalla sua unione colla divina persona d'esso. La parola «molti» preservata da Matteo è importante, essendoché per essa il Signore annunzii chiaramente, che i benefizii della sua salvazione, sotto la nuova economia, non dovevano essere limitati alla nazione giudaica, che fino allora avea goduto d'un vero monopolio di religiosi privilegii, ma che il suo sangue espiatorio era stato sparso altresì per la salute de' popoli gentili, e per «quanti il Signore Iddio nostro chiamerà» Atti 2:39. D'altra parte, l'uso della parola molti, invece di tutti, indica eziandio che tutti coloro cui sarà offerta questa salute per quel sangue prezioso, non se ne prevarranno. Matteo ci ha altresì conservato l'ordine dato da Cristo a' suoi discepoli nel porger loro il calice: «Bevetene tutti», mentre Marco nota l'atto di ubbidienza. È impossibile di far dire alle parole: «bevete tutto il vino», come vogliono i Romanisti, per difendere il diritto esclusivo de' preti all'uso del calice. Il Signore, nella sua prescienza, avea senza dubbio presente allo sguardo questa flagrante violazione della sua ordinanza nell'età future, e perciò dà un ordine espresso che tutti quelli che hanno partecipato al pane partecipino altresì al calice. In quella circostanza, gli Apostoli erano i rappresentanti di tutti i credenti, de' ministri e del popolo; e la finzione della Chiesa Romana, che pel doppio comando, Cristo li costituisce sacerdoti, non ha ombra di fondamento nella parola di Dio. Ma ammesso pure, per via d'argomentazione, che tal sia il caso, e che il partecipare al pane e al vino sia il diritto esclusivo dei sacerdoti, come successori degli Apostoli, la Chiesa Romana va pure incolpata della più assurda contraddizione nel permettere al laico di ricevere uno degli elementi e nel negargli l'altro. I membri credenti della Chiesa hanno diritto a' due od a nessuno. Il togliere il calice ai laici, per parte della Chiesa Romana, è una innovazione relativamente moderna. La sua introduzione (A. D. 1222) è pressoché contemporanea all'Elevazione dell'ostia, e la ragione che se ne addusse furono gli accidenti inconsistenti colla venerazione dovuta al corpo e al sangue di Cristo, cui era esposto il vino nell'esser portato nelle case de' malati. Per questo motivo, s'introdusse l'uso di mandare il solo pane in forma d'ostia, e al popolo non fu più concesso di partecipare al calice. Per soddisfare quelli che s'opponevano all'innovazione, s'insegnò loro, che essendo il pane cambiato nel corpo reale di Cristo, essi nel ricevere il corpo, per ragione di concomitanza, ricevevano anche il sangue; e che allorquando Gesù disse le parole: «Bevetene tutti», ci si volse solo agli Apostoli; talché l'ordine suo è adempiuto quando i sacerdoti, loro successori, bevono del calice, benché il popolo sia escluso. Questa strana spiegazione delle parole del Signore viene distintamente refutata dalla rivelazione concessa a Paolo intorno a questo sacramento; poiché non già ad Apostoli, ma all'intero corpo dei credenti della Chiesa Corinzia, e per essi a tutti i membri credenti della Chiesa universale, fino alla fine del tempi, è rivolta l'esortazione: «Perciocché ogni volta che voi avrete mangiato di questo pane e bevuto di questo calice, voi annunzierete la morte del Signore, finché egli venga».

PASSI PARALLELI

Esodo 24:8; Zaccaria 9:11; 1Corinzi 10:16-21; 11:25; Ebrei 8:6-13; 9:17; 12:24

Ebrei 13:20

RIFLESSIONI

1. L'intimo nesso fra la festa di pasqua e la morte del Signor Gesù non è meramente accidentale. Il tempo della crocifissione del nostro Signore fu stabilito da Dio, la cui sapienza e determinante potenza fece sì che «l'Agnello di Dio» fosse ucciso al tempo che era scannato l'agnello pasquale. La sua morte fu il compimento della pasqua, il vero sacrifizio che per 1500 anni, ogni pasqua aveva simboleggiato. Quel che la morte dell'agnello era stata per Israele in Egitto, la morte di Cristo lo fu per tutti i peccatori nel mondo intero; la sicurtà che il suo sangue provvide ad Israele, il sangue di Cristo dovea provvederla assai più abbondantemente a tutti quelli che avrebbero creduto in lui. Non dimentichiamo mai il carattere espiatorio della morte di Cristo. Rigettiamo con aborrimento l'idea moderna che altro non fosse se non il Sigillo della sua dottrina, e un illustre esempio di sacrifizio di sé stesso; e guardiamoci di celebrare la Santa Cena come fanno gli Unitari, come un convito in memoria del più eroico martire della virtù; mentre essi negano assolutamente l'espiazione avvenuta con lo spargimento del suo sangue. Afferriamo e riteniamo fermamente la verità, che la morte di Cristo, celebrata nella Cena, è stata la propiziazione de' peccati del mondo, un'espiazione per le trasgressioni dell'uomo, una liberazione dall'ira avvenire. «La nostra Pasqua è stata immolata per noi, cioè Cristo» 1Corinzi 5:7.

2. L'oggetto principale di questa ordinanza era di tener viva la memoria della morte di Cristo pe' peccatori. Le sue parole sono: «Fate questo in rammemorazione di me», e per esse ci viene distintamente insegnato che la Cena. del Signore non è un sacrifizio, ma è un'ordinanza eminentemente commemorativa. Il pane rotto è inteso a rammentarci che il corpo di Cristo è stato dato alla morte, ed il vino che il sangue di Cristo è stato sparso, per far l'espiazione delle nostre trasgressioni. Questi elementi dovevano essere un sermone visibile che si richiamasse ai sensi dei credenti ed insegnasse loro la verità fondamentale del vangelo, che la morte di Cristo sulla croce è la vita dell'anima. Che vi possa essere un altro mezzo all'infuori della fede per cui l'uomo possa mangiare il corpo di Cristo e bere il suo sangue, noi solennemente neghiamo. Quanto minore sarà il misterio e l'oscurità che connetteremo alla Cena del Signore, tanto maggiore sarà il benefizio che ne ritrarrà l'anima nostra.

3. L'osservanza di questa istituzione, viene espressamente ordinata da Cristo, talché i credenti che la trascurano sono colpevoli d'una violazione flagrante della legge di Dio, come se avessero apertamente trasgredito uno dei dieci comandamenti. Una tal pubblica rammemorazione della morte di Cristo è in alto grado ragionevole. L'anniversario della emancipazione di un popolo dalla schiavitù, o dello sfuggire d'un paese ad imminente pericolo è stato giustamente stimato degno di pubblica celebrazione, ed irragionevole sembrerebbe il rifiuto di qualsiasi persona di partecipare a consimili festività. Ma quale avvenimento è sì grave e d'interesse sì generale per tutta l'umanità quanto la morte di Cristo? Se dunque havvi un avvenimento degno di pubblica rammemorazione, questo lo è per eccellenza! Se, eternamente verrà ricordato da tutti i redenti ne' cieli, è per certo ragionevole che sia di spesso e pubblicamente celebrato da tutti i riscattati sulla terra. Si guardino dunque i veri membri del popolo di Cristo di peccare in questa parte. Tuttavia, parlando in generale, il pericolo sta piuttosto nelle moltitudini d'uomini mondani, profani o che ignorano il significato dell'ordinanza, «mangiando e bevendo giudizio a se stessi, non discernendo il corpo del Signore». E a preservarsi da questo pericolo è di somma importanza che quelli che intendono avvicinarsi alla mensa del Signore «esaminino sé stessi» intorno alla loro conoscenza, per discernere il corpo del Signore; intorno alla loro fede, per nudrirsi di lui; intorno al loro pentimento, amore e nuova ubbidienza, affinché «non sieno colpevoli del corpo e del sangue del Signore» 1Corinzi 5:8; 11:27-29; 2Corinzi 8:5.

4. Giuda Iscariot partecipò certamente insieme a Cristo ed agli altri apostoli al sacramento della pasqua, e molti credono altresì che avesse parte alla Cena del Signore. La lezione che questo fatto c'insegna è importantissima, cioè che non dobbiamo considerare tutti i comunicanti come veri credenti e sinceri servitori di Cristo, benché esternamente ne abbiano l'apparenza. Spesso i convertiti e gli ipocriti si troveranno a fianco gli uni degli altri alla mensa istessa del Signore. La disciplina più rigida non può prevenir questo, essendoché niuno possa investigare il cuore del suo compagno. La partecipazione di quest'ultimi agli elementi arreca condannazione soltanto ad essi («mangia e beve giudizio a stesso» 1Corinzi 11:29); non racchiude quelli che seco loro comunicano in simile condannazione, e perciò è riprovevole lo starsene lontani dall'ordinanza, perché alcuni comunicanti non sono convertiti. Fino alla mietitura, cresceranno insieme grano e zizzania. Il servo non deve pretendere ad essere più esclusivo del suo padrone; pertanto è dovere della Chiesa di esercitare la disciplina su quelli la cui vita esterna è inconsistente colla loro professione di fede 1Corinzi 5:1-5.

5. «Le parole: Questo è il mio corpo, paiono scevre d'ogni ambiguità e semplici per modo che difficilmente puossi riconoscere in esse l'occasione e il soggetto della controversia più lunga ed ardente che abbia scissa la Chiesa durante i mille anni trascorsi. Quella controversia è sì puramente teologica, che appena ha qualche fondamento nell'interpretazione del testo; poiché l'unica parola cui si potrebbe applicare (il verbo è), è tal parola che non si sarebbe espressa nella lingua Aramaica, e che perciò appartiene meramente alla traduzione greca delle parole del nostro Signore, Finché le robuste ed imprudenti metafore de' primi padri non vennero petrificate in un dogma, dapprima per errore popolare, ed infine per teologica perversione, queste parole non suggerirono altro pensiero che quello ch'esse tuttora forniscono ad ogni semplice e spregiudicato lettore, che cioè il nostro Signore chiama il pane il suo corpo nel modo stesso ch'ei chiama se medesimo, «una porta» Giovanni 10:9; «una vite» Giovanni 15:l; «una radice», «una stella» Apocalisse 22:16; e ch'ei vien designato con molte altre metafore nella Scrittura. Il pane era un emblema della sua carne inquanto fu ferita pe' peccati degli uomini ed è distribuita per loro cibo spirituale e accrescimento in grazia» (Alexander).

21 

L'annunzio ai discepoli che uno di loro è un traditore, Luca 22:21-23

21. Nel rimanente ecco, la mano di colui che mi tradisce è meco, a tavola

Secondo Matteo e Marco, questo fu il primo incidente dopo che si furono tutti seduti a tavola, e la narrazione di Giovanni sembra confermar l'impressione che questo annunzio venne fatto ad un'ora relativamente poco inoltrata della sera, mentre stavano mangiando la cena pasquale, e che Luca l'avrebbe introdotto come un cenno sommario intorno ad uno degli incidenti di quella memorabil notte, senza relazione col tempo esatto in cui queste parole vennero pronunziate. La brevità del suo racconto, paragonato a quello degli altri Evangelisti, afforza questa conclusione. Se potesse venire definitivamente stabilito che Luca segue l'ordine cronologico nel posto che assegna a questo incidente, sarebbe risolta affermativamente la questione, assai controversa, riguardo alla, partecipazione di Giuda alla Cena del Signore; ma benché questo fatto sia probabile, niun Argomento in favore della sua realtà può venir fondato sull'ordine seguito nella narrazione del nostro Evangelista. Alcuni interpreti vogliono che il rac conto contenuto in Giovanni 13, che include il lavamento dei piedi e l'indicazione del traditore a Giovanni, si riferisca, sia alla cena di Betania nella casa di Simone il lebbroso, sia a qualche altra anteriore alla festa di Pasqua; ma il manifesto stupore, il dolore e la tema indicata dal simultaneo «Sono io desso?» che proruppe dalle labbra degli undici, distrugge questa teoria per sempre. Esternare maraviglia circa un avvenimento annunziato già pubblicamente una settimana innanzi, sarebbe stato ributtante ipocrisia. Le narrazioni dei quattro Evangelisti devono adunque evidentemente riferirsi tutte all'annunzio fatto da Gesù, quand'erano riuniti attorno alla cena pasquale. Secondo Luca, venne fatto in queste brevi parole: «Ecco, la mano di colui che mi tradisce è meco a tavola», le quali riuniscono l'annunzio del peccato e l'indicazione del traditore; ma gli altri Evangelisti ci forniscono più ampii ragguagli. Giovanni dichiara che «Gesù fu turbato nello spirito», cioè che provò una emozione che lo conturbò e lo fece soffrire, emozione che procedeva dallo sdegno e pur anche dal dolore che provava pel traditore che correva incontro al suo fato, e dalla distretta che risentiva nel ferire i cuori de' suoi fedeli Apostoli colla dichiarazione che stava per fare: «e protestò, e disse: In verità, in verità io vi dico che l'un di voi mi tradirà». Simile, benché non sì completo, è il modo in cui il soggetto è introdotto da Matteo e da Marco. La penosa sorpresa ed il dolore profondo che quest'annunzio produsse negli undici vengono quindi delineati da Matteo e da Marco nella domanda che rivela terrore, quasiché uno qualsiasi d'infra loro avesse, senza volerlo, tradito il comune Signore: «Son io desso, Signore?» Costrettovi dalle circostanze, il traditore fu audace abbastanza da ripetere questa domanda per conto proprio, poiché il tacere in quell'istante sarebbe stato confessare esser egli il colpevole. Stier fa notare che mentre gli undici chiamarono Gesù Signore, questa parola non varca le labbra del traditore, che usa invece il freddo e cerimonioso Maestro. Secondo Matteo, Gesù gli rispose «Tu l'hai detto»; ma queste parole ovvero furono pronunziate a voce sì dimessa, che percossero solo l'orecchio del traditore, oppure gli altri discepoli erano immersi in siffatta costernazione per l'annunzio testè udito, che non le intesero, e di conseguenza fu necessario calmarli con una dichiarazione più esplicita: «La mano di colui che mi tradisce è meco a tavola» (Luca); «Colui che intigne con la mano meco nel piatto mi tradirà» (Matteo, Marco). Questo era il piatto di salsa agrodolce, detta Chasoreth, fatta d'aceto, di datteri e di mandorle ecc. in cui usavasi intingere l'erbe amare ed i pani azzimi; la cui menzione è una prova addizionale che questo incidente occorse durante il pasto pasquale, e prima che fosse istituita la Cena del Signore. Ma anche questa era una indicazione troppo vaga per accontentare l'ansietà e, la curiosità di Pietro, il quale fe' cenno a Giovanni di chiedere al Signore, presso cui giaceva, chi fosse il traditore. «Egli è colui», rispose Gesù, «al quale io darò il boccone dopo averlo intinto», e Giovanni aggiunge immantinente: «E avendo intinto il boccone, lo diede a Giuda Iscariot, figliuol di Simone». Dietro a un diligente paragone dei quattro Evangeli, questo sembraci il modo in cui venne svelato il traditore.

PASSI PARALLELI

Giobbe 19:19; Salmi 41:9; Michea 7:5-6; Matteo 26:21-23; Marco 14:18

Giovanni 13:18-19,21,26

22 22. E il Figliuol dell'uomo certo se ne va, secondo ch'è determinato;

In questo versetto il Signore pronunzia lo spaventevole fato del traditore. Comincia col dichiarare ch'egli (la cui speciale designazione di sé stesso quale Dio uomo ora «Figliuol dell'uomo») stava certamente per morire; poiché il verbo se ne va, era assegnata da classici scrittori Greci ad un uomo in punto di morte, come ai dì nostri si dice d'un tale, «sta per andarsene», ovvero «parte»; e d'uno che sia morto, «se n'è andato», per in dicare che l'anima è stata rimossa da ogni cosa terrena. Ma di più, mentre attribuisce la morte al «determinato consiglio e alla provvidenza di Dio» Atti 2:23, ei ne pone tutta la responsabilità sul miserabile agente, per opera del quale fu addotta. determinato, allude agli eterni consigli della Divinità, ne' quali era preordinata non solo la morte del Signor Gesù, ma ancora tutto quello che spettava al tempo, al modo, alle circostanze d'essa; mentre le parole usate da Matteo e da Marco: secondo che è scritto di lui, alludono alla rivelazione di queste cose negli iscritti degli antichi profeti. Il Signore però aggiunge immantinente:

ma guai a quell'uomo per cui egli è tradito!

L'eterno consiglio di Dio dev'essere adempiuto, poiché esso è immutabile; le predizioni dei profeti devono pure avverarsi, perché ispirate dal Dio che non può mentire; ma per quanto sia arduo l'intendere come le due cose si accordino, il decreto divino e le ispirate predizioni non distrussero la responsabilità di Giuda e degli altri autori del delitto. Le dottrine simultanee della predestinazione di Dio e della responsabilità dell'uomo non sono solo insegnate chiaramente in questo passo, ma ancora in Atti 2:23; 4:27-28. Il previo proposito di Dio non costrinse Giuda adoperar com'ei fece; egli agì liberamente di sua volontà, secondo l'impulso del suo malvagio cuore. «La misteriosa e dirigente provvidenza, di Dio», dice Conder, «per la quale ogni cosa, persino la malvagità dell'uomo (e dello stesso Satana) è volta a compiere il disegno di Dio, non altera per nulla l'umana responsabilità, poiché siamo responsabili del volere e del motivo, non già dei risultati». Il guai qui pronunziato ha uno spaventevole significato; esso implica ad un tempo ira e pietà! eterna condanna del peccatore, e ciò nondimeno il pianto di «colui che non vuole la morte del peccatore», sul suo tremendo destino. «Questo guai pronunziato su quest'uomo diventa il cruccio del proprio suo cuore sacerdotale, qual Figliuol d'uomo» (Stier). Il servo che non conosceva la volontà del suo Signore e non la fece, dovea esser battuto di poche battiture; ma qui eravi uno conscio della volontà del suo Maestro, che aveva ascoltato il suo insegnamento, veduto i suoi miracoli, che avea compiuto egli stesso i miracoli per la sua potenza, che avea goduto dell'intima sua amicizia e ben sapeva ch'egli era il Figliuol di Dio, e che ciò nondimeno, per libera determinazione, lo tradì per trenta monete d'argento. Poteavi essere un castigo troppo severo per un reo siffatto? «Ei resistè alla verità come un ipocrita», dice Stier; «l'amore altro non fece che indurirlo vie più; mentre prima era un uomo prescelto, in cui si ripone fiducia; ora diventa un traditore, e rimette il suo Signore e Maestro a' nemici che cercavano la sua morte. Ei può udire i guai con cui l'amore redentore lo rimpiange, e ciò nonpertanto domandare audacemente: «Sono io d'esso?» Ei può mangiare e bere quel che il Signore presenta come i simboli il suo corpo ed il suo sangue, dati per la remissione dei peccati, e poi andarsene ad adempiere il suo determinato peccato. Guai a quell'uomo! esso nacque uomo, ma ha cessato di esserlo ed è diventato un diavolo». «Le parole: non significano solo quell'uomo, ma quell'uomo là, come se Giuda già si fosse allontanato; ovvero forse, per indicarlo come uno già separato dal sacro corpo di cui Cristo è il capo e gli Apostoli son membri» (Alexander). La tremenda natura del guai pronunziati contro Giuda appare in modo anche più chiaro, dalle parole addizionali conservateci da Matteo e da Marco: «Meglio sarebbe stato per lui di non esser mai nato!» Scrittori della scuola razionalistica hanno cercato di alleviare il giudizio contenuto in questa sentenza, col riferire le parole a Cristo stesso, poiché, dicono essi, le parole «Figliuol dell'uomo» le precedono immediatamente. Ei sarebbe stato meglio pel Figliuol dell'uomo, se quell'uomo non fosse mai nato! Questa costruzione però, per quanto sia possibile riguardo alla lettera, è in altissimo grado artificiale e pertanto da rigettarsi. Contro a questa argomentazione, Stier mette in campo un argomento che stimiamo irrefutabile: «Questo dà alle parole un significato di ricerca di se stesso e di querulo lamento, ch'è del tutto indegno di Gesù, che non è mai udito altrove, e che inoltre s'addice così male a questo luogo, che per questa ragione, e a dispetto delle grammaticali apparenze, pochi vi sono stati che abbiano anche esitato ad ammettere che questa sentenza dev'essere lo sviluppo e la spiegazione del guai anteriormente pronunziato». Può darsi che queste parole sieno state proverbialmente usate contro certuni colpevoli di grandi delitti, od afflitti per gravi sciagure; ma ciò non altera il loro terribile significato, or che sono pronunziate da Gesù. Questa è stata a ragione chiamata la sentenza più tremenda della Scrittura, inquanto chiude ogni porta di speranza per tutta l'eternità. Essa implica chiaramente che l'anima di Giuda era perduta, ed essa rovescia l'eresia che nega l'eternità del castigo avvenire', ed insegna che tutti gli uomini, alla fine, saranno felici; poiché sebbene un uomo avesse da soffrire il più grave castigo che possa immaginarsi, per il lungo spazio di tempo che concepir si possa, salvo però l'eternità assoluta, e se, in seguito, quell'uomo dovesse diventar e continuare ad esser sempre felice, anche al grado più basso, non potrebbesi affermar di lui con verità, ch'ei sarebbe stato meglio per lui di non esser mai nato. Se dunque sta fermo riguardo ad un uomo malvagio, che i patimenti dell'inferno saranno eterni, è del pari certo che tutti i malvagi periranno nei secoli de' secoli «L'iscrizione posta dal Signore stesso sul sepolcro del suo infelice Apostolo è la più terribile e spaventevole sentenza di tutta la Bibbia» (Krummacher). «Giuda è certamente l'unico che abbia ricevuta personalmente la sua sentenza prima dell'ultimo giorno, l'unico che sia stato dato in balla della distruzione prima che fosse presentata quell'offerta pel peccato, che tanti salvò dalla distruzione» (Stier).

PASSI PARALLELI

Giobbe 19:19; Salmi 41:9; Michea 7:5-6; Matteo 26:21-23; Marco 14:18

Giovanni 13:18-19,21,26

23 22. Ed essi cominciarono a domandarsi gli uni gli altri, chi fosse pur quel di loro che farebbe ciò.

Unendo assieme i racconti dei Sinottici, raccogliamo i particolari altamente interessanti intorno agli effetti che la dichiarazione di Cristo produsse nell'animo loro. Primo: Matteo ci dice che furono «grandemente attristati». Secondo: il nostro Evangelista dice che «cominciarono a domandarsi gli uni gli altri qual di loro farebbe ciò». Terzo: Marco racconta come essi ne domandassero Cristo lui stesso: «Essi presero ad attristarsi e a dirgli ad uno ad uno: Son io quel desso?» Ognun d'essi, eccetto, Giuda, guardò l'altro, con ansietà, conscio di non aver l'intenzione di tradirlo, ed ognuno cominciò ad esaminare se stesso, per sapere se involontariamente avesse potuto rendersi colpevole di azione consimile. Questo dimostrò la loro innocenza, la foro divozione a Gesù, e quanto risentissero vivamente il minimo sospetto di tal natura. Giuda è costretto a seguire il loro esempio Matteo 26:25, essendo egli manifestamente conscio che se egli si fosse ritratto dal domandare, mentre tutti il facevano, ciò avrebbe di per sé destati sospetti intorno alla sua colpevolezza.

PASSI PARALLELI

Luca 24:25-27,46; Genesi 3:15; Salmi 22:1-31; 69:1-36; Isaia 53:1-12; Daniele 9:24-26

Zaccaria 13:7; Matteo 26:24,53-54; Marco 14:21; Atti 2:23; 4:25-28; 13:27-28

Atti 26:22-23; 1Corinzi 15:3-4; 1Pietro 1:11

Salmi 55:12-15; 69:22-28; 109:6-15; Matteo 27:5; Giovanni 17:12; Atti 1:16-25

2Pietro 2:3

Matteo 26:22; Marco 14:19; Giovanni 13:22-25

24 

Nuova contesa fra i discepoli intorno a chi fosse il maggiore, Luca 22:24-30

24. Or, nacque ancora fra loro una contesa, chi di loro paresse che fosse il maggiore.

Questo incidente nel corso della cena pasquale è mentovato dal solo Luca. È argomento di penosa sorpresa ed è un fatto in cui non avremmo giammai pensato d'imbatterci, che in ora consimile, quando Cristo avea accennato sì chiaramente a' suoi patimenti, la vecchia contesa riguardo a rango e precedenza nel regno messianico fosse novamente scoppiata fra i discepoli. Di tutte le occasioni che si eran presentate a dare sfogo a questa meschina ambizione e gelosia, questa era la più inopportuna; e dovè pure essere pel nostro Signore, la più penosa. Avendo il nostro Signore, nelle sue parole d'introduzione dopo che ebbero preso posto a tavola, fatto due volte menzione del «regno di Dio», è possibile che questo soggetto abbia riacceso le loro gelosie. Ad ogni modo, questa spiegazione è da anteporsi alla teoria secondo la quale la domanda: "chi di loro fosse il peggiore", cioè chi di loro lo tradirà, li avrebbe agevolmente condotti all'altra: "chi fosse il miglior di tutti", cioè chi fosse il più grande; o alla spiegazione di Stier: che «la contesa non s'aggira intorno a dignità e precedenza in un regno futuro, ma intorno, al posto a tavola, alla preeminenza ed al servizio in quella cena quale la stavano allora celebrando». Ma comunque sia, nulla può esservi di più umiliante e spietato di questo, che i discepoli avessero tali contese in un tal luogo e tempo. Che appunto mentre Gesù stava contemplando la propria morte e si travagliava a prepararveli, essi lottassero intorno ad uffìzii e a rango, ciò mostra quanto sia profondamente radicato l'amore del potere; come l'ambizione sappia trovare accesso ne' luoghi più segreti e sacri, e come i discepoli del mansueto ed umile Gesù sien talvolta animati dal sentimenti più bassi e malvagi.

PASSI PARALLELI

Luca 9:46; Matteo 20:20-24; Marco 9:34; 10:37-41; Romani 12:10; 1Corinzi 13:4; Filippesi 2:3-5

Giacomo 4:5-6; 1Pietro 5:5-6

25 25. Ma egli disse loro

I loro pensieri eran mille miglia lontani dall'ordinanza che celebravano, e in vero non può se non destar meraviglia la mitezza del rimprovero del loro Maestro:

I re delle genti le signoreggiano, e coloro che han podestà sopra esse non chiamati benefattori.

Gesù non dichiara esser male che l'autorità civile sia esercitata dai re e governatori sopra le, nazioni della terra; ma afferma che il suo regno sarà di natura diversa, e che uno stato di cose consimili non dovrà esistere in esso; il che è un colpo mortale inflitto alle pretese di tutti coloro, qualunque sia il titolo che assumono, che pretendono a signoreggiare la Chiesa di Cristo. Il titolo benefattore, era dato di frequente a' Apocalisse ed Imperatori, molti del quali ben lungi dall'esser tali, eran di maledizione ai popoli che governavano, uomini dotati, è possibile, di genio, di coraggio, e che s'innalzavano al potere con sterminatrici vittorie; ma spesso di carattere tirannico, crudele, basso ed infame. Quel titolo era più spesso dato per complimento ed adulazione da sicofanti, che dalla voce universale del popolo. Peraltro uno dei Tolomei di Egitto sembra aver meritato il soprannome di Euergete, per i suoi sforzi intesi all'estensione del commercio fra i suoi sudditi.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:25-28; Marco 10:41-45

26 26. Ma non già così fra voi; anzi il maggiore fra voi. sia come il minore, e quel che regge, come quel che ministra.

Il Signore non abolisce con queste parole ogni distinzione di rango nella sua Chiesa, cioè nel suo regno; ma solo inverte completamente l'ordine in cui queste distinzioni vengono conferite ne' regni terreni; il più grande o più anziano cambia posto col più giovane, e il conduttore o comandante col servitore o diacono. «Ben lungi dallo spianare ogni differenza di rango e di uffizio nella cerchia dei suoi discepoli, il Signore riconobbe qui una vera aristocrazia entro la sfera del Cristianesimo; ma è una ristocrazia d'umiltà ch'è non solo richiese ma altresì esemplificò nella propria sua persona» (Oosterzee). Ciò sta in manifesto contrasto colla burlesca umiltà di colui che s'intitola «servus servorum» e che con gran pompa al tempo della Pasqua lava i piedi dei pellegrini, ma il, cui vanto è di essere il «Vicario di Cristo in terra», e come tale tiranneggia i corpi e l'anime degli uomini. La parola maggiore messa a contrasto col vocabolo più giovane può significare più vecchio, mentre il vocabolo più, giovane è parallelo a quello di servo o diacono, perché fra i Giudei le più umili e gravi fatiche erano commesse ai più giovani membri di qualsiasi società Atti 5:6,10. Da molti si suppone che Pietro fosse il più vecchio fra i discepoli, e che, siccome la precedenza si concede generalmente all'età, laddove vi è uguaglianza riguardo ad uffizio e ad altre circostanze, questo fatto solo basti a spiegare perché egli sia comunemente nominato il primo. Ma se l'intenzione del Signore fosse stata di stabilire una gerarchia nella sua Chiesa, simile a quella che prevale nei regni terreni, e più specialmente se voleva stabilire nella persona di Pietro quella supremazia su tutti gli altri Apostoli e sulla Chiesa universale, che l'apostasia romana pretende di possedere, è del tutto incomprensibile che Cristo non l'avesse dichiarato nella circostanza attuale, quando il soggetto gli si era chiaramente recato innanzi. Ma non basta, poiché il fermarsi qui sarebbe misconoscere la forza dell'argomento; difatti, invece di dire cosa alcuna che spalleggiasse l'iniquo sistema, ci parlò in modo da abbatterlo e, da reprimere ogni pretesa a supremazia in qualsiasi dei suoi seguaci. Quest'ordine fu perfettamente inteso da Pietro e da' suoi compagni di apostolato; poiché quegli non si arrogò mai altro titolo che «anziano con loro e testimonio delle sofferenze di Cristo» 1Pietro 5:l; e questi, ben lungi dal riconoscere la sua supremazia, lo chiamarono a giustificare il suo procedere circa il battesimo del Gentile Cornelio Atti 11:2-3; vedi pure Galati 2:11. «Cristo istituisce i pastori della sua Chiesa, non per governare, ma per servire» (Calvino).

PASSI PARALLELI

Luca 9:48; Matteo 18:3-5; 23:8-12; Romani 12:2; 1Pietro 5:3; 3Giovanni 9-10

27 27. Perciocché, qual è il maggiore, colui ch'è a tavola, o pur colui che serve? non è egli ch'è è tavola? or io sono in mezzo di voi come colui che serve.

Il Signore allude, senza dubbio, al modo in cui s'era comportato con loro durante tutta la sera, mentre stava per seguire immediatamente l'atto che tutti gli altri coronava, cioè il lavamento dei piedi, per cui volea avvalorare simbolicamente la lezione d'umiltà che aveva lor data testè a parole. Sarebbe grave errore per altro il limitare le parole: «Io son in mezzo di voi come colui che serve» a quanto occorse nella stanza del convito in quella memorabil notte. Durante tutta la sua terrena esistenza, il Signor Gesù era stato come uno che serve. Paolo ci dice che egli umiliò se stesso e prese forma di servo, allorché venne nel mondo Filippesi 2:7, ed egli stesso conferma questo col dire, in occasione d'un altra contesa simile, sorta fra i discepoli: Il figliuol dell'uomo non è venuto per esser servito, ma per servire e per dare l'anima sua per prezzo di riscatto per molti Matteo 20:28; Marco 10:45. Egli aveva, senza dubbio, innanzi allo sguardo il sacrifizio che stava per offrire per la salute dei peccatori, allorquando pronunziò queste parole. «Io sono in mezzo di voi come colui che serve».

PASSI PARALLELI

Luca 12:37; 17:7-9; Matteo 20:28; Giovanni 13:5-16; 2Corinzi 8:9; Filippesi 2:7-8

28 28. or voi siete quelli che siete perseverati meco

Dopo averli redarguiti a motivo della carnale ambizione ch'essi avevano allora allora manifestata, ed aver proibito ogni cosa simile nel regno di grazia ch'era venuto a stabilire, il Signore dimostra il suo affetto per loro col lodare la loro fedeltà verso lui durante il suo ministerio terreno. Nonostante l'ignoranza e le imperfezioni che in loro si, ritrovavano, com'è commovente l'udir Cristo a lodarli, a riconoscere per così dire la consolazione che dalla lor compagnia avea ricavata, mentre ci lascia così una memoria imperitura del quanto sia disposto a trarre il miglior partito possibile da quelli, il cui cuore è diritto innanzi a lui! «Questa», dice Brown, «è una prova commovente della tenera sensibilità di Cristo riguardo alla simpatia ed all'aiuto degli uomini». Queste parole sono dirette agli undici che seco lui erano perseverati, in opposizione a Giuda, che l'aveva ad un tempo abbandonato e tradito.

nelle mie tentazioni.

Questa espressione include probabilmente l'intiero corso del ministeri o terreno del Signore, che in vero fu un periodo di pressoché continua prova e sofferenza; ed egli, in queste parole, mostra a dito quelle dolorose ed angosciose esperienze per cui venne esercitata e resa perfetta la sua ubbidienza al Padre Ebrei 5:8. «Le mie tentazioni», non possono esser limitate agli assalti speciali di Satana cui Cristo andò soggetto (quantunque senza dubbio vi fossero inclusi), perché questi erano sostenuti dentro all'anima sua e i discepoli non potevano ad essi partecipare. Ma essi aveano condiviso la sua povertà senza un mormorio; erano stati testimoni della sua ignominiosa reiezione per parte dei principali del loro popolo, e ciò nondimeno avevano creduto in lui; avevano veduto molti, che si professan discepoli, abbandonarlo Giovanni 6:66; ma essi si erano stretti a lui con fedele affezione. Fra ben poco quel che potevano; gli stettero vicini interessandosi a lui ed all'opera sua; ed egli lo riconosce come una prova di amorevolezza, e lo ricompensa come virtù benché fosse l'opera della stessa sua grazia! Questa è una dichiarazione unica e sommamente importante del nostro Signore lui stesso, che anche per lui tutta la vita sua era stata piena di tentazioni, specialmente dopo quella prima tentazione del nemico (nel deserto di Giudea), in seguito alla quale egli entrò nella sua lotta col mondo malvagio e chiamò i suoi discepoli ad essergli in essa compagni» (Stier).

PASSI PARALLELI

Matteo 19:28-29; 24:13; Giovanni 6:67-68; 8:31; Atti 1:25; Ebrei 2:18; 4:15

29 29. Ed io altresì vi dispongo il regno, siccome il Padre mio me l'ha disposto;

Quale ricompensa della loro fedeltà verso a lui, egli ora conferisce loro un regno, benché molto diverso da quello che avevano dipinto a se stessi nei loro sogni carnali. Si notino i termini della donazione. Il verbo dispongo, è la radice da cui è derivata la parola alleanza o testamento, e significa propriamente: "Io vi stabilisco per patto il regno, colla stessa autorità e potenza, colla stessa sicurtà e permanenza che caratterizzano l'alleanza che il mio Padre celeste ha stretta con me". Gesù parla qui come uno che possiede tutta la preminenza e la potenza della Divinità. traducendo egli in atto quel che enfaticamente avea già proclamato a parole: «Io e il Padre siamo una stessa cosa» Giovanni 10:30. Com'è calzante il contrasto fra l'importo di queste parole e lo stato in cui furono pronunziate! Eccovi un uomo la cui vita era stata un'esistenza di continue privazioni, che fra poche ore sarà arrestato ed in meno d'un giorno sarà messo a morte, e che intanto afferma con sicurezza che Dio suo Padre, in virtù d'un patto eterno, gli aveva disposto un regno, che, a sua volta, egli dispone a compagni poveri e deboli come lui! Simili contrasti occorron di frequente in questa storia meravigliosa ed indicano chiaramente che sebbene egli avesse «preso forma di servo, fatto alla somiglianza degli uomini, egli era in forma di Dio e non reputò rapina l'essere uguale a Dio» Filippesi 2:6-7. Si noti che il regno ch'egli dispone è il regno medesimo che il Padre gli aveva disposto. L'ordine letterale delle parole nel testo Greco è: «Io altresì vi dispongo, siccome il Padre mio ha disposto a me, il regno». Il dare un regno dato è conforme allo stile usuale del nostro Signore, in cui egli sempre mette in luce la sua unità in alleanza col Padre. «L'alte mie pretese son ben lungi dall'essere un'usurpazione ingiustificabile di divine prerogative, disonorante pel Padre; è da Lui anzi che ho ricevuto il mandato di esser qui, di fare, quel che fo, e di dispensare tutto ciò che largisco» (Brown). Ma che cos'è il regno di cui egli parla? Per definir questo, devesi prima ricercare che cosa sia il regno che Dio diede per patto al suo Figlio qual Mediatore. È la Chiesa de' suoi redenti, raccolta insieme da tutte le nazioni e razze e tribù e lingue della terra, che dovea essere stabilita immota ed indistruttibile sulla terra, finché i nemici di Dio fossero intieramente distrutti e che la sua gloria fosse proclamata per tutto l'universo, a mezzo della completa sottomissione di una provincia ribelle de' suoi infiniti dominii. Nehemia Salmi 2:8, questo regno per alleanza è descritto in queste parole rivolte da Dio il Padre al suo Figliuolo: «Tu sei mio Figliuolo; oggi io t'ho generato. Chiedimi, ed io ti darò per eredità le genti, e i confini della terra per tua possessione». Daniele 2:34-35 descrive la sua estensione per mezzo d'una pietra tagliata dalla montagna senz'aiuto di mano umana, la quale sovvertirà tutti i regni degli uomini e riempirà tutta la terra; mentre Isaia e Malachia dipingono la sua riuscita, il primo col dir di Cristo ch' «egli vedrà progenie» e ch'«egli vedrà il frutto della fatica dell'anima sua» il secondo con queste, parole: «Dal sol levante fino al ponente il mio Nome sarà grande fra le genti; e in ogni luogo si offerirà al mio Nome profumo e offerta pura» Isaia 53:10-11; Malachia 1:11. Lo stabilimento di Cristo su questo regno viene accompagnato dall'autorità e dalla potenza che si richiedono pel suo governo ed avanzamento Matteo 28:18; Giovanni 5:19; e per quanto spetta agli Apostoli, questo stabilimento significa autorità, onore, ricompensa, maestà, di cui la posizione d'un re in questo mondo fornisce l'unico emblema. È questo regno mediatoriale che Cristo conferisce a' suoi Apostoli, affinché in esso siano i suoi compagni d'opera e lo ordinino e lo reggano per modo che tutte le nazioni della terra siano tratte alla sua ubbidienza. In questo senso Paolo parla di tutti i credenti come di uomini «edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti, essendo Gesù Cristo stesso la pietra dal capo del cantone» Efesini 2:20; e Giovanni ci dice che il «muro della Santa Gerusalemme che scendeva dal cielo aveva dodici fondamenti, e sopra quelli erano i nomi dei dodici Apostoli dell'Agnello» Apocalisse 21:14. La storia poi e l'esperienza rendono testimonianza ch'ei si fu pel vangelo e per gli scritti degli Apostoli che la Chiesa fu ordinata e governata dai suoi primordii fino al dì d'oggi.

PASSI PARALLELI

Luca 12:32; 19:17; Matteo 24:47; 25:34; 1Corinzi 9:25; 2Corinzi 1:7; 2Timoteo 2:12; Giacomo 2:5

1Pietro 5:4; Apocalisse 21:14

30 30. Acciocché voi mangiate, e beviate, alla mia tavola, nel mio regno;

Questa parte del versetto sospinge i nostri pensieri verso quella sempiterna festa nel regno di suo Padre, di cui Cristo avea parlato nei versetti 16 e 18; poiché sebbene il regno di Cristo sia cominciato sulla terra, sarà perfetto solo nel cielo; e di conseguenza là soltanto sarà compiuta la felicità del suo popolo. L'esser seduto alla tavola del Apocalisse dinota non solo onore molto superiore a quanto può offrire la terra, ma altresì godimento e soddisfazione che oltrepassano il nostro limitato intelletto, e provengono da una, comunione, compiuta e scevra d'ogni impedimento, con lui e col Padre per lui. Sotto questa immagine egli offre comunione e associazione con lui a tutti i suoi credenti in terra Giovanni 14:21; Apocalisse 3:20; quanto più dunque è implicato nel mangiare e nel bere con lui a quella celeste tavola che non sarà mai più sparecchiata! «Essi parteciperanno a quelle gioie e a quei piaceri che furon la ricompensa de' suoi propri servizi e dolori; essi avranno una piena soddisfazione dell'anima nel veder Dio e nel fruire di lui, ed essi avranno la miglior società, come ad una festa, nella perfezion dell'amore» (Henry). Non si trascuri però di osservare che la promessa di tal celeste comunione si riferisce altresì all'intiera assemblea dei fedeli («il picciol gregge» Luca 12:32), quali sono rappresentati dagli Apostoli.

e sediate sopra de' troni, giudicando le dodici tribù d'Israele.

Una promessa consimile venne fatta in risposta a una interrogazione di Pietro Matteo 19:28, ed in essa son mentovati dodici troni, l'omissione de' quali nel nostro passo è da alcuni attribuita alla caduta di Giuda. La menzione delle dodici tribù ha indotti alcuni scrittori della scuola premillenaria a concludere, che le dieci tribù perdute del popolo d'Israele esistono tuttora come un popolo distinto, e saranno ricondotte, durante il millennio, alla patria loro, dove insieme alle altre due, saranno poste, alla lettera, sotto il governo degli Apostoli. È bensì vero, che l'antica profezia c'induce ad aspettare non solo il ritorno di Giuda, ma anche d'Israele alla terra della promessa; però la frase che spieghiamo ora dev'essere intesa nel suo senso spirituale e più glorioso, come quella che dinota tutto «L'Israele di Dio» Romani 2:29; Galati 5:6, il suo popolo credente in tutta la sua varietà ed unità, la realtà di cui le dodici tribù antiche erano il tipo terreno, e di cui racchiudevano il germe nascosto e vivente. L'assicurazione data in queste parole agli Apostoli indica, senza dubbio, qualche onore segnalato che li aspetta nel mondo della gloria; ma quel che sarà, ci è ignoto, e qualsiasi speculazione su questo argomento non potrà mai soddisfare. Secondo alcuni, queste parole significano che nell'ultimo giorno gli Apostoli sorgeranno a giudicare e condannare i Giudei. per la loro incredulità, come il faranno i Niniviti e la regina di Seba. In altri, queste parole producono il convincimento, che gli Apostoli saranno, alla lettera, gli assistenti di Cristo nel giudizio del gran giorno, nel modo appunto che Paolo dice ai Corinti 1Corinzi 6:2-3: «Non sapete voi che i santi giudicheranno il mondo? Non sapete voi che noi giudicheremo gli angeli?» o almeno che la dottrina degli Apostoli sarà la norma di decisione in quel gran giorno, secondo il detto di Paolo Romani 2:16. Alcuni, compresi i premillenarii cui già abbiamo accennato, son d'opinione che la parola giudicare, non accenna a pronunziare una sentenza giudiziale, ma significa solo che gli Apostoli avranno un posto preeminente nel governo delle dodici tribù dopo la seconda venuta di Cristo ed il ritorno d'Israele al proprio paese. «Rimane», dice Stier, «qualcosa di riserbato pel futuro del regno di gloria, per la gloria della rigenerazione Matteo 19:28, che ancora non ci è chiaramente manifestata», diguisaché, invece di «porre il piè nelle cose che non abbiamo vedute» Colossesi 2:18, dobbiamo riverentemente concludere che l'onore e la gloria tenuta in serbo per gli Apostoli corrisponderà coll'opera che ebbero l'onore di compiere sulla terra, quali fondatori ed edificatori della Chiesa, sulla «pietra del cantone che Dio stesso ha posta in Sion», Vedi l'ultima parte della Nota Marco 10:29-30. Ei si fu subito dopo questo discorso e ha praticamente illustrarlo che, a parer nostro, essendo terminata la cena pasquale, il Signore diè mano a lavare i piedi dei suoi discepoli Giovanni 13:2-20. Giuda era certamente presente a questa azione e probabilmente ebbe parte alla Comunione che immediatamente seguì, sebbene le parole di Giovanni 13:30: «Egli adunque, preso il boccone, subito se ne uscì», lascino sussistere qualche dubbio intorno a questo, essendoché il «boccone intinto» si riferisca alla cena pasquale, non già a quella del Signore.

PASSI PARALLELI

Luca 22:16-18; 12:37; 14:15; 2Samuele 9:9-10; 19:28; Matteo 8:11; Apocalisse 19:9

Salmi 49:14; Matteo 19:28; 1Corinzi 6:2-3; Apocalisse 2:26-27; 3:21; 4:4

RIFLESSIONI

1. Il difetto che Cristo rimprovera a' suoi discepoli è molto antico. Ambizione, stima eccessiva di se stesso, presunzione giacciono in fondo ad ogni cuor d'uomo, e spesso ne' cuori dove men sospettata sarebbe la loro esistenza. Migliaia sono i quali si dànno ad intendere l'essere umili e che intanto non posson soffrire di vedere un loro pari più onorato e favorito di loro stessi. Ben pochi invero son quelli che si rallegrano di cuore nel vedersi sorpassati da un loro vicino. La quantità di gelosia ed invidia che trovasi in questo mondo è una prova potente della prevalenza dell'orgoglio; poiché l'uomo non invidierebbe l'avanzamento del suo fratello se non pensasse che il proprio merito è più grande del suo. Se facciamo una professione qualsiasi di servir Cristo, guardiamoci da questo morbo pestifero. Paolo dichiara ai Filippesi 2:3, qual debba essere, in questa materia, la regola di nostra condotta: «Per umiltà ciascun di voi pregiando altrui più che se stesso».

2. Utile attività nel mondo e nella Chiesa; umile prontezza a far una cosa qualsiasi e a metter la mano a qualsivoglia opera; lieto, adesione ad occupare qualunque posto, per umile ch'esso sia, e di adempiere a qualunque uffizio, se anche spiacevole, se pur possiamo in tal modo promuovere la felicità e la santità sulla terra; queste sono le vere pietre di paragone della grandezza Cristiana. Sia benedetto Iddio! la grandezza encomiata da Cristo può da tutti ottenersi, poiché tutti possono ministrare a quelli che stanno loro attorno a mezzo di grazie passive od attive; tutti possono ministrare nella loro sfera, sia essa ristretta o vasta, ai bisogni d'un mondo gravato dal peccato e far del bene ai corpi e alle anime degli uomini.

3. Si noti come Cristo benignamente lodi la fedeltà e l'affetto dimostratigli dai discepoli, e s'impari a seguire in questo il loro esempio. È da sperarsi che la persecuzione insino alla morte per fedeltà alla dottrina di Cristo non scoppi più ai giorni nostri; ma se volete «vivere piamente in Cristo Gesù», incontrerete opposizione, odio, e varie difficoltà. Questo non vi scoraggi; state fermi per Cristo, ed egli non vi trascurerà. Le sue parole a tutti quelli che gli rimangono fedeli in tempi e in particolar tentazione sono simili a quelle con cui prese a consolare la Chiesa di Pergamo: «Io conosco le tue opere e dove tu abiti, cioè là dov'è il seggio di Satana; e pur tu ritieni il mio nome e non hai rinnegato la mia fede» Apocalisse 2:13. Se pensate di assicurar la vostra pace coll'abbandonarlo, voi vi troverete delusi, perché niuno, all'infuori di lui, può darvi riposo, poiché niuno eccetto lui ha le parole di vita eterna. Perseverate adunque con Cristo mentre vivete, e quando morrete ci vi prenderà con sé nel suo regno, poiché nel regno celeste i troni non sono riserbati esclusivamente ai dodici Apostoli dell'Agnello Apocalisse 2:10; 3:21.

4. «Può darsi che gli Apostoli e tutti i fedeli e laboriosi ministri di Gesù Cristo siano più vicino al suo trono in cielo, che i santi e gli angeli; più vicini degli angeli, poiché avendo Cristo assunta l'umana natura, gli sono più strettamente affini; egli è loro amico, ma nostro fratello; e più vicini degli altri santi, in quanto hanno, prestati servizii più eminenti per la causa di Cristo, e gli hanno arrecato maggiore onore e gloria colla loro diligenza laboriosa nel luogo e posto da essi occupato» Daniele 12:3 (Burkitt).

31 Luca 22:31-38. LA CADUTA DI PIETRO È ANNUNZIATA. GLI APOSTOLI SON PREMUNITI CONTRO PROSSIME TENTAZIONI Matteo 26:31-35; Marco 14:27-31; Giovanni 13:36-38

Gesù predice la diserzione di tutti i suoi discepoli, Matteo 26:31; Marco 14:27

Luca non dice nulla di questo; ma i due primi Evangelisti ne parlano, a guisa d'introduzione al peccato più grave che Pietro stava per commettere. Mentovando essi il canto dell'inno di chiusura subito prima di questo avvertimento, molti scrittori ne inducono ch'esso fu pronunziato per via, mentre andavano al monte degli Ulivi; ma la dichiarazione di Giovanni 18:1, cui corrisponde la narrazione di Luca non lascia luogo a dubitare che non solo questi avvertimenti, ma eziandio il discorso d'addio del Signore e la sua preghiera d'intercessione furono pronunziati nella camera del convito, prima che uscissero. Da Giovanni 13:31, sembrerebbe che allontanatosi il traditore, il Benedetto Salvatore si sentisse liberato da un peso che fino allora l'avea per così dire schiacciato, e prendesse a parlar liberamente, a tutti quei che gli eran rimasti fedeli, dei pericoli che anch'essi stavano per incontrare. Un d'essi l'aveva tradito e se n'era andato a compiere il suo infernale proposito; ma benché la loro colpa fosse per esser minore, la fedeltà di nessuno fra loro si mostrerebbe pari al cimento cui in quella notte sarebbero esposti. «Voi tutti sarete scandalizzati in me questa notte» Matteo 26:31. Gli avvenimenti che stavano per compiersi riguardo a lui, nelle tenebre di quella stessa notte, sarebbero per loro un laccio, una pietra di scandalo sulla quale cadrebbero. Essi sarebbero tentati di rinunziare alla loro fede in lui, nel vedere che si costituiva come un misero prigione e come una, vittima, in aperta contraddizione con tutte le idee che s'eran fatte del Messia. E in vero, accadde siccome egli aveva predetto, poiché al ver. 56 lo stesso Evangelista ci dice: «Allora tutti i discepoli, lasciatolo se ne fuggirono». Subito dopo quest'annunzio, Gesù adduce un passo del profeta Zaccaria 13:7, sia per convincere i suoi discepoli di ciò che altrimenti rifiuterebbero di credere, sia per consolar sé stesso col riflettere che questo altro non era che una «delle cose scritte intorno a lui, le quali dovevano avere un compimento»; e inoltre per dimostrare che i patimenti ch'ei stava per soffrire non erano contrarii alle predizioni dell'Antico Testamento; ma che l'idea giudaica d'un Messia esente da sofferenza era loro direttamente opposta; perciocché egli è scritto: «Io percuoterò il pastore, e le pecore della greggia saranno disperse». Le profezie di Zaccaria abbondano d'allusioni all'opera messianica e ai patimenti di Gesù Luca 3:8; 6:12-13; 9:9; 11:12-13; 12:10; 13:7. L'ultima di queste che Gesù cita in questo luogo, non è una profezia che si riferisca primariamente a qualche altro soggetto, e ch'egli applichi per accomodazione alle attuali sue circostanze; anzi essa si riferisce direttamente ed esclusivamente a lui. Siccome, in Luca 6:12-13, vien descritto qual «sacerdote sopra il patrono», mentre fra esso e Dio dimora. il «consiglio di pace» a favore del mondo perduto; così egli è qui rappresentato come al tempo stesso Dio e uomo, «il pastor della Chiesa e il compagno o prossimo» dell'Onnipotente; ed è rispetto alle: sofferenze penali ch'ei dovea patire, qual sostituto del suo popolo, che il Padre ordina alla spada di percuoterlo. «O spada, destati contro il mio Pastore, contro l'uomo che è mio prossimo, geber amiti, l'uomo mio compagno, dice il Signor degli eserciti; percuoti il Pastore, e le pecore saran disperse; ma pure io volgerò la mia mano sopra i piccoli». Notisi, che la profezia, per quanto è citata dal Salvatore, differisce dall'originale solo nell'assegnare la percossa direttamente all'Iddio degli eserciti, anziché alla sua spada; mentre gli Apostoli sono qui specialmente, ma non esclusivamente, indicati come le pecore, poiché tutti quelli, che, in quei tempi, avean creduto in lui come nel Messia sono inclusi in questa dispersione; se pur non vuolsi, come alcuni suppongono, che vi sia inclusa tutta la Chiesa giudaica. In questo caso, l'ultime parole della profezia: «Ma pure io volgerò la mia mano sopra i piccoli» cominciarono ad adempiersi quando, in seguito alla sua risurrezione, Gesù raccolse novamente presso di sé in Galilea, tutta la compagnia de' suoi discepoli, in numero di almeno cinquecento 1Corinzi 15:6.

Predizione del rinnegamento di Pietro, Luca 22:31-34

31. Il Signore disse ancora: Simone, Simone,

Dopo aver parlato, secondo la narrazione di Matteo, della pietra di scandalo, che la sua cattura e susseguente condanna avrebbe posta sulla via di tutti gli Apostoli colà riuniti, il Signore si rivolge in particolare a Pietro, che, qual membro più anziano del sodalizio, avrebbe dovuto esser modello a' suoi compagni, per ammonirlo ch'ei correva pericolo di commettere un peccato più odioso di quello implicato nella vigliacca disserzione degli altri. Alcuni hanno supposto che il Signore si rivolgesse qui in modo particolare a Pietro, perché, essendo egli stato uno di quelli che aveano mostrato più ardore nella contesa intorno a preeminenza, rammentata nei precedenti versetti il Signore voleva avvertirlo, che mentre cercava grandezza, stava vicino a gravissima caduta. Questo passo, a ogni modo, ben lungi dal sostenere la preeminenza di Pietro, mostra piuttosto che più degli altri era in pericolo di cadere. La ripetizione del suo nome indicava il desiderio di Cristo di attrarre la particolare attenzione di Pietro e degli altri discepoli su quanto stava per dire, ed esprimeva grande bontà unita a solenne ammonizione, come nel caso di Marta Luca 10:41. Tutti e quattro gli. Evangelisti ci raccontano il modo sdegnoso con cui Pietro, ignaro della propria debolezza, respinse lungi da sé il rinnegamento del suo Signore. Ma, in seguito alla dichiarazione di Matteo e di Marco che, subito dopo l'istituzione della cena del Signore, la compagnia avendo cantato un inno, piuttosto avendo intuonato un salmo, se n'andò al monte degli Ulivi, molti vogliono che il Signore abbia due volte pronunziato l'ammonimento; prima, nella camera del convito, cui si riferiscono le narrazioni di Luca 22:31-34, e di Giovanni 13:36-38; e in seguito, per via, siccome è rammentato da Matteo 26:31-35, e da Marco 14:27-31. Non vi può essere alcun inconveniente nell'adottare questa teoria, se il lettore la preferisce; poiché tutte le protestazioni di Pietro restano le stesse; solo son disposte in diverso ordine cronologico. Ma considerando che, secondo le narrazioni di Matteo e di Marco, la prima protestazione di Pietro fu causata dalla dichiarazione che tutti i discepoli sarebbero scandalizzati in lui quella notte, e che questo ammonimento speciale rivolto a Pietro non è rammentato né da questo né da quello, ci par miglior consiglio l'includere in un solo incidente le quattro narrazioni, in cui gli autori hanno conservato varii detti di Pietro, secondo l'impressione lasciata sulla lor mente, se presenti, o sulla mente di quelli da cui derivarono le loro informazioni, come nel caso di Marco e di Luca.

ecco, Satana ha richiesto

La parola qual viene, applicata a Satana, ha un significato più forte di richiesto; significa, non solo che ha domandato, ma che ha ottenuto il potere bramato. Allo scopo di vagliarli gli Apostoli, per savia e suprema concessione di Dio, già erano nelle sue mani. Egli avea domandato e ottenuto un potere consimile sopra Giobbe nei tempi antichi, collo stesso scopo dichiarato, di svelarlo cioè come un ipocrita che serviva Dio sol per motivi d'interesse Giobbe 1:6-12; 2:1-6. Viviamo in una età che si diletta nell'esautorare la Rivelazione divina, e in cui è di moda il negare del tutto l'esistenza di Satana, e di mostrarlo al mondo come un mito inventato per metter paura agli ignoranti ed ai superstiziosi. Ma qui udite il Creatore di tutte le cose, l'onnisciente PAROLA DI DIO, ad affermare non solo la personalità del «serpente antico, il diavolo», ma altresì il suo odio inveterato e maligno verso i figliuoli degli uomini in generale, e più specialmente verso quelli che Cristo ha liberati dal suo regno di tenebre. Vi è qualcosa di tremendo nella descrizione fornitaci dal Signore, in una sola parola, dell'opera di Satana. Essa ci mostra che il Diavolo è intento a procacciare la nostra ruina, e non lascia alcun mezzo intentato per raggiungere il suo iscopo, mentre noi non sappiam nulla del suo procedere, poiché è invisibile. D'altra parte è consolante il pensiero che la parola exetesaio (ha richiesto) ci fa sicuri che Satana non può far nulla senza il permesso di Dio, e che per quanto sia forte il suo voler di far male, egli opera in catene.

di vagliarvi, come si vaglia il grano.

Il modo usuale, antico ed anche attuale, di vagliare il grano in Palestina, è di gettarlo con pale in direzione opposta al vento, per modo che questo porti via la pula, e che il grano ricada sull'aia. Il grano poi si fa passare attraverso un vaglio, chebarra, per separarlo dalle particelle di terra o d'altra materia con cui s'era mescolato nell'aia. Benché questo stromento non sia altrove menzionato nel Nuovo Testamento, è distintamente nominato in Amos 9:9. «L'accusatore de' nostri fratelli, il quale gli accusa davanti all'Iddio nostro giorno e notte» Apocalisse 12:10, è qui rappresentato nell'atto di accusare questi discepoli di Cristo di poca sincerità nel loro affetto per lui, e di affermare che se, come nel caso di Giobbe, gli fosse solo permesso di vagliarli, ben presto si vedrebbe che v'era pula assai in mezzo al grano, se pur, dopo averli vagliati, rimaneva ancora un po' di grano» (Brown). Il Signore dichiara espressamente che, secondo la sua domanda di potere cioè vagliarli, essi tutti eran dati in man di Satana, poiché non parla di Pietro in particolare, ma di tutta la compagnia, voi, non te, come nel versetto seguente.

PASSI PARALLELI

Luca 10:41; Atti 9:4

Giobbe 1:8-11; 2:3-6; Zaccaria 3:1; 1Pietro 5:8; Apocalisse 12:10

Amos 9:9

32 32. Ma io ho pregato per te,

Gesù indica così, che a favor d'uno ch'era esposto a pericolo più imminente che tutti gli altri, egli aveva opposto alla domanda di Satana la propria potente intercessione, senza la quale Pietro sarebbe caduto, come Giuda, senza possibilità di rialzamento. «Il suo maestoso, ma IO, si oppone, da una parte alla minaccia di Satana, mentre dall'altra, è in contrasto col diretto e tu, che immediatamente segue» (Oosterzee). Abbiamo qui un esempio dell'intercessione di Cristo precedente le tentazioni e le prove de' suoi servitori; e dobbiamo vedere in esso un esempio di quel ch'ei fa continuamente a prò del suo popolo, dentro del velo. Quel che fece per Pietro, quando Pietro nulla sapeva del pericolo in cui versava, lo fa tuttora, ogni giorno e ad ogni ora, per tutti quelli che credono al suo nome.

acciocché la tua fede non venga meno;

Il cambiamento del plurale nel singolare, del voi nel tu, vuol essere accuratamente notato. Benché, senza dubbio, il Signore intercedesse affinché fosse conferita grazia a tutti i discepoli nel cimento di quella notte, ei dichiara a Pietro ch'egli è in modo speciale l'oggetto della sua preghiera, poiché, a motivo del suo particolare carattere e della sua presunzione, ei correva un pericolo più imminente d'apostatare. La grazia speciale richiesta per lui era che la sua fede, non venisse meno, cioè non scomparisse del tutto, da cui è derivata la nostra parola eclisse, e la preghiera fu esaudita, perché, sebbene Pietro potesse venire accusato di difetto di fede sino in grado inoltrato, però non sino al grado della sua completa distruzione. La fede sua fu interrotta in quanto al suo esercizio, ma il principio stesso non venne meno nel suo cuore. Si noti, che la fede è la radice dell'intiero carattere Cristiano, e quella parte di esso che Satana si sforza in modo speciale di sovvertire. «I Commentatori Papisti Cornelio à Lapide, Maldonato e Stella, tentano di provare da queste parole che la Chiesa Cattolica Romana (di cui essi dicono che Pietro fosse il capo) non dovea mai dipartirsi dalla fede, e che il Signore fece qui una dichiarazione profetica della sua perpetuità e fedeltà. E per cagione di queste parole, essi affermano, che la Chiesa di Roma non è mai caduta, mentre le Chiese di Alessandria, di Costantinopoli e di Antiochia son cadute in corruzione. Difficile è immaginare un'applicazione più gratuita ed infondata d'un passo scritturale; poiché queste parole non furono pronunziate per conferire a Pietro un onore speciale, ma miravano piuttosto a dimostrare che Pietro stava per cadere in modo più vergognoso che tutti gli altri Apostoli, e che nulla, eccetto l'intercessione del suo Maestro, l'avrebbe salvato da completa rovina» (Ryle).

e tu, quando un giorno sarai convertito,

In queste parole, il Signore dà al suo discepolo un'assicurazione profetica che la sua intercessione a favore di esso sarebbe esaudita da Dio, e che la sua fede non si estinguerebbe del tutto. La parola convertito, viene indubbiamente usata in molti passi del Nuovo Testamento come equivalente a rigenerazione o a nuova nascita, senza la quale, dice il Salvatore, «nessuno può vedere il regno di Dio» Giovanni 3:3; Matteo 13:15; Atti 3:19 ecc.; e alcuni interpreti vogliono che questo sia il senso in cui il Signore l'applica a Pietro; ma non vi può esser dubbio ch'egli era veramente rigenerato prima d'allora, altrimenti il Signore non gli avrebbe rivolte le parole contenute in Matteo 16:17. Pertanto non dovea e non poteva, a rigor di lettera, subire quel mutamento radicale dello stato del cuore, che la parola conversione suole dinotare; ciò nondimeno egli avea bisogno di pentimento e di remissione del peccato che in appresso commise. Le parole che Gesù gli rivolse mentre lavava i suoi piedi, pochissimo tempo prima Giovanni 13:10, gettano luce sul significato di «conversione» com'è qui usato. Significa rialzamento dalla sua caduta, per mezzo di pentimento e d'umiltà, concessogli dalla grazia di Dio. Un uomo non può essere rigenerato che una volta sola, al principio della sua vita Cristiana; ma può essere convertito o voltato ogni qual volta cade nel peccato, col pentirsene e coll'abborrirlo, il che Paolo chiama; «esser rinnovato per lo spirito della vostra mente» Efesini 4:23. «Questa conversione», dice Burkitt, «non era da uno stato di peccato. A quella guisa, Pietro era stato già prima convertito, ma da un atto di peccato in cui sarebbe caduto e ricaduto».

conferma i tuoi fratelli.

Il Signore ben sapeva che il coraggio e l'affetto personale che i discepoli nudrivano per lui non sarebbero pari alla prova cui li esporrebbe il suo arresto, poiché già gli avea ammoniti che tutti sarebbero stati scandalizzati in lui quella notte; ma egli previde, altresì, quale pericolosa impressione l'esempio di Pietro dovesse lasciare sull'animo loro, e come esso fosse adatto a scuotere la fede e a fugare la speranza loro Luca 24:17, quando avesse realmente avuto luogo la sua crocifissione; perciò egli l'esorta, allorquando si fosse pentito e la sua fede avesse ripreso la potenza primiera, di fortificarli contro a simili cadute col mostrare a' suoi compagni di apostolato in prima, quindi ai suoi compagni di fede in generale, la sua amara esperienza. È come se avesse detto: "Il tuo peccato non è solo contro di me, ma eziandio contro i tuoi fratelli, in quanto getti una pietra di scandalo sul loro cammino, per cui corrono pericolo di peccare; fa' dunque uso della tua esperienza per avvertirli del rischio in cui versano, e per confortarli e sostenerli nelle loro tentazioni". Pietro respinse in quell'ora ammonimento ed esortazione; ma dopo la sua riabilitazione, lo ebbe a cuore; e non fu solo fedelissimo egli stesso, ma si mostrò molto diligente nell'incoraggiare coloro che si professavano Cristiani a rimanere fedeli in mezzo a qualsivoglia afflizione. Le sue Epistole ce ne forniscono numerose prove, vedi 1Pietro 1:13; 4:12-16; 5:8-10; 2Pietro 3:17. «Il fatto che Pietro usa la parola conferma tre volte nelle sue due epistole, e che in uno dei passi, l'adopera in relazione colla menzione delle tentazioni di Satana, è notevolissimo» (Alford). Da questo impariamo:

1. che uno degli scopi di Dio nel permettere che Cristiani cadano nel peccato è di mostrar loro la loro debolezza e dipendenza da Dio; e

2. che quelli che sono stati soprappresi in questo modo dovrebbero far uso della propria esperienza per avvertire e preservarne altri, tanto ché non si mettano sullo stesso sentiero.

PASSI PARALLELI

Zaccaria 3:2-4; Giovanni 14:19; 17:9-11,15-21; Romani 5:9-10; 8:32,34; Ebrei 7:25

1Pietro 1:5; 1Giovanni 2:1-2

Luca 8:13; 2Timoteo 2:18; Tito 1:1; Ebrei 12:15; 1Pietro 1:1; 1Giovanni 2:19

Luca 22:61-62; Matteo 18:3; 26:75; Marco 14:72; 16:7; Atti 3:19

Salmi 32:3-6; 51:12-13; Giovanni 21:15-17; 2Corinzi 1:4-6; 1Timoteo 1:13-16

Ebrei 12:12-13; 1Pietro 1:13; 5:8-10; 2Pietro 1:10-12; 3:14,17-18

33 33. Ma egli gli disse: Signore, io son presto ad andar teco e in prigione, ed alla morte.

Una dichiarazione simile a questa in ispirito ma tradotta in pratica con maggior fedeltà, fa quella di Ittai Ghitteo a Davide 2Samuele 15:21. Pietro era avvinto al Signore da' legami di fortissimo affetto, e non v'è dubbio che espresse in ogni sincerità il sentimento del suo cuore in quell'istante; ma il suo linguaggio lo svelava qual discepolo presuntuoso, senza esperienza, che ancor non aveva scoperto la debolezza della propria fede e la frode del proprio cuore. Esso indicava ch'ei credeva di conoscere se istesso e di che fosse capace il suo amore, meglio che nol conoscesse il suo Maestro e Signore; e pareva insinuare che la sua intercessione non era indispensabile, sì certo egli era di se medesimo. «L'alterezza dello spirito viene davanti alla caduta» Proverbi 16:18. Oltre alla protestazione di Pietro contenuta in questo versetto Matteo 26:33, e Marco 14:29, ne ricordano un'altra che fu probabilmente la prima a prorompere dalle sue labbra; poiché è connessa alla dichiarazione che tutti quella notte l'abbandonerebbero: «Avvegnaché tutti (gli altri discepoli) sieno scandalezzati in te, io non sarò giammai scandalezzato»; ma siccome il Signore dà la stessa risposta ad entrambi Luca 22:34, è probabile, che nella sua veemenza desse sfogo alle due protestazioni al tempo stesso. Pochissimo tempo dopo, mentre il Signore aggiungeva istruzioni supplementarie pe' suoi discepoli, trovandosi egli pronto alla partenza (per la sofferenza e la gloria), dove essi non potevan seguirlo, Pietro protestò nuovamente della sua fedeltà insino all'ultimo, protestazione ricordata da Giovanni 13:37: «Signore, perché non posso io seguitarti? io metterò la vita mia per te»; ma questa pure ricevette la stessa risposta.

PASSI PARALLELI

2Re 8:12-13; Proverbi 28:26; Geremia 10:23; 17:9; Matteo 20:22; 26:33-35,40-41

Marco 14:29,31,37-38; Giovanni 13:36-37; Atti 20:23-24; 21:13

34 34. Ma Gesù disse: Pietro,

Al ver. 31 il Signore l'avea chiamato Simone, nome ch'ei portava quand'era un umile pescatore, per rammentargli la sua debolezza; ora lo chiama Pietro, perché, come osserva Oosterzee «il Signore si mise sul medesimo livello dell'uomo che pensava tanto altamente di sé». Questo è l'unico passo in cui il Signore si rivolge a Pietro chiamandolo pel nome che significa pietra!

io ti dico che il gallo non canterà oggi, prima che tu non abbi negato tre volte di conoscermi.

Una delle veglie in cui era spartita la notte chiamavasi il «canto del gallo», e durava dalla mezzanotte alle tre a. m. Vedi Nota Luca 12:38, sulle veglie notturne. Il primo canto del gallo si ode circa la mezzanotte o poco dopo; ma è «quando l'alba si sforza di diventar giorno, che tutta la turba del galli suonano le loro acute trombe colla massima energia ed emulazione» (Thomson). È a quest'ultimo canto cui il signore, secondo tutti gli evangelisti, allude come al periodo innanzi al quale Pietro avrebbe tre volte rinnegato il suo Maestro; benché Marco mentovi anche il primo canto del gallo. Le parole: «avanti che il gallo abbia cantato due volte tu mi rinnegherai tre volte» Marco 14:30, ben lungi dal contraddire alle altre narrazioni, sono una dimostrazione più particolareggiata del fatto, che mentre scorreva la prima veglia cioè fra la mezzanotte, ora in cui il gallo cantò la prima volta, e l'alba quando il canto era universale, Pietro avrebbe rinnegato tre volte il suo Signore. Il modo minutissimo e particolareggiato in cui Marco ricorda, le parole del Signore è ben degno dell'attenzione del lettore. Vi è prima «oggi», per dinotare lo stesso giorno di ventiquattr'ore in cui il Signore parlava, e che avea cominciato al tramonto; poi, «questa stessa notte», per indicare che il peccato di Pietro dovea venir commesso prima dello spuntar del sole; ed infine, «avanti che il gallo abbia cantato due volte», per significare in qual veglia della notte dovea aver luogo. «Sommamente interessante e commovente», dice Brown, «è il fatto, che mentre negli altri Evangeli si mentova un sol canto del gallo ad annunziar la caduta di Pietro, nel secondo Evangelo, che, secondo tutta l'antica tradizione e la dimostrazione interna, sembra essere stato scritto sotto l'immediata ispezione di Pietro, è detto che due canti del gallo annunzierebbero la sua caduta. Siccome è il solo Marco che rammenta il fatto che il gallo cantò due volte, la prima volta dopo il primo rinnegamento del suo Signore, e la seconda volta subito dopo l'ultimo, così abbiamo qui un commovente annunzio, quasi scritto dalla sua penna, che ammonizione dopo ammonizione passarono inavvertite, finché il secondo suono percosse il suo orecchio e gli rivelò quanto più savio di lui fosse stato il Signore». Nella risposta del Signore, siccome è riferita da Giovanni 13:38, vedesi trasparire una tenera ironia nel contrasto fra le parole di Pietro: «Io metterò la mia vita per te», e la sua susseguente caduta, "Che dici? Tu metterai la vita tua per me? Ben lungi da ciò, «in verità in verità io ti dico che il gallo non canterà che tu non mi abbi rinnegato tre volte»". Questa è una notevolissima predizione, e una prova convincente della prescienza del Signore. «Che Pietro dovesse rinnegare il suo Maestro in qualsiasi modo, che lo rinnegasse realmente quella notte stessa, dopo aver ricevuta la cena del Signore, ch'ei dovesse rinnegarlo dopo chiare ammonizioni e dopo energiche protestazioni ch'ei piuttosto morrebbe, e ch'ei dovesse rinnegare il suo Maestro tre volte, erano altrettanti avvenimenti improbabili. Eppure tutti ebbero luogo» (Ryle).

PASSI PARALLELI

Matteo 26:34,74; Marco 14:30,71-72; Giovanni 13:38; 18:27

35 

Preavviso intorno a prossime tentazioni, Luca 22:35-38

35. Poi disse loro: quando io vi ho mandati senza borsa, e senza tasca, e senza scarpe, avete voi avuto mancamento di cosa alcuna?

L'avvenimento cui Gesù dirige l'attenzione de' suoi Apostoli è la prima missione evangelistica cui gli aveva mandati Luca 9:1-6; Matteo 10:5-16, quando proibì loro di provvedersi di altro che degli abiti che indossavano e quando essendo essi deboli e senza esperienza, egli avea miracolosamente aperto i cuori degli uomini a riceverli ed a supplire ad ogni loro temporale bisogno. Ora ei domanda loro se non erano stati abbondantemente provveduti d'ogni cosa; se avevano avuto bisogno di cosa alcuna.

Ed essi dissero: Di niuna.

Il nostro Evangelista omette di mentovare nel suo luogo la relazione ch'essi fecero al ritorno, ma è qui ricordata con enfatica brevità ed unanimità. Tutti dichiarano che nulla era loro mancato. Senza dubbio, Gesù pose questa domanda affinché la lor passata esperienza li inducesse, in ogni tempo, a mettere la lor fiducia in lui e nel suo Padre celeste; ma la pose eziandio allo scopo di prepararli a un mutamento di circostanze che sarebbe stato un singolare contrasto con quei giorni tranquilli.

PASSI PARALLELI

Luca 9:3; 10:4; Matteo 10:9-10; Marco 6:8-9

Luca 12:29-31; Genesi 48:15; Deuteronomio 8:2-3,16; Salmi 23:1; 34:9-10; 37:3; Matteo 6:31-33

36 36. Disse, loro adunque: Ma ora,

Erano tanto ignari, quei sognatori di rango e di fortuna in un regno terreno, della vita di prove, di fatiche e di pericoli che stava, loro innanzi, che Gesù cercò di prepararveli col mettere in aperto contrasto l'allora e l'ora. Egli ordina loro adesso di fare l'opposto di quel che allora avea comandato. Allora la menoma sollecitudine per parte loro era del tutto superflua, ora la massima non sarebbe soverchia.

chi ha una borsa tolgala; parimente ancora una tasca (vedi Nota Matteo 10:10); e chi non ne ha venda la sua vesta, e comperi una spada.

Si è domandato che cosa si dovrebbe sottintendere dopo chi non ha. Moltissimi autorevoli commentatori sottintendono spada; ma la costruzione più semplice e che fornisce il senso più soddisfacente, è di porre in contrasto con chi ha. «Chi ha una borsa tolgala e chi non ne ha venda la sua vesta e compri una spada. Così il senso è compiuto, poiché chi ha una borsa può comprare una spada senza vendere la sua vesta» (Alford). Alcuni, a' quali par difficile l'intendere perché Gesù, il di cui regno non è di questo mondo, avesse comandato ai suoi discepoli di armarsi, vogliono che la spada significhi «la spada dello Spirito» Efesini 6:17, e fra questi è il Diodati che, in una nota su questo versetto, dice: «Ma per l'innanzi io vi ammonisco di prepararvi a sostenere gli assalti che vi saranno dati. Or sotto il nome di armi corporali, egli intende tutte le provisioni spirituali. Chi ha, cioè: Fate provisioni di tutto ciò che secondo lo Spirito è necessario per vostro sostentamento e per vostra difesa. Ovvero: Impiegate e denari e veste ad avere delle spade, cioè in figura, non pensate più che a guerre e a combattimenti spirituali». Ma questa spiegazione esclusivamente figurativa è inammissibile, perché il contrasto sta evidentemente fra i provvedimenti materiali, non necessari la prima volta, ma assolutamente necessari ora, nella nuova condizione di vita in cui stavano per entrare gli Apostoli. Il Signore dice loro, che nelle scene di continuo e severo cimento che stavano innanzi a loro, essi dovranno praticare un metodo di esistenza diverso da quello cui si erano avvezzati, e che saranno necessarie la borsa e la tasca e le scarpe e le vesti, come pure i mezzi legittimi di difesa personale, che tutti sono rappresentati dalla spada. Essi non devono aspettare una interposizioue miracolosa di Dio a loro favore tanto continua da renderli indipendenti dall'uso di qualsiasi mezzo; all'opposto, devono mettere diligentemente in opera tutti i mezzi legittimi e ragionevoli, che possono servire al loro mantenimento e alla loro protezione. Questa dichiarazione, che la difesa personale e il proprio mantenimento sarebbero d'allora in poi necessarii, è una testimonianza decisiva, procedente dal Signore lui stesso, contro le opinioni dei Quaccheri ed altri «non resistenti», intorno a questi argomenti: ma essa non autorizza né le persecuzioni papali e musulmane, né l'estensione del Vangelo per mezzo della spada. Da Flavio siamo informati che, secondo l'uso di quei tempi, i viaggiatori portavano armi per difendersi contro ai ladri; e sembrerebbe che i discepoli non avessero del tutto negletta questa cautela anche mentre il Signore era ancora con loro, poiché in quell'istante avevano due spade nella camera del Convito.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:22-25; Giovanni 15:20; 16:33; 1Tessalonicesi 2:14-15; 3:4; 1Pietro 4:1

37 37. Perciocché, Io vi dico che conviene (bisogna) che eziandio questo ch'è scritto sta adempiuto in me: Ed egli è Stato annoverato fra i malfattori.

Il nesso con quanto precede è il seguente: "La vostra condizione fra gli uomini sarà esposta a maggiori turbamenti e pericoli, che nol sia stato finora, poiché io stesso, vostro Maestro, sto per essere annoverato fra i trasgressori". Egli era stato chiamato Gesù di Nazaret, disprezzato qual povera e bassa persona; restava ancora, che fosse chiamato malfattore e trattato come tale, e che lo scandalo della croce fosse innalzato. «La forma stessa della sentenza mostra ad evidenza, che la spada cui si accenna non potevasi riferire al pericolo di quella notte o al difenderlo da esso» (Alford). Questa è la prima volta che il Signore ci addita Isaia 53, e questa citazione è una dell'ultime e più notevoli di quella serie di predizioni intorno alle sofferenze di Cristo e delle glorie che seguirebbero, le quali dànno a questo capitolo l'aspetto d'una pagina di storia, anziché d'una profezia di avvenimenti che si sarebbero avverati sette secoli dopo. Nello spazio di un po' più che dodici ore, dacché si era applicate queste parole, Gesù era stato già annoverato fra i trasgressori nelle sentenze del Sinedrio e del Pretorio e ne' suoi compagni di crocifissione». «È degno d'osservazione il fatto, che nel parlare della sua prossima morte, Gesù la descrive in modo speciale come l'essere annoverato fra i trasgressori, e la sua intenzione è evidentemente di ricordarci che lo scopo principale della sua morte non era di starci innanzi quale esempio di abnegazione, ma di essere un sacrifizio per noi, di diventare un'offerta per lo peccato e d'esser fatto maledizione per noi» (Ryle).

Perciocché le cose che sono scritte di me, hanno il lor compimento.

In quelle parole, il Salvatore indica la ragione per cui egli cita questa predizione d'Isaia, che cioè l'adempimento di tutto ciò che Iddio avea decretato e che i profeti avevano scritto intorno al suo sacrifizio, offerto per portare i peccati di molti, era ormai prossimo. Il di questo versetto corrisponde pel significato al è compiuto, ultima parola di Cristo sulla croce Giovanni 19:30.

PASSI PARALLELI

Luca 22:22; 18:31; 24:44-46; Matteo 26:54-56; Giovanni 10:35; 19:28-30; Atti 13:27-29

Luca 23:32; Isaia 53:12; Marco 15:27-28; 2Corinzi 5:21; Galati 3:13

38 38. Ed essi dissero: Signore, ecco qui due spade.

L'ipotesi di Crisostomo, che queste spade fossero i coltelli da sacrifizio con cui Pietro e Giovanni aveano scannato l'agnello pasquale, puossi in tutta pace abbandonare all'obblìo, poiché è noto che i Galilei camminavano armati quando salivano alle feste, a motivo dei numerosi ladroni che infestavano il paese (fatto questo che forse può spiegare il tumulto avvenuto ne' cortili del tempio, quando alcuni di loro furono uccisi, Vedi Nota Luca 13: l; e i discepoli sembrano avere adottato l'uso dei loro compaesani nel provvedere qualche poco alla loro difesa. Può darsi che avessero lasciate altre armi nelle case ove dimoravano; ma Pietro ed un altro le aveano recate seco quella sera.

Ed egli disse loro: Basta.

È chiaro che i discepoli aveano completamente frainteso l'insegnamento del loro Maestro intorno al mutamento del loro stato dopo la sua dipartenza, e ch'essi immaginavano ch'egli alludesse a un pericolo di quella notte, per affrontare il quale avea bisogno del loro aiuto. Indi la premura con cui trassero fuori le due spade di cui potevano disporre. Secondo alcuni, la risposta del Signore, Fu ironica, quasiché volesse dire, siete invero bene armati con due spade fra undici uomini, se qualche tumulto sorgesse per via». Ma devesi osservare che basta, non si riferisce alle spade, ma al soggetto del discorso, non bastano due spade, ma basta su questo soggetto per ora. Il pensiero del Signore sembra essere, che non essendo stato inteso il suo ammonimento nel senso comprensivo ch'ei voleva dargli, abbastanza era stato detto per l'ora presente; l'esperienza fornirebbe loro concetto più giusto in avvenire.

A questo seguì il discorso di conclusione e la preghiera d'intercessione Giovanni 14-17, il canto dell'inno (possibilmente, porzioni dei Salmi 120-136), e la partenza alla volta del monte degli Ulivi.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:52-54; Giovanni 18:36; 2Corinzi 10:3-4; Efesini 6:10-18; 1Tessalonicesi 5:8; 1Pietro 5:9

RIFLESSIONI

1. «Giuda e gli uffiziali giudei non immaginavano di certo che mentre eseguivano i loro malvagi disegni, facevano appunto quelle, cose che "la mano di Dio e il suo consiglio aveano innanzi determinato che fossero fatte" Atti 4:28. Ma Gesù lo sapeva, e sapeva che questi inconsci strumenti del suo prossimo arresto, della sua condanna a morte, eran sol rattenuti, finché la voce di Dio avesse detto: "O spada, destati contro al mio pastore, contro all'uomo ch'è mio prossimo!" Misteriose parole, se consideriamo d'onde venivano ed a chi erano rivolte! Chi in presenza di questo oserà dire che la morte di Cristo non contenne elementi penali del più amaro sapore? Ma la dolcezza di queste parole: "Mio PASTORE, l'uomo ch'è mio PROSSIMO!" Che allegrezza indescrivibile non dovettero esse portare in seno a colui, che ora ad esso accennava?» (Brown).

2. «La personalità, attività, e potenza del diavolo sono poste in ridicolo e negate da uomini scettici e profani, e non sono comprese a dovere dai Cristiani. Questi è Colui che introdusse il peccato nel mondo; che il nostro Signore chiamò "principe di questo mondo", micidiale e mentitore; che Pietro paragona a un "leone ruggente che cerca chi potrà divorare"; e di cui Giovanni parla come "dell'accusatore dei fratelli". Questi è colui che opera del continuo il male nelle Chiese di Cristo, svellendo la buona semenza dai cuori degli uditori, seminando zizzania in mezzo al grano, suscitando persecuzioni, suggerendo false dottrine e fomentando divisioni. Non v'è nemico tanto pericoloso quanto quell'avversario sempre desto, invisibile ed avveduto, il diavolo. Colui che abbattè Davide e Pietro ed assalì lo stesso Cristo, non è un nemico da tenere in non cale. Ei ci conviene vegliare e pregare e vestire l'intiera armatura di Dio, ed è preziosa la promessa, «Se contrastate al diavolo, egli fuggirà da voi» Giacomo 4:7 (Ryle).

3. Ei si fu per cagione dell'intercessione di Cristo che Pietro non n'andò completamente perduto. E la permanente esistenza della grazia in ogni cuor di credente è un grande e costante miracolo. I suoi nemici sono tanto potenti e sì piccola è la sua forza; il mondo è così pieno di lacci e il suo cuore è debole per modo, che a tutta prima sembra impossibile che possa giungere al cielo. Le parole: «Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno» spiegano la sua sicurezza. Egli ha un potente amico alla destra di Dio, che vive del continuo per intercedere per lui. Vi è un vigilante avvocato che di giorno in giorno patrocina la sua causa, mentre ei vede tutte le sue necessità ed ottiene quotidiane provisioni di misericordia e di grazia, per l'anima sua. Egli è vivente per sempre, e l'opera che fece per Pietro, la sta facendo tuttora per tutto il suo popolo.

4. «Quando sarai convertito conferma i tuoi fratelli» è un dovere spettante a tutti i credenti. Non siamo noi mai caduti in preda a tentazioni e non siamo noi stati rialzati, per la misericordia di Cristo, a novità di vita? Se così è, siamo appunto coloro che debbono procedere con mansuetudine coi nostri fratelli. Dovremmo dir loro, per propria nostra esperienza, che cosa malvagia ed amara sia il peccato. Dovremmo premunirli contro lo scherzare colla tentazione; dovremmo premunirli contro l'orgoglio, la presunzione e la negligenza nel pregare. Dovremmo parlar loro della grazia e della compassione di Cristo, se son caduti. Soprattutto dovremmo procedere con loro umilmente e con mansuetudine, rammentandoci quel che noi stessi abbiamo attraversato. Il timore, l'orgoglio, la paura di comprometterci colle nostre confessioni, sono troppo spesso gravi ostacoli all'adempimento di questo dovere.

5. «Il partito più sicuro è di intendere le parole: "Chi ha una borsa tolgala" ecc. in un senso proverbiale. Esse si applicano all'intiero periodo di tempo compreso fra la prima e, la seconda venuta del Signore. Finché egli venga, i credenti, devono fare un uso diligente di tutte le facoltà che Dio ha impiantate nell'animo loro. Non devono aspettare che vengano operati miracoli per farli andare immuni da fatica e dolore; non devono aspettare che il pane cada loro in bocca, se non vogliono lavorare per guadagnarselo; non devono aspettare che le difficoltà sieno vinte e i nemici disfatti, se non vogliono lottare e combattere e travagliarsi. Devono rammentarsi che "la mano dei diligenti arricchisce" Proverbi 10:4» (Ryle).

39 Luca 22:39-46. L'AGONIA NEL GETSEMANE Matteo 26:36-46; Marco 14:32-42; Giovanni 18:1

Per l'esposizione vedi Marco 14:32-42.

47 Luca 22:47-53. GESÙ È TRADITO ED ARRESTATO: I DISCEPOLI SI DISPERDONO Matteo 26:47-56; Marco 14:43-52; Giovanni 18:1-12

Per l'esposizione vedi Giovanni 18:1-12.

54 Luca 22:54-71. CADUTA DI PIETRO. GESÙ COMPARISCE INNANZI A CAIAFA. È CONDANNATO A MORIRE DAL SINEDRIO E VIENE VITUPEROSAMENTE TRATTATO Matteo 26:57-75; Marco 14:53-72; Giovanni 18:13-27

Per l'esposizione vedi Marco 14:53-72.

Dimensione testo:


Visualizzare un brano della Bibbia

Aiuto Aiuto per visualizzare la Bibbia

Ricercare nella Bibbia

Aiuto Aiuto per ricercare la Bibbia

Ricerca avanzata