Commentario abbreviato:

Giovanni 6

1 Capitolo 6

Cinquemila persone sfamate miracolosamente Gv 6:1-14

Gesù cammina sul mare Gv 6:15-21

Egli dirige verso il cibo spirituale Gv 6:22-27

Il suo discorso con la folla Gv 6:28-65

Molti discepoli si tirano indietro Gv 6:66-71

Versetti 1-14

Giovanni racconta il miracolo di sfamare la folla, per il suo riferimento al discorso successivo. Osservate l'effetto che questo miracolo ebbe sul popolo. Anche i giudei comuni si aspettavano che il Messia venisse nel mondo e fosse un grande profeta. I farisei li disprezzavano perché non conoscevano la legge, ma conoscevano soprattutto Colui che è il fine della legge. Eppure, gli uomini possono riconoscere Cristo come quel Profeta, e tuttavia non ascoltarlo.

15 Versetti 15-21

Qui c'erano i discepoli di Cristo sulla via del dovere, e Cristo pregava per loro; eppure erano in difficoltà. Ci possono essere pericoli e afflizioni in questo tempo presente, se c'è un interesse in Cristo. Nuvole e tenebre spesso circondano i figli della luce e del giorno. Essi vedono Gesù camminare sul mare. Persino gli approcci di conforto e di liberazione spesso sono così sbagliati da diventare occasione di paura. Nulla è più potente per convincere i peccatori di questa parola: "Io sono Gesù che tu perseguiti"; nulla è più potente per confortare i santi di questa: "Io sono Gesù che tu ami". Se abbiamo ricevuto Cristo Gesù come Signore, anche se la notte è buia e il vento è forte, possiamo confortarci: tra non molto saremo sulla riva.

22 Versetti 22-27

Invece di rispondere alla domanda su come fosse arrivato lì, Gesù biasimò la loro domanda. La massima serietà dovrebbe essere impiegata nella ricerca della salvezza, nell'uso dei mezzi prestabiliti; tuttavia essa va cercata solo come dono del Figlio dell'uomo. Il Padre ha sigillato e dimostrato di essere Dio. Ha dichiarato che il Figlio dell'uomo è il Figlio di Dio con potenza.

28 Versetti 28-35

L'esercizio costante della fede in Cristo è la parte più importante e difficile dell'obbedienza richiesta a noi peccatori in cerca di salvezza. Quando per grazia siamo in grado di vivere una vita di fede nel Figlio di Dio, ne consegue un'indole santa e si possono compiere servizi accettabili. Dio, anzi suo Padre, che ha dato ai loro padri quel cibo dal cielo per sostenere la loro vita naturale, ora ha dato loro il vero Pane per la salvezza delle loro anime. Venire a Gesù e credere in lui significano la stessa cosa. Cristo mostra di essere il vero Pane; è per l'anima ciò che il pane è per il corpo, nutre e sostiene la vita spirituale. Egli è il Pane di Dio. Pane che il Padre dà, che ha fatto per essere il cibo delle nostre anime. Il pane nutre solo grazie alle forze di un corpo vivente; ma Cristo è egli stesso Pane vivente e nutre con la sua stessa forza. La dottrina di Cristo crocifisso è oggi più forte e confortante che mai per un credente. Egli è il Pane disceso dal cielo. Denota la divinità della persona di Cristo e la sua autorità; inoltre, l'origine divina di tutto il bene che ci giunge attraverso di lui. Possiamo dire con comprensione e serietà: "Signore, dacci sempre più questo Pane".

36 Versetti 36-46

La scoperta della loro colpa, del pericolo e del rimedio, grazie all'insegnamento dello Spirito Santo, rende gli uomini disposti e felici di venire e di rinunciare a tutto ciò che impedisce di rivolgersi a lui per la salvezza. La volontà del Padre è che nessuno di coloro che sono stati dati al Figlio sia rifiutato o perso da lui. Nessuno verrà finché la grazia divina non avrà soggiogato e in parte cambiato il suo cuore; perciò nessuno di coloro che vengono sarà mai scacciato. Il Vangelo non trova nessuno disposto a essere salvato nel modo umile e santo che vi è stato presentato; ma Dio attira con la sua parola e lo Spirito Santo; e il dovere dell'uomo è quello di ascoltare e imparare, cioè di ricevere la grazia offerta e acconsentire alla promessa. Nessuno aveva visto il Padre all'infuori del suo amato Figlio; e gli Ebrei dovevano aspettarsi di essere istruiti dalla sua potenza interiore sulle loro menti, dalla sua parola e dai ministri che aveva mandato in mezzo a loro.

47 Versetti 47-51

Il vantaggio della manna era piccolo, si riferiva solo a questa vita; ma il Pane vivente è così eccellente che l'uomo che se ne nutre non morirà mai. Questo pane è la natura umana di Cristo, che egli ha preso per presentarla al Padre, come sacrificio per i peccati del mondo; per acquistare tutte le cose che riguardano la vita e la pietà, per i peccatori di ogni nazione che si pentono e credono in lui.

52 Versetti 52-59

La carne e il sangue del Figlio dell'uomo indicano il Redentore nella natura dell'uomo; Cristo e il suo crocifisso, e la redenzione da lui operata, con tutti i preziosi benefici della redenzione: il perdono del peccato, l'accettazione con Dio, la via al trono della grazia, le promesse dell'alleanza e la vita eterna. Questi sono chiamati la carne e il sangue di Cristo, perché sono stati acquistati con la rottura del suo corpo e lo spargimento del suo sangue. Inoltre, perché sono carne e bevanda per le nostre anime. Mangiare questa carne e bere questo sangue significa credere in Cristo. Partecipiamo a Cristo e ai suoi benefici per fede. L'anima che conosce giustamente il suo stato e le sue esigenze, trova tutto ciò che può calmare la coscienza e promuovere la vera santità nel redentore, Dio manifestato in carne e ossa. La meditazione sulla croce di Cristo dà vita al nostro pentimento, all'amore e alla gratitudine. Viviamo di lui, come il nostro corpo vive del cibo. Viviamo grazie a lui, come le membra grazie al capo, i rami grazie alla radice: poiché egli vive, vivremo anche noi.

60 Versetti 60-65

La natura umana di Cristo non era mai stata in cielo, ma essendo Dio e uomo, si diceva veramente che quella persona meravigliosa era scesa dal cielo. Il regno del Messia non era di questo mondo ed essi dovevano comprendere per fede ciò che egli aveva detto di una vita spirituale su di lui e della sua pienezza. Come senza l'anima dell'uomo la carne non ha valore, così senza lo Spirito vivificante di Dio tutte le forme di religione sono morte e senza valore. Colui che ha fatto questo provvedimento per le nostre anime, solo può insegnarci queste cose e attirarci a Cristo, affinché possiamo vivere per fede in lui. Chiediamo a Cristo, grati del fatto che è stato dichiarato che chiunque sia disposto a venire a lui sarà accolto.

66 Versetti 66-71

Quando ammettiamo nella nostra mente pensieri duri sulle parole e sulle opere di Gesù, entriamo in una tentazione che, se il Signore nella sua misericordia non la previene, finirà con l'allontanarci. Il cuore corrotto e malvagio dell'uomo ne fa spesso un'occasione di offesa, il che è motivo di grande consolazione. Nostro Signore, nel discorso precedente, aveva promesso la vita eterna ai suoi seguaci; i discepoli si sono attaccati a quel detto chiaro e hanno deciso di aderire a lui, mentre altri si sono attaccati a detti duri e lo hanno abbandonato. La dottrina di Cristo è parola di vita eterna, quindi dobbiamo vivere e morire in base ad essa. Se abbandoniamo Cristo, abbandoniamo le nostre stesse misericordie. Essi credevano che questo Gesù fosse il Messia promesso ai loro padri, il Figlio del Dio vivente. Quando siamo tentati di tornare indietro o di allontanarci, è bene ricordare i primi principi e attenersi ad essi. E ricordiamo sempre la domanda interrogativa di nostro Signore: "Ce ne andremo e abbandoneremo il nostro Redentore? Da chi possiamo andare? Lui solo può dare la salvezza con il perdono dei peccati. E solo questo porta fiducia, conforto e gioia, e fa fuggire la paura e lo sconforto. Guadagna l'unica felicità solida in questo mondo e apre la strada alla felicità dell'altro.

Commentario del Nuovo Testamento:

Giovanni 6

1 CAPO - ANALISI

1. Gesù ciba miracolosamente cinquemila persone, oltre alle donne e ai bambini, in un luogo deserto, vicino a Betsaida. Effetto di questo miracolo sulla moltitudine. Gran parte della folla che si riunì attorno a Gesù, sulla sponda orientale del lago, consisteva probabilmente di fedeli della Galilea settentrionale, che attraversavano la Perea, per prender parte alla prossima Pasqua in Gerusalemme, a quale però Gesù non fu presente. "Su questa Pasqua" e sulla "festa" mentovata nel capitolo precedente Vedi nota Giovanni 5:1. Questo miracolo è uno dei pochi che sono ricordati da tutti e quattro gli evangelisti. Entusiasmati da un miracolo così notevole, e dall'abbondanza colla quale Gesù aveva supplito ai suoi bisogni, la folla vuol proclamarlo re, ma egli la dissuade da un tal proponimento Giovanni 6:1-15.

2. Gesù, camminando sul mare di Galilea, raggiunge i discepoli nella loro barca, dissipa i loro timori, e li conduce miracolosamente al termine del loro viaggio. Questo fatto si trova pure in Matteo e in Marco Da Matteo veniamo a sapere che esso accadde durante la quarta vigilia, cioè fra le tre di mattina e l'alba. Al medesimo evangelista dobbiamo pure di conoscere un episodio interessante della vita di Pietro, quando cioè egli supplicò il maestro di ordinargli di camminare sulle acque, nel fare il che cominciò ad affondare essendogli venuta meno la fede Giovanni 6:16-21.

3. Rimproverando quelli che lo seguivano per mera curiosità, o nella speranza che, ripetendo il miracolo, egli desse loro di nuovo da mangiare, Gesù fa un nuovo discorso alla folla. Quello del capitolo precedente era stato rivolto ai rettori dei Giudei in Gerusalemme. In esso Gesù aveva dichiarato la sua divina uguaglianza col Padre, benché, come Mediatore, egli si fosse volontariamente assoggettato alla sua autorità. Questo fu rivolto primieramente al popolo di Capernaum, e in esso, prendendo qual punto di partenza la miracolosa moltiplicazione del pane materiale del giorno precedente, Gesù si proclama il "Pan di vita", pronto a saziare abbondantemente, mediante la comunicazione della sua grazia, tutti quelli che "aveano fame e sete di giustizia". Siccome i rettori locali, "i Giudei", cominciano a mormorare per quello che Gesù aveva detto alla moltitudine, il resto del discorso (Giovanni 6:41-59), contenente le grandi verità che già egli aveva dichiarate, è rivolto ad essi sotto forma più severa e più diretta Giovanni 6:22-59.

4. Il risultato di questo discorso fu una divisione fra quelli che fino a quel momento avevano professato di essere discepoli di Gesù. Poco monta che tutto il discorso, o solo quella parte di esso in cui il Signore parlò di mangiar la sua carne e bere il suo sangue, sia considerato come la "pietra di scandalo"; l'importante si è che alcuni ne mormorarono come di un "parlar duro", non già perché difficile ad intendersi, bensì perché ripugnante ai loro sentimenti, e da quel giorno cessarono dal seguitarlo; mentre quelli che avevano realmente creduto in lui gli si attaccarono più fermamente che mai, come al "Cristo, Figliuol dell'Iddio vivente". Uno vi era che la più comune onestà avrebbe dovuto spingere ad aggiungersi a quelli che in quel momento "si trassero indietro e non andavano più attorno con lui". il Signore lo avea scelto per l'uffizio apostolico, ed egli continuò a tenerlo, benché fosse disonesto nella sua condotta e di cuore ipocrita. Costui era Giuda Iscariot. Mentre adunque il Signore accetta l'omaggio tributatogli da Pietro a nome dei suoi fratelli egli rivela la sua onniscienza proclamando che uno di loro era "diavolo", cioè così completamente sotto il potere di Satana, da esser capace di ogni misfatto Giovanni 6:60-71.

Giovanni 6:1-14. GESÙ VISITA LA SPIAGGIA ORIENTALE DEL LAGO ED IVI NUTRE MIRACOLOSAMENTE CINQUEMILA UOMINI Matteo 14:15-21; Marco 6:33-44; Luca 9:10-17

Per l'esposizione vedi Marco 6:33-44.

15 Giovanni 6:15-21. AVENDO LICENZIATO LE TURBE, GESÙ CAMMINA SULLE ACQUE PER RAGGIUNGERE I SUOI DISCEPOLI Matteo 14:22-36; Marco 6:45-52

Per l'esposizione vedi Matteo 14:22-36.

22 Giovanni 6:22-60. LE TURBE SEGUONO GESÙ A CAPERNAUM, DOVE, NELLA SINAGOGA, EGLI PROCLAMA SE STESSO IL PANE DI VITA

22. Il giorno seguente,

L'indomani cioè del miracolo all'alba, al momento in cui Gesù e i suoi discepoli sbarcavano in Capernaum.

la moltitudine ch'era restata all'altra riva del mare,

La massa di coloro che erano stati nutriti si era probabilmente dispersa in cerca di alloggio nei villaggi o nelle case isolate del vicinato: ma un buon numero s'indugiava ancora là dove il miracolo era stato compiuto, sperando di ritrovarvi Gesù alla mattina.

avendo veduto che quivi non v'era altra navicella che quell'una nella quale erano montati i discepoli di Gesù e ch'egli non v'era montato con loro; anzi che i suoi discepoli erano partiti soli;

In questo versetto, l'Evangelista ci dà la ragione per cui la gente si aspettava a trovare ancora il Signore sulla sponda orientale del lago, cioè perché non v'erano barche lì vicino, eccetto quella nella quale erano venuti i discepoli, e quando quella era partita la sera, Gesù non vi era salito, ma i discepoli solamente. Non avendo la folla mai pensato alla possibilità di una partenza miracolosa del Signore, la sua aspettazione era affatto naturale; ma vane furono le sue ricerche.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:16-17; Matteo 14:22; Marco 6:45

23 23. Or altre navicelle eran venute di Tiberiade, presso del luogo, ove, avendo il Signore rendute grazie aveano mangiato il pane;

Questa parentesi, benché renda il periodo alquanto intralciato, prova l'accuratezza storica dell'Evangelista. Un falsario non si sarebbe mai dato pensiero di spiegare in qual modo la moltitudine aveva attraversato il mare. La parzialità naturale dell'Evangelista per delle scene che, gli erano state così familiari in gioventù, si rivela in questi minuti particolari. Era stato pescatore sul lago di Gennesaret; sapeva a quali segni si riconoscevano le barche di Tiberiade da quelle di Capernaum o di altre città; forse aveva in quella folla parenti ed amici. Di prima mattina, delle barche di Tiberiade, situata molto più in giù sulla riva opposta od occidentale, spinte da un vento favorevole, erano giunte vicino al luogo dove il miracolo era stato compiuto, ma per quale oggetto non ci vien detto. Lo scopo di questa parentesi, a quanto pare, è di riconciliare le parole del ver. 22: "quivi non v'era altra navicella", con quanto è detto al ver. 24. Dei quattro Evangelisti, Giovanni solo parla di Tiberiade, e ne dà il nome al lago di Gennesaret Giovanni 6:1, 23; 21:1 forse perché scrisse per dei Gentili, e da ciò deriviamo una conferma accidentale che questo Vangelo fu scritto verso la fine del primo secolo, e per quelli a cui in quell'epoca il lago era noto familiarmente sotto quel nome. Tiberiade era una città affatto moderna, al tempo in cui il Signore frequentava quella regione, essendo stata costruita, e chiamata con quel nome, da Erode il Grande, in onore dell'imperatore Tiberio, al principio dell'era nostra. "Settant'anni dopo, essa si presentava a Flavio, storico ebreo, come una città importante. Quasi tutte le altre città del lago erano state distrutte da Vespasiano e da Tito; ma Tiberiade fu risparmiata, ed ebbe, qual ricompensa della sua fedeltà ai Romani, l'onore di divenire la capitale della provincia. Siccome Giovanni scriveva parecchi anni dopo quegli eventi, era naturale che chiamasse la città ed il lago col nome che ai suoi tempi era divenuto familiare per entrambi; ma gli altri Evangelisti scrissero prima di quei fatti, e perciò non parlano punto di Tiberiade (Thomson: La Terra e il Libro). Non ci è detto che il Signore vi mettesse mai il piede.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:24

Giovanni 6:1

Giovanni 6:11-12

24 24. La moltitudine, dico, come ebbe veduto che Gesù non era quivi, né i suoi discepoli, montò anch'ella in quelle navicelle, e venne in Capernaum, cercando Gesù.

Vedendo giungere quelle barche dalla sponda occidentale, la folla si aspettava forse che tornassero i discepoli; ma non vedendo né essi, né il loro Maestro, quanti poterono entrare nelle barche si fecero tragittare in Capernaum, dove sapevano che Gesù dimorava abitualmente.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:17,23

Giovanni 7:11; 18:4-5; 20:15; Marco 1:37; Luca 8:40

25 

Discorso di Cristo alle turbe sul pan di vita Giovanni 6:25-40

25. E, trovatolo di là dal mare,

cioè sulla costa Nord Ovest, probabilmente a Capernaum, benché dagli altri Vangeli sembri che Gesù e i suoi discepoli fossero sbarcati altrove, ma sempre nelle vicinanze di quella città Matteo 14:34-35; Marco 6:53.

gli disse: Maestro quando sei giunto qua?

Il vocabolo ha pure qui il senso di e significa come, non meno che quando. Come sei tu giunto qui? Non per acqua, poiché i tuoi discepoli partiron soli dalla sponda orientale; non per via di terra, ma a piedi, imperocché il giro del lago, di notte, in mezzo ad una burrasca di vento, è troppo lungo, perché tu abbia potuto giunger qui prima di noi. Quando adunque sei giunto, perché ti abbiamo cercato fin dall'alba? Ci avresti forse lasciati prima di allora? Grandi erano la loro sorpresa e la loro curiosità; ma Gesù non li so disfece. Conoscendo i loro pensieri rispose, non alla loro domanda, ma ai sentimenti che l'avevano dettata.

PASSI PARALLELI

Giovanni 1:38-39

26 26. Gesù rispose loro, e disse: in verità, in verità, io vi dico, che voi mi cercate, non perciocché avete veduti miracoli; ma, perciocché avete mangiato di quei pani, e siete stati saziati.

Comincia questo versetto colla ben nota formula, colla quale Gesù attesta la solenne importanza di quanto sta per dire. Tutta la conversazione che segue ha per base il miracolo narrato più sopra, del quale essa è l'applicazione spirituale. Invece di soddisfare una oziosa curiosità, il Signore, quale onnisciente conoscitore dei cuori, si affretta a svelare ai loro propri occhi la bassezza e l'egoismo dei loro motivi nel seguitarlo. Essi non volevano esaltare il suo potere, né speravano che il miracolo del giorno precedente fosse la prima di una serie di prove anche più convincenti della sua divina missione; non erano spinti nemmanco dalla curiosità del giorno prima, ma da un motivo più basso e più carnale, cioè dalla speranza di venir nuovamente saziati di pane e di pesci. In breve egli dice loro chiaramente che essi non lo avrebbero cercato, se non avessero avuto la speranza di ricevere ancora qualcosa da lui. Oimè, molti son coloro che ricercano tuttodì la religione per motivi simili a quelli; essi professano di appartenere a Cristo, per vili vantaggi mondani, che sperano guadagnare in quel modo, e ipocritamente "stimano la pietà esser guadagno" 1Timoteo 6:5. Il comando apostolico, riguardo a simili persone, è: "Ritratti da tali". Cristo offre riposo a quelli che sono travagliati ed aggravati, e cibo agli affamati ma vuol che vengano a lui senza frode, come all'unico Salvatore, alla sola vera e durevole eredità per un'anima immortale.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:47,53; 3:3,5

Giovanni 6:15,64; Salmi 78:37; 106:12-14; Ezechiele 33:31; Atti 8:18-21; Romani 16:18

Filippesi 2:21; 3:19; 1Timoteo 6:5; Giacomo 4:3-4

27 27. Adoperatevi, non intorno al cibo che perisce,

Considerate assieme al vers. precedente, è chiaro che questo parole di Gesù alludono alla fatica da essi durata nel cercarlo con tanta perseveranza. Questo loro atto era un emblema della loro vita, la quale tutta consumavasi nella ricerca dei beni materiali, e nel soddisfacimento dei bisogni e dei desideri più bassi. Il cibo che sostenta i nostri corpi materiali è un cibo che perisce, non solo perché non conserva lungamente le sue qualità nutritive, ma ancora perché cambia di forma; la parte inutile ne vien rigettata Matteo 15:17; 1Corinzi 6:13, e quanto vi ha di utile diviene parte del corpo nostro, il quale pure deve perire un giorno. "adoperatevi", è l'atto di metter fuori tutte le energie della nostra natura, facendo di quello per cui lavoriamo l'oggetto supremo dei nostri desideri; e Gesù non permette agli uomini di concentrare in tal modo le loro facoltà per acquistar cose di così poco valore. Sarebbe però abusare delle parole del Signore il supporre che egli incoraggi la pigrizia e la trascuranza dei mezzi onesti di guadagnarci il pane. Paolo, parlando nello Spirito, ci comanda che "chi non vuol lavorare non mangi" 2Tessalonicesi 3:10. Il senso diretto di queste parole si è che dobbiamo affaticarci maggiormente per i bisogni dell'anima che per quelli del corpo.

ma intorno al cibo che dimora in vita eterna,

Questa è la reciproca della clausola precedente. E degno dei nostri sforzi più strenui quel cibo che non muta, ma rimane nell'uomo come principio di forza, invigorendolo giorno dopo giorno, finché egli entri nella perfezione della vita eterna. Notisi il parallelismo fra "l'acqua saliente in vita eterna" nell'anima del credente Giovanni 4:14 e "il cibo che dimora in vita eterna" in questo versetto. Gesù è il datore di entrambi, ed è perfetto in lui quel credente che riceve così il pane come l'acqua della vita.

il quale il Figliuol dell'uomo vi darà;

Cristo parla qui dei suoi rapporti cogli uomini, in virtù della sua perfetta umanità, imperocché questo titolo denota la sua vita incarnata. Egli è qual rappresentante assoluto dell'umanità, che darà quel cibo spirituale che dura in vita eterna. Può sembrare a prima vista che vi sia contraddizione fra questo dare e il comando di adoperarsi, ma in realtà non v'è. "L'opera dell'uomo riguardo a questo cibo apportatore di vera vita, consiste semplicemente nell'appropriarsi ogni giorno il dono che gli porge colui che Dio ha mandato. Senza questo dono, vana sarebbe ogni opera sua, come d'altra parte il dono non avrebbe efficacia alcuna, se non fosse assimilato mediante la fede" (Godet).

perciocché esso ha il Padre, cioè Iddio, suggellato.

Per questo ufficio di distributore dell'imperituro pane celeste, Gesù dichiara che lo ha designato, consacrato, ed autenticato Dio Padre medesimo. Che questo sia il senso di "suggellato" è confermato da 2Corinzi 1:22; Efesini 1:13; 4:30, dove la medesima parola viene applicata collo stesso significato ai credenti. "Un suggello può servire a designare un individuo:

1. coll'essere apposto ad un documento,

2. coll'essere confidato alla persona designata,

3. col venire impresso sopra la persona medesima.

Quest'ultimo è un uso figurativo, che non vien mai fatto di un suggello, ma che esprime la più esplicita e la più indubitabile designazione Ezechiele 9:4; Apocalisse 7:3 e vien qui applicata al Salvatore medesimo" (Webster).

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:28-29; Galati 5:6; Filippesi 2:13; Colossesi 1:29; 1Tessalonicesi 1:3

Giovanni 4:13-14; Ecclesiaste 5:11-16; 6:7; Isaia 55:2; Habacuc 2:13; Matteo 6:19,31-33

Luca 10:40-42; 1Corinzi 6:13; 7:29-31; 9:24-27; 2Corinzi 4:18; Colossesi 2:22; 3:2

Ebrei 4:11; 12:16; Giacomo 1:11; 1Pietro 1:24; 2Pietro 3:11-14

Giovanni 6:40,51,54,58,68; 4:14; Geremia 15:16

Giovanni 10:28; 11:25-26; 14:6; 17:2; Proverbi 2:2-6; Romani 6:23

Giovanni 1:33-34; 5:36-37; 8:18; 10:37-38; 11:42; 15:24; Salmi 2:7; 40:7

Isaia 11:1-3; 42:1; 61:1-3; Matteo 3:17; 17:5; Marco 1:11; 9:7; Luca 3:22

Luca 4:18-21; 9:35; Atti 2:22; 10:38; 2Pietro 1:17

28 28. Laonde essi gli dissero: Che faremo, per operar le opere di Dio?

Quelli che fanno questa domanda sembrano essere rimasti alquanto impressionati, e disposti ad ammettere, in parole almeno, la necessità di un ideale più elevato di vita, poiché chiedono come vi si possa giungere; ma la frase: "operar le opere di Dio", denota che ancora si attenevano solo ad un concetto esterno del servizio di Dio, alla vecchia idea di propria giustizia, così tenace nell'uomo naturale. Speravano piacere a Dio, e comprare l'entrata nel cielo, coi loro propri sforzi. Questo è il caso di una coscienza parzialmente risvegliata, che sta in guardia, e cerca a tastoni la luce. Vedi Matteo 19:16.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 5:27; Geremia 42:3-6,20; Michea 6:7-8; Matteo 19:16; Luca 10:25; Atti 2:37; 9:6

Atti 16:30

29 29. Gesù rispose, e disse loro: Questa è l'opera di Dio, che voi crediate in colui ch'egli ha mandato.

Essi pensavano a buone opere solo dal punto di vista legale, come le inculcavano gli Scribi e i Farisei; ma Gesù, lasciando quelle da parte, parla solo della fede in lui quale mandato da Dio, come dell'opera fondamentale, di cui tutte le opere più sante non sono che manifestazioni diverse. La vera fede conduce all'unione con lui, ci fa partecipi dello Spirito suo, e racchiude in sé tutto ciò che piace a Dio. "La frase 'che voi crediate', non indica solo il semplice fatto del credere, ma pure lo sforzo che vi conduce. Di più non esprime un atto decisivo isolato, ma uno stato continuo di fede. Questa semplice formula contiene la soluzione completa dei rapporti della fede e delle opere: la fede è la vita delle opere; le opere sono la conseguenza necessaria della fede" (Westcott).

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:16-18,36; 5:39; Deuteronomio 18:18-19; Salmi 2:12; Matteo 17:5; Marco 16:16; Atti 16:31

Atti 22:14-16; Romani 4:4-5; 9:30-31; 10:3-4; Ebrei 5:9; 1Giovanni 3:23; 5:1

30 30. Laonde essi gli dissero: Qual segno fai tu adunque, acciocché noi lo veggiamo, e ti crediamo? che operi?

Se in Giovanni 6:28 vi era nei suoi uditori qualcosa che rispondeva alle parole di Gesù, quel poco è già dissipato e l'incredulità regna di nuovo nei loro cuori. Dalle parole: "colui che egli ha mandato" capiscono che egli si atteggia a Messia, e, dimentichi del segno del giorno prima, il quale però li aveva entusiasmati al punto che volevan farlo re, domandano un altro e più notevol segno, forse un segno dal cielo Luca 11:16, per cui apparisse che egli era più grande di Mosè, e poteva nutrirli con pane più miracoloso ancora che la manna del cielo. Non lo volevano riconoscere come il Messia, né credere alla sua parola, senza un segno o dei segni più maestosi e più potenti di qualunque altro miracolo da lui compiuto fino a quell'ora. Indi la domanda: "Che operi?" Notisi la differenza, in quanto a fede, fra quanto Cristo domanda Giovanni 6:29: "che voi crediate in lui", e quanto essi sono disposti a dare: "crediamo" Giovanni 6:30; la prima frase denota la fede che salva, abbracciando Cristo con tutto il cuore; l'ultima esprime meramente il credere, fondandosi sulla testimonianza dei sensi, che egli diceva la verità, i demoni fanno altrettanto Giacomo 2:19. I Giudei ebbero segni e prove ad esuberanza che Gesù era il vero Messia, ma a quelle chiusero gli occhi; così pure all'incredulo dichiarato dei nostri giorni non mancano le evidenze in favore della religione cristiana, ma egli non le vuol guardare, né esaminare.

PASSI PARALLELI

Giovanni 2:18; 4:8; Esodo 4:8; 1Re 13:3,5; Isaia 7:11-14; Matteo 12:38-39; 16:1-4

Marco 8:11; Luca 11:29-30; Atti 4:30; 1Corinzi 1:22; Ebrei 2:4

Giovanni 6:36; 10:38; 12:37; 20:25-29; Isaia 5:19; Marco 15:32

31 31. I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, come è scritto: Egli diè loro a mangiare del pan celeste.

Alcuni vedono in queste parole l'intenzione di opporre al miracolo compiuto da Cristo nel nutrire alcune migliaia di persone per un giorno solo, il fatto che Mosè avea cibato, nel deserto, centinaia di migliaia di persone, durante quaranta anni di seguito. Questo può essere; però, a parer nostro, il miracolo di Gesù non è più presente alla mente dei suoi uditori, e le parole di questo versetto sono semplicemente il complemento della domanda: "Che operi?" quasiché dicessero: "Ecco dinanzi a te l'esempio di Mosè; egli ha nutrito il popolo col pan celeste, nel deserto. Puoi tu far cosa alcuna che agguagli o superi quella? Non staremo paghi a meno!" Questa citazione è presa da Salmi 78:24, e se, come pare, fu messa avanti da uno del comun popolo, essa prova quanta conoscenza della Sacra Scrittura avessero anche i più poveri fra i Giudei. È bene notare che i Giudei parlano della manna nel deserto come di un fatto storico, noto a tutti, e che nel vers. seguente il Signore conferma appieno la verità di quel miracolo.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:49; Esodo 16:4-15,35; Numeri 11:6-9; Deuteronomio 8:3; Giosuè 5:12; Nehemia 9:20; Salmi 105:40

Nehemia 9:15; Salmi 78:24-25; 1Corinzi 10:3; Apocalisse 2:17

32 32. Allora Gesù disse loro: in verità, in verità, io vi dico, che Mosè non vi ha dato il pane celeste; ma il Padre mio vi dà il vero pane celeste.

"Lett. Non fu Mosè che vi diede il pane celeste; ma ecc.". L'importanza della verità dichiarata in questo versetto si vede dal solenne: "in verità, in verità, io vi dico, che troviamo qui per la seconda volta in questo discorso. Ogni parola di esso è una enfatica negazione di quanto avevano asserito. Alcuni l'intendono così: "Non fu Mosè che diede la manna ai vostri padri; egli non fu neppure lo strumento di trasmissione di essa Esodo 16:4; al più, essa proveniva dal cielo inferiore ed era destinata a perire; ma mio Padre, il quale fu il vero datore della manna nel deserto, è quello che ora vi dà, dal cielo, quello che è, nel senso più elevato, il vero pane, atto a sostentar l'anima". Altri lo spiegano così: "Benché Mosè vi abbia dato del pane, quello non era però il vero pane spirituale adatto ai bisogni dell'anima; ma un tal pane ora ve lo dà il Padre mio". Preferiamo la prima spiegazione. L'espressione "vi dà" non implica necessariamente che i Giudei ricevessero quel pane, ma solo che esso veniva loro offerto, sicché potevano anche rifiutarlo.

PASSI PARALLELI

Esodo 16:4,8; Salmi 78:23

Giovanni 6:33,35,41,50,55,58; 1:9; 15:1; Galati 4:4; 1Giovanni 5:20

33 33. Perciocché il pan di Dio è quel che scende dal cielo,

Il "pan di Dio" sembra lo stesso che il "vero pan celeste" del vers. precedente, cioè il cibo vero dell'anima, quale Iddio lo ha preparato. C'è diversità di opinione riguardo al modo migliore di tradurre l'articolo che precede "scende ", perché il Greco permette di tradurre; "colui che viene" o "quello, "il pane ", che viene"; però sembra più naturale intenderlo del pane, in continuazione della figura precedente:

1) perché Cristo non identifica sé stesso col pane fino a Giovanni 6:35;

2) perché il popolo ancora non sembra avere inteso che Gesù parla direttamente di sé medesimo;

3) perché un tal senso si confà meglio con quello sviluppo graduale della verità, che caratterizza così bene questo capitolo.

e dà vita al mondo.

Queste parole sono molto significative. Esse implicano un contrasto fra la manna e il pane di Dio, riguardo alla loro capacità di sostener la vita; la manna aveva nutrito le dodici tribù d'Israele, ma il vero pane è pel mondo intero e dà vita a chiunque ne mangia, sia Giudeo o Gentile.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:26; 4:15; Salmi 4:6

34 34. Essi adunque gli dissero: Signore, dacci del continuo cotesto pane.

Calvino ed alcuni altri erroneamente considerano questa domanda dei Giudei come ironica, quasiché accusassero Gesù di falso vanto per essersi dichiarato atto a dare il vero pan della vita. Considerata assieme al vers. precedente, ci pare che questa domanda sia stata fatta sul serio e in buona fede, per ottener quel, pane che scende dal cielo, e del quale Cristo aveva allora parlato. E chiaro che fin qui non si sognavano neppure che Cristo parlasse di sé medesimo. Egli avea promesso loro un cibo più duraturo della manna, ed essi accettavano la sua offerta, supponendo che quel pane, benché miracoloso, in quanto alla sua origine, fosse però, come la manna, di sostanza materiale. "del continuo ", detto di questo pane, corrisponde alla provvista di manna rinnovata ogni mattina. Se solo potessero giungere ad avere un cibo migliore e più durevole della manna, senza esser più costretti a guadagnarsi il pane col sudor del loro volto, la loro condizione sarebbe invidiabile davvero! Indi il loro grido: "Signore, dacci del continuo ecc.". Era la domanda egoista di uomini guidati da istinti ed aspirazioni inferiori. Come la Samaritana, quando fu illuminata solo in parte, pensava che l'acqua viva, "letteralmente intesa", doveva almeno essere una cosa utilissima, atta a risparmiarle molta fatica; così questa moltitudine si figurava che sarebbe per essa un gran bene il possedere un cibo continuo e più nutriente della manna antica. Per le menti carnali anche le verità spirituali assumono una forma carnale. Per questo, la moltitudine erroneamente conchiuse che il pane offertogli fosse di sostanza materiale; ma Cristo corregge il suo errore, rivelando sé stesso, e conducendo, nel resto del suo discorso, i suoi uditori verso più alte verità. Le divisioni naturali di questo discorso ci vengon date dalle interruzioni e dalle osservazioni degli uditori. Dopo ciascuna di queste interruzioni, si nota una progressione nell'insegnamento di Gesù, Vedi Giovanni 6:34,41-42,52,60.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:41,48-58; 1Corinzi 10:16-18; 11:23-29

Giovanni 6:37,44-45,65; 5:40; 7:37; Isaia 55:1-3; Matteo 11:28; Apocalisse 22:17

Giovanni 6:13-14; 7:38; Isaia 49:10; Luca 6:25; Apocalisse 7:16

35 35. E Gesù disse loro: io sono il pan della vita;

Avendo condotto i suoi uditori ad esprimere il desiderio di avere il pane che scende dal cielo, il Signore abbandona ora ogni circonlocuzione ed ogni riserva, in quanto al senso delle sue parole, e dice loro chiaramente che avea parlato di sé medesimo, che egli è il "pan della vita", cioè il pane che contiene la vita in sé stesso, e può per conseguenza darla al mondo. Trentacinque volte, nel resto di questo discorso, egli fa uso del pronome personale: "io" e "me". "il pan della vita", in opposizione a quello che nutre il corpo, è quello che dà un cibo eterno all'anima immortale. Gli uditori di Gesù conoscevano il valore del pane, per la vita del corpo; lo sapevano atto ai bisogni di tutti, di qualità nutrienti in sommo grado, e cibo di cui nessuno si stanca mai. Cristo adunque continua a far uso di questo emblema, perché nessun altro era così atto a far capire ai sudi uditori e alle generazioni future ciò che egli è, per tutte le anime che credono in lui.

chi viene a me non avrà fame, e chi crede in me non avrà giammai sete.

"il veniente ", ci presenta la fede nella sua attività esterna la volontà rivolta verso Gesù; "il credente ", ce la presenta nel suo aspetto interno, come un continuo movimento dell'anima per unirsi a lui. Ciascuno di questi verbi, con una forza sua speciale esprime la relazione permanente che deve esistere fra il vero discepolo e il suo Maestro; ma solo con una combinazione come quella che troviamo in questo passo, potremmo vederci vividamente presentata, così la soddisfazione immediata di spirito come quella soddisfazione continuata che Gesù impartisce ai suoi. Ryle dice: "il venire è il movimento dell'anima verso Cristo; il credere è il riposo dell'anima in Cristo. Se v'è qualche differenza fra i due, sarà forse che il venire è il primo atto dell'anima sotto l'impulso dello Spirito Santo, e, il credere è un atto, continuato, o un'abitudine, che non cessa mai. Nessuno viene a Gesù se non crede, e tutti quelli che vengono, continuano a credere". Le parole: "non avrà fame, non avrà giammai sete", descrivono la felicità di quelli che si riposano in Cristo, come conscia e duratura. Non voglion dire però che un vero credente non sentirà mai più né bisogno, né vuoto, né mancanza qualsiasi. Egli avrà forse i suoi periodi di letargo spirituale, perderà forse per un tempo il sentimento del suo perdono, o la gioia della religione; ma egli non potrà più perire. Il pane di vita gli darà nuove forze, e l'amor di Cristo lo solleverà al disopra di tutti i timori. Come non possiamo riconoscere, checché ne dicano alcuni commentatori, nel miracolo della moltiplicazione dei pani un simbolo della festa di Pasqua, così non ci riesce scoprire qui nella duplice figura: "non avrà fame" ecc. qualsiasi allusione a quella medesima festa.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:41,48-58; 1Corinzi 10:16-18; 11:23-29

Giovanni 6:37,44-45,65; 5:40; 7:37; Isaia 55:1-3; Matteo 11:28; Apocalisse 22:17

Giovanni 6:13-14; 7:38; Isaia 49:10; Luca 6:25; Apocalisse 7:16

36 36. Ma io v'ho detto che, benché mi abbiate veduto (lett. mi avete realmente veduto ecc. il primo dando enfasi al fatto), non però credete.

Non essendovi nei Vangeli passo alcuno dove si trovino le parole identiche di questo versetto, molte supposizioni sono state fatte per scoprire a che si riferisca il verbo "ho detto". Alcuni l'intendono di una dichiarazione di Gesù non ricordata dagli Evangelisti; altri suppongono, prima del cap. 6. un frammento ora perduto; altri lo riferiscono ad un rimprovero che è sottinteso in tutto il Vangelo, e Meyer lo spiega nel senso di dictum velim, "desidero dire", benché non possa addurre, in tutto il Nuovo Testamento, esempio alcuno di un tal uso della parola. Se quel verbo si riferisce a qualche dichiarazione antecedente del Signore, la difficoltà sarà di trovare di quale si tratti. La verità espressa in questo versetto si trova pure in Giovanni 5:43; ma quest'ultima dichiarazione di Gesù fu fatta in Gerusalemme, ad uditori molto diversi. Probabilmente il Signore ha qui in vista le sue parole Giovanni 5:26 dove è espressa l'idea del nostro versetto. Il giorno prima, Cristo avea fatto loro vedere la sua potenza divina, mediante un segno così meraviglioso, che avrebbe dovuto da solo convincerli di essere in presenza del promesso Messia, ed aprirgli i loro cuori; ma lungi dal credere in lui come Figliuol di Dio, lo seguirono unicamente nella speranza che, ripetendosi quel miracolo, potessero venire nuovamente saziati.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:26,30,40,64; 12:37; 15:24; Luca 16:31; 1Pietro 1:8-9

37 37. Tutto quello che il Padre mi dà verrà a me,

Afflitto per la incredulità dei suoi uditori, che egli avea allora svelata, Gesù conforta il proprio spirito e s'incoraggia nell'opera sua, dichiarando in questo versetto, che una tale incredulità non può render vana né la missione per adempir la quale egli è venuto in terra, né l'eterno consiglio di suo Padre. È singolare, benché si ritrovi nuovamente in Giovanni 17:2, l'espressione qui usata per descrivere ciò che vien dato dal Padre. Il numero singolare, e il genere neutro, "tutto ciò che", vi sono usati per indicare gli eletti da Dio dati a Cristo, come in una sola massa un tutto integrale; mentre al principio della clausola seguente, il numero singolare e il genere maschile "colui che viene", serve a designare ogni singolo individuo di quella massa. Alcuni confondono il "dare" del Padre qui col "trarre" di Giovanni 6:44 e mantengono che questo dare è semplicemente "un atto effettuato da Dio nel cuor di ogni uomo, al momento in cui egli si decide a credere", se no, si sarebbe usato qui il tempo perfetto, "ha dato" anziché il presente. Una tale interpretazione potrebbe convenire al "trarre" del ver. 44, e al "venire" di questo; ma non si concilia con la "la massa", mentre l'uso del presente "", si riferisce al patto eterno del Padre col Figlio, mediante il quale quel dono vien costantemente rinnovato. Queste parole ci mettono dinanzi agli occhi la grande verità che il Padre, dai secoli eterni, ha dato al Figlio un popolo tratto da questo mondo, eleggendolo e nominandolo a vita eterna, per essere il suo popolo speciale. Le parole "verrà a me" esprimono ad un tempo il potere irresistibile della grazia di elezione, e la gloriosa certezza che un popolo si schiererebbe intorno a lui, benché forse non ne dovessero far parte i suoi uditori di quel momento il Padre essendo impegnato a far sì che la sua promessa divenga una realtà.

ed io non caccerò fuori,

"lett. mai, o in nessun modo, forma assai più potente di negazione"

colui che viene a me.

Notiamo di nuovo la distinzione fra coloro di cui vien parlato nella clausola precedente e quelli cui si accenna in questa. Nella prima si parla di quella massa collettiva data dal Padre, la quale verrà a Cristo; qui invece egli è di ogni individuo, che verrà a lui, che Gesù dichiara che "non lo caccerà fuori in nessun modo". Le parole del Salvatore in questo passo rivelano la sua infinita prontezza a ricevere, perdonare e prendere per sempre sotto la sua protezione ogni peccatore che lo ricerchi con sincerità. Cacciar fuori del campo i lebbrosi, cacciar dalla sinagoga o dalla congregazione, erano idee famigliari al popolo; ma qui il Signore, come sommo pastore, accerta che nessuna sua pecora verrà mai cacciata dall'ovile. Il senso è: "Ben lungi dal cacciarla, la riceverò con gioia quando essa verrà; non la caccerò né pei suoi peccati passati, né per la sua presente debolezza; ma la mia grazia e la mia potenza la custodiranno per sempre". Brown giustamente osserva che come nella clausola precedente vien messo in luce il lato divino della salvezza del peccatore, così in questa, e più specialmente nelle parole "colui che viene a me", è messo in vista il lato umano di essa. Se quest'ultimo fosse stato mancante, si sarebbe potuto conchiudere che, nel movimento del peccatore verso Cristo, non vi sieno in azione che delle leggi divine e a noi inescrutabili, mentre in questo versetto veniamo accertati che quella grazia non ha effetto che mediante passi volontari dell'uomo verso lui, e l'accettazione nostra di lui; aprendo così larga la porta a tutti, senza limiti né condizioni, a patto che si venga realmente a lui".

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:39,45; 17:2,6,8-9,11,24

Giovanni 6:44,65; 10:28-29; Salmi 110:3; Efesini 2:4-10; Filippesi 1:29; 2Tessalonicesi 2:13-14

2Timoteo 2:19; Tito 3:3-7

Giovanni 9:34; Salmi 102:17; Isaia 1:18,19; 41:9; 42:3; 55:7; Matteo 11:28; 24:24

Luca 23:40-43; Romani 5:20; 1Timoteo 1:16; Ebrei 4:15; 7:25; 1Giovanni 2:19; Apocalisse 22:17

38 38. Perciocché io son disceso dal cielo,

A Nicodemo Gesù aveva parlato oscuramente del "Figliuol dell'uomo che è disceso dal cielo" Giovanni 3:13; e in questo capitolo, facendo allusione alla manna Giovanni 6:33, si era presentato figurativamente come "il pan che scende dal cielo"; ma qui, abbandonando, ogni linguaggio figurativo, dichiara di essere egli stesso disceso dal cielo.

non acciocché io faccia la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

Pur dichiarando di possedere una volontà propria ed indipendente, una volta di più identifica quella sua volontà con quella del Padre suo celeste, perché una filiazione perfetta implica una tale perfetta identità di volere e di operare Giovanni 5:19. Lo scopo di questo versetto è di darci la ragione per la quale Cristo non caccerà fuori quelli che vengono a lui cioè perché è la volontà di Dio che tutti quelli che gli sono stati dati dal Padre, sieno da lui ricevuti, ed egli è sceso quaggiù espressamente per far la volontà di suo Padre.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:33; 3:13,31; Efesini 4:9

Giovanni 4:34; 5:30; Salmi 40:7-8; Isaia 53:10; Matteo 20:28; 26:39-42; Romani 15:3

Filippesi 2:7-8; Ebrei 5:8; 10:7-9

39 39. or questa è la volontà del Padre che mi ha mandato:

La vera lezione qui dovrebbe essere "di colui che mi" ecc. perché i manoscritti più autorevoli e le versioni omettono padre.

ch'io non perda niente di tutto ciò ch'egli mi ha dato; anzi, ch'io lo risusciti nell'ultimo giorno.

Qui, come in Giovanni 6:37, vien parlato del dono del Padre nella sua totalità, e Gesù dichiara qual'è il volere del Padre riguardo ad esso:

1. che egli non ne perda nulla, né per il potere di Satana, né lasciandolo cadere nella morte eterna. Non si potrebbe immaginare un parlare più forte relativamente alla perseveranza a vita eterna dei veri credenti, benché esso sia appieno corroborato dal linguaggio del Signore in un altro posto Giovanni 10:28-29. I veri credenti possono errare in molte cose; possono perfino parzialmente cadere; ma non saranno mai interamente cacciati fuori. E la volontà del Padre che nessuno perisca di quelli che egli ha dati a Cristo.

2. Che Cristo risusciti tutti gli eletti All'ultimo giorno. Il giorno qui indicato non è, come suppongono alcuni, quello di una risurrezione parziale, quando Cristo tornerà prima del Millennio, "se pur si ammette il suo ritorno a quell'epoca", che essi chiamano "la prima risurrezione"; ma la grande, solenne ed universale risurrezione, colla quale si chiuderà la storia del mondo, e che Gesù qui chiama enfaticamente "l'ultimo giorno". Chiunque crede nel Figliuolo riceve immediatamente la vita eterna Giovanni 3:36, ma, al giorno della risurrezione dei corpi, quel dono della vita eterna, già dato fino da ora, diverrà completo. Senza la risurrezione, la salute, la restituzione sarebbero incomplete. L'adozione non può essere consumata senza la redenzione del corpo Romani 8:23.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:40; Matteo 18:14; Luca 12:32; Romani 8:28-31; 2Tessalonicesi 2:13-14; 2Timoteo 2:19

Giovanni 6:37

Giovanni 10:27-30; 17:12; 18:9; 1Samuele 25:29; Colossesi 3:3-4; 1Pietro 1:5; Giuda 1

Giovanni 6:40,44,54; 5:28; 11:24-26; 12:48; Romani 8:11; Filippesi 3:20-21

40 40. ma altresì la volontà di colui che mi ha mandato è questa:

Lachmann, Tischendorff e Tregelles credono sufficiente l'autorità di alcuni manoscritti per sostituire in questo passo Padre a colui, mentre i più, mantengono colui come la vera lezione.

che Chiunque vede il Figliuolo, e crede in lui, abbia vita eterna; ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno.

Qui, come nel ver. precedente, vien fatto un passo avanti nello svolgimento di quel volere divino, per adempiere al quale Gesù è venuto nel mondo, e mentre Giovanni 6:39 era un commento sulla prima clausola di Giovanni 6:37 che esprimeva il lato divino della salvezza, questo è un commento sulla seconda clausola del medesimo versetto, la quale trattava il medesimo argomento dal punto di vista umano. È il volere di Dio che Cristo non perda nessuno della massa che gli è stata data; ma è parimenti il volere del Padre che la "vita eterna" sia la porzione di ogni individuo, che vede il Figliuolo e crede in lui. "Zoe" non indica solamente l'esistenza conscia di sé, né "aionios" semplicemente una durata senza fine, ma significa la vita che appartiene alla eternità, la specie e lo stato di vita più alti, di cui sia capace la creatura (Webster). Il senso di "che vede" è quello di "che avete veduto" nel versetto di Giovanni 6:36. Questi Galilei avevano spesso veduto Gesù coll'occhio esterno, e ne conoscevano il sembiante; eppure non credevano in lui. La loro conoscenza di lui era come lo sguardo superficiale di un uomo al proprio volto nello specchio, e che si dimentica non appena visto Giacomo 1:23-24; ma qui vedere vuol dire contemplare, il che implica un atto della volontà, il vedere con attenzione svegliata e con interesse questo è il primo passo verso la vera fede. L'esercizio del Potere mentale per vedere Cristo come Salvatore, il riceverlo, il fidare in lui, tutto ciò è l'accettazione, per parte dell'uomo, del dono di Dio. Gesù ripete nuovamente l'assicurazione che chiunque crede in lui in quel modo, egli, nell'esercizio del suo potere onnipotente, lo risusciterà dai morti "nell'ultimo giorno" Questa espressione sì ritrova non meno di sei volte nel Vangelo di Giovanni Giovanni 6:39-40, 44, 50; 11:24; 12:48 e cinque volte sopra sei è il Signore che ne fa uso. Per spiegare i rapporti che passano fra i ver. 39 e 40 Giovanni 6:39-40, chiuderemo questo soggetto colla seguente citazione di Brown. "Dio ha dunque una duplice volontà riguardo alla salvezza degli uomini. Egli vuole che quelli che ha affidati a suo Figlio gli vengano presentati irreprensibili dinanzi alla presenza della sua gloria, redenti da ogni iniquità, e che la loro polvere, che dorme nella tomba, sia risuscitata incorruttibile. Ma egli vuole pure che, se qualche povero peccatore, ignorante del suo segreto proponimento, ma attratto dalla gloria e dalla grazia di suo Figlio, crederà in lui, abbia vita eterna, e sia risuscitato, all'ultimo giorno".

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:36-37; 1:14; 4:14; 8:56; Isaia 45:21-22; 52:10; 53:2; Luca 2:30; 2Corinzi 4:6

Ebrei 11:1,27; 1Pietro 1:8; 1Giovanni 1:1-3

Giovanni 6:27,35,54; 3:15-18,36; 5:24; 10:28; 12:50; 17:2; Marco 16:16; Romani 5:21

Romani 6:23; 1Giovanni 2:25; 5:11-13; Giuda 21

Giovanni 11:25

41 41. I Giudei adunque mormoravano di lui, perciocché egli avea detto: io sono il pane ch'è disceso dal cielo.

Qui, come altrove in questo Vangelo, i Giudei rappresentano i partigiani locali dei Farisei e del Sinedrio i quali si erano mescolati alla folla cui Gesù parlava, ed ora cagionano una interruzione, coi loro mormorii di sdegno, per quanto egli aveva detto. La loro obbiezione principale non si basa, come forse si sarebbe potuto aspettare, sull'essersi egli dichiarato "il pan della vita": bensì sulle parole che seguono: "è disceso dal cielo", nelle quali credono di aver scoperto una menzogna, che son decisi svelare.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:43,52,60,66; 7:12; Luca 5:30; 15:2; 19:7; 1Corinzi 10:10; Giuda 16

Giovanni 6:33,48,51,58

42 42. E dicevano: Costui non è egli Gesù, figliuol di Giuseppe, di cui noi conosciamo il padre e la madre? Come adunque dice costui: io son disceso dal cielo?

Essi a ragione capiscono che egli attribuisce alla sua umanità una origine misteriosa, ben diversa dalla generazione ordinaria, e contro tale suo asserto sdegnosamente protestano. Non è costui il figlio di Giuseppe? Non conosciamo noi perfettamente la sua parentela? Non abbiamo conosciuto suo padre e sua madre? Matteo 13:55-56; Luca 4:22. Non sappiamo che accadesse nulla di misterioso o di soprannaturale alla sua nascita, come dunque ha egli l'impudenza di asserire falsamente di esser "disceso dal cielo?" Queste loro parole non ci danno verun indizio per sapere se Giuseppe fosse tuttora vivente; la parola "conosciamo" qui può voler dire solamente: sapere un fatto. È probabile anzi che fosse morto, poiché "non è fatta veruna menzione di lui nei Vangeli dopo che Gesù cominciò il suo pubblico ministerio", ma la cosa non può essere accertata.

PASSI PARALLELI

Giovanni 7:27; Matteo 13:55-56; Marco 6:3; Luca 4:22; Romani 1:3-4; 9:5; 1Corinzi 15:47; Galati 4:4

43 43. Laonde Gesù rispose, e disse loro: Non mormorate tra voi.

Gesù li riprende per i loro mormorii, solo perché lo interrompevano nel suo discorso; ma non degna dar loro spiegazione alcuna di quella contraddizione apparente. Nella loro disposizione attuale, sarebbe stato lo stesso che gettar perle dinanzi ai porci" Matteo 7:6.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:64; 16:19; Matteo 16:8; Marco 9:33; Ebrei 4:13

44 44. Niuno può venire a me,

Vi era un altro soggetto, in continuazione di quello che egli trattava prima di venire interrotto, e che era più importante di qualunque risposta ai loro mormorii, cioè come essi potrebbero venire a lui, in modo da godere i beni enumerati al ver. 35 Giovanni 6:35, e di questo soggetto egli parla in questo versetto. "Niuno" non abbraccia solamente i Giudei, ma tutta la razza umana, perché dopo la caduta, tutti gli uomini si trovano in istato di ribellione contro a Dio "intenebrati nell'intelletto, alieni dalla vita di Dio, per l'ignoranza che è in loro, per l'induramento del cuor loro" Efesini 4:18 Con volontà corrotta, con affetti centralizzati in cose terrene, sotto la schiavitù di Satana, l'uomo naturale non ha né il desiderio né il potere di venire a Cristo; egli è "morto nei falli e nei peccati" Efesini 2:1, è dunque impossibile che venga a Cristo, cioè che creda in lui a salute, per effetto della sua volontà e senza aiuto esterno Giovanni 5:40. È una impotenza che proviene da una natura corrotta, una impotenza del cuore e della volontà, ed è per l'anima un ostacolo così grande come sarebbero sbarre di ferro per il corpo! È la specie peggiore di impotenza, quella in cui il cuore e la mente sono depravati a segno di non poter ricever Cristo.

se non che il Padre che mi ha mandato lo tragga;

Questo "trarre" per parte di Dio il Padre non è violento, irresistibile; non fa pressione sulle inclinazioni e sulla volontà dell'uomo; ma è un'attrazione interna, sentita nell'anima. Essa produce tale uno sgomento di spirito, tali aspirazioni verso qualcosa di più stabile e più soddisfacente, tale un'ansietà riguardo alla salute dell'anima e alle pene future, da risvegliare il peccatore al sentimento del suo pericolo; e finisce colla "chiamata efficace", e la sua volonterosa accettazione di Cristo come suo Salvatore. Questo "trarre" il Padre lo adempie in vari modi esterni, secondo la sovranità della sua grazia: ora colla predicazione del Vangelo, ora con delle afflizioni, ora con un pensiero molesto od una parola udita, e che rimane "come un chiodo ficcato in un luogo fermo" Isaia 22:23; ma sempre mediante l'opera persuasiva, dolce ed efficace dello Spirito Santo, il quale, da tali piccoli principi, "convincendoci dei nostri peccati e miserie, illuminando la nostra mente nella conoscenza di Cristo, e rinnovando la nostra volontà ci persuade e ci fa capaci di abbracciare Gesù Cristo, liberamente offertoci nell'Evangelo. Si noti il nesso fra "che mi ha, mandato" Giovanni 6:40 e "tragga" in questo versetto. Come il Padre lo aveva mandato a cercar le anime, così il Padre completa l'opera sua, attirando le anime a Cristo, e facendole volonterose nel giorno del suo potere Salmi 110:3.

ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno.

La ripetizione di questa promessa già due volte proclamata Giovanni 6:39-40. Da per scopo di far vedere come pienamente si accordino la volontà del Padre e quella del Figlio nello schema della salute: il Padre attrae i suoi eletti e li affida al Figlio; il Figlio riceve, custodisce, disciplina e conserva per la vita eterna quelli che il Padre gli ha confidati nel suo ufficio di Mediatore Giovanni 10:28-29. "Fra questi due estremi 'tragga' e 'risusciterà' giace tutto lo sviluppo della vita spirituale" (Godet).

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:65; 5:44; 8:43; 12:37-40; Isaia 44:18-20; Geremia 13:23; Matteo 12:34; Romani 8:7-8

Giovanni 6:45,65; 3:3-7; Matteo 11:25-27; 16:17; Efesini 2:4-10; Filippesi 1:29; Colossesi 2:12

Tito 3:3-5

Giovanni 12:32; Cantici 1:4; Geremia 31:3; Osea 11:4

Giovanni 6:39-40

45 45. Egli è scritto ne' profeti: E tutti saranno insegnati da Dio.

La verità presentata in Giovanni 6:34, che la conversione di nessun uomo ha origine da lui stesso, ma che vi deve essere per parte del Padre un'opera che preceda la conversione e la fede, Gesù qui la conferma mediante gli scritti dei loro profeti, che avrebber dovuto convincerne le loro menti. Questa citazione trovasi sostanzialmente in Geremia 31:33; Ezechiele 11:19-20; 36:26-27, ma la congiunzione "e", che precede questa citazione, sembra indicare una citazione speciale, e questa la troviamo in Isaia 54:13, la cui idea centrale è una promessa di diretto insegnamento da Dio.

Ogni uomo dunque che ha udito dal Padre, e ha imparato, viene a me.

Questa è la conclusione tratta da Cristo dalla identità dell'insegnamento dei profeti col proprio. "trarre" e "l'udire" e "l'imparare dal Padre" significano la stessa cosa, cioè l'illuminazione interna e la forza di credere, che Dio, mediante il suo Spirito, produce nella conversione; e tutti quelli che avranno ricevuto un tal dono verranno volontariamente, ma con assoluta certezza, a Cristo. "Siccome nessuno può venire a me se non è attratto da Dio, così nessuno che sia attratto da Dio può mancar divenire a me" (Brown).

PASSI PARALLELI

Marco 1:2; Luca 1:70; 18:31

Isaia 2:3; 54:13; Geremia 31:33-34; Michea 4:2; Efesini 4:21-22; 1Tessalonicesi 4:9

Ebrei 8:10-11; 10:16

Giovanni 6:37,65; 5:38-40; 10:27; 16:14-15; Matteo 11:27; 17:5; Efesini 1:17; 1Giovanni 4:1-3

46 46. Non già che alcuno abbia veduto il Padre, se non colui ch'è da Dio; esso ha veduto il Padre.

Le parole "ch'è da Dio" sono nel greco lett. fuori da Dio, Vedi nota Giovanni 1:14. Questa frase implica non solo una missione da Dio, ma pure una relazione attuale di stretta dipendenza, l'immutata personalità di Cristo prima e dopo la incarnazione (Westcott). Perché niuno supponga che "l'udire e l'imparare" di Giovanni 6:45 sieno equivalenti a "vedere il Padre", il Signore parla in modo da fare una chiara e marcata distinzione fra la sua relazione col Padre e quella di qualunque altra persona. L'unigenito Figliuolo che è nel seno del Padre possiede solo quell'accesso libero ed immediato appo il Padre Giovanni 1:18; essendo provenuto dal Padre, egli lo proclama come un suo diritto. Egli solo conosce intimamente la natura di Dio, il suo carattere, i suoi proponimenti; questa conoscenza è superiore a quella che può possederne qualsiasi angelo od uomo, e si può comprendere solo coll'ammettere che Gesù è uguale a Dio.

PASSI PARALLELI

Giovanni 1:18; 5:37; 8:19; 14:9-10; 15:24; Colossesi 1:15; 1Timoteo 6:16; 1Giovanni 4:12

Giovanni 7:29; 8:55; Matteo 11:27; Luca 10:22

47 47. In verità, in verità, io vi dico: Chi crede in me ha vita eterna.

Per l'esposizione, Vedi Giovanni 5:24. Avendo risposto alla obbiezione dei Giudei, il Signore torna all'argomento del quale parlava Giovanni 6:40, colla enfatica dichiarazione di questo versetto, che prepara l'amplificazione della figura usata in Giovanni 6:35. Egli ora parla più chiaramente di sé stesso, abbandonando ogni riserbo e rivelandosi, senza figura, quale l'oggetto della fede. Egli dichiara che chiunque crede veramente in lui diviene immediatamente partecipe della vita eterna.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:40,54; 3:16,18,36; 5:24; 14:19; Romani 5:9-10; Colossesi 3:3-4; 1Giovanni 5:12-13

48 48. io sono il pan della vita

Per l'esposizione Vedi nota Giovanni 6:35. Queste parole son qui ripetute per provare ed accertare perché quelli che credono in lui abbiano vita eterna, e quest'è perché colui nel quale essi confidano è egli stesso "il pan della vita", il pane che ha in sé la vita eterna e può impartir quella vita a chiunque lo riceve.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:33-35,41,51; 1Corinzi 10:16-17; 11:24-25

49 49. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto, e morirono. 50. Quest'è il pane ch'è disceso dal cielo, acciocché chi ne avrà mangiato non muoia.

In questi versetti, Gesù torna alla manna, di cui il popolo si era vantato, come del segno della divina autorità di Mosè Giovanni 6:31, ma solo per contrastarne la virtù inferiore, con quella del pane celeste, che ora egli offriva loro. La manna non solo non poteva far nulla per l'anima, ma non poteva neppure salvar dalla morte i corpi di quelli che ne mangiarono nel deserto. Ecco il commento di Bengel su la parola "morirono": "et tamen mortui sunt", "eppur son morti", perché la manna non poteva stornare il colpo della morte. Ma la, virtù e l'efficacia di quel pane che è disceso dal cielo, "me stesso", è questa: che l'uomo che ne mangia non morrà mai più. Non è l'esenzione dalla morte fisica che ci vien qui promessa Genesi 3:19; Ecclesiaste 3:20, bensì quella vita eterna che salva l'anima dalla "morte seconda", e assicura la risurrezione del corpo, per godere con esso eterna gloria e felicità".

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:31

Numeri 26:65; Zaccaria 1:5; 1Corinzi 10:3-5; Ebrei 3:17-19; Giuda 5

Giovanni 6:33,42,51; 3:13

Giovanni 6:58; 8:51; 11:25-26; Romani 8:10

51 51. io sono il vivo pane, ch'è disceso dal cielo; se alcun mangia di questo pane viverà in eterno;

La verità espressa in Giovanni 6:35,40,47-48,50 è ripetuta qui con poco cambiamento, cioè che, invece di chiamarsi "il pane della vita", Gesù si chiama qui, "il vivo pane"; ed invece del pres. "che scende ", egli usa il perf. "che è sceso ecc.". La ragione del primo cambiamento si è che, laddove prima egli aveva parlato del pane come dato, ora che egli parla di sé stesso come del datore, è necessario che applichi a sé stesso quello che aveva detto avanti, e dichiari di essere il pane vivente, il quale dà a chi lo riceve di aver vita in sé. La ragione dell'ultimo cambiamento si è che, mentre il tempo presente, in Giovanni 6:35,50, erano atti ad indicare quello che si produce in modo continuo, era naturale far uso qui del tempo passato, per indicare un atto compiuto una volta per sempre. Cristo continua sempre a dar sé stesso agli uomini; ma divenne uomo una sola volta.

or (piuttosto e o di più, per dar maggior forza a quanto è stato detto) il pane ch'io darò è la mia carne, che io darò per la vita del mondo.

Da questo punto viene abbandonata la figura del pane, perché il Signore dichiara qui la cosa che egli aveva in vista nel farne uso: intendete che io parlo di ME STESSO, e che il pane che vi ho promesso è la mia propria carne, che io darò per la vita del mondo. In queste parole Gesù fa senza dubbio allusione al suo corpo offerto in sacrificio, quale, espiazione per il peccato; alla sua morte che è la redenzione, il prezzo di riscatto, con il quale la vita eterna doveva essere acquistata per un mondo di peccatori; e alla grande dottrina della sostituzione, così direttamente esposta in Romani 5:6-8. Notisi com'è larga e piena l'offerta di Cristo ai peccatori: "Se alcuno mangia" ecc. e sia d'essa un incoraggiamento ai più grandi colpevoli di correre a lui.

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:13; 4:10-11; 7:38; 1Pietro 2:4

Giovanni 6:52-57; Matteo 20:28; Luca 22:19; Efesini 5:2,25; Tito 2:14

Ebrei 10:5-12,20

Giovanni 6:33; 1:29; 3:16; 2Corinzi 5:19,21; 1Giovanni 2:2; 4:14

52 52. I Giudei adunque contendevan fra loro, dicendo: Come può costui darci a mangiar la sua carne?

I seguaci del Sinedrio lì presenti avevano principiato a mormorare Giovanni 6:41, quando Gesù si era dichiarato "il pan di vita", e la loro indignazione divenne più veemente, a misura che egli proseguiva il suo discorso, finché scoppiò in lotta violenta in mezzo alla udienza. La parola "combattevano", svela chiaramente che si trovavano, nella sinagoga, due partiti opposti, i quali discutevano con gran calore, da punti di vista contrari, le parole di Gesù, relativamente alla sua carne; un partito credendo in lui ed accettando la sua dottrina, mentre l'altro la trattava di assurda ed impossibile: "Come può costui (in senso spregiativo) darci a mangiar la sua carne?" Gli oppositori di Gesù prendevano le sue parole in senso puramente materiale, come aveva fatto Nicodemo, quando il Signore gli parlò della nuova nascita, indi il ridicolo che gettarono su ciò che loro pareva impossibile. Tanto è vero che "l'uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio, perciocché gli sono pazzia" 1Corinzi 2:14. Ma benché non ne capissero il senso spirituale, lo stesso loro linguaggio indica, che essi almeno intesero chiaramente che Gesù non parlava dei suoi doni, bensì di sé medesimo.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:41; 7:40-43; 9:16; 10:19

Giovanni 3:4,9; 4:11; Atti 17:32; 1Corinzi 2:14

53 53. Perciò Gesù disse loro: in verità, in verità, io vi dico che se voi non mangiate la carne del Figliuol dell'uomo, e non bevete il suo sangue, voi non avete la vita in voi.

È degno di nota che, come nel caso di Nicodemo, Gesù non tien conto della loro interruzione eccetto coll'aggiungere "bevete il suo sangue", e "mangiate la sua carne", e ripetendo riguardo ad entrambi con accento solenne, ma sotto forma negativa, la verità già espressa in Giovanni 6:50-51: "Se alcun mangia... vivrà in eterno", "se non mangiate... voi non avete la vita in voi". Se prima i Giudei erano indignati, questa chiara aggiunta del bere il suo sangue, da essi intesa pure, in senso materiale, deve avere suscitato in loro disgusto ed orrore, imperocché non solo dalla legge di Mosè, ma anche dai tempi più antichi, il cibarsi di sangue era stato espressamente proibito da Dio. Questo divieto è ripetuto non meno di sette volte nel Pentateuco Genesi 9:4; Levitico 3:17; 7:27; 17:10-14; 19:26; Deuteronomio 12:16, 23-24; 15:23, e questo divieto si fonda sui due fatti: che il sangue è la sede fisica della vita animale, e che il sangue faceva espiazione per l'anima. Perciò, queste parole di Gesù dovevan sembrar loro incomprensibili, benché ai più riflessivi e ai più sinceri dei suoi uditori, la separazione che egli fa fra la sua carne e il suo sangue dovesse dar l'idea della morte, "non naturale, ma espiatoria come è accennato in Giovanni 6:51, e così sollevare i loro pensieri al disopra dell'idea più grossolana che quelle semplici parole esprimevano. Quando poi egli asserisce che, senza questo mangiare e questo bere, "non avete la vita in voi", è impossibile che non abbiano inteso che Gesù non voleva dire che la vita dei loro corpi naturali dovesse venir mantenuta col mangiare materialmente la sua carne e il suo sangue. Quello che i Giudei, secondo il loro modo di intendere le parole di Gesù, hanno rigettato come assurdo ed orribile, la Chiesa Romana, la Chiesa Greca, ed altre Chiese orientali lo hanno accettato senza esitazione, insegnando che, dopo la consacrazione fatta dal prete, gli elementi del pane e del vino, nella Cena, del Signore, divengono realmente, carne e sangue di Cristo, a cui il comunicante partecipa in modo corporeo e carnale. Sarebbe impossibile immaginare una dottrina più assurda e più blasfematoria.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6

Giovanni 6:26,47; 3:3; Matteo 5:18

Giovanni 3:3,5; 13:8; 15:4; Matteo 18:3; Luca 13:3,5

Giovanni 6:55; 3:36; Matteo 26:26-28; 1Giovanni 5:12; Apocalisse 2:7,17

54 54. Chi mangia la mia carne, e beve il mio sangue ha vita eterna;

Questa è una ripetizione, in modo positivo, come in Giovanni 6:51, della verità espressa negativamente nel precedente versetto, fatta per imprimere più profondamente nei suoi uditori, la necessità di quell'unione con lui mediante, la fede, la quale è l'unico modo per l'uomo di giungere a vita eterna.

ed io lo risusciterà nell'ultimo giorno.

Questa è la quarta volta che il Signore pronunzia queste parole Giovanni 6:39-40,44, ma in contesti diversi; il motivo della loro ripetizione in questo versetto sembra essere di distinguere fra quella vita eterna che è concessa qui e subito, al momento della conversione, e la risurrezione del corpo all'ultimo giorno, la quale sarà l'apogeo della risurrezione spirituale, e la consumazione della redenzione dell'intero uomo.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:27,40,63; 4:14; Salmi 22:26; Proverbi 9:4-6; Isaia 25:6-8; 55:1-3; Galati 2:20

Filippesi 3:7-10

Giovanni 6:39-40,47

55 55. Perciocché a mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda.

"vero ", è stato sostituito, "veramente ", da Lachmann, Tischendorff ed altri critici moderni fondandosi sull'autorità del MS. Vaticano e di altri codici, nonché di molte versioni, e benché questo porti poco o punto cambiamento nel senso, l'adottarlo par rendere più enfatica l'asserzione di Cristo: "La mia carne è vero cibo. Queste parole la fanno finita con tutte le spiegazioni figurative"; e poiché egli è impossibile di cibarsi corporalmente di Colui "che siede nei cieli", è evidente che Gesù è egli stesso, nel suo sacrificio, e in tutta quanta, l'opera sua mediatoria, il vero cibo di ogni anima credente. In questo ver. il Signore dà la ragione di quanto aveva asserito in Giovanni 6:54, dicendo cioè che chiunque mangia la sua carne e beve il suo sangue ha la vita eterna in sé, perché la sua carne è vero cibo, e il suo sangue vera bevanda, sicché chiunque si ciba spiritualmente di lui, per fede, come essendo stato una volta crocifisso, ma ora vivendo alla destra del Padre, e possedendo ogni autorità in cielo e in terra" Matteo 28:18, "cammina di valore in valore" finché non raggiunga, il palio della superna vocazione di Dio in Gesù Cristo" Filippesi 3:14, cioè la risurrezione a gloria.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:32; 1:9,47; 8:31,36; 15:1; Salmi 4:7; Ebrei 8:2; 1Giovanni 5:20

56 56. Chi mangia la mia carne, e beve il mio sangue, dimora in me, ed io in lui.

Il risultato benedetto del "mangiar la carne di Cristo, ecc. che, in Giovanni 6:54, egli descrive come un venir messo in possesso della vita eterna, ci vien qui posto dinanzi agli occhi sotto la figura di una relazione più tenera ed affettuosa: il credente dimora in Cristo come sua giustizia, e Cristo dimora nel credente come sua santificazione! Mediante questa mutua dimora, la vita eterna è assicurata a chiunque si affida sinceramente a Cristo, come sua salute. Nel modo stesso che il cibo nostro materiale s'incorpora in noi, così Cristo e quelli che mangiano la sua carne e bevono il suo sangue divengono, spiritualmente parlando, una medesima vita, benché rimangan personalmente distinti.

PASSI PARALLELI

Lamentazioni 3:24

Giovanni 14:20,23; 15:4-5; 17:21-23; Salmi 90:1; 91:1,9; 2Corinzi 6:16; Efesini 3:17

1Giovanni 3:24; 4:12,15-16; Apocalisse 3:20

57 57. Siccome il vivente Padre mi ha mandato, ed io vivo per il Padre, così, chi mi mangia viverà anch'egli per me.

Gesù condiscende a darci un'altra spiegazione dei perché quelli che credono in lui hanno vita eterna, permettendo ai suoi uditori di gettare uno sguardo nel misterio della sua propria vita. Si è perché egli, come uomo, ha costante accesso alla unica fonte e sorgente di vita, che egli può dar vita ad altri. "il Vivente Padre" è una espressione che non ai trova in nessun altro luogo della Scrittura, ma che è molto appropriata qui, dove il soggetto è la vita. Colui che è, da ogni eternità e in modo assoluto, il vivente, mandò il proprio Figlio nel mondo, per comunicar quella vita ai peccatori condannati alla morte. Il Figlio vive, perché vive il Padre; la loro vita è una sola, quantunque il ricever la vita sia caratteristico del Figlio Giovanni 5:26. Perciò egli ha vita in sé stesso, e nella clausola finale di questo versetto egli dichiara che, stando col Figlio nei medesimi rapporti in cui questi sta col Padre, il credente che riceve e si appropria, "chi mi mangia" il Figlio che è Vita, vive egli pure, perché dimora in lui. Questo è il punto culminante di tutto il discorso.

PASSI PARALLELI

Salmi 18:46; Geremia 10:10; 1Tessalonicesi 1:9; Ebrei 9:14

Giovanni 5:26; 17:21

Giovanni 11:25-26; 14:6,19; 1Corinzi 15:22; 2Corinzi 13:4; Galati 2:20; Colossesi 3:3-4; 1Giovanni 4:9

58 58. Quest'è il pane ch'è disceso dal cielo; non quale era la manna che i vostri, padri mangiarono, e morirono; chi mangia questo pane viverà in eterno.

Questo versetto contiene la somma di quanto lo precede. Avendo parlato di sé stesso, come dell'unico sacrificio, mangiando e bevendo il quale si ottiene vita eterna, Gesù torna alla figura originale, dichiara di essere il pane disceso dal cielo, e fa risaltare il contrasto fra la manna, la quale pure era chiamata "pane celeste", benché non potesse liberar dalla morte quelli che ne mangiavano, ed egli stesso, "vero pane dal cielo", che assicura la vita eterna a tutti quelli che se ne cibano, giorno dopo giorno. Prima di abbandonar questo argomento, è necessario dare un cenno delle varie interpretazioni che ne sono state date. Molti credono che, essendo vicina la Pasqua, e non pochi fra i suoi uditori trovandosi in viaggio per questa festa in Gerusalemme, il Signore volesse volgere la loro attenzione su di sé stesso, qual vera Pasqua, e sacrificio sufficiente per il, peccato. Questo può esser vero; però, in quanto a noi, inchiniamo a credere che questo discorso non ebbe per occasione la festa di Pasqua, bensì nacque molto naturalmente dall'incidente di quella mattina, quando Gesù svelò lo scopo egoista di quelli che avevano attraversato il lago, lo scopo cioè di esser di nuovo miracolosamente nutriti da lui. Prendendo questo come suo punto di partenza, egli presenta gradatamente, e con sempre maggior chiarezza, la mancanza del potere vivificante della manna, le qualità salutari del pan di vita, e finalmente sé stesso, come il grande sacrificio per il peccato. Mangiando spiritualmente la sua carne e bevendo il suo sangue, i fedeli hanno la vita eterna. Altri considerano tutto il discorso, ma specialmente Giovanni 6:48-56, come un insegnamento profetico relativamente alla Cena del Signore, e ne traggono la dottrina esposta nei simboli di alcune delle Chiese protestanti evangeliche, cioè che, mangiando il pane e bevendo il vino in quel sacramento, noi, in modo spirituale, mangiamo la carne e beviamo il sangue di Gesù Cristo. Non è qui il luogo di discutere questi punti tanto controversi, Vedi Note Luca 22:19, Luca 22:20. Siamo pienamente convinti che questo discorso nulla ha che fare colla Cena del Signore:

1. perché essa venne istituita verso la fine del ministerio di Cristo, e il parlare di una cosa ancora da venire, sarebbe rimasto inintelligibile pei discepoli, non meno che per la moltitudine;

2. perché il Signore qui parla di una cosa che è assolutamente e indispensabilmente necessaria alla vita eterna, il che non può dirsi della Santa Cena.

Ma benché questo discorso non abbia nulla che fare colla Santa Cena, questo sacramento ha tutto da fare con esso, perché è l'incorporamento visibile delle figure qui usate, e dà, a chi vi partecipa con fede, una reale, vivente e commovente partecipazione alla carne e al sangue di Cristo, per il sostentamento, mentre siamo quaggiù, della nostra vita spirituale ed eterna. In questo passo, il Signore parlava di cosa più alta e più grande assai della santa Cena; ma dipoi, quando istituì quel sacramento, coi suoi vivi simboli del pane e del vino per rappresentare il suo corpo e il suo sangue, egli, senza dubbio, aveva in vista l'insegnamento dato in questi versetti, e usò parole atte a richiamarlo alla memoria dei suoi discepoli.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:32,34,41,47-51

59 59. Queste cose disse nella sinagoga insegnando in Capernaum.

Tali parole indicano che l'udienza si disperse in quel momento, e troviamo narrato nei vers. seguenti quello che avvenne immediatamente dopo. Parrebbe che Gesù, cominciato il suo discorso al punto di sbarco, fuori della città, lo terminasse nella sinagoga, dove la folla si riunì per udirlo. A qual momento si passasse dalla riva del lago alla sinagoga non vien detto; ma vari scrittori suppongono che ciò, avvenisse prima di quanto è narrato nel vers. Giovanni 6:41. "Se accettiamo la identificazione di Capernaum con Tell Hum, Vedi nota Matteo 4:13 che sembra assai probabile, abbiamo buone ragioni per credere che la Società per la Esplorazione della Palestina ha scoperto i fondamenti della sinagoga stessa, nella quale questo discorso venne pronunziato. Essa era stata data ai Giudei da un pio Gentile Luca 7:5, e perciò di architettura più bella delle sinagoghe ordinarie della Palestina. Fra quelle rovine sì trovano dei capitelli d'ordine corinzio, ed un pesante cornicione con dei fregi, sicché l'occhio del viaggiatore forse si posa oggidì sugli ornamenti medesimi che il nostro Signore vide diciotto secoli fa" (Watkins).

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:24; 18:20; Salmi 40:9-10; Proverbi 1:20-23; 8:1-3; Luca 4:31

60 

Effetto di questo discorso sopra quelli che fino allora si eran professati discepoli di Gesù, Giovanni 6:60-71

60. Laonde, molti dei suoi discepoli, uditolo dissero: Questo parlare è duro, chi può ascoltarlo?

Sotto il titolo generico di "discepoli", l'Evangelista, nei versetti che seguono, include insieme agli Apostoli, molte persone che avevano abbandonato le loro occupazioni ordinarie, per andare dietro a Gesù, e alle quali i suoi insegnamenti erano stati fino a quell'ora accettevoli. Fra costoro, alcuni seguivan Gesù per motivi interessati, ma altri erano sinceri e senza secondi fini, benché non ancora partecipi della vera fede. Questi avevano fino allora ascoltato il Signore con vivo interesse; ma ora inciampano e si offendono, non già, come credono alcuni, per il discorso tutto intero, ma per l'ultime parole di esso, relative al mangiar la sua carne e bere il suo sangue. Questa essi chiamano "parola dura", non già perché incomprensibile, ma perché pareva loro empia. Non fu la difficoltà, ma l'odiosità di quella parola che li scandalizzò. Nello stesso modo "ascoltare", che segue non significa intendere, ma ascoltar con pazienza e senza tapparsi le orecchie una simile dottrina. La durezza di quella "parola" consiste nel fatto che essa additava una sola via di vita, che essi non accettavano; da ciò la loro ripulsione.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:66; 8:31

Giovanni 6:41-42; 8:43; Matteo 11:6; Ebrei 5:11; 2Pietro 3:16

61 61. E Gesù, conoscendo in sé stesso che i suoi discepoli mormoravan di ciò, disse loro: Questo vi scandalizza egli?

Gesù si presenta di nuovo a noi come colui che legge nei cuori, Confr. Giovanni 2:24-25; 4:16; 5:42; 6:26. Senza dubbio osservò segni esterni di disapprovazione, per quanto timidamente espressi; ma non gli occorreva udire per sapere. "La parola 'scandalizza' deve esser presa nel suo senso più grave, come indicante la causa del naufragio in quanto alla fede" (Godet).

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:64; 2:24-25; 21:17; Ebrei 4:13; Apocalisse 2:23

62 62. Che sarà dunque, quando vedrete il Figliuol dell'uomo salire ove egli era prima?

Lett. se dunque vedrete ecc. È questo un esempio di aposiopesi, ossia di interruzione nel mezzo di una frase, per fermar l'attenzione. Per completar quella frase sarebbe d'uopo aggiungere: "Che direste?" Secondo il senso che si dà alla parola "salire", questa frase incompleta è stata interpretata in due maniere: "Cesserebbe in quel caso lo scandalo che vi danno le mie parole?" ovvero: "Non sareste voi allora maggiormente scandalizzati?" Quelli che adottano quest'ultima interpretazione intendono il "salire" soprattutto della morte di Cristo, mediante la sua elevazione in sulla croce, con l'ignominia che l'accompagnerebbe e non tengono conto alcuno del nesso colle parole che seguono: "ove egli era prima". Se siete scandalizzati all'annunzio della mia morte, non lo sarete voi ancora più quando ne sarete spettatori, nelle circostanze in cui essa avverrà?" Questo sembra un argomento così debole e spuntato, che lo si può immediatamente abbandonare, soprattutto, come nota Godet, quando si tiene in mente il nesso fra "scendere", sempre usato in questo capitolo per significare la incarnazione, e "salire", unito alle parole: "ove egli era prima", le quali non possono certo intendersi della croce; bensì contengono una chiara affermazione della preesistenza di Cristo. L'espressione usata dal Signore stesso per indicare la sua elevazione in croce è "innalzare". I padri più antichi e la maggioranza dei commentatori moderni concordano che il Signore parla qui della sua ascensione in cielo, che gli Apostoli contemplarono coi propri occhi, e che molti lì presenti, per la testimonianza di quelli, videro più tardi in fede. L'altro complemento che si suggerisce per la domanda incompleta del Signore è: "Cesserebbe in quel caso il vostro scandalo?" e pare la interpretazione più giusta. Lo adottavano i commentatori antichi quali Grisostomo, Cirillo, Teofilatto, Agostino; così pure Calvino, e ai tempi nostri, Hutchison, Alford, Stier, Godet ecc. Gli dà maggior peso, secondo Stier, la probabilità che il Signore desiderava di rimuovere le difficoltà, di calmare le apprensioni, e di lasciare a quei discepoli che lo abbandonavano qualche raggio di speranza per l'avvenire. Il ragionamento del Signore sembra essere stato: "L'idea, di mangiare letteralmente la mia carne, e di bere il mio sangue vi scandalizza essa? Quello scandalo cesserà, quando mi vedrete salire in cielo col mio corpo, perché allora quel mangiare letterale sarà impossibile, e comincerete a capire che le mie parole hanno un senso diverso da quello che attribuite loro".

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:13; 16:28; 17:4-5,11; Marco 16:19; Luca 24:51; Atti 1:9; Efesini 4:8-10

1Pietro 3:22

63 63. Lo spirito è quel che vivifica, la carne non giova nulla.

È sufficientemente chiaro il senso generale di questo versetto, cioè che le Parole del Signore devono essere intese spiritualmente; ma esaminate da vicino le parole offrono alcune difficoltà. L'affermazione della prima clausola è di applicazione generale: la carne, separata dallo spirito, che l'anima e la guida, è morta, inerte, inutile; ma il Signore fece quella osservazione con riguardo speciale a ciò che aveva detto poco prima e che avea dato tanto scandalo. Vi sono tre vedute diverse riguardo al senso di questa clausola, e ciascuna di esse ha validi sostenitori:

1. Che "lo spirito" qui significa la natura divina di Cristo, senza la quale la sua carne, come mera natura umana, non poteva; risvegliare le anime;

2. Che "lo spirito" qui significa lo Spirito Santo, terza persona della Trinità che solo può comunicare all'uomo la vita spirituale;

3. Che "lo spirito" indica qui che il comprendere le parole di Cristo nel loro senso spirituale, in opposizione alla "lettera", può solo dar vita all'anima.

La seconda di queste opinioni ci par da preferirsi. Secondo questa, il Signore vuol dire che la mera carne, e tutte le nozioni religiose che hanno origine da essa, non giovano a nulla, e molto meno possono impartire quella vita che lo Spirito Santo solo comunica all'anima.

le parole che io vi ragiono (la lezione io ho parlato, è da preferirsi a io parlo) sono spirito e vita.

"Le parole che io ho parlato" possono intendersi dell'intero discorso; ma più probabilmente dell'ultima parte di esso, e il tempo passato ben si applicherebbe all'assemblea che poco prima si era dispersa. Quelle parole sono spirito e vita. Possono essere carnalizzate, male intese, volontariamente pervertite, ma dovunque trovano entrata, manifestano la loro vera natura. Stier e Alford considerano "le parole" in questo versetto, come da riferirsi esclusivamente a "mia carne e mio sangue" Giovanni 6:55-56, e il senso sarebbe: "Esse sono spirito, non mera carne, cibo vivente, non carnale e perituro. Alford si lagna che questo senso sia sfuggito a quasi tutti i commentatori; perciò, benché non ne siamo persuasi gli diamo un posto qui.

PASSI PARALLELI

Genesi 2:7; Romani 8:2; 1Corinzi 15:45; 2Corinzi 3:6; Galati 5:25; 1Pietro 3:18

Romani 2:25; 3:1-2; 1Corinzi 11:27-29; Galati 5:6; 6:15; 1Timoteo 4:8; Ebrei 13:9

1Pietro 3:21

Giovanni 6:68; 12:49-50; Deuteronomio 32:47; Salmi 19:7-10; 119:50,93,130; Romani 10:8-10,17

1Corinzi 2:9-14; 2Corinzi 3:6-8; 1Tessalonicesi 2:13; Ebrei 4:12; Giacomo 1:18; 1Pietro 1:23

64 64. Ma ve ne sono alcuni di voi, i quali non credono

Gesù spiega qui perché le sue parole avean dato scandalo, perfino nel cerchio di quelli che lo aveano seguito e si professavano suoi discepoli. Mancava loro la fede, e il suo discorso lo aveva messo in evidenza. Essi non credevano realmente che egli fosse il Messia, e ad onta delle parole dette con tanta bontà, per rimuovere i loro dubbi, continuarono nella loro incredulità.

conciossiaché Gesù conoscesse fin dal principio chi fosser coloro che non credevano, e chi fosse colui che lo tradirebbe

L'Evangelista ci dà un altro esempio del discernimento col quale il Signore leggeva i sentimenti e le inclinazioni dei cuori. Dal primo principio del suo ministerio, egli conosceva da quali sentimenti erano animati i suoi discepoli, aveva scoperto la incredulità segreta di quelli che ora mormoravano, anzi avea letto nel cuor di Giuda l'avarizia da cui era stato condotto a professarsi discepolo, benché non fosse giunto ancora il momento di svelarla. Se si domanda come mai, conoscendolo come lo conosceva, Gesù abbia ammesso Giuda nel numero degli Apostoli, rispondiamo con Godet: "Era la volontà del Padre, fattagli conoscere nella notte che passò sul monte, in comunione con Dio, prima di ordinare gli Apostoli". "Il dolore e l'afflizione, che la conoscenza anticipata della condotta di Giuda deve aver dato al cuor di Gesù, è una parte delle sue sofferenze che non dobbiamo scordare" (Ryle).

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:36,61; 5:42; 8:23,38-47,55; 10:26; 13:10,18-21

Giovanni 6:70-71; 2:24-25; 13:11; Salmi 139:2-4; Atti 15:18; Romani 8:29; 2Timoteo 2:19

Ebrei 4:13

65 65. E diceva: Perciò vi ho detto che niuno può venire a me se non gli è dato dal Padre mio.

È questa una continuazione della prima clausola di Giovanni 6:64, "la seconda essendo una osservazione fra parentesi dell'Evangelista" Cristo ivi spiega come, fra quelli che professavansi discepoli, ve ne potessero essere i quali non aveano creduto, e ricorda quanto già avea dichiarato in Giovanni 6:44. La vostra incredulità è una illustrazione di quanto vi ho detto intorno alla necessità di venire insegnati da Dio, di esser cioè attratti dal Padre, prima che si possa venire a me. L'ultime parole: "se non gli è dato dal Padre mio", mostrano che il "trarre" del Padre, in Giovanni 6:44, è opera interna ed efficace, poiché, ricordando quella dichiarazione, Gesù dice qui che "il venire" a Cristo deve esser dato all'uomo.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:37,44-45; 10:16,26,27; 12:37-41; Efesini 2:8-9; Filippesi 1:29; 1Timoteo 1:14

2Timoteo 2:25; Tito 3:3-7; Ebrei 12:2; Giacomo 1:16-18

66 66. Da quell'ora molti dei suoi discepoli si trassero indietro, e non andavano più attorno con lui.

E questo il primo esempio dello "scandalo della croce", o almeno della dottrina che implicava la croce, per parte di molti, i quali, a giudizio d'uomo, sarebbero passati per discepoli sinceri. Oimè! quante moltitudini hanno seguito i loro passi da quel tempo in poi, ad onta dell'ammonimento solenne: "Se alcuno ha vergogna di me, e delle mie parole, fra questa generazione adultera e peccatrice, il Figliuol dell'uomo altresì avrà vergogna di lui, quando sarà venuto nella gloria del Padre suo, con i santi angeli" Marco 8:38. Questi uomini, dopo aver per un poco di tempo seguito il Cristo, ritornarono alle loro case e ai loro affari, e non si trovarono più, da quel momento, fra quelli che lo seguivano. Ciò non vuol dire che fossero stati buoni cristiani, eppoi cessassero di esser tali, o, in altre parole, che fossero decaduti dalla grazia; le parole del Signore, Giovanni 6:64, contraddicono chiaramente una tale interpretazione. Impariamo da questo a non meravigliarci della apostasia di tanti, che professarono di seguir Cristo. Se erano stati attratti a lui dalla speranza di qualche guadagno temporale, o da qualche eccitazione pubblica, come fu il caso di quelle persone, quando tali motivi non ebbero più forza, presto tornarono indietro. Da quelli che non hanno spiritualità di mente, e non intendono realmente nulla alle dottrine dell'Evangelo, c'è da aspettarsi che presto saranno scandalizzati, ed abbandoneranno l'Evangelo.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:60; 8:31; Sofonia 1:6; Matteo 12:40-45; 13:20-21; 19:22; 21:8-11; 27:20-25

Luca 9:62; 2Timoteo 1:15; 4:10; Ebrei 10:38; 2Pietro 2:20-22; 1Giovanni 2:19

67 67. Laonde Gesù disse ai dodici: Non ve ne volete andare ancor voi?

È la prima volta che Giovanni chiama gli Apostoli: i dodici. Se ricordiamo quello che Giovanni dice Giovanni 6:61 della conoscenza del Signore di chi, fra i suoi seguaci, era un vero credente, e di chi non lo era, è impossibile ammettere, come asseriscono alcuni, che Gesù facesse questa domanda agli Apostoli ammessi nella intimità della sua amicizia, perché veramente aspettasse o temesse di venire abbandonato anche da loro. Questa sua domanda ha piuttosto per oggetto di offrir loro l'occasione di proclamare la sincerità della loro fede e della loro fiducia in lui, di fronte alla diserzione di altri, e così di legarsi più strettamente al loro Maestro. Però non dobbiamo dimenticare che Gesù era vero uomo, e possedeva tutti i sentimenti, tutta la sensibilità della nostra natura, e che, mentre rimaneva vivamente ferito dall'abbandono di tanti discepoli, doveva cercar simpatia e consolazione nell'affetto di quei dodici che erano particolarmente gli eletti suoi. Questo bisogno della simpatia dei tre più cari dei suoi apostoli si vede in modo molto commovente nella scena di Getsemane Matteo 26:36; Marco 14:33.

PASSI PARALLELI

Giosuè 24:15-22; Ruth 1:11-18; 2Samuele 15:19-20; Luca 14:25-33

68 68. E Simon Pietro gli rispose: Signore, a chi ce ne andremmo? tu hai le parole (in greco: parole senza l'articolo) di vita eterna.

Pietro, essendo il più vecchio, risponde per tutti, con caratteristica impetuosità, anche per il traditore Giuda, che forse Gesù aveva di mira nel fare la sua domanda, e relativamente al quale, a motivo della universalità delle parole di Pietro, egli fece appresso la dichiarazione sorprendente in Giovanni 6:70. La risposta di Pietro non esprime dubbio; anzi è uno scoppio di perfetta fiducia. Abbandoneremo noi la "fonte dell'acqua viva, per cavarci delle cisterne rotte, che non ritengono l'acqua?" Geremia 2:3. No, Signore: Tu hai parole di vita eterna, e noi non possiamo vivere senza di te. Pietro non professa di avere inteso il "parlar duro" del discorso di Cristo, "questo non poteva avvenire che dopo la Pentecoste"; ma egli afferma, con forza, quella fede in Gesù alla quale sono promesse le benedizioni spirituali ed eterne. La stessa confessione egli pur fece in altra circostanza Matteo 16:16.

PASSI PARALLELI

Salmi 73:25

Giovanni 6:40,63; 5:24,39-40; Atti 4:12; 5:20; 7:38; 1Giovanni 5:11-13

69 69. E noi abbiamo creduto, ed abbiamo conosciuto che tu sei il Cristo, il Figliuol dell'Iddio vivente.

Per l'esposizione vedi Matteo 16:16. Queste non sono parole di uomini i quali, secondo alcuni scrittori, un momento prima, erano titubanti e in sul punto di abbandonare il loro maestro. "Abbiamo creduto ed abbiam conosciuto". Così parla una fede stabilita già da lungo tempo, ci appieno corroborata dalla esperienza e dalla osservazione. Di più, il noi è enfatico, e inteso a far contrasto coi molti che abbandonavano Gesù: Qualunque cosa facciano gli altri, noi crediamo in te, ti riconosciamo come il Messia, come il Figlio di Dio e ti rimarremo fedeli. Sentivano di esser tardi nell'imparare; ma facevan tesoro nei loro cuori e nella loro memoria dell'insegnamento di Gesù, convinti che giungerebbero gradatamente all'intelligenza, perfetta della verità. Invece delle parole finali "il Figliuol dell'Iddio vivente" del Textus Receptus, i codici Sinaitico, Vaticano, di Efrem e di Beza leggono: "il Santo di Dio" e molti scrittori preferiscono quest'ultima lezione, supponendo che la prima sia stata tolta da Matteo 16:16. La lezione ordinaria però è appoggiata da valide autorità e par più probabile, perché in perfetta concordanza con tutto il capitolo. Ma se il lettore preferisse l'altra, essa è conforme a Marco 1:24; Luca 4:34, dove i demoni danno a Gesù il titolo di "santo di Dio", come sinonimo di: "il Cristo, il Figliuol di Dio?" Luca 4:41. Alford osserva che i demoni sembrano essere stati i primi a proclamar Gesù qual Figliuol di Dio, e che ciò deve aver colpito l'attenzione degli Apostoli. Gesù è probabilmente designato in quel modo come l'Essere mandato e suggellato da Dio per dar la vita al mondo. Se questa lezione è la vera, importa notare come tali confessioni si facessero più chiare, a misura che i discepoli "crescevano, nella grazia e nella conoscenza del loro Signore e Salvator Gesù Cristo": "Veramente tu sei il Figliuol di Dio" Matteo 14:33; "Tu sei il Santo di Dio", "Tu sei il Cristo il Figliuol dell'Iddio vivente" Giovanni 6:69-70.

PASSI PARALLELI

Giovanni 1:29,41,45-49; 11:27; 20:28,31; Matteo 16:16; Marco 1:1; 8:29; Luca 9:20

Atti 8:37; Romani 1:3; 1Giovanni 5:1,20

Giovanni 6:57

70 70. Gesù rispose loro: Non ho io eletti voi dodici? e pure un di voi è diavolo.

La parola "eletti" qui non significa scelti per la vita eterna (confr. Giovanni 6:39 e Giovanni 17:12) ma semplicemente nominati ad un ufficio, nel senso di Luca 6:13. Chiamò a sé i suoi discepoli, e ne elesse dodici, i quali ancora nominò Apostoli, e di Atti 6:5: "Ed elessero Stefano, uomo pieno di fede, ecc.". Per quanto piccolo fosse il numero dei discepoli, non è esatto quello che Pietro dice di loro. Egli avea parlato in buona fede, a nome di tutti i suoi fratelli, quando disse: "Noi abbiamo creduto"; ma Gesù gli dice che un di loro è diavolo. Pietro non sapeva di chi il Signore parlasse; è possibile che Giuda stesso non si riconoscesse in tale descrizione, benché senza dubbio il germe del suo delitto già si trovasse nel suo cuore; ma Gesù conosceva ogni cosa sin dal principio, i discepoli che lo abbandonerebbero e l'Apostolo che era diavolo. In questo versetto, Gesù non parla al solo Pietro, ma ai dodici in corpo, non solo per sciogliersi da ogni responsabilità riguardo a Giuda, dopo quanto Pietro avea detto, ma ancora perché i discepoli non si scandalizzassero più tardi, per una supposta mancanza di discernimento per parte del loro Maestro. "Diavolo" è una espressione ben forte, in un momento così vicino al principio del suo ministerio, prima che il più piccolo indizio delle vere disposizioni di Giuda si fosse manifestato a qualsiasi occhio, salvo il suo. "Questa parola deve esser presa nel suo senso più stretto e, più rigoroso, sia secondo la Scrittura in generale, sia secondo gli scritti di Giovanni, in particolare Giovanni 8:44; 13:2; 1Giovanni 3:8. Non è detto: egli ha, ma egli è; egli non è chiamato 'demonio', ma 'diavolo'; questo significa che Giuda non è soltanto lo strumento, ma il tempio di Satana" (Brown).

"Egli era animato dallo spirito di Satana, così da esser fra i dodici quello che Satana era stato nella famiglia di Dio in cielo" (Jacobus). "Questo passo sta isolato nel Nuovo Testamento; ma la stessa sua singolarità lo dimostra autentico. Non è probabile che Giovanni lo avesse dimenticato, o si fosse fatto lecito di alterarne il senso nel ricordarlo" (Plummer).

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:64; 13:18; 17:12; Matteo 10:1-4; Luca 6:13-16; Atti 1:17

Giovanni 8:44; 13:2,21,27; Atti 13:10; 1Giovanni 3:8; Apocalisse 3:9-10

1Timoteo 3:11; Tito 2:3

71 71. Or egli diceva ciò di Giuda Iscariot, figliuol di Simone; perciocché esso era per tradirlo, quantunque fosse uno dei dodici.

Vedi nota Matteo 10:4. Il nome Iscariot è composto di due parole ebraiche Ish e Cheriot, cioè l'uomo di Cheriot. Cheriot era un villaggio di Giuda Giosuè 15:25, e molti scrittori notano questa come la sola eccezione di un Apostolo che non fosse Galileo. Questo versetto è evidentemente una nota di Giovanni, per l'istruzione di quelli fra i lettori del suo Vangelo che vivevano lontano dalla Giudea, i quali forse non avrebbero capito a chi si riferissero le parole del versetto precedente.

PASSI PARALLELI

Salmi 109:6-8; Atti 1:16-20; 2:23; Giuda 4

Giovanni 18:2-6; Salmi 41:9; 55:13-14; Matteo 26:14-16; 27:3-5

RIFLESSIONI

1. Nei primi versetti di questo capitolo abbiamo un esempio notevole della umiltà del Signore. Quando il popolo, entusiasmato dal miracolo che egli avea compiuto, voleva prenderlo e farlo re, "egli si ritrasse di nuovo in sul monte, tutto solo". Di tali onori egli non si curava. "Il Figliuol dell'uomo non è venuto per essere servito, anzi per servire, e per dar l'anima sua per prezzo di riscatto per molti" Matteo 20:28. "La stessa disposizione di cuore si vede in tutto il ministerio di Gesù. Dalla culla alla tomba egli fu adorno d'umiltà" 1Pietro 5:5. Nacque da madre poverissima, e passò i trenta primi anni della sua vita, nella casa di un falegname in Nazaret. Ebbe a compagni e seguaci dei poveri, ed umile fu il suo tenor di vita. Navigò il mar della Galilea sopra una barca tolta in prestanza; entrò in Gerusalemme sopra un puledro d'asino non suo, e fu sepolto nella tomba di un altro. "Essendo ricco, si è fatto povero per noi" 2Corinzi 8:9. Cristo ci ha lasciato un esempio acciocché voi seguitiate le sue pedate 1Pietro 2:21, e il primo fra gli esempi che egli ci ha lasciati è quello della umiltà. Eppure, come son rare l'umiltà e la poca stima di sé stesso, anche fra i veri credenti, benché Gesù abbia proclamato "beati i poveri in ispirito!" Matteo 5:3. Come frequenti in contrario, non solo nel mondo ma anche nella Chiesa, sono l'orgoglio, l'ambizione e la troppa stima di sé un detto curioso ma vero quello che dice: "Dimmi quanta umiltà possiede un uomo, e io ti dirò quanta religione egli ha" (Ryle).

2. La Parola "suggellato" Giovanni 6:27, è alquanto singolare, applicata ad un uomo; ma indica la stessa cosa che l'olio della sacra unzione, col quale Aaronne e la sua posterità venivan consacrati e messi a parte, per servire unicamente al Signore. Come i documenti pubblici erano, e son tuttora, non solo firmati, ma suggellati, in testimonianza che sono esecutorii, validi, e di permanente autorità, così questa espressione, applicata a Cristo, significa che, negli eterni consigli della divinità e egli fu suggellato designato e nominato qual Figliuol dell'uomo, Parola incarnata, Datore di vita eterna all'uomo. La stessa figura del suggello qui applicata al Capo, la troviamo poi applicata alle membra più di una volta dall'Apostolo Paolo; lo Spirito Santo essendo il suggello "col quale sono stati suggellati per lo giorno della redenzione" 2Corinzi 1:22; Efesini 1:13; 4:30.

3. Nel cap. 5. il Signore aveva già insegnato la essenziale unità del Padre e del Figlio, e le lor mutue relazioni, così nella loro propria natura, come nella economia della redenzione. Le stesse cose ci vengono insegnate in questo capitolo, sotto un nuovo aspetto. La divinità essenziale del Figlio è così chiaramente espressa in Giovanni 6:35,40,48,51,53-54, che nessun altro uomo ha mai ardito dire le medesime cose di sé stesso, e che, nella bocca di una semplice creatura, ci parrebbero assurde e blasfematorie. Eppure Cristo le afferma ripetutamente sotto ogni forma possibile. Ma mentre si proclama Dio, qual cura non ha egli di dichiarare, che, per adempiere la grande sua opera a favore del mondo, egli ha ricevuto da Dio una consacrazione speciale, e che egli è lo strumento volontario del Padre in ogni stadio della salvezza dell'uomo? Giovanni 6:32,39-40.

4. "Vedi qui il duplice aspetto che le Scritture sempre ci presentano della fede: essa è al tempo stesso un dovere, la somma di tutti i doveri, e una grazia specialmente comunicata dal cielo. E il dovere dei doveri, poiché 'questa è l'opera di Dio, che voi crediate in colui ch'egli ha mandato' Giovanni 6:29; ed è una grazia che racchiude tutte le grazie, imperocché Gesù dice: 'Niuno può venire a me, se non che il Padre che mi ha mandato lo tragga. Ogni uomo adunque che ha udito dal Padre e ha imparato viene a me' Giovanni 6:44-45. Peccato che si sia fatto tanto spreco di vana controversia per riconciliarli! Il nesso fra l'opera di Dio e quella e uomo non sarà mai scoperto in terra, se pur sarà scoperto in cielo. Crediamo adunque implicitamente e proclamiamo apertamente entrambi, ricordandoci che il divino in questo caso sempre precede l'umano e ne è la causa; che il 'trarre' di Dio precede il 'venire' nostro, quantunque il nostro venire non sia meno puramente spontaneo, e il risultato di considerazioni razionali presentatesi alla nostra mente, che se non vi fosse in tutto ciò nessuna operazione sovrannaturale" (Brown).

5. Gesù non fece mai usò, neppur e verso i suoi aperti nemici che cercavano di ucciderlo, di una espressione così forte come quella che egli applica qui a Giuda. Colui che egli stigmatizzò in tal modo era un ipocrita ed un falso Apostolo. La sola altra parola di Gesù che si avvicini alquanto alla forza di questa, è quella che, in altra occasione, egli rivolse a Pietro medesimo: "Vattene indietro da me, Satana" Matteo 16:23; ma i casi eran ben diversi; imperocché, essendo Pietro sorpreso ed abbattuto dall'annunzio della prossima morte di Cristo, allora udito per la prima volta, Satana si valse momentaneamente del suo stato e della sua lingua, per tentare il suo Maestro, ad abbandonare l'opera di Dio, dicendogli: "Signore, tolga ciò Iddio; questo non ti avverrà punto"; ma nel caso del traditore, Satana già dimorava in lui e regnava sopra lui. Pietro viene severamente ripreso sotto il nome di Satana, "avversario o tentatore", ma diavolo, "distruttore", è il nome che vien dato a Giuda.

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